Cnai mette a confronto la riforma del lavoro francese col Jobs Act

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Cnai mette a confronto la riforma del lavoro francese col Jobs Act
Gruppo associazioni Cnai
Martedì 31 Maggio 2016
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Cnai mette a confronto la riforma del lavoro francese col Jobs Act
Parigi vuole cambiare
Più valore alla contrattazione aziendale
di Manola Di Renzo
e Matteo Sciocchetti
L
a «Loi Travail» infiamma
la Francia. Quella che,
con sin troppa semplicità giornalistica, è stata
ribattezzata come il «Jobs Act
alla francese», è una legge che
sta letteralmente spaccando
il paese d’Oltralpe, con una
veemenza sconosciuta dalle
nostre parti (se si esclude la,
ormai lontana nel tempo, fase
dell’approvazione della Legge
Biagi, del 2001).
Ma davvero la riforma del
governo socialista Valls rappresenta un equipollente di
quella attuata in Italia due
anni or sono? E soprattutto
ha la stessa portata riformista del mercato del lavoro?
«La risposta è semplice quanto brutale: assolutamente no!
Quello che si sta provando a
fare Oltralpe è un atto sicuramente più coraggioso di quello
che si è provveduto a fare da
noi. Sebbene la riforma del
lavoro El Khomri (dal nome
del ministro del lavoro in carica al momento dell’approvazione, ndr) abbia subito già
vistosi adeguamenti, rispetto
alla versione originariamente
presentata, a confronto con la
monca riforma italiana, rappresenta una seria declinazione verso una modernizzazione
del mondo del lavoro. Viene
garantita, in primo luogo,
una maggiore flessibilità alle
imprese in materia di assunzioni, ma anche per quel che
concerne gli allontanamenti
dal posto di lavoro», commenta il presidente Cnai Orazio
Di Renzo.
Hanno gioco facile i media
nostrani a semplificare le proteste ora in atto (in verità le
proteste hanno cominciato a
montare a partire dallo scorso marzo, per poi acuirsi solo
nella coda di marzo con, dapprima, il blocco dei lavoratori
delle raffinerie, gli scioperi di
ferrovie e centrali nucleari,
fino agli scontri a Fos-surMer, nell’area portuale di
Marsiglia), rapportandole a
quello che fu il ben più famoso Maggio Francese di sessantottina memoria: «Le proteste
in Francia sono riconducibili
quasi esclusivamente a una
sola forza sindacale (la Cgt,
Confederazione generale del
lavoro, corrispettivo, per sommi versi, della nostra Cgil, e
vicina al Partito comunista
Francese, ndr), benché i dissapori siano ormai generalizzati nel tessuto del paese. Cosa
verificatasi forse più a causa
delle modalità di approvazione
da parte del governo, calcando
forse un po’ la mano (il primo
ministro ha deciso di applicare l’articolo 49.3 del Titolo V
della Costituzione Francese
che permette l’adozione della legge esulando dal voto in
aula, ndr), che per il contenuto
della Riforma stessa», analizza il presidente Di Renzo.
Come accennato, però, il
raffronto tra il nostro Jobs
Act e quello gallico è del tutto
fuorviante e a tratti impietoso: c’è da sottolineare, infatti,
che il vero pilastro della riforma francese (l’ormai famoso
anche alle nostre latitudini,
articolo 2 del Loi Travail) è lo
spostamento della contrattazione dai tavoli nazionali alle
sedi locali, nelle aziende. Vengono così demandati alla contrattazione di secondo livello
tutta una serie di parametri
che da noi sono invece stati rigidamente delineati e rimasti
prerogativa dello Stato.
«Se un pregio, unico, dovesse essere ascritto al nostro
Jobs Act, sarebbe quello di
aver cercato di bypassare i
veti sindacali. Per il resto, in
rapporto alla Loi Travail, è
indietro anni luce: la riforma
francese, infatti, va a intervenire, in maniera sostanziale,
sull’elasticità dell’orario di
lavoro, ovvero sul totem del-
le 35 ore settimanali, cosa da
noi assolutamente tabù. In
Francia, pertanto, le aziende
saranno libere di gestire gli
orari di attività lavorativa,
entro comunque dei parametri, a seconda delle diverse
esigenze produttive. Sembra
un’ovvietà, ma all’impresa è
reso lecito chiedere un surplus
nei momenti di maggiore produttività, compensati da riduzioni di orario nelle fasi, diciamo, di flessione. Ogni impresa
potrà così gestire in base alle
effettive esigenze la propria
forza lavoro: certo è in parte
un alleggerimento di quello
che è definibile come rischio
di impresa, ma l’economia globale richiede una decisa capacità di adeguamento ai flussi
del mercato e altresì, il carico
fiscale. In pratica dalla legge
El Khomri viene concesso alle
piccole e medie imprese, in
particolare, di siglare accordi
in loco con le rappresentanze
sindacali», ricorda il presidente Di Renzo. «In aggiunta
è sostanzialmente ridimensionato anche l’iter di richiesta per l’indennità in caso di
allontanamento dal posto di
lavoro. Reso cioè maggiormente flessibile: tutto il contrario
del Jobs Act, che determina in
maniera certosina l’ammontare dell’indennizzo. Ricordiamo
che in Francia, di base, non
hanno mai conosciuto qualcosa di analogo al nostro famige-
rato articolo 18 dello Statuto
dei lavoratori, ma comunque
la riforma di Valls va a limare il codice del lavoro francese
anche per quanto riguarda i
licenziamenti economici: in
Italia sarebbe fantascienza.
Va comunque ricordato come
anche il governo francese abbia, in questo caso, dovuto cedere a necessari compromessi,
in quanto la prima versione si
mettevano sostanziali paletti
alla discrezione dei magistrati e all’entità di indennizzo
(da tre a quindici mensilità,
ndr). La legge dell’esecutivo
Manuel Valls inserisce anche
il «conto personale», ovvero la
novità che prevede che le attività formative e il montante
contributivo accumulato dal
lavoratore vadano a confluire
in una specie di «zainetto» che
il dipendente porterà sempre
con sé, anche qualora dovesse
cambiare posto di lavoro ed
evitando perciò l’azzeramento
del monte ore per la formazione e aggiornamento nonché i
maturati contributi».
Sicuramente, alla luce degli
ultimi violenti accadimenti,
saranno evitate ulteriori forzature, onde evitare un eccessivo acuirsi delle proteste del
movimento contrario alla riforma; ma la riforma francese
permane comunque come un
qualcosa di sicuramente più
incisivo rispetto al Jobs Act
renziano: «Non intendiamo
certo che passate le Alpi ci si
possa trovare nell’Eden del
mercato del lavoro, soprattutto perché dovranno mantenere un occhio vigile sui
possibili effetti di dumping
sociale fa le aziende operanti nel medesimo ambito, ma
possiamo assistere, finalmente, a un deciso superamento
del contratto nazionale e di
tutte quelle eccessive garanzie che impediscono il rilancio dell’occupazione.
Dovremmo prendere esempio dagli interventi del governo socialista francese che,
nonostante tutto, sembra
maggiormente consapevole,
rispetto ai politici locali, delle raccomandazioni del Fondo monetario internazionale
e dell’Ocse per poter venir
fuori dalla disoccupazione
di massa. In Italia, sebbene
partissimo da una situazione anche peggiore, ci siamo
dovuti accontentare di una
mezza riforma, che ha palesato tutti i suoi limiti in
termini di incentivo all’occupazione: se, infatti, un lieve
rimbalzo nei dati dei posti di
lavoro c’è stato, è avvenuto
solo per merito degli sgravi
fiscali, interventi certamente
una tantum e perciò tutt’altro che strutturali», conclude il presidente Orazione Di
Renzo.
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