La rivoluzione ecologica francese: quali prospettive per un progetto

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La rivoluzione ecologica francese: quali prospettive per un progetto
La rivoluzione ecologica francese: quali prospettive per un progetto
politico ecologista
di Alessandro Mengozzi
L’exploit dei Verdi in Francia è stato senza dubbio un grande successo elettorale: il 16.28% (2,8
milioni di voti) di Europe Ecologie e il 3.1% di Alliance Ecologiste Indépendante (un’aggregazione di tre
partiti Verdi di centro destra) che da sola eguaglia il risultato italiano di Sinistra e Libertà, dove oltre ai Verdi
c’erano i vendoliani e Sinistra Democratica. L’espressività politica dichiaratamente ambientale di circa il
20% dei votanti non è poco, nonostante il forte astensionismo (il 60%) – quello non è nuovo però - . Dal
1979, quando in Europa votò il 62%, l’astensionismo è sempre cresciuto, in maniera lineare pressoché
ovunque, in Francia, Italia e Germania comprese, fino alla media europea attuale del 43%.
Non ritengo che il successo dei Verdi in Francia sia un segnale nuovo; le preferenze ottenute dai
Verdi in Belgio, Olanda, Germania, Austria, Svezia e Gran Bretagna si sono attestate sui migliori risultati
storici ma senza crescite significative. Nel Sud Europa è stato come sempre mediocre. Vediamo perché e
quali prospettive questa tornata elettorale può suggerire.
L’ecologia politica in Francia è tra le più anziane di tutto il continente. Nature & Progrès,
l’associazione per l’agricoltura biologica nasce nel 1964 e grazie soprattutto al suo presidente nel 1972 viene
fondata l’IFOAM; Les Amis de la Terre nasce immediatamente un anno dopo ai Friends of the Earth
americani, nel 1970, gli stessi che nel 1974 sostennero René Dumont alle presidenziali del 1974 ottenendo
solo l’1.32% ma facendo conoscere ai francesi la questione ecologica e i principi del developpement durable.
Daniel Cohn-Bendit, animatore del ‘68 francese, si distinse per le sue profezie anti-nucleari nelle lotte contro
le centrali nella metà degli anni settanta, così come Josè Bovè, negli stessi anni, rianimò la ruralità francese
più marginale del Larzac contro un grande progetto di espansione di un poligono dell’esercito (1973-1976).
La storia degli ambientalisti francesi è lunga e gloriosa. Come non ricordare i militanti di Greenpeace, uno
dei quali perse la vita nel 1985 a causa dei servizi segreti francesi, mentre conduceva la campagna contro i
test atomici a Mururoa.
L’avventura politica verde francese ha riscosso sempre significativi successi elettorali se non
rilevanti risultati politici. Per citare solo alcuni temi, la Francia rimane uno dei pionieri storici del nucleare
non solo civile e uno dei suoi massimi estimatori, non è da meno sugli inceneritori, gli OGM, e la
privatizzazione dei beni pubblici come l’acqua. Sull’agricoltura biologica la Francia per ettari di superficie
coltivata convertita non è superiore all’Italia o alla Germania e la percentuale coltivata a biologico è al di
sotto della media EU15. Non parliamo del nucleare o dell’inquinamento o di particolari attenzioni alla
mobilità sostenibile. Da notare che anche in Germania, Svezia e Regno Unito abbiamo ancora scelte
nucleari che pesano e questo tema ha indubbiamente favorito lo sviluppo di un movimento verde
relativamente più forte. In Francia, forse, più attenzione viene riservata alle infrastrutture e all’attenzione per
il paesaggio e alla pianificazione, non tanto per merito dei Verdi ma di una tradizione amministrativa molto
tecnica.
I Verdi in Francia ottennero, già alle europee del 1999, il 9.72%, sempre con Danny il Rosso, e
sempre buoni risultati alle amministrative, scesero al 7.4% alle europee del 2004 ma l’11.54% alle
amministrative del 2008 fece tornare l’ottimismo. L’analisi elettorale è complessa e risente di moltissimi
fattori, a partire dalla scala geografica dell’evento. Partire per tempo con un percorso di definizione del
progetto, aggregare il più possibile tutte le anime verdi, una campagna elettorale ben organizzata, presente in
tv, pedagogica (vedi il nuovo documentario Home1 proiettato in prima serata poco prima delle elezioni), non
concentrata su una sola figura carismatica protagonista ma su un leader autorevole di coordinamento che
affianca ed è sempre affiancato, affidarsi sempre ad una rete di attivisti locali coinvolti per tempo nelle
decisioni e nella campagna, sono mosse che hanno giocato un ruolo decisivo. E non era facile, in un paese
dove anche i principali partiti hanno un ricco repertorio di proposte sull’ambiente e hanno stipulato patti
1
Arthus-Bertrand, Y., Home, 2009, www.home-2009.com
eclatanti già in occasione delle presidenziali2. Questi accordi hanno prodotto un percorso di confronto,
sostenuto dal Ministero dell’Ambiente, che si è tradotto in un progetto di legge già approvato nell’ottobre
2008 e che attende a breve l’approvazione definitiva dopo una seconda lettura parlamentare: sono previste
certificazioni e piani di formazione per il risparmio energetico degli edifici, tasse sui trasporti, sviluppo del
trasporto su ferro e fluviale, sostegno alle rinnovabili, ecc. Non si parla però di nucleare e di OGM: per
Sarkozy, potrebbero al massimo venir temporaneamente sospesi nuovi piani di sviluppo di tali tecnologie,
ma non abbandonate come opzioni.
Purtroppo il problema del progetto della riconversione ecologica e la realizzazione degli obiettivi è
però ancora più serio in un’Europa di destra, e il successo verde è relativo alla sconfitta di uno storico
alleato. Il grande sconfitto in Europa, ma soprattutto in Francia, è il Partito Socialista. Il partito ha perso 6,7
milioni di voti (rispetto al primo turno delle presidenziali del 2007), come ha dichiarato Ségolène Royal il 15
giugno nel suo primo discorso dopo le elezioni. Al congresso di Reims dell’ottobre 2008, Martine Aubry era
diventata segretario per pochi voti su Ségolène Royal e questo può aver fermato il processo di rinnovamento
difficile e faticoso che la Royal sta portando avanti con dedizione dal 2005: come presidente della regione
del Poitou-Charentes e con il progetto Désirs d’Avenir che conduce con i suoi collaboratori, fuori dal partito,
centrato sulla democrazia partecipativa. Un percorso di vera e propria ricerca politica che attraverso la
democrazia partecipativa cerca di individuare le modalità per un coinvolgimento attivo dei cittadini al
cambiamento sociale, senza avanzare dogmi ideologici forti e politiche chiuse. Un atteggiamento, anche
questo, fatto proprio dal UMP di Sarkozy. Dunque anche su questo filone non si è facilitati per il fatto di
adottare un messaggio esclusivo. Non solo si parla di partecipazione, di dibattito, nella patria del Débat
Public, ma la si mette in pratica: chi in forme più pedagogiche e locali (per forza) - la Royal - infastidendo
anche alcuni dirigenti del proprio partito quando propose di istituire delle Giurie dei Cittadini per valutare
l’operato degli eletti3; chi in forme più tecnocratiche e pragmatiche (UMP) e su obiettivi circoscritti.
Guardando agli stili dei due attori principali. La Royal adotta un approccio più inclusivo, egalitario e
solidale, rivolto soprattutto ai giovani, alle donne, ai precari e agli immigrati, attinge a fonti d’ispirazione
accademica da un lato (perché si basa su metodologie accreditate) e a quella popolare dall’altro (per i contatti
con i movimenti partecipazionisti e le esperienze sud-americane), ma è stata criticata, soprattutto all’inizio,
per la vaghezza e la comprensibile difficoltà a comunicare metodi astratti e liquidi come quelli partecipativi4;
tuttavia ancora oggi mi sembra che il suo stile rimanga ancorato a grandi progetti, grandi disegni
affascinanti, ma di più lunga e faticosa ricezione.
La UMP adotta largamente metodologie partecipative trasparenti per elaborare le sue politiche,
coinvolgendo tavoli d’esperti bipartisan (la famosa commissione Attali o les Ateliers du Changement) così
come dibattiti più aperti sulla bioetica o la riforma delle comunità locali, sia in forma diretta che via internet
(agit’ pop). E’ un approccio più pragmatico, forse un po’ più esclusivo e meno rivolto all’individuazione ed
alla mediazione dei conflitti sociali e al mutamento individuale e sociale degli stili di vita: l’ambiente è
importantissimo ma le azioni in suo favore possono/devono sempre salvare i posti di lavoro, gli affari e i
profitti.
L’implementazione della democrazia partecipativa a livello locale è abbastanza diffusa nei comuni
francesi, ma si tratta di adattamenti soprattutto consultivi, con scarsi risultati in termini di empowerment,
come avviene nel Débat Public; tuttavia sono pratiche adottate da oltre il 70% dei sindaci nei comuni sopra i
5000 abitanti, proporzionalmente ad ogni colore politico5. Le esperienze a livello locale sono indicative, ma
oltre a non essere pienamente soddisfacenti, non giocano un peso rilevante sulla scala europea. Questo
spiega anche la forte astensione.
Anche i Verdi propongono più democrazia nelle istituzioni (come i referendum), ma la praticano in
maniera riservata e comunque poco organizzata verso i militanti di base o i simpatizzanti; appare molto
2
vedi gli Stati Generali per l’Ambiente – le Grenelle de l’Environnement - promossi dal giornalista Nicolas Hulot, un
ambientalista televisivo molto popolare.
3
Lefebvre, R., La démocratie participative selon Ségolène Royal, CERAS, n°296, gennaio, 2007.
4
Ibidem.
5
Premat, C., The implementation of participatory democracy in French communes, French Politics, vol. 7, n°1, aprile
2009.
lasciata al caso su internet perché ormai è d’obbligo che vi sia una possibilità di feedback, ma non sembra
che interessi molto cercare mediazioni su questioni complesse. La loro attenzione si focalizza maggiormente
su proposte definite e compatte; in fondo ad a un lungo elenco di proposte verdi (e rosse), il “Contratto
ecologista per l’Europa”, troviamo tre strumenti: un patto per la riconversione ecologica e sociale, sostenuto
da un consiglio speciale per la sicurezza economica, sociale e finanziaria che risponde al Parlamento
Europeo e un nuovo processo costituente. La partecipazione nei Verdi è meno problematica, più diretta
dall’alto (tradizionale) e meno aperta ai problemi bipartisan e alla governance. Così le loro proposte sono più
dettagliate e compiute. Questo approccio ripaga in campagna elettorale se i competitori non hanno la voglia
di proporre e preparare per tempo un progetto costruito dalla gente; questo a mio avviso è successo al PS
rinunciando al rinnovamento della Royal ed alle sue metodologie. Mentre ha ripagato l’UMP che invece
pratica questo approccio, con il vantaggio in più di essere al governo e di avere maggiori risorse, risposte e
visibilità.
I Verdi francesi hanno davanti a loro la possibilità di strutturarsi localmente e implementare una
democrazia partecipativa di qualità, capace di mediare e individuare, come sanno fare bene, le sfide portanti
del futuro. Ma devono contaminarsi con i socialisti o i reduci del socialismo. Non contano più di tanto i
simboli. L’ecologia come tema è parte di tutte le forze organizzate; si tratta di definire delle priorità, sostiene
l’ambientalismo positivista alla Lomborg; si tratta di definire un mutamento degli stili di vita, una decrescita,
sostiene l’ambientalismo decostruzionista più radicale alla Latouche. La Francia è un laboratorio interessante
perché è avanzato sotto il profilo dei movimenti politici. E’ un contesto molto liquido dove sono avvenuti
grossi cambiamenti e sorprese più facilmente che altrove. Credo che i Verts, ora come ora, non siano
effettivamente la punta del rinnovamento. Sono abbastanza indietro in tema di pratiche partecipative, sono
riusciti ad aggregare e coinvolgere le grandi associazioni ambientaliste ma rimangono un movimento che si
gonfia per entusiasmo non radicato come quello socialista, come i sindacati, come le organizzazioni
economiche, come ai Verdi tedeschi che invece poggiano su una vasta rete di imprese e iniziative verdi.
Essere riusciti a far convergere la relativa frammentazione delle grandi organizzazioni ambientaliste è
importante, ma non hanno altro. Dovrebbero contaminarsi con i socialisti e aprirsi di più alla mediazione e
alla democrazia partecipativa.
E gli italiani? Un’analisi approfondita richiede più tempo. Ma le piste sono le stesse. I Verdi italiani
hanno perso molto elettorato proveniente delle organizzazioni ambientaliste (Legambiente e Wwf) e hanno
perso anche dai comitati che si sono spostati (alle europee) su Di Pietro, su impulso degli ammiccamenti di
Grillo e Travaglio. Il bacino di raccolta, con ancora un solido pensiero verde forte, poco incline alla
mediazione, è fiorente in Italia. Le ultime elezioni hanno scomposto però gli schieramenti ed è difficile ora
individuare un percorso chiaro di possibili alleanze. Credo che in questo momento un’identità politica
italiana verde, e solo verde (una cosiddetta identità ecologista autonoma) sia fuorviante e inefficace su tutte
le scale. Come dimostra Europe Ecologie (l’anzianità dei marchi politici – per quanto riusciti e belli - conta
poco). Bisogna capire se e chi intende affrontare una avventura politica da pensiero forte e chi invece
preferisce indebolire il suo pensiero e il suo programma e aprirlo alla partecipazione democratica, mettendo
questo come valore principale di fronte a tutto; questo è il progetto del secolo, l’ecologia politica
intransigente rimane comunque una questione da tardo novecento.
Alessandro Mengozzi è un ricercatore presso l’Università di Bologna, presso la
quale si è laureato in Scienze Politiche ed ha ottenuto un Master ed un Dottorato nella Storia e
Geografia dell’Europa. I suoi interessi di ricerca comprendono i modelli geografici, i temi della
governance, la democrazia partecipativa ed i suoi metodi.