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[email protected] 19.04.2016 12:44 [email protected] 19.04.2016 12:44 Corina Bomann Un’estate magica Traduzione di Sara Congregati [email protected] 19.04.2016 12:44 Titolo originale: Ein zauberhafter Sommer Copyright © by Ullstein Buchverlage GmbH, Berlin. Published in 2015 by Marion von Schröder Verlag. www.giunti.it © 2016 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese 165 – 50139 Firenze – Italia Piazza Virgilio 4 – 20123 Milano – Italia Prima edizione: giugno 2016 [email protected] 19.04.2016 12:44 Prologo Appoggiata al tronco di un albero sul ciglio della strada, La rissa guardava impaziente in lontananza. A quell’ora ormai erano in pochi a spingersi fuori città; la maggior parte degli abitanti di Meißen preferiva trascorrere la serata a casa, ma gari sorseggiando una birra fresca in giardino o sul balcone. Persino da lontano avrebbe subito riconosciuto la persona che stava aspettando. Si era appuntata i capelli, e ora sentiva una leggera brez za accarezzarle la nuca. Tutt’intorno i grilli cantavano e, di tanto in tanto, si udiva il fischio di un merlo. Larissa amava questo posto ai margini del centro abitato. Una vecchia pietra miliare, non visibile a prima vista, coperta dalle sterpaglie e dagli alberi divelti dal terreno, indicava la distanza di 30 chilometri, ma nel frattempo la città si era ampliata. Era qui che lei e Max spesso si davano appuntamento. Lui le ripeteva di continuo che i loro incontri erano una pietra miliare nella sua vita, e quel luogo dunque era perfetto. Di pietre, lui che era architetto se ne intendeva. Poteva parlare a giornate intere di edifici e delle differenze fra le tante va rietà di materiali. Qualcun altro, probabilmente, lo avrebbe trovato pedante, noioso, ma Larissa no, lei ne era affascinata 5 [email protected] 19.04.2016 12:44 e lo ascoltava con grande piacere e interesse. Al momento era molto impegnato in un importante progetto di ristrut turazione; per questo i loro incontri negli ultimi tempi si erano un po’ diradati, ma ognuno di questi veniva vissuto con maggiore intensità e coinvolgimento, perché nessuno dei due sapeva quando si sarebbero rivisti. Era stata una giornata di caldo afoso, e probabilmente non sarebbe raffrescato nemmeno durante la notte. Saranno contenti i contadini, pensò Larissa, ascoltando il rombo della trebbiatrice nei campi lì intorno, e sognando di vivere anche lei in campagna, un domani, lontano dal caos della città. Max sarebbe stato d’accordo? Per uno come lui, sempre in viaggio per lavoro, un’isola felice in mezzo alla quiete della natura non doveva essere poi un’idea così malvagia… Ma erano solo pensieri su cui indugiava per ingannare l’attesa: solo sogni a occhi aperti. Si trovava lì già da mezz’ora e Max non si era ancora fatto vivo. A dire il vero non era da lui. Arrivava sempre puntuale agli appuntamenti, talvolta persino in anticipo, e allora le rimproverava divertito il ritardo cronico tipico delle donne che non sanno mai cosa mettersi, anche se sapeva benissi mo che Larissa arrivava lì uscendo dal lavoro, dove spesso la trattenevano ben oltre l’orario. Oggi, stranamente, era arrivata prima lei. Il capo l’aveva fatta uscire presto e tutto era filato liscio. L’ appuntamento di quella sera sarebbe stato la degna conclusione della giornata. Eppure Max si faceva desiderare. Forse avrà fatto tardi al lavoro, cercava di tranquillizzar si Larissa. Ma cominciava a sentire i crampi allo stomaco, preoccupata che gli fosse successo qualcosa. 6 [email protected] 19.04.2016 12:44 Max aveva la pessima abitudine di andare troppo forte in moto. Un bel numero di multe per eccesso di velocità non gli erano bastate. Solo quando la portava con sé guidava con più prudenza. «Mi sa che d’ora in avanti dovrò sempre ve nire con te, se non voglio che ti capiti un incidente» aveva commentato una volta in tono scherzoso. Lui ci aveva riso su e l’aveva baciata. Quel ricordo la fece sorridere, ma poi l’inquietudine tornò a sopraffarla. Per l’agitazione cominciò a lisciarsi il vestito di lino rosa sgualcito. Max diceva che le stava bene, e per questo lo aveva indos sato quel giorno, non certo perché fosse l’abbigliamento più adatto per andarsene in giro in moto. Ma che importava, Larissa voleva essere bella per lui. Dette un altro sguardo all’orologio, sempre più nervosa. Max avrebbe dovuto essere lì già da un pezzo, ormai. Perché non arrivava? Allungò il collo nell’illusione di vedere più lon tano, e si prese un bello spavento quando, improvvisamente, un uccello spiccò il volo da dietro un cespuglio. Col cuore in gola, si girò di scatto sentendo un altro ru more. Vide una nuvola di polvere e pensò sollevata: Eccolo, finalmente! Ma quando il rumore fu più vicino si rese conto che non si trattava di una moto, ma di un’auto. Sconsolata, stava per distogliere lo sguardo quando improvvisamente l’automobile rallentò, fino a fermarsi. Lì per lì non riconobbe né l’auto né chi era al volante. Indietreggiò, sentendosi a disagio. Forse era solo un caso che la macchina si fosse fermata lì. Magari chi guidava aveva un appuntamento con qualcuno proprio in quel luogo. O 7 [email protected] 19.04.2016 12:45 forse, vedendola sola sul ciglio della strada, si era fermato a chiederle se avesse bisogno di un passaggio. Larissa fece un respiro profondo, cercando di rilassarsi. Se non c’era Max in quell’auto, cosa avrebbe fatto lei se quel tizio l’avesse importunata o aggredita? La tensione cresceva a dismisura. Spento il motore, l’uomo al volante scese. Aveva i capelli biondi, gli occhi chiari e le lentiggini sul naso. La guardò un istante, poi la salutò chiedendole come si chiamasse. Larissa non aveva alcuna intenzione di intrattenersi con uno sconosciuto e, invece di rispondere, continuò a guardarlo con aria diffidente. «Sono un collega di Max» si presentò l’estraneo. «Mi ha detto che dovevate incontrarvi qui.» All’improvviso l’uomo si incupì e si appoggiò alla macchina, come se d’un tratto non riuscisse più a reggersi in piedi. «Sono venuto a prenderla io per non farla attendere invano.» «Invano?» gli fece eco lei mentre quella parola inquietante continuava a ronzarle in testa. «Mi dispiace» replicò lui sinceramente afflitto. Larissa scosse la testa. «Perché, scusi?» domandò. «Non mi ha mai dato buca! Né ha mai mandato un suo collega…» Un brivido di terrore le corse su per la schiena. Solo due motivi potevano giustificare l’assenza di Max: o aveva deciso di lasciarla o gli era capitato qualcosa. L’ uomo guardava a terra imbarazzato, poi le porse una foto che aveva appena tirato fuori dalla tasca. Era spiegazza ta, ma si riconosceva chiaramente Larissa. Lei neanche più ricordava quando l’aveva regalata a Max. «Max… non può venire. Max…» gli tremava la voce. 8 [email protected] 19.04.2016 12:45 Cercò lo sguardo di Larissa, come nel disperato tentativo di capire quanto dolore fosse in grado di sopportare. Poi le spiegò perché Max non si era presentato all’appuntamento quel giorno. Un attimo dopo, tutte le speranze e i sogni di Larissa erano andati in fumo per sempre. 9 [email protected] 19.04.2016 12:45 [email protected] 19.04.2016 12:45 1 Larissa aprì gli occhi. Nel bagliore delle prime luci dell’alba intravide il display della sveglia sul comodino. Erano le 5:35. Un po’ presto per alzarsi. D’inverno amava prendersela comoda, indugiando qualche momento in più sotto le coperte, mentre d’estate non esitava a balzare giù dal letto. Indossò la vestaglia e andò in cucina. L’edificio in cui abitava era una vecchia casa padronale che aveva fatto ristrutturare insieme al fienile adiacente, l’antica stalla ora in disuso. La proprietà era circondata da un recinto di legno che, quando Larissa si era trasferita lì, era di colore chiaro, ma che col passare degli anni si era scurito per le intemperie, fino ad assumere una tonalità ramata. Dalle finestre del soggiorno si vedeva la casa dei vicini dall’altro lato della strada. A quell’ora del mattino tutto an cora taceva; i proprietari, una coppia di anziani, non si alza vano quasi mai prima delle otto e, di solito, per prima cosa facevano uscire il loro bassotto che iniziava ad abbaiare e non la finiva più. A Larissa non piaceva quel cagnolino, sia perché distur bava la quiete pubblica, sia perché aveva la pessima abitu 11 [email protected] 19.04.2016 12:45 dine di mordere i passanti ai polpacci. In ogni caso, il suo rapporto con quei vecchietti non andava oltre qualche frase di circostanza. Abitava lì da dodici anni ormai, ed era considerata un’ani ma solitaria. Nonostante avesse fatto conoscenza un po’ con tutti, di vere e proprie amicizie non ne erano nate. La cosa però non la turbava più di tanto: aveva ben altro di cui oc cuparsi. Le finestre sul retro della casa davano su un ampio giar dino lussureggiante di vegetazione e aiuole fiorite, ricoperte a quell’ora da un leggero strato di rugiada. C’erano anche un ciliegio, un melo e un pero. Larissa aveva cambiato tutto non appena si era trasferita, e dove un tempo c’era un orto aveva piantato una gran varietà di fiori. Da poco era comparso anche un dondolo, acquistato al mercatino dell’antiquariato e da lei stessa ridipinto e rimesso a nuovo. Era qui che Larissa amava rifugiarsi a leggere e a riflettere, raggiunta ogni tanto da qualche gatto del vicinato. Dalle finestre dello studio si godeva di una bella vista sui castagni imponenti, che all’alba proiettavano le loro lunghe ombre sulla fattoria. Era il suo panorama preferito. Di lì, d’estate come d’inverno, la sua fantasia spiccava il volo. Sui rami cullati dalla brezza mattutina e incorniciati dalle folte chiome, una miriade di uccellini cantava. E anche quando d’autunno il fogliame si tingeva e i rami diventavano spogli, quegli alberi mantenevano intatto il loro fascino, tanto che Larissa restava a fissarli a lungo. Purtroppo, da lì non si ve deva il lago: occorreva oltrepassare la collinetta su cui aveva allestito il recinto degli animali, al confine con i campi gestiti dalla cooperativa agricola. A stento si intravedevano i lavori 12 [email protected] 19.04.2016 12:45 di aratura e mietitura, tanto era fitta la macchia alle spalle della fattoria. Larissa si trattenne qualche istante alla finestra, poi si voltò. Come ogni mattina guardò compiaciuta le scarpe da don na che teneva esposte in vetrina. Bianche come la neve, niente di eccezionale in realtà, a parte il tacco elegante, ma Laris sa era riuscita a trasformarle nell’opera d’arte che si poteva ammirare dietro al vetro. I papaveri rossi finemente dipinti davano quel tocco di originalità che mancava per renderle davvero uniche. Gli ospiti e i committenti di Larissa ne rimanevano esta siati, ma nessuno di loro poteva lontanamente intuire quale storia nascondessero. Fosse stato per lei, nessuno l’avrebbe mai scoperta. La custodiva gelosamente in un angolo recon dito del suo cuore, dove lei soltanto aveva accesso. E, per sua volontà, erano sempre più rari i momenti in cui tornava a riflettere sul passato. Assorta nei suoi pensieri, Larissa sfiorò la vetrina. Dodi ci anni non erano bastati a farle dimenticare quei tre anni felici, prima della disgrazia. Sarebbe mai riuscita a lasciarsi alle spalle quella storia? Ma non era il momento, adesso, di abbandonarsi ai ricordi, e con fare risoluto uscì dallo studio. Qualche minuto dopo Larissa era seduta al tavolo di cuci na davanti a una tazza di caffè fumante e a dei waffel caldi. Fresca e profumata, l’aria del mattino entrava dalla finestra aperta. In lontananza sentì arrivare la bicicletta del postino. Larissa soffiò sulla tazza e bevve un sorso. L’ aspettava una giornata come tutte le altre. Be’, non proprio come tutte le 13 [email protected] 19.04.2016 12:45 altre, perché oggi una giovane donna le avrebbe portato a dipingere le sue scarpe da sposa. Non succedeva di frequente, non più di dieci volte l’anno, e d’estate piuttosto che d’inver no. Nonostante si avvicinasse il periodo della raccolta delle more, aveva accettato l’incarico. Dipingere le scarpe di una futura sposa era di buon auspicio per la coppia e, per farlo, Larissa trovava sempre il tempo. Dalle mail che Anne Heinrich, la sua cliente, le aveva scrit to, Larissa sapeva già che aveva ventiquattro anni, che aveva conosciuto il fidanzato su uno yacht nel Sud della Francia e che le piaceva il colore blu. Quindi ci voleva un soggetto di mare. Ma avendo dipinto soggetti del genere in più di un’occasione, le risultava ormai difficile proporre qualcosa di nuovo e originale. Parlando però con la donna e conoscendo meglio i suoi gusti, probabilmente avrebbe trovato un’ulte riore fonte d’ispirazione. Nel frattempo, bevuto l’ultimo sorso di caffè, il postino era già davanti alla casa. Quando Larissa gli andò incontro, stava scendendo dalla bicicletta. «Buongiorno, signora Liebermann, sempre mattiniera, lei!» la salutò allegramente, porgendole la posta. «Buongiorno signor Karstens! Siamo in estate: perché sprecare una bella mattinata di sole rimanendo a letto fino a mezzogiorno?» «Come se lei, d’inverno, se ne rimanesse sotto le coperte fino a tardi!» «Mi conosce bene, lo so!» replicò Larissa, augurandogli poi una buona giornata. Dopo aver ricambiato l’augurio, l’uomo risalì in bicicletta e riprese il suo giro. 14 [email protected] 19.04.2016 12:45 Di solito, Larissa, dopo aver preso la posta, rientrava su bito in casa, ma oggi si era trattenuta a guardarlo andare via. La colse una nostalgia che pensava non avrebbe più provato, ormai. Sarebbe bello avere di nuovo un uomo accanto, si disse; ma il postino, per quanto attraente, era fin troppo giovane per lei. Ma ora era tempo di mettersi al lavoro: c’erano da innaf fiare le piante del giardino e accudire gli animali nel recinto. Pochi si avventuravano sul sentiero che portava al recinto; fare quel tragitto per Larissa era un’occasione per meditare in solitudine. L’ erba bagnata di rugiada le solleticava le caviglie, il vento le accarezzava le spalle e alle orecchie le giungeva il cinguettio degli uccellini. Arrivò in cima alla collina, chiamata Monte delle volpi perché, un tempo, le volpi erano solite costruire lì le loro tane. La recinzione di legno e filo spinato che Larissa aveva predisposto, con l’aiuto di alcuni uomini del villaggio, deli mitava uno spazio in cui aveva accolto due cavalli, un asino, tre capre, quattro pecore e un cane da guardia. Arrivata al cancello, le corse incontro il grosso cane dal pelo chiaro a chiazze rosse e marroni, con il muso simile a quello di un Collie. «Ehi, Rufus, come va?» disse, richiudendosi il cancello alle spalle. Il cane abbaiò dimenando la folta coda, e Larissa, accarezzandogli la testa, gli diede un biscotto. Poi fece un fischio. I cavalli si mossero per andarle incontro, a rilento. Timi do, l’asino restò impalato nel suo angolino, le capre invece 15 [email protected] 19.04.2016 12:45 continuarono a brucare l’erba senza neppure degnarla di uno sguardo. Solo le pecore si precipitarono verso di lei. In realtà Larissa non aveva mai avuto intenzione di accu dire degli animali; il campo di more e le scarpe che dipingeva la impegnavano già a tempo pieno. Un giorno, però, aveva trovato l’asino abbandonato; le capre, poi, erano sbucate dal nulla sulla sua proprietà, mentre un vecchio contadino che si era trasferito in città dai suoi figli le aveva lasciato le pecore. I due cavalli, ormai attempati, li aveva salvati dal macello dopo la morte del loro padrone. Più di tutto l’aveva commossa l’incontro con il cane. Du rante una gita in bici lo aveva trovato legato a un palo di recinzione, denutrito e terrorizzato. Non sapeva dire cosa l’avesse sconvolta di più, che qualcuno lo avesse ridotto così o che nessuno prima di lei si fosse fermato a raccoglierlo per portarlo a casa. Per diverso tempo Rufus – questo il nome sul collare – se l’era vista davvero brutta. Ma alla fine ce l’aveva fatta e si era rivelato un ottimo cane da guardia. Larissa andò nella stalla dove teneva il foraggio. Prese dell’avena e del grano dai barili e li versò in un secchio. Si procurò il mangime per cani, riempì una dopo l’altra le man giatoie e le ciotole, poi fece avvicinare l’asino e le capre. Mentre gli animali mangiavano, Larissa si voltò verso il lago che luccicava per il riflesso del sole. Non lontano dalle sue rive, alcune case erano sovrastate da alberi imponenti. Davanti a una di queste, il cui frontone blu faceva capolino tra le chiome, c’era un grosso furgone per traslochi. Il padrone di casa aveva forse cambiato l’arre damento? Oppure era in procinto di traslocare? 16 [email protected] 19.04.2016 12:45 Larissa osservò il furgone per un po’, ma era troppo lon tana per riuscire a distinguere qualcosa. Forse dovrei passare di lì facendo finta di niente, pensò, mentre tornava alla stalla a chiudere la porta col catenaccio. Chissà, magari è gente carina: potrebbero essere clienti interessati alle more o alle scarpe da sposa che dipingo. 17 [email protected] 19.04.2016 12:45 [email protected] 19.04.2016 12:45 2 Quando il bus si avvicinò, Wiebke tirò su la borsa da viaggio, e non appena la portiera si aprì con un leggero cigolìo, salì a bordo ripensando all’estate precedente e alle vacanze passate in Inghilterra. Stavolta aveva scelto una meta più vicina: era diretta in campagna dalla zia per lasciarsi alle spalle un periodo buio e prendere le distanze dalla vita frenetica di Berlino. La sua migliore amica, Edita, era appena partita per Maiorca insieme alla sua ultima conquista, e lei doveva de cidere se rimanere sola in città o andarsene in cerca di un posto tranquillo in cui poter riflettere sugli avvenimenti degli ultimi mesi e, soprattutto, sul suo futuro. A casa dei suoi sapeva che non avrebbe trovato la quiete di cui aveva bisogno, per cui aveva deciso di andare a trovare la zia che abitava in aperta campagna nel cuore del Meclem burgo. Lì si augurava di risanare vecchie ferite e ricaricarsi per affrontare le decisioni difficili che prima o poi avrebbe dovuto prendere. Guardandosi nello specchietto retrovisore dell’autista, notò che aveva i capelli in disordine e le occhiaie profonde. Improvvisamente si sentì molto più vecchia dei suoi ventitré 19 [email protected] 19.04.2016 12:45 anni. Ma anche senza quella levataccia e lo stress di dover cambiare tre mezzi prima di raggiungere il villaggio della zia, come avrebbe dovuto sentirsi dopo un esame importante andato male e dopo aver mollato il ragazzo? Provò di nuovo quel fastidioso senso di impotenza che, oltre ad amareggiarla, la poneva ogni volta davanti alle stesse domande. C’erano stati dei segnali che avrebbe dovuto in qualche modo rico noscere? E, pur accorgendosene in tempo, avrebbe potuto o voluto invertire la rotta prima che fosse troppo tardi? Iniziava a dubitarne. Un uomo si sedette accanto a lei e, appena addormentato, iniziò a russare forte. Allora Wiebke mise da parte interroga tivi e rimpianti e, indossate le cuffie, si rifugiò nella musica assordante del suo lettore mp3. Quando riaprì gli occhi, l’uo mo non c’era più. Con la musica a tutto volume non l’aveva sentito scendere. Si tolse le cuffie e guardò dal finestrino. Erano in aperta campagna e il sole si rifletteva nelle acque limpide di un lago su cui si affacciava un campeggio. Lei non era tipo da dormire in tenda; preferiva di gran lunga la fattoria della zia. Ma la zia come avrebbe preso la sua improvvisata? Da quando si era trasferita, non si erano più viste. Larissa era la sorella di sua madre, ma non le assomigliava affatto. Mentre Josephine era quella con la testa sulle spalle, che si era sposata presto, Larissa era lo spirito libero, un grande mistero per tutti. Nessuno aveva più notizie di lei; in famiglia sapevano sol tanto che dodici anni prima aveva acquistato una fattoria e ci si era trasferita. Tutti tacevano sul motivo di una scelta tanto improvvisa e apparentemente azzardata, persino sua madre 20 [email protected] 19.04.2016 12:45 non ne faceva mai parola. A dire il vero Josephine non par lava quasi mai della sorella, e solo una volta aveva accennato vagamente a un uomo che doveva esser stato la causa della sua fuga in campagna. Il bus si fermò, Wiebke interruppe i pensieri sul misterio so passato della zia. Dalla scritta sbiadita “Strehlin” sul car tello della fermata, Wiebke si rese conto di essere finalmente giunta a destinazione. Quando il bus ripartì, lasciandosi dietro un nuvolone di polvere, Wiebke chiuse gli occhi concentrandosi sui rumori del posto. Più il bus si allontanava, più si facevano distinti il frinire dei grilli, il rumore di trattori nei campi e il cinguettio degli uccelli. Fece un passo indietro urtando inaspettatamente qualcosa di duro. Spaventata, cacciò un urlo che fu seguito da una doccia fredda sulle scarpe da ginnastica. Non aveva sentito arrivare alle sue spalle un ragazzo che trasportava dei grossi secchi d’acqua su una carriola. «Maledizione, stai attenta!» sbottò lui, scrollandosi l’acqua di dosso. «Scusa, non volevo!» balbettò Wiebke vedendolo acci gliato. Era un bel ragazzo, davvero notevole. Aveva i capelli bion di in disordine perché stava lavorando, e non volutamen te spettinati come li portavano in città i ragazzi alla moda. Aveva gli occhi azzurro cielo; peccato che in quel momento fossero accecati dalla rabbia. «Io…» aggiunse lei, timidamente, per poi bloccarsi di fronte al suo sguardo glaciale. Spazientito, il ragazzo afferrò 21 [email protected] 19.04.2016 12:45 di nuovo i manici della carriola per farle capire che doveva fargli spazio. Inalberato com’era, meglio lasciarlo passare. «Turisti» borbottò, sprezzante, mentre le sfilava davanti proseguendo per la sua strada. Wiebke lo seguì con lo sguardo. Aveva le guance in fiam me: quel ragazzo era davvero molto attraente. Quando si rese conto di aver abbassato le difese, scosse la testa ricordandosi del proposito di non farsi più coinvolgere sentimentalmente, almeno per un bel po’. Non aveva bisogno di altri guai. Dopo aver percorso qualche centinaio di metri lungo un sentiero, le si aprì alla vista il campo di more. Da lì mancava ancora qualche chilometro alla fattoria di Larissa, dall’altra parte del villaggio, ma con quel sole che picchiava così forte si vide costretta a fare una pausa. Era la prima volta che vedeva quel campo di persona; fi nora l’aveva visto solo in foto. Forse dovrei ritirarmi anch’io in campagna, lontano dalla vita frenetica e stressante della città, pensò. Ma trovarsi lì per il momento era più che sufficiente. Proseguì dunque a passo spedito e, superato un incrocio e percorso ancora un tratto della via principale, imboccò final mente il viale dei Castagni in fondo al quale abitava Larissa. 22 [email protected] 19.04.2016 12:45 3 La giovane donna all’ingresso del giardino sembrava non de cidersi a entrare. Indossava un vestito beige a roselline rosse e portava i capelli biondi raccolti in una treccia sotto l’ampio cappello di paglia. Aveva in mano una scatola, probabilmente le sue scarpe da sposa. Larissa si soffermò qualche istante a osservarla dalla fine stra in cucina, mentre finiva di asciugarsi le mani. Di ritorno alla fattoria aveva deciso di preparare una tor ta per il nuovo inquilino della casa accanto al recinto degli animali. Un regalo di benvenuto era un buon modo per farsi conoscere senza risultare invadenti. Era così che si accoglie vano i nuovi vicini, portando loro del vino, dei fiori, o magari una torta fatta in casa. Ma adesso era arrivata la sua cliente. Larissa mise l’impa sto a riposare in frigorifero e andò subito ad aprire. «Buongiorno, è la signorina Heinrich?» le domandò La rissa sulla porta. La giovane annuì. Larissa le porse la mano sorridendo. «Venga, entri pure.» «Complimenti per la casa, è davvero molto bella» disse la signorina Heinrich dopo essersi guardata intorno affascinata. 23 [email protected] 19.04.2016 12:45 «Anch’io e il mio fidanzato stiamo pensando di trasferirci in campagna. È così tranquillo qui.» «Oh, la tranquillità non manca, questo è certo. Però tenga presente che l’autobus passa di qui ogni tre, quattr’ore, e la città più vicina è a una trentina di chilometri.» «E questo le crea problemi?» Larissa scosse la testa. «No, era esattamente quel che cer cavo. Non faccio vita mondana, io.» «Vive di sola arte, non è così?» La giovane donna sorrise e si tolse il cappello. «Ah, mi chiami pure Anne.» «D’accordo, Anne. E lei mi chiami Larissa.» Larissa accompagnò la sua cliente nello studio. Chiunque entrasse in quella stanza non poteva fare a meno di notarle. «Oh, che splendore!» esclamò Anne, estasiata, vedendo le scarpe in vetrina. «Sono le sue?» «Sì» rispose Larissa sforzandosi di sorridere. «Sono le mie.» «Semplicemente stupende! Le ha dipinte prima o dopo il matrimonio?» Nel volantino pubblicitario si specificava che la coppia poteva farsi dipingere le scarpe prima o dopo le nozze, tut tavia quella domanda così improvvisa la turbò non poco. Tutti ammiravano quelle scarpe e, prima o poi, finivano per chiedere il significato di quelle decorazioni. Nessuno finora le aveva fatto una domanda così diretta e delicata al tempo stesso. «Queste scarpe… be’ io… io non sono sposata» disse alla fine Larissa tutto d’un fiato. «Sono giusto un modello, un saggio delle mie capacità» si affrettò a spiegare quando colse, imbarazzata, lo sguardo compassionevole della sposa. «Ma 24 [email protected] 19.04.2016 12:45 gari un giorno… chissà… dipingerò anche le mie scarpe da sposa. Oppure me le farò dipingere da qualcun altro.» «Perché, forse c’è qualcun altro che fa questo lavoro?» «Che io sappia, c’è una signora in Olanda» rispose Larissa. «In effetti è un’arte poco conosciuta.» Aggirato con sollievo l’argomento del suo matrimonio mai celebrato, Larissa invitò Anne Heinrich ad accomodarsi sul divano a fiori sotto la finestra. Era l’angolo della conver sazione, il luogo in cui cercava di approfondire la conoscenza delle sue clienti, cogliendone sentimenti, gusti, desideri. «Posso offrirle del tè o del caffè? Ho anche dei waffel fre schi.» «Allora non posso rifiutare.» Larissa sparì in cucina tornando poco dopo con un vas soio dall’aspetto molto invitante. Servì la cliente e poi si se dette di fronte a lei. «Ecco le mie scarpe.» Anne le porse la scatola che aveva in mano. La stampa dorata sul cartone bianco lucido parlava da sola: dovevano essere calzature molto costose. «Me le ha regalate il mio Martin» disse, accarezzando assorta il coper chio della scatola. Sembrava riluttante ad aprirla, come se avesse delle remore ad affidarle quelle scarpe tanto preziose. Ma Larissa non voleva dare giudizi affrettati. Forse era solo prudente: scarpe griffate come quelle dovevano esser trattate con i guanti di velluto. Peccato, però, che una vol ta indossate avrebbero inevitabilmente perso quell’aura di perfezione. «Posso vederle?» chiese Larissa preoccupata. Le scarpe di quello stilista non erano facili da dipingere – a dire il vero, era un vero e proprio sacrilegio metterci le mani! Ma il cliente 25 [email protected] 19.04.2016 12:45 andava accontentato, e Anne Heinrich era disposta a pagare una bella cifra per vedere realizzato il suo sogno. Larissa aprì la scatola con un certo timore reverenzia le. Avvolte in carta velina color porpora, c’erano un paio di décolleté con un tacco elegante, né troppo alto né troppo basso. Erano una vera e propria opera d’arte, e ogni donna, futura sposa o meno, avrebbe sognato di calzarle. Quando Larissa le prese in mano, il disagio che aveva provato al solo vedere la scatola non diminuì affatto. Un errore e avrebbe perso centinaia di euro. Finora non le era mai successo, ma non aveva neanche mai lavorato su scarpe così sofisticate. «Sono meravigliose, non trova?» «Sì. Non ci sarebbe neanche bisogno di dipingerle.» Anne Heinrich la guardò sorpresa. «Non crede… cioè, non vuole…» «Oh, nient’affatto, non si preoccupi, lo farò senz’altro, se è quello che desidera. Tuttavia vorrei che ne fosse sicura, anzi, più che sicura.» «Lo sono, mi creda!» Anne la guardava fissa. Per la prima volta da quando avevano iniziato a conversare, Larissa rav visò una forte determinazione nella sua cliente. Perfetto, pensò, riponendo con attenzione le scarpe nella scatola. «Mi racconti qualcosa di lei, Anne» disse, prendendo carta e penna che teneva sempre a portata di mano. In quelle situazioni, spesso le accadeva di pensare che avrebbe potuto fare la psicologa. Molti clienti, in effetti, parlando di sé e delle scarpe che volevano far dipingere, si aprivano completamente. Riemergevano così vecchie ferite mai sanate, oppure si intravedevano le prime incomprensioni 26 [email protected] 19.04.2016 12:45 matrimoniali. Larissa ascoltava attentamente e, all’occorren za, interveniva con una parola di conforto o con un consi glio. Talvolta, nel motivo che dipingeva si poteva cogliere un messaggio ben augurante. «Ho ventiquattro anni, proprio l’età giusta per sposarsi» esordì Anne, ma non risultò convincente. Sposarsi perché si è raggiunta l’età giusta non è molto saggio. Per fortuna aveva anche un’altra motivazione. «E Martin è la mia anima gemella.» «Vi siete conosciuti nel Sud della Francia?» «Sì, ero laggiù come ragazza alla pari quando lui è arrivato con la famiglia per passare le vacanze.» A Larissa apparve un’immagine. Uno yacht bianco e cam pi profumati di lavanda. Tutti e due motivi bellissimi: la la vanda per la scarpa sinistra, simbolo femminile, la barca e i gabbiani per la destra, quello maschile. «Com’è stato il vostro primo incontro? Lo ricorda?» «Sì, certo. Martin ebbe una reazione allergica alla lavanda, stava malissimo. Io mi trovavo per caso nei paraggi e avevo con me delle pillole contro il raffreddore da fieno. Ha fun zionato, ci siamo messi a parlare e tutti e due abbiamo capito, dal primo momento, di essere fatti l’uno per l’altra.» «Allora non sarebbe sicuramente una buona idea dipinge re della lavanda sulle scarpe» osservò ironica Larissa, pronta a rinunciare all’ispirazione del momento. «Non vorrei che all’altare il suo fidanzato iniziasse a starnutire.» Anne scoppiò a ridere. «Non si preoccupi, al mio Mar tin piace la lavanda. Semplicemente è allergico al polline o alla lavanda essiccata… e comunque direi che l’idea può andare.» 27 [email protected] 19.04.2016 12:45 «Ne è proprio sicura?» «Sicurissima.» Anne fece un respiro profondo. «E magari anche delle rose. La casa di mia madre è interamente circon data da rose. È lì che, per la prima volta… sì, insomma, ha capito cosa intendo.» A quel punto le guance di Anne si infiammarono. «Sì, ho capito» la tranquillizzò Larissa sorridendo. «Mi racconti magari qualcos’altro di sé. Oltre alla lavanda e le rose. Qualcosa che potrebbe servirmi come fonte d’ispira zione… hobby, i suoi cibi preferiti… cose simili.» «Vediamo: da dove potrei cominciare?» si chiese la ragaz za con le guance ancora arrossate. «Da dove preferisce» la incoraggiò Larissa, pronta a scri vere. «Non occorre che mi racconti cose troppo personali; vorrei che mi parlasse di qualcosa che vi contraddistingue co me coppia, così da potermi fare un’idea di voi due insieme.» Anne rifletté per qualche istante, forse pentendosi di es sere venuta lì da sola, poi però iniziò a raccontare e Larissa cominciò a prendere nota. Mezz’ora dopo, Larissa aveva messo nero su bianco tutto ciò che le serviva riguardo ad Anne Heinrich e il suo fidanzato. Sapeva qual era il colore preferito, il piatto preferito, come amavano vestirsi, la musica che ascoltavano e la serie televi siva che seguivano insieme. «Bene, allora mi metto all’opera. Avrà le sue scarpe nel giro di sei settimane, in tempo per poterle provare un po’ prima del matrimonio.» Quando Anne Heinrich se ne fu andata, Larissa si sentì un 28 [email protected] 19.04.2016 12:45 po’ smarrita. Le capitava ogni volta: sottoponeva i suoi clienti a così tante domande che alla fine aveva la sensazione di essere diventata loro amica. Ovviamente non andava così: finora, nessuna delle sue clienti si era mai rifatta viva con lei dopo aver ripreso le scarpe e saldato il conto. Eppure, Larissa in quel momento aveva l’impressione che da casa sua fosse appena uscita una cara amica. Per non abbandonarsi a quello strano senso di improv visa solitudine, accese la radio in cucina. Sulle note di una musica jazz in sottofondo, sparecchiò la tavola e mise i piatti in lavastoviglie. Incrociando la finestra con lo sguardo, vide una sagoma all’ingresso del giardino. In un primo momento pensò che la signorina Heinrich avesse dimenticato qualcosa. Quindi vide che quella persona portava i jeans e aveva in spalla una borsa da viaggio; e poi aveva una certa somiglianza con sua sorella Josephine. «Oh Signore» mormorò Larissa e immediatamente uscì. Wiebke – Larissa era sicura che si trattasse di sua nipote – era ancora ferma davanti al cancelletto del giardino, incerta, come la cliente prima di lei, se entrare o meno. «Wiebke?» gridò Larissa. «Sei tu, vero?» La ragazza accennò un sorriso. Era rimasta spiazzata nel rivedere sua zia dopo tanto tempo. Dall’ultimo incontro non era cambiata quasi per niente. Sua madre Josephine dopo la gravidanza era ingrassata, Larissa invece, a parte qualche capello bianco che spiccava sulla lunga treccia rossa, dimo strava non più di trent’anni. Tutte e due le sorelle, però, ave vano lo stesso naso aquilino e la bocca carnosa. Larissa aveva preso dal padre gli occhi verdi, mentre Josephine aveva gli 29 [email protected] 19.04.2016 12:45 stessi occhi marroni della madre. Inoltre, Larissa era un po’ più alta di sua madre e di lei stessa. «Sì, sono io» rispose la ragazza imbarazzata. «Io… sono venuta a trovarti.» «A trovare me?» Larissa aggrottò la fronte. «Ti manda Josephine?» «No, io… io volevo semplicemente allontanarmi un po’ da casa. Posso fermarmi da te qualche giorno?» Larissa indugiò. Quand’era stata l’ultima volta che aveva sentito la figlia di Josephine? Sembrava passata un’eternità. All’epoca Wiebke portava ancora le trecce e l’apparecchio ai denti. Era l’anno in cui Larissa aveva comprato la fattoria e aveva deciso di ritirarsi in campagna. Nel frattempo Wiebke era diventata tale e quale a Josephi ne, a parte la magrezza, che aveva preso dal padre. Al di là delle incomprensioni con la sorella, poteva forse rifiutare a sua nipote un tetto per la notte? Con tutto quello spazio, per giunta? In fin dei conti non era con lei che aveva litigato. «Certo, vieni dentro» disse, aprendole il cancello del giar dino. 30 [email protected] 19.04.2016 12:45