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S O M M A R EDItORIaLE Quanto interessa al Paese la riforma dell’Università? di Lucio d’Alessandro PROfEssIONI Il ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo nella nuova realtà digitale di Antonio Martusciello I Nessuno autorizza i giornalisti a ricamare sulla pelle dei lettori di Andrea Melodia stORIa, CULtURa E RICERCa PICCOLa aNtOLOGIa tEsI DI LaUREa Un anno di Ucsi: più presenza, più credibilità più forza di opinione di Franco Maresca Pio XII: il Papa della radio di Francesca Di Ruzza Consumer service e globalizzazione L’impatto sui brand tra reti e social media di Adele Savarese Radiografia dell’unione Europea sul nostro sistema dei media di Rosa Maria Serrao Dicono di noi di Stefania Di Mico “La comunicazione politica ed il ruolo dei media nel Medio Oriente: la questione irachena” di Tommaso Ulivieri La “Lettera 22” nelle sezioni di partito. La crisi e la scomparsa del quotidiano di partito nell’Italia della prima Repubblica di Teresa Sari Pubblicità fra etica e mercato di Giancarlo Zizola DOCUMENtI CONvEGNI E NOtIzIE LIBRI -Il settimanale “Rheinischer Merkur” e la crisi della stampa cattolica tedesca - Il Centro di Documentazione Giornalistica crea un portale e nuovi corsi di giornalismo e comunicazione - La regolamentazione delle professioni come garanzia di qualità O 3 11 17 21 23 26 37 47 50 52 53 57 57 58 59 DESK cultura e ricerca della comunicazione rivista trimestrale UnisOB e UCsI anno XvII n. 4 direttori Paolo scandaletti (responsabile) Lucio d’alessandro comitato scientifico francesco M. De sanctis (Presidente), Giuseppe acocella Giuliano adreani, Gianfranco Bettetini, Isabella Bossi fedrigotti Gianluca Comin, Massimo Corsale, Piero Craveri, Lucio D’alessandro, Ornella De sanctis, furio Garbagnati, Enzo Iacopino, andrea Melodia, Paolo Mieli, Massimo Milone, Mario Morcellini, agata Piromallo Gambardella, Paolo scandaletti, franco siddi redazione 00186 Roma, via in Lucina 16/a tel. 06 68802874 fax 06 45449621 Rosa Maria serrao [email protected] [email protected] 06 68802874 Napoli: arturo Lando, franco Mennitto, andrea Pitasi proprietà ed editore UCsI www.ucsi.it giunta esecutiva andrea Melodia (presidente), Pino Nardi (vicepresidente) franco Maresca (segretario), Mariella Cossu (tesoriera) Maurizio Bassetti, sara Bessi, Guido Mocellin, Mario Repetto, Gaeano Rizzo, francesco Occhetta s.i. (consulente ecclesiastico) stampa CsR -00158 Roma, via di Pietralata 157 iscrizione al ROC n. 5421 arretrati redazione DEsK: [email protected] finito di stampare: gennaio 2011 E D I T O R I A L E QUANTO INTERESSA AL PAESE LA RIFORMA DELL’UNIVERSITÀ? LUCIO D’ALESSANDRO I Lucio d’Alessandro, Preside della Facoltà di Scienze della Formazione, Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Dirige questa rivista insieme a Paolo Scandaletti. n. 4/2010 l dibattito che ha accompagnato, spesso con toni concitati, l’accidentato iter della riforma dell’Università proposta dal ministro Gelmini è stato segnato, come è noto, da numerose azioni di protesta e da manifestazioni di piazza alcune delle quali di notevole pericolosità per l’ordine pubblico e anche per l’incolumità dei giovani protagonisti delle proteste. tuttavia, tale acceso dibattito non sembra aver prodotto grandi conseguenze sul testo della legge finalmente approvata nè maggiore consapevolezza nella classe politica sulle condizioni dell’università italiana. La sensazione rimasta in chi scrive dall’ascolto delle molte voci che si sono levate, è che la generalità dell’opinione pubblica, anche qualificata, desse per scontato che qualsiasi manipolazione degli ordinamenti universitari ad opera del legislatore avrebbe turbato gli equilibri fisiologici dell’università decretandone la fine, la morte. Non a caso, infatti, in questi mesi si sono moltiplicati gli appelli a favore della sopravvivenza dei morenti atenei (opera degli ottimisti) e, ancor più, i necrologi sulla loro morte (opera dei pessimisti). Il lettore vorrà perdonarmi il racconto, a questo proposito, di un piccolo aneddoto da me vissuto parecchi anni or sono nel luglio di un anno che mi pare fosse il 1974. appena laureato, davo una mano al “mio professore” e alla “sua cattedra” di filosofia del diritto nell’organizzazione degli esami della sessione estiva. Gli “statini”, i grossi moduli per la verbalizzazione degli esami individuali, erano, per la seduta di luglio, parecchie centinaia ed io nello stanzino del capo bidello della facoltà di Giurisprudenza (allora la federico II e le Università in genere non sentivano ancora il bisogno di darsi blasoni reali o addirittura imperiali) cercavo di dare ad essi una sistemazione riunendoli in gruppi distinti in ordine alfabetico o per matricola in modo da organizzare le lunghe giornate di esami che ci attendevano. Il caldo intenso e il sole che entrava dalle alte finestre del corridoio della facoltà su cui affacciava l’importante luogo di potere (lo stanzino del capo bidello) da me provvisoriamente occupato, faceva sudare sia me, sia il mio maestro, prof. antonio villani sia, infine, e più copiosamente, il bidello dalla imponente corporatura che ci ospitava. ad un tratto una folata di quel vento da cui avevamo sperato un po’ di refrigerio, fece volare in un istante tutti gli statini che si sparsero disordinatamente per terra arrivando a far mulinello fin nel corridoio della facoltà. fu giocoforza che non solo io e il mio professore, ma perfino il 3 DESK E L’idea di Università è, da sempre, un’idea profondamente legata al contesto storico e anche alle concrete esigenze di una società. DESK 4 D I T O R I A L bidello, finissimo tutti carponi per terra a cercare di raccogliere quelli che erano, comunque, dei documenti ufficiali. Certo la scena, a ripensarci, era un po’ ridicola, ma in quel momento io, come giovane responsabile della tenuta degli statini, me ne sentivo alquanto responsabile. Nessuno però mi rimproverò alcunché neppure il professore e l’anziano bidello costretto ad una fatica supplementare (con sudata annessa), non dovuta e, soprattutto, poco dignitosa. Evidentemente egli stava meditando sull’accaduto tanto che qualche minuto dopo, allorché ebbe ripreso la sua normale e più autorevole postura, confidò una sua considerazione di carattere generale e di respiro storico al professor villani, filosofo della facoltà, nella forma della seguente domanda «Professò vi ricordate quando c’era l’Università?». fece una pausa. Poi, calcando sul verbo al passato, «quando c’era l’Università!». Il professore lo guardò in silenzio, non so se condividendo. Certo il pensiero per entrambi andava in quel momento ad un’università diversa, “presessantottina”, in cui il numero degli studenti era enormemente più basso mentre assai più alto era il prestigio dell’istituzione e di chi ne faceva parte. L’ondata della contestazione si era abbattuta con furia ben più devastatrice di una folata di vento su quel tipo di università che aveva pochissimi ed autorevolissimi professori ordinari che, dall’alto delle loro cattedre, governavano non solo allievi e facoltà, ma buona parte dei mondi professionali di riferimento (ospedali, case editrici, tribunali, ordini professionali). Gli ordinamenti, più per sgonfiare le contestazioni che per aggiornare l’Università, erano stati cambiati in più punti, soprattutto erano nati i “piani di studio individuali degli studenti” che, a fronte della rigidità delle liste di esami tradizionali del sistema precedente, consentivano a ciascuno studente di scegliersi alcuni esami, spesso eliminando qualche “bestia nera” e inserendo al suo posto alcuni esami facoltativi che allora si chiamavano “complementari”. Di conseguenza, i professori titolari delle “bestie nere” avevano (in qualche caso abbastanza poco onorevolmente) ridotto i programmi mentre, al contrario, il numero delle sedute di esami e degli studenti era aumentato a dismisura: era l’università di massa di una società di massa. Era chiara e ben comprensibile, dunque, la nostalgia dell’anziano bidello che aveva svolto per decenni il suo (mai secondario) ufficio in un’Università diversa sostanzialmente di èlite, tanto diversa che quella degli anni ’70, in cui continuava a lavorare in attesa della pensione, non gli sembrava neppure più Università. Un lungo aneddoto semplicemente per vivere con il lettore, in maniera concreta, il concetto del tutto ovvio che l’idea di Università è, da sempre, un’idea profondamente legata al contesto storico e anche alle concrete esigenze di una società. La conseguenza è che, pur essendo l’Università un’istituzione più che millenaria, essa continua a svolgere un’importantissima funzione, peraltro ampiamente mutata nel tempo rispetto alle modalità di espletamento, ma non esiste certo un assetto istituzionale predefinito al punto che si possa dichiarare “viva” o “morta” l’Università a seconda che il modello adottato dal nuovo legislatore corrisponda o meno a quell’assetto. Del resto lo stesso modello humboldtiano adottato dall’Università tedesca a partire da quella di Berlino nel 1809 – che n. 4/2010 E E D I T O R I A L E sembra costituire ancora oggi il retropensiero ed il modello unico fortemente statalistico a cui dovrebbe uniformarsi l’Università in genere, italiano in particolare di chi critica la riforma Gelmini – fu il poderoso, ma anche ben datato frutto di un dibattito teorico che aveva visto impegnati maestri del pensiero filosofico quali fichte, schleiermacher, schelling, oltre lo stesso Humboldt. Esso costituì il punto di approdo di un modello di società che aveva visto progressivamente svilupparsi, accanto ad una borghesia degli studi (Bildungsburgertum) al servizio dello stato, un’ambiziosa borghesia economica (Wirtschaftsburgertum) al servizio della produzione industriale e del commercio. Entrambe queste “borghesie” vedevano in un’educazione (bildung) universitaria monopolizzata dallo stato, fortemente legata alla ricerca e sganciata da immediate finalità professionali, un elemento certificativo dei saperi posseduti e, soprattutto, un “segno di riconoscimento” quasi un nuovo blasone di legittimazione del proprio ruolo dirigente. Ora se è vero che certe funzioni assegnate allora all’Università (formazione dei quadri dirigenti, elaborazione di un pensiero critico relativamente libero da condizionamenti, certificazione dei saperi) sono tuttora presenti e sono forse ancora oggi il “sale” dell’Università, è anche vero che già un secolo fa Max Weber giudicava “fittizia” l’istituzione universitaria tedesca ormai superata dall’emergere della “questione sociale” e che, già nel 1910 (più di un secolo fa!), veniva fondata un’istituzione la Kaiser Wihelm – Gesellschaft zur förderung der Wissenschaften -che, a fronte dell’enorme sviluppo del modello universitario statunitense, era essenzialmente finanziata dai privati. Ormai più di un secolo fa l’Università rigidamente statale della Germania apriva a vele spiegate ai capitali privati per il finanziamento della ricerca! In Italia la riforma dell’Università è tema che, a fronte di una evidente inadeguatezza degli ordinamenti, domina la scena politica da almeno un quindicennio. In questi anni molti errori sono stati commessi in quel vero e proprio cantiere in perenne costruzione che è stata l’Università italiana: la moltiplicazione degli atenei sul territorio ha determinato una sorta di “licealizzazione” dell’Università con la tendenza a mantenere la formazione in ambito locale, peraltro in un’epoca di spinta globalizzazione; il passaggio dal sistema delle lauree quadriennali a quello del tre più due con la conseguente introduzione dei crediti formativi universitari e la riduzione dei programmi, ha creato notevole confusione nell’offerta formativa e un aumento dei costi complessivi senza aprire nuove possibilità di occupazione per i triennalisti; il reclutamento del personale docente mediante concorsi locali, attraverso un perverso intreccio con un malinteso concetto di autonomia degli atenei e con la famigerata indicazione dei requisiti minimi nella sola docenza di ruolo, ha finito per gonfiare artificiosamente gli organici, accentuando gli aspetti deteriori del mondo accademico con una moltiplicazione delle cattedre non sempre dettata dai soli criteri del merito scientifico e con l’ulteriore risultato di abbassare il livello qualitativo della ricerca e di accentuare il perverso fenomeno della c.d. «fuga dei cervelli». a ciò si aggiunga che il parallelo processo di istituzione dei centri di eccellenza, più che un effettivo progresso nella ricerca avanzata, ha sem- n. 4/2010 5 In Italia la riforma dell’Università è tema che, a fronte di una evidente inadeguatezza degli ordinamenti, domina la scena politica da almeno un quindicennio. DESK E La riforma Gelmini dovrebbe chiudere questo periodo di riforme «a metà» tentando di correggere almeno qualcuno dei tanti errori commessi. DESK 6 D I T O R I A L brato segnare, soprattutto nel campo umanistico, un tardivo tentativo di resistenza dell’èlites intellettuali piuttosto che un’apertura significativa all’innovazione e all’internazionalizzazione. Infine il susseguirsi di leggi e di decreti di riforma, di semiriforme o riformine dell’università, ha creato un vero e proprio “ingorgo” normativo ed una sorta di “stress istituzionale” nei quali gli organismi universitari hanno ulteriormente consumato le proprie energie. La riforma Gelmini dovrebbe chiudere questo periodo di riforme «a metà» tentando di correggere almeno qualcuno dei tanti errori commessi. Essa appare, infatti, nel complesso, come una razionalizzazione dell’esistente diretta a dare un equilibrio relativamente stabile all’Università di questo inizio millennio. voglio subito dire che nel quadro che ho sommariamente cercato di delineare, quella della Gelmini è un onesto tentativo di alta manutenzione e, in questo senso, è nel complesso una buona legge. Certo si poteva fare di più, ma la nuova riforma contiene elementi utili per far sì che l’Università possa accompagnare il Paese verso un nuovo cammino di sviluppo e cerca di adeguare il sistema universitario italiano alle esigenze di una società che è già cambiata e, ancora, sta rapidamente cambiando. tra gli elementi positivi va innanzitutto segnalato il tentativo di ridurre il numero degli atenei dando ad essi la possibilità di federarsi, di ridurre il numero delle facoltà potenziando il ruolo dei dipartimenti, di separare nettamente i compiti più strettamente scientifici di organizzazione della comunità degli studiosi affidati al senato accademico, dagli aspetti economico-gestionali rimessi, invece, al Consiglio d’amministrazione. anche la riduzione della durata della carica di Rettore ad un solo mandato di sei anni costituisce un’innovazione positiva, anche perché nell’arco del suo mandato «breve» il Rettore diviene una figura ancor più centrale nella vita e nell’organizzazione di ciascun ateneo. Nel Consiglio d’amministrazione entrano obbligatoriamente due o tre componenti – a seconda del numero complessivo dei consiglieri – esterni al mondo universitario provenienti da settori qualificati della società e del mondo della cultura e della produzione. Pensare oggi ad un’Università completamente recinta da mura e chiusa sull’esterno sarebbe, del resto, pura follia! L’introduzione della figura del direttore generale, che diviene elemento centrale e responsabile dell’economicità e dell’efficienza della gestione, secondo le direttive del Consiglio d’amministrazione, appare anch’essa un’innovazione significativa, soprattutto se riuscirà a farsi spazio all’interno delle complesse burocrazie amministrative degli atenei. altro elemento significativo è il tentativo di introdurre forme di valutazione della didattica e della ricerca attraverso un ampliamento delle funzioni dell’anvur, che avrà un ruolo importante nella distribuzione dei finanziamenti pubblici e l’introduzione del Comitato nazionale dei garanti per la ricerca, composto da sette studiosi italiani o stranieri nominati dal Ministro in una lista composta da un minimo di dieci a un massimo di quindici docenti selezionati tra studiosi di notorietà internazionale. L’ampliamento dei compiti dell’anvur – che tuttavia n. 4/2010 E E D I T O R I A L E non è ancora entrata in funzione – sembra avvicinare sempre di più le caratteristiche di questa istituzione a quelle di una vera e propria autorità di regolazione del mondo della formazione e della ricerca universitaria in grado di incidere significativamente sulla distribuzione delle risorse. Quanto al reclutamento del personale docente, la reintroduzione dell’abilitazione nazionale, con l’utilizzazione del metodo del sorteggio tra una lista di professori ordinari particolarmente qualificati per la scelta dei componenti della commissione nazionale e la presenza obbligatoria di un professore di ruolo di uno dei Paesi dell’Ocse, avrebbe la funzione di garantire in miglior misura la prevalenza dei criteri del merito scientifico nella valutazione dei futuri docenti di prima e seconda fascia: è un’innovazione non piccola che in parte mortifica (ingiustamente?) l’accademia italiana, visto che non vi è reciprocità da parte degli altri Paesi: aspettiamo di vedere come funzionerà! Il successivo passaggio della chiamata da parte dei singoli atenei avviene attraverso un’ulteriore valutazione, sul piano locale, del lavoro di selezione compiuto dalla commissione nazionale. L’abolizione della figura dei ricercatori a tempo indeterminato e la definitiva scelta del legislatore a favore della figura dei ricercatori a tempo determinato – peraltro già presente da qualche anno nell’ordinamento universitario – costituisce un’innovazione volta a porre fine alle forme di precariato di lunga durata che, nel sistema attuale, si trascinano all’interno delle carriere accademiche e che, il più delle volte, legano i ricercatori alle esigenze di ricerca e ai carichi di insegnamento dei loro maestri piuttosto che all’effettiva pratica di ricerche innovative. Il tempo determinato per i ricercatori, del resto, finisce per diventare una scommessa anche per gli atenei che rischiano di investire risorse ‘a vuoto’ per giovani destinati ad essere assorbiti da altri settori professionali. La selezione nell’individuazione dei ricercatori a tempo determinato dovrebbe garantire l’ottimizzazione della scelta sia dal lato di coloro che intendano intraprendere una vita di studio, sia da parte delle Università ‘costrette’ a investire sulle risorse migliori. Per i ricercatori a tempo indeterminato si è scelto di evitare la strada dell’ope legis – che pure in passato era stata ampiamente utilizzata – per il passaggio alla fascia docente e, nel contempo, di evitare anche il triste destino del «binario morto» di un ruolo ad esaurimento, scegliendo la via del reclutamento straordinario dei professori di seconda fascia che prevede la frequenza annuale «inderogabile» delle procedure per il conseguimento dell’abilitazione alla docenza. Per i ricercatori che abbiano l’effettivo affidamento di un corso d’insegnamento la nuova legge prevede, inoltre, la possibilità di una retribuzione aggiuntiva sulla base delle disponibilità di bilancio di ciascun ateneo. La riforma Gelmini tende a superare il sistema attuale di verifica delle carriere che in verità non aveva funzionato poi così male. La Gelmini, infatti, elimina lo straordinariato per la prima fascia e la conferma per la seconda fascia, slegando la progressione stipendiale dal merito dell’attività scientifica. La valutazione dell’attività didattica e scientifica viene invece rimessa esclusivamente ai singoli atenei attraverso la redazione da parte del docente di una relazione triennale elaborata secondo n. 4/2010 7 La selezione nell’individuazione dei ricercatori a tempo determinato dovrebbe garantire l’ottimizzazione della scelta sia dal lato di coloro che intendano intraprendere una vita di studio, sia da parte delle Università ‘costrette’ a investire sulle risorse migliori. DESK E È chiaro che nelle intenzioni del Governo il merito dovrebbe costituire l’unico metro di valutazione dell’attività universitaria sia per i docenti che per gli studenti. DESK 8 D I T O R I A L le regole contenute in un apposito regolamento di ateneo redatto sulla base di criteri fissati dall’anvur. tale innovazione rischia, però, di aumentare l’autoreferenzialità degli atenei dal momento che nel sistema attuale le carriere dei docenti sono tra quelle maggiormente soggette a controlli. Il sistema della conferma e dello straordinariato costituisce, infatti, una seria forma di valutazione delle attività svolte dai docenti nei tre anni successivi all’ingresso in ruolo, attraverso il giudizio di una Commissione esterna composta da tre membri. È chiaro che nelle intenzioni del Governo il merito dovrebbe costituire l’unico metro di valutazione dell’attività universitaria sia per i docenti che per gli studenti. In questo senso la riforma cerca di introdurre forti dosi meritocrazia creando un apposito fondo speciale alimentato anche da privati e da enti e fondazioni «finalizzato a promuovere l’eccellenza e il merito fra gli studenti», mediante l’introduzione di «prove nazionali standard». I meccanismi di distribuzione del fondo ordinario di finanziamento dell’Università passano sempre più attraverso il giudizio dell’anvur che, tuttavia, ancora attende di divenire pienamente operativa. Gli scatti stipendiali dei docenti e dei ricercatori diventano definitivamente triennali e, in caso di valutazione negativa ai fini dello scatto stipendiale non si può partecipare ai concorsi o ottenere cariche accademiche. Nell’intenso dibattito che ha accompagnato la riforma e nelle dure proteste degli studenti e di parte del corpo docente e ricercatore sono emerse diverse posizioni: quelle favorevoli, soprattutto da parte della Crui, di Confindustria e degli editorialisti del «Corriere della sera» e de «Il sole 24 Ore»; quelle favorevoli alla riforma, ma critiche verso un modello di legge delega eccessivamente complesso che rischia di creare nuovi ‘lacci e lacciuoli’ con una miriade di decreti e regolamenti necessari all’applicazione della nuova disciplina; quelle apertamente contrarie della maggioranza degli studenti universitari e medi, dei ricercatori precari e di parte del corpo docente universitario, di parte del sindacato e delle forze politiche di estrema sinistra. Le proteste degli studenti, in parte comprensibili, come ha sicuramente valutato anche il Presidente della Repubblica ricevendo una delegazione di studenti e di precari, sono dovute, in primo luogo, ai tagli complessivi che negli ultimi anni sono stati effettuati nel finanziamento pubblico degli atenei e, in generale, nella ricerca. Non a caso gli studenti hanno sempre sottolineato che si tratta di una riforma Gelmini-tremonti dettata anche dalla necessità di riduzione della spesa pubblica piuttosto che dalla necessità di un effettivo rilancio del settore della ricerca e della formazione che risulta ancor più indispensabile nei periodi di crisi economica per incentivare l’innovazione e riattivare i canali della produzione e dello sviluppo. auguriamoci che, come il Ministro ha più volte affermato, i fondi vengano trovati essendo noto che nè si fanno buone nozze coi “fichi secchi” nè si fanno riforme senza soldi. Detto questo, però, c’è da dire che il mondo universitario aveva bisogno di una riforma di sistema, soprattutto perché gli interventi degli ultimi vent’anni, come accennato sopra, sebbene ispirati da nobili prin- n. 4/2010 E E D I T O R I A L E cipi e da sincere intenzioni di migliorare il sistema, non hanno ottenuto i risultati sperati. Il dibattito nel mondo accademico fu segnato sin dall’inizio degli anni Novanta dal libro di Raffaele simone “L’Università dei tre tradimenti”, che disegnava un quadro drammatico di un’Università che finiva per essere funzionale soltanto a se stessa, senza realizzare alcuno dei compiti che la società le aveva affidato. È vero che, dopo “Mani pulite”, l’accademia ha effettivamente svolto una funzione di supplenza del mondo politico, fornendo ministri, presidenti del consiglio, semplici parlamentari e amministratori locali, ma è pur vero che una vera riforma dell’Università, in effetti, non è mai stata al centro dell’interesse della società italiana, come sarebbe stato necessario. Il dibattito è stato dominato dalla retorica di “parentopoli” e della «casta accademica», piuttosto che da una riflessione seria e approfondita. anche per quanto riguarda la meritocrazia non bisogna dimenticare che l’Italia, pur essendo sempre agli ultimi posti nelle classifiche internazionali sui finanziamenti all’Università e alla ricerca, riesce a fornire laureati eccellenti come dimostra, per certi versi, anche il successo dei laureati italiani all’estero che costituisce, se ci si riflette bene, l’unico aspetto, per così dire, positivo della «fuga dei cervelli». D’altra parte, se il modello di un’Università chiusa, elitaria, costruito sull’esempio ottocentesco humboldtiano, in cui l’accademia doveva servire soltanto alla scienza e, al più, fornire le classi dirigenti che avrebbero dovuto completare, dopo la laurea, la propria formazione pratica con l’esercizio delle professioni liberali o con l’ingresso nell’alta burocrazia statale o nell’organizzazione dell’impresa privata, appare ormai definitivamente superato, la riforma Gelmini non propone un modello effettivamente innovativo nonostante le significative aperture al mondo dell’impresa e della produzione e a quello delle professioni e della cultura esterna al mondo accademico. La possibilità di ricorrere per la docenza a qualificati professionisti già dotati di un reddito autonomo, la possibilità di costituire società con caratteristiche di spin off o di start up universitari appare un’apertura significativa, ma ancora troppo timida rispetto all’innovazione tumultuosa di questi anni. L’Università dovrebbe stare accanto ai giovani che intendano creare nuove iniziative imprenditoriali, oltre che compiere, come pure si è iniziato a fare in questi anni, un’accurata attività di orientamento al lavoro e di vero e proprio job placement per seguire e coadiuvare l’effettivo ingresso dei laureati nel mondo del lavoro e della produzione. a questo scopo sarebbe stato forse utile inserire i rappresentati più qualificati dell’impresa e della produzione, oltre che nei consigli d’amministrazione, anche – e soprattutto – all’interno di strutture nuove, ancora tutte da costruire, che, alla fine del percorso della formazione universitaria, provvedano nei modi più diversi e innovativi a inserire i laureati nelle posizioni richieste da un mercato del lavoro sempre più flessibile e con esigenze che cambiano con una rapidità mai conosciuta prima. Partendo dalla riforma Gelmini, per l’attuazione della quale occorrerà probabilmente ancora molto tempo, occorrerebbe cominciare seriamente n. 4/2010 9 C’è da dire che il mondo universitario aveva bisogno di una riforma di sistema, soprattutto perché gli interventi degli ultimi vent’anni, sebbene ispirati da nobili principi e da sincere intenzioni di migliorare il sistema, non hanno ottenuto i risultati sperati. DESK E Si tratta di capire quale possa essere la funzione dell’Università in una società ben collocata nello spazio e nel tempo come quella italiana di oggi di cui la Gelmini vorrebbe disegnare il modello universitario. DESK 10 D I T O R I A L ad attivare quel dialogo costruttivo che veda come protagoniste tutte le componenti del mondo universitario e che sia effettivamente aperto al contributo di tutte le voci interessate a costruire il futuro dei nostri giovani. In conclusione, la riforma Gelmini parte dall’assunto scontato – ma non banale – che l’Università sia sede della libera ricerca e della libera formazione e come tale sia «luogo di approfondimento» e di «elaborazione critica delle conoscenze». sembra positivo il recupero, proprio nell’art. 1, di una programmazione concertata tra stato e Università rispetto a fini specifici dei singoli atenei, anche da conseguirsi con modalità organizzativo/amministrative diverse da quelle previste dalla legge, attraverso lo strumento, da chi scrive più volte auspicato, dei «contratti di programma» ai quali accederebbero quelle università che hanno conseguito la stabilità e la sostenibilità del bilancio. si tratta, a quanto pare, di una riassunzione reciproca di responsabilità tra stato e Università, garantendo a quelle tra queste che siano capaci di esporre risultati positivi e proposte innovative, l’inserimento all’interno di un tessuto, ma anche di un sostegno amministrativo ed economico nazionale che, se correttamente ed effettivamente attuato, non può che costituire un effettivo salto di qualità rispetto ad una situazione attuale in cui le Università usufruivano di una sorta di autonomia senza confronto (ma anche senza risorse) che ha lasciato spesso spazio ad iniziative autoreferenziali e di respiro esclusivamente localistico ispirate agli interessi (necessariamente di corta prospettiva) delle classi politiche locali. In molti casi, d’altra parte, tale situazione si è spesso rivelata frustrante per le iniziative di più lunga programmazione e di più vasto raggio d’azione. se il sistema universitario nazionale è destinato a promuovere il progresso culturale, civile ed economico della Repubblica, la sorta di autoreferenziale deiezione – è il termine usato da Heidegger per indicare la vita “gettata ed abbandonata all’esistenza banale ed inautentica– in cui le Università (specie quelle situate in territori più deboli e con minori tradizioni accademiche) sono venute a trovarsi, è l’esatto contrario di quanto possa essere utile ad Università che siano effettivamente parte di un “sistema”, il quale, in quanto tale, non può che avere momenti di coordinamento nazionali e di individuazione con il Governo ai suoi massimi livelli, dei “focus” dinamici che tendano a dare propulsione e sempre nuove finalità al sistema. si tratta invece di capire quale possa essere la funzione dell’Università in una società ben collocata nello spazio e nel tempo come quella italiana di oggi di cui la Gelmini vorrebbe disegnare il modello universitario. È proprio su questo punto che il dibattito, spesso troppo attento a logiche di schieramento, è sembrato piuttosto povero. Queste le parole, speriamo nelle cose. Lucio d’Alessandro n. 4/2010 E P R O F E S S I O N I IL RUOLO DEL SERVIZIO PUBBLICO RADIOTELEVISIVO NELLA NUOVA REALTÀ DIGITALE ANTONIO MARTUSCIELLO a rivoluzione digitale sta determinando radicali trasformazioni nel mondo dei media, che riguardano non solo specifici elementi (come i fattori della produzione) ma l’intero sistema della comunicazione, arrivando a coinvolgere le strategie, i modelli di business e le modalità di circolazione e consumo dei contenuti. La convergenza tecnologica ha prodotto il superamento del precedente assetto del sistema, strutturato in comparti distinti e basato sulla corrispondenza tra mezzi e contenuti veicolati, e lo ha sostituito con ambienti digitali in grado di accogliere qualunque tipo di contenuto accessibile su una molteplicità di piattaforme. In particolare, lo sviluppo delle tecnologie digitali e la loro applicazione l’applicazione al mondo dei media ha generato due fenomeni di particolare rilevanza: la disintermediazione e dematerializzazione dei contenuti. Con il primo ci si riferisce alla possibilità, per il consumatore che si muove in ambiente digitale, sia di fruire i contenuti senza l’intermediazione ‘istituzionale’ di altri soggetti (l’utente acqui- L n. 4/2010 sisce ed elabora personalmente e direttamente le informazioni), sia di creare e distribuire contenuti propri. sotto questo aspetto vengono in rilievo fenomeni come i blog e i social network, nuove pratiche di interazione sociale, nonché il cosiddetto user generated content, contenuti creati direttamente dagli utenti e condivisi con il pubblico attraverso la piattaforma web. Il secondo fenomeno attiene al fatto che il contenuto nel mondo digitale è svincolato dal supporto fisico e, in conseguenza di ciò, è ormai privo di costrizioni quali, ad esempio, il tempo di distribuzione e la qualità o la quantità della riproduzione. In ambiente digitale, dove il prodotto/contenuto è semplicemente la rappresentazione di una stringa numerica composta di 0 ed 1, la stessa distinzione tra documento originale e copia di fatto scompare. Le ricadute di tale fenomeno si avvertono principalmente a livello economico in quanto la dematerializzazione ha amplificato, specie tra le giovani generazioni, il diffondersi di pratiche che bypassano di fatto le tradizionali logiche di mercato. Basta pensare a tutta una serie di usi sociali di Internet (il 11 Antonio Martusciello, Commissario Autorità per le Garanzie nella Comunicazione, AGCOM DESK P DESK R O F E S S I O N I cd. Web 2.0) come nei casi dei siti Facebook o YouTube che si basano su pratiche relative alla condivisione ed allo scambio tra gli utenti di testi, immagini e di altri contenuti (file sharing). La spinta di tali fattori sta dunque producendo la ridefinizione dell’assetto dei media nonché la radicale trasformazione delle modalità di fruizione dei contenuti. In ambiente analogico il contenuto è sempre stato diffuso attraverso una specifica rete trasmissiva ovvero attraverso uno specifico supporto. In ambiente digitale, esso invece viaggia su differenti reti e la sua fruizione non è più legata ad un contesto spaziotemporale definito ex ante in base alle caratteristiche dell’offerta, ma viene sempre più deciso ex post in base alle specifiche esigenze della domanda. In estrema sintesi, la rivoluzione digitale ha avviato un processo di convergenza tra i media il cui punto di arrivo può essere individuato nel paradigma “anywhere, anytime and on any device”. In questo contesto, cambia radicalmente il ruolo dello stesso utente/consumatore, che nella nuova realtà diventa parte attiva della catena del valore. Nel mondo dei contenuti tradizionali, la catena del valore collocava il consumatore alla fine del processo. Nel nuovo contesto digitale, il consumatore non è più un soggetto passivo della catena, ma diviene un intrattenitore attivo, un “prosumer”, ovvero un produttore-consumatore. Mentre nell’ambiente analogico l’attività di organizzazione di contenuti era un’attività tipicamente svolta dall’ editore, nel nuovo contesto digitale il consumatore, componendo i contenuti secondo le pro- 12 prie esigenze o creandoli direttamente, diventa egli stesso attore del processo di erogazione del servizio. L’industria dei media sta sempre di più passando da una fase di orientamento al prodotto ad una fase di orientamento al cliente. 2. se dunque, in linea generale, questi sono i fattori di cambiamento che stanno attraversando l’intero mondo dei media, con specifico riferimento al settore radiotelevisivo, l’innovazione tecnologica e la rivoluzione digitale hanno innescato processi di innovazione non meno penetranti ed incisivi. La digitalizzazione delle reti ha prodotto un aumento notevole della varietà e della disponibilità dei contenuti, sia dal lato dell’offerta (es. offerte multicanale, pay-tv, ) che dal lato della domanda (possibilità di time shifting, personalizzazione del palinsesto). Le possibilità di compressione del segnale e la sua codifica numerica, hanno infatti ridotto i problemi di scarsità presenti nell’offerta audiovisiva analogica contribuendo alla moltiplicazione e alla differenziazione dei prodotti, anche in chiave distributiva. ad un’offerta generalista tipica del broadcasting tradizionale, si stanno affiancando nuove e più avanzate modalità di consumo dei contenuti (canali tematici, canali semigeneralisti), che contribuiscono a trasformare la comunicazione audiovisiva da un’offerta generalista e lineare, in una non lineare e personalizzata. Nel vecchio mondo analogico, il palinsesto coincideva con l’organizzazione di una sequenza di trasmissioni televisive proposte al medesimo orario, predisposta dal fornitore di contenuti per un certo periodo (un giorno, una setti- n. 4/2010 P mana, un mese) con lo scopo di fidelizzare il telespettatore. Oggi, diversamente, le nuove e maggiori possibilità di distribuzione dei contenuti audiovisivi hanno svincolato l’idea di televisione dal concetto di canale e dalla temporalità rigida del palinsesto. Nel nuovo ambiente digitale, al palinsesto generalista della televisione tradizionale si va affiancando il palinsesto “personalizzato”, organizzato e gestito direttamente dagli utenti. In sintesi la moltiplicazione dei canali e l’offerta sempre più ampia, diversificata e personalizzata, stanno notevolmente accrescendo le opportunità di accesso ai contenuti audiovisivi da parte degli utenti, trasformando in questo modo la struttura complessiva del mercato e dell’offerta televisiva, che oggi è sempre più multi-canale e multi-piattaforma. a seguito della digitalizzazione, la televisione si è moltiplicata, uscendo in alcuni casi dal televisore per collocarsi su altri media. sotto questo profilo, sul piano scientifico, sono state elaborate aggregazioni concettuali delle piattaforme trasmissive, giungendo a definire e distinguere tre nuove macro-accezioni di televisione1: la Sofa-Tv, che include tutte le televisioni fruite tipicamente tramite lo schermo televisivo tradizionale, opportunamente dotato di una “connessione” digitale (tv satellitare, digitale terrestre e televisione su protocollo internet); la Desktop-Tv, che include tutti i canali video fruibili tramite Web (e Internet n. 4/2010 R O F E S S I O N I più in generale), per mezzo del computer; la Hand-Tv, che include le offerte tv e video disponibili sulle due piattaforme Mobile, quella basata su reti Dvb-h e quella basata sulle Reti cellulari. Con la nuova tv digitale si determinano, altresì, scomposizioni e aggregazioni di competenze e responsabilità. se nel sistema analogico l’emittente assolveva alla duplice funzione di editore e operatore di rete, cioè di colui che componeva i palinsesti e li trasmetteva, l’evoluzione del servizio televisivo ha delineato un’architettura dell’offerta più complessa rispetto al passato. L’altro importante fattore di cambiamento, infatti, prodotto dalla rivoluzione digitale sul mondo della televisione, è il superamento dell’integrazione verticale delle imprese televisive che conduce ad una sempre più marcata distinzione dei ruoli tra i vari componenti della catena del valore. Già nel 2001, sul piano normativo, con la delibera n.435 dell’agcom 2, si era separata la filiera della televisione digitale terrestre in tre distinte figure: l’operatore di rete, il fornitore di servizi ed il fornitore di contenuti. Oggi, accanto a questi attori si affiancano e si sovrappongono nuovi player come, ad esempio, la figura dell’aggregatore, di contenuti o di canali, ovvero un soggetto che aggrega i contenuti audiovisivi propri e/o di terzi, offrendoli direttamente, all’utente finale o, a livello wholesale ad altri fornitori. In conclusione, nel contesto digitale, l’industria televisiva ed in generale 13 Le Tv Digitali fra crescita, sperimentazione e cambiamento, Osservatorio New tv, scool of Management - Politecnico di Milano, 2008. 1 2 Delibera 435/01 /CONS del 14 novembre 2001, recante Approvazione del regolamento relativo alla radiodiffusione terrestre in tecnica digitale, in Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 284 del 06 dicembre 2001. DESK P R O F E S S I O N I quella dei contenuti, sta cambiando radicalmente. L’attuale assetto del mercato si presenta in costante evoluzione, e regista una crescente concorrenza sul fronte della distribuzione. La competizione multi piattaforma rappresenta, infatti, un’opportunità per gli operatori del settore per accrescere e diversificare i flussi di ricavi, per raggiungere audience più vaste in differenti momenti della giornata nonché per ampliare la propria offerta al fine di rendere più sostenibile il proprio modello di business. Comunicazione della Commissione relativa all’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato al Servizio pubblico radiotelevisivo (2009/C 257/01), in Gazzette Ufficiale dell’Unione europea del 27 ottobre 2009. 3 DESK 3. Naturalmente questo contesto di forte cambiamento dello scenario radiotelevisivo sta investendo anche il servizio pubblico radiotelevisivo. si rende pertanto necessaria una riflessione sull’azione e sull’evoluzione che lo stesso deve avere nel nuovo ambiente digitale, al fine di continuare ad assolvere il proprio mandato istituzinale. Non bisogna dimenticare infatti, che il servizio pubblico radiotelevisivo, anche secondo i più recenti indirizzi comunitari espressi nella nuova raccomandazione sugli aiuti di stato3, pur avendo un’evidente importanza economica non è paragonabile a un servizio pubblico di un qualunque altro settore economico. Non vi è, infatti, altro servizio che allo stesso tempo abbia accesso a una così ampia fascia della popolazione, fornisca tante informazioni e contenuti e, in tal modo, raggiunga e influenzi i singoli individui e l’opinione pubblica. In questo senso, per anni, l’offerta generalista del servizio pubblico ha rappresentato lo strumento culturale d’elezione della società, in virtù del potere unificante conferitole dall’essere veicolo di visioni del mondo 14 condivise dalla comunità del pubblico nazionale. Con la tv la cultura di massa è stata fattore di omogeneità tra classi sociali e generazioni, assurgendo a fattore di condivisione e di scambio comunicativo. Oggi, invece, la moltiplicazione e la diversificazione degli ambienti mediali sta favorendo, sempre di più, la perdita di rilevanza del paradigma della cultura di massa mettendo in crisi lo stesso concetto di cultura. In questo panorama di grandi mutamenti, pertanto, i valori del servizio pubblico conservano la loro importanza: la RaI deve necessariamente mantenere ed accrescere il proprio ruolo di garante del pluralismo informativo e culturale. Pertanto le relative scelte strategiche, su come affrontare la nuova realtà digitale, non possono essere dominate ed orientate esclusivamente da logiche di mercato. ad esempio, è facile ipotizzare che la presenza di un contesto competitivo così variegato ed articolato farà sorgere il problema di come costruire un’offerta di contenuti qualitativamente significativa e di come finanziarla. Infatti il processo di frammentazione del pubblico, determinato dalla moltiplicazione dei canali, comporta fisiologicamente una diminuzione degli ascolti e quindi della pubblicità come fonte di finanziamento. Pertanto il rischio concreto è che gli operatori commerciali, in una pura logica di mercato, forniscano i contenuti più attrattivi in termini di qualità soltanto attraverso offerte a pagamento, emarginando così una larga fetta della popolazione che per ragioni legate a fattori di reddito non potrà accedere alla fruizione di degli stessi. n. 4/2010 P In una logica di servizio pubblico radiotelevisivo, invece, l’offerta non deve essere condizionata dalla esclusiva rincorsa dell’audience e del profitto, ma deve indirizzarsi a tutti i cittadini in modo articolato e diversificato sia nei contenuti sia nelle modalità di distribuzione. In questo senso un’indicazione forte e precisa è stata data dall’autorità per le Garanzie delle comunicazioni con l’emanazione delle linee-guida sul contenuto degli ulteriori obblighi del servizio pubblico radiotelevisivo4, sulla base delle quali dovrà essere adottato il nuovo contratto di servizio 20102012. In particolare, sul presupposto che il nuovo contratto di servizio è chiamato ad assolvere al compito di traghettare il servizio pubblico generale radiotelevisivo dal sistema analogico al sistema multicanale digitale, le linee guida dell’autorità hanno fissato una serie di obiettivi il cui raggiungimento appare strategico ai fini della gestione della fase di passaggio al digitale e dell’adeguato posizionamento della televisione di servizio pubblico nel rinnovato sistema mediale. Nello specifico, sono stati individuati nove compiti prioritari del servizio pubblico: fornire ai cittadini una programmazione equilibrata e di qualità; Rappresentare l’Italia in tutte le sue articolazioni territoriali, sociali e culturali; Promuovere l’educazione e l’attitudine mentale all’apprendimento e alla valutazione; stimolare l’interesse per la cultura e la creatività, anche valorizzando il patrimonio artistico nazionale; Garantire la fruizione gratuita n. 4/2010 R O F E S S I O N I dei contenuti di qualità; Promuovere la conoscenza dell’Italia nel mondo e una non superficiale conoscenza del contesto internazionale in Italia; Promuovere la diffusione dei principi costituzionali e la consapevolezza dei diritti di cittadinanza e la crescita del senso di appartenenza dei cittadini italiani all’Unione europea; Rispecchiare la diversità culturale e multietnica nell’ottica dell’integrazione e della coesione sociale; Estendere al maggior numero di cittadini i benefici delle nuove tecnologie, in un contesto innovativo e concorrenziale Particolare attenzione è stata posta in merito a due obiettivi fondamentali: la qualità della programmazione e l’innovazione tecnologica. Con riferimento al primo è stato imposto l’obiettivo di un innalzamento degli standard qualitativi delle trasmissioni della RaI chiedendole di assicurare un’offerta complessiva gratuita che si rivolga alla società nel suo insieme, in considerazione anche delle differenze anagrafiche, culturali, sociali, regionali ed etniche della popolazione, e nel rispetto dei diritti della dignità delle persone e dello spirito di coesione sociale. a tal fine il servizio pubblico dovrà: assicurare un’offerta quotidiana articolata e diversificata per rete/canale, tale da garantire opzioni di scelta delle diverse trasmissioni finanziate dal canone su ogni rete/canale in ogni fascia oraria; rafforzare il proprio marchio nel contesto nazionale attraverso una più evidente caratterizzazione qualitativa del- 15 Delibera n.614/ 09/CONs del 12 novembre 2009, recante Ap-provazione delle lineeguida sul contenuto degli ulteriori obblighi del servizio pubblico generale radiotelevisivo ai sensi dell’articolo 17, comma 4, della legge 3 maggio 2004, n. 112 e dell’articolo 45, comma 4, del testo unico della radiotelevisione, in Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 276 del 26 novembre 2009. 4 DESK P DESK R O F E S S I O N I l’offerta di servizio pubblico. L’appiattimento dei contenuti televisivi causato dalla rincorsa all’audience, ha infatti portato negli anni alla perdita di alcuni generi tipici del servizio pubblico radiotelevisivo e a un generale appiattimento delle trasmissioni. Per invertire tale tendenza si è chiesto alla concessionaria di favorire la trasmissione di programmi che per lo più non rientrano nell’offerta delle emittenti commerciali, anche attraverso la predisposizione di un piano strategico per il recupero dei generi culturali di “nicchia”, compresi il teatro, la musica sinfonica, la lirica, nonché di connotare i generi di più largo consumo, quali fiction ed intrattenimento, con caratteri di qualità, innovatività e originalità. sempre in questa prospettiva, sul presupposto che la diffusione di un’analisi di qualità dei programmi, con finalità ben distinte dalla rilevazione degli indici di ascolto, contribuisce a rendere più evidente la connotazione del servizio pubblico radiotelevisivo e a far sì che la relativa programmazione corrisponda sempre più alle attese degli abbonati, è stato previsto che la RaI deve necessariamente realizzare un sistema di valutazione della qualità dell’offerta basato su una duplice attività di monitoraggio (una relativa alla “corporate reputation” dell’azienda e una relativa alla qualità dei singoli programmi). Il sistema di valutazione dovrà essere sottoposto alla vigilanza di un Comitato composto da esperti particolarmente qualificati nella materia, scelti dall’autorità per le garanzie nelle comunicazioni d’intesa con il Ministero e nominati dalla RaI, ed i risultati delle rilevazioni periodiche dovranno 16 essere rese pubbliche dall’azienda nelle forme stabilite dal contratto di servizio. Infine, sotto il profilo dell’innovazione tecnologica le linee guida dell’agcom prevedono che il servizio pubblico ha l’obbligo di farsi promotore dei benefici prodotti dalle tecnologie emergenti, accelerando attraverso la comunicazione l’educazione informatica necessaria per la loro fruizione. La RaI dovrà, pertanto, in linea con le strategie già adottate dalle migliori televisioni pubbliche europee, arricchire la propria offerta anche attraverso la sperimentazione di nuovi formati (alta definizione, DvBt-2) nonché ampliare l’utilizzo di Internet, attraverso la realizzazione di un’apposita piattaforma dedicata alla Web tv. In conclusione, tenuto conto delle specificità che lo caratterizzano, è evidente che per il servizio pubblico l’approccio alla nuova realtà digitale deve essere diverso da quello proprio dell’emittenza privata commerciale. Ciò che è importante, come sottolineato dall’agcom nelle sue linee guida, è che per la RaI la nuova realtà del digitale deve rappresentare, da subito, un’occasione per rafforzare il proprio ruolo e la propria identità. Pertanto, per rispondere positivamente alla domanda se sia ancora necessario un servizio pubblico radiotelevisivo e se questo debba essere finanziato dallo stato, è necessario che i processi di trasformazione siano cavalcati con dinamismo nella prospettiva di realizzare un’offerta orientata al servizio della collettività e del progresso civile. Antonio Martusciello n. 4/2010 P R O F E S S I O N I AI MARGINI DI UN FATTO DI CRONACA NESSUNO AUTORIZZA I GIORNALISTI A RICAMARE SULLA PELLE DEI LETTORI ANDREA MELODIA gni volta che l’Italia viene colpita da un fatto di cronaca a tinte forti, che inevitabilmente appassiona l’opinione pubblica e occupa per settimane le prime pagine dei giornali e le scalette televisive, viene il momento di interrogarsi sul rispetto da parte dei giornalisti della loro deontologia e della loro etica. anche partendo da una visione nell’insieme molto critica sulla qualità dei prodotti giornalistici italiani, soprattutto quelli televisivi, occorre partire dal presupposto che l’informazione è una cosa troppo importante per dare giudizi casuali e non documentati sui singoli articoli o sulle singole trasmissioni. tuttavia alcune considerazioni generali sono possibili e forse utili. anzitutto bisognerebbe re-imparare a raccontare la cronaca senza aggettivi. senza creare mostri. Oggi i personaggi della cronaca vengono trattati dai giornalisti come fossero personaggi di una fiction, e i loro sentimenti, la loro immagine, a volte anche le loro azioni vengono manipolati, più o meno consapevolmente. Ma non è così, non sono personaggi, sono persone vere, che andrebbero rispettate e “amate”, non giustificate ma “capite” anche quando commettono colpe terribili. sembra che i giornalisti soffrano di complessi di inferiorità nei confronti degli autori di fiction. O n. 4/2010 E’ mai possibile che quello che fino a ieri era il mostro di avetrana 24 ore dopo diventi un poveraccio schiavo della moglie e della famiglia? E’ evidente che entrambe le figure sono state costruite senza elementi probatori, forzando l’interpretazione di dubbi o di ipotesi che sciaguratamente gli inquirenti si potrebbero essere lasciati sfuggire, o peggio ricamando sulle fantasie descrittive di altri colleghi. Ma nessuno autorizza i giornalisti a inventare o a ricamare sulla pelle degli altri. Questo mi pare peggio della linea diretta con la madre della povera sarah, della quale è stata accusata federica sciarelli in Chi l’ha visto? Poi c’è il problema specifico della tv, che più di ogni altro media è portata a mescolare il linguaggio della cronaca e quello della finzione. sappiamo che soprattutto quando la televisione è in diretta il suo racconto si confonde con la realtà, si sovrappone ad essa e tende a diventare esso stesso realtà. Per questo la tv richiede un surplus di responsabilità e di competenze. Intendiamoci: è inevitabile che i giornalisti ricorrano al linguaggio della fiction nel raccontare certe vicende. Ma c’è fiction e fiction. C’è il romanzo popolare a tinte forti nel quale si dà libero sfogo alla fantasia seguendo peraltro il facile percorso di estremizzare sentimenti e comportamenti. 17 Andrea Melodia, giornalista, Presidente nazionale UCSI, docente di Teoria e tecniche del linguaggio radiotelevisivo, Università Lumsa, Roma DESK P Quello che scarseggia è la coscienza delle intenzioni di ciò che viene comunicato e dei pericoli per le persone singole e per la società. DESK R O F E S S I O N I Ma c’è anche il linguaggio più freddo e razionale nel quale il racconto della drammaticità degli eventi e della tragicità dei personaggi sono affidati al resoconto puntuale, percorso dalla pietà e dal rispetto. Ci sono anche cause strutturali nelle situazioni di disagio. Per esempio, credo che siano assolutamente eccessivi l’attenzione, l’autonomia e il carico di responsabilità che oggi si riversano sui conduttori televisivi. Loro sono i protagonisti, mettono la loro faccia: è inevitabile che siano un po’ malati di divismo. Ma le responsabilità sono invisibili dietro di loro. sono il direttore di rete o di testata e la loro linea gerarchica, non il conduttore, che devono interrompere un programma quando è ora di farlo. E naturalmente dovrebbero essere i telegiornali a dare le notizie, non i talk show; naturalmente a darle quando ci sono, e non a ricamarci sopra a loro volta quasi dei reality show di cui gli stessi giornalisti diventano protagonisti. E’ gravissimo che il servizio pubblico abbia lasciato montare l’autonomia dei conduttori al di fuori di qualsiasi controllo. vespa e santoro, solo per fare due nomi di diversa appartenenza, tengono in scacco l’azienda da troppo tempo. Hanno sostituito gli opposti estremismi con gli opposti moralismi. E’ inaccettabile, come è inaccettabile che sia i telegiornali sia i talk show dedichino alla cronaca nera, al gossip e alle mode più spazio che alle notizie vere. E’ da notare anche che Chi l’ha visto, trasmissione che va in onda da ben 23 anni, si può considerare un esempio ormai antico di quella tv verità dalla quale discendono, nel bene e nel male, i reality dei giorni nostri, di quella tv che più che raccontare la realtà preferisce confondersi con essa. anche con intenzioni lodevoli, ma ne abbiamo davvero bisogno? C’è un modo per tornare indietro? francamente ne dubito, dunque 18 dobbiamo confrontarci con questo relativamente nuovo modo di essere della tv e far maturare le pratiche del suo controllo e della sua deontologia. siamo dunque ancora di fronte a un problema essenzialmente etico; tema questo che costituisce il principale impegno dell’UCsI. Dunque l’infoetica, come ha ricordato recentemente anche Benedetto XvI, o forse più in generale la mediaetica perché ormai l’informazione è troppo legata alle altre forme e alle altre intenzioni comunicative perché la si possa disgiungere, resta la strada maestra per fare un lavoro educativo che deve coinvolgere i giornalisti, i comunicatori in genere e che ormai va esteso a tutto il pubblico, inteso come naturale recettore ma anche come produttore di contenuti, perché tutti siamo destinati a diventare potenziali comunicatori attraverso le nuove tecnologie. Dalla fine degli anni ’50 molte esperienze hanno operato, poco ascoltate, sulla educazione ai media, insistendo sulla conoscenza dei linguaggi. Oggi mi pare che la conoscenza dei linguaggi viaggi abbastanza autonomamente tra i giovani; quello che scarseggia è la coscienza delle intenzioni di ciò che viene comunicato e dei pericoli per le persone singole e per la società. E di questo la scuola dovrebbe occuparsi. Non per fare del moralismo: credo davvero che oggi la qualità di una società sia proporzionale alla qualità della informazione che circola in quella società e in generale a quella dei media che quella società produce. anche la politica è presa in questo circuito perché oggi la politica si nutre dei media. In Italia non c’è una tradizione forte di autonomia dei media dalla politica, ma questa autonomia va costruita. se è vero che media, politica e società sono stretta- n. 4/2010 P mente connessi, credo che qualsiasi intervento per migliorarne la società e la politica non possa partire altro che dai media e dalle persone che li fanno, oltre che dalla scuola. Questo è il quadro ideale nel quale si muove l’UCsI, che peraltro dispone di strumenti molto limitati. Ci battiamo per una professione consapevole, competente e responsabile che sia in grado di contrastare un mondo giornalistico autoreferenziale ed asservito ai poteri forti. Quando sentiamo definire i giornalisti sciacalli o avvoltoi, come è avvenuto in questi giorni, sappiamo che ci sono esagerazioni ma anche che troppi giornalisti e troppi giornali non hanno rispetto per il proprio mestiere. Il Manifesto per un’etica dell’informazione già pubblicato da Desk, che porta la firma di adriano fabris, docente di Etica della comunicazione e filosofia morale all’Università di Pisa, è diretto a tutti coloro che appartengono al sistema dei media e che sono collegati in qualunque forma ad una attività di informazione (comunicatori, pubblicitari, giornalisti, editori, manager editoriali, mondo della politica e delle istituzioni). Ricordo che il Manifesto presuppone ed accetta i diversi codici di autoregolamentazione della professione, ma punta ad offrire indicazioni ulteriori di ordine etico. si parte dalla affermazione che l’informazione non è spettacolo e si continua dicendo che il giornalista deve sempre essere in grado di giustificare i criteri delle sue scelte, senza trincerarsi per farlo dietro alle proprie opinioni. Bisogna anche aggiungere che il servizio pubblico radiotelevisivo ha le responsabilità maggiori riguardo a questa problematica. Molti dati, cito l’ultima indagine sui media che il Censis realizza con la collaborazione dell’UCsI, dimostrano chiaramente che la televisione resta al centro di tutti i processi informativi e n. 4/2010 R O F E S S I O N I comunicativi e che il servizio pubblico, la RaI, è chiamata a svolgere un ruolo di guida, di riferimento qualitativo, di bussola in mezzo agli altri media. Per questo i cittadini pagano il servizio pubblico, e per questo dovrebbero continuare a pagarlo; ma certo ottenendo fino in fondo che questa missione venga svolta, cosa sulla quale oggi è lecito dubitare. tanto è vero che altri canali tendono legittimamente a sostituirla: penso a tv2000, la tv della chiesa italiana, e in parte anche a canali come La7 o come il tG di sky. Credo proprio che oggi occorra ripensare alla esigenza di servizio pubblico quasi prescindendo dalla RaI, in un’ottica di sistema, tanto peggio per lei se la RaI non riesce o non può liberarsi dalla sua crisi. Dobbiamo conservare qualche speranza che ci riesca alla fine. Ricordiamo che anche in questa vicenda i media cattolici hanno dato una buona prova di sé. Dobbiamo allora chiederci perché non riescano a dare una impronta a tutto il sistema della comunicazione, a segnarne e accompagnarne la crescita e il miglioramento. Certo, in una società secolarizzata questo è diventato difficile. Per questo i cattolici, credo, non devono accontentarsi dei “loro” media ma devono misurarsi, sia come lettori sia come giornalisti e comunicatori, con i media “secolarizzati”. Io ricordo quando in RaI l’opinione dei cattolici aveva un peso. Oggi credo che non ne abbia quasi più. Quella del giornalista è una professione che si trasforma enormemente. forse anche da un punto di vista teorico è abbastanza sottovalutata la trasformazione che avviene nel giornalismo quando è chiamato a operare in diretta, come avviene in tv, nella radio, ma anche in internet e nelle agenzie di stampa. La diretta comporta concorrenza spietata su chi arriva primo e difficoltà oggettiva a controllare le 19 Quando sentiamo definire i giornalisti sciacalli o avvoltoi, come è avvenuto in questi giorni, sappiamo che ci sono esagerazioni ma anche che troppi giornalisti e troppi giornali non hanno rispetto per il proprio mestiere. DESK P Non dobbiamo strapparci le vesti se su internet troviamo infinite sciocchezze, perché è anche piena di informazioni professionali e corrette. Tutto sta nel saper scegliere. DESK R O F E S S I O N I fonti e a ragionare sugli effetti. Occorre maturare pratiche e forse anche norme cogenti su questo dilemma. C’è anche il problema della formazione e del reclutamento. In Italia c’è un Ordine professionale che vigila su questi aspetti, che deve intervenire in modo significativo sia sul controllo dei percorsi formativi e di accesso alla professione (abbiamo ancora troppi giornalisti figli di giornalisti, casta autoreferenziale) sia intervenendo con sanzioni sul mancato rispetto delle norme deontologiche. Ci sono ancora troppi ostacoli formali che rallentano gli interventi dell’Ordine, e la politica purtroppo non ha favorito la discussione della legge di riforma pronta da tempo. Però c’è anche la consapevolezza che la libertà di comunicare è un diritto insopprimibile delle persone e non solo dei giornalisti, e che internet dà praticamente a tutti la possibilità di comunicare socialmente. Non dobbiamo strapparci le vesti se su internet troviamo infinite sciocchezze, perché è anche piena di informazioni professionali e corrette. tutto sta nel saper scegliere. Né d’altra parte possiamo dimenticare le responsabilità dei lettori, degli spettatori, cioè di tutti. E’ un corto circuito quello tra società, opinione pubblica, politica e media. se la gente cerca buona informazione la trova, se la cerca cattiva trova anche quella. Ma non bisogna scoraggiarsi perché le trasformazioni, i miglioramenti richiedono tempo, occorre vincere l’inerzia sociale. Bisogna definire gli strumenti e gli obbiettivi per contrastare l’inerzia e ottenere il miglioramento. attenzione ai media nella scuola, formazione degli adulti in generale e formazione permanente dei professionisti della comunicazione sembrano le strade più praticabili. Certo più facile che educare i politici! Ma bisogna 20 intervenire anche nella gestione dei media, a cominciare dai grandi media, quelli che fanno opinione, e da quelli che essendo pagati con i soldi di tutti devono avere l’obbligo di fare una buona comunicazione. Le attività associative sono importanti in questa battaglia. vorrei citare oltre all’UCsI almeno l’aIaRt, ma mi rendo conto che dovrei fare un lungo elenco tra quelle iscritte al Copercom, il Coordinamento delle associazioni per la comunicazione, attivo nel mondo cattolico; e vorrei aggiungere anche sigle non propriamente interne al mondo cattolico come Libera informazione… Nel mondo anglosassone, dove nel complesso l’informazione è un poco migliore che da noi, le associazioni hanno un ruolo sociale molto rilevante e vengono ascoltate anche dalla politica. Partecipare a un programma associativo spesso serve a non sentirsi soli nelle battaglie e anche a chiarirsi le idee. Poi, naturalmente, i giornalisti devono cercare di essere fonte primaria delle informazioni, o almeno di confrontarle tra più fonti e di non lasciarsi distruggere dall’ansia di arrivare per primi. Occorrono cultura personale, maturità, equilibrio, esperienza, dedizione, ansia di verità… Purtroppo non basta essere fermi nelle proprie convinzioni etiche, bisogna che queste sopravvivano forti nel confronto continuo con le opinioni degli altri. altrimenti rischiamo di comunicare solo per noi stessi, di chiuderci nella torre d’avorio dell’autoreferenzialità, che è nemica della carità. Perché credo, in ultima analisi, che comunicare debba essere un modo di esercitare la carità, quella carità che come dice san Paolo nella lettera ai Corinzi, “si compiace della verità”. Andrea Melodia n. 4/2010 P UN ANNO DI UCSI: PIÙ PRESENZA, PIÙ CREDIBILITÀ, I PIÙ FORZA DI OPINIONE FRANCO MARESCA l cinquantenario dell’Ucsi è coinciso, da parte dell’intera Unione, con un rilancio dell’impegno nel paese, con una crescita del consenso e con un maggiore peso di credibilità e di opinione nel mondo della comunicazione. Da testimoni Digitali promosso dalla Cei al congresso mondiale della stampa cattolica in vaticano organizzato dal Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, dalle battaglie del sindacato e dell’ordine dei giornalisti sulla riforma dell’editoria, sulle intercettazioni, sulle agevolazioni postali, sul ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo, sulla lotta alla corruzione, l’Ucsi ha dato il suo deciso contributo con interventi del presidente andrea Melodia, con comunicati del consiglio nazionale e della giunta esecutiva che, come non mai, sono stati ripresi degli organi di informazione rafforzando una presenza significativa dell’Unione nel mondo della professione. se per testimoni Digitali l’Ucsi ha sostenuto che “ci sono luci ed ombre nei nuovi media con opportunità e rischi” sulle intercettazioni (“libertà di informazione e credibilità dei media in pericolo”) il sito dell’Ucsi (www.ucsi.it) ha aderito alla giornata del silenzio indetta dalla fnsi che, per la prima volta, veniva allargato anche al Web. Il “sollecito intervento per le tariffe postali agevolate che penalizzano in gran parte la piccola editoria” e’ stato chiesto dal consiglio nazionale dell’Unione. Il provvedimento, come è noto, è stato poi approvato dal governo. n. 4/2010 R O F E S S I O N I anche sulla Rai è stata presa posizione sia in occasione del congresso dell’Usigrai (“unità del sindacato – ha affermato il presidente dell’Unione – e rifiuto della lottizzazione”) sia in un convegno realizzato con la rivista “La Civiltà Cattolica” sul futuro del servizio pubblico televisivo inteso come cartina di tornasole della qualità democratica del paese (interventi di Boffo, Iseppi e Melodia). Per un maggiore impegno contro le mafie e la corruzione, l’Ucsi ha aderito entrando anche nel consiglio di amministrazione con il presidente alla fondazione Libera Informazione di Don Ciotti. Per quanto riguarda la riforma dell’Editoria e della Professione l’Ucsi è stata ascoltata dalla commissione parlamentare della camera dei deputati. In quell’occasione è stato ribadito che l’Unione intende favorire le normative che accompagnano in modo equilibrato e socialmente utile la diffusione dell’informazione professionalmente gestita e le imprese editoriali che si impegnano nella qualità del prodotto. Per tutto l’anno non sono mancate le iniziative per il Manifesto per un’etica dell’informazione (presentato in occasione delle celebrazioni dei 50 anni dell’Ucsi) che fa un richiamo ad una etica della responsabilità che consente di rendere più concreto e più facilmente realizzabile ciò che è previsto dalla deontologia. Nel campo dell’editoria l’Ucsi è anzitutto impegnata nella pubblicazione di questa rivista trimestrale. Negli ultimi mesi è stata anche intensificata una campagna per la raccolta pubblicitaria che è in un periodo di “stanca”. Per la collana I Libri di Desk dopo “1973: Napoli ai tempi del colera” è uscito il volume terremoto e trent’anni di cricche”, un’inchiesta di Paolo Mieli con gli allievi della scuola di Giornalismo dell’Università suor Orsola Benincasa. In 21 Franco Marecsa, giornalista, Segretario nazionale Ucsi DESK P DESK R O F E S S I O N I coedizione con RaiEri è, invece, uscito il libro di Emilio Rossi “E’ tutto per stasera. Quando la politica entra nei tg” con la prefazione di Emmanuele Milano e la presentazione di andrea Melodia. E ancora “Yes, credibility. La precaria credibilità del sistema dei media”, a cura di Paolo scandaletti e Michele sorice. tutti i libri e la rivista si trovano in libreria. Desk è anche inviata ai soci dell’Unione e ad oltre duemila esperti della comunicazione, università ed istituzioni. sul piano dell’informazione da un anno è attivo il nuovo sito dell’Ucsi che e’ uno strumento di presenza e di riflessione nelle sue tre sezioni: professione, istituzioni e formazione. sono presenti anche le iniziative delle regioni, le attivita’ dell’Unione, i documenti. Il sito ha avuto un crescendo continuo raggiungendo le duecentomila pagine visionate, un segno evidente dell’utilità del servizio che, in tempo reale e quotidianamente, informa i colleghi sull’intero mondo dell’informazione toccando Odg, fnsi, Unione Europea, Parlamento, vaticano, Cei, mass media cattolici e non, università, organismi istituzionali italiani ed internazionali, agenzie di stampa, opinione di giornalisti soprattutto negli editoriali periodici. Per quanto riguarda la formazione e’ stata varata dal consiglio nazionale l’alta scuola di formazione che si terrà nel mese di maggio 2011 a fiuggi. I destinatari della scuola sono i quadri dell’unione, cioè i consiglieri giovani dei direttivi regionali, i soci e gli studenti dei master di giornalismo riconosciuti dall’Odg. Il programma prevede, tra l’altro, la storia dell’Ucsi, finalità, i messaggi dei congressi, il ruolo della stampa italiana nella società civile e nella chiesa. Il giornalismo europeo, l’informazione religiosa in Italia, l’editoria stampata, televisiva, on line; i comunicatori pubblici e privati. 22 E’ partita, inoltre, la ricerca Ucsi-Cariplo (che la finanzia) sul ruolo dei comunicatori, la loro credibilità e i meccanismi di accesso alla professione. La ricerca, diretta da andrea Melodia e Paolo scandaletti, sarà pubblicata in un libro e presentata nel 2011 in un convegno a Milano. a proposito di ricerca: anche per il 2011 sarà presentata, come di tradizione, la nuova inchiesta Ucsi/Censis che riprende ad avere la collaborazione (con un piccolo finanziamento) dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti. Per l’attività dell’Unione il 2010 e’ stato caratterizzato dalla ricostituzione dell’Ucsi veneto ed Umbria, dalle assemblee dell’Ucsi sardegna, Lazio e Marche. Oltre ai tradizionali appuntamenti in tutte le regioni per la festa di san francesco di sales, patrono dell’Unione, si sono svolti complessivamente 37 convegni regionali sui temi della professione e della comunicazione in genere, 2 mostre, 3 premi letterari, quattro sedute di giunta esecutiva, tre sedute del consiglio nazionale che, in particolare, ha approvato la bozza del nuovo statuto e regolamento (che non stravolge il passato, ma adegua il nuovo alle finalità storiche) che sarà presentato per l’approvazione definitiva al prossimo Congresso. Il consiglio ha anche rilanciato una campagna soci per il 2011. Il consulente Ecclesiatico P. francesco Occhetta s.j. (neo giornalista professionista), scrittore de “La Civiltà Cattolica”, sia sul sito sia sulla News Letter (che viene inviata ogni mese ad oltre 2500 utenti) ha avviato le riflessioni sul giornalista davanti alla propria coscienza. P. Occhetta ha anche contattato i consulenti regionali con i quali terrà un incontro collegiale in primavera. Franco Maresca n. 4/2010 P R O F E S S I O N I PIO XII IL PAPA DELLA RADIO FRANCESCA DI RUZZA uando Pio XII chiuse per sempre gli occhi il 9 ottobre 1958, il mondo intero era assolutamente convinto di aver perso un grande papa. Mezzo milione di persone si addensò per le vie nel momento in cui le sue spoglie vennero traslate dalla residenza estiva di Castel Gandolfo alla Basilica di san Giovanni in Laterano, e da lì a san Pietro. alcuni commentatori riferirono la loro impressione di trovarsi ad un antico trionfo o ai funerali di Giulio Cesare. Nei giorni seguenti, mentre la salma era esposta su un catafalco di legno nero, nella Basilica di san Pietro, i fedeli, sinceramente addolorati, rimanevano in fila per poter dare l’estremo saluto ad un personaggio che i romani onoravano come defensor civitatis e il resto del mondo come “Papa della pace” o Pastor angelicus. solo alla morte di Giovanni Paolo II, quasi mezzo secolo dopo, Roma avrebbe visto un corteo funebre altrettanto imponente, ma nel frattempo le comunicazioni erano diventate molto più facili. Eugenio Pacelli venne eletto Papa, col Q n. 4/2010 nome di Pio XII, il 1 marzo 1939, a seguito della morte di Pio XI, e visse in uno dei momenti più difficili e drammatici degli ultimi duemila anni. fin dall’inizio del suo Pontificato il santo Padre decise di utilizzare i mezzi di cui disponeva la comunicazione sociale, prediligendo tra tutti la radio, che proprio in quel periodo si era affermata come nuovo strumento tecnologico. In diciannove anni di Papato, Egli trasmise duecento radiomessaggi in lingua latina, francese, italiana, spagnola, inglese e tedesca e scrisse numerosissimi documenti tra Encicliche, Epistole, Bolle e Brevi. Ci troviamo, quindi, di fronte ad un uomo che ha cercato, con cautela e preoccupazione, di diffondere il più possibile parole di speranza e di pace, in un’epoca travagliata come quella del secondo conflitto mondiale. Papa Pacelli è stato il primo vicario di Roma a capire l’importanza della comunicazione e ad aprire al mondo le porte della santa sede, in un’epoca in cui i totalitarismi hanno limitato e impedito la circolazione delle notizie e del libero pensiero. Uno dei radiomessaggi più importanti fu quello rivolto ai governanti e ai popoli nell’imminente 23 Francesca Di Ruzza, giornalista, CTV, Centro Televisivo Vaticano DESK P La scelta del Pontefice di non rilasciare delle dichiarazioni pubbliche esplicite fu dettata dalla necessità di contenere il più possibile le rappresaglie dei nazisti contro la cittadinanza cattolica ed ebraica. DESK R O F E S S I O N I pericolo della guerra, in questo Pio XII disse: “Un’ora grave suona nuovamente per la grande famiglia umana (…) Oggi che la tensione degli spiriti sembra giunta a tal segno da far giudicare imminente lo scatenarsi del tremendo turbine della guerra, rivolgiamo con animo paterno un nuovo e più caldo appello ai governanti e ai popoli; perché con la forza della ragione e non con quella delle armi, intraprendano tentativi pacifici. (…) Nulla è perduto con la pace. tutto può esserlo con la guerra.” Non sempre, tuttavia, gli storici e l’opinione pubblica hanno considerato questo pontefice in un’accezione positiva e solo grazie a Giovanni Paolo II, che, nel 2003, ha consentito l’apertura dell’archivio segreto del vaticano riguardante la documentazione su Pio XII, c’è stata una riabilitazione dell’operato e della figura di questo personaggio. Negli anni ’50 e ‘60, infatti, alcuni scrittori e sceneggiatori teatrali hanno diffuso un identikit di questo papa antisemita e nazifascista, creando così delle tesi e dei pareri negativi che si sono consolidati nei decenni successivi. L’accusa più grave che fu inflitta a Papa Pacelli, fu quella di avere taciuto sullo sterminio degli ebrei e di non essersi adoperato abbastanza per evitare l’Olocausto di questo popolo. In realtà, nel discorso radiofonico della vigilia di Natale del 1942, Pio XII invocò la pace e ricordò che migliaia di persone, a causa della loro nazionalità e stirpe, erano destinate a morire per volontà del nemico. tra le parole più significative pronunciate in questo radiomessaggio dal santo Padre, egli disse: “Il motto Misereor super turbam è 24 per noi una consegna sacra, inviolabile, valida e impellente in tutti i tempi e in tutte le situazioni umane, com’era la divisa di Gesù; e la Chiesa rinnegherebbe se stessa, cessando di essere madre, se si rendesse sorda al grido angoscioso e filiale, che tutte le classi dell’umanità fanno arrivare al suo orecchio. (…) La Chiesa non può rinunciare a proclamare davanti ai suoi figli e davanti all’universo intero le inconcusse fondamentali norme, preservandole da ogni travolgimento, caligine, inquinamento, falsa interpretazione ed errore; tanto più che dalla loro osservanza dipende la fermezza finale di qualsiasi ordine nazionale e internazionale. (…) Ci sentiamo legati da immensa brama di portare sollievo e soccorso a tutti i popoli in qualsiasi modo sia in Nostro potere.” La scelta del Pontefice di non rilasciare delle dichiarazioni pubbliche esplicite fu dettata dalla necessità di contenere il più possibile le rappresaglie dei nazisti contro la cittadinanza cattolica ed ebraica, con la convinzione che, agendo in silenzio, sarebbe stato più facile aiutarli. Egli fece svolgere una preziosa opera di carità a favore degli ebrei e venne ringraziato personalmente da alcuni superstiti dei campi di concentramento, durante un’udienza speciale del 1945. La sua azione non si concluse, tuttavia, con la fine del conflitto, ma si intensificò ancora di più per poter ristabilire gli equilibri in un Europa completamente cambiata. Papa Pacelli si trovò di nuovo a dover combattere contro un altro totalitarismo: il comunismo, che Egli stesso sco- n. 4/2010 P municherà il 1 luglio 1949 e verso le cui ideologie pronuncerà diversi discorsi. E in linea con questo modo di agire, prenderà posizione anche riguardo alla comunicazione e al risvolto positivo che i mezzi tecnologici possono avere sul mondo cattolico. a tale proposito Pio XII scrisse, infatti, l’Enciclica “Miranda prorsus”e istituì la Pontificia Commissione per le comunicazioni, affidando a tale Ufficio, il compito di studiare la relazione tra mass media e sfera religiosa. scrive nell’Enciclica, a proposito degli obblighi dei radioascoltatori: “Il primo dovere pertanto del radioascoltatore è un'oculata scelta dei programmi. (...) Il secondo dovere del radioascoltatore è quello di far conoscere ai responsabili dei programmi i suoi legittimi desideri e le giuste obiezioni. Questo dovere risulta chiaramente dalla natura stessa della radio, che può facilmente creare una relazione a senso unico, da chi trasmette a chi ascolta. Gli ascoltatori devono collaborare alla formazione di un'illuminata opinione pubblica che permetta di esprimere, nei debiti modi, approvazioni, incoraggiamenti ed obiezioni, e di contribuire a che la radio, conformemente alla sua missione educativa, si metta "al servizio della verità, della moralità, della giustizia, dell'amore". Con la sua lungimiranza Papa Pacelli aprì la strada ad una nuova fase della Chiesa più moderna e più vicina ai fedeli, offrendo l’input ai suoi successori per altre tappe fondamentali di questa istituzione. alcune di queste furono: il Concilio vaticano II aperto da Giovanni XXIII e la caduta del comunismo, resa possibile grazie alla mediazione di Giovanni Paolo II. n. 4/2010 R O F E S S I O N I La figura di Pio XII troverà un giusto riconoscimento per la propria grandezza, quando verrà proclamato santo e sembra che ciò stia per concretizzarsi. E’ infatti a buon punto il processo di canonizzazione di questo Papa, voluto da Paolo vI nel 1965 e auspicato da Benedetto XvI oggi. L’odierno Pontefice ha decretato infatti, nel 2007, le virtù eroiche di Eugenio Pacelli durante la seconda guerra mondiale e ha detto di lui le seguenti parole: “Negli ultimi decenni molto è stato scritto e detto su Papa Pio XII che non corrisponde a verità (…). Quando ci si accosta senza pregiudizi ideologici alla nobile figura di questo Pontefice, oltre a essere colpiti dal suo alto profilo umano e spirituale, si rimane conquistati all’esemplarità della sua vita e dalla straordinaria ricchezza del suo insegnamento”. La verità storica ha contribuito a fare uscire dalle tenebre un personaggio tanto discusso come Pio XII e ci auguriamo che questa prevalga sempre sui pregiudizi che attanagliano spesso le epoche storiche. Francesca Di Ruzza 25 Gli ascoltatori devono collaborare alla formazione di un'illuminata opinione pubblica che permetta di esprimere e di contribuire a che la radio, conformemente alla sua missione educativa, si metta "al servizio della verità, della moralità, della giustizia, dell'amore". DESK S T O R I A , C U L T U R A C ONSUMER E R I C E R C A SERVICE E GLOBALIZZAZIONE L’IMPATTO SUI BRAND TRA RETI E SOCIAL MEDIA ADELE SAVARESE I Adele Savarese, dottoressa magistrale in Scienze della Comunicazione, Università Suor Orsola Benincasa Napoli DESK n. 4/2010 l termine globalizzazione è ormai entrato con forza nelle agende mediatiche e nei vocabolari del quotidiano. Il suo concetto è invece divenuto un’idea chiave non solo per le teorie e le pratiche di business, ma anche nei dibattiti accademici. Prima di affrontare il tema principale, e cioè le influenze che la globalizzazione e la sua logica reticolare hanno prodotto sui marchi globali e sulla loro gestione, è opportuno ricapitolare alcuni fondamenti basilari della globalization experience che ha investito le aziende multinazionali ed il loro posizionamento sul mercato. Gli argomenti della globalizzazione Il fenomeno della globalizzazione descrive la diffusione e la connettività di produzione, comunicazione e tecnologia attraverso il mondo, in maniera tale da coinvolgere ed intrecciare tra loro le attività economiche e culturali delle società. tale coinvolgimento è cresciuto nel tempo, raggiungendo oggi una portata senza precedenti grazie alla velocità delle comunicazioni e degli scambi, la complessità e la dimensione dei network ed i volumi di commercio, interazione e rischio che rendono la globalizzazione della postmodernità una forza specifica e peculiare. L’aumento delle interconnessioni economiche e culturali ha portato con sé alcuni profondi cambiamenti politici: nazioni più povere e “periferiche” sono divenute ancora più dipendenti dalle attività delle 26 economie “centrali”, come quella statunitense, dove tendono ad aggregarsi maggiormente capitali e competenze tecniche. vi è stato anche uno shift quasi osmotico di potere, dallo stato nazionale verso le imprese multinazionali. L’età del mercato postmoderno ha anche visto l’ascesa e la globalizzazione del brand, dal momento che le grandi imprese non solo operano in diversi mercati esteri, ma hanno anche sviluppato e commercializzato prodotti identici da Pechino a Los angeles. Marchi come Coca Cola, Nike, sony ed apple sono divenuti parte del tessuto quotidiano di vita di molti consumatori. a tal punto da rendere necessario, nel marketing, parlare di segmentazione intermercato: la possibilità per le imprese di creare dei segmenti di consumatori con bisogni e comportamenti d’acquisto affini seppur residenti in paesi diversi. Grazie alle nuove tecnologie di connessione e comunicazione (es. la tv satellitare, Internet e le piattaforme social), gli operatori di marketing possono definire e raggiungere segmenti di consumatori con mentalità analoghe a prescindere dal luogo di appartenenza e residenza. La globalizzazione, dunque, riguarda la diffusione di idee, pratiche e tecnologie; ha potenti implicazioni economiche, politiche, culturali e sociali. Ma è qualcosa di più della somma tra internazionalizzazione ed universalizzazione. Non si tratta semplicemente di modernizzazione o della cosiddetta occidentalizzazione, né n. 4/2010 S T O R I A , C U L T U R A della liberalizzazione dei mercati. anthony Giddens (1990: 64) descrive la globalizzazione come “l’intensificazione delle relazioni sociali in tutto il mondo, relazioni che collegano località distanti in maniera tale che gli eventi locali siano forgiati da eventi che accadono a molti chilometri di distanza, e viceversa”. va da sé, dunque, che la globalizzazione implica un cambio di prospettiva nella nostra comprensione della geografia e nel nostro modo di esperire ciò che è “locale”. I temi ricorrenti, nella letteratura del fenomeno globalizzazione, riguardano la delocalizzazione e la sovraterritorialità; la velocità e l’impatto dell’innovazione tecnologica e dei rischi che porta con sè; la crescita delle aziende multinazionali; il grado in cui la creazione di free markets globali possa portare all’instabilità ed alla suddivisione. In questa sede, interessa approfondire ed esplorare il terzo punto (crescita delle aziende multinazionali) e ricondurre sotto di esso gli altri tre, per studiarne le relazioni di causa ed effetto sulle pratiche di branding, soprattutto in termini di relazioni con il cliente, consumer service, sviluppo e sfruttamento dei touchpoint comunicativi con il mercato. Delocalizzazione e sovraterritorialità Manuel Castells sostiene che nell’ultimo ventennio del ventesimo secolo una nuova economia è nata nel mondo, caratterizzata come un nuovo tipo di capitalismo basato su tre attributi fondamentali: “produttività e competitività sono, ampiamente, una funzione della generazione di conoscenza e dell’elaborazione di informazione; imprese e territori sono organizzati in network di produzione, di management e distribuzione; le attività economiche principali sono globali, hanno cioè la capacità di lavorare come un’unità in tempo reale, o ad un tempo stabilito, su scala planetaria” (Castells 2001: 52). La conseguenza principale è che quelle attività n. 4/2010 E R I C E R C A che prima richiedevano un’interazione visà-vis o localizzata oggi vengono condotte su grandi distanze. Nasce così il significativo fenomeno della delocalizzazione negli scambi economici e sociali: le attività e le relazioni sono state sradicate dalle loro origini e culture locali (Gray 1999: 57), per cui sempre più spesso le persone e i consumatori si trovano ad interfacciarsi con sistemi distanti per poter condurre la propria vita. si pensi, banalmente, all’home banking, all’e-retailing ed all’e-commerce. acquistare un libro su amazon significa far elaborare i propri dati da computer e router distanti migliaia di chilometri, far processare il nostro ordine d’acquisto da server presenti su altri continenti, innescare una catena logistica e distributiva da un angolo remoto del pianeta. Gli spazi che i consumatori “abitano” quando effettuano acquisti o comunicano su internet danno vita ad un rinnovato senso di spazio e di comunità d’appartanenza, evoluzioni difficilmente prevedibili nella sociologia della gemeinschaft e della gesellschaft (tonnies 1963: 89). Dunque, “attività strategicamente cruciali e fattori economici sono collegati ad un sistema globalizzato di input ed output” (Castells 2001: 52). Ciò che succede nelle dimensioni locali è sempre più spesso influenzato dall’attività di persone e sistemi operanti in una dimensione geograficamente lontana. Persone e sistemi sono sempre più interdipendenti, come ricorda Mulgan: “il punto di partenza per comprendere il mondo di oggi non è il PIL di una nazione o il suo potere militare distruttivo, ma il fatto che tutto è molto più collegato di prima. Il mondo può sembrare composto da individui separati e sovrani, imprese, nazioni o città, la realtà più profonda è fatta di connessioni multiple. (Mulgan 1998: 3). tale molteplicità connettiva è evidentissima nelle imprese, il cui successo si fonda oggi maggiormen- 27 REFERENZE Beck, U. (1992) Risk society, London: sage. Beck, U. (1999) What is Globalization?, Cambridge: Polity Press. Beck, U. 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Shift dell’attività economica in Giappone o negli stati Uniti vengono avvertiti nei paesi di tutto il mondo. L’internazionalizzazione dei mercati finanziari, della tecnologia, del comparto manifatturierio e terziario ha portato con sé un nuovo insieme di limitazioni sulla libertà d’azione degli stati nazionali. Inoltre, l’affiorare di istituzioni quali la Banca Mondiale, l’Unione Europea e la BCE comportano nuovi ed ulteriori vincoli ed imperativi. “Non è che i governi non possano più gestire le proprie economie nazionali”, sostiene Colin Leys (2001: 1) “ma per sopravvivere devono sempre più gestire la politica nazionale in maniera tale da adattarla alle pressioni di forze di mercato trans-nazionali”. In altre parole, l’impatto della globalizzazione riguarda meno la modalità con cui scelte specifiche di policy vengono prese e più il forgiare ed il ri-forgiare le relazioni sociali tra le nazioni. Held, D., McGrew, a., Goldblatt, D. and Perraton, J. (1999) Global transformations - politics, economics and cul- Innovazione tecnologica, rischio e globalizzazione “È l’interazione tra innovazione tecnologica straordinaria e copertura globale che dona ai cambiamenti di oggi una complessità particolare” (Huttons e Giddens 2001: vii). Gli sviluppi nelle scienze biologiche e nelle tecnologie digitali hanno aperto nuove e vaste possibilità per la pro- DESK 28 R I C E R C A La globalizzazione e l’economia della conoscenza. Per le economie sviluppate, la conoscenza è divenuta quasi interamente il fattore più importante per la determinazione dello standard di vita – più della terra, degli strumenti, del lavoro. Le economie più avanzate tecnologicamente sono del tutto knowledge-based (Banca Mondiale, 1998). Ciò significa che gli economisti si sfidano nella ricerca di qualcosa che vada oltre il lavoro ed il capitale come fattori centrali di produzione. Paul Romer e diversi altri studiosi sostengono che sia appunto la tecnologia (e la conoscenza su cui essa si basa) ad essere il terzo fattore produttivo nelle economie primarie (Romer, 1986; 1990). Emerge così il concetto di capitalismo della conoscenza, “la spinta alla generazione di nuove idee e la loro trasformazione in prodotti e servizi commerciali che i consumatori desiderano”, così pervasivo e potente (Leadbeater 2000: 8). Inevitabilmente, sorgono così gli interrogativi sulla generazione e sullo sfruttamento della conoscenza, che sembra distanziare ulteriormente un gap già presente tra nazioni ricche e nazioni povere. studiosi e commentatori come Charles Leadbeater propongono il bisogno di “innovare ed includere” per il riconoscimento che economie della conoscenza di successo debbano adottare un approccio democratico alla diffusione della conoscenza: “Dobbiamo far nascere una società aperta, inquisitiva, sfidante ed ambiziosa” (Leadbeater 2000: 235, 237). tuttavia, vi sono diverse contro-argomentazioni in merito a tale ideale. Negli anni recenti siamo stati testimoni all’aumento dei tentativi delle grandi corporation di reclamare diritti di proprietà n. 4/2010 S T O R I A , C U L T U R A intellettuale sulle nuove scoperte, per esempio nell’ambito della ricerca genetica, al fine di ricavare grandi profitti dal licensing di questa conoscenza a terzi. Inoltre, non vi sono ancora stati risultati verificati sul fatto che le nazioni dedicate al lifelong learning ed alla creazione di una learning society avranno la meglio sulle altre (Wolf 2002: 13-55). La globalizzazione ed il rischio. autori come Ulrich Beck (1992: 13) sostengono che il guadagno di potere dal “progresso tecno-economico” sia velocmente adombrato dalla produzione di rischi, in termini di danno potenziale derivante appunto dai cambiamenti economici e tecnologici. I pericoli collegati alla produzione industriale, per esempio, possono velocemente diffondersi oltre il contesto immediato della loro generazione. In poche parole, anche i rischi si sono globalizzati. Dunque, l’universalizzazione del pericolo accompagna la produzione industriale a prescindere dal luogo di partenza: le catene alimentari collegano, in pratica, tutti gli esseri umani, travalicando i confini geografici (Beck 1992: 39). Come infatti sostiene lo stesso Beck, gli è un effetto boomerang in questo tipo di globalizzazione: i rischi investono chi vi lucra o vi produce a partire da essi. L’assunto di base è semplice: tutto ciò che minaccia la vita sulla terra minaccia anche la proprietà e gli interessi commerciali di chi vive a partire dalla mercificazione della vita e dai suoi requisiti. In questo modo, una genuina ed intensa contraddizione emerge tra gli interessi di profitto e di proprietà che fanno avanzare il processo di industrializzazione, che a sua volta mettono in pericolo proprietà e profitti (Beck 1992: 39). E qui si arriva ad un paradosso centrale di quella che Beck chiama “la società del rischio”. al crescere della conoscenza, cresce anche il rischio. Le relazioni sociali, le istituzioni n. 4/2010 E R I C E R C A e le dinamiche all’interno delle quali viene prodotta conoscenza hanno accentuato i relativi rischi, globalizzandoli. La globalizzazione e l’ascesa delle multinazionali e del branding Un cruciale ed ulteriore aspetto della globalizzazione è la natura ed il potere delle aziende multinazioni, che ad oggi rappresentano oltre il 33% dell’output mondiale e circa il 66% del commercio mondiale (Gray 1999: 62). Quest’ultimo punto è ben dimostrato dai produttori di automobili che tipicamente si approvvigionano di componenti da fabbriche situate in diverse nazioni. tuttavia, i mercati internazionali sono ancora largamente confinati ai loro territori domestici in termini di attività di business complessiva; restano ancora pesantemente “embedded” a livello nazionale e continuano ad essere multinazionali piuttosto che transnazionali (Hirst e thompson 1996: 98). Non indifferente, come si immagina, è il loro potere economico e culturale. La globalizzazione e l’impatto delle multinazionali sulle comunità locali. In primo luogo, le multinazionali desiderano stabilire o contrattare operazioni (produzione, servizi e/o vendita) in nazioni e regioni dove la forza lavoro e le risorse sono più economiche. se da un lato ciò significa un flusso addizionale di ricchezza nei confronti delle comunità locali, questa forma di globalizzazione porta anche ad ineguaglianze sostanziali. Può anche significare disoccupazione di larga scala in quelle comunità dove le industrie si trovavano in precedenza (si ricordi il caso Omsa, da faenza in serbia: e due brand georeferenziati come la fiat500 ed il thè inglese twinings, entrambi da produrre in Polonia). Inoltre, i salari in questi nuovi contesti produttivi possono essere molto bassi, così come sono poveri i diritti e le condizioni dei lavoratori. Un’inda- 29 ture, Cambridge: Polity Press. 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In secondo luogo, le multinazioni cercano mercati nuovi o sotto-sviluppati al fine di aumentare le vendite, colmando bisogni latenti di diversi target group; ad esempio, com’è avvenuto per il mercato del tabacco e dei prodotti per l’infanzia: “i piccoli consumatori sono valorizzati non solo per l’influenza che possono avere sulla decisione di spesa degli adulti, ma anche per il loro rinnovato potere d’acquisto (Kenway e Bullen 2001: 90). Ciò può arrivare a concettualizzazioni estremi, come quella secondo la quale “il potere ed il piacere giovanile è costruito attraverso ciò che accade altrove – lontano dagli adulti e dalle scuole e soprattutto grazie all’ausilio delle merci” (Kenway e Bullen 2001: 187). Non si tratta, tuttavia, di un fenomeno nuovo, ma di qualcosa che già Erich fromm commentava nei primi anni ’50. È più che altro la significativa accelerazione ed intensificazione dovuta all’ascesa del brand e l’attenzione maggiore verso la costruzione della propria (giovane) identità intorno ai brand. si è poi assistito all’erosione degli spazi pubblici da parte delle attività corporate. significative aree del loisir, ad esempio si sono spostate da forme associative come i club verso attività commerciali private. Giroux (2000: 10) ne parla, sempre a proposito del target di giovani: “i giovani sono sempre più esclusi dagli spazi pubblici al di fuori delle scuole, quelli che un tempo offrivano l’oro l’opportunità di passare del tempo in relativa sicurezza, lavorare con i propri mentori e sviluppare i propri talenti e senso del valore di sé. Come il concetto stesso di cittadinanza, lo spazio ricreativo è ora privatizzato e visto come opportunità di commercializzazione e di profitto. Le aree di gioco sono ora offerte al più alto compratore”. Inoltre, le aziende multinazionali possono avere una significativa influenza sui processi di policy formation in molti governi nazionali ed organismi trans-nazionali. 30 R I C E R C A Il branding e la globalizzazione. La crescita astronomica nella ricchezza e nell’influenza culturali dei gruppi multinazionali negli ultimi 15 anni può essere ricondotta ad una singola e semplice idea, sviluppata dai teorici del managementi a metà anni ’80: che le imprese di successo debbano produrre primariamente brand, piuttosto che prodotti (Klein 2001: 3). Come ha suggerito Naomi Klein, “I costruttori di marche sono i nuovi produttori primari nell’economia della conoscenza. Le corporation non dovrebbero impiegare le proprie risorse finite su stabilimenti che richiedono interventi fisici, su macchine che si corroderanno o su lavoratori che invecchieranno. Invece, dovrebbero concentrarsi su quelle risorse virtuali che si utilizzano per costruire il proprio brand”. Nike, Levi’s e Coca Cola investono enormi budget nella promozione e nel sostenimento dei propri brand. La strategia fondamentale è tentare di stabilire brand specifici come parti integranti del modo in cui le persone si vedono o vorrebbero vedere sé stesse. Riprendendo il versante del rischio e della sua globalizzazione, il focus sul brand piuttosto che sulle qualità intrinseche del prodotto ha un tallone d’achille. Il danno al brand può fare sproporzionatamente male alle vendite ed alla sua profittabilità. se un brand diviene associato al fallimento o alla negatività (si pensi alle “cadute di stile” dei testimoniale, specie in ambito sportivo), affronterà seri problemi su di un marketplace divenuto globale. La globalizzazione e le multinazionali. Il n. 4/2010 S T O R I A , C U L T U R A grado di controllo che le corporazioni multinazionali hanno sulle dinamiche centrali della globalizzazione è limitato. Esse dimostrano la perdita di autorità e l’erosione di valori comuni che affligge praticamente tutte le istituzioni sociali moderne e post-moderne. Emerge così il bisogno della progettualità di enti quali il WtO – World trade Organization, il fMI – fondo Monetario Internazionale e l’OCsE – Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo Economico. Parte dell’impeto della nascita di questi enti è derivato dal limitato successo delle strutture aziendali e statali nel pianificare ed organizzare le economie. storicamente, i mercati liberi sono stati dipendenti dal potere statale. Per funzionare a lungo termine, i mercati hanno da sempre richiesto un grado ragionevole di stabilità politica, un framework legale solido ed una quantità significativa di capitale sociale. Ed ecco un altro paradosso centrale per i nostri tempi: la globalizzazione economica non rafforza l’attuale regime di laissez-faire globale. Lavora, piuttosto, per minarlo alle fondamenta. Non vi è nulla nel mercato globale odierno che lo protegga dagli sforzi sociali derivanti dallo sviluppo economico altamente diseguale. I repentini alti e bassi delle industrie e della qualità di vita, gli improvvisi shift di produzione e di capitale, il caos della speculazione valutaria sono tutte condizioni che innescano contro-movimenti politici che sfidano le regole alla base del mercato libero globale (Gray 1999: 7). Il capitalismo è essenzialmente ed eternamente cangiante; i mercati forti richiedono interventi statali e trans-nazionali significativi e, per essere sostenibili nel tempo, richiedono relazioni sociali stabili ed un ecosistema di fiducia, nondimeno nei confronti dei brand (un ecosistema fortemente minato a causa della crisi economica nata con i subprime negli stati Uniti). tali mercati possono essere organizzati ed inquadrati in manie- n. 4/2010 E R I C E R C A ra tale che diverse persone in società diverse ne possano beneficiare. Brand globali, locali o glocali? L’editorialista del New York times thomas L. friedman sostiene che la tecnologia dei computer abbia creato un mondo in cui, ad un livello senza precedenti, gli individui possono competere o collaborare globalmente. Connessi da un network di fibra ottica, siamo tutti diventati vicini d casa (farrar, straus e Giroux, 2005). In questo cosiddetto “appiattimento” ed orizzontalizzazione del mondo, friedman descrive la penetrazione della cultura globale anche in luoghi lontanissimi sulla terra. Ma mentre il pianeta continua a restringersi, cosa avverrà alle culture individuali? Molti osservatori notano che, ben lungi dal creare omogeneità culturale, la globalizzazione porti ad una riemersione dell’interesse verso le tradizioni locali. samuel P. Huntington, docente di Harvard, sostiene che la modernizzazione promuova fiducia nei confronti dell’ordine sociale locale ed, al contempo, fede nelle pratiche tradizionali (Huntington, 1997). Non è difficile trovare esempi di rinnovato interesse nelle tradizioni locali in società di transizione. La tailandia, un paese un tempo culturalmente omogeneo, ha visto un crescente interesse dei propri gruppi etnici locali nei confronti della propria storia, della propria lingua, letteratura e cultura. E questo fenomeno è più diffuso di quanto si pensi; Marylin Halter della Boston University guarda al rinnovato interesse per l’etnicità negli stati Uniti (Halter, 2000): nel tentativo di recuperare valori tradizionali (ed anche di sfuggire al consumerismo di massa), gli americani hanno iniziato a consumare grandi quantità di prodotti etnici, specie nel settore food ed in quello discografico. Halter suggerisce anche che questo ritorno alle radici etniche abbia un effetto cal- 31 hafa3/scholte.ht m stewart, J. (1992) ‘Guidelines for public service management: lessons not to be learnt from the private sector’, in P. Carter el. al. (eds.) Changing social Work and Welfare, Buckingham: Open University Press. Wolf, a. (2002) Does Education Matter. Myths about education and economic growth, London: Penguin. World Bank. (1999) World Development Report 1998/99: Knowledge for Development. Washington: World Bank. [1999, 9 august]. http://www.worl dbank. org / wdr/ wdr98/ contents.htm. World Bank Research (2002) ‘Globalization, Growth and Poverty: Building an Inclusive World Economy’, the World Bank Group, http://econ.worl dbank. org/prr/subpage.php ?sp=2477 DESK DESK S T O R I A , C U L T U R A E mante sugli americani che si sentono persi nella superficialità delle interazioni quotidiane, specie quelle veicolate attraverso i social network. “Una volta che la realtà della comunità immaginaria è messa in dubbio, l’etnicità offre indicatori tangibili e potenti simboli di comunalità ascrittivi. L’esplorazione della cultura etnica ed il desiderio di attaccarsi ad un’identità sempre più personale e personalizzata persiste come risposta alla frammentazione rapida ed ambigua del mondo postmoderno”. Il critico di public policymaking Jeremy Rifkin vede questo rinnovato interesse per le culture locali più come una reazione all’ordine politico globale che al postmodernismo. L’accademica olandese Marieke de Mooij condivide il pensiero di Rifkin, ma considera la localizzazione una risposta fondamentale della natura umana al cambiamento: “il comportamento umano è stabile; in poche parole, le persone non amano il cambiamento e la maggior parte dei comportamenti di consumo è abituale. Ciò implica che le persone ameranno provare cose nuove per un po’ di tempo, ma in fin dei conti vorranno più ciò a cui sono adusi ed abituati”. Non a caso, è con la globalizzazione che si ravviva l’interesse per i vecchi brand e per l’espressione di valori antichi ed ancestrali attraverso il consumo ed i comportamenti ad esso connessi. Mark Kennedy invece, del centro di consulenza Landor associates, interpreta questo tipo di interesse come un elemento complementare alla globalizzazione piuttosto che un suo contraltare. “Lo vedo come un effetto di bilanciamento della globalizzazione grazie a marchi locali”, ciò nonostante i negozi ed i brand in tutti gli aeroporti del mondo diventino sempre più gli stessi. In Cina, avviene per esempio che i brand globali coesistano in equilibrio con quelli locali. anche in un settore così specifico come quello alimentare. Liane Yu, strategic director per l’agenzia di consulenza di marca Cheskin, evidenzia che marchi come McDonald’s sono enormemente popolari nonostante la continua sfida dei brand locali. “Yong He Da Wang, catena di fast food cinese, unisce la pulizia e la convenienza di McDonald’s con la cucina cinese di tipo casereccio, come ravioli e spachetti. Questa combinazione ha successo perché unisce il meglio dell’Occidente col meglio della cultura locale. La scelta tra prodotti, brand ed esperienze globali o locali è estremamente contingente all’identità ed alle intenzioni personali. Non credo che il trend sia verso il locale versus il globale, ma che sia verso la possibilità di avere più aspetti di entrambi nelle scelte che i consumatori asiatici fanno nel loro quotidiano”. La questione centrale è, sempre nella parole di Yu, “come le persone definiscono cosa rende moderni e ciò non esclude il consumo né dei brand locali né di quelli, ovviamente, globali”. Un analogia per questo ragionamento la si intravede con la proliferazione dei musei in tutto il mondo. I musei sono per loro natura una celebrazione degli eventi e delle tradizionali locali, di cui ne rappresentano l’effervescenza culturale. Ma l’idea stessa di “museo” è un artefatto storico-culturale universale. 32 R I C E R C A Il consumer service nell’era della globalizzazione I guru del digitale sono d’accordo nel sottolineare l’utilità dei social media come strumenti per l’empowerment dei consumatori. È necessario oggi più di ieri lamentarsi online del cattivo servizio ricevuto acquistando una data offerta di mercato, che le proprie affermazioni vengano estrapolate per obbligare le aziende ad una politica di onestà e trasparenza, che si aiutino gli altri consumatori a compiere decisioni migliori. tutto questo richiederà e porterà, grazie alla realtà del social n. 4/2010 S T O R I A , C U L T U R A sharing, significativi miglioramenti nell’ambito del consumer service. strumenti di condivisione immediata e diretta, come twitter, sono in realtà dei sogni sull’onnipotenza dei consumatori; sono, piuttosto la realtà da incubo che rispecchia la rottura delle relazioni tra consumatori e brand. Dover rispondere a lamentale online è una tassa che le aziende pagano a causa della discrepanza cronica tra le aspettative del consumatore e le performance effettiva dei brand. Una risposta personalizzata può diminuire solo momentaneamente questo gap. fino ad oggi, le azioni e le attività consumer-oriented sono state o automatizzate (si pensi ai menu di selezione telefonica con IvR – interactive voice response), rese intenzionalmente difficili (siti web senza recapiti e contatti) o disponibili solo a pagamento (come i tipici servizi aggiuntivi IKEa, es. il montaggio a domicilio, lontani dalla filosofia low cost). Per il resto, la gran parte di ciò che ieri si definiva consumer service è stato esternalizzato interamente, con l’esplosione dei call center hub nel sud Est asiatico: Bangalore, Manila, etc., aree geografiche privilegiate grazie ad una perfetta sincronia inversa con gli orari d’ufficio giornalieri e notturni degli stati Uniti. Per non parlare del risparmio sulla forza lavoro, calcolato dal 50 al 75% in meno. scelte che si sono riverberate, ovviamente in negativo, sulla percezione del brand in generale, sulla percezione della pronuncia e della lingua degli operatori in particolare. Oppure col diffondersi ovunque di faQ – frequently asked questions online, perfette sostitute per l’assistenza specifica e personalizzata da parte dell’azienda. I negozi hanno sempre meno forza di vendita impiegata ed inventari più snelli, mentre lo staff di back-office nelle imprese di servizi sono costretti a lavorare di più e con meno risorse (per non parlare della minaccia continua dell’insicurezza del n. 4/2010 E R I C E R C A posto di lavoro), rendendo sempre meno frequente l’offerta di esperienze – di marca e di consumo - memorabili e piacevoli sul mercato. Gli ingredienti vengono ridotti e sono acquistati più a buon mercato; le materie prime ed i semilavorati sono rimpiazzati da alternative meno costose. sembra quasi che ridurre i costi sia uno dei canoni principali insiti nell’innovazione di mercato. I consumatori hanno sempre voluto “di più a meno”, ma dimenticandosi a volte che questo va a discapito di un’esperienza costantemente migliore. fino a ieri, non vi era un modo per interloquire con le aziende e far capire gli svantaggi del tradeoff tra low pricing e consumer service. se da un lato la vita del consumatore diventa più complicata e sovraffollata, la sua tolleranza per la complessità e la difficoltà decresce. tutto è fonte di micro e macrodelusioni e la pressione costante sull’abbassamento della soglia che trasforma un’inconvenienza in una lamentela formale non fa che intensificarsi. Un aneddoto illustra la contraddizione che caratterizzava molte azioni di consumer service: un viaggiatore a bordo della compagnia aerea XY si lamentò con l’hostess poiché la zuppa a bordo dell’aereo conteneva solo tre bocconi di carne. Come si risponde ad una lamentela che ha origine nell’aspra realtà delle cose? Con l’affacciarsi del capitolo “social media” nel fenomeno della globalizzazione, le aziende tornano a porsi le seguenti domande: A che livello imposto e gestisco le aspettative dei miei consumatori? Facciamo promesse di marca, esplicite o implicite che siano, che non possiamo soddisfare? (si pensi alle pubblicità di alberghi che mostrano spiagge vuote. O agli spot che cercano di posizionare le polizze assicurative come elementi di divertimento nella propria vita). Facciamo promesse rilevanti o irrilevanti? Queste domande assumono ancora più peso e significato, alla luce di un’inversio- 33 DESK S T O R I A , C U L T U R A E ne di tendenza: dall’esternalizzazione del customer service in paesi esteri all’internalizzazione del customer service attraverso social media strategists assunti in house. velocità con cui ne veniamo a conoscenza. si tratta di una promessa enorme. significa che i consumatori ci chiederanno lumi in merito alle decisioni che stanno per compiere, ai prodotti che utilizzano e cercano il supporto che solo noi possiamo dare. E su twitter, possiamo fare tutto questo in maniera veloce e attraverso molteplici opinioni, così che i consumatori possano decidere dopo aver valutato più input. In questo modo, anche gli altri possono imparare qualcosa mentre seguono lo svolgersi delle nostre conversazioni. Quando iniziate, ricordatevi che il tono di voce è importante: dev’essere, soprattutto, autentico ed onesto. siate colloquiali. siate voi stessi. Mostrate rispetto ed aspettative rispetto. L’obiettivo è aiutare. se non conoscete la risposta ad un particolare quesito, dite al consumatore che vi impregnerete a trovarla. trovatela e poi informatelo”. Gli assunti fondamentali per l’efficacia nel consumer service di rete e globalizzato tra il 2009 ed il 2010 sono cresciuti esponenzialmente il numero e la portata di buone e cattive pratiche di consumer service attraverso i social media. Ne esponiamo quattro, probabilmente i più rilevanti sullo scenario di mercato, per illustrare altrettanti assunti e fattori critici di successo che potrebbero accomunare, in maniera trasversale ai settori merceologici, un consumer service efficace. Non si tratta di casistiche concettualmente separate, come si vedrà, dal momento che un assunto modella e pervade anche gli altri. 1. Twelpforce – il mondo dei consumatori è una piattaforma globale e proattiva, aperta 24/7. Nella catena di elettronica al consumo statunitense, Best Buy, è stata implementata una modalità di servizio al consumatore del tutto innovativa. Gli impiegati della catena, presente in tutto il paese, sono stati incoraggiati ad aiutare volontariamente i consumatori che postano le proprie domande di assistenza tecnica su twitter. Domande sui negozi, sui prodotti, ma anche sull’informatica in generale. Il tutto, domande e risposte, è aggregato all’interno del singolo account @twelpforce. Le implicazioni sono evidenti: il consumer service non ha orari, dev’essere veloce e diretto. E soprattutto non deve avere necessariamente procedure rigide che ingessino la reattività aziendale o aumentino i costi. Il funzionamento di quest’incontro informativo virtuale è infatti regolato da semplici linee guida aziendali diretta alla forza di vendita: “La promessa che facciamo, a partire da Luglio, è che voi saprete tutto ciò che sappiamo anche noi ed alla stessa DESK 34 R I C E R C A 2. JetBlue - Il giusto tone of voice e la giusta proattività a favore della trasparenza. Il focus sul tono di voce indirizzato ai volontari twelpforce ci porta al secondo assunto, legato però ad un evento specifico che ha messo in imbarazzo le politiche di consumer service e social media per la compagnia aerea americana JetBlue. Il 9 agosto 2010, durante l’atterraggio del volo 1052 da Pittsburgh a New York, vi è stato un alterco tra un passeggero e steven slater, steward di bordo. Questo piccolo incidente ha guadagnato l’attenzione dei media globali dal momento che slater, alterato dal litigio, ha annunciato attraverso il sistema audio di bordo che il passeggero l’avevo insultato, che in 20 anni di onorata carriera non era mai stato trattato così da un consumatore e che si dimetteva dal proprio incarico. Dopodichè, ha azionato lo scivolo di emergenza e con una confezione di lattine di birra in mano, è uscito dall’aereo scivolando fino a terra. Immediatamente, l’episodio è n. 4/2010 S T O R I A , C U L T U R A riverberato in tutte le pieghe della socialmediosfera, guadagnando l’ilarità e l’appoggio di migliaia di addetti al pubblico che si immedesimavano in maniera vicariamente eroica in slater. Il comparto delle PR e della comunicazione ha invece aspettato al varco la reazione della compagnia. Che si è limitato a propalare un memo interno dai seguenti contenuti: “se la storia di Mr. slater è accurata, ed a prescindere da qualsiasi evento disdicevole che abbia motivato il suo comportamento, nulla giustifica il suo comportamento. Gli scivoli si armano molto velocemente, con abbastanza forza da uccidere un essere umano se colpito. È un insulto a tutti i professionisti dell’aviazione vedere che questo particolare elemento della storia sia trattato senza tutta la serietà che merita. JetBlue punirà sempre le persone che fanno del male fisico o minacciano di fare del male fisico ad un cliente o ad un altro membro dell’equipaggio. Punto”. ferme restando le giustissime considerazioni sulla pericolosità (potenziale, per fortuna) della vicenda, JetBlue è stata criticata per non aver adottato un tone of voice sì autorevole e formale, ma più consono alla percezione della vicenda da parte di un pubblico mondiale. In questo modo, molti fan e consumatori della compagnia aerea hanno visto dilatarsi la discrasia tra identità ed immagine del brand. La sfida per il marketing creativo di oggi non è quindi quella di trovare nuovi modi per distrarre, divertire o coinvolgere i consumatori; è quella di far non solo comprendere la realtà, ma di insegnar loro ad amarla. trasparenza sì, ma rispecchiata con uno stile ed un tono appropriato e specifico in base al caso. Come la strategia di marketing annuale ci riesca è compito delle aziende e dei suoi brand manager, i quali devono fare i conti con un’audience mondiale pronta a crocifiggere o ad incoronare in diretta ed in mondovisione i brand. Un esempio delle pratiche di smascheramen- n. 4/2010 E R I C E R C A to della realtà di un brand e dell’offerta di mercato che rappresenta è, per restare sempre nell’ambito del turismo, il portale Oyster.com: è dedito a confrontare le foto di hotel e location nei depliant con le foto scattate da veri turisti. 3. Nestlè UK e Kit Kat – Dotarsi di regole condivise a livello corporate e staff. Gli attivisti di Greenpeace hanno recentemente messo sotto torchio i vertici Nestlè a causa della presenza, tra gli ingredienti del Kit Kat, dell’olio di palma. Un prodotto più economico delle sue alternative e più o meno direttamente correlato al disboscamento globale. Greenpeace ha dunque approntato un video, divenuto virale in pochi giorni, dove tra le tradizionali barrette di una confezione Kit Kat compariva il dito di un orango, animale il cui abitato è messo in difficoltà appunto dal disboscamento. Immediata e reticolare è stata la reazione di protesta dei consumatori in tutto il mondo. Nestlè quindi ha timidamente annunciato che avrebbe utilizzato dell’olio di palma sostenibile, ma Greenpeace ha lanciato una controffensiva, chiedendo ai suoi sostenitori di protestare contro Nestlè, condividendo i video online e modificando la propria immagine del profilo di facebook con l’immagine “Nestlè Killer”. E così tantissimi sostenitori di Greenpeace hanno modificato la propria immagine del profilo, invaso la pagina fan di Nestle su facebook, innescando un meccanismo che ha portato a tutta una serie di commenti negativi e mal gestiti da parte del social media specialist per Nestlè UK, Paul Griffin. Quest’ultimo ha infatti reagito imponendo la propria “legge aziendale” sulla pagina (con tanto di insulti, censure e la minaccia di ricorrere a leggi sulla proprietà intellettuale), gestendo in modo assolutamente inappropriato lo stato di crisi. Questo tipo di strategia comunicativa (che potremmo definire punto-massa, 35 DESK S T O R I A , C U L T U R A E o broadcasting) può andare bene su piattaforme corporate (blog o forum aziendali), ma su facebook deve prevalere un approccio strategico di tipo narrowcasting, di dialogo, punto-punto. Oggi nella comunicazione strategica d’impresa più si cerca di nascondere qualcosa, più ci sarà qualcuno che invece la rimarcherà, facendo in modo che se ne continui a parlare. Questo perché è divenuto sempre più facile, per gli attivisti, coinvolgere un numero di sostenitori su scala mondiale che è inimmaginabile per (quasi) la maggior parte dei brand. Gli attivisti possono contare su milioni di sostenitori, con i quali attivare un meccanismo virale di condivisione dei contenuti sui social Network (Youtube, twitter e facebook). La soluzione, evidenziata dal caso Nestlè Kit Kat, è quella di progettare e condividere delle regole di gestione dello spazio sociale e conversazionale con i propri consumatori sul web. Regole che, dal punto di vista interno, possono servire da guida invisibile che orienti le prassi comunicative delle risorse umane. Da questo punto di vista, the Coca Cola Company si è posa in maniera proattiva sviluppando 5 linee guida sul tema social media e gestione delle reti sociali e globali dei consumatori: l’aderenza al Codice Etico aziendale, la piena responsabilità per le proprie azioni intraprese online, la ricerca di elogi e lamentele (potenziali fonti di intuizione sul comportamento di consumo), la capacità di delegare ai referenti appropriati contenuti negativi o potenzialmente lesivi dell’azienda. sulle tematiche di rilevante interesse strategico. Come ad esempio la brand identity ed i suoi elementi, quali logo e visual. GaP, il gigante statunitense che opera nella distribuzione al dettaglio di abbigliamento, ha affidato ad un’agenzia pubblicitaria il rifacimento del proprio logo, per riflettere i cambiamenti di vision e di strategia imprenditoriale. Il logo definitivo, una volta diffuso su internet, ha scatenato reazioni furiose ed unanimi dai consumatori che lo hanno rifiutato per le sue scarse qualità estetiche. Di conseguenza, immediatamente diversi grafici ed artisti freelance, appassionati dei prodotti GaP ed in cerca di visibilità, hanno pubblicato online le loro proposte grafiche per il nuovo logo, incredibilmente più valide del logo prodotto e proposto da una società professionale. sono questi gli anni del crowdsourcing, in cui cioè le imprese intravedono i benefici del co-creare del valore di mercato insieme a dei consumatori spontaneamente proattivi e creativi. Il termine proviene dalla fusione dei termini inglesi che rappresentano la folla (crowd) e l’attività di esternalizzazione (outsourcing) ed indica appunto il coinvolgimento dei consumatori da parte dell’impresa nella risoluzione di problemi aziendali (la progettazione di un packaging, di un logo, di una campagna), in cambio di un beneficio tangibile o intangibile. Nell’era dell’intelligenza collettiva, dello user generated content e del dialogo, le imprese hanno a disposizione un serbatoio ideativo ed informativo a basso costo e ad alta accessibilità: la mente dei consumatori. 4. Il nuovo logo GAP – Ascoltare la voce dei consumatori e fidarsi di essa. Uno dei mantra del marketing è “Il cliente è sempre nel giusto”. Bisognerebbe aggiungere “se è il cliente giusto”, soprattutto se dimostra di avere voglia di interloquire spontaneamente con l’azienda DESK 36 R I C E R C A Adele Savarese n. 4/2010 S T O R I A , C U L T U R A E R I C E R C A ' RADIOGRAFIA DELL UNIONE EUROPEA SUL NOSTRO SISTEMA DEI MEDIA ROSA MARIA SERRAO MediaDem - Un progetto di ricerca promosso dall’ Unione Europea – Quattordici paesi sotto esame fino al 2013 quando la ricerca si concluderà con la formulazione di indicazioni concrete di policy per gli attori pubblici e privati interessati nella regolazione dei media e l’identificazione dei sistemi per la promozione di media liberi e indipendenti A pprofondire i fattori che possono promuovere o, al contrario, ostacolare lo sviluppo delle politiche a sostegno di libertà ed indipendenza dei media è l’ obbiettivo di MediaDem, un progetto di ricerca promosso dall’Unione Europea e relativo a 14 paesi europei. Grecia, Italia e spagna (che rappresentano il modello polarizzato-pluralista); Belgio, Danimarca e finlandia (modello nordeuropeo-corporativistico), Gran Bretagna (modello nordatlantico-liberale). Oltre ad alcune nazioni dell’Europa centro-orientale, Bulgaria, Estonia, Romania e slovacchia, e a due paesi-candidati Croazia e turchia. Il progetto (Revisione delle politiche europee sui media: Valutare e rivendicare libertà n. 4/2010 ed indipendenza dei media nelle democrazie contemporanee, questo il titolo completo) si propone di analizzare il processo di definizione delle politiche sui media alla luce del loro contesto socio-politico, economico e culturale, e di esaminare le opportunità e le sfide poste dai nuovi mezzi di comunicazione alla libertà e all’indipendenza dei media. saranno inoltre analizzate forme di controllo esterne sulla configurazione delle politiche nazionali sui media derivanti dall’UE e dal Consiglio d’Europa. La ricerca è stata avviata nell’aprile scorso e terminerà nel marzo 2013, ma è stato già pubblicato un primo Rapporto , con le analisi generali degli scenari nei vari paesi (Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, finlandia, Germania, Grecia, Italia, Romania, slovacchia, spagna, turchia, UK, EU/CoE). Il rapporto completo, in lingua inglese, è disponibile sul sito http://www. mediadem.eliamep.gr ad esso seguiranno le altre fasi: analisi della configurazione delle politiche sui media nei rispettivi paesi, verificando se effettivamente facilitano la creazione di un ambiente favorevole per la libertà e l’indipendenza dei media; analisi com- 37 Rosa Maria Serrao, giornalista, Presidente Arga Lazio (Associazione Giornalisti Ambientali), Consigliere e membro di giunta Associazione Stampa Romana. DESK 1 Il Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) è stato introdotto dall’articolo 1 della legge 249/1997 (che ha sostituito il precedente Registro degli Editori). si tratta di un obbligo per qualsiasi servizio di comunicazione e/o fornitore di contenuti a registrarsi presso il ROC, al fine di distribuire i propri contenuti e/o servizi nelle reti di comunicazione italiane. aGCOM, “Rapporto annuale 2010”, disponibili su: http://www. agcom.it/Default. aspx?message=vie wrelazioneannuale&idRelazione=19. 2 3 aCGM, Indagine conoscitiva riguardante il Settore dell’editoria Quotidiana, Periodica e multimediale [Studio sui quotidiani, periodici e multimediali] (2006), disponibile all’indirizzo: www.agcm.it. DESK S T O R I A , C U L T U R A E parativa dei vari modelli; formulazione di indicazioni concrete di policy per gli attori pubblici e privati interessati nella regolazione dei media, l’Unione Europea e il Consiglio d’Europa, e identificazione delle migliori prassi per la promozione di libertà ed indipendenza dei media. Il progetto è coordinato da Evangelia Psychogiopoulou, della Hellenic Foundation for European and Foreign Policy (ELIaMEP) e curato da un responsabile per ogni paese (per l’ Italia è fabrizio Cafaggi, dell’ Istituto Universitario Europeo di firenze). L’ analisi relativa al nostro paese, realizzata da federica Casarosa (che ha curato anche il capitolo finale, The case of the European Union and the Council of Europe), ricercatrice al Centro di studi avanzati dell’istituto Jean Monnet di firenze, ripercorre le varie fasi dell’ evoluzione del sistema dei media in Italia, con particolare attenzione agli aspetti legislativi, e indica in conclusione i principali problemi che ci troviamo di fronte. In particolare la ricercatrice individua quattro diverse problematiche: - Il ruolo dello stato, passato da una posizione di editore e distributore di contenuti informativi a soggetto di regolazione e monitoraggio dell’applicazione delle norme in un settore in cui i protagonisti privati sono la grande maggioranza. - La crescente importanza dell’authority delle comunicazioni in termini di funzioni regolatorie, per fare in modo che sia sempre più imparziale per la sua distanza dai partiti politici - Le difficoltà nella introduzione di una effettiva legislazione antitrust che possa limitare le tendenze alla concentrazione e, nello stesso tempo, regolare il flusso di risorse finanziarie fra i diversi media. - Infine il ruolo dell’ azienda di servizio pubblico nel nuovo contesto, che non assicura più la salvaguardia del pluralismo interno dell’informazione – un ruolo che non può essere imposto direttamente agli attori privati – ma è più una garanzia di accesso dei cittadini alle nuove tecnologie della comunicazione, nel tentativo di evitare il pericolo del sorgere di nuove forme di marginalizzazione sociale. 38 R I C E R C A La situazione in Italia Il settore della stampa rappresenta in Italia uno tra i business più importanti. Il numero totale degli editori presenti nel registro nazionale per i fornitori di comunicazione1 è di 848, tra i quali sono presenti gli editori della stampa elettronica (6,3%), gli editori della carta stampata (53,9%) e le case editrici che utilizzano entrambi i medium (39,8%)2. La registrazione, però, pur essendo obbligatoria, non implica necessariamente che tutti gli iscritti siano attivi sul mercato. Il numero stimato di quotidiani in Italia è di 200, numero che comprende anche la free press. In percentuale è un numero relativamente alto, ma dipende da due fattori importanti come l’area geografica di distribuzione (tiratura nazionale o locale) e i contenuti specifici (economia, sport, politica)3. I dati più recenti riflettono una situazione generale negativa che si riflette soprattutto sulla diminuzione delle entrate nel settore dell’editoria: un 14% in meno rispetto al 2008 e quasi il 20% in meno rispetto al 2006. L’unico caso in cui il trend nell’ultimo anno sembra n. 4/2010 S T O R I A , C U L T U R A in contro tendenza è la stampa elettronica, anche se la sua importanza in termini di valore è ancora limitata (vedi tabella 1). Il calo delle vendite non ha riguardato solo la stampa tradizionale, ma anche la free press, che - a differenza delle speranze che aveva acceso al suo esordio ha mostrato il calo maggiore (-23,7%), con una concomitante riduzione della raccolta pubblicitaria di quasi 1/5 rispetto all’anno precedente. L’accesso alla versione elettronica dei giornali mostra invece dei dati in crescita, passando dal 3,4 milioni nel 2008 a 3,8 del 2009.4 vale la pena notare che nel settore della stampa la maggior parte dei giornali sono controllati da un trust finanziario di pochi gruppi che ne detengono la proprietà: RCS Mediagroup, Gruppo Editoriale L’Espresso, Gruppo Mondadori, Gruppo Caltagirone e IlSole24. I primi tre tra questi gruppi comprendono quasi il 60% di tutto il distretto della stampa.5 Dalla fine della seconda guerra mon- n. 4/2010 E R I C E R C A diale, il governo italiano ha sovvenzionato la stampa di settore con il contributo diretto e indiretto alla sua attività. La giustificazione si è sempre trovata nella necessità di eliminare ogni ostacolo economico al pluralismo dell’informazione, salvaguardando l’esistenza e lo sviluppo delle imprese editoriali più piccole e le iniziative culturali degne di nota. La recente normativa, tuttavia, ha pesantemente rivisto i criteri per accedere al contributo indiretto prevedendolo solo per specifiche imprese editoriali (le cooperative) e per i giornali di partito. 6 a causa della stratificazione di regolamentazioni diverse in materia di sovvenzioni ai media, l’attuale quadro giuridico è in esame al fine di fornire una ristrutturazione che potrebbe raggiungere un più elevato livello di efficacia, alla luce dell’obiettivo generale di promuovere il cosiddetto “pluralismo esterno”. 7 tornando alla crisi del settore bisogna mettere bene in evidenza che la distri- 39 aGCOM, “Relazione annuale 2010”, p. 102 e aGCOM, “Relazione annuale 2009”, disponibile all’indirizzo: http://www.agco m.it/Default.aspx ?message=viewrelazioneannuale&i dRelazione=17. 4 aGCOM, “Relazione annuale 2010”, p. 94. 5 6 vedi Caretti, Diritto dell’Informazione e della Comunicazione, pag 76. Per la definizione di pluralismo esterno, si veda Corte Costituzionale, sentenza n. 474/1984. 7 DESK aGCOM, “Relazione annuale 2010”, p. 92. 8 9 R. Bertero, il quotidiano on-line in Italia: stato dell’arte e possibili sviluppi (2009), disponibile all’indirizzo: http://www.lsdi.i t/wpcontent/Lsditesi_roberta_bertero.pdf. 10 vedere il Testo Unico dei Servizi Audiovisivi media e radiofonici (tUsMaR), decreto legislativo 177/2005, con le recenti modifiche introdotte dal d.l. 44/2010 che ha attuato la direttiva sMa in Italia. 11 Lo spostamento complessivo verso la televisione digitale è prevista per il 2012, e attualmente sembra che, dopo una sperimentazione di lungo periodo, il processo sarà completato in tempo. Ognuno di questi Gruppi ha una diversa strategia aziendale che si basa sul canone annuo per la RaI, sui servizi a pagamento per sky Italia e sugli investimenti pubblicitari per RtI Mediaset. Cfr. aGCOM, “Relazione annuale 2010”, p. 76 e segg. 12 DESK S T O R I A , C U L T U R A E buzione online di contenuti stampati è in netta ascesa.8 tuttavia, sia lo stile che il formato non sono ancora soddisfacenti, perchè molto più concentrati sui testi che sulla multimedialità. 9 La sfida per gli editori consiste nel trovare il modo per far pagare i contenuti on line senza perdere i lettori, individuando forme di prodotto su misura, come ad esempio quelli disponibili nella comunicazione mobile, che sono ritenuti una delle possibili soluzioni. Il settore televisivo ha registrato un incremento dei ricavi complessivi dell’1,7%. L’andamento decrescente che ha colpito i ricavi pubblicitari è chiaro, anche se è ancora la più importante fonte di finanziamento per il settore televisivo. Un ruolo maggiore si è avuto grazie alla componente pay-tv, che comprende un terzo dei ricavi complessivi (vedi tabella 2). L’Italia, come gli altri paesi dell’UE, ha un sistema di trasmissione misto che prevede un unico gestore di servizio pubblico, la RaI, e una serie di emittenti private nate negli anni ‘70. tra queste ultime, certamente la realtà più importante è rappresentata dal gruppo RtI-Mediaset, la cui forza economica è diventata talmente ampia che nell’attuale situazione di trasmissione analogica si può parlare di duopolio televisivo. Certamente la legittimità è messa in dubbio dalla proprietà del gruppo Mediaset-RtI che contemporaneamente rappresenta il governo italiano. Questa anomalia cambia la percezione del sistema dei media. Complessivamente, i tre concorrenti (tenendo conto anche di sky-tv) includono più del 90% del mercato televisivo.12 La televisione Il settore televisivo sta attraversando una trasformazione dovuta, in parte, alla recente riforma legislativa10 e, in parte, al passaggio in corso dalla televisione analogica a quella digitale.11 a differenza di altre sezioni editoriali, la televisione ha resistito di più agli effetti della crisi economica, come dimostrano i ricavi pubblicitari e l’aumento dei servizi pay-per-view. sebbene quella analogica sia ancora il principale operatore sul mercato, la crescente importanza delle trasmissioni via satellite e i crescenti servizi a pagamento implicano che la posizione attuale risulti ancora in progress. 40 R I C E R C A n. 4/2010 S T O R I A , C U L T U R A La RaI ha tre canali analogici, tredici canali digitali, sette canali satellitari e tre canali radio. Il servizio di radiodiffusione è assegnato alla RaI per mezzo di un contratto nazionale, rinnovabile, della durata di tre anni tra l’azienda e il Dipartimento per le Comunicazioni, secondo le linee guida adottate dal Dipartimento e dall’autorità per le garanzie nella comunicazione.13 Per quanto riguarda la forma giuridica, la RaI è una società di capitali,14 la cui governance è stata riformata dal D. Lgs 177/2005, il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, che ha tentato di superare le forti connessioni tra il consiglio di amministrazione e i partiti politici.15 Il consiglio di amministrazione della RaI è ora eletto dall’assemblea degli azionisti, dando il rappresentante del governo (il Ministero dell’Economia e delle finanze) la possibilità di presentare una serie di candidati proporzionale al numero di azioni. Inoltre, per migliorare l’indipendenza e l’autonomia degli amministratori, il loro mandato dura ormai solo tre anni con la possibilità di un solo rinnovo. Le difficoltà incontrate nelle ultime elezioni, tuttavia, hanno mostrato quanto sarà difficile da dissipare completamente il dominio dei principali partiti politici sul governo della RaI. Il passaggio alla televisione digitale è un processo continuo che ha come obiettivo il trasferimento totale al digitale dell’intero territorio nazionale entro il 2012. al momento sono disponibili 40 canali nazionali gratuiti, che trasmettono in digitale, e oltre 30 a pagamento. Il legislatore ha voluto approvare questa nuova tecnica di trasmissione al fine di migliorare il livello di pluralismo nel n. 4/2010 E R I C E R C A settore, superando gli ostacoli dovuti alla scarsità delle frequenze analogiche.16 tuttavia, questa interpretazione ottimistica non è stata condivisa dalla Corte Costituzionale, che ha recepito il miglioramento del pluralismo solo come “evento incerto”, che richiede invece una serie di interventi specifici di monitoraggio da parte dello stato.17 La Radio anche per la radio predomina la distinzione tra servizio pubblico, rappresentato dai canali RaI, e le reti private, con le radio individuali o parti di gruppi editoriali. L’accesso al mercato dei concorrenti disponibile su dispositivi diversi (personal computer e telefoni cellulari) impone una ridefinizione delle strategie.18 I grandi gruppi editoriali, infatti, hanno aumentato lo sviluppo dell’attività multimediale come sinergica e complementare alla radio tradizionale. In particolare, web streaming e podcasting sembrano essere le principali soluzioni per attrarre ascoltatori online. Inoltre, i servizi di telefonia mobile stanno cambiando e ampliando le loro offerte in termini di contenuto ma anche fornendo servizi interattivi agli utenti finali, basati sulla convergenza dei mezzi di diffusione di Internet, che hanno raggiunto quasi la metà della popolazione italiana. 19 Un recente studio sulla popolazione nazionale ha dimostrato che una sempre maggiore percentuale di persone usa Internet, e non solo passivamente (per la ricerca di informazioni in materia di istruzione, acquisto di beni, ecc), anche per partecipare al cosiddetto Web 2.0. La maggior parte degli utenti hanno 41 vedi sotto il par. 3.1. 14 vedi articolo 49 del tUsMaR. 15 Il sistema precedente ha raggiunto la cosiddetta “lottizzazione” dei tre canali di trasmissione: alla coalizione di governo RaI 1, ai partiti di destra RaI 2, e ai partiti di sinistra RaI 3. Confrontare su questo punto, P. Mancini, Elogio della lottizzazione La via italiana al pluralismo (2009). 13 16 La legge che ha aperto le porte alla sperimentazione di trasmissioni digitali risale al 2001, la Legge 66/2001. Cfr. a. D’arma, “Politiche in materia di televisione digitale in Italia 1996-2006”, In M. ardizzoni e C. ferrari (eds.), "al di là del monopolio. I media italiani contemporanei e la globalizzazione". Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 446/2002. 17 18 aGCOM, “Relazione annuale 2009”, p. 83. Istat, Indagine sulle famiglie Aspetti della vita quotidiana, (2009), disponibile su: http://www.istat.i t/dati/catalogo/20090312_00. 19 DESK 20 Ibid. Molte agenzie alla loro nascita erano legate a specifici orientamenti politici, l’asca alla Democrazia Cristiana, Italia ai socialdemocratici. tuttavia, hanno cercato di conformarsi ad una visione pluralistica dell’informazione. Cfr. s. Lepri, “storia delle agenzie di Informazione, in v. Roidi (a cura di), studiare da Giornalista. Il sistema dell’Informazione vol. 1 (2003) 172. 21 22 Cfr. a. Meucci, “agenzie di stampa e Quotidiani – Una Notizia dall’ansa ai “giornali”, Università di siena, Dipartimento di scienze storiche, Giuridiche, Politiche e sociali, WP n. 42, 2001. 23 Il ruolo dell’ODG è anche stato messo in discussione di fronte alla Corte costituzionale, che non lo definisce come un’istituzione che limita la libertà di stampa perché regola solo il modo in cui l’attività professionale deve essere effettuata, non impone alcun limite alla libertà di espressione di coloro che non vogliono diventare giornalisti. vedere sentenza della Corte Costituzionale, n. 11/ 1968. DESK S T O R I A , C U L T U R A E ancora un basso livello di coinvolgimento, come leggere i blog e partecipare a chat, newsgroup, e forum di discussione online, ma l’interesse per i contenuti generati sta cominciando a decollare anche in Italia (vedi tabella 3).20 possibile considerare l’agenzia di stampa come una fonte di informazione per gli operatori dei media, ma piuttosto una concorrente degli altri operatori dell’informazione.22 Le agenzie di stampa La più antica agenzia di stampa, l’Ansa, è una società cooperativa composta solo da editori di giornali. Molte altre sono invece di proprietà privata, quali Italia, Adnkronos, Asca, Il Sole 24 ore Radiocor.21 Provvedono non solo alla copertura di notizie nazionali, ma anche di notizie dall’estero, in alcuni casi con appositi corrispondenti presso gli uffici all’estero (ad esempio l’ansa), o attraverso collegamenti con le agenzie di stampa estere. Le agenzie di stampa in Italia hanno migliorato il loro ruolo e la loro importanza nel momento in cui hanno iniziato a fornire direttamente, senza intermediazione degli utenti principali (tv, radio, giornali), servizi on-line e notizie video brevi disponibili sul sito web, sul televideo e sui cellulari tramite il servizio sMs. In questo senso, non è più 42 R I C E R C A I giornalisti La professione di giornalista in Italia è disciplinata dalla legge 69/1963 che definisce l’attività giornalistica come un’attività professionale intellettuale, regolata dal diritto del lavoro, e impone l’obbligo di iscriversi all’Ordine dei Giornalisti, ODG (che cura la tenuta dell’albo dei giornalisti) a qualsiasi persona che si impegna in tale attività. L’ODG distingue due tipi di giornalisti: professionisti (che lavorano in maniera continuata ed esclusiva come giornalisti) epubblicisti, spesso freelance. La prima categoria è appena inferiore ai 28 mila soci, mentre la seconda ha oltre 64mila iscritti. E’ necessario un periodo di praticantato di almeno diciotto mesi (o la frequenza di un master o una scuola approvata dall’ODG) prima di accedere all’esame di stato. La legge prevede l’autoregolamentazione della n. 4/2010 S T O R I A , C U L T U R A categoria dei giornalisti che possono eleggere i propri rappresentanti in organi di governance interna ed eventualmente imporre sanzioni dove c’è il mancato rispetto delle regole.23 Internet In questi ultimi dieci anni i consumi di tutti i tipi di media sono aumentati, in percentuali diverse (dal 2% della tv al 26,9% di Internet), raggiungendo la percentuale maggiore della popolazione totale (quasi il 100% nel caso di diffusione tv, ma solo il 50% nella diffusione di Internet).24 secondo la relazione della Commissione europea,25 l’Italia ha un livello di alfabetizzazione mediatica leggermente inferiore alla media. Gli attori nella regolazione dei media Il governo italiano ha riacquistato il suo ruolo primario nella politica dei media con la legge 112/2004. L’organo più importante in questo settore è divenuto il Ministero dello sviluppo Economico che ha ereditato i poteri del precedente Ministero delle Comunicazioni26. In particolare, il Dipartimento per le Comunicazioni ha il compito di vigilare sul rispetto degli obblighi relativi alla concessione di autorizzazioni e /o licenze alla trasmissione digitale. Inoltre è un punto di riferimento privilegiato per i rappresentanti dell’industria della comunicazione, nella redazione ed approvazione di numerosi codici di condotta, come la tutela dei minori e i metodi specifici delle vendite (acquisti a domicilio IE). 27 L’Authority per le comunicazioni L’autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, l’aGCOM è un organo indi- n. 4/2010 E R I C E R C A pendente, istituito dalla legge 249/1997, e di garanzia: la legge istitutiva affida all’autorità il duplice compito di assicurare la corretta competizione degli operatori sul mercato e di tutelare i consumi di libertà fondamentali dei cittadini. 28 L’autorità ha avviato le sue attività operative nel luglio del 1998, assorbendo anche le funzioni dell’ex autorità Editoria e stampa.29 tra le sue prime attività il piano delle frequenze televisive nazionali. 30 Le funzioni attuali si concentrano sul monitoraggio del passaggio alla trasmissione digitale, all’applicazione delle leggi antitrust per il settore delle telecomunicazioni,31 il monitoraggio dei servizi di radiodiffusione in termini di qualità e rispetto delle norme in materia di pubblicità, la politica e la tutela dei minori. 32 Le sanzioni applicate dall’aGCOM sono proporzionali alla gravità della violazione, e vanno dalle sanzioni amministrative di carattere pecuniario alle più severe sanzioni quali il ritiro della licenza per un massimo di dieci giorni. 33 La struttura interna è costituita dal Presidente, la Commissione per le infrastrutture e le reti, la Commissione per i servizi e i prodotti e il Consiglio. Ci sono otto Commissari: quattro eletti dal senato e quattro dalla Camera dei Deputati. Il presidente della autorità per le comunicazioni è nominato dal Presidente della Repubblica Italiana su proposta del Capo del Governo e del Ministro delle telecomunicazioni. tuttavia l’indipendenza di tale organismo non è garantito da queste regole, tanto che il sistema di voto per la selezione dei membri diventa quasi un duplicato 43 Cfr. CensisUcsi, I media tra Crisi e metamorfosi Ottavo Rapporto sulla Comunicazione (2009), disponibile all’indirizzo: http://www.gover no.it/GovernoInforma/Dossier/rapporto_ce nsis _2009/sintesiOttavoComu.p df. 24 25 Commissione europea, Direzione generale società dell’informazione e Media Studio sui criteri di valutazione per l’educazione ai media, disponibile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/avpolicy/m edia_literacy/doc s/studies/eavi_st udy_assess_crit_ media_lit_levels_ euro pe_finrep.pdf. Con la legge 85/2008 sono stati unificati il Ministero delle Comunicazioni e il Ministero per il Commercio Estero dando vita al Ministero dello sviluppo Economico, con la creazione al suo interno di uno specifico Dipartimento per le Comunicazioni. 26 27 tuttavia, parte della dottrina sostiene questo fatto come potenzialmente deleterio per il ruolo e le funzioni dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni, DESK che ha un mandato analogo relativo al monitoraggio del rispetto dei principi generali. f. Bruno e G. Nava, Il nuovo sistema di telecomunicazione - Radio e radiodiffusione, le comunicazioni elettroniche, editoria (2006), a p. 138. Questo organismo è stato in parte creato per rispettare il diritto comunitario, la direttiva 90/387/CE, e in parte creato in risposta a una crisi politica nel 1990, che ha portato alla richiesta di un ruolo più forte per la regolamentazione delle autorità indipendenti . Cfr. G. Mazzoleni e G. vigevani, “Italia”, p. 884. 28 Creata dalla Legge 416/1981. 29 si noti che, in Da un lato, la frammentazione del settore della radiodiffusione è stato un lascito della liberalizzazione del 1976, che ha portato ad aprire le porte a un gran numero di operatori di piccole e medie dimensioni, e, dall’altro, il piano nazionale delle frequenze è stata una necessità urgente in quanto l’Italia non ha mai sviluppato le trasmissioni via cavo e via satellite parallelamente 30 DESK S T O R I A , C U L T U R A E delle coalizioni politiche esistenti in Parlamento. Questo è uno degli esempi in cui la resistenza ad eliminare lo stretto collegamento tra i rami legislativo ed esecutivo e l’autorità di vigilanza è più che evidente. E’ importante ricordare che il ruolo crescente dell’autorità relativamente al settore della stampa è stato fatto a spese della Presidenza del Consiglio il cui ruolo era stato definito dalla legge 400/1988, che ha creato il Dipartimento per l’informazione e l’editoria, ancora oggi responsabile delle decisioni in merito alle sovvenzioni richieste dalle industrie editoriali. compromette le funzioni di controllo assegnatole. ancora una volta è percepibile che, nonostante gli sforzi per neutralizzare il controllo politico sui media, trasferendo le funzioni di monitoraggio e di esecuzione a organismi indipendenti, il sistema normativo è talmente confuso e complicato da svuotarne completamente il significato. Commissione di vigilanza Rai all’interno del settore della radiodiffusione, un altro importante tassello è rappresentato dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. La Commissione è stata creata con la legge 103/1975 per definire e monitorare il rispetto di principi quali il pluralismo, la correttezza, la completezza e l’imparzialità dell’informazione, ma si concentra solo sul servizio pubblico, la RaI. Non fornisce una definizione molto dettagliata degli obiettivi da raggiungere annualmente dalla RaI, in maniera da non limitare la libertà di espressione e di stampa, e al tempo stesso per rafforzare la concorrenza con le emittenti private. Gli interventi sono stati molto pochi e solo in casi eccezionali: il suo ruolo è sempre stato limitato dalla sua stessa natura politica. Ha anche voce in capitolo per la lista di candidati al consiglio di amministrazione della RaI. 34 La circostanza che la composizione della Commissione di vigilanza replica l’attuale maggioranza parlamentare 44 R I C E R C A La Federazione Nazionale della Stampa fondata nel 1908, con il concorso di alcune associazioni regionali di giornalisti, allo scopo di rendere indipendente la categoria dal potere politico ed economico, la fnsi fu ricostituita nel luglio 1943, subito dopo la caduta del fascismo per ripristinare la libertà e l'autonomia negata in quel periodo. al centro della sua azione pone proprio la difesa della libertà di stampa, la pluralità degli organi di informazione, la tutela dei diritti e degli interessi morali e materiali della categoria. Oggi l'organizzazione include venti associazioni e sindacati regionali, tre associazioni di giornalisti italiani all'estero (in francia, Germania e Inghilterra) ed è il sindacato unitario dei giornalisti italiani nel quale si riconoscono e si confrontano le diverse visioni culturali e politiche. Il Consiglio Nazionale degli utenti al fine di incoraggiare un collegamento più stretto tra l’autorità e la società civile, la legge 249/1997 prevede anche un Consiglio Nazionale degli Utenti, che è stato recentemente trasformato in Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti. 35 In Particolare, può formulare pareri e proposte all’autorità, al Parlamento, al n. 4/2010 S T O R I A , C U L T U R A governo e agli altri organi pubblici o privati. E’ composto da esperti nominati dalle associazioni dei consumatori. a parte questo organismo, la partecipazione della società civile alla politica dei media è molto limitata, almeno in ambito istituzionale. tuttavia, le reazioni dell’opinione pubblica alla proposta di legge sulle intercettazioni e la pubblicazione dei dati relativi ad indagini in corso sono state tutt’altro che limitate. Il progetto di proposta è stato ritenuto eccessivamente riduttivo della libertà di stampa, e di conseguenza del livello adeguato di informazione dei cittadini. 36 Questo ha innescato un ampio dibattito nella società, amplificato soprattutto dai social media e da internet. La crescente opposizione sociale ha avuto l’effetto di spostare i tempi per l’approvazione della legge, e alla fine l’introduzione di modifiche nei suoi contenuti. In ogni caso, però, le sanzioni risultano particolarmente rilevanti. 37 Il quadro normativo dei media Il quadro normativo italiano riguardante il settore dell’editoria si è sviluppato in tre fasi principali. Nella prima, risalente al periodo tra le due guerre mondiali, lo stato non era solo il regolatore dei media, ma comincia anche ad essere coinvolto nell’organizzazione del settore radiotelevisivo che rientra nella categoria di pubblico servizio. Il risultato finale è l’affermazione del monopolio statale sulle trasmissioni e la creazione dello stretto legame tra politica e informazione esistente ancora oggi. La seconda fase nell’evoluzione della regolamentazione dei media è coincisa con le profonde modifiche costituzionali che si completarono dopo il rico- n. 4/2010 E R I C E R C A noscimento dei nuovi principi e diritti nel rapporto tra stato e cittadini. Il periodo di tempo di questa fase risale al 1960 e al 1970, quando il modello di monopolio pubblico va scemando e il trend di concentrazione che caratterizza la stampa porta alla stesura di un quadro normativo più corrispondente alla realtà. Il dibattito in quel periodo si concentra principalmente sull’impatto sociale dei media e la loro capacità di influenzare la formazione politica e culturale dei cittadini. Il punto di riferimento principale è senza dubbio il principio della libertà di espressione, letto alla luce del pluralismo delle fonti d’informazione, che avrebbe dovuto anche tener conto delle limitazioni tecniche applicabili ai mezzi di comunicazione specifici. al legislatore viene chiesto di bilanciare il ruolo monopolistico dello stato nel settore dei media con la necessità, inevitabile, di media liberi e indipendenti. I successivi interventi possono essere letti come un insieme di correzioni e modifiche del vigente quadro, concentrandosi su tre assi portanti: l’equilibrio tra il ruolo del Parlamento e l’esecutivo nella regolazione del sistema dei media, e in particolare i loro rispettivi ruoli per quanto riguarda il servizio pubblico; la definizione di un rapporto più stretto tra le reti dei media e delle comunità locali; l’introduzione di nuove forme di partecipazione dei gruppi sociali nella gestione e nell’uso dei media, per esempio attraverso la creazione di nuovi organismi consultivi e la definizione di un diritto di accesso per specifici gruppi sociali. Negli ultimi tre decenni abbiamo assistito all’emanazione della legislazione di “terza generazione”.38 Il contesto sociale 45 alla trasmissione analogica. 31 In collaborazione con l’autorità Garante della concorrenza e del Mercato, l’aGCM. Cfr. G. Montella, “La Collaborazione dell’autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni all’attuazione della disciplina comunitaria, in M. Manetti (ed.), Europa e Informazione (2004) 189. 32 In collaborazione con il la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. Cfr. aGCOM, “posizione dominante: le sanzioni per la RaI, RtI e Publitalia 80 (2005), disponibili su: http:// www2.agcom.it/p rovv/d_226_03_ CONs.htm. 33 34 L’elenco dei candidati viene approvato dal Ministero dell’Economia e presentato ai membri dell’assemblea societaria RaI. vedi articolo 49 del tUsMaR. Cfr. articolo 136 del decreto legislativo 206/2005. 35 36 si potranno pubblicare almeno "per riassunto" gli atti di un processo non più DESK segreti. Divieto, invece, per i testi delle intercettazioni. Chi pubblicherà un brogliaccio, a prescindere da cosa contenga, sarà punito con un mese di carcere e la multa fino a 10mila euro. Gli editori rischieranno fino a 450mila euro. Carcere fino a tre anni per chi pubblica intercettazioni destinate a essere distrutte. Oltre all'indagine penale, si potrà incorrere nella sospensione cautelare fino a tre mesi. se si tratta di impiegati dello stato si tratterà di una sospensione dal servizio, se si tratta di giornalisti la sospensione sarà dalla professione. 37 38 Caretti, Diritto dell’informazione e della comunicazione, p. 186.Stefania Di Mico, Ufficio Relazioni Esterne Johnson&Johnson DESK S T O R I A , C U L T U R A E è cambiato e il regolamento ha dovuto affrontare nuovi sfide: l’accelerazione dell’innovazione tecnologica per la scarsità di risorse in reti di radiodiffusione, la crescente pressione dei settori imprenditoriali e pubblicitari per una liberalizzazione e privatizzazione della radiodiffusione, la necessità di abbracciare i media come un complesso convergente che non è più compartimentato in diversi settori di mercato. L’apertura del mercato delle trasmissioni televisive anche a privati è stato il primo passo in questo nuovo quadro, tuttavia il legislatore non ha fornito regole precise che stabiliscano l’accesso e le attività di questi operatori sul mercato. sono stati fatti tentativi per correggere abusi di mercato, l’introduzione dei massimali per i ricavi pubblicitari, in modo da monitorare i meccanismi di finanziamento e le normative anti-trust, al fine di verificare il livello di concentrazione nel settore. Le criticità principali di cui risente l’attuale quadro normativo sono, innanzitutto, il ruolo dello stato, che si è trasformato dalla posizione di liberatore dell’attività informativa, ad un soggetto che regola e controlla l’applicazione del principi comuni in un settore in cui gli attori privati ora sono la maggioranza. In secondo luogo, la crescente importanza dell’autorità di comunicazione indipendente in termini di funzioni di regolamentazione, ma con una indipendenza non ancora raggiunta completamente. In terzo luogo, le difficoltà di introduzione di efficaci norme anti-trust che possano limitare il trend di concentrazione e, allo stesso tempo, regolare il flusso di risorse finanziarie tra i diversi media. Infine, il ruolo del servizio pubblico nel nuovo contesto, che non rappresenta più un pilastro per la salvaguardia del pluralismo dell’informazione ma una garanzia di accesso alle nuove tecnologie di comunicazione, nel tentativo di evitare il rischio di introdurre nuove forme di emarginazione sociale. L’analisi presentata nei paragrafi precedenti mostra con sufficiente chiarezza che il sistema dei media italiani è ancora in un periodo di transizione. E’ necessario andare nella direzione di regole certe, attraverso interventi legislativi efficaci, la ricerca di nuovi equilibri nell’assegnazione delle frequenze, la previsione di contributi all’editoria riservati alle reali rappresentanze pluralistiche e non ai partitini che mandano al macero le copie stampate coi soldi dello stato, un Ordine dei giornalisti riformato, agile e incisivo nelle sue sanzioni, una categoria di professionisti dell’informazione preparata, aggiornata alle nuove multimedialità, duttile al nuovo mercato ma anche tutelata da un contratto con gli editori in linea con l’Europa, il riordino di organismi istituzionali di controllo staccati dal potere politico, un servizio pubblico che assolva realmente alle sue funzioni, un’informazione corretta che serva il Paese per una sempre migliore crescita democratica. 46 R I C E R C A Rosa Maria Serrao n. 4/2010 P I C C O L A A N T O L O G I A DICONO DI NOI STEFANIA DI MICO “ vengo in pace», così Philipp schindler, vice presidente di Google, responsabile per l'Europa centro-settentrionale si presenta al World Editors forum di amburgo. Una battuta che strappa l'applauso di una platea non certo amica, quella dei rappresentanti (giornalisti e manager) della grande stampa internazionale, riuniti per una settimana di incontri e conferenze sul futuro dell'informazione nell'era di internet. Un futuro in cui il web, e il suo "grande fratello" Google, giocano un ruolo di non poco conto. Le controversie tra il colosso dei motori di ricerca e i grandi giornali internazionali non sono certo una novità. Mentre il primo continua a macinare utili nonostante la crisi, gli altri faticano a trovare un modello di business che consenta di compensare il declino delle vendite in edicola. E questo perché Google domina il mercato dell'advertising su internet, spesso (è il caso di Google News) sfruttando contenuti giornalistici prodotti dai giornali tradizionali. [...] L'opinione di Erik Willberg è che «i giornali di carta lentamente spariranno, soppiantati dalle edizioni elettroniche». [...] Chi invece non è convinto che questo processo avverrà in maniera così n. 4/2010 radicale è Giovanni Di Lorenzo. Origini italiane ma tedesco al 100%, dal 2004 è direttore del Die zeit, caso più unico che raro di di settimanale che invece di perdere continua ad aumentare le copie vendute in edicole. «Non ho idea di quello che sarà il futuro del nostro settore - risponde a chi gli chiede consigli - ma sono sicuro che quello che farà la differenza sarà sempre e comunque la qualità. Certo ci sarà un consolidamento dei grandi giornali in tutto il mondo ma la carta rimarrà ancora a lungo e credo che solo noi giornalisti potremmo contribuire a mantenerla in vita, producendo contenuti originali e costruendoci giorno per giorno la nostra autorevolezza». Andrea Franceschi Il Sole 24 Ore, 6 ottobre 2010 Stefania Di Mico, Ufficio Relazioni Esterne Johnson&Johnson U n'edicola digitale per salvare la stampa scritta: è l'idea di otto testate francesi, decise a lanciare una propria piattaforma per contrastare lo strapotere di apple e Google sul mondo dell'informazione online. sono cinque quotidiani (Les Echos, L'Equipe, Le figaro, Libération, Le Parisien) e tre settimanali (Le Nouvel Observateur, Le Point, L'Express), i più conosciuti, ma forse anche quelli che soffrono di più la crisi della 47 DESK P I C C O L A A N T O L O G I A stampa. [...] L'obiettivo del nuovo ePress Premium è quello di ridare alla stampa il controllo dei propri contenuti e della loro diffusione, di smarcarsi da apple (che preleva il 30% sul fatturato delle applicazioni) e da Google (che assorbe quasi tutto il mercato pubblicitario approfittando dei contenuti giornalistici). La piattaforma, operativa forse dalla primavera, dovrebbe centralizzare l'offerta delle singole testate, consentire l'acquisto di un solo esemplare o di semplici articoli attraverso un sistema di micropagamento, la sottoscrizione di abbonamenti. [...]"Per noi è una questione di sopravvivenza", dice frédéric filloux, amministratore delegato del consorzio. La stampa transalpina è infatti molto malata, soprattutto quella cosidetta nazionale, cioè parigina : le vendite sono ridotte all'osso, la pubblicità scarseggia, le riduzioni dei costi impoveriscono sempre di più l'offerta, quindi la diffusione. [...]Resta da vedere se gli internauti saranno disposti a pagare. Le alternative gratuite restano infatti numerose e non si limitano alla free press: i siti di radio e tv, per esempio, sono di ottima qualità. L'edicola digitale, insomma, è una scommessa che si giocherà soprattutto sui contenuti. Giampiero Martinotti La Repubblica, 06 dicembre 2010 Equando arthur sulzberger, ra il febbraio del 2007 DESK erede dalla famiglia che controlla il New York times, stupiva il mondo dei media annunciando che, nel giro di cinque anni, il prestigioso quotidiano della "grande mela" sarebbe forse uscito solo nella sua edizione online. sono passati appena tre anni, ma sembra un secolo 48 fa. almeno a sentire le parole che il ceo Janet Robinson ha pronunciato nel suo intervento al World Editors forum di amburgo, gli stati generali della stampa internazionale, dove il premio Nobel Gunther Grass ha spiegato perché non leggeremo i suoi libri su iPad. “Continueremo a stampare su carta ancora per molti anni a venire - ha detto - perché crediamo che nella carta ci siano ancora grandissime potenzialità” Andrea Franceschi Il Sole 24 Ore, 7 ottobre 2010 N onostante la capacità di rimbalzare di link in link, fino a raggiungere un pubblico potenziale di tutto rispetto, Human Highway ritiene il fenomeno blog d'informazione maturo al punto tale da prospettare uno scenario volto al consolidamento e alla convergenza con il mondo dell'informazione tradizionale. a differenza della prima era dei blog, oggi l'uso da parte dei giornalisti di grandi testate, all'interno dei siti dei giornali online o in maniera indipendente, è diffuso al punto tale da attrarre gran parte del traffico dell'attenzione: cinque dei dieci blog più citati (Gad Lerner, Piovono Rane di alessandro Gilioli, voglioscendere di Peter Gomez e Marco travaglio, IlPost di Luca sofri, Luca De Biase) rientrano in questa categoria. [...] In un momento in cui la stampa cartacea subisce una emorragia di copie e di lettori, bilanciata almeno in parte dalla crescita di visitatori sui siti di informazione online, i navigatori che leggono abitualmente blog dimostrano di avere abitudi- n. 4/2010 P I C C O L A ni di lettura frammentate. Il 2,6% di chi naviga e legge blog dichiara di non visitare siti d'informazione online e soltanto il 2,7% legge quotidiani cartacei, dimostrando un attaccamento forte ai blog stessi. Luca Conti, Nòva Il Sole 24 Ore, 25 novembre 2010 ENewsCorp lavora in gran ’ dall’inizio del 2010 che segreto sul progetto del quotidiano per l’iPad e sembra che Rupert, a dispetto dei suoi 79 anni, sia attivamente impegnato nel progetto che segna una importante conversione nella sua filosofia editoriale. Murdoch, infatti, che é di origini australiane, aveva sempre creduto e investito nei giornali di carta. Ma due anni fa, convintosi della progressiva erosione dei margini di guadagno, ha avviato una crociata contro Google, accusando la società di Brin e Page di favorire il furto delle notizie dagli altri giornali. Poi si é ribellato alla tendenza a offrire gratis le informazioni sui siti dei quotidiani, come fa ancora il suo concorrente numero uno, il New York times, e ha insistito perché ci fossero abbonamenti paganti per accedere alle notizie digitali di quasi tutte le testate della NewsCorp, a cominciare dal times. E nel boom dell’iPad di steve Jobs, che da aprile ad oggi é stato comprato da 7,5 milioni di utenti, Murdoch ha intravisto un prodotto quasi miracoloso in grado di cambiare il mondo dell’informazione. [...] Pur lamentandosi per la concorrenza di molte app dell’iPad, Murdoch non ha perso tempo: the Daily sarà lanciato nel periodo natalizio soprattutto per l’iPad, anche se potrà essere letto su prodotti simili, come il Galaxy della samsung o il Playbook della Research in motion, la n. 4/2010 A N T O L O G I A società del Blackberry. [...] Di sicuro the Daily farà campagne di opinione e offrirà le notizie in modo diverso dalle altre testate. saranno più brevi, più agili, più interattive, solo di carattere nazionale e con “elementi di humor”. Insomma, più mirate a un pubblico giovanile: che poi é quello che ha tradito i quotidiani di carta e che il progetto della NewsCorp vuole recuperare. Arturo Zampaglione La Repubblica - Affari&Finanza, 22 novembre 2010 stidiano) i chiama the Daily (il quoe si scaricherà come un’applicazione pagando 99 centesimi per l’abbonamento settimanale attraverso il negozio online di apple, l’app store, su cui i fan di Jobs sono già abituati a pagare per videogiochi, canzoni, libri e altri contenuti. [...] “Non bisogna mai sottovalutare l’impatto di Murdoch che può spendere molti soldi nelle iniziative in cui crede - ha detto al Corriere Economia sree sreenivasan, docente alla scuola di giornalismo della Columbia University, specializzato in nuove tecnologie . E’ stato intelligente da parte sua essere il primo a fare un quotidiano solo per l’iPad, gli darà un vantaggio competitivo. E la notizia che sta assumendo 100 giornalisti, soprattutto giovani attorno ai 20 anni, é molto positiva per la nostra professione. Qui alla Columbia stiamo preparando un corso per formare queste nuove generazioni, con competenze anche d’ingegneria e scienza dei computer.” Maria Teresa Cometto Corriere Economia, 29 novembre 2010 49 DESK LT E SI I DB I LR A U I R E A “La comunicazione politica ed il ruolo dei media nel Medio Oriente: la questione irachena” di Tommaso Ulivieri Università La Sapienza Roma, Facoltà di Scienze Politiche Relatore: Prof.ssa Arianna Montanari Ltenuti di interesse pubblico politico prodotti dal sistema politico stesso, dal a comunicazione politica è definita come “lo scambio ed il confronto dei con- 1 G. Mazzoleni “La comunicazione politica”, 2004. 2 Il panarabismo affonda le sue radici nel Corano, il libro sacro dell’Islam. Qui viene spesso espresso il concetto di umma, vale a dire “comunità” o “fratellanza” islamica. La umma è una sorta di comunità globale che riunisce tutti i musulmani al di là di qualunque tipo di distinzione. 3 I finanziatori delle tre emittenti sono tutti legati DESK sistema dei mass-media e dal cittadino non solo nella sua veste di elettore1”. Negli ultimi anni il ruolo dei media ha assunto una rilevanza sempre maggiore, prima attraverso la stampa e la televisione e poi grazie alla diffusione di Internet. Consapevole delle distanze, non solo geografiche, dei paesi mediorientali rispetto al mondo occidentale, ho scelto di analizzare la nascita e l’evoluzione dei sistemi mediatici arabi con l’obiettivo di coglierne differenze, particolarità e possibili sviluppi futuri. al fine di evitare un’eccessiva astrattezza, la questione irachena potrà essere considerata esemplificativa di come la comunicazione politica in Medio Oriente abbia continuato ad avere estreme difficoltà di sviluppo e soprattutto di coinvolgimento dell’ultimo anello della relazione: il cittadino/elettore. L’analisi retrospettiva che ho svolto in questa tesi parte da una disamina del complesso mediatico mediorientale della seconda metà del XX secolo. al termine del secondo conflitto mondiale il primo stato che ha tentato di svILUPPaRE una propria struttura mediatica indipendente è stato l’Egitto. spinto dalla guida carismatica di Gamāl ‘abd al-Nāser, lo stato egiziano ha intrapreso la via del “panarabismo”2, prima politico e poi mediatico. a differenza del tentativo politico, che fallisce con lo scioglimento della RaU, in ambito mediatico l’Egitto riesce ad affermarsi come unica voce del mondo arabo. Questa situazione resta invariata fino al 1979, anno della firma degli accordi di Camp David, che costringono lo stato egiziano in una sorta di isolazionismo forzato nei confronti degli altri paesi arabi. Da un tale mutamento di equilibri emerge un altro paese che tenterà di sostituire l’Egitto: l’arabia saudita. Rifacendosi ai format di successo egiziani, il regno saudita, che fino a quel momento non aveva investito nel tentativo di costruire un sistema mediatico sviluppato, aiutato dai finanziamenti statunitensi, diventa il leader indiscusso dell’industria audiovisiva regionale. Questa è la situazione presente al momento dello scoppio della prima Guerra del Golfo, considerato un primo spartiacque nello sviluppo mediatico mediorientale. La guerra porta con sé una fondamentale novità: la televisione satellitare. I paesi arabi vengono invasi dalle immagini del conflitto trasmesse dall’emittente americana CNN, dando così il via a una prima rivoluzione mediatica. a svolgere il ruolo di protagonista è ancora l’arabia saudita che da un lato vieta la trasmissione della rete americana, ma dall’altro decide di “attaccare” il mercato della tv satellitare. In tre anni nascono tre emittenti, ad apparente finanziamento priva- 50 n. 4/2010 LT E SI I DB I LR A U I R E A to3: MBC, aRt e Orbit. Gli esperimenti sauditi non riescono ad ottenere i risultati auspicati, in particolare nel settore dell’informazione, dove persiste un vuoto patologico tipico dei media mediorientali. Dalle “ceneri” dei fallimentari tentativi sauditi, nel 1996 nasce al-Jazeera, una rete televisiva finanziata dall’emiro del Qatar al-thani che darà il via a una nuova rivoluzione mediatica araba. figlia della volontà di stravolgere gli schemi mediatici mediorientali in vigore fino a quel momento, al-Jazeera riesce in meno di dieci anni a diventare uno dei colossi mediatici più importanti al mondo. Il motivo di tale successo risiede nella capacità della rete di Doha di creare un mix equilibrato tra i modelli mediatici occidentali e le necessità d’informazione del mondo arabo. seguendo alla lettera lo slogan “l’opinione e l’opinione contraria” e grazie alla risonanza mediatica di eventi come l’attacco alle twin towers e la guerra in afhganistan, l’emittente di Doha ottiene in poco tempo un riconoscimento globale diventando la nuova voce del mondo arabo. La rivoluzione di al-Jazeera mostra i primi risultati nel corso della guerra in Iraq scoppiata nel 2003. volendo confrontare, dal punto di vista mediatico, il nuovo conflitto che ha colpito lo stato iracheno con la prima guerra del golfo lo scenario è mutato profondamente. sulla scia di al-Jazeera sono nate nuove emittenti private, mentre le vecchie reti governative si sono totalmente rinnovate tentando di emulare le scelte compiute dalla rete di Doha. Così per la prima volta i cittadini arabi hanno avuto la possibilità di ascoltare gli avvenimenti bellici narrati non più da un’unica voce straniera, bensì da diverse voci arabe. se un discorso di questo tipo può essere fatto per l’evoluzione televisiva, lo stesso non vale per lo sviluppo di Internet. L’euforia che ha accompagnato la nascita del World Wide Web in Occidente deve essere ridimensionata nel caso del Medio Oriente. La maggioranza degli stati arabi non possiede ancora infrastrutture necessarie per realizzare quella diffusione capillare già avvenuta in Occidente. Consapevoli del rischi che la rete può rappresentare per la libera circolazione di informazioni, i governi arabi hanno adottato una forte politica di controllo di Internet che ne ha limitato la diffusione. Nello scenario mediorientale l’Iraq, a causa dei conflitti in cui è stato coinvolto negli ultimi anni, ha rappresentato un possibile punto di contatto tra il mondo occidentale e il Medio Oriente. Dalla caduta del regime di saddam e dal tentativo di ricostruzione dello stato iracheno poteva nascere un nuovo soggetto politico, diverso e, per certi versi, innovatore. La ricerca, costituita da un’analisi politico-mediatica dello stato iracheno fino alle ultime elezioni politiche, testimonia, però, che allo stato attuale l’Iraq è ancora vittima di un diffuso conflitto interno. La divisione settaria investe ogni ambito della vita politica e sociale del paese, compreso l’ambito mediatico-comunicativo. Emerge, quindi, come non sia ancora possibile definire i futuri sviluppi del paese dal punto di vista politico e, di conseguenza, dal punto di vista mediatico. Lontano dal voler essere la soluzione finale dell’instabilità irachena, lo sviluppo di un sistema mediatico a se stante potrebbe, però, permettere un passo in avan- n. 4/2010 51 DESK LT E SI I DB I LR A U I R E A La “lettera 22”nelle sezioni di partito. La crisi e la scomparsa del quotidiano di partito nell’Italia della prima Repubblica di Teresa Sari Università LUISS Guido Carli Roma, Facoltà di Scienze Politiche Relatori: Prof. Paolo Mancini, Prof. Paolo Scandaletti Il’attesa leggendo il Corriere della sera oppure sfogliando il quotidiano del protalia, prima Repubblica. In fila alle poste, l’uomo della strada può ingannare DESK prio partito: in edicola, ogni giorno, accanto ai quotidiani indipendenti, trova l’avanti! del Psi, l’Unità del Pci, Il Popolo della Dc. E poi ancora La voce repubblicana del Pri, Umanità del Psdi, Il secolo d’Italia del Msi. Italia, seconda Repubblica: il comune cittadino in fila alle poste non porta sottobraccio un giornale organo di un partito. Nelle edicole non lo trova più. Che fine hanno fatto i quotidiani di partito? L’indagine condensata in La <lettera 22> nelle sezioni di partito si è posta come obiettivo proprio quello di risolvere questo giallo politico ed editoriale, ovvero di individuare le cause che hanno portato alla crisi e alla scomparsa delle testate politiche nell’Italia della seconda Repubblica. E, in effetti, una risposta sembra l’abbiamo trovata: i quotidiani di partito muoiono di morte naturale, all’alba della seconda esperienza repubblicana, per via della scomparsa dei partiti di massa della prima Repubblica di cui erano estensione – un organo, appunto. Ma chiariamo bene. Il sistema dei media di un paese, le sue caratteristiche e la sua struttura, dipendono dalla morfologia del suo sistema politico – lo insegnano Hallin e Mancini, Blumer e Gurevitch e seymour-Ure. I giornali di partito riempiono le edicole della prima Repubblica perché quest’ultima costruisce il suo assetto politico-istituzionale intorno a grandi partiti di integrazione di massa, che hanno una linea politica e un’ideologia da diffondere e, soprattutto, risorse umane e materiali da destinare all’attività editoriale. E quando le ideologie finiscono, le società cambiano e, con l’avvento della seconda Repubblica, il partito di massa non è più l’abito adatto per fare politica, i giornali di partito vanno in crisi, e muoiono. Del resto, i quotidiani organo di partito sono solo uno dei tanti modi di fare politica nell’era del partito di massa. La loro linfa vitale proviene dai finanziamenti dei partiti, prima, e dello stato, poi. E se si scorrono le cifre e le percentuali contenute nei bilanci relativi agli anni 1982-2000, $emerge come sia proprio il progressivo assottigliamento dei ricavi extra-editoriali e dei sovvenzionamenti dello stato, negli anni Novanta, a determinare il crack definitivo delle testate politiche. In fondo, in quegli anni, il partito di massa non è più il motore immobile del sistema politico. I giornali di partito non avevano più ragione di esistere – è opinione di Caldarola e Padellaro, Macaluso e Nerino Rossi, sangiorgi e Garofano, direttori di fogli politici diversi in epoche diverse. E, in effetti, a cosa serve un quotidiano di partito se i partiti non esistono più? 52 n. 4/2010 LT E SI I DB I LR A U I R E A Pubblicità, fra etica e mercato di Giancarlo Zizola Università di Padova, Teorie e metodologie dell’e learning e della media education Relatore: prof. Giancarlo Zizola Lriale in teorie e metodologie dell’e learning e della media education nell’U- a ricerca svolta da Laura Policastro per la laurea nel corso di laurea magiste- niversità di Padova si segnala anzitutto per l’ampio rinvio della struttura argomentativa, forte di puntuali basi dottrinarie, alla situazione reale della società. La socializzazione diffusa dei media è divenuta così estesa e capillare – nota l’autrice - da indurre fattori di modificazione antropologica nella sfera anche privata dei soggetti oltre a determinare significativi cambi di paradigma nelle collettività umane: si può dire che i nuclei familiari vivano avvolti dalla capsula mediatica globale ed è visibile quanto il dibattito politico sia ormai quasi requisito dagli spazi spettacolari e piuttosto irrazionali dei talk show. Di fatto, i media hanno guadagnato la precedenza sulle tradizionali agenzie educative quali la famiglia, la scuola e le Chiese. In secondo luogo, notiamo la cura posta dall’autrice nell’analizzare lo scenario fluido delle società ad alta intensità tecnologica nel settore delle comunicazioni globali considerandolo per ciò che è: un mondo tumultuoso,complesso e ambiguo. Da un lato s’impone un modello di comunicazione meramente funzionale, tendenzialmente emancipato da vincoli regolamentari, dall’altro si fa largo un modello normativo,radicato nella costellazione dei fini etici e pubblici propri dei media. a questo primo livello si sovrappone la tensione tra un principio di realtà, disegnato dalla ricerca della verità dei fatti come fattore costitutivo dei media, e una sempre più grave spinta alla sostituzione del tessuto fattuale e storico-critico della realtà con una realtà virtuale, riprodotta il più delle volte secondo codici ideologici e interessi dominanti di mercato. Un ruolo decisivo in questa operazione di alienazione della società post- industriale è svolto dall’impianto mediatico degli stereotipi. si tratta di una forma semplificata di rappresentazione mentale della realtà la quale, mediante categorie predefinite, assume connotazioni di certezza indiscutibile e comunemente accettata, a prescindere dalla sua dimostrazione sperimentale e dalla verifica razionale. Questo assetto stereotipato del reale è particolarmente richiamato in servizio nella comunicazione commerciale e pubblicitaria, uno dei motori dell’economia, oggetto specifico di questa analisi. Come forma tipica del mercato, la pubblicità ne rivela l’essenza, la radicalizza e la spettacolarizza. Ha bisogno di un pubblico la cui soglia critica sia manipolabile dalle simulazioni organizzate del consumo, inclusa la creazione di bisogni non necessari finché lo divengano realmente nel n. 4/2010 53 DESK LT E SI I DESK DB I LR A U I R E A processo del condizionamento mediatico. “La pubblicità – osserva opportunamente l’autrice – non rispecchia semplicemente gli atteggiamenti e i valori della cultura circostante ma, come gli strumenti di comunicazione sociale in generale, funge da specchio e contribuisce a modellare la realtà presentandone, a volte, un’immagine distorta. I pubblicitari selezionano i valori e gli atteggiamenti che vanno promossi e incoraggiati, promuovendone alcuni ed ignorandone altri. tale selettività evidenzia che la pubblicità non sempre riflette la cultura circostante”. La ricerca riconosce che la pubblicità, grazie all’impatto sui media, potrebbe esercitare un’influenza educativa sulle società ispirandola ad azioni edificanti e a una migliore osservanza dei valori fondamentali della convivenza civile. Ma non tace alcuni effetti negativi, tra i quali cita la creazione di bisogni fittizi, lo sfruttamento a scopo di lucro di richiami erotico sessuali, il ricorso alle tecniche dell’inconscio che, una volta universalizzate, portano pregiudizio alla libertà degli acquirenti, la fabbrica del consumismo e,nel caso della pubblicità politica, il far leva sulle emozioni, sui bassi istinti della gente, sull’individualismo, sul pregiudizio razziale ed etnico, piuttosto che su un forte senso di giustizia e del bene comune. In questo senso l’autrice avanza l’ipotesi di un possibile intralcio del sistema pubblicitario al sistema democratico e di suoi fattori corruttivi sul sistema culturale di una società nella quale deve essere riconoscibile che esistono beni per loro natura non scambiabili. “La pubblicità contribuisce in modo rilevante a omologare i comportamenti sociali quasi mai per il meglio” sottolinea Policastro. “In passato è stata sottovalutata questa influenza sulla quale occorre porre la massima attenzione”. La diagnosi si fa severa quando affronta la questione dell’emarginazione dei bisogni educativi e sociali di certe categorie di pubblico che non sono considerati dai modelli demografici dei target che i pubblicitari vogliono raggiungere. Ma integrando la denuncia con l’analisi, la ricerca entra nel terreno forse più interessante quando mostra la pertinenza delle trasformazioni del sistema produttivo, determinate dalla nuova centralità del fattore della conoscenza e dei beni immateriali, con la presa in carico del sistema etico dei valori anche nella comunicazione pubblicitaria. ”La comunicazione ha la funzione di costruire la personalità di una marca e di metterne in evidenza le differenze e le particolarità, non di crearle ingannevolmente. I caratteri e le valenze con cui è comunicato un prodotto, bene o servizio, sono le componenti chiave della sua identità. I prodotti rivestono un significato sociale poiché comunicano i valori delle persone che li utilizzano”. La valutazione degli stati d’animo dei consumatori si installa per questo tra i fattori decisionali del sistema produttivo e non a caso l’ “Indice di sviluppo umano” è stato convocato dall’ONU a integrare i meri indici materiali del Pil sullo sfondo di processi di de-monetizzazione e di risocializzazione di pezzi di economia, sotto l’impulso dell’economia “dell’immateriale” e del successo del web. E’ dunque in uno scenario mosso da forti correnti di mutamento culturale attive nell’economia mondiale (e forse anche influenzate dalla durezza della crisi 54 n. 4/2010 LT E SI I DB I LR A U I R E A mondiale) che la ricerca ricolloca la funzione della comunicazione pubblicitaria, ne coglie le nuove potenzialità culturali senza minimizzarne le distorsioni. fondamentale è il capitolo 3. Qui la ricerca contestualizza la questione dell’etica della pubblicità nella cornice storica della evoluzione della legislazione , prendendo in considerazione sia il quadro internazionale ed europeo sia quello italiano, dagli inizi della prima rivoluzione industriale ai nostri giorni. vengono individuate con meticolosa attenzione le differenti fattispecie considerate dal sistema giuridico, dalla pubblicità ingannevole e configurante concorrenza sleale a quella non trasparente e non riconoscibile, dai messaggi pubblicitari nocivi alla salute a quelli insidiosi per i minori fino alla forma sofisticata della “pubblicità comparativa”. E per ognuna di queste fattispecie l’autrice apporta una casistica ben documentata, riportando le valutazioni emanate dalle authority. Degna di apprezzamento sembra l’attenzione della ricerca – che vi dedica l’intero capitolo 4 - ai più recenti sviluppi del linguaggio pubblicitario, ben oltre la tradizionale tecnica della”persuasione occulta”, sui terreni raffinati della ricerca semiotica, che si addentra nella ricerca delle strutture testuali: Per cui il discorso pubblicitario non è più tanto una forma retorica di persuasione del consumatore a comprare determinati prodotti, quanto una procedura di valorizzazione dei prodotti ed una costruzione dell’immagine di marca che li sostiene. Non sono più unicamente ragioni di calcolo economico che vengono mobilitate per sollecitare il consumatore, quanto un vincolo identitario. si fa in modo che “il prodotto merce non sia considerato dal consumatore per le sue caratteristiche fisiche,ma in base ai valori immateriali che egli vi iscrive. allo stesso modo l’identità del consumatore si determina,volta per volta,sulla base dei valori presenti negli oggetti e quindi delle valorizzazioni in cui esso si trova narrativamente coinvolto. Prodotto e consumatore si costituiscono nella loro relazione reciproca, proposta dal racconto pubblicitario in modo ogni volta diverso, sulla base delle congiunture economiche del mercato e dei desideri circolanti negli immaginari sociali del momento. L’universo pubblicitario si rivela,in tal modo, come una grande macchina che riprende dall’immaginario collettivo situazioni, desideri e bisogni già esistenti e li trasforma in storie di soggetti che cercano di autorealizzarsi andando alla ricerca di quegli oggetti che,soli, possono rassicurare la loro identità”. Il riferimento narrativo alle passioni e il ruolo delle emozioni nelle scelte di consumo cambiano le strategie comunicative delle imprese: il potenziale cliente è anzitutto una persona che desidera e poi agisce acquistando l’oggetto che vuole. Questa innovazione determina il fatto che la dimensione emotiva e sensoriale “sia oggi uno degli aspetti dominanti della comunicazione di marca”. avvalendosi di acquisizioni dalle teorie di Greimas, Landowski, Roland Barthes,Umberto Eco e Gianfranco Marrone, l’autrice è in grado di analizzare le strategie innovative pubblicitarie di grandi marche come adidas, Benetton con le campagne “sociali” di Oliviero toscani sull’aids, la mafia, il razzismo,la pena di morte, la guerra e l’immigrazione, la telecom con lo spot sul Mahatma Gandhi e la pubblicità della Lancòme per il profumo “Miracle 8”, tutta costruita in chia- n. 4/2010 55 DESK LT E SI I DB I LR A U I R E A ve di lettura passionale. si tratta di altrettanti ateliers in cui la pubblicità si indirizza esplicitamente al sistema simbolico dei destinatari per modificarne, sollecitarne o utilizzarne il comportamento e il pensiero, in modo così incisivo da distinguersi una volta per tutte dalla massa dei messaggi che ingorgano il mercato. Questi sviluppi sono indicati dall’autrice come segnali di un possibile connubio tra semiotica,etica e mercato. tuttavia ciò che la ricerca narra sui rischi di reintegrazione del corpo femminile in nuovi sistemi di sfruttamento, specialmente quello consumistico, sembra segnalare il molto cammino che resta da fare per recuperare nello scenario pubblicitario il valore simbolico della figura femminile o almeno il rispetto della sua dignità di genere, offuscata da usi esibizionistici e ornamentali,quando non esplicitamente pornografici. Qui l’autrice deve prendere atto di una autentica “caduta del simbolico”, che lascia l’oggetto “senza veli,senza enigma, senza mistero, senza il valore della metafora” e trascina con sé effetti devastanti. I dati citati indicano apici virulenti della pubblicità violenta e sessista, un allontanamento della donna reale dall’ideale di donna veicolato dagli spot (si citano i casi estremi dell’uso della figura efebica della donna nella pubblicità ingannevole dell’acqua Rocchetta, in violazione del Codice di autodisciplina Pubblicitaria, e della pubblicità di pannelli fotovoltaici allestiti a Milazzo con lo slogan “Montami a costo zero” completato dall’immagine di una donna nuda sui tetti della città). E le derive dello stereotipo di genere in televisione sono troppo abbondanti per non indurre l’autrice ad appellarsi preoccupata a un soprassalto di responsabilità educativa e culturale nel ceto dirigente di questo Paese, affinché non ne aggravi il ritardo nel processo di emancipazione culturale. Infatti le modalità preCOMESIPRONUNCIA.IT sai pronunciare correttamente i nomi delle star hollywoodiane Elijah Wood, Keira Knightley, o tom Cruise? E quello del politico francese Olivier Besancenot o della tedesca angela Merkel? Per non parlare di musica: prova a dire scissor sisters o anastacia? Comesipronuncia.it mette ordine nella grande confusione fonetica che regna in Italia. Gente comune e professionisti della comunicazione si affidano all’intuito o alle reminiscenze scolastiche per citare nomi e termini stranieri che infarciscono quotidianamente l’attualità. Risultato? Queste pronunce, anche se sbagliate, diventano "ufficiali" perché convalidate da radio e televisione. Con un click puoi ascoltare la corretta articolazione dei suoni e verificare lo spelling esatto dei nomi comuni e propri messi a disposizione degli utenti. si sopravvive anche con un financial times mal pronunciato o un frankfurter allgemeine zeitung scritto approssimativamente, ma se ci vuole così poco per evitare una figuraccia, perché non approfittarne? avremmo potuto registrare direttamente i nostri esperti madrelingua per ottenere pronunce perfette, ineccepibili. Ma siamo italiani e, per produrre suoni che tutti noi possiamo ripetere senza esitazione, né imbarazzo, abbiamo fatto incidere i vari fonemi a voci nostrane, che garantiscono la fedele riproduzione italiana delle parole straniere. se il servizio non vi soddisfa, la vostra conoscenza delle lingue straniere è talmente buona che DESK 56 n. 4/2010 LN O IT I ZB I E ,R D O I C U M E N T I E C O N G R E S S I Il settimanale “Rheinischer Merkur” e la crisi della stampa cattolica tedesca E ’ stata qualificata come “una sconfitta per la stampa cattolica”: così l’autorevole mensile tedesco Herder Korrespondenz ha definito, nel suo ultimo numero di novembre, la prossima ricollocazione (a partire da dicembre) del settimanale Rheinischer Merkur. La gloriosa testata da sessantaquattro anni (fu fondata nel 1946) dava voce al composito mondo cristiano in Germania, specialmente perché “incartava” il supplemento Christ und Welt, espressione degli evangelici tedeschi di ogni confessione. Rheinischer Merkur non morirà definitivamente, perché si trasferisce, a sua volta, come supplemento del settimanale di amburgo Die Zeit, che è fra le pubblicazioni culturali e di costume più importanti della Repubblica federale: in una sorta di ecumenismo dell’informazione, a somiglianza del precedente fra Rheinischer Merkur e Christ und Welt. In uno degli ultimi editoriali, intitolato “Congedo e inizio”, il direttore, Michael Ruitz, non ha potuto nascondere il disagio per la nuova soluzione (documentato dai messaggi di rincrescimento di molti lettori del settimanale), che limita l’indipendenza della pubblicazione, anche se l’apertura “liberale” di Die Zeit resta come garanzia di autonomia di giudizio. L’episodio va inquadrato fra le difficoltà che coinvolgono l’insieme della stampa cattolica tedesca, in particolare per quanto riguarda i settimanali diocesani, in caduta libera di lettori. Così è stato documentato in una recente inchiesta dal trimestrale di studio sull’informazione Communicatio Socialis (lo pubblica l’editrice Gruenewald di Magonza), dal titolo “Ultima chance per la stampa diocesana”, Dall’indagine risulta lo stato di crisi della metà dei ventiquattro settimanali; di essi, soltanto tre hanno una diffusione che raggiunge il 5 per cento dei cattolici, mentre dodici sono sotto il 3 per cento. Di alcuni di loro è prevista la chiusura a breve termine. (Angelo Paoluzi) Il Centro di Documentazione Giornalistica crea un portale e nuovi corsi di giornalismo e comunicazione P er gli appassionati ai temi dell’informazione e alla scrittura è nato il Centrostudi Giornalismo e Comunicazione, www.giornalismoecomunicazione.it, una scuola e un portale che promuovono e coordinano attività di formazione e di ricerca nel campo del giornalismo e della comunicazione. L’iniziativa è a cura del Centro di Documentazione Giornalistica, società presente da oltre 40 anni sul mercato nel settore della comunicazione, editore dell’agenda del Giornalista, partner della federazione Nazionale della stampa Italiana e dell’Ordine dei Giornalisti per il quale realizza i volumi e la piattaforma di e-learning per la preparazione all’esame da giornalista professionista. “L’input è arrivato dalla volontà di offrire nuove opportunità di formazione e di crescita consapevole – ha dichiarato il direttore del Centro di Documentazione Giornalistica, Marcella Cardini – per i tanti giovani che si avvicinano al mondo della comunicazione, che hanno la passione per la scrittura o per il giornalismo”. n. 4/2010 57 DESK LN O IT I ZB I E ,R D O I C U M E N T I E C O N G R E S S I Il Centrostudi è stato inaugurato con due corsi base di giornalismo a distanza, di cui uno gratuito, rivolti a tutti coloro che intendono muovere i primi passi nel mondo dei media e che hanno la passione per la scrittura. La regolamentazione delle professioni come garanzia di qualità Ubisogno di far sentire la loro voce attraverso il COLaP”, (il Coordinamenn numero sempre maggiore di associazioni professionali nutrono oggi il DESK to delle libere associazioni professionali), ha affermato Giuseppe Lupoi, presidente dell’organizzazione, all’apertura dell’incontro COMPEtEtE.RE, che si è svolto il 22 ottobre scorso a villa Miani a Roma. Ed è proprio con questo intento che l’evento ha cercato di raggiungere due obiettivi fondamentali: il primo, far conoscere ai cittadini e alle istituzioni, l’importanza, nel tessuto sociale ed economico del paese, di coloro che aderiscono a questa realtà; il secondo, far capire quanto i cambiamenti del sistema finanziario abbiano bisogno di un organismo associativo delle professioni, alternativo e integrativo a quello degli ordini, che da soli non possono più garantire agli iscritti la competitività richiesta oggi dal mercato europeo e mondiale. La giornata degli stati generali del CODaP è stata articolata in due sessioni: la prima dedicata al “Cittadino garantito”, durante la quale i rappresentanti politici si sono confrontati con le forze sindacali, le associazioni dei consumatori e i professionisti stessi; e la seconda focalizzata sullo “show room delle professioni”, nella quale sono state presentate alcune nuove categorie di esperti. Da questi incontri è emerso che l’economia post-industriale, che vige attualmente, ha creato un nuovo tipo di forza- lavoro, che si è specializzata in una determinata competenza e che questa, ha moltiplicato nel proprio settore le sue conoscenze, tanto da creare delle richieste, da parte delle imprese e dei consumatori, tali, da far cambiare le strategie del mercato stesso. Questa situazione a fatto sì che, per essere il più concorrenziali possibili, sia diventato necessario costituire una nuova classe dirigente, composta da giovani professionisti, che abbiano una formazione idonea alle aspettative di un’economia libera e competitiva, e la cui bravura possa essere verificata e attestata periodicamente dalle associazioni di appartenenza. Questo nuovo quadro più dinamico ha, tuttavia, penalizzato gli ordini professionali rendendoli superati e obsoleti, poiché dopo l’esame di stato e l’iscrizione all’albo nessuno verifica più le competenze dei professionisti stessi. Il 4 ottobre 2010 il COLaP ha ottenuto il primo riconoscimento ufficiale delle associazioni, con la firma, da parte del Ministro di giustizia alfano, di concerto con il ministro delle Politiche comunitarie, del primo decreto di annotazione delle associazioni previsto dall’art.26. Questo atto consentirà a traduttori, interpreti, grafologi e amministratori di condominio, di essere rappresentati a livello nazionale e renderà l’Italia più competitiva con gli altri paesi europei. Purtroppo non tutti i professionisti sembrano pronti ad accettare questa nuova realtà e lo dimostra la reazione dell’ordine degli psicologi, che hanno annunciato il ricorso al tar contro i grafologi, perché temono che le consulenze di quest’ultimi possano danneggiarli professionalmente. auspichiamo che l’atteggiamento dei professionisti cambi e porti ad uno spirito più coeso ed unitario, che agisca nell’interesse di 58 n. 4/2010 L I B R I LIBRI RECENSIONI Lucio d’Alessandro Il medico dei vicoli sperling & Kupfer, 183 pag 17,90 € n. 4/2010 Gdente di medicina aspirano ciascuno al capolavoro della loro vita: Caccese uido Caccese luminare cardiochirurgo e Walter Episcopio mediocre stu- vuole imporre a Episcopio di sposare la figlia stella, brutta e insulsa, con l’arma del ricatto; Episcopio, disfarsi di stella alle soglie del matrimonio dopo essersene approfittato per ottenere la laurea in medicina. Ma l’ordine fatale dell’universo ha disegni imperscrutabili e il capolavoro di Caccese si compirà sortendo effetti inaspettati mentre quello di Episcopio fallirà in partenza. Chi nutre certezze fondate sull’esercizio di un potere fittizio o su comportamenti turpi e disgustosi è destinato a soccombere e solo le illusioni semplici trovano soddisfazione nel romanzo d’esordio di Lucio d’alessandro, sociologo, preside di facoltà e raffinato autore di novelle e racconti. all’indomani della seconda guerra mondiale i nobili ideali di rinascita o la necessità di un’analisi interiore dopo un ventennio di totalitarismo culminato nella tragedia finale non sfiorano lo scorcio di mondo raccontato ne Il medico dei vicoli. In una narrazione che si snoda con un movimento a rebours, la prima parte è datata 1949 ma inizia nei primi anni Quaranta; la seconda indietreggia dal 1994 come una sorta di viaggio nella memoria compiuto da Walter Episcopio, i personaggi come le loro azioni sono vigliacchi, meschini, cattivi, immersi in un mondo che non conosce bellezza. E loro stessi ne sono privati nei propri gesti, nelle proprie aspirazioni, nelle proprie fattezze. Il versetto evangelico Beati pauperes spiritus, quoniam ipsorum est regnum coelorum, che in epigrafe introduce la seconda parte, preannuncia tuttavia un miracolo, la conversione del protagonista: «in alcuni la verità è una componente del carattere, una grazia, sembra che vi siano predestinati. altri tendono a essa perché ne sentono il bisogno, e a un certo punto la raggiungono, fosse pure come risultato tardivo dei loro sforzi. In Walter era frutto di un accidente, di una frattura interiore sopraggiunta in un dato momento della sua vita; ci era inciampato in modo irreparabile da giovane, proprio quando tutto lo preparava a un destino scialbo, a una vita di piaceri opachi». a compiere questo unico capolavoro concorre stella Caccese la negletta figlia dell’ipocrita cattedratico, al fianco della quale Walter scopre la sublime superio- 59 DESK L I B R I rità dello spirito e della pietà, i morbidi piaceri di un amore esclusivo, la gioia di farsi umile servitore di una città infernale a cui fanno da sottofondo le parole della cabaletta verdiana Di quella pira l’orrendo foco. Il medico dei vicoli tra suspence e colpi di scena scorre lieve come un sorriso dolce e amaro e ci consegna una consapevole immagine critica di cinquant’anni di storia di Napoli: dal colera al terremoto, dalla criminalità organizzata alle pericolose azioni dei giustizieri del popolo; una realtà destinata a riproporsi finché i rintocchi sempre uguali di una pendola cadenzeranno, come quelli nella sala da pranzo di casa Oblònskij, le nostre vite. (Silvia Zoppi Garampi) Enrico Pedemonte Morte e resurrezione dei giornali 240 pag. 14,60 € ed. Garzanti testimonianze n. 471-472 160 pag. 15,00 € DESK U n panorama ampio di proposte per questo fine anno, una dozzina di volumi accumulati sul tavolo e meritevoli almeno di una lettura veloce da parte di chi si occupa di informazione e di comunicazione. Il libro-inchiesta di Enrico Pedemonte nasce da una lunga duplice esperienza di qualificato lavoro in Italia e negli stati Uniti, da una lettura molto pragmatica della crisi, rapportando i valori pubblici che danno significato al sistema dei media al degrado di quello italiano, con il riporto illuminante delle esperienze positive realizzate altrove. fa parte di questo credo l’informazione libera e di qualità, che aggrega la comunità e tiene nel mirino i suoi poteri. stimolando l’opinione pubblica a diventare competente e attiva, ingrediente indispensabile della democrazia compiuta. Perciò il sistema italiano dei media va “riprogettato”. anche su questo fronte è emergenza per l’Italia, degradata da freedome House tra i paesi parzialmente liberi. Ma andando dentro la crisi dei giornali, l’a. giustifica il ridimensionamento delle attività dispendiose, come i corrispondenti dall’estero e il giornalismo investigativo. Racconta l’esperienza americana di Pro Pubblica, sostenuta da una fondazione non profit: come abbia costruito un gruppo formato da inviati giovani ed altri di gran nome che con le loro inchieste hanno meritato nell’aprile del 2010 il premio Pulitzer. Così mette in rilievo lo straordinario emergere del soggetto pubblico-cittadini attivi. Cambia il rapporto delle persone con le notizie: si pagheranno quelle online di qualità, soprattutto i più giovani le prendono da molteplici fonti e partecipano alla scelta e alla confezione del notiziario. Cittadini informati dunque, ingrediente indispensabile ai giornali e alla democrazia. Perciò diventa più importante l’Huffington Post del New York Time. L’ultimo numero di Testimonianze, la rivista fiorentina fondata da Ernesto Balducci, dedica cento pagine all’interrogativo “Verso un mondo senza giornali?”. severino saccardi e Davide De Grazia danno spazio ad una pluralità di voci di giornalisti, esperti ed altri diversamente competenti sulla crisi del giornalismo tradizionale interagente con la multimedialità. La qualità è alta, come la passione civile che le muove; e risponde a Pedemonte quando giustamente lamenta come il tema del suo libro non appartenga al discorso pubblico italiano. Peccato che lui si basi, tra gli italiani, solo sulle voci del gruppo Espresso-Repubblica. 60 n. 4/2010 L I B R I Mauro Forno A duello con la politica La stampa parlamentare in Italia 170 pag. 18,00 € ed. Rubbettino Ricognizioni storiche sulla stampa parlamentare in Italia non ce n’erano. Nata nella sala stampa di palazzo Carignano a torino, con i primi giornalisti accreditati che, dalla tribuna, lanciavano “battute al vetriolo che disorientavano l’oratore e confondevano lo stenografo”. L’associazione, sorta soltanto nel 1918 e oggi guidata da Pierluca terzulli e Claudio sardo, ha affidato a Mauro forno, ricercatore torinese, l’incarico di ripercorrerne l’esperienza. Così è uscito il primo volume, che va dal 1848 al ’93, a porre rimedio egregiamente alla carenza. L’a. mette bene in rilievo due criticità assai significative. La prima riguarda i giornalisti parlamentari, che talora presentano “i mali cronici della nostra professione…le forme di sudditanza, di compromesso, di autocensura dovute alla vicinanza anche fisica con il potere politico”. Poi come già nei primi quattro decenni seguiti all’unificazione, i governi liberali della Destra come della sinistra utilizzarono sistemi più che arbitrari (sovvenzioni agli amici e fondi neri, censure e sequestri, controllo politico e di polizia) per addomesticare le testate. Coi governi Crispi, ad esempio, l’agenzia stefani ebbe agevolazioni e abbonamenti per tutti gli uffici governativi, impegnandosi a non diffondere notizie “lesive degli interessi” nazionali e subendo l’assenso del governo per nominare il direttore ed i corrispondenti dall’estero. (Mentre a Londra il Times rifiutava gli abbonamenti statali per tenersi libero di criticare il governo). Così Giolitti e Mussolini, nel controllare l’opinione pubblica, non fecero che replicare ed estremizzare prassi consolidate. Ecco una conferma storica del peccato originale dell’editoria giornalistica italiana: l’intesa col potere, per “gestire” le notizie e guidare le opinioni, combinando i rispettivi non sempre confessabili interessi. Mascia Ferri La voce muta analisi dell’opinione sociale nel dopoguerra 164 pag. 11,00 € ed ECIG Giorgio Zanchini Il giornalismo culturale 126 pag. 10,00 € ed. Carocci Mascia ferri, da studiosa accreditata dell’opinione pubblica qual è, ci offre un saggio illuminante ed amaro proprio sull’assenza dall’Italia di questo “soggetto politico delle democrazie moderne”, qui presente invece il pubblico come “spettatore di massa”. allora, cosa fare dell’opinione pubblica, si chiede l’a. Per intanto “in Italia è stata data voce a un’opinione costruita secondo le logiche partitiche”, cioè la si è sostanzialmente adoperata. Con un impianto storico-sociale, ferri analizza le opinioni degli italiani sui temi chiave presenti dal ’46 al’58. Poi critica gli stereotipi del cittadino indifferente alla politica e delle donne conservatrici, che hanno tolto dignità a persone “la cui opinione è rimasta senza storia”. Il giornalismo culturale non è soltanto quello che scrive di fatti culturali e di libri. “La cultura , dice Giorgio zanchini conduttore di Radio anch’io, “sta nel modo di impaginare il giornale, nel taglio dei pezzi…nel modo in cui sono pensati i palinsesti, e in particolare nella forma e nei contenuti delle fiction, dei talk show, dei contenitori pomeridiani, dei reality”. Così definito, l’a. ne segue le origini nel 1901 e le innovazioni in Italia dal neonato Giorno a Paolo Mieli direttore; confronta modelli e differenze col panorama internazionale. E conclude segnalando significativamente i limiti endogeni alla professione, quando questa considera colleghi di serie b quelli che si occupano di confezionare la “terza pagina”. n. 4/2010 61 DESK L I B R I Stefano Lorenzetto Cuor di veneto anatomia di un popolo che fu nazione 304 pag. 19,00 € ed. Marsilio La rassegna dei libri che raccolgono articoli s’apre con quelli di uno che confessa nella prima pagina: “l’unico hobby che coltivo è questo, il lavoro”. Così stefano Lorenzetto, veronese, rappresenta al meglio il popolo veneto che è uscito dalla depressione presente ancora nel censimento 1970 ed oggi è la regione più ricca, appunto per la laboriosità: qui trovano “il senso stesso del vivere” e s’innamorano del lavoro trovandovi “la dignità”. Ma alla tenacia s’accompagna spesso qualche arroganza ed invidia malcelata. venticinque interviste apparse su intere pagine de il Giornale, del quale l’a. è editorialista, intrise di gran mestiere e sottile intrigante ironia. Ritratti penetranti e rispettosi, dai quali escono persone vere, fatti e scelte di valore, radicamenti nella propria storia (prima la serenissima repubblica durata undici secoli, oggi il veneto rifondato sul lavoro non sugli schei ) che esprimono consapevolezze ed orgoglio. anche se qualche leghista altisonante va fuori misura. Brava gente, ottimista, che non demorde, la cui ricchezza è venuta dai sacrifici, che ospita bene tantissimi stranieri e offre servizi all’africa. Oriana Fallaci Intervista con il mito 594 pag. 21,00 € ed. Marsilio Qui abbiamo l’Oriana fallaci degli esordi, quando firma (1954) i primi servizi per l’Europeo. Cronista curiosa del mondo e degli uomini, brillante e tosta nell’affrontare e raccontare il cinema di Hollywood; la franca valeri che la riceve a letto, come “lo facevano Luigi XIv e la marchesa di Rambouillet”. Poi l’incontro con Pier Paolo Pasolini a New York e il ricordo di Ingrid Bergman, che per prima accettò l’uso del registratore per l’intervista. Indro Montanelli XX Battaglione eritreo 246 pag. 19,50 € ed. Rizzoli Il romanzo d’esordio di Indro Montanelli, scritto nel 1936 è riproposto ora con l’aggiunta delle lettere che inviò dall’africa ai propri genitori. aveva ventisette anni, era partito volontario per “trovarvi una coscienza di uomo”, scriveva decine di articoli per sei riviste culturali. Era andato laggiù per ragioni ”letterarie”, far il pieno di sensazioni persone fatti idee da raccontare nei libri. Questo primo viene inviato a spizzichi e bocconi al padre a firenze: il quale li aveva sottoposti al giudizio di Massimo Bontempelli, che li aveva fatti pubblicare da Panorama. Ugo Ojetti gli dedicò un elzeviro sul Corriere, apprezzandone il taglio antiretorico nuovo per quei tempi in Italia. Così ha cominciato Indro, anche con un pizzico di grande fortuna. Sergio Romano Le altre facce della storia 340 pag. 20,00 € ed. Rizzoli trovandosi spesso a dover tracciare brevi profili di personaggi in discussione sulla pagina delle lettere del Corriere, sergio Romano ne ha raccolti qui un centinaio. Una galleria di gente che, seppure in ruoli e modi diversi, ha pur dato una mano al farsi concreto della storia. Romano è sempre lui: freddino e preciso, autorevolmente chiaro. Giovanni Minoli La storia sono loro 540 pag. 22,00€ ed. Rizzoli trent’anni di storia italiana attraverso le interviste rilasciate dai maggiori protagonisti a Giovanni Minoli per il suo rotocalco televisivo settimanale Mixer, su Rai 2. Nata dalle riflessioni di Minoli, aldo Bruno, Giorgio Montefoschi e sergio spina, col sondaggista Mario abis, a partire dal 1979 la trasmissione ha segnato DESK 62 n. 4/2010 L I B R I per diciotto anni una delle pagine innovative della nostra tv munita di telecomando. Il modello del “faccia a faccia” ha cambiato il linguaggio del piccolo schermo. Incalzante, coi tempi strettissimi. Maria Luisa Busi Brutte notizie Come l’Italia vera è scomparsa dalla tv 270 pag. 18,00 € ed. Rizzoli Mauro De Vincentis Comunicare l’emergenza, crisis management: la gestione delle notizie che non si vorrebbe mai dare, Centro diDocumentazione Giornalistica,159 pag. 16,00 € n. 4/2010 Le brutte notizie di Maria Luisa Busi sono di due generi. Le prime, quelle che il tG1 non dà più, perché disturbano i manovratori. Il primo telegiornale italiano, costruito da tanta gente che la pensava in maniera diversa e che ha raccontato il nostro Paese, tutta l’Italia del bene e del male, ora viene fatto in un modo che gli fa perdere ascolti e credibilità. E la Busi, volto fra i suoi più noti, che “non ci sta” al degrado, se ne va. altri dissidenti vengono emarginati. Ecco le altre brutte notizie, per loro e per il giornalismo in Italia. (Paolo Scandaletti) Bdissesti ambientali: sono questi i mali che colpiscono la società odierna. In che lack-out, tsunami, terremoti, alluvioni, cibi transgenici, azioni terroristiche, modo allora affrontare questi disastri, senza creare allarmismi tra le persone e senza che la collettività perda fiducia nelle istituzioni? sono queste le tematiche proposte ed esaminate da Mauro De vincentis, nel nuovo libro “Comunicare l’emergenza, crisis management: la gestione delle notizie che non si vorrebbe mai dare”. L’autore, esperto di informazione e comunicazione,spiega, attraverso alcuni fatti di cronaca accaduti in Italia e nel resto del mondo, come il criterio in cui gli eventi vengono divulgati sia fondamentale per preparare i cittadini a ricevere informazioni di uno stato di crisi. Diffondere notizie riguardanti situazioni d’emergenza, non significa infatti creare stati di ansia e preoccupazione nella popolazione, ma indica rendere partecipi i lettori e i telespettatori, restituendo loro la sicurezza che tutto tornerà alla normalità. Per raggiungere questo obiettivo, i giornalisti devono seguire delle regole tecniche, che cambiano a secondo dei mezzi divulgativi utilizzati; e devono possedere una sensibilità che faccia loro capire ciò che è opportuno dire e ciò che non lo è. Capita spesso, soprattutto in questi ultimi anni, che in situazioni di pericolo gli organi di informazione diffondano troppe notizie e che la presenza invadente dei mass media possa far distogliere le persone da una corretta interpretazione degli avvenimenti stessi. Lo scrittore Mauro De vincentis, affianca poi all’analisi della comunicazione di eventi straordinari, alcuni esempi di studi di carattere antropologico e sociologico, che hanno rivelato l’esistenza di una interconnessione tra le reazioni alle catastrofi e l’ambiente culturale e politico nelle quali queste si sono verificate; mostrando come le istituzioni contribuiscano a costruire la percezione del rischio, del pericolo e del senso di colpa di un gruppo sociale. La lettura di questo libro risulta senz’altro utile sia agli addetti ai lavori che all’uomo comune, perché tutti dobbiamo sapere affrontare le emergenze in maniera corretta. (FdR) 63 DESK L Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Le garanzie nel sistema locale delle comunicazioni: funzioni delegate ai Co.Re.Com, Liguori Editore, 122 pag., s.i.p. I B R I Èzato dall’autorità per le garanzie nelle comunicazioni sul tema “Le garanzie appena stato pubblicato il volume contenente gli atti del convegno organiz- nel sistema locale delle comunicazioni: funzioni delegate ai Corecom”. a seguito della sottoscrizione dell’accordo quadro tra l’agcom, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e la Conferenza dei Presidenti delle assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, l’autority delle comunicazioni ha delegato ai Co.Re.Com. nuovi compiti tra cui il monitoraggio del sistema radiotelevisivo locale, la tenuta del registro degli operatori della comunicazione a livello regionale e la definizione delle controversie tra operatori di telecomunicazione e utenti. “attraverso la rete di solidarietà istituzionale si è dato vita ad un interscambio positivo di opinioni e di esperienze - sottolinea Maria Pia Caruso (dirigente dell’Ufficio di Gabinetto agcom) nell’introduzione - e si sono costruite le migliori condizioni per il funzionamento e l’organizzazione dei Comitati contribuendo a renderli protagonisti di una nuova fase di crescita e di assunzione di responsabilità, in qualità di garanti e mediatori tra le Istituzioni regionali e gli operatori di settore”. tra i contenuti di autorevoli esperti della comunicazione quello illuminante di Paolo Mancini, dell’Università di Perugia, che individua quattro aree principali di vigilanza e controllo: la pubblicità, il suo controllo, quello delle sponsorizzazioni e delle televendite; gli obblighi di programmazione, che cosa le emittenti locali trasmettono in relazione agli obblighi che l’autorità e le norme pongono all’emittenza; la tutela dei minori, la più importante tra le aree ma anche la più visibile; il pluralismo politico sociale. Mancini individua poi delle aree aggiuntive, importanti ma non determinanti, come la vigilanza sul diritto di rettifica e sulla pubblicazione dei sondaggi. Ma il punto saliente del suo intervento si snoda intorno alla proposta di arrivare all’adozione di criteri condivisi di vigilanza tra i diversi Co.Re.Com. Il volume ha il pregio di approfondire gli scenari prospettati dalle nuove funzioni delegate e definire un piano di formazione specificamente rivolto ai Corecom, individuando modalità operative e fornendo un aggiornamento nelle evoluzioni giuridiche, economiche e tecnologiche del settore delle comunicazioni. tutto per un servizio migliore ai cittadini utenti. (Rosa Maria Serrao) Libri ricevuti Howard Mittelmark / sandra Newman Come non scrivere un romanzo Una guida per evitare i 200 errori più comuni 224 pag. 18,60 euro ed. Corbaccio alberto Monticone e Paolo scandaletti (a cura di) Sui campi di battaglia per conoscere la storia 214 pag. 14,80 euro ed. Gaspari Emanuela Prinzivalli e Manlio simonetti (a cura di) Seguendo Gesù testi cristiani delle origini 640 pag. s.i.p. ed. fondazione L. valla e a. Mondadori DESK 64 n. 4/2010