i vangeli in versi e in rima
Transcript
i vangeli in versi e in rima
Francesco Fiorista I VANGELI IN VERSI E IN RIMA Poema cristiano PREFAZIONE La prima volta che ho letto questi versi è scattata in me – per formazione, per mestiere – l’abitudine filologica a smontarne la tessitura, a cercare le fonti, a ritrovare le citazioni, le reminiscenze, i più labili echi. Confrontavo la costruzione delle immagini con la parola canonica e secolare dei quattro evangelisti, ritrovavo (o scoprivo) episodi e immagini degli apocrifi, scorgevo indelebili i segni della poetica pascoliana e oltre, fino a Gozzano e alla Buona Novella di Fabrizio De André… Insomma, quasi automaticamente, ho fatto un lavoro da detective dilettante sul testo. Poi, però, ho riletto il libro, tutto d’un fiato, spinto da questa semplice motivazione: provavo piacere a sentire e vedere con la mente l’intrecciarsi di quei ritmi e di quelle immagini. Infatti, al di là di un’analisi filologica, in un testo può affiorare la poesia: quella composizione di pezzi dalle mille provenienze può far nascere qualcosa di nuovo, con una sua propria autonoma potenza suggestiva. Lo stesso Leopardi – se è lecito parvis componere magna – dipinge il risultato poetico come «una scintilla divina», lui che consapevolmente costruisce i suoi versi utilizzando continuamente linguaggio e immagini tratti dalla sua sterminata erudizione. Ma dove ho trovato qui la «scintilla divina»? Non nella calda fede religiosa dell’autore: questa semmai sarà stata il brodo di coltura per spingere un medico alla scelta del tema su cui poetare. La «scintilla» è nel modo in cui il tema è raccontato. La parola sacra (il mythos, in termine tecnico) in ogni religione è ancorata all’immobilità: ogni mutevole adattamento diventerebbe gesto empio nei confronti dell’eternità divina. Ma la religione cristiana ha una sua eccezionale peculiarità: il Messia del Nuovo Testamento è in tutto e per tutto un Dio-uomo. Ecco che l’immutabilità nel racconto della sua vita può limitare la sua parte umana, storica. Ed ecco perché nella civiltà cristiana l’arte figurativa a tema sacro ha avuto uno sviluppo così ampio e vario, interpretato con una certa libertà: i fedeli hanno sempre avuto bisogno di ritrovare l’umanità del Cristo, 7 non congelata in un’iconografia stereotipata (specie nel cristianesimo occidentale). Qui, nelle parole ritmate, l’autore va incontro a questo bisogno. Fin dalla nascita il Cristo è uomo: ha un cordone ombelicale che lo unisce alla sua mamma e che deve essere tagliato (con naturale imbarazzo del povero Giuseppe); e, se il primo riferimento sonoro è un neutro «vagito», subito dopo il bimbo «strilla», come tutti i bimbi del mondo. E, quando la famiglia è costretta a fuggire in Egitto, Maria, pur nella concitazione, «il bimbo / fasciava nel patello». Così – più oltre – l’autore sente il bisogno di esprimere il rammarico per «un silenzio di quasi vent’anni» – dai 12 ai 30 – nella storia di Gesù: nemmeno gli apocrifi ne parlano! E dedica a questo periodo sei strofe, seguendo l’immaginazione (il «verisimile» manzoniano…?). Infine, la katastrophé di questa storia: i quadri terribili di sofferenza e morte, prima quella del Battista e poi quella di Gesù. Qui indubbiamente la professione di medico consente all’autore (come già nelle descrizioni degli afflitti miracolati) un attento occhio clinico; ma, assieme alla verosimiglianza nella pittura della sofferenza, c’è anche la dolorosa solidarietà di chi è abituato a soccorrere il tormento altrui, spesso ad assistervi senza poter far nulla, senza poter cambiare l’ineluttabilmente fragile e precaria condizione umana, almeno su questa terra. E questa sensibilità l’autore è riuscito a tradurre in versi. Milano, ottobre 2002 EDOARDO DE CARLI * * Docente di Italiano e Latino al Liceo Classico Beccaria di Milano, collaboratore presso il Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Milano. 8 INTRODUZIONE ALLA QUINTA EDIZIONE A oltre cinque anni dalla quarta edizione, vede ora la luce una quinta e sempre rinnovata edizione del noto poema cristiano I Vangeli in versi e in rima, ormai divenuto – grazie anche alla favorevole accoglienza dei lettori fin dalla prima edizione del 2002 – un classico della poesia cristiana contemporanea. Opera che da sempre mancava alla nostra letteratura, ove il punto di partenza è il testo letterario dei Vangeli, poi poeticamente riscritto e come “pitturato”, questo poema cristiano non è soltanto un testo religioso o sacro: etichettarlo solamente così sarebbe infatti molto riduttivo. Né melense né retorico né soprattutto mai bigotto, esso infatti vive di una sua piena dignità letteraria. Con franchezza allora qui diciamo che: – se il lettore non si lascerà prendere da una certa diffidenza preconcetta verso le versioni di grandi opere altrui (i Vangeli, poi!) in lingua e linguaggi diversi da quelli originali, con risultati spesso deludenti e talvolta devastanti – se non giudicherà, a priori, questo poema come un tentativo un po’ presuntuoso ed ambizioso di un uomo di lettere (un medico, poi!) di utilizzare le sue grandi capacità espressive e il ricco patrimonio lessicale per offrire agli stupiti lettori un saggio di virtuosismo, trasformando in versi e in rima la prosa semplice, asciutta e essenziale dei Vangeli – se abbandonerà il possibile paragone con uno sterile rifacimento dentro a una bottiglia di vetro, per anni e anni, di una cattedrale di fiammiferi di legno – infine, se non crederà di trovarsi di fronte a una specie di operazione meramente tecnica, sia pure di elevato livello professionale se, dunque, non si comporterà così, respirerà un soffio d’aria fresca e pura, lontano dai miasmi della quotidianità, e il suo spirito ne uscirà risollevato e rinfrancato. 9 Infatti, pur imprigionando lo straordinario racconto della vita di Gesù nella camicia di forza di tradizionali e rigorosi canoni poetici, l’autore è riuscito a conservare la splendida semplicità e ingenuità dei Vangeli (forse in molti momenti anche ad esaltarla) spesso ricorrendo a immagini e accenti di autentico lirismo, trasformando i singoli episodi del racconto in veri e propri componimenti poetici che vivono di vita propria, accrescendone la suggestione e l’intima comprensibilità; risultato artistico reso possibile da una non comune sensibilità poetica e una fervida immaginazione, che hanno riscritto in versi ora agili ora dolenti dei soggetti quasi ineffabili. Una rilettura o rivisitazione dei Vangeli che, poeticamente rivissuti, rinascono a nuova vita e offrono un’autentica rimeditazione spirituale dei loro testi stessi; e anche, qua e là, con diverse “pennellate” di fantasia, sì, ma quanto belle e verosimili in questo lungo affresco evangelico! Qui poi non si legge una poesia da decifrare, per addetti ai lavori, un’Arcadia per accademici; ma si raggiunge il grande pubblico potenzialmente desideroso di poesia ma che i poeti di oggi non raggiungono più e mai perché non si degnano di scendere alle orecchie, alla cultura e all’animo di quel pubblico. Invece l’autore nel suo poetare pensa più al pubblico che a se stesso o ad un astratto canone di arte inderogabile. È infatti possibile fare letteratura che sia appetibile a tutti, in una parola scrivere una poesia popolare? La risposta, solitamente, è negativa. Ma l’autore con questo suo libro sembra capovolgere i termini del problema, e riesce a renderla, sì, possibile con la poesia, nel vario intrecciarsi dei ricami di versi sillabe e rime. Il risultato è duplice: dare emozioni artistiche a tutti i lettori e accostare o riaccostare quelli più o meno credenti al Vangelo. Non è poco. Infine, in questo periodo storico in cui tanto si dibatte sulla importanza di mantenere viva la nostra identità cristiana e sull’esigenza di una nuova evangelizzazione, questo libro può davvero contribuire a far conoscere la persona di Gesù e il suo Vangelo con un linguaggio nuovo, semplice, originale e consono ai tempi moderni. 10 La speranza è che nel tempo questo poema cristiano, vera riscrittura poetica della vita di Cristo che si fa nuova rilettura e gioiosa riscoperta per chi legge, diventi un testo che vive di vita propria e che col passaparola dei lettori sia di conforto letterario e spirituale per tutti, credenti e non credenti. Perché, come scrisse Benedetto Croce in un suo celebre saggio del 1942, noi per tradizione, cultura, arte, letteratura, poesia, pittura, musica, architettura, ecc. “non possiamo non dirci cristiani”. Milano, ottobre 2016 L’autore 11 L’ANNUNCIAZIONE DELL’ANGELO A MARIA (Lc 1, 26-38) Viveva Maria a Nazareth Tra gente contadina, Solo da pochi anni Non era più bambina; Aveva due occhi neri, Le guance color rosa, Del giovane Giuseppe Era promessa sposa. “Salute a te, Maria, Non avere timore. Sono venuto a dirti Che ti ha scelto il Signore Perché tu concepisca Nel tuo giovane seno Il suo divino Figlio Che si farà terreno. Era quel giorno un giorno A tutti gli altri uguale, E lei era occupata Nelle faccende usuali; Tra un attimo la Storia Si muterà, rinata Da questa straordinaria E divina ambasciata. Iddio si farà uomo E nascerà Bambino, Ma non per atto umano, Ma per voler divino: L’uomo non si può dare Giammai, dal proprio stato, Il Salvatore che Lo salvi dal peccato”. Mentre lei tutta sola Travasava del vino, Illuminò la stanza Un bagliore azzurrino; Andò il vino per terra, Restò senza parola, C’era di fronte un Angelo Biondo e con due ali viola: Maria, stupefatta, Si era intanto seduta, Ritrovò la parola Che era rimasta muta: – Come può nel mio grembo Battere un altro cuore? Mai giacqui con nessuno – Diceva con rossore. 39 “Al volere di Dio Non è vietato niente: Adesso Elisabetta, Tua già anziana parente, Malgrado molte rughe Le solchino la guancia Gioisce per il bimbo Che le sgambetta in pancia. Nel tuo grembo materno Così si compirà Il mistero divino Di nome Trinità. Solo grazie alla vita Racchiusa dentro te Contemporaneamente Iddio sarà Uno e Tre. Ad attinger, domani, Acqua dalla fontana S’alzerà forte un vento Come di tramontana; Un soffio d’aria a te Solleverà la gonna… … Ecco che sarai incinta Pur non essendo donna. Ma io, qui, dell’Altissimo Son solo ambasciatore: Che cosa devo dire Al mio e tuo Signore? Le sue intenzioni ormai Non ti son più segrete: Andrai domani a prendere Acqua per la tua sete?”. È stata scelta chi È umile, e Dio teme: Tu diverrai sua madre Non conoscendo seme. Poi dovrai solamente Qualche mese aspettare E la tua mano il ventre Sentirà fremitare; – Accetto che di Dio La volontà sia fatta –; Sarebbe stata madre Pur rimanendo intatta. ……………….. Più nulla vide quando Sollevò il capo chino: Ma impregnava la stanza L’odore acre del vino. Ancora un giorno e tu Sola non sarai più: Concepirai un Bambino, Lo chiamerai Gesù. Su cieli, mari e terra Regnerà il suo governo, Da adesso in poi per tutti I secoli, e in eterno. 40 VISITA AD ELISABETTA CANTICO DI MARIA (Lc 1, 39-57) Avuta la visione, Sollecita Maria Raggiunge Elisabetta Per una lunga via, Vuole felicitarsi Con la cara parente Per quella gravidanza Così stupefacente. “Salute, Elisabetta, Ti posso io abbracciare?”, E quella nel suo grembo Avverte un fremitare; Da quel segno interiore Capisce Elisabetta Che chi le sta di fronte È come lei, aspetta! Sapendo la cugina Anziana e un po’ malferma, Desidera incontrarla Come ad aver conferma: Conferma su di lei, Conferma su se stessa, Conferma alla divina Angelica promessa. Che è ricolma di grazia Lei che l’ha salutata, Le ricambia il saluto Chiamandola beata. Da quel segno interiore Comprende Elisabetta Che chi le sta di fronte Tra tutte è benedetta, Di montagna in montagna, Lungo una mulattiera, Dopo tre giorni arriva Che ormai è già quasi sera; E mentre Elisabetta Attende alla cucina, Maria piena di gioia A lei si fa vicina: Preparerà Giovanni L’arrivo di Gesù: A loro adesso è chiaro Il disegno che fu. E Maria eleva al cielo Un canto in cui ringrazia Iddio d’averla resa Così piena di grazia, 41 E di aver posto lei Da umile sua ancella Sopra il trono più alto, Splendente come stella: – Ora l’anima mia Magnifica il Signore E il mio spirito esulta In Dio, mio Salvatore. Ogni generazione Mi chiamerà beata Per questa gravidanza Divina e immacolata. Lui ha innalzato gli umili, Rovesciato i potenti, Ha disperso i superbi, Nutrito gli indigenti; Ha rimandato indietro I ricchi a mani vuote, Ha riempito di grazia Le anime a Lui devote. Con la grande ed eterna Potenza del suo braccio I re dai loro troni Lasciò fuori all’addiaccio, Con intenzioni giuste E misericordiose Ai poveri ed agli umili Lui ha fatto grandi cose. Santo è il suo nome, E santo è ogni suo detto: Lui non lascia mai soli Quelli che gli han rispetto. 42 Nel sceglier me, sua serva, Madre tra mille madri, Ha mantenuto quanto Promesso ai nostri padri –. ………………………. Ma poi ogni tanto un dubbio Le si insinuava, atroce: “E se avessi sognato? Fu vera quella voce?”; Si chiedeva, altre volte, Se aveva fatto bene A dir di sì all’Annuncio Dell’Angel Gabriele; Solo quattordici anni, Non era stata matta? Gravida dell’Altissimo, E rimanendo intatta! Si trovava, di notte, Sveglia di soprassalto: “E se fu suggestione? Delirio? O qualcos’altro?”. Passato che fu un mese Dai fatti fu convinta: Strane nausee, un ritardo… Lei era davvero incinta! Da quel momento in poi Dubbi non ne ebbe più: “… Ti nascerà un Bambino, Lo chiamerai Gesù…”. ……………………. Si trattenne da lei Oltre al giorno più lieto. Quando tornò, il suo stato Non era più segreto. MARIA RITORNA A NAZARETH: SUO INCONTRO CON GIUSEPPE Maria ritornò a Nazareth Gravida al sesto mese, Ed incontrò Giuseppe Al pozzo del paese; La camera nuziale In quella lunga attesa Lui aveva preparato Per farle una sorpresa. Un Angelo di Dio, Apparsomi in visione, Mi fece, stupefatta, Codesta Annunciazione, Che io avrei concepito Da Spirito divino Il Figlio dell’Altissimo Fattosi in me Bambino: Giuseppe, nel vederla, Non credeva ai suoi occhi: La veste a malapena Le copriva i ginocchi, E le faceva tondo Il grembo sotto il seno; La stessa veste, dietro, Rasentava il terreno. Egli avrà gloria eterna, Sarà il Re dei re, Io umile accettai Di avere scelto me. E solo Elisabetta, A miglia di distanza, Conosce questa mia Divina gravidanza. “Giuseppe, non pensare Quello che stai pensando”, Maria a lui arrossendo Diceva balbettando: “Sarò, come promesso, Tua sposa, ma a metà; Devo, da alcuni mesi, Dirti una verità. O mio sposo promesso, Perché non dici niente? Forse che un qualche dubbio Adombra la tua mente? Tu credimi, Giuseppe, Se vuoi io te lo giuro, Il mio cuore di vergine Non fu mai così puro”. 43