Num. 34 - Dicembre 2008 - Associazione Medici Diabetologi
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Num. 34 - Dicembre 2008 - Associazione Medici Diabetologi
Spedisce: Officina Grafica srl - Via Matteotti, 4 - 89018 Villa San Giovanni (RC) - Tariffa pagata - Pieghi di libri - Tariffa ridotta editoriale Autorizzazione DCO/DC RC/179/2002 valida dal 05.03.2002 - Spedizione senza materiale affrancatura - L. 662/92 art. 2 comma 20 lett. a. In caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di Reggio Calabria per la restituzione al mittente previo pagamento resi. THE JOURNAL OF C LINICAL AND A PPLIED R ESEARCH AND E DUCATION NUMERO TRENTAQUATTRO Diabetes Care EDIZIONE ITALIANA A CURA DELL’ASSOCIAZIONE MEDICI DIABETOLOGI Selezione di articoli da Diabetes Care DICEMBRE 2008 Diabetes Care 4 AFFILIATA I.D.F. - International Diabetes Federation Presidente: Adolfo Arcangeli (Pistoia) Diabetes Care EDIZIONE ITALIANA Vice presidente: Sandro Gentile (Napoli) Direttore Scientifico e Editoriale Domenico Cucinotta Consiglieri: Antimo Aiello (Campobasso) Giuseppe Armentano (Rossano Calabro) Luciano Carboni (Cagliari) Gualtiero De Bigontina (Belluno) Alberto De Micheli (Genova) Antonino Di Benedetto (Messina) Rossella Iannarelli (L’Aquila) Alessandro Ozzello (Torino) Concetta Suraci (Roma) Comitato Scientifico Marco Comaschi Domenico Cucinotta Sandro Gentile Segretario: Alessandro Sergi (Pistoia) Segreteria Scientifica Diabetes Care Tesoriere: Paolo Foglini (Ascoli Piceno) Revisori dei conti: Pasqualino Calatola Agatina Chiavetta Dipartimento di Medicina Interna - Policlinico Universitario Via C. Valeria 98100 Messina Tel. 090.2212390-2212430/Fax 090.2921554 E-mail: [email protected] (Salerno) (Catania) Segreteria Amministrativa AMD Viale Carlo Felice, 77 - 00185 Roma Tel. +39067000599 - Fax +39067000499 E-mail: [email protected] 5 6 INDICE Fratture associate a rosiglitazone nel diabete di tipo 2 pag. 7 Effetti di ramipril e rosiglitazone sugli eventi cardiovascolari e renali nei soggetti con tolleranza al glucosio o glicemia a digiuno alterate pag. 16 Gestione del diabete preesistente in gravidanza pag. 22 Un passo indietro – o avanti? pag. 42 Aggiustamento al target nel diabete di tipo 2 pag. 46 Efficacia, sicurezza e tollerabilità del trattamento con pregabalin nella neuropatia periferica diabetica dolorosa pag. 52 Rosiglitazone e rischio di tumori pag. 59 Morte al conteggio dei carboidrati? pag. 65 Come tradurre i livelli di A1C in valori glicemici medi pag. 67 7 8 La combinazione di sulfoniluree e metformina è associata ad aumento del rischio di patologia cardiovascolare o di mortalità per qualsiasi causa? pag. 73 Come impiegare il dosaggio dell’A1C pag. 80 DIABETES CARE, MAY 2008 Fratture associate a rosiglitazone nel diabete di tipo 2 Un’analisi del Diabetes Outcome Progression Trial (ADOPT) STEVEN E. KAHN, MB, CHB1 BERNARD ZINMAN, MD2 JOHN M. LACHIN, SCD3 STEVEN M. HAFFNER, MD4 WILLIAM H. HERMAN, MD5 RURY R. HOLMAN, MD6 BARBARA G. KTAVITZ, MS7 DAHONG YU, PHD7 MARK A. HEISE, PHD7 R. PAUL AFTRING, MD, PHD7 GIANCARLO VIBERTI, MD8 FOR THE A DIABETES OUTCOME PROGRESSION TRIAL (ADOPT) STUDY GROUP* OBIETTIVO – L’obiettivo di questo studio è stato quello di esaminare i fattori associati all’aumento del rischio di fratture osservato con il rosiglitazone nel A Diabetes Outcome Progression Trial (ADOPT). DISEGNO DELLA RICERCA E METODI – I dati di 1.840 donne e 2.511 uomini assegnati in maniera randomizzata a rosiglitazone, metformina o glibenclamide per un periodo medio di 4.0 anni sono stati esaminati relativamente a: tempo intercorso prima della fattura, tassi di ricorrenza e siti delle fratture. RISULTATI – Negli uomini i tassi di frattura non differivano nei gruppi di trattamento. Nelle donne veniva riportata almeno 1 frattura in 60 pazienti con rosiglitazone (9.3% dei pazienti, 2.74 per 100 pazienti-anno), in 30 pazienti con metformina (5.1%, 1.54 per 100 pazienti-anno) e in 21 pazienti con glibenclamide (3.5%, 1.29 per 100 pazienti-anno). L’incidenza cumulativa (95% CI) a 5 anni delle fratture nelle donne era del 15.1% (11.2-19.1) con rosiglitazone, 7.3% (4.4-10.1) con metformina e 7.7% (3.7-11.7) con glibenclamide, e determinava un rischio proporzionale (95% CI) di 1.81 (1.17-2.80) e 2.13 (1.30-3.51) con rosiglitazone rispetto a metformina e glibenclamide, rispettivamente. L’aumento delle fratture con rosiglitazone si verificava nelle donne in pre- e post-menopausa e le fratture erano principalmente a carico degli arti inferiori e superiori. Non si identificava alcun particolare fattore di rischio sotteso all’aumento delle fratture nelle pazienti trattate con rosiglitazone. CONCLUSIONI – È necessario continuare a indagare i fattori di rischio e la fisiopatologia sottesa all’aumento delle fratture nelle donne trattate con rosiglitazone, per correlarli ai dati pre-clinici e per comprendere meglio le implicazioni cliniche di questi dati e i possibili interventi praticabili. Diabetes Care 31: 845-851, 2008 Da: the 1Division of Metabolism, Endocrinology and Nutrition, Department of Medicine, VA Puget Sound Health Care System and University of Washington, Seattle, Washington; the 2Samuel Lunenfeld Research Institute, Mount Sinai Hospital and University of Toronto, Toronto, Ontario, Canada; the 3Biostatistics Center, George Washington University, Rockville, Maryland; the 4University of Texas Health Science Center at San Antonio, San Antonio, Texas; the 5Departments of Internal Medicine and Epidemiology, University of Michigan, Ann Arbor, Michigan; the 6Diabetes Trials Unit, Oxford Centre for Diabetes, Endocrinology and Metabolism, Oxford, U.K.; 7GlaxoSmithKline, King of Prussia, Pennsylvania e 8King’s College London School of Medicine, King’s College London, London, U.K. DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 l diabete di tipo 2 è associato ad aumento del rischio di fratture; il rischio aumenta con l’aumento della durata della malattia (1,2). Queste fratture interessano prevalentemente bacino, arti superiori e inferiori (1-5) e si verificano anche se la densità minerale ossea è normale o persino aumentata nei pazienti con diabete di tipo 2, rispetto a coloro che non soffrono d’iperglicemia (5-7). Sebbene non sia chiaro il motivo di quest’aumento del rischio, è stato ipotizzato che nei pazienti anziani possa essere correlato in parte a disabilità e cadute (8). Nel contesto di trattamenti specifici per il diabete un recente articolo su Health, Aging and Body Composition Study – uno studio osservazionale – ha notato che le donne anziane affette da diabete di tipo 2 trattate con tiazolidinedioni avevano un aumento della perdita ossea, rispetto ai soggetti di controllo, mentre non si osservava alcuna differenza negli uomini (9). Tuttavia un recente studio retrospettivo ha suggerito una riduzione della densità minerale ossea negli uomini trattati con rosiglitazone (10). Il A Diabetes Outcome Progression Trial (ADOPT) è un trial clinico, randomizzato e controllato che confronta l’effetto del tiazolidinedione rosiglitazone, della biguanide metformina e della sulfonilurea glibenclamide sul controllo della glicemia in pazienti non ancora sottoposti a trattamento farmacologico, con diagnosi recente (<3 anni) di diabete di tipo 2 (11). Nello studio è stato dimostrato che il trattamento con rosiglitazone produceva un controllo più prolungato della glicemia, rispetto a metformina o glibenclamide, sulla base della misura della glicemia a digiuno e dell’A1C. Quest’effetto era il risultato della maggiore preservazione della funzione β-cellulare con rosiglitazone. Dopo il completamento del programma pre-specificato di analisi statistica, una revisione degli eventi avversi di particolare interesse ha rivelato un aumento del numero delle fratture nelle donne che assumevano rosiglitazone; una breve descrizione del dato è stata aggiunta come post-scriptum al manoscritto principale in corso di stampa in quel momento (11). Abbiamo osservato una maggiore ricorrenza di fratture ossee I 9 DIABETES CARE, MAY 2008 negli arti superiori e inferiori nelle donne, ma non di fratture dell’anca e delle vertebre. Successivamente è stato riportato un aumento del rischio di fratture nelle donne trattate con pioglitazone (12), l’altro tiazolidinedione di uso clinico corrente. In quest’articolo riportiamo dettagliatamente i dati dell’ADOPT correlati alle fratture. DISEGNO DELLA RICERCA E METODI Nell’ADOPT sono stati randomizzati 4.360 soggetti con diabete di tipo 2 diagnosticato da non più di 3 anni e che non avevano mai assunto farmaci ipoglicemizzanti orali. 9 di questi soggetti non hanno mai assunto il farmaco dello studio; 1.456 sono stati assegnati a trattamento con rosiglitazone, 1.454 a trattamento con metformina e 1.441 a quello con glibenclamide. Lo studio è stato condotto in 488 centri, in 17 paesi in nord America e in Europa. Il protocollo è stato controllato e approvato dai comitati etici di ciascun centro e tutti i soggetti hanno fornito consenso informato, scritto. Lo studio è stato un trial clinico registrato. Il protocollo dello studio è stato pubblicato in precedenza (13). In breve, l’ADOPT è un trial randomizzato, in doppio cieco, per gruppi paralleli. I pazienti diabetici eleggibili erano d’età compresa tra 30 e 75 anni, con concentrazione della glicemia plasmatica a digiuno tra 126 e 180 mg/dl ed erano trattati solo con stile di vita. I criteri d’esclusione comprendevano epatopatia clinicamente significativa, alterazioni renali, storia di latto-acidosi, angina instabile o grave, scompenso cardiaco congestizio noto (classi I-IV della New York Heart Association), che richiedeva intervento farmacologico, ipertensione non controllata o patologie croniche che necessitavano di trattamento periodico o intermittente con corticosterioidi orali o somministrati per via endovenosa o uso continuato di corticosteroidi per inalazione. I soggetti sono stati assegnati in maniera randomizzata a trattamento in doppio cieco con rosiglitazone, metformina o glibenclamide. Le dosi giornaliere iniziali erano di 4 mg di rosiglitazone, 500 mg di metformina e 2.5 mg di glibenclamide e la dose è stata titolata fino a quella massima giornaliera (4 mg di rosiglitazone due volte al giorno, 1 g di metformina due volte al giorno e 7.5 mg di glibenclamide due volte al giorno). La titolazione forzata della dose del farmaco è stata eseguita nel corso di ciascuna visita quando il valore della glicemia plasmatica a digiuno era ≥140 mg/dl. L’esito primario era il tempo che trascorreva prima che la monoterapia fallisse con la 10 dose massima tollerata del farmaco dello studio, ed è stato definito come glicemia plasmatica a digiuno >180 mg/dl in due occasioni successive o in base ad aggiudicazione indipendente (11). Uso di farmaci concomitanti e riferimento di eventi avversi I ricercatori in ciascun sito hanno registrato l’uso di tutti i farmaci concomitanti prescritti al basale e ad ogni visita clinica. I farmaci sono stati classificati mediante un sistema di codificazione validato (GSKDrug). I ricercatori hanno riportato gli eventi avversi verificatesi nella fase di trattamento dello studio e questi sono stati categorizzati mediante il Medical Dictionary for Regulatory Activities (MedDRA). Le fratture comprendevano qualsiasi frase scelta che includeva la parola “frattura” nell’ambito della frase del gruppo di livello superiore di “lesioni alle ossa o alle articolazioni”. Nel caso di fratture il loro sito era quello riportato o determinato dai ricercatori, senza che il protocollo dello studio prevedesse aggiudicazione o successiva valutazione diretta. Metodi, assay e calcoli Sono stati prelevati campioni ematici a digiuno per la misurazione di glicemia plasmatica a digiuno, A1C e insulina. Tutti gli esami sono stati effettuati presso un laboratorio centrale (13). Metodi statistici L’incidenza cumulativa delle variabili relative al tempo necessario per il verificarsi dell’evento è stata stimata con il metodo di Kaplan-Meier (14), con censura degli abbandoni imputabili al farmaco dello studio. Il rischio relativo (rischio proporzionale [HR]) è stato stimato in base al modello dei rischi proporzionali di Cox (14). Questi metodi permettono una durata d’esposizione differenziale nei gruppi. Il confronto del trattamento relativamente al tempo intercorso prima della prima fattura per sito corporeo si è basato anche sulla regressione dei rischi proporzionali di Cox, ma è stato effettuato con il test esatto di Fisher se il conteggio era zero (cioè non v’erano fratture) in uno dei gruppi di trattamento. I test rank-sum di Wilcoxson sono stati usati nel confronto delle variabili basali nei gruppi, sulla base dell’assegnazione del trattamento (15). Le differenze nelle proporzioni sono state testate con il test χ2 della contingenza e le differenze nelle variabili quantitative o ordinali sono state testate con il test di Kruskal-Wallis (15). I modelli dei rischi proporzionali di Cox sono stati usati per valutare l’effetto dei valori correnti, aggiornati, di peso, creatinina serica, ematocrito, calcio, A1C e circonferenza vita, come covariate dipendenti dal tempo sul rischio di fratture. I dati sono presentati come medie ± SD, se non diversamente specificato. Una P a due vie ≤ 0.005 è stato considerata statisticamente significativa. Le analisi sono state condotte mediante SAS (SAS Institute, Cary, NC). RISULTATI Variabili demografiche e cliniche al basale e al follow-up Gli uomini e le donne assegnati in maniera randomizzata alle tre braccia del trattamento erano ben appaiati al basale (tabella 1). Come previsto, la maggior parte delle donne dello studio aveva > 50 anni (71%) e riferiva di essere in postmenopausa (77%). Al basale le proporzioni di pazienti che assumevano categorie selezionate di farmaci per la salute delle ossa non differivano per sesso nei gruppi di trattamento (tabella 1), sebbene in generale un numero maggiore di donne, rispetto agli uomini, assumeva farmaci efficaci sul metabolismo osseo (ormoni contenenti estrogeni, integratori di calcio e bisfosfonati). La durata media del follow-up era di 4.0 anni nei gruppi rosiglitazone e metformina e di 3.3 anni in quello glibenclamide. Le proporzioni di pazienti che completavano lo studio erano del 63, 62 e 56% nei gruppi rosiglitazone, metformina e glibenclamide, rispettivamente. Pertanto il numero di pazientianno esposto al farmaco era di 4.953,8 nel gruppo rosiglitazone, 4.905,6 nella coorte metformina e 4.243,6 nel gruppo glibenclamide. Fratture ossee per assegnazione di trattamento Sui 4.351 pazienti trattati 200 riportavano 1 frattura durante lo studio: 92 (6.3%) tra quelli assegnati in maniera randomizzata a rosiglitazone, 59 (4.1%) nel gruppo metformina e 49 (3.4%) nel gruppo glibenclamide. Tenendo conto delle differenze d’esposizione al trattamento, l’incidenza di una frattura era di 1.86 per 100 pazienti-anno con rosiglitazone, 1.20 per 100 pazienti-anni con metformina e di 1.15 per 100 pazienti-anno con glibenclamide. La figura 1A presenta l’incidenza cumulativa stimata con il test di Kaplan-Meier di una frattura (95% CI), che a 5 anni raggiunge il 9.8% (7.7-11.9) con rosiglitazone, il 5.6% (4.17.1) con metformina e il 5.7% (3.9-7.6) con glibenclamide. Con il modello dei rischi proporzionali di Cox, gli HR stimati (95% CI) per il rischio di frattura con rosiglitazone vs. metformina e glibenclamide erano di 1.57 (1.13-2.17; P = 0.0073) e DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, MAY 2008 Tabella 1 – Caratteristiche demografiche, misure cliniche e uso pregresso di farmaci al basale in uomini e donne per assegnazione di trattamento Donne Uomini –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– Rosiglitazone Metformina Glibenclamide Rosiglitazone Metformina Glibenclamide n 645 Età (anni) In post-menopausa Tempo dalla diagnosi di diabete < 1 anno 1-2 anni > 2 anni BMI (kg/m2) Circonferenza vita (cm) Rapporto vita-fianchi Pressione arteriosa sistolica (mmHg) Pressione arteriosa diastolica (mmHg) Glicemia plasmatica a digiuno (mg/dl) A1C (%) Insulina a digiuno (pmol) Ormoni a contenuto di estrogeni Integratori di calcio Bisfosfonati Glucocorticoidi* Diuretici tiazidi Diuretici dell’ansa 590 56.1 ± 10.2 498 (77.2) 605 56.7 ± 10.0 463 (78.5) 811 56.3 ± 10.7 449 (74.2) 864 56.4 ± 9.9 NA 836 57.0 ± 9.9 NA 56.6 ± 9.8 NA 275 (42.6) 351 (54.4) 18 (2.8) 33.6 ± 7.2 103.4 ± 15.3 0.90 ± 0.09 132.2 ± 15.8 79.0 ± 8.8 281 (47.6) 288 (47.6) 21 (3.6) 3.8 ± 6.8 104.4 ± 15.2 0.91 ± 0.09 132.9 ± 15.2 79.3 ± 8.5 278 (46.0) 309 (51.1) 18 (3.0) 33.8 ± 7.1 103.8 ± 16.3 0.90 ± 0.09 132.3 ± 15.1 79.2 ± 8.7 375 (46.2) 407 (50.2)) 29 (3.6) 31.1 ± 6.1 106.7 ± 13.9 0.99 ± 0.07 133.65 ± 15.5 80.4 ± 8.5 392 (45.4) 436 (450,5) 36 (4.2) 31.0 ± 5.2 106.4 ± 13.6 0.98 ± 0.09 132.8 ± 15.6 80.0 ± 9.2 359 (42.9) 442 (52.9) 35 (4.2) 31.0 ± 5.3 106.8 ± 14.2 0.98 ± 0.07 133.0 ± 15.6 79.4 ± 9.1 150.9 ± 23.3 7.37 ± 0.89 154.2 ± 99.1 125 (19.4) 41 (6.4) 12 (1.9) 47 (7.3) 120 (18.6) 20 (3.1) 150.6 ± 25.6 7.36 ± 0.93 162.6 ± 113.4 137 (23.2) 52 (8.8) 11 (1.9) 41 (6.9) 123 (20,8) 27 (4.6) 151.9 ± 27.6 7.35 ± 0.88 167.8 ± 132.3 114 (18.8) 40 (6.6) 8 (1.3) 51 (8.4) 126 (20.8) 23 (3.8) 151.9 ± 25.6 7.36 ± 0.97 146.4 ± 114.9 1 (0.1) 11 (1.4) 1 (0.1) 31 (7.5) 109 (13.4) 9 (1.1) 152.8 ± 27.1 7.36 ± 0.94 144.5 ± 109.9 1 (0.1) 15 (1.7) 2 (0.2) 50 (5.8) 96 (11.1) 18 (2.1) 7.34 ± 0.95 137.9 ± 95.1 0 5 (0.6) 1 (0.1) 53 (6.3) 94 (11.2) 16 (1.9) I dati sono medie ± SD o n (%). *Comprende tutti i modi di somministrazione. NA, non applicabile. 1.61 (1.14-2.28; P = 0.0069), rispettivamente. È interessante notare che l’aumento del rischio di frattura con rosiglitazone si manifestava per la prima volta dopo circa 12 mesi di trattamento. Fratture ossee negli uomini Sui 2.511 uomini 89 riportavano 1 frattura, senza differenza tra i gruppi: 32 (4.0%) di quelli trattati con rosiglitazone, 29 (3.4%) con metformina e 28 (3.4%) con glibenclamide. L’incidenza nel periodo di esposizione era di 1.16 per 100 pazienti-anno con rosiglitazone, 0.98 per 100 pazienti-anno con metformina e 1.07 per 100 pazienti-anno con glibenclamide. La figura 1B presenta l’incidenza cumulativa di una frattura stimata con il test di Kaplan-Meier e non dimostra alcuna differenza significativa nel rischio, rispetto al modello dei rischi proporzionali di Cox. I siti delle fratture per assegnazione di trattamento negli uomini sono elencati con maggiore dettaglio nella tabella 1 dell’appendice on-line, disponibile al sito http://dx.doi.org/10.2337/dc07-2270. Fratture ossee nelle donne Sulle 1.840 donne 111 riportavano 1 frattura: 60 (9.3%) di quelle trattate con rosiglitazone, 30 (5.1%) di quelle trattate con metformina e 21 (3.5%) di quelle trattate con glibenclamide. L’incidenza nel periodo di esposizione era di 2.74 per 100 pazienti-anno con rosiglitazone, 1.54 per 100 pazienti-anno con metformina e 1.29 per 100 pazienti-anno con glibenclamide. L’incidenza cumulativa a 5 anni di una frattura (figura 1C) raggiungeva il 15.1% (95% CI 11.2-19.1) con rosiglitazone, il 7.3% (4.4-10.1) con metformina e il 7.7% (3.7-11.7) con glibenclamide. Con il modello dei rischi proporzionali di Cox l’HR stimato (95% CI) per il rischio di fratture con rosiglitazone vs. metformina era di 1.81 (1.17-2.80; P = 0.008) e con rosiglitazone vs. glibenclamide era di 2.13 (1.30-3.51; P = 0.0029). Non v’era aumento apparente del rischio di fratture con rosiglitazone nell’arco di 12 mesi di esposizione, perché l’aumento del rischio si manifestava oltre i 12 mesi. Il rischio di fratture non sembrava essere correlato ad appartenenza etnica, ma i soggetti nei sottogruppi non erano numerosi. L’11.7% delle donne nel gruppo rosiglitazone, il 16.7% di quelle nel gruppo metformina e il 23.8% di quelle nel gruppo glibenclamide riportavano un danno accidentale o una caduta nei 30 giorni precedenti alla frattura. Inoltre il 18.3% delle donne fratturate trattate con rosiglitazone, il 16.7% di quelle trattate con metformina e il 14.3% di quelle trattate con glibenclamide riportavano più di 1 frattura. Il 6.8% (10 su 147) delle donne in pre- DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 menopausa trattate con rosiglitazone riportava 1 frattura vs. il 3.2% (4 su 127) di quelle trattate con metformina (P = 0.1709) e l’1.9% (3 su 156) di quelle trattate con glibenclamide (P = 0.0362). Il 10.0% (50 su 498) delle donne in postmenopausa trattate con rosiglitazone, il 5.6% (26 su 463) di quelle trattate con metformina e il 4.0% (18 su 449) di quelle trattate con glibenclamide riportavano 1 frattura (P = 0.0111 con rosiglitazone vs. metformina e P = 0.0003 vs. glibenclamide). La tabella 2 illustra le caratteristiche demografiche e cliniche e l’uso al basale di alcuni farmaci nelle donne che riportavano e non riportavano fratture nell’ambito di ciascun gruppo di trattamento. Nel gruppo glibenclamide le donne che riportavano fratture erano più anziane al basale; nel gruppo rosiglitazone un numero maggiore di donne che riportava 1 frattura era sottoposto a trattamento antiipertensivo al basale. La tabella 2 dell’appendice on-line presenta le proporzioni di alcuni farmaci concomitanti, selezionati, assunti dalle donne con 1 frattura (fino al momento della prima frattura) e da quelle senza fratture (in qualsiasi momento nel corso dello studio). Non v’erano differenze evidenti nei modi d’uso di: ormoni contenenti estrogeni, integratori di calcio, bi- 11 DIABETES CARE, MAY 2008 Figura 1 – Stime di Kaplan-Meier dell’incidenza cumulativa di fratture a 5 anni in tutti i pazienti (A), negli uomini (B) e nelle donne (C). Le fratture erano quelle riportate nel sito clinico e gli HR (95% CI) di questi eventi sono elencati per confronto nei gruppi di trattamento. Le barre rappresentano 95% CI. sfosfonati, diuretici tiazidici e dell’ansa o glucocorticoidi nelle donne che riportavano (fino al momento della prima frattura) o non riportavano una frattura (in qualsiasi momento nel corso dello studio), in ciascun gruppo di trattamento. Le proporzioni dei farmaci concomitanti usati dalle donne con e senza fratture sono elencate con maggiore dettaglio nella tabella 2 dell’appendice on-line. Il 5.6% delle donne nel gruppo rosiglitazone riportava 1 frattura agli arti inferiori vs. il 3.1% nel gruppo metformina (P = 0.0432) e l’1.3% nel gruppo glibenclamide (P = 0.0020) e il 3.4% riportava una frattura agli arti superiori vs. l’1.7% nel gruppo metformina (P = 0.0753) e l’1.5% nel gruppo glibenclamide (P = 0.1188). Non v’era alcuna differenza nella proporzione di donne che riportava una 12 frattura spinale (0.2% con rosiglitazone, 0.2% con metformina e 0.2% con glibenclamide). Quando si prendevano in considerazione siti specifici, si osservava una differenza nella proporzione di donne che avevano fratture del piede (3.4% con rosiglitazone, 1.2% con metformina e 0.7% con glibenclamide; P < 0.05 con rosiglitazone, rispetto a metformina e glibenclamide), dell’omero (0.8% con rosiglitazone e 0% con gli altri trattamenti) e della mano (1.2% con rosiglitazone, 0.7% con metformina e 0.2% con glibenclamide; P > 0.05 con rosiglitazone, rispetto a metformina e glibenclamide). La figura 1 dell’appendice on-line illustra la proporzione di donne in ciascun gruppo che riportava una frattura in siti specifici e nella tabella 3 dell’appendice on-line si trova una descrizione più dettagliata dei siti delle fratture per assegnazione di trattamento. Nelle analisi delle covariate dipendenti dal tempo, inserite separatamente in ciascun gruppo, l’unico effetto nominalmente significativo al valore di P ≤0.05 era l’effetto della circonferenza vita nel gruppo glibenclamide (HR 1.031 per cm [95% CI 1.001-1.062]; P = 0.0402). Tuttavia l’effetto di questa covariata non differiva significativamente nei gruppi di trattamento. Nessuna della altre covariate aveva effetto significativo (P nominale ≤0.05) sul rischio di fratture nelle donne di ciascun gruppo e inoltre gli effetti delle covariate non differivano nei gruppi. Sebbene le modificazioni di peso non influissero significativamente sul rischio di fratture nelle donne di ciascun gruppo di trattamento, indipendentemente dal trat- DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, MAY 2008 Tabella 2 – Caratteristiche demografiche, basali e farmaci precedentemente utilizzati per assegnazione del trattamento nelle donne con e senza fratture Rosiglitazone Metformina Glibenclamide –––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––– ––––––––––––––––––––––––––––––––––– Con fratture n 60 Età ≤ 50 anni 11 (18.3) > 50 a ≤ 60 anni 24 (40.0) > 60 anni 25 (41.7) Razza Bianca 53 (88.3) Di colore 1 (1.7) Asiatica 0 (0.0) Ispanica 5 (8.3) Altro 1 (1.7) In post-menopausa: sì 50 (83.3) Status di fumatore: sì 4 (6.7) Consumo di alcol: sì 17 (28.3) Farmaci antiipertensivi 40 (66.7) sì Farmaci ipolipemizzanti 14 (23.3) sì Ormoni contenenti 13 (21.7) estrogeni Integratori del calcio 4 (6.7) Vitamina D 6 (10.0) Bisfosfonati 1 (1.7) Glucocorticoidi 4 (6.7) Statine 10 (16.7) Diuretici tiazidici 14 (23.3) Diuretici dell’ansa 2 (3.3) Età (anni) 58.7 ± 9.70 33.5 ± 6.42 BMI (kg/m2) A1C (%) 7.49 ± 0.957 Glicemia plasmatica 152.8 ± 20.35 a digiuno (mg/dl) Pressione arteriosa 132.1 ± 13.90 sistolica Pressione arteriosa 78.7 ± 8.04 diastolica Senza fratture P 585 Con fratture Senza fratture P Con fratture Senza fratture 21 584 3 (14.3) 197 (33.7) 13 (61.9) 176 (30.1) 508 (87.0) 0.805 12 (2.1) 25 (4.3) 1 (0.2) 431 (73.8) 71 (12.2) 163 (27.9) 336 (57.5) 0.220 0.347 0.136 0.367 30 560 8 (26.7) 11 (36.3) 11 (36.7) 153 (27.3) 4855 (86.6) 13 (2.3) 25 (4.5) 5 (0.9) 437 (78.0) 67 (12.0) 143 (25.5) 325 (58.0) 0.263 0.443 0.180 0.052 20 (95.2) 38 (6.5) 0 (0.0) 0 (0.0) 0 (0.0) 18 (85.7) 4 (19.0) 9 (42.9) 10 (47.6) 181 (30.9) 205 (35.0) 199 (34.0) 0.065 497 (85.0) 28 (4.8) 15 (2.6) 42 (.7.2) 3 (0.5) 448 (76.6) 79 (13.5) 173 (29.6) 306 (52.3) 0.398 2 (6.7) 0.235 0.132 0.841 0.034 28 (93.3) 32 (5.7) 0 (0.0) 0 (0.0) 0 (0.0) 26 (86.7) 5 (16.7) 11 (36.7) 12 (40.0) 138 (23.6) 0.965 7 (23.3) 140 (25.0) 0.837 7 (33.3) 134 (22.9) 0.269 112 (19.1) 0.638 5 (16.7) 132 (23.6) 0.383 5 (23.8) 109 (18.7) 0.554 37 (6.3) 47 (8.0) 11 (1.9) 43 (7.4) 119 (20.3) 106 (18.1) 18 (3.1) 55.9 ± 10.17 33.7 ± 7.23 7.36 ± 0.879 150.7 ± 23.56 0.918 0.598 0.907 0.846 0.498 0.323 0.193 0.041 0.936 0.373 0.1914 3 (10.0) 49 (8.8) 0.814 3 (10.0) 52 (9.3) 0.896 1 (3.3) 10 (1.8) 0.542 1 (3.3) 40 (7.1) 0.424 6 (20.0) 126 (22.5) 0.749 4 (13.3) 119 (21.3) 0.298) 2 (6.7) 25 (4.5) 0.574 57.4 ± 9.73 56.6 ± 10.02 0.854 34.1 ± 5.98 33.8 ± 6.86 0.713 7.31 ± 0.821 7.36 ± 0.935 0.883 149.1 ± 23.37 150.7 ± 25.75 0.686 1 (4.8) 2 (9.5) 0 2 (9.5) 5 (23.8) 5 (23.8) 0 61.1 ± 9.09 32.6 ± 6.77 7.31 ± 1.103 148.3 ± 17.04 39 (6.7) 45 (7.7) 8 (1.4) 49 (8.4) 111 (19.0) 121 (20.7) 23 (3.8) 56.1 ± 10.76 33.8 ± 7.08 7.36 ± 0.872 152.0 ± 27.86 0.728 0.760 0.589 0.854 0.583 0.732 0.354 0.029 0.496 0.644 0.758 132.2 ± 15.98 0.759 131.0 ± 12.94 133.0 ± 15.31 0.648 129.4 ± 13.97 132.5 ± 15.17 0.497 79.1 ± 8.89 0.658 0.160 80.5 ± 7.95 77.1 ± 7.77 0.954 5 (23.8) P 204 (36.4) 79.4 ± 8.49 0.645 1 (4.8) 0.012 211 (36.1) 79.2 ± 8.76 0.452 I dati sono n (%) o media ± SD. *Comprende tutti i modi di somministrazione. tamento tutte le donne avevano un maggior rischio di fratture con l’aumento del peso corporeo (1.04 per kg [1.01-1.07]; P = 0.0140). Tuttavia le modificazioni del peso nel tempo non influivano in maniera significativa sull’aumento stimato del rischio con rosiglitazone, poiché l’HR aggiustato per rosiglitazone vs. glibenclamide era di 2.06 (95% CI 1.25-3.42) e un HR di 1.60 (0.99-2.60) vs.metformina, simili a quelli delle analisi aggiustate. CONCLUSIONI Abbiamo riscontrato che nelle donne con diabete di tipo 2 il trattamento prolungato con il tiazolidinedione rosiglitazone comporta approssimativamente il raddoppio del rischio di fratture ossee, rispetto al trattamento con metformina o glibenclamide. Questo aumento del rischio si verifica nelle donne in pre-menopausa e in quelle in post-menopausa, si manifesta dopo 1 anno di trattamento e sembra dipendere da un aumento delle cadute o di incidenti agli arti. La maggioranza degli eventi si verificava nelle donne in post-menopausa, che avevano un’incidenza maggiore di fratture. Il numero limitato di dati relativi alle donne in pre-menopausa, sebbene non sia definitivo, concorda con un effetto simile. Nell’arco di 5 anni di follow-up non si registrava aumento del rischio di fratture negli uomini. Il nostro articolo mette in luce l’utilità DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 di trial ampi, a lungo termine. La maggior parte degli studi clinici sui tiazolidinedioni è di dimensioni limitate e ha una durata di 3-12 mesi. Sulla base dei dati dello studio ADOPT, secondo i quali l’incidenza cumulativa delle fratture non differiva nei 3 trattamenti se non dopo 1 anno, non sorprende che quest’effetto avverso non sia stato riportato precedentemente. Infatti fino a quando non abbiamo documentato quest’effetto negativo del rosiglitazone nell’ADOPT (11), non era mai stato dimostrato clinicamente un aumento del rischio di fratture con un tiazolidinedione. L’unica indicazione di questa possibilità era venuta da uno studio epidemiologico, condotto su 69 donne d’età compresa tra 70 e 79 anni, che 13 DIABETES CARE, MAY 2008 manifestavano aumento della perdita minerale ossea nel trattamento con un tiazolidinedione (9). Successivamente alla nostra pubblicazione iniziale è stato riportato anche l’altro tiazolidinedione, il pioglitazone, è associato a un amento di ~ 70% del rischio di fratture nelle donne (12) e ciò indica che quest’effetto avverso è probabilmente un effetto della classe dei tiazolidinedioni. È nota l’associazione tra diabete e aumento del rischio di fratture (1-3,5) e questo rischio è stato ben documentato nello studio Women’s Health Initiative, nel quale > 90.000 donne sono state seguite per 7 anni (5). La coorte comprendeva circa il 5% di donne diabetiche, nelle quali si osservava l’associazione del diabete con un aumento del 20% del rischio di fratture, più frequentemente localizzate nella colonna vertebrale, nell’anca, e negli arti inferiori e superiori, ad eccezione di avambraccio, polso e mano. Quest’aumento del rischio di fratture si verificava nonostante l’aumento della densità ossea nelle pazienti diabetiche, rispetto a quelle non diabetiche (5-7). Inoltre le fratture nelle pazienti diabetiche spesso sono di natura non traumatica (16). Quale, pertanto, può essere il meccanismo responsabile dell’aumento del rischio di fratture nelle donne trattate con tiazolidinedioni? Questo meccanismo non è del tutto chiaro, ma dati animali (17) e, recentemente, umani (10,18) hanno dimostrato che la somministrazione di tiazolidinedioni è associata a riduzione della densità ossea. È stato recentemente riportato che negli esseri umani quest’effetto deleterio si è verificato in donne non diabetiche, in post-menopausa, che sono state sottoposte a trattamento per 14 settimane e, sulla base delle misure di biomarcatori, è stato osservato che si tratta del risultato dell’accelerazione del riassorbimento osseo e della riduzione della neoformazione ossea (18). Questi dati sono supportati da studi sui roditori (17), che hanno anche dimostrato che l’attivazione del recettore perossissomiale proliferator-activated promuove la differenziazione dell’adipocita e non dell’osteoblasto dalle cellule progenitrici mesenchimali (19-21) e può ridurre i valori di IGF-1 nell’osso e pertanto ridurre anche la formazione di osteoblasti (22). Abbiamo riportato in precedenza che nell’ADOPT 5 anni dopo l’inizio del trattamento con rosiglitazone il rischio di fallimento della monterapia si riduceva del 32%, rispetto a quello con metformina e del 63%, rispetto a quello con glibenclamide (11). Il fatto che le fratture aumentassero nelle donne trattate con rosiglitazone, nonostante il farmaco garantisse maggiore durata del controllo della glicemia, indica che non è probabile che l’iperglicemia sia un mediatore 14 di quest’effetto deleterio della classe dei farmaci tiazolidinedioni. Infine l’analisi delle covariate dipendenti dal tempo non è riuscita a identificare un qualsiasi fattore particolare di rischio relativamente all’aumento delle fratture con rosiglitazone che, in particolare, non era correlato ad aumento del peso. I nostri dati hanno dei limiti, che però non sembravano influire sulla rilevanza clinica delle osservazioni. Primo, i rilievi delle fratture non sono stati raccolti sistematicamente o aggiudicati e il fatto che le fratture vertebrali spesso non sono avvertite ha forse determinato errori di accertamento. Inoltre la causa e l’esito delle fratture riportate non sono stati valutati sistematicamente. Secondo, non abbiamo misurazioni della densità ossea per valutare se l’uso a lungo termine del rosiglitazone comportava perdita ossea. Terzo, poiché la coorte era relativamente giovane e il follow-up si è protratto per una media di 4.0 anni, non possiamo escludere che l’esposizione al farmaco nel tempo non sia associata ad aumento del rischio di fratture in altri siti. Per riassumere, abbiamo documentato un aumento del rischio di fratture con rosiglitazone, rispetto a metformina o glibenclamide, nelle donne con diabete di tipo 2. È stato osservato un aumento del rischio di fratture anche con pioglitazone e questi aumenti si verificano in generale nel contesto del rischio elevato di fratture nelle donne con diabete di tipo 2. Non è chiaro il meccanismo mediante il quale queste fratture avvengono. Tuttavia il rischio di fratture dovrebbe essere preso in considerazione nel trattamento di pazienti con diabete di tipo 2, soprattutto nel caso di donne trattate con tiazolidinedioni e si deve prestare attenzione alla valutazione e al mantenimento della salute ossea, sulla base degli standard di cura correnti. Bibliografia DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, MAY 2008 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 15 DIABETES CARE, MAY 2008 Effetti di ramipril e rosiglitazone sugli eventi cardiovascolari e renali nei soggetti con tolleranza al glucosio o glicemia a digiuno alterate Risultati del trial Diabetes REduction Assessment with ramipril and rosiglitazone Medication (DREAM) THE DREAM TRIAL INVESTIGATORS* OBIETTIVO – L’alterata tolleranza al glucosio (IGT) e/o l’alterata glicemia a digiuno (IFG) sono fattori di rischio per diabete, patologia cardiovascolare (CVD) e renale. Abbiamo determinato gli effetti di ramipril e rosiglitazone su CVD combinata e individuale e sugli eventi renali nei soggetti con IGT e/o IFG del trial Diabetes Reduction Assessment with ramipril and rosiglitazone Medication (DREAM). DISEGNO DELLA RICERCA E METODI – 5.269 soggetti d’età ≥ 30 anni, con IGT e/o IFG senza CVD o insufficienza renale sono stati randomizzati a 15 mg/giorno di ramipril vs. placebo e 8 mg/giorno di rosiglitazone vs. placebo. Un esito composito cardiorenale e le sue componenti CVD e renale sono stati valutati nel corso del follow-up di 3 anni. RISULTATI – Rispetto al placebo, né il ramipril (15.7% [412 su 2.623] vs. 16.0% [424 su 2.646]; rischio proporzionale [HR] 0.98 [95% CI 0.84-1.13]; P = 0.75) né il rosiglitazone (15.0% [394 su 2.635] vs. 16.8% [442 su 2.634]; 0.87 [0.75-1.01]; P = 0.07) riducevano il rischio dell’esito composito cardiorenale. Il ramipril non aveva alcun impatto sulle componenti CVD e renale. Il rosiglitazone aumentava lo scompenso cardiaco (0.53 vs. 0.08%; HR 7.04 [95% CI 1.60-31.0]; P = 0.01), ma riduceva il rischio della componente renale (0.80 [0.68-0.93]; P = 0.005); la prevenzione del diabete era indipendentemente associata alla prevenzione renale (P < 0.001). CONCLUSIONI – Il ramipril non modifica gli eventi cardiorenali o le loro componenti. Il rosiglitazone, che riduceva il rischio di diabete, riduceva anche lo sviluppo della patologia renale, ma non gli eventi cardiorenali e aumentava il rischio di scompenso cardiaco. Diabetes Care 31: 1007-1014, 2008 l trial Diabetes Reduction Assessment with ramipril and rosiglitazone Medication (DREAM) ha assegnato in maniera randomizzata soggetti con alterata glicemia a digiuno (IFG) e/o alterata tolleranza al glucosio, senza patologia cardiovascolare (CVD) nota o patologia renale significativa all’ACE inibitore ramipril o a placebo e al tiazolidinedione rosiglitazone o a placebo, in base a un disegno fattoriale 2 x 2 (1). Dopo un followup medio di 3 anni il ramipril non riduceva significativamente l’esito primario I di diabete o morte, rispetto al placebo; tuttavia esso riduceva in maniera modesta i valori della glicemia dopo carico e aumentava la regressione di IGT o IFG a normoglicemia (2). Nell’arco dello stesso periodo il rosiglitazone riduceva l’esito primario del 60% e i valori della glicemia a digiuno e dopo carico e aumentava la regressione alla normoglicemia (3). Complessivamente nessuno dei due farmaci incideva sugli eventi di CVD; invece lo 0.5% dei partecipanti assegnati a rosiglitazone vs. lo 0.1% di quelli assegnati a Da: the DREAM Trial Study Group, Population Health Research Institute, Hamilton, Canada. 16 placebo sviluppava scompenso cardiaco congestizio. IFG e IGT sono fattori di rischio per CVD (4,5); tuttavia i soggetti con IFG o IGT con CVD sono stati esclusi dal trial perché sono noti i benefici cardiovascolari degli ACE inibitori (6). Pertanto sono stati previsti pochi eventi di CVD e il protocollo ha pre-specificato un esito secondario composito cardiorenale, che comprendeva eventi cardiovascolari e renali. Gli effetti di ramipril e rosiglitazone su quest’esito composito e sulle sue componenti sono descritti qui di seguito. DISEGNO DELLA RICERCA E METODI Il disegno del trial DREAM è stato riportato precedentemente (1-3). In breve, uomini e donne non diabetici d’età ≥ 30 anni con IFG (glicemia plasmatica a digiuno tra 110 e 126 mg/dl [6.1-7.0 mmol/l]) e/o IGT (2 h dopo carico con 75 g di glucosio orale glicemia plasmatica tra 140 e 200 mg/dl [7.8-11.0 mmol/l]) sono stati arruolati in 191 centri, tra luglio 2001 e agosto 2003. I criteri chiave d’esclusione sono stati: eiezione ventricolare sinistra < 40% o scompenso cardiaco congestizio, CVD documentata e definita come cardiopatia ischemica, stroke, claudicatio intermittense con indice di pressione caviglia-braccio ≤ 0.8, ipertensione non controllata, che necessitava di ACE inibitori o di bloccanti del recettore dell’angiotensina-2, stenosi dell’arteria renale nota, clearance della creatinina ≤ 2.26 mg/dl (200 µmol/l) o proteinuria clinica. Il protocollo è stato approvato dal comitato etico di ciascun centro e tutti i partecipanti hanno fornito il consenso informato, scritto. Valutazione, randomizzazione e follow-up Al basale i partecipanti sono stati sottoposti a breve esame e hanno risposto alle domande di un questionario standar- DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, MAY 2008 dizzato riguardo alla loro storia clinica, sintomi correnti di CVD, uso di farmaci e trattamenti cardiovascolari e renali. Dopo la randomizzazione i partecipanti sono stati assegnati a 5 mg/giorno di ramipril per 2 mesi, 10 mg/giorno per 10 mesi e successivamente 15 mg/giorno o a placebo e a 4 mg/giorno di rosiglitazone per 2 mesi e 8 mg/giorno da quel momento in poi o a placebo. Le visite dello studio sono state effettuate a 2 e 6 mesi e successivamente ogni 6 mesi. Il periodo medio di follow-up è stato di 3 anni. Gli eventi clinici sono stati accertati nel corso di ciascuna visita. La pressione arteriosa a riposo e la frequenza cardiaca sono state misurate al basale, a 2 e 12 mesi e ogni 12 mesi da quel momento in poi; gli elettrocardiogrammi (ECG) sono stati registrati al basale, a 2 anni e alla fine dello studio. Sono stati prelevati campioni serici e delle prime urine del mattino al basale e alla fine dello studio e sono stati inviati al laboratorio centrale per la misurazione della creatinina serica e del rapporto albumina-creatinina urinarie. La stima del tasso di filtrazione glomerulare (eGFR) è stata calcolata col metodo di Cockroft e Gault, che si basa su creatinina serica, età, sesso e peso dei partecipanti. Urina e creatinina serica sono state misurate mediante analizzatore Roche Hitachi 917 e l’albumina urinaria con un metodo di cromatografia liquida ad elevata prestazione approvato dalla Federal Drug Administration. Poiché questo metodo individua quantità maggiori di albumina nelle urine, rispetto all’immunoassay, e ha minori probabilità di sottovalutare i frammenti di albumina nei soggetti diabetici (7,8), nel rapporto albumina-creatinina sono stati identificati valori soglie di microalbuminuria e proteinuria clinica, che corrispondevano alle soglie dell’immunoassay di 2.0 e 36 mg/mmol, rispettivamente (pre-specificate nel protocollo DREAM), mediante confronto della cromatografia liquida ad alta prestazione e dell’immunoassay delle urine nel Heart Outcome, Prevention Evaluation (HOPE) (9-11). Esiti dello studio L’esito cardiorenale composito prespecificato comprendeva: 1) un evento cardiovascolare composito, definito come il primo evento di morte cardiovascolare, successiva rianimazione cardiaca, infarto non fatale del miocardio (MI), stroke, procedura di rivascolarizzazione, angina stabile o instabile nuova con ischemia documentata o scompenso cardiaco o 2) evento renale composito, definito come uno qualsiasi dei seguenti eventi: progressione da normoalbuminuria a microalbuminuria o proteinuria o da microalbuminuria a proteinuria, riduzione del GFR di ≥ 30% o in- sufficienza renale che richiedeva dialisi o trapianto. È stata definita microalbuminuria un singolo rapporto albumina-creatinina del primo mattino > 4.4 mg/mmol e < 36 mg/mmol. È stata definita proteinuria clinica un rapporto albumina-creatinina ≥ 36 mg/mmol o un riferimento aggiudicato di proteinuria clinica. È stata anche valutata la regressione da microalbuminuria a normoalbuminuria. La morte cardiovascolare comprendeva l’improvvisa morte cardiovascolare, morte per MI, stroke, scompenso cardiaco, aritmia, vascolopatia (embolia polmonare o rottura aortica), CVD presunta (morte non compatibile con i criteri di MI o stroke) o morte per causa sconosciuta. La diagnosi di MI richiedeva 1) un valore della troponina almeno doppio del valore più basso, che indicava necrosi, o valore dell’isoenzima MB della creatinin-chinasi ≥ 1.5 volte al limite superiore normale o altri enzimi cardiaci almeno doppi, rispetto al limite superiore normale e 2) modificazioni ischemiche acute all’ECG o dolore ischemico precorttiale della durata di almeno 10 min. La diagnosi di stroke richiedeva un deficit neurologico acuto localizzato, della durata di almeno 24 h e diagnostica per immagini. Lo scompenso cardiaco richiedeva ospedalizzazione o ricovero in pronto soccorso per 2 giorni consecutivi per scompenso cardiaco diagnosticato in base a 2 dei 3 criteri seguenti: 1)segni e/o sintomi di scompenso cardiaco, 2) evidenza radiologica di congestione polmonare o 3) uso di diuretici o di farmaci inotropi o vasodilatatori. Tutti gli eventi sono stati aggiudicati da cardiologi o endocrinologi che non conoscevano i farmaci somministrati nello studio, compresi 3 nuovi casi di angina (1 trattato con rosiglitazone solamente, 1 con solo ramipril e 1 con doppio placebo) non elencati nelle pubblicazioni originali del trial DREAM, in quanto si erano verificati nel corso della fase attiva dello studio, ma non erano stati identificati al momento della chiusura dei siti clinici, successivamente alla fase di interruzione post-trial. Analisi statistica Il test t di Student e i test χ2 sono stati impiegati nei confronti univariati delle variabili continue e di categoria, rispettivamente. È stato ritenuto che i partecipanti che alla fine dello studio non avevano campioni di urina e serici avessero valori non diversi da quelli basali. I soggetti dei quali non era disponibile lo status di CVD alla visita finale sono stati censurati al momento della visita finale. I modelli dei rischi proporzionali di Cox sono stati usati nella stima dell’effetto di ciascuno farmaco dello studio, stratificato per l’altro farmaco relativamente ai rischi proporzionali (HR) degli esiti di CVD ed è stata valutata la DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 possibilità d’interazione statistica tra i 2 farmaci dello studio su questi esiti, includendo un termine d’interazione nel modello. HR e 95% CI sono stati calcolati con i corrispondenti valori di P a due vie. Gli HR per esiti cardiorenali e renali sono stati calcolati mediante modelli di regressione logistica, con aggiustamenti per l’effetto dell’altro farmaco. Non è stato possibile usare i modelli di Cox per questi esiti perché essi sono stati valutati in tutti i partecipanti solamente alla fine dello studio. Sono stati costruiti modelli di regressione logistica anche per determinare se la prevenzione del diabete con rosiglitazone avrebbe anche potuto prevenire l’esito composito renale (la variabile dipendente). Nel primo modello sono stati inclusi come variabili indipendenti il diabete incidente (nel corso del follow-up medio di 3 anni del trial DREAM) e l’assegnazione a rosiglitazone. Nel secondo modello il diabete è stato sostituito con il tempo necessario per lo sviluppo del diabete, classificato in base al suo verificarsi nei primi 1.5 anni del follow-up, dopo 1.5 anni o mai. In questi 2 modelli sono anche stati inclusi l’assegnazione a ramipril, il rapporto basale albumina-creatinina e l’eGFR calcolato al basale, come variabili indipendenti. Le interazioni sono state testate includendo nel modello un termine d’interazione. RISULTATI Alla fine dello studio era disponibile lo status di CVD del 98% dei partecipanti randomizzati. I valori di albumina creatinina-urinarie e della creatinina serica rilevati alla visita finale erano disponibili in 4.106 (78%) e 4.236 (80%) partecipanti, rispettivamente. Rispetto ai partecipanti che avevano un accertamento renale finale, quelli che non l’avevano erano più giovani (53.5 vs. 55.0 anni, P = 0.0013), v’erano maggiori probabilità che fossero donne (62.1 vs. 58.6%, P = 0.042), avevano glicemia plasmatica a digiuno più bassa (5.78 vs. 5.85 mmol/l, P = 0.004), un valore più elevato della glicemia a 2 h (8.80 vs. 8.66 mmol/l, P = 0.006), creatinina serica più bassa (74.3 vs. 75.7 mg/dl, P = 0.04), avevano maggiore probabilità di essere fumatori (14.8 vs. 11.6%, P = 0.004) e assumevano in misura minore aspirina (12.1 vs. 14.8%, P = 0.023) e farmaci ipolipemizzanti (12.5 vs. 15.4%, P = 0.020). Esito cardiorenale Nel corso dei 3 anni di follow-up 836 partecipanti avevano un primo evento cardiorenale composito, che comprendeva 133 (2.5%) eventi cardiovascolari compositi e 718 (13.6%) eventi renali compositi. L’evento cardiorenale composito si verificava in 1) 412 su 2.623 (15.7%) partecipanti assegnati a ramipril e 424 su 17 DIABETES CARE, MAY 2008 Tabella 1 – Caratteristiche basali dei partecipanti con e senza esiti cardiorenali, cardiovascolari e renali Caratteristica Cardiorenali –––––––––––––––––––––––– Sì No n 836 (100) Età (anni) 57.4 ± 11.2 Donne 521 (62.3) IFG isolata 110 (13.2) IGT isolata 459 (54.9) IFG + IGT 267 (32.0) Glicemia plasmatica a digiuno (mmol/l) 5.88 ± 0.67 2 h dopo 75 g glucosio (mmol/l) 8.74 ± 1.43 Creatinina serica (mmol/l) 74.5 ± 22.2 Microalbuminuria 96 (11.6) Ipercolesterolemia 307 (36.7) Storia d’ipertensione 428 (51.2) Pressione arteriosa sistolica (mmHg) 138.4 ± 17.9 Pressione arteriosa diastolica (mmHg) 83.4 ± 10.4 Indice caviglia braccio 1.21 ±0.17 BMI (kg/m2) 31.0 ± 5.7 Rapporto vita-fianchi (uomini) 0.96 ± 0.06 Rapporto vita fianchi (donne) 0.87 ± 0.08 Fumatori correnti 110 (13.2) Unità/l di alanina aminotrasferasi 27.2 ± 14.6 ECG-LVH con segni di sovraccarico 25 (3.0) Aspirina o antipiastrinici 150 (18.0) Tiazidi 94 (11.3) Altri diuretici 71 (8.5) Aldactone 10 (1.2) Bloccanti del recettore dell’angiotensina 48 (5.7) Beta-bloccanti 174 (20.8) Bloccanti del canale del calcio 152 (18.2) Alfa-bloccanti 18 (2.2) Farmaci ipolipemizzanti 132 (15.8) 4,433 (100) 54.2 ± 10.8* 2,599 (58.6)† 629 (144.2) 2,568 (57.9) 1,236 (27.9)† 5.82 ± 0.66† 8.67 ± 1.43 75.6 ± 16.5 895 (20.9)* 1,564 (35.3) 1,863 (42.0)* 135.7 ± 18.4‡ 83.4 ± 10.9 1.22 ± 0.18 30.9 ± 5.6 0.96 ± 0.07 0.87 ± 0.08 532 (12.0) 292 ± 16.5§ 51 (1.2)* 604 (13.6)‡ 419 (9.5) 203 (4.6)* 30 (0.7) 238 (5.4) 738 (16.6)§ 525 (11.8)* 90 (2.0) 648 (14.6) Cardiovascolari –––––––––––––––––––––––– Sì No 133 (100) 62.9 ± 10.0 60 (45.1) 17 (12.8) 62 (46.6) 54 (40.6) 6.01 ± 0.66 8.80 ± 1.49 83.7 ± 20.5 37 (29.1) 64 (48.1) 87 (65.4) 142.2 ± 18.4 84.1 ± 10.6 0.19 ± 0.20 30.5 ± 5.6 0.97 ± 0.06 0.88 ± 0.08 18 (13.5) 26.9 ± 13.6 11 (8.3) 33 (24.8) 25 (18.8) 20 (15.0) 4 (3.0) 14 (10.5) 36 (27.1) 35 (26.3) 3 (2.3) 32 (24.1) 5,136 (100) 54.5 ± 10.9* 3,060 (59.6)‡ 722 (14.1) 2,965 (57.7)§ 1,449 (28.2)§ 5.83 ± 0.66§ 8.68 ± 1.43 75.3 ± 17.4 954 (19.1)§ 1,807 (35.2)§ 2,204 (42.9)* 135.9 ± 18.3* 83.4 ± 10.8 1.19 ± 0.20 30.9 ± 5.6 0.96 ± 0.07 0.87 ± 0.08 624 (12.2) 28.9 ± 16.3 65 (1.3)* 721 (14.0)‡ 488 (9.5)‡ 254 (5.0)* 36 (0.7)§ 272 (5.3)§ 876 (17.1)§ 642 (12.5)* 105 (2.0) 748 (14.6)§ Renali ––––––––––––––––––––––––––– Sì No 718 (100) 56.4 ± 11.1 472 (65.7) 95 (13.2) 408 (56.8) 215 (29.9) 5.85 ± 0.67 8.73 ± 1.43 72.9 ± 22.0 62 (8.7) 249 (34.7) 355 (49.4) 137.7 ± 17.6 83.3 ± 10.4 1.21 ± 0.16 31.0 ± 5.6 0.96 ± 0.06 0.87 ± 0.08 94 (13.1) 27.2 ± 14.8 18.0 (2.5) 120 (16.7) 72 (10.0) 52 (7.3) 8 (1.1) 36 (5.0) 143 (19.9) 122 (17.0) 15 (2.1) 102 (14.2) 4,551 (100) 54.1 ± 10.9* 2,648 (58.2)* 644 (14.2) 2,619 (57.6) 1,288 (28.3) 5.83 ± 0.66 8.68 ± 1.43 75.9 ± 16.7‡ 929 (21.1)* 1,622 (35.6) 1,936 (42.5)§ 135.8 ± 18.5† 83.4 ± 10.8 1.22 ± 0.18 30.9 ± 5.6 0.96 ± 0.07 0.87 ± 0.08 548 (12.0) 29.1 ± 16.5§ 634 (13.9)† 634 (13.9)† 441 (9.7) 222 (4.9)§ 32 (0.7) 250 (5.5) 769 (16.9)† 555 (12.2)‡ 93 (2.0) 678 (14.9) I dati sono medie ± SD o n (%). *P <0.0001; †P <0.001; §P <0.01. LVH, ipertrofia ventricolare sinistra. 2.646 (16.0%) assegnati a placebo (HR 0.98 [95% CI 0.84-1.13]; P = 0.75) e 2) 394 su 2.635 (15.0%) partecipanti assegnati a rosiglitazone e 442 su 2.634 (16.8%) assegnati a placebo (0.87 [0.75-1.01]; P = 0.07). Le caratteristiche basali dei partecipanti con e senza eventi cardiorenali e le loro componenti sono illustrate nella tabella 1. Non v’era alcuna interazione statisticamente significativa tra gli effetti di ramipril e rosiglitazone sull’esito cardiorenale (P = 0.09). I tassi degli eventi per ciascuna cellula del disegno fattoriale erano 1) del 15.6% (204 su 1.310) con rosiglitazone e ramipril, 2) del 15.7% (207 su 1.313) con ramipril e placebo, 3) del 14.3% (189 su 1.325) con rosiglitazone e placebo e 4) del 17.8% (235 su 1.321) con placebo e placebo. Componente cardiovascolare Il ramipril non alterava il numero degli eventi cardiovascolari o quello composito di morte cardiovascolare, MI non fatale o stroke o di qualsiasi evento cardiovascolare individuale. Allo stesso modo il ro- 18 siglitazone non riduceva il rischio complessivo di eventi cardiovascolari, ma aumentava significativamente il rischio di scompenso cardiaco (tabella 2). Non v’era alcuna interazione negli esiti della componente cardiovascolare tra ramipril e rosiglitazone (P = 0.07). I tassi degli eventi per ciascuna cellula del disegno fattoriale erano del 3.4% (45 su 1.310) con rosiglitazone e ramipril, 1.8% (24 su 1.313) con ramipril e placebo, 2.4% (32 su 1.325) con rosiglitazone e placebo e 2.4% ( 32 su 1.321) con placebo e placebo. I 16 pazienti con scompenso cardiaco erano a maggior rischio per eventi cardiovascolari, rispetto agli altri partecipanti del trial DREAM. Essi erano più anziani (67.5 vs. 54.7 anni), avevano pressione arteriosa sistolica più alta (147.5 vs. 136.1 mmHg) e più frequentemente presentavano storia d’ipertensione (94 vs. 43%) e ipertrofia ventricolare sinistra al tracciato ECG (25 vs. 5%). Essi assumevano anche più antipiastrinici, diuretici, beta-bloccanti, bloccanti del recettore dell’angiotensina, farmaci ipolipemizzanti e bloccanti del ca- nale del calcio. I dati tratti dalla documentazione fornita per l’aggiudicazione dei 16 partecipanti con scompenso cardiaco evidenziavano che 1) 3 casi erano associati a grave patologia delle valvole cardiache, 2) 4 a coronaropatia acuta, 3) 2 a frazione d’eiezione ventricolare sinistra < 40% e 4) 2 a fibrillazione atriale. Sui 14 partecipanti che sviluppavano scompenso cardiaco con rosiglitazone, 9 sospendevano il trattamento, 2 morivano (1 successivamente all’intervento di sostituzione della valvola aortica e all’impianto di bypass coronario e 1 per MI acuto associato a scompenso cardiaco) e 1 soggetto con insufficienza renale aveva scompenso cardiaco ricorrente, nonostante avesse sospeso il rosiglitazone al momento del primo episodio. Componente renale Il ramipril non alterava la componente renale dell’esito composito (tabella 3). Il rosiglitazone riduceva questa componente del 20%, grazie a riduzione nella progressione dell’albuminuria, ma una riduzione dell’eGFR ≥ 30% non era significativa (ta- DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, MAY 2008 Tabella 2 – Componente cardiovascolare dell’esito composto cardiorenale Evento Evento composto cardiovascolare Morte cardiovascolare MI Stroke Scompenso cardiaco congestizio Rivascolarizzazione Nuova angina Morte cardiovascolare, MI o stroke Mortalità totale Ramipril Placebo HR (95% CI) Rosiglitazone Placebo HR (95% CI) 69 (2.6) 12 (0.5) 14 (0.5) 4 (0.2) 12 (0.5) 28 (1.1) 24 (0.9) 27 (1.0) 31 (1.2) 64 (2.4) 10 (0.4) 11 (0.4) 8 (0.3) 4 (0.2) 38 (1.4) 20 (0.8) 29 (1.1) 32 (1.2) 1.09 (0.78-1.53)* 1.21 (0.52-2.80) 1.29 (0.59-2.84) 0.50 (0.15-1.66) 3.06 (0.99-9.48) 0.74 (0.46-1.21) 1.21 (0.67-2.19) 0.94 (0.5-1.59)* 0.98 (0.60-1.61)* 77 (2.9) 12 (0.5) 16 (06) 7 (0.3) 14 (0.5) 37 (1.4) 24 (0.9) 33 (1.3) 30 (1.1) 56 (2.1) 10 (0.4) 9 (0.3) 5 (0.2) 2 (0.1) 29 (1.1) 20 (0.8) 23 (0.9) 33 (1.3) 1.38 (0.98-1.95) 1.20 (0.52-2.77) 1.78 (0.7-4.03) 1.40 (0.44-4.40) 7.04 (1.60-3.1.0) 1.27 (0.78-2.07) 1.20 (0.66-2.17) 1.43 (0.84-2.44)* 0.91 (0.56-1.49)* I dati sono n (%), se non indicato diversamente. Rivascolarizzazione = interventi su arterie coronariche o periferiche. L’evento composto cardiovascolare rappresenta il primo episodio di morte cardiovascolare, MI o stroke. Relativamente agli altri eventi individuali tutti i partecipanti con un evento sono inclusi in ogni riga. *P>0.1; †P = 0.067 bella 3). In un modello logistico che comprendeva anche l’assegnazione a rosiglitazone, l’assegnazione a ramipril, il rapporto basale albumina-creatinina e l’eGFR basale, l’esito renale era associato indipendentemente a diabete incidente (HR 1.42 [95% CI 1.16-1.74]; P < 0.001) e assegnazione a rosiglitazone (0.83 [0.70-0.98]; P = 0.027); questo HR non subiva modificazioni quando nell’equazione il diabete incidente veniva sostituito dalla media della glicemia plasmatica a digiuno. Questa possibile correlazione tra prevenzione del diabete con rosiglitazone e prevenzione dell’esito renale è stata indagata, sostituendo il diabete con il tempo necessario per lo sviluppo del diabete. Dopo il controllo per assegnazione a rosiglitazone e per le altre variabili, lo sviluppo del diabete nei primi 1.5 anni del follow-up era associato con un rischio più elevato di 1.59 volte di esito renale (95% CI 1.16-2.17) (P = 0.0039) vs. assenza di diabete; lo sviluppo del diabete dopo 1.5 anni era associato a rischio più elevato di 1.34 volte (1.05-1.71) (P = 0.0019). Non v’era alcuna interazione, relativamente agli esiti della componente renale, tra ramipril e rosiglitazone (P = 0.2). I tassi degli eventi per ciascuna cellu- la del disegno fattoriale erano 1) del 12.7% (166 su 1.310) con rosiglitazone e ramipril, 2) del 14.2% (186 su 1.313) con ramipril e placebo, 3) dell’11.8% (157 su 1.325) con rosiglitazone e placebo e 4) del 15.7% (208 su 1.321) con placebo e placebo. CONCLUSIONI Il trial Dream ha escluso i soggetti con IFG e/o IGT che avevano CVD perché erano noti i benefici del ramipril sulla CVD. Pertanto quando il trial è stato disegnato 1) è stato riconosciuto che vi sarebbe stato un tasso basso di eventi di CVD, che non sarebbe stato sufficiente per individuare effetti anche modesti sulla CVD (un’ipotesi confermata dalla bassa incidenza, 2.5%, della CVD) e 2) è stato prespecificato un esito secondario cardiorenale composito, che avrebbe prodotto un tasso più elevato di eventi. Né ramipril né rosiglitazone hanno influito significativamente su questo esito cardiorenale composito e il ramipril non ha alterato le sue componenti cardiovascolari o renali. Invece il rosiglitazone ha ridotto in maniera significativa la componente renale di quest’esito, ma ha aumentato il rischio di scompenso cardiaco. Il fatto che ramipril riduce gli esiti cardiovascolari e la progressione dell’albuminuria nei soggetti ad alto rischio di CVD è stato chiaramente evidenziato nello studio HOPE (10,11). Quest’effetto è stato attribuito alla modulazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone. La mancanza di questi effetti positivi nel trial DREAM può essere dipesa dalla bassa incidenza di CVD (l’esito composto di morte cardiovascolare, MI o stroke è stato documentato solamente nell’1% [56 su 5.269], rispetto al 16% [1.477 su 9.297] dello studio HOPE) e dal follow-up relativamente breve di 3 anni, rispetto ai 4.5 anni dello studio HOPE. Inoltre, dato che è possibile che i partecipanti DREAM a basso rischio abbiano una bassa attivazione del sistema renina-angiotensina, era prevedibile che un’ulteriore inibizione con ramipril avesse effetto minimo. Il diabete è un forte fattore di rischio per patologia renale. Poiché i criteri della glicemia impiegati nella diagnosi del diabete rappresentano le soglie oltre le quali il rischio di retinopatia e di patologia renale aumenta rapidamente, un intervento che riduce l’incidenza del diabete (cioè Tabella 3 – Componente renale dell’esito composto cardiorenale Evento Ramipril Placebo HR (95% CI) Rosiglitazone Placebo HR (95% CI) Esito composto renale Progressione dell’albuminuria Da normale a microalbuminuria Da normale a proteinuria Da MA a proteinuria Riduzione di eGFR ≥30% Regressione della microalbuminuria alla normalità 353 (13.5) 267 (10.2) 253 (9.7) 5 (0.19) 9 (0.34) 99 (3.8) 204 (53.7) 365 (13.8) 287 (10.9) 273 (10.3) 4 (0.15) 10 (0.39) 88 (3.3) 174 (47.3) 0.97 (0.83-1.14)* 0.93 (0.78-1.11)* 0.93 (0.77-1.11) 1.26 (0.34-4.71) 0.91 (0.37-2.24) 1.14 (0.85-1.53)* 1.30 (0.98-1.74)|| 324 (12.3) 253 (9.6) 241 (9.2) 6 (0.23) 6 (0.23) 82 (3.1) 193 (52.5) 394 (15.0) 301 (11.4) 285 (10.8) 3 (0.11) 13 (0.49) 105 (4.0) 185 (48.7) 0.80 (0.68-0.93)† 0.82 (0.69-0.98)‡ 0.83 (0.69-0.99) 2.00 (050-8.01) 0.46 (0.18-1.21) 0.77 (0.58-1.04)§ 1.18 (0.88-1.57)* I dati sono n (%), se non indicato diversamente. La componente renale dell’esito composto è il primo episodio di qualsiasi progressione dell’albuminuria, di riduzione dell’eGFR ≥30% o d’insufficienza renale che richiede dialisi o trapianto. Relativamente agli altri eventi individuali tutti i partecipanti ccon quest’evento sono inclusi in ciascuna riga. *P > 0.1; †P = 0.005; ‡P = 0.031; §P = 0.087; ||P = 0.073. DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 19 DIABETES CARE, MAY 2008 l’aumento dei valori della glicemia oltre la soglia diabetica) può ridurre anche la patologia renale. Questa possibilità è fortemente supportata dal dato seguente: il rosiglitazone, che chiaramente riduceva il rischio di diabete, riduceva anche il rischio di patologia renale del 20% vs. placebo, con modificazioni consistenti dell’esito renale. Essa è anche supportata dai modelli di regressione nei quali il diabete incidente, il tempo necessario al suo sviluppo (prima o dopo 1.5 anni) e l’assegnazione a rosiglitazone erano indipendentemente associati all’esito renale. Questi dati non permettono di determinare se fattori aggiuntivi, oltre al miglioramento del controllo metabolico, contribuivano agli effetti renali osservati. Il rosiglitazone chiaramente aumentava il rischio di scompenso cardiaco. Quest’effetto è stato notato ripetutamente in altri studi sui tiazolidinedioni (12-16) e sembra essere dovuto alla ritenzione di sodio e di liquidi a livello renale, all’aumento dell’attività della renina plasmatica (17-19), forse correlato in parte a una modesta riduzione della pressione arteriosa (20, 21) e all’aumento dell’azione dell’insulina (20). Due studi ecocardiografici (22, 23) hanno dimostrato che il rosiglitazone non riduceva significativamente la funzione sistolica ventricolare, sinistra. È importante notare il fatto che l’effettiva incidenza dello 0.5% dello scompenso cardiaco con rosiglitazone durante questo trial di 3 anni, condotto su soggetti a basso rischio di esiti cardiovascolari, era inferiore alle incidenza di 1.5% (12), 1.7% (15) e 5.7% (16), riportate in trial di durata simile con i tiazolidinedioni, condotti su soggetti a rischio più elevato di esiti cardiovascolari. Ciò nonostante il rischio relativo elevato di scompenso cardiaco rappresenta una nuova evidenza che i soggetti a basso rischio non sono protetti da quest’effetto collaterale. La mancanza di un evidente beneficio cardiorenale (a causa dell’assenza di effetto sulla componente cardiovascolare) era sorprendente alla luce dei tanti effetti positivi del rosiglitazone sui marker surrogati di CVD (15,20,21,24). È possibile che il breve periodo del follow-up e la bassa incidenza di eventi cardiovascolari fossero insufficienti a permettere un effetto cardiovascolare. In alternativa, è possibile che il rosiglitazone abbia un effetto neutro sugli eventi di CVD ischemica. In effetti, di recente sono sorte preoccupazioni che esso possa aumentare il rischio di CVD ischemica (25), ma l’assenza di qualsiasi beneficio o danno cardiovascolare evidente del rosiglitazone in un’analisi ad interim di un ampio trial cardiovascolare (15) ha alimentato incertezze riguardo ai suoi effetti sulla CVD ischemica e mette in luce la necessità di 20 ampi trial, in grado di risolvere questo dilemma. I punti forti del nostro studio comprendono il fatto che tutti gli esiti misurati sono stati definiti, raccolti e aggiudicati in maniera prospettica. I dati sono limitati dal fatto che alla fine dello studio erano disponibili gli esiti renali solamente del 78% dei partecipanti. Per riassumere, il trial DREAM non ha dimostrato alcun impatto significativo di ramipril sull’esito cardiorenale composito o sulle sue componenti cardiovascolare o renale. Esso non ha neanche dimostrato un effetto del rosiglitazone sull’esito cardiorenale o sulla sua componente cardiovascolare, ma un aumento dello scompenso cardiaco. Tuttavia il rosiglitazone ha ridotto la componente renale di quest’esito, una delle complicanze del diabete, oltre a ridurre l’incidenza del diabete stesso. Bibliografia DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, MAY 2008 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 21 DIABETES CARE, MAY 2008 Gestione del diabete preesistente in gravidanza Sommario di evidenze e raccomandazioni di consenso JOHN L. KITZMILLER, MD, MS1 JENNIFER M. BLOCK, BS, RN, CDE2 FLORENC M. BROWN, MD3 PATRICK M. CATALANO, MD4 DEBORAH L. CONWAY, MD5 DONALD R. COUSTAN, MD6 ERICA P. GUNDERSON, RD, PHD7 WILLIAM H. HERMAN, MD, MPH8 LISA D. HOFFMAN, MSW, LCSW9 MARIBETH INTURRISI, RN MS CNS, CDE10 uesto documento di consenso contiene raccomandazioni per il trattamento di donne in gravidanza con diabete preesistente, di tipo 1 e 2. Esso ha lo scopo di aiutare i clinici nel trattamento dell’ampio spettro di problemi che sorgono nella gestione del diabete prima e durante la gravidanza e di preparare le donne diabetiche a un trattamento che può ridurre le complicanze negli anni successivi alla gravidanza. Una discussione completa delle evidenze a supporto delle raccomandazioni è presentata nel volume Management of Preexisting Diabetes and Pregnancy, scritto da coloro che hanno partecipato alla stesura di questo documento di consenso e pubbli- Q LOIS B. JOVANOVIC, MD11 SIRI I. KJOS, MD2 ROBERT H. KNOPP, MD13 MARTIN N. MONITORO, MD14 EDWARD S. OGATA, MD15 PATHMAJA PARAMSOTHY, MD, MS16 DIANE M. READER, RD, CDE17 BARAK M. ROSENE, MD18 ALYCE M. THOMAS, RD19 M. SUE KIRMAN, MD20 cato dall’American Diabetes Association (ADA) nel 2008 (1). Sarà pubblicato separatamente un documento di consenso su gestione ostetrica e post partum. Le raccomandazioni consistono in azioni diagnostiche e terapeutiche, ritenute utili per gli esiti materni e perinatali nelle gravidanze complicate da diabete. È stato adottato il sistema di classificazione dell’ADA per chiarire e codificare le evidenze alla base delle raccomandazioni (2). Sfortunatamente esistono pochi trial controllati e randomizzati (RCT) sui differenti aspetti della gestione del diabete e della gravidanza. Pertanto le nostre raccomandazioni spesso si basano su trial condotti su donne diabetiche non in Da: the 1Division of Maternal-Fetal Medicine, Santa Clara Valley Medical Center, San Jose, California; the 2Division of Pediatric Endocrinology, Stanford University Medical Center, Stanford, California; the 3Department of Internal Medicine, Joslin Diabetes Center, Boston, Massachusetts; the 4Department of Obstetrics and Gynecology, Metrohealth Medical Center, Cleveland, Ohio; the 5Department of Obstetrics and Gynecology, University of Texas Health Sciences Center, San Antonio, Texas; the 6Department of Obstetrics and Gynecology, Women and Infants Hospital, Brown Medical School, Providence, Rhode Island; the 7Epidemiology and Prevention Section, Division of Research, Kaiser Permanente Foundation, Oakland, California; the 8Department of Medicine, University of Michigan Medical School, Ann Arbor, Michigan; the 9Diabetes and Pregnancy Program, Obstetrix Medical Group, San Jose, California; the 10California Diabetes and Pregnancy Program, Northcoast Region UCSF, San Francisco, California; the 11Sansum Diabetes Research Institute, Santa Barbara, California; the 12Department of Obstetrics and Gynecology, Harbor/UCLA Medical Center, Torrance, California; the 13Northwest Lipid Research Clinic, University of Washington School of Medicine, Seattle, Washington; the 14Division of Medical Endocrinology, University of Southern California School of Medicine, Los Angeles, California; the 15Division of Neonatology, Children’s Memorial Hospital, Northwestern University School of Medicine, Chicago, Illinois; the 16Division of Cardiology, University of Washington School of Medicine, Seattle, Washington; the 17International Diabetes Center, Minneapolis, Minnesota; the 18Division of Maternal-Fetal Medicine, St. Luke’s Roosevelt Hospital Center, New York, New York; the 19Department of Obstetrics and Gynecology, St. Joseph’s Regional Medical Center, Paterson, New Jersey e the 20American Diabetes Association, Alexandria, Virginia. 22 gravidanza o su donne non diabetiche in gravidanza, e anche su esperienze riesaminate da pari prima e durante la gravidanza di donne con diabete preesistente (3-4). Abbiamo anche riesaminato e adattato le linee guida esistenti relative a diabete e gravidanza (5-10) e le linee guida per le complicanze e le comorbilità diabetiche (2,3,11-14). I. GESTIONE DEL DIABETE PREESISTENTE IN GRAVIDANZA A. Organizzazione relativa al periodo anteriore al concepimento e al trattamento in gravidanza Raccomandazioni • Le donne diabetiche in grado di procreare dovrebbero essere educate in merito alla necessità di mantenere un buon controllo della glicemia prima della gravidanza e dovrebbero prendere parte ad un’adeguata pianificazione familiare. (E) • Ogniqualvolta è possibile, organizzare per le donne con diabete preesistente che si preparano alla gravidanza un trattamento multi-disciplinare, centrato sulla paziente. (B) • Le donne diabetiche che pensano di iniziare una gravidanza dovrebbero essere sottoposte ad esami e, se è il caso, trattate per nefropatia diabetica, neuropatia e retinopatia, come anche per patologia cardiovascolare (CVD), ipertensione, dislipidemia, depressione e patologia della tiroide. (E) • L’uso di farmaci dovrebbe essere valutato prima del concepimento, poiché i farmaci impiegati comunemente nel trattamento del diabete e delle sue complicanze possono essere controindicati o non raccomandati in gravidanza, come statine, ACE inibitori, bloccanti del recettore dell’angiotensina II (ARB) e la maggior parte dei trattamenti non insulinici. (E) • Proseguire il trattamento multidisciplinare centrato sulla paziente per tutto il periodo della gravidanza e dopo il parto. (E) • Visite regolari di follow-up sono importanti per gli aggiustamenti del programma di trattamento correlati allo stadio della gravidanza, al con- DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, MAY 2008 trollo della glicemia e della pressione arteriosa, all’aumento del peso e ad esigenze individuali della paziente. (E) • Educare le donne diabetiche in gravidanza in merito ai grandi benefici di 1) riduzione a lungo termine dei fattori di rischio per CVD, 2) allattamento al seno e 3) efficace pianificazione familiare, con un buon controllo della glicemia prima di affrontare un’altra gravidanza. (E) La gravidanza incide profondamente sulla gestione del diabete (15-18). Gli ormoni della placenta, i fattori di crescita e le citochine causano un aumento progressivo dell’insulino-resistenza, che rende necessario un trattamento nutrizionale intensivo e frequenti aggiustamenti dell’insulina somministrata per prevenire l’iperglicemia, che è pericolosa per il feto. L’insulino-resistenza aumenta il rischio di chetoacidosi in risposta allo stress causato da patologie concorrenti o dai farmaci usati nella gestione delle complicanze ostetriche. L’ipoglicemia indotta da insulina insorge più rapidamente durante la gravidanza e rappresenta un pericolo per la donna, specialmente se è affetta da diabete di tipo 1. Frequentemente, quando iniziano una gravidanza le donne con diabete di tipo 2 hanno una notevole insulino-resistenza e sono obese, circostanze che contribuiscono a rendere problematico il controllo ottimale della glicemia. Questi problemi hanno portato allo sviluppo di programmi multidisciplinari in centri d’eccellenza, per ridurre in maniera sostanziale le complicanze materne, fetali e neonatali. Tuttavia dati di popolazione continuano ad evidenziare tassi in eccesso di malformazioni congenite e di morbilità e mortalità perinatale (1). È indispensabile estendere gli sforzi per permettere alle pazienti diabetiche l’accesso a cure prenatali di qualità e garantire loro un buon controllo della glicemia per tutto il periodo della gravidanza (4, 19-27). I migliori successi sono stati conseguiti dai modelli di cure che pongono una paziente responsabile al centro di un team sanitario multidisciplinare (2, 2831). Il volume Management of Preexisting Diabetes and Pregnancy (1) contiene una discussione completa sui ruoli dei diversi clinici nei programmi multidisciplinari di trattamento di diabete e gravidanza. È importante collegare le componenti del trattamento disegnato per il beneficio prolungato della salute della madre, con riferimento speciale a CVD e complicanze diabetiche microvascolari e neurologiche. Fortunatamente esistono evidenze che la gravidanza non è un fattore indipendente di rischio per progressione a lungo termine delle complicanze microvascolari (32-35). Tuttavia abbiamo bisogno di ulteriori dati sull’influenza di glicemia, pressione arteriosa, lipidi, albuminuria, stress ossidativo e infiammazione in gravidanza sul rischio a lungo termine di CVD. I clinici possono avvantaggiarsi della forte motivazione delle donne diabetiche in gravidanza, per insegnare loro comportamenti e modalità di auto-gestione, che possono tenere sotto controllo i fattori di rischio per CVD. Per ottenere esiti ottimali nel lungo termine è necessario promuovere la gestione intensiva anche negli anni successivi alla gravidanza e in preparazione di un eventuale nuovo concepimento. Valutazione iniziale Raccomandazioni relative ad anamnesi ed esame obiettivo All’inizio del trattamento precedente al concepimento o, in sua assenza, all’inizio della gravidanza, dovrebbe essere effettuata una completa valutazione clinica per: • Classificare la paziente e individuare la presenza di complicanze diabetiche, cardiovascolari, tiroidee o ostetriche • Riesaminare i pattern nutrizionali, attività fisica e problemi psico-sociali • Informare la paziente sulla prognosi • Stabilire le aspettative di partecipazione della paziente • Contribuire alla formulazione di un programma di gestione insieme ai membri del team sanitario • Fornire la base del trattamento continuativo e dei test di laboratorio La valutazione dovrebbe riprendere in esame gravidanze passate e comorbilità, come dislipidemie e altri fattori di rischio cardiaco, ipertensione, albuminuria, sintomi d’ischemia cardiaca e di scompenso e vascolopatia periferica, sintomi di neuropatie, consapevolezza dell’ipoglicemia ed episodi d’ipoglicemia grave, sintomi intestinali, malattia celiaca, disordini della tiroide e malattie infettive, come anche educazione al diabete e trattamento precedente, e livelli passati e presenti del controllo della glicemia. Accanto a un adeguato esame ostetrico, l’esame obiettivo dovrebbe comprendere la determinazione della pressione arteriosa (11), della frequenza cardiaca ortostatica e delle risposte della pressione arteriosa, se indicato (36); palpazione della tiroide; auscultazione di soffi carotidei e femorali, palpazione del dorso del piede; presenza/assenza dei riflessi di Achille e determinazione della vibrazione e della sensibilità al monofilamento nei piedi (37) e l’ispezione visiva di tutti e due i piedi. DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 Le raccomandazioni relative ai test di laboratorio, idonee alla valutazione della condizione della paziente, sono elencate nella tabella 1. Sebbene vi siano complicanze che non possono essere trattate con farmaci ottimali in corso di gravidanza, la loro identificazione permette l’intensificazione del trattamento post partum. Prima del concepimento o in corso di gravidanza tutte le pazienti dovrebbero essere sottoposte a test per A1C, profilo lipidico, status del ferro, status della tiroide, steatosi, albuminuria e retinopatia diabetica. Alcune pazienti possono avere bisogno di elettrocardiogramma (ECG) o di ecocardiografia, a causa del rischio di coronaropatia (CHD) associato a età e durata del diabete o a sintomatologia. Le pazienti con diabete di tipo 1 che non dispongono di test recenti dovrebbero essere sottoposte a screening per lo status di vitamina B12 e malattia celiaca, a causa dell’associazione con auto-immunità prodotta dalla malattia. Nelle pazienti con rapporto su campione random albumina-creatinina urinarie (ACR) al limite superiore della normalità per le donne (25-29 µg/mg) può essere utile la raccolta delle urine delle 24 h per la misura della microalbuminuria. Le pazienti con proteinuria al limite dovrebbero essere sottoposte a esame delle urine delle 24 h per la proteina urinaria totale e la clearance della creatinina (CrCl). L’attenzione alle componenti di una valutazione comprensiva del diabete (tabella 7 di Standards of Medical Care in Diabetes – 2008 [2]) aiuterà il team sanitario a fornire una gestione ottimale della donna con diabete preesistente nel periodo anteriore al concepimento e durante la gravidanza. B. Controllo della glicemia 1. Esito perinatale e obiettivi glicemici Raccomandazioni • Prima della gravidanza, per prevenire aborti spontanei in eccesso e malformazioni congenite maggiori, l’obiettivo è l’A1C più vicina possibile alla normalità, senza ipoglicemia significativa. (B) • Assicurare contraccezione efficace fino a quando non si ottiene una glicemia stabile e accettabile. (E) • Un controllo glicemico eccellente nel primo trimestre prolungato per tutta la durata della gravidanza è associato a frequenza minima di complicanze materne, fetali e neonatali. Sviluppare o aggiustare il piano di gestione in maniera da ottenere una glicemia quasi normale e, nel contempo, minimizzare l’ipoglicemia significativa. (B) • Per tutta la durata della gravidanza 23 DIABETES CARE, MAY 2008 Tabella 1 – Componenti degli esami di laboratorio e di esami speciali nella valutazione iniziale e successiva di donne in gravidanza con diabete preesistente di tipo 1 o 2 (in aggiunta agli usuali test prenatali di laboratorio) Valutazione iniziale Test successivi A1C Profilo lipidico a digiuno, *compresi trigliceridi e colesterolo totale, HDL e LDL TSHU e anticorpi anti-perossidasi tiroidea; prendere in considerazione gli anticorpi anti-recettore TSH se TSH è soppresso < 0.03 µU/ml Emoglobina, ferritina serica; prendere in considerazione la vitamina B12 nel diabete di tipo 1 Prendere in considerazione gli anti-tTG o anti-EMA più le IgA nel diabete di ti tipo1 per la diagnosi della malattia celica* ALT/AST; possibile ecografia epatica Raccolta random delle urine per ACR o delle urine delle 24 h per microalbuminuria e clearance della creatinina (misurare l’escrezione totale della proteina delle 24 h se l’esame delle urine è positivo per albumina o proteine). La creatinina serica per stirame il GFR stimato in fase di pre-concepimento; la clearance della creatinina in gravidanza Esame della retina dilatata* Valutare i fattori di rischio per CHD. ECG* a riposo nelle pazienti asintomatiche di 35 anni o più (notare le modificazioni per ischemia latente pregressa, LVH, e QTc). Le donne con sospetto di angina, dolore atipico al petto, dispnea significativa, ECG anomalo o altri motivi di sospetto di CHD dovrebbero essere sottoposte a consulto cardiologico con ECG sotto sforzo, ecocardiogramma sotto sforzo o altra tecnica per immagini* Prendere in considerazione di valutare* la neuropatia cardiaca autonomica (variabilità della frequenza cardiaca con respirazione profonda, risposta della pressione arteriosa in posizione eretta) Prendere in considerazione l’ecocardiogramma 2-D o Doppler o l’ecografia* Doppler, con indicazione di cardiomiopatia diabetica o scompenso cardiaco sistolico o diastolico Prendere in considerazione di valutare* il rischio di patologia vascolare arteriosclerotica periferica se elevato (ecografica della carotide, pressione arteriosa caviglia-braccio) Ogni 1-3 mesi Quando indicato Per monitorare il trattamento Per monitorare il trattamento Ripetere per confermare un risultato anomalo o monitorare l’effetto del regime alimentare privo di glutine Se indicato Ogni 1-3 mesi se anomalo Ogni 1-6 mesi in base al rischio di progressione Se indicato Se indicato Se indicato Se indicato *Può essere ritardato od omesso se è stato effettuato prima della gravidanza. EMA = anticorpi anti-endomisio; LVH = ipertrofia ventricolare sinistra; QTc, intervallo Q-T della frequenza cardiaca; tTG = transglutaminasi. gli obiettivi ottimali della glicemia sono: glicemia 60-99 mg/dl prima del pasto, all’ora di andare a dormire e durante la notte, picco postprandiale 100-129 mg/dl e media giornaliera < 110 mg/dl e A1C < 6.0. (B) • Obiettivi più elevati della glicemia possono essere usati nelle pazienti inconsapevoli dell’ipoglicemia o incapaci di sopportare un trattamento intensivo. (E) L’iperglicemia materna durante le prime settimane di gravidanza è fortemente associata ad aborti spontanei e malformazioni congenite maggiori (23,24). Le soglie glicemiche per l’aumento del rischio comprendoni valori dell’A1C ≥ 3 SD oltre la media non diabetica in gravidanza (≥ 6.3%). Il rischio aumenta con il peggioramento dei valori della glicemia (1,38-41). La relazione che intercorre tra glicemia della madre ed esito della gravidanza è un 24 continuum e i risultati ideali si ottengono quando le concentrazioni di glicemia materna rientrano nei limiti della normalità (42-46), ma non sono eccessivamente basse (47). Dopo 12 settimane di gestazione l’iperglicemia induce iperinsulinemia fetale, accelerazione della crescita e adiposità in eccesso nei modelli animali e nelle donne diabetiche. V’è macrosomia (peso alla nascita > 4.000-4.500 g) (16) nel 27-62% dei neonati di madri diabetiche, rispetto a ~10% in quelli dei soggetti di controllo. La macrosomia è associata a tassi aumentati di parto non naturale e traumi alla nascita, morte del feto e complicanze neo-natali, come: ipoglicemia, cardiomiopatia ipertrofica, policitemia e iperbilirubinemia (1). Numerosi studi indicano che la glicemia di metà trimestre è il miglior predittore delle dimensioni in eccesso del feto e che la macrosomia e altre complicanze neo-natali sono minimizzate se si intensifi- ca il controllo della glicemia (1,48). I valori della glicemia postprandiale erano più fortemente associati a peso in eccesso alla nascita negli studi in cui venivano misurate la glicemia prima del pasto e quella postprandiale (49-52). Un controllo troppo rigoroso (glicemia plasmatica media < 80-90 mg/dl) è stato associato a ridotta crescita del feto, che porta con se una serie di problemi neo-natali e relativi allo sviluppo del bambino. L’iperglicemia fetale causa ipossia e acidosi fetale, che può spiegare i tassi in eccesso di parti di feti morti che è ancora possibile osservare nelle donne con diabete inadeguatamente controllato (1). I neonati macrosomici a causa del modesto controllo glicemico della madre e d’iperinsulinemia fetale hanno maggiori probabilità di sviluppare più tardi obesità e intolleranza al glucosio (1,53) e studi di followup a lungo termine (5-15 anni) su neonati di madri diabetiche suggeriscono che un DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, MAY 2008 modesto controllo della glicemia in gravidanza influisce negativamente sullo sviluppo intellettuale e psico-motorio (1). Questi dati sottolineano gli effetti prolungati dell’esposizione intrauterina al diabete sulla prole (1,53). Decenni di lavoro indicano che un controllo adeguato della glicemia riduce morbilità e mortalità perinatale. Un controllo rigoroso della glicemia può anche beneficiare direttamente la madre, in quanto la glicemia alta in gravidanza è correlata a progressione di retinopatia e neuropatia e a pre-eclampsia e parto prematuro (1). 2.Valutazione del controllo metabolico Raccomandazioni • L’auto-monitoraggio della glicemia (SMBG) è una componente chiave del trattamento del diabete in gravidanza e dovrebbe essere incluso nel programma di trattamento. L’SMBG giornaliero prima e dopo i pasti, all’ora di andare a dormire e occasionalmente alle 2.00 – 4.00 del mattino fornirà risultati ottimali in gravidanza. (E) • L’SMBG con puntura del dito è il metodo migliore in gravidanza, poiché è possibile che il test in siti alternativi non identifichi modificazioni veloci delle concentrazioni glicemiche, caratteristiche delle donne diabetiche in gravidanza. (E) • In media la glicemia postprandiale capillare, misurata 1 h dopo l’inizio del pasto, si avvicina meglio al picco della glicemia postprandiale misurata continuativamente ©, ma a causa delle differenze individuali può essere utile che ciascuna paziente determini qual’è per lei l’ora più adatta per valutare il picco postprandiale. (E) • Il monitoraggio continuo della glicemia può essere uno strumento aggiuntivo al SMBG in alcune pazienti con diabete di tipo 1, soprattutto in quelle che non avvertono la ipoglicemia. (E) • Insegnare alle pazienti in gravidanza come misurare i chetoni urinari quando si è ammalati o quando la glicemia raggiunge i 200 mg/dl. I valori positivi dovrebbero essere immediatamente riferiti ai responsabili del trattamento. (E) • Eseguire il test dell’A1C con un assay indicato nel Diabetes Control and Complications Trial (DCCT), durante la visita iniziale e mensilmente fino a quando non si ottiene l’obiettivo di valori < 6.0 e ogni 2-3 mesi da quel momento in poi. (E) L’SMBG permette alle pazienti di valutare la propria risposta individuale al trattamento e di stabilire se si stanno raggiungendo gli obiettivi glicemici. Una valutazione frequente è necessaria in gravidanza quando vi è la possibilità di insorgenza rapida dell’ipoglicemia, in assenza di cibo o durante l’attività fisica e per risposte iperglicemiche eccessive all’ingestione di cibo, stress psicologico e malattia intercorrente. Si raccomanda l’SMBG prima e dopo i pasti e occasionalmente nel corso della notte (1). L’utilità del test postprandiale in gravidanza è supportata da trial controllati (54, 55). Il test in siti alternativi nella condizione dinamica della gravidanza, caratterizzata da modificazioni rapide della glicemia, può produrre risultati differenti da quelli del test con puntura del dito (1). L’accuratezza dell’SMBG dipende dallo strumento e da chi lo usa (56) e il personale sanitario dovrebbe valutare inizialmente e successivamente a intervalli regolari la tecnica di monitoraggio impiegata da ciascuna paziente. L’uso ottimale delle SMBG richiede l’interpretazione adeguata dei dati per aggiustare l’assunzione di cibo, l’attività fisica o il trattamento insulinico, al fine di ottenere specifici obiettivi glicemici. I responsabili del trattamento dovrebbero valutare regolarmente la capacità della paziente di usare i dati che guidano il trattamento. Le pazienti dovrebbero usare misuratori calibrati per la glicemia plasmatica e in grado di immagazzinare i dati, ma dovrebbero anche registrarli per iscritto. Le pazienti dovrebbero poter contattare rapidamente i membri del team sanitario per telefono o in altro modo, per un esame regolare dei dati nell’intervallo tra le visite e per discutere problemi di gestione della malattia. Il test dei chetoni è importante in gravidanza, poiché la presenza di chetoni può indicare cheto-acidosi diabetica (DKA), che può svilupparsi rapidamente in gravidanza quando i valori della glicemia superano 200 mg/dl (57). La DKA è associata a tasso elevato di mortalità fetale. I chetoni urinari dovrebbero essere misurati quando la donna diabetica in gravidanza è ammalata o presenta iperglicemia persistente. La chetonemia a digiuno nelle donne in gravidanza con diabete inadeguatamente controllato è stata associata a riduzione dell’intelligenza e delle capacità motorie della prole (58). Sono disponibili test domiciliari per l’acido β-idrossibutirico, da usare nei giorni di malattia, ma questi test non sono stati valutati sistematicamente in corso di gravidanza (1). C. Trattamento medico nutrizionale Raccomandazioni • Le donne diabetiche in gravidanza dovrebbero seguire un trattamento DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 • • • • • • • nutrizionale individualizzato (MNT), che permetta loro di raggiungere gli obiettivi del trattamento, preferibilmente somministrato da un dietista abilitato che conosce le componenti del MNT per diabete e gravidanza, che agisce di concerto con gli altri membri del team clinico, che dovrebbero anche conoscere e supportare il programma alimentare individualizzato. (B) Valutare il BMI prima della gravidanza e porsi come obiettivo un aumento del peso gestazionale individuale nel range più basso previsto dalle raccomandazioni dell’Institute of Medicine (IOM) in base a gruppi di BMI, assunzione calorica basale per gruppo di BMI, livello di attività fisica, pattern di crescita fetale e desiderio di prevenire un aumento di peso eccessivo e dopo il parto. (E) Elaborare il programma alimentare (pattern di pasti e snack giornalieri) sulla base delle preferenze individuali, includendo 1) valore calorico appropriato, 2) consumo adeguato di proteine (1.1 g · kg-1 · giorno-1), grassi e micronutrienti, 3) consumo di 175 g/giorno di carboidrati digeribili e 4) distribuzione dell’assunzione dei carboidrati in maniera tale da promuovere un controllo ottimale della glicemia ed evitare ipoglicemia e chetonemia. (E) Promuovere il consumo di un regime alimentare integrale e bilanciato, tenendo conto delle esigenze di natura etnica, culturale ed economica. Preservare il piacere di mangiare scegliendo i cibi sulla base di evidenza scientifica, aumento di peso e risposte della glicemia postprandiale. (E) Istruire la donna diabetica su come valutare la quantità di carboidrati per porzione e pasto/snack e su come scegliere i carboidrati che contribuiranno a tenere sotto controllo la glicemia postprandiale; incoraggiare l’assunzione di fibre (28 g/giorno), mediante il consumo di cereali integrali, frutta e verdure. (E) Sottolineare l’importanza del rispetto giornaliero dell’orario di pasti e spuntini, per minimizzare l’ipoglicemia e in accordo con il dosaggio dell’insulina, per prevenire iperglicemia. (E) Incoraggiare le pazienti a registrare sempre il cibo e le bevande consumate o a farlo per almeno 1 settimana prima di ciascuna visita, per valutare l’adeguatezza dell’assunzione di nutrienti e confrontare l’assunzione di carboidrati con le registrazioni del SMBG. (E) Insegnare alle pazienti come control- 25 DIABETES CARE, MAY 2008 lare l’assunzione di grassi nell’interesse del mantenimento della propria salute; incoraggiare il consumo di acidi grassi insaturi, compresi gli acidi grassi n-6 e n-3; limitare i grassi saturi a < 10% dell’assunzione calorica e i grassi trans al minimo. (A) • Consumare 600 µg/giorno di folati nel periodo anteriore al concepimento e in quello prenatale, attraverso integrazione alimentare e fonti alimentari rinforzate. (A) • Integrare l’assunzione di minerali, elementi in tracce e vitamine, per assumerne in quantità adeguata o per raggiungere i livelli delle razioni alimentari raccomandati dal IOM in tutti i trimestri della gravidanza. (E) Gli obiettivi del MNT in gravidanza comprendono: a) assunzione adeguata di nutrienti per supportare una gravidanza sana, b) controllo eccellente della glicemia, grazie ad assunzione bilanciata di alimenti/carboidrati, associata ad attività fisica e trattamento insulinico, c) aumento adeguato, ma non eccessivo del peso e d) apprendimento di comportamenti appropriati in materia di alimentazione e attività fisica, che possono contribuire al mantenimento in buona salute della madre nel tempo. Trial clinici condotti su donne diabetiche non in gravidanza e l’esperienza clinica della gravidanza supportano l’efficacia del MNT fornito da dietisti abilitati in concerto con altri membri del team sanitario (1). Management of Preexisting Diabetes and Pregnancy (1) fornisce una trattazione completa del fabbisogno energetico e dell’assunzione adeguata di acqua, elettroliti, macronutrienti e micronutrienti (minerali e vitamine) nella gravidanza complicata da diabete, sulla base della documentazione sulla nutrizione fornita dal IOM (1,59,60). A causa del rischio di difetti del canale neurale si raccomanda che le donne in grado di concepire consumino giornalmente 400 µg di acido folico, attraverso l’uso d’integratori alimentari, cibi arricchiti o di entrambi e di un regime alimentare vario. Nel periodo del concepimento e in quello prenatale è raccomandata l’assunzione di 600 µg/giorno attraverso integratori o cibi arricchiti. L’integrazione con folati può mascherare i segni di carenza di B12 nelle donne con diabete di tipo 1, che possono soffrire di gastrite auto-immune. Pertanto si faccia in modo di misurare i valori basali della vitamina B12 in queste pazienti (1). Quattro studi sull’assunzione di nutrienti di donne diabetiche in gravidanza negli Stati Uniti e nel Regno Unito indicano che il consumo di calcio, rame, magnesio, zinco, vitamina C e vitamina E 26 può essere sub-ottimale (1). Le donne sono incoraggiate ad assumere i micronutrienti attraverso il cibo, ma nelle donne con diabete preesistente dovrebbe essere presa in considerazione l’integrazione prenatale di vitamine e minerali. L’integrazione di ferro non è necessaria, a meno che l’emoglobina non sia < 11.0 g/dl nel primo e terzo trimestre o < 10.5 g/dl nel secondo trimestre e non vi sia evidenza di laboratorio di carenza di ferro (61). Le donne vegetariane in gravidanza possono avere bisogno di integrazione di vitamina D e B12. Non esistono sufficienti evidenze a favore dell’integrazione generalizzata di acidi grassi n-3 nelle gravidanze diabetiche (1). Il peso dovrebbe essere monitorato nel corso di ciascuna visita e si dovrebbero fare aggiustamenti relativamente all’assunzione di nutrienti o all’attività fisica, per raggiungere gli obiettivi desiderati. Gli obiettivi dell’aumento di peso gestazionale si basano sul BMI di prima della gravidanza: aumenti minori nelle donne in soprappeso e aumenti maggiori in quelle sottopeso (59). L’aumento del peso della madre ha un impatto sull’esito perinatale (1). L’aumento eccessivo di peso è associato ad aumento di macrosomia fetale, trauma potenziale alla nascita, taglio cesareo e ritenzione di grasso e peso dopo la gravidanza. Le condizioni cliniche correlate al diabete, che richiedono approcci alimentari particolari in gravidanza, sono la malattia celiaca, la gastrite atrofica autoimmune e la steatosi non da alcol, come pure l’impianto di bypass gastrico per obesità grave. Nel libro si discutono prevalenza, fisiopatogia e trattamento di queste condizioni (1). I disordini alimentari sono presi in considerazione nella sezione dedicata alla terapia comportamentale (II. G.). A causa dei rischi di CVD o di ipertrigliceridemia le donne diabetiche sono incoraggiate a mangiare almeno due pasti di pesce azzurro alla settimana, per aumentare gli acidi grassi n-3 (acidi eicosapentenoico e docosaessanoico), ma le donne in gravidanza dovrebbero evitare di mangiare pesce ad alto contenuto potenziale di metilmercurio (cioè pesce spada, merluzzo, squalo) (1). D. Trattamento insulinico Raccomandazioni • Per il controllo ottimale della glicemia in gravidanza nelle donne con diabete preesistente i migliori risultati sono solitamente garantiti con regimi intensivi d’insulina basale e al pasto (regimi a dosaggio multiplo d’insulina sottocutanea ad azione prolungata e breve o infusione continua d’insulina sottocutanea [CSII]). (E) • Le pazienti trattate con insulina dete- • • • • mir o glargine dovrebbero passare a insulina NPH 2 o 3 volte al giorno, preferibilmente prima della gravidanza o alla prima visita prenatale, in attesa di trial clinici che dimostrino sicurezza ed efficacia di questi analoghi. (E) Adeguare i dosaggi d’insulina al pasto ad assunzione di carboidrati, glicemia prima del pasto e previsione di attività fisica. (E) Gli analoghi dell’insulina ad azione rapida, come lispro o aspart, possono produrre un migliore controllo postprandiale con minore ipoglicemia, rispetto all’insulina regolare. (E) Le iniezioni dovrebbero essere praticate nell’addome o nei glutei per un miglior assorbimento. (E) A causa dell’aumento dei rischi di chetosi in gravidanza le pazienti che usano CSII dovrebbero essere ben addestrate nell’individuazione e nel trattamento dell’iperglicemia ingiustificata, per sottodosaggio della insulina somministrata (problemi relativi alla pompa o al sito dell’infusione). (E) La somministrazione sottocutanea d’insulina è il cardine del trattamento intensivo del diabete preesistente in gravidanza. La somministrazione d’insulina basale/pasto mediante iniezioni multiple o CSII è molto efficace. Nelle pazienti con diabete di tipo 1 può esservi un periodo iniziale in cui la sensibilità all’insulina aumenta, intorno alla 10°-14° settimana di gestazione. Successivamente il dosaggio dell’insulina solitamente aumenta in maniera sequenziale, con variazioni individuali piuttosto ampie, che spesso si appiattiscono o si riducono dopo 35 settimane. Nella maggior parte delle pazienti risulta appropriato un algoritmo per l’aggiustamento delle dosi d’insulina prima dei pasti, che corregge per i valori della glicemia che esulano dal range desiderato. Quando si avvia il trattamento insulinico nelle donne con diabete di tipo 2 spesso è efficace una dose giornaliera iniziale di 0.7-1.0 unità/kg di peso corporeo effettivo, aggiustata sulla base delle successive concentrazioni glicemiche. Nelle donne obese può essere necessario somministrare dosi più elevate d’insulina, che possono raddoppiarsi o triplicarsi in corso di gravidanza. Nel libro (1) e in altre pubblicazioni (62,63) sono illustrati i protocolli d’avvio e di gestione del trattamento insulinico. Tra gli analoghi dell’insulina solamente aspart e lispro sono stati dimostrati sicuri ed efficaci in trial clinici sulla gravidanza (1). RCT con iniezioni multiple giornaliere vs. CSII in gravidanza hanno general- DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, MAY 2008 mente evidenziato controllo della glicemia ed esito perinatale equivalenti. La infusione basale, multipla, aggiustabile, ottenibile con CSII può essere particolarmente utili nelle pazienti con ipoglicemia diurna o notturna o prevalentemente all’alba (aumentata richiesta d’insulina tra le 4.00 e le 8.00 del mattino). Gli svantaggi della CSII sono i costi, la possibilità d’iperglicemia elevata e il rischio di DKA in conseguenza di problemi nella somministrazione dell’insulina (solitamente dipendenti da piegatura accidentale del catetere o altre problematiche connesse al sito dell’infusione); pertanto è molto importante un buon addestramento della paziente (1). E. Farmaci ipoglicemizzanti orali nel diabete di tipo 2 Raccomandazioni • I farmaci orali per il trattamento del diabete di tipo 2 dovrebbero essere sospesi e dovrebbe essere avviata e titolata l’insulina, per ottenere un controllo adeguato della glicemia prima del concepimento. (E) • Le donne che entrano in gravidanza mentre stanno assumendo farmaci orali dovrebbero iniziare l’insulina il più presto possibile. Da dati limitati relativi al primo trimestre si può dedurre che è possibile continuare con metformina e glibenclamide fino a quando non si inizia l’insulina, per evitare l’iperglicemia grave che è un oto fattore teratogeno. (E) • Sono necessari trial controllati per determinare se il trattamento con glibenclamide nelle donne con diabete di tipo 2 (da solo o in combinazione con insulina) è sicuro all’inizio della gravidanza o efficace nel corso della gestazione. (E) • La metformina dovrebbe essere usata solamente nell’ambito di trial adeguatamente controllati in corso di gravidanza, fino a quando non vi sarà ampia evidenza di efficacia e sicurezza. In questi trial si dovrebbero prestare particolare attenzione a sviluppo e funzione metabolica dei neonati nel lungo termine. (E) • In gravidanza tiazolidinedioni, repaglinide e incretine dovrebbe essere usati solamente in trial clinici approvati. (E) L’impiego in gravidanza di agenti orali nelle donne con diabete di tipo 2 è controverso a causa di a) preoccupazione per il passaggio nella placenta dei farmaci durante organogenesi e successivo sviluppo del feto e b) aumento dell’insulino-resistenza nella gravidanza, che rende problematico il raggiungimento degli obiettivi glicemici. Tra le sulfaniluree la glibencla- mide sembra avere il minore passaggio placentare (1). Un RCT fondamentale, condotto su donne con diabete gestazionale trattate con glibenclamide dopo il primo trimestre, non ha evidenziato alcun danno fetale/neo-natale apparente e ha prodotto un controllo della glicemia equivalente a quello con insulina nelle pazienti con iperglicemia lieve. Lo studio aveva un potere non adeguato per dimostrare un esito perinatale equivalente nelle pazienti con diabete gestazionale e iperglicemia marcata (64,65). Non sappiamo di trial su glibenclamide in donne in gravidanza con diabete di tipo 2. La metformina attraversa prontamente la placenta ed è stata usata in gravidanza in studi osservazionali su donne con la sindrome dell’ovaio plicistico. Si attendono risultati di trial clinici per determinare se la metformina è efficace e sicura nelle donne in gravidanza con diabete di tipo 2. È stato dimostrato un limitato trasferimento placentare di rosiglitazone in esperimenti di perfusione ex-vivo nel primo trimestre e in gravidanze a termine e nelle cellule del trofoblasto sono espressi i recettori bersaglio dei glitazoni. Non si sa se i tiazolidinedioni (glitazoni) possono danneggiare o essere utili al feto. Gli analoghi della meglitinide, gli inibitori delle α-glucosidasi e le incretine non sono stati ben studiati in gravidanza e pertanto non sono state dimostrate le loro sicurezza ed efficacia in gravidanza (1). F. Attività fisica Raccomandazioni • Educare le donne diabetiche sull’opportunità della pratica quotidiana di attività fisica. (A) • Prendere in esame tipi specifici di attività fisica prima del concepimento. Sottoporre tutte le donne in stato interessante con diabete preesistente ad esame per complicanze cliniche, come CVD, retinopatia, nefropatia e neuropatia. Se presenti, può essere necessario modificare l’attività fisica. (E) • Incoraggiare le donne in gravidanza cui l’attività fisica non è controindicata d’impiegarla nell’ambito della gestione complessiva del diabete, per almeno 30 min./giorno. (E) • Monitorare attentamente la glicemia capillare in prossimità dell’attività fisica, prendere in considerazione aggiustamenti relativamente alle richieste di carboidrati e d’insulina e mantenere una buona idratazione prima, durante e dopo l’attività fisica. (E) • Istruire le donne a monitorare l’intensità dell’attività fisica e a scegliere attività che evitino la posizione supina e minimizzino il rischio di trauma al feto. (E) • Insegnare alle pazienti quali sono i DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 segnali di allerta per sospendere l’attività e chiedere l’aiuto del medico. (E) I benefici che l’attività fisica apporta alle donne in gravidanza comprendono senso di benessere, riduzione dell’aumento di peso, miglioramento del controllo della glicemia e maggiore tolleranza del travaglio (66). Quando si programma l’attività fisica si devono prendere in considerazioni normali adattamenti fisiologici della gravidanza e tale attività dovrebbe essere modificata se l’aumento di peso è modesto o si evidenzia crescita limitata del feto. Nelle donne in gravidanza senza complicanze diabetiche sono raccomandati 30 o più min. al giorno di attività fisica d’intensità moderata che non comporti rischio elevato di caduta o di trauma addominale, come la passeggiata (67-69). L’obiettivo minimo di 30 min. può essere suddiviso in 3 sessioni di 10 minuti ciascuna, preferibilmente dopo i pasti. Gli aggiustamenti del trattamento del diabete sono essenziali per ridurre il rischio d’ipoglicemia indotta dall’attività fisica, che può essere esacerbato in gravidanza. Il consumo di carboidrati prima, durante e dopo l’attività fisica contribuirà a evitare l’ipoglicemia, specialmente se la glicemia è < 100 mg/dl. Le controindicazioni all’attività fisica di tipo aerobico durante la gravidanza, sottolineate dal American College of Obstetrics and Gynecology (66) e dalla Society of Obstetricians and Gynecologists of Canada (70), sono elencate in tabelle nel libro (1). Entrambe le organizzazioni raccomandano alle donne che hanno dispnea, dolore precordiale, vertigini, mal di testa, dolore ai polpacci, sanguinamento vaginale, perdita di liquido amniotico o contrazioni uterine dolorose di interrompere l’attività fisica e di rivolgersi al medico. G. Terapia comportamentale Raccomandazioni • Incorporare nelle cure di routine la valutazione e il trattamento psicologico, invece di aspettare che venga identificato un problema specifico o che si deteriori lo status psicologico. (E) • Lo screening e il follow-up psicologico dovrebbero comprendere anche, ma non solo, attitudini verso il diabete, aspettative relativamente alla gestione e agli esiti clinici, stato d’animo, qualità della vita in generale e in correlazione al diabete, risorse (economiche, sociali ed emozionali) e storia psichiatrica. (E) • Sottoporre le donne diabetiche in gravidanza a screening per depres- 27 DIABETES CARE, MAY 2008 • • • • sione, ansia/stress e disordini alimentari e aggiustare conseguentemente il programma del trattamento. (E) Usare una psicoterapia strutturata nel trattamento di prima linea della depressione lieve. (A) Proseguire o iniziare il trattamento psico-farmacologico per disordini depressivi maggiori in gravidanza, in seguito a consultazioni appropriate, analisi rischi-benefici e consenso informato. (E) Fornire interventi intensivi alle donne affette da anoressia nervosa, per assicurare nutrizione prenatale e sviluppo fetale adeguati. (E) Fornire alle donne affette da bulimia nervosa o da disordini alimentari terapia cognitivo-comportamentale specificatamente adattata. (A) Il benessere emozionale fa parte della gestione del diabete (2). Disordini psicologici, che possono influire sul controllo della glicemia interessano circa un terzo delle pazienti diabetiche (1,71), comprese le donne in stato interessante. È dimostrato l’effetto positivo dei trattamenti psico-sociali nella gestione del diabete (72). È indicata una valutazione attenta dei problemi di natura psico-sociale, che possono influire sulla capacità delle pazienti di rispondere al trattamento e di collaborare con il team ostetrico (73). Il libro mette a disposizione un semplice strumento di valutazione promulgato dall’American College of Obstetricians and Gynecologists (72). La depressione nelle donne diabetiche è fortemente associata ad auto-cura e controllo glicemico modesti, complicanze micro- e macrovascolari e aumento delle spese sanitarie (74). Si pensa che le modificazioni ormonali e gli altri fattori di stress della gravidanza aumentino la vulnerabilità a insorgenza o ritorno della depressione (75), che è associata a esito perinatale modesto (76). La psicoterapia strutturata può essere un trattamento di prima linea utile nella depressione lieve, ma in quella grave è necessario il trattamento con farmaci. Il rischio di esposizione del feto a disordine depressivo maggiore non trattato è più preoccupante dell’esposizione del feto ai farmaci antidepressivi, alcuni dei quali sono stati collegati a malformazioni congenite e a sindrome da privazione nei neonati (77,78). Nel libro sono discussi gli studi sugli effetti dei farmaci antidepressivi in gravidanza (1). I disordini alimentari sono frequenti nelle giovani donne con diabete di tipo 1, che possono mettere in atto comportamenti dannosi per il controllo del peso, come usare male l’insulina (79,80). Le 28 donne con diabete di tipo 2 possono avere problemi di alimentazione eccessiva. Le donne in gravidanza, con disordini alimentari, hanno un maggior rischio di iperemesi parto prematuro, crescita limitata del feto e depressione post-partum (1). Nelle donne con diabete di tipo 1 sono utili strumenti diagnostici validati, che possono differenziare comportamenti e attitudini nella norma da quelli disfunzionali (80,81). Importanti principi di gestione sono a) individuare i fattori che possono avere scatenato i disordini alimentari, b) coinvolgere i familiari nel trattamento, c) insegnare a mangiare e a fare spuntini a orari regolari e a come rispondere agli stimoli della fame e del senso di sazietà, d) incoraggiare a non privarsi del cibo e e) usare la terapia cognitivo-comportamentale, specificatamente adattata alle donne affette da bulimia nervosa e da disordini alimentari (82,83). Le tecniche di gestione dello stress, come visualizzazione, rilassamento muscolare e respirazione rilassante, forniscono alle pazienti strumenti per la gestione dei fattori stressanti. Approcci psico-sociali e il supporto di parenti sono importanti quando diventa necessario modificare i comportamenti o il trattamento farmacologico per far smettere di fumare o di consumare alcol o droghe in gravidanza. Negli attacchi di panico in gravidanza sono raccomandati gli antidepressivi triciclici. È importante che le donne con depressione o con disordini alimentari siano indirizzate da uno specialista di salute mentale (1). II. GESTIONE DELLE COMPLICANZE DIABETICHE A. Disturbi metabolici 1. Chetoacidosi (DKA) Raccomandazioni • Tutte le donne con diabete preesistente che programmano una gravidanza o che sono già in gravidanza dovrebbero ricevere un’educazione in merito a DKA, prevenzione mediante SMBG, MNT e trattamento insulinico adeguato e gestione dei giorni di malattia. (A) • Il personale responsabile delle cure dovrebbe sospettare una DKA nelle donne diabetiche in gravidanza con nausea, vomito, dolore addominale, febbre e scarsa assunzione orale di cibo. (A) • Insegnare alla paziente a eseguire l’esame dei chetoni urinari in condizione di malattia o quando i valori della glicemia superano persistentemente i 200 mg/dl e a riportare prontamente i valori alla norma. (E) • I protocolli di gestione della DKA in gravidanza comprendono la correzione della deplezione volumetrica, l’infusione d’insulina, il monitoraggio e la correzione dello squilibrio elettrolitico, l’identificazione e il trattamento dei fattori precipitanti e il monitoraggio continuo del feto. (A) • Le cure iniziali per DKA sono meglio fornite nei reparti di terapia intensiva, esperti nel monitoraggio delle gravidanze ad alto rischio. (E) Il notevole aumento dell’insulino-resistenza e di lipolisi/chetosi associato alla gravidanza è responsabile del maggior rischio di DKA durante la gestazione (57). Sebbene la DKA sia di solito osservata nelle pazienti con diabete di tipo 1, essa può verificarsi anche in quelle con diabete di tipo 2 (84,85). I fattori predisponenti sono: infezioni, vomito e disidratazione, gastroparesi diabetica, omissione della dose d’insulina e uso ostetrico di farmaci β-simpatomimetici e di glucocorticoidi (57,86,87). La DKA mette a repentaglio il benessere della madre e del feto. È stato riportato che in gravidanza il 10-30% dei casi di DKA si verifica in presenza di valori moderatamente elevati della glicemia (< 250 mg/dl) (57,84). Le donne diabetiche in gravidanza che accusano nausea, vomito e iperglicemia persistente, anche moderata, dovrebbero essere testate per chetoacidosi. La DKA è trattata in maniera ottimale nei reparti di terapia intensiva di ospedali attrezzati nel monitoraggio delle gravidanze ad alto rischio (87). I protocolli di trattamento della DKA si basano su correzione della deplezione volumetrica, somministrazione d’insulina per infusione, monitoraggio e correzione accurati degli squilibri elettrolitici e identificazione e trattamento dei fattori precipitanti (86). Il monitoraggio continuo della frequenza cardiaca fetale e i test biofisici devono essere impiegati per valutare il benessere del feto nei casi che si verificano dopo 24 settimane di gestazione. In caso di andamento negativo è possibile non dover ricorrere al parto immediato, poiché la correzione della DKA spesso riporta i tale andamento alla normalità.. 2. Ipoglicemia materna Raccomandazioni • Educare e addestrare tutte le donne che pianificano una gravidanza o che sono già in gravidanza a riconoscere e trattare l’ipoglicemia, ad usare l’SMBG e sulla necessità di portare con sé glucosio e un sistema di allarme sanitario. (E) • Il glucosio (15-20 g) è il trattamento d’elezione nelle donne coscienti con ipoglicemia, sebbene si possa somministrare qualsiasi tipo di carboidrato. DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, MAY 2008 • • • • Se l’SMBG 15 min. dopo il trattamento evidenzia persistenza dell’ipoglicemia, si dovrebbe ripetere il trattamento. Quando la glicemia ritorna alla normalità la donna dovrebbe consumare un pasto o uno snack, per evitare che l’ipoglicemia si ripeta. (E) Informare le donne che il rischio d’ipoglicemia grave aumenta all’inizio della gravidanza. Intensificare il controllo della glicemia prima del concepimento può comportare un rischio minore d’ipoglicemia grave e di inavvertenza dell’ipoglicemia durante la gravidanza. (A) Bilanciare l’attività fisica con tempi e quantità delle dosi d’insulina e assunzione di carboidrati ai pasti e negli spuntini, per minimizzare l’ipoglicemia iatrogenica. (E) Gli obiettivi glicemici dovrebbero essere innalzati nelle pazienti che non avvertono l’ipoglicemia, fino a quando la sindrome non rientra con la prevenzione meticolosa degli episodi ipoglicemici. (E) Istruire mariti, partner e colleghi di lavoro delle donne a rischio d’ipoglicemia sull’uso appropriato del glucagone. (E) L’ipoglicemia è l’evento avverso più frequente ed importante, associato al trattamento intensivo del diabete di tipo 1 (88) e limita il raggiungimento del controllo ottimale della glicemia nel diabete di tipo 2 insulino-trattato (89). V’è una forte evidenza che la glicemia plasmatica post-assorbimento si riduce di 10 mg/dl nella fase iniziale della gravidanza (1) e qualche evidenza che la soglia della secrezione degli ormoni contro-regolatori è più bassa (48-57 mg/dl) durante la gestazione nelle donne diabetiche (90,91). È ragionevole usare una soglia di < 60 mg/dl (3.3 mmol/l) per definire l’ipoglicemia in gravidanza. L’ipoglicemia ripetuta e documentata è frequente all’inizio della gravidanza (41-68% delle pazienti) (1), così come lo è l’ipoglicemia notturna asintomatica (92,93). La frequenza d’ipoglicemia grave era del 18% nelle donne in gravidanza con diabete di tipo 1 che partecipavano al DCCT che erano tutte trattate intensivamente, indipendentemente dal loro status alla randomizzazione. L’ipoglicemia grave era predetta dal suo verificarsi prima della gravidanza, ma era meno frequente nelle donne nel braccio del controllo glicemico intensivo, rispetto al braccio del trattamento convenzionale prima della gravidanza (94). Studi osservazionali europei riportano tassi d’ipoglicemia grave persino più elevati all’inizio della gravidanza, con predittori di rischio che comprendono storia di ipoglicemia prima della gra- vidanza e inconsapevolezza dell’ipoglicemia (93,95,96). Può essere difficile distinguere alcuni segni classici d’ipoglicemia (88) (ansia, nausea, palpitazioni, tremore, sudorazione, calore, confusione, vertigini, mal di testa, fame, debolezza) dai sintomi della gravidanza (91). È necessario un SMBG frequente per diagnosticare l’ipoglicemia e minimizzare la gravità delle conseguenze (1). La ridotta attivazione simpatetica è responsabile della sindrome clinica della inavvertenza dell’ipoglicemia, cioè la mancanza dei sintomi di allerta che normalmente permettono ai pazienti di riconoscere l’ipoglicemia e di agire per correggerla (88,89,97). I difetti della controregolazione glicemica e la disfunzione autonomica associata a ipoglicemia possono essere esaltati in gravidanza nelle donne con diabete di tipo 1 e con diabete di tipo 2 di lunga durata, insulino-trattato (90,91,98,99). Diversi fattori clinici (sostituzione imperfetta dell’insulina, nausea, pasti ritardati o saltati, attività fisica, sonno, ipoglicemia precedente) esacerbano le ridotte risposte neuro-endocrine all’ipoglicemia (88,100). L’inconsapevolezza dell’ipoglicemia è reversibile almeno in parte se per molte settimane si evita l’ipoglicemia (93,101). I protocolli per minimizzare il verificarsi d’ipoglicemia nella madre comprendono educazione intensiva delle pazienti e degli altri soggetti coinvolti, SMBG frequente, adeguati pasti e spuntini consumati nel momento giusto, somministrazione corretta delle dosi d’insulina e gestione attenta dell’attività fisica (102). V’è qualche evidenza che l’impiego di analoghi dell’insulina, specialmente mediante CSII, riduce la frequenza d’ipoglicemia materna (1). Una tazza di latte (14 g. di zuccheri) o 3-5 pastiglie di glucosio (12-20 g) possono essere usate per trattare l’ipoglicemia lieve in gravidanza (per prevenire una eccessiva iperglicemia di rimbalzo, dovuta a consumo eccessivo di glucosio), mentre un bicchiere di succo d’arancia (22 g di zuccheri) è indicato con glicemia < 50 mg/dl (1). In presenza d’ipoglicemia grave e con la paziente incapace di deglutire, un familiare o collega dovrebbe iniettarle 1 mg di glucagone per via sottocutanea e rivolgersi al pronto soccorso. Non appena la paziente si riprende ed è in grado di reagire dovrebbe consumare uno spuntino o un pasto, per prevenire il ripetersi dell’ipoglicemia. 3. Patologie della tiroide Raccomandazioni • Sottoporre a screening per disfunzione tiroidea/auto-immunità con dosaggio di TSH e anticorpi anti-peros- DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 • • • • • • sidasi tiroidea (TPOAb) tutte le donne diabetiche prima della gravidanza o al suo inizio. (B) Se il TSH è normale ma gli anticorpi sono elevati misurare il TSH alle settimane 7-8, 14-16 e 26-30 e seguire attentamente la fase post partum. (E) Nel corso della gravidanza trattare qualsiasi innalzamento del TSH (> 2.5 µU/ml nella prima metà; > 3.0 µU/ml nella seconda metà). Seguire attentamente la paziente durante le prime 20 settimane, quando le richieste di tiroxina sono massime e riaggiustare, se necessario, per mantenere l’eutiroidismo (TSH < 2.5 µU/ml nella prima metà; < 3.0 µU/ml nella seconda metà). (E) Valutare i valori della tiroxina in gravidanza misurando la T4 totale aggiustata, poiché le modificazioni delle proteine plasmatiche influiscono sull’assay per T4 libera Se i valori di TSH (< 0.03 mU/ml) e T4 indicano ipertiroidismo, misurare gli anticorpi anti recettore del TSH (TRAb). (E) Trattare l’ipertiroidismo con dosi moderate di propiltiouracile e per mantenere il T4 materno nel range superiore della normalità o appena al di sopra ad esso e minimizzare l’ipertiroidismo fetale indotto dal farmaco. (B) Allertare il pediatra della nascita di un neonato di madre con TRAb elevati. (E) La patologia tiroidea auto-immune è frequente (35-40%) nelle donne con diabete di tipo 1 e le pazienti senza diagnosi pregressa dovrebbero essere sottoposte a screening per disfunzione tiroidea prima della gravidanza, con un assay sensibile del TSH e titolo dei TPOAb. La prevalenza d’ipotiroidismo è aumentata nelle donne con diabete di tipo 2 rispetto alle popolazioni di riferimento e alcune di queste donne svilupperanno auto-immunità tiroidea cronica (103,104). Nello screening anteriore al concepimento, se il TSH è < 0.1 µU/ml o > 4.0 µU/ml (valori di riferimento in donne sane, d’età compresa tra 20 e 49 anni) (105-107), si raccomanda di testare la paziente per possibile patologia tiroidea, il cui trattamento può migliorare l’esito della gravidanza (1). Se solo il titolo TPOAb è elevato, il TSH dovrebbe essere misurato di nuovo a ogni trimestre, poiché le esigenze della gravidanza possono smascherare un ipotiroidismo (108). Le donne con anticorpi tiroidei elevati sono anche a rischio di perdita precoce del feto e toroidite post partum (1). In uno studio il trattamento di donne eutiroidee positive agli anticorpi in gravidanza con T4 riduceva il tasso di aborto e di parto prematuro (109). 29 DIABETES CARE, MAY 2008 I valori del TSH serico sono ridotti dall’influenza dell’attività tirotropica della gonadotropina corionica umana (108,110). Durante la gravidanza un ipotiroidismo clinico (manifesto) è indicato da TSH serico ≥ 2.5 µU/ml nella prima metà o ≥ 3.0 µU/ml nella seconda metà, insieme a T4 serica totale ridotta a < 7.8 µg/dl (< 100 nmol/l) (i valori normali non in gravidanza devono essere moltiplicati per 1.5, a causa dell’aumento della globulina legante la T4 in gravidanza). Si sospetta ipotiroidismo sub-clinico (lieve) in presenza di valori normali di tiroxina ma elevati di TSH. I valori del T4 libero serico sono di ardua interpretazione, a causa dell’influenza dell’aumento della globulina legante la tiroxina (TBG) e della riduzione dell’albumina plasmatica sugli assay (108). Ipotiroidismo manifesto e sub-clinico possono avere effetti avversi sul corso della gravidanza e sullo sviluppo del feto (108). Lo sviluppo cerebrale del feto (moltiplicazione, migrazione e organizzazione architettonica neurale) dipende dalla tiroxina materna fino al secondo trimestre e anche le fasi posteriori di questo sviluppo (moltiplicazione, migrazione e mielinizzazione delle cellule gliali) possono essere influenzate da ipotiroxinemia materna (1). L’ipotiroidismo manifesto non trattato in gravidanza è chiaramente collegato ad alterazioni cognitive maggiori nella prole. L’ipotiroidismo sub-clinico è associato a lievi deficit cognitivi nella prole (6 studi di popolazione) (111), con dati simili anche nella prole di donne con valori di TSH da normali a elevati (5 studi) (112). L’ipotiroidismo sub-clinico non trattato è associato a interruzione della gravidanza, rottura della placenta e parto prematuro, ma se adeguatamente trattato anche l’ipotiroidismo manifesto è associato a esiti normali della gravidanza. Entrambe le forme d’ipotiroidismo, se non trattate, possono alterare il controllo glicemico e il metabolismo lipidico nel diabete (1). Se l’ipotiroidismo è stato diagnosticato prima della gravidanza un gruppo internazionale di esperti raccomanda l’aggiustamento della dose di T4 di prima del concepimento, per arrivare a un valore di TSH non superiore a 2.5 µU/ml (108). La dose di T4 solitamente ha bisogno di essere aumentata alla 4°-6° settimana di gestazione e può richiedere un aumento del 30-50% del dosaggio (108,113). Se si diagnostica un ipotiroidismo manifesto in gravidanza il valore target del TSH non deve superare 2.5 µU/ml nella prima metà della gravidanza e deve essere < 3.0 µU/ml nella seconda metà. I test di funzionalità tiroidea dovrebbero essere eseguiti ogni 30-40 giorni. In attesa dei risultati di trial clini- 30 ci, gli esperti raccomandano la sostituzione di T4 nelle donne in gravidanza con ipotiroidismo sub-clinico, poiché i potenziali benefici superano i rischi (108). L’ingestione di levotiroxina e solfato ferroso simultaneamente può causare la formazione di complessi di tiroxina ferrosa insolubili, con la conseguenza della riduzione dell’assorbimento della tiroxina (114). Si osserva un ipertiroidismo clinico nell’1.7% delle pazienti con diabete di tipo 1 e nello 0.3% di quelle con diabete di tipo 2, rispetto allo 0.2% nella popolazione in gravidanza di riferimento (115). Si definisce ipertiroidismo in gravidanza un TSH soppresso (< 0.03 µU/ml) e T4 totale elevata (> 18 µg/dl, > 225 nmol/l; i valori sono 1.5 volte quelli normali più alti) o valori di T4 libera chiaramente elevati. Il morbo di Graves si differenzia dall’ipertiroidismo gestazionale per presenza di gozzo e di TRAb nella prima metà della gravidanza. L’ipertiroidismo gestazionale (spesso accompagnato da iperemesi) è generalmente auto-remittente e la maggior parte dei casi non richiede trattamento farmacologico (108). La gestione accurata dell’ipertiroidismo è importante in quanto la tireotossicosi aumenta il rischio di complicanze materne e fetali (115-119). La coesistenza d’ipertiroidismo e diabete inadeguatamente controllato nella gravidanza può aumentare il rischio di esito perinatale modesto (115). Il propiltiouracile è il farmaco antitiroideo d’elezione in gravidanza, poiché l’impiego di metimazolo è stato associato ad aplasia cutanea fetale e ad atresia esofagea/anale (108,120). Tutti e due i farmaci attraversano la placenta e possono causare ipotiroidismo fetale, minimizzato con un trattamento mirato al T4 materno nel range superiore della normalità (1,108,115,117). I TRAb osservati nel morbo di Graves della madre attraversano la placenta e possono stimolare o inibire la tiroide del feto. Il gozzo fetale può dipendere da un ipotiroidismo fetale causato dal trattamento con tiomidi della madre o da ipertiroidismo fetale causato da trasferimento degli anticorpi della madre (108). I TRAb possono essere associati a ipo- o ipertiroidismo fetale transitorio; il rischio è basso in assenza di auto-anticorpi materni (1,108,119). B. Gestione dei fattori di rischio cardiovascolare La CVD è la causa maggiore di morte nelle donne diabetiche. Il diabete di per sé è un fattore indipendente di rischio per patologia macrovascolare e le condizioni cliniche che frequentemente si accompagnano ad esso (obesità, ipertensione, dislipidemia, albuminuria) sono anche esse fattori di rischio. I pazienti dia- betici che sviluppano CHD clinica hanno una prognosi infausta, e questa circostanza indica quanto è importante riconoscere gli stadi pre-clinici e trattarli (13). Trial clinici hanno dimostrato l’efficacia della riduzione dei fattori di rischio cardiovascolare nella prevenzione o nel rallentamento della CVD (121). L’elevata consapevolezza del grado di rischio cardiovascolare può consentire questa prevenzione o una migliore gestione della complicanze arteriosclerotiche acute in gravidanza. Linee guida recenti sulla prevenzione primaria di CVD in soggetti diabetici (14) e nelle donne (122) pongono l’accento su: assunzione di cibi sani, attività fisica, cessazione del fumo e controllo di peso, glicemia, pressione arteriosa e lipidi. La maggior parte di questi approcci, oltre alle modificazioni necessarie nel trattamento farmacologico, può essere impiegata in gravidanza, che è una condizione che offre la motivazione per apprendere modificazioni comportamentali atte a produrre benefici prolungati per la salute. 1. Screening per CVD Raccomandazioni • Se possibile, effettuare la valutazione del rischio per CVD prima della gravidanza. (E) • Sottoporre a screening per fattori standard di rischio cardiovascolare (ipertensione, dislipidemia, albuminuria, fumo, storia familiare di CHD prematura) tutte le donne diabetiche. (A) • Sottoporre a screening per evidenza di CVD mediante un semplice esame obiettivo dei polsi arteriosi e dei soffi d’eiezione aortica. (E) • Ottenere informazioni su sintomi di CVD e neuropatia autonomica cardiaca (CAN). Nelle pazienti ad alto rischio prendere in considerazione la valutazione con ultrasuoni della carotide, l’indice caviglia/braccio, la variabilità della frequenza cardiaca con la respirazione profonda, la pressione arteriosa ortostatica. (E) • Eseguire un ECG a riposo prima e durante la gravidanza nelle pazienti diabetiche d’età ≥ 35 anni. (E) • Le pazienti che presentano dolore atipico, possibile angina o equivalente di angina o altre condizioni che fanno sospettare CHD attiva, comprese dispnea significativa o anomalie all’ECG a riposo, dovrebbero essere sottoposte a consulto cardiologico per eventuali ECG, eco-cardiografia o altri test da sforzo. (E) • Le pazienti d’età ≥ 35 anni e con durata del diabete di tipo 1 ≥ 15 anni o di tipo 2 ≥ 10 anni, con rischio cardiovascolare in eccesso, specialmente DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, MAY 2008 • • • • con segni di CAN o di vascolopatia carotidea/arti inferiori, dovrebbero essere prese in considerazione per ECG o eco-cardiogramma da sforzo. (E) Prendere in considerazione il dosaggio del peptide cerebrale natriuretico (BNP), associato ad esame eco-cardiografico, per individuare una disfunzione ventricolare sistolica o diastolica, in presenza di dispnea o di dati anomali dell’esame fisico. Richiedere consulto cardiologico in presenza di evidenza di cardiomiopatia. (E) Trattare i fattori di rischio di CVD, come iperglicemia, ipertensione, dislipidemia e fumo con interventi adattati alla gravidanza. (A) Ridurre il rischio di CVD nelle donne diabetiche mediante il consumo di 2 pasti a settimana a base di pesce grasso (ma a basso rischio per contenuto in eccesso di mercurio; si può sostituire con 1 g/giorno di olio di pesce). (A) Prendere in considerazione l’anestesia e il tipo di parto in presenza di CVD. (E) I rischi assoluti e relativi per CVD aumentano in maniera esponenziale nelle giovani donne con diabete di tipo 1 (123125) e in quelle con diabete di tipo 2 (126,127), rispetto alla popolazione non diabetica /1,13,14). Le donne diabetiche sono ritenute ad alto rischio di CHD (> 2% all’anno), specialmente in presenza di altri fattori di rischio per CVD (126,128,129). Il rischio per CVD nelle donne diabetiche è rappresentato da: pregresse CHD, neuropatia cardioautonomica (130,131), cardiomiopatia/scompenso cardiaco (132,133), stroke ischemico (134) e arteriopatia periferica (PAD) (135). La tendenza all’aumento del diabete di tipo 2 nelle giovani può aumentare la prevalenza di CVD in questo gruppo al momento della gravidanza, soprattutto nelle donne con bio-marcatori d’insulino-resistenza o infiammazione cronica (1). La valutazione del rischio di CVD e la gestione dei fattori di rischio dovrebbero essere rigorosamente applicate nelle donne diabetiche in età riproduttiva (136,137). Il trattamento intensivo del diabete riduce la frequenza di CVD (1). L’aspirina è raccomandata come strategia preventiva primaria nelle donne diabetiche di oltre 40 anni con rischio cardiovascolare aumentato (2); tuttavia l’uso di aspirina all’inizio della gravidanza è stato associato ad aumento del rischio di difetti alla nascita (gastroscisi e atresia dell’intestino tenue) (1). La coronaropatia spesso è più diffusa, calcificata ed estesa nel diabete; tuttavia l’ischemia può essere silente e la CHD può essere associata a disfunzione ventricolare sinistra (1). Un documento di consenso dell’ADA del 1999 su CHD e diabete proponeva che le pazienti asintomatiche di 35 anni o più, con 2 o più fattori standard di rischio o che desideravano svolgere attività fisica d’intensità elevata, fossero sottoposte a test di screening coronarico (128). Tuttavia, poiché l’onere dei fattori convenzionali di rischio cardiaco non è predittivo della presenza d’ischemia all’ecografia perfusionale, perlomeno nelle pazienti più anziane, e che la gestione clinica (comunque indicata nei soggetti diabetici a rischio moderato o alto di CVD) può produrre esiti simili rispetto agli interventi chirurgici, un documento di consenso dell’ADA del 2007 si è pronunciato contro lo screening di routine per CHD nei soggetti diabetici (138). L’idea di sottoporre a screening le donne diabetiche asintomatiche in età riproduttiva rimane controversa e non è oggetto di studi adeguati (1). Una CHD attiva o trattata precedentemente è riportata in 1 su 10.000 gravidanze, ma in 1 su 350 gravidanze diabetiche (139). Non è nota la frequenza dell’ischemia silente. In ampi dataset amministrativi il diabete e l’ipertensione erano importanti fattori di rischio per infarto del miocardio in gravidanza o entro 6 settimane dal parto (1). È ben noto che la CHD si presenta in maniera diversa nelle donne rispetto agli uomini e questo può avere un impatto sulla diagnosi precoce e sul trattamento (122). I sintomi insidiosi, se ve ne sono, possono comprendere dolore atipico al petto (o al collo, mandibola o spalla), affaticamento, dispnea e nausea, che possono essere facilmente scambiati per sintomi correlati alla gravidanza (compreso il reflusso gastroesofageo). Onde Q anomale, inversioni profonde delle onde T, blocco del fascio sinistro di branca o modificazioni non specifiche dell’onda ST-T all’ECG a riposo, di solito avviano la valutazione per ischemia indotta (138). In caso di sospetto di CHD su base storica o clinica nelle donne diabetiche in gravidanza si raccomandano un consulto cardiologico e l’adozione di modalità adeguate per la diagnosi dell’ischemia, evitando l’esposizione a radiazioni (140). La prevalenza di CAN è dell’11-33% negli adulti giovani con diabete, e dipende dalla qualità del controllo della glicemia; può essere accompagnata da ipertrofia ventricolare sinistra e disfunzione ventricolare diastolica (1,130). La riduzione della variabilità della frequenza cardiaca (misurata dall’intervallo R-R) è il primo indicatore di CAN (1). L’impatto clinico della CAN negli adulti diabetici è rappresentato da intolleranza all’attività DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 fisica, ipotensione ortostatica, aritmie cardiache, ischemia silente del miocardio e infarto indolore, labilità cardiovascolare intra-operatoria ed aumento degli eventi cardiaci (131). Nel libro sono citati i pochi studi su CAN nelle gravidanze complicate da diabete, ed è presentata una tabella di semplici test ambulatoriali per CAN, che possono essere praticati in gravidanza (1). Lo scompenso cardiaco colpisce con maggiore frequenza le donne diabetiche in età riproduttiva, rispetto alle donne di controllo della stessa età, specialmente le donne con cardiomiopatia diabetica o arteriosclerosi diffusa e ischemia del miocardio (132,13) La cardiomiopatia diabetica può essere associata a disfunzione ventricolare sistolica o diastolica o a entrambe (141). Il libro offre discussioni su sovraccarico del volume fisiologico, dilatazione atriale, pattern alterato del rilasciamento diastolico e modificazioni delle dinamiche ventricolari associate alla gravidanza normale e ulteriori discussioni su valutazione e gestione della cardiomiopatia diabetica (1). Sono indispensabili altre indagini in quest’area, prima di potere formulare raccomandazioni basate su evidenze. Il rischio di stroke ischemico aumenta da 4 a 8 volte nelle donne adulte relativamente giovani con diabete di tipo 1 (134) o 2 (126,142,143), rispetto alle donne non diabetiche d’età simile, sebbene il rischio assoluto sia basso (4% nell’arco di un follow-up di 20 anni in donne con diabete di tipo 1) (144). In ampi dataset amministrativi la frequenza dello stroke ischemico era di 9-25 per 100.000 gravidanze, con maggiore probabilità di rischio di stroke di qualsiasi tipo correlato alla gravidanza in madri diabetiche (OR 1.7-2.5 nell’analisi univarita) (1). L’arteriosclerosi carotidea, contrassegnata da ispessimento medio intimale o presenza di placche agli ultrasuoni B-mode ad alta prestazione, è un predittore di stroke ischemico e di CHD nelle donne diabetiche in età riproduttiva (145,146). Non disponiamo di studi sull’ispessimento medio intimale della carotide nelle gravidanze diabetiche. La PAD delle arterie femorale-poplitea e tibiale contribuisce a morbilità grave e mortalità in eccesso in tutti e due i tipi di diabete, anche a casusa dell’associazione di PAD e CHD e stroke ischemico (135,147). Alcuni dimostrano la frequenza di segni di PAD nel 2-12% nelle donne diabetiche in età riproduttiva (126,148), e lo status di fumatrice e la presenza di diabete da lunga data costituiscono importanti fattori di rischio Oltre la metà delle pazienti anomali e delle arterie degli arti inferiori non riporta claudicatio, possibilmente per l’associa- 31 DIABETES CARE, MAY 2008 zione di PAD e neuropatia periferica (135,147). L’assenza di pulsazioni periferiche non segnala PAD; se i sospetti sono elevati l’esame dovrebbe comprendere la misura dell’indice caviglia-braccio (ABI) (135,149,150). L’ABI è stato validato vs. angiografia ed è stato osservato che un rapporto < 0.9 è sensibile al 95% e specifico quasi al 100% (148,151). Non disponiamo di studi su PAD associata a diabete e gravidanza. 2. Ipertensione Raccomandazioni • La pressione arteriosa dovrebbe essere misurata nel corso di ciascuna visita clinica. Le pazienti con pressione arteriosa sistolica ≥ 130 mmHg o diastolica ≥ 80 mmHg dovrebbero avere la conferma della pressione in un giorno successivo. Una pressione arteriosa sistolica > 130 mmHg o diastolica > 80 mmHg conferma la diagnosi d’ipertensione nelle donne diabetiche. © • Le donne affette da diabete nel periodo anteriore al concepimento dovrebbero essere sottoposte a trattamento atto a garantire una pressione arteriosa sistolica < 130 mmHg e diastolica < 80 mmHg. (B) • Le pazienti con pressione arteriosa sistolica > 140 mmHg o diastolica > 90 mmHg dovrebbero essere sottoposte a trattamento farmacologico in previsione di gravidanza, in aggiunta al trattamento comportamentale e dello stile di vita. Generalmente per raggiungere gli obiettivi desiderati della pressione arteriosa si richiede un trattamento farmacologico multiplo (2 o più farmaci al dosaggio massimo). (A) • Le donne diabetiche con pressione arteriosa sistolica di 130-139 mmHg o diastolica di 80-89 mmHg possono essere sottoposte solamente al trattamento relativo allo stile di vita per un massimo di 3 mesi o all’aggiunta concomitante di farmaci sicuri in gravidanza, per ottenere gli obiettivi desiderati prima del concepimento. (E) • In gravidanza le donne diabetiche con ipertensione cronica dovrebbero essere sottoposte a trattamento farmacologico mirato all’ottenimento di una pressione arteriosa sistolica di 110-129 mmHg e diastolica di 65-79 mmHg, nell’interesse della salute della madre e per minimizzare una crescita fetale alterata. (E) • ACE-inibitori e ARB sono controindicati in gestazione e dovrebbero essere sospesi in previsione di gravidanza. Le donne trattate con questi farmaci dovrebbero usare contraccettivi efficaci. (A) • Farmaci per la pressione, sicuri in 32 gravidanza, dovrebbero essere aggiunti in maniera sequenziale fino a quando non si raggiungono i valori desiderati della pressione arteriosa. Questi farmaci comprendono: metildopa, calcio-antagonisti ad azione prolungata e beta-bloccanti adrenergici selettivi. (E) • Le donne diabetiche ipertese in gravidanza possono essere istruite a evitare assunzione in eccesso di sale, ma non a ridurlo in maniera drastica. L’assunzione adeguata di potassio dovrebbe essere incoraggiata. (E) • Tutte le donne diabetiche in stato interessante, specialmente quelle ipertese, dovrebbero essere strettamente monitorate per lo sviluppo di preeclampsia. (A) L’ipertensione è un fattore maggiore di rischio per CVD, nefropatia e retinopatia nelle donne diabetiche (122, 152). A causa dei rischi strettamente sinergici d’ipertensione e diabete, il valore soglia nella diagnosi d’ipertensione è più basso nei soggetti diabetici (pressione arteriosa sistolica ≥ 130 mmHg o diastolica ≥ 80 mmHg), rispetto ai non diabetici (2). Evidenze epidemiologiche supportate da trial clinici randomizzati in donne diabetiche non in gravidanza dimostrano l’effetto positivo del mantenimento della pressione arteriosa a < 130/80 mmHg, se può essere ottenuto in sicurezza (11,153,154). Accanto ai trattamenti sullo stile di vita e comportamentali, solitamente sono necessarie combinazioni di 2 o più farmaci per raggiungere l’obiettivo desiderato della pressione arteriosa (2, 11, 155). Tutte le categorie dei disordini ipertensivi in gravidanza sono più frequenti nelle donne diabetiche. L’ipertensione cronica può essere associata a gravi complicanze perinatali (156). La prevalenza d’ipertensione cronica è del 10-17% nelle gravidanze diabetiche, aumenta con l’età e la durata del diabete e predice un aumento di prematurità e morbilità neo-natale, specialmente quando è associata a preeclampsia (1). Nelle donne con diabete preesistente l’incidenza di preeclampsia aumenta da ~18% nelle donne senza ipertensione cronica o proteinuria preesistente a quasi il 30% in presenza di una o entrambe queste condizioni (157). Gli studi sull’ipertensione gestazionale senza albuminuria non sono sufficienti per valutare gli esiti perinatali o per fornire raccomandazioni di consenso per il trattamento. Non disponiamo di RCT sul trattamento antiipertensivo in donne diabetiche in gravidanza, affette da ipertensione cronica, ma trial clinici con metildopa, condotti su donne in gravidanza affette da ipertensione cronica, hanno dimostrato che il trattamento riduceva la perdita fetale e la riduzione della crescita fetale e che v’era minore accelerazione dell’ipertensione (1,158). La forte evidenza a favore del trattamento aggressivo nella popolazione diabetica ipertesa, non in gravidanza (152-154) supporta la raccomandazione di mantenere la pressione arteriosa < 130/80 anche nei 9 mesi della gravidanza. I dati sulla pressione arteriosa normale dimostrano che il 50% percentile della pressione arteriosa è di 105/63 mmHg alle settimane 12-20 di gestazione e il 97.5° percentile è di 128/81 mmHg. V’è una correlazione a U tra pressione arteriosa ed esito della gravidanza, con ridotta crescita fetale quando la pressione diastolica è < 60-65 o > 85-90 mmHg o con pressione arteriosa media (MAP) < 75 o ≥ 90 mmHg. Parti di feti morti, preeclampsia e mortalità perinatale aumentano con MAP di metà trimestre ≥ 90 mmHg (1). Il trattamento in gravidanza dell’ipertensione cronica mirato a valori < 110/65 mmHg può essere associato ad aumento della restrizione della crescita fetale (1,158). Non si devono somministrare ACE inibitori e ARB in qualsiasi stadio della gravidanza, a causa della loro associazione con embriopatia e fetopatia (1,159). I farmaci antiipertensivi d’elezione in gravidanza sono: metildopa, calcio-antagonisti ad azione prolungata e beta-bloccanti adrenergici. Clonidina e prazosina possono essere usati come farmaci di quarta linea (160, 161). La metildopa è un debole antiipertensivo, ma molti clinici la preferiscono come farmaco di prima linea per il rassicurante follow-up prolungato di bambini esposti in utero. I calcioantagonisti nondiidropiridinici come il diltiazem possono essere preferiti ai diidropiridinici nelle donne diabetiche a causa della loro tendenza a dilatare le arteriole glomerulari e a ridurre l’escrezione renale dell’albumina, sebbene questo ultimo effetto in gravidanza sia solamente aneddotico. I beta-bloccanti con parziale attività beta-agonista (acebutololo, carvedilolo, labetalolo, pindololo) riducono direttamente le resistenze periferiche, senza effetto significativo su frequenza o funzione cardiaca e possono essere preferiti in gravidanza. L’impiego di atenololo è stato associato a restrizione della crescita fetale (1). Un trial clinico su trattamento continuato con diuretici tiazidici nelle donne in gravidanza con ipertensione cronica ha dimostrato una riduzione del volume plasmatico (162). 3. Dislipidemia Raccomandazioni • Misurare il profilo lipidico a digiuno almeno una volta all’anno nelle don- DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, MAY 2008 Tabella 2 – Stadi evolutivi della nefropatia diabetica ed effetti sulla gravidanza Stadio del danno renale* Iperfiltrazione (a) Microalbuminuria 1 Macroalbuminuria 1 Nefropatia precoce 2 CKD moderata 3 CKD grave 4 Scompenso renale 5 GFR Albuminuria > 150 > 90 > 90 60-89 30-59 15-29 < 15 < 30 mg/giorno 30-299 mg/giorno ≥ 300 mg/giorno TPE ≥ 500 mg/giorno Massiccia proteinuria Meno proteinuria Effetto sulla gravidanza Sconosciuto Aumento di preeclampsia Aumento di preeclampsia Rischio aumentato di riduzione della crescita fetale Probabilità di complicanze perinatali Ritardare la gravidanza a dopo il trapianto Dialisi *Vi può essere sovrapposizione tra i raggruppamenti di GFR e albuminuria. Al secondo livello e oltre il danno renale è definito come anomalie nei test urinario, ematico o ecografico (rif. 2 e 190). Tabella modificata da riferimenti 2 e 188-190. GFR: clearance della creatinina quantificata in ml/min. per 1.73 m2. CKD: insufficienza renale cronica; TPE: escrezione urinaria totale di proteine. • • • • • ne diabetiche e con maggiore frequenza se necessario per raggiungere gli obiettivi. Nelle donne con valori lipidici a basso rischio (colesterolo LDL < 100 mg/dl; colesterolo HDL > 50 mg/dl e trigliceridi < 150 mg/dl) le valutazioni lipidiche possono essere ripetute ogni 2 anni. (E) Prima della gravidanza, nelle donne diabetiche con dislipidemia seguire le linee guida correnti relative a nutrizione e trattamento farmacologico, insieme ad attività fisica e controllo del peso. L’obiettivo primario del trattamento è un colesterolo LDL < 100 mg/dl (2.6 mmol/l) nelle donne senza CVD manifesta e < 70 mg/dl (1.8 mmol/l) in quelle con CVD manifesta. (A) È stato dimostrato che le modificazioni dello stile di vita mirate alla riduzione di grassi saturi (< 7% di calorie), grassi trans (il meno possibile) e dell’assunzione di colesterolo (< 200 mg/giorno), al controllo del peso e all’aumento dell’attività fisica migliorano il profilo lipidico nelle donne diabetiche. (A) È possibile mantenere questi principi di trattamento in gravidanza, anche se il profilo lipidico evidenzierà modificazioni fisiologiche. (E) Il trattamento con statine è controindicato in qualsiasi fase della gestazione e dovrebbe essere sospeso se si prevede una gravidanza. (E) Al momento della visita eseguire il profilo lipidico di tutte le donne diabetiche in gravidanza, se non è stato eseguito prima della gravidanza. Lo scopo è la valutazione del rischio, la correlazione con gli indici di patologia cardiovascolare, renale e tiroidea e l’educazione delle pazienti con dislipidemia relativamente alle modificazioni dello stile di vita e al successivo trattamento farmacologico, per il sostegno prolungato dello stato di salute. (E) L’impiego dei farmaci ipolipemizzanti, tranne le resine leganti gli acidi bi- liari, non è approvato in gravidanza. L’MNT può essere utile nella riduzione dell’ipercolesterolemia in gravidanza. Le margarine a contenuto di steroli vegetali potrebbero essere utili nell’approccio alimentare per l’abbassamento del colesterolo. (E) • Nelle donne diabetiche in gravidanza con valori dei trigliceridi ≥ 1,000 mg/dl, il trattamento è indicato per ridurre il rischio di pancreatine. Aggiungere capsule di olio di pesce a un regime alimentare a basso contenuto di grassi, per assicurare l’assunzione di 3-9 g/giorni di grassi n-3. Strategie secondarie comprendono trigliceridi a catena media, nutrizione parenterale totale, fibrati e niacina. (E) Al diabete sono associati disordini lipidici. Prima della gravidanza le donne diabetiche possono evidenziare ipertriglicridemia, ipercolesterolemia e aumento di colesterolo LDL, lipoprotein(a) o apolipoproteina B (163,164). Nel diabete di tipo 2 la dislipidemia è caratterizzata da trigliceridi totali elevati (> 150 mg/dl), valori bassi del colesterolo HDL cardioprotettivo (< 50 mg/dl) e aumento delle particelle piccole e dense di LDL, senza un aumento conseguente del colesterolo LDL > 130 mg/dl. I risultati di trial clinici supportano il colesterolo LDL come target primario del trattamento nella dislipidemia diabetica, con l’obiettivo di < 100 mg/dl. Quando i valori dei trigliceridi sono ≥ 200 mg/dl il colesterolo non HDL diventa un target secondario (> 130 mg/dl) del trattamento per la riduzione del colesterolo (12-14). Nelle gravidanze normali il valore dei trigliceridi può raddoppiarsi alla 20° settimana di gestazione e il colesterolo totale, il colesterolo LDL e il colesterolo HDL possono aumentare del 10-20%, con ulteriore progressione di tutti i valori lipidici fino al termine della gravidanza (165). I valori dei trigliceridi possono aumentare in misura maggiore nella gravidanza complicata da diabete di tipo 2 e DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 l’ipertrigliceridemia elevata (> 2,000 mg/dl) comporta un rischio grave di pancreatite. La prevenzione della pancreatite richiede screening e monitoraggio dei lipidi. Poiché il valore dei trigliceridi può aumentare rapidamente da 1,000 a 2000 mg/dl, il trattamento è iniziato al valore di 1,000 mg/dl. La gestione dell’ipertrigliceridemia in gravidanza si basa su: intensificazione del controllo della glicemia, integrazione con olio di pesce, uso di emulsioni di trigliceridi a catena media e trattamento farmacologico con fibrati (categoria C) o niacina a rilascio prolungato (1). Il colesterolo è assorbito dai trofoblasti placentari nella forma di lipoproteine attraverso un trasporto mediato da recettori e anche indipendente da recettori e v’è efflusso, dipendente dalla concentrazione del colesterolo, al sangue del feto dalla superficie basolaterale del trofoblasto (166). L’ipercolesterolemia materna (250-450 mg/dl) è associata ad aumento dell’accumulo intimale di LDL ossidate e a deposito di grassi nell’aorta del feto, che persiste nei bambini di 2-15 anni (167). L’MNT è importante nella riduzione della dislipidemia in gravidanza. Gli obiettivi principali del programma alimentare dovrebbero essere di limitare l’assunzione di grassi saturi a < 7% delle calorie e del colesterolo a < 200 mg/giorno e di sostituire i grassi trans insaturi con grassi mono-insaturi o polinsaturi (12, 14, 69). L’uso di regimi alimentari anti-aterogenici nelle donne non diabetiche in gravidanza è efficace nella riduzione dell’aumento del colesterolo totale e LDL (168). Le statine sono controindicate in gravidanza, a causa di effetti teratogenici. Nell’ipercolesterolemia le resine leganti gli acidi biliari sono i soli farmaci ipolipemizzanti non assorbiti (categoria B in gravidanza). Il loro effetto è limitato se sono usati da soli e producono una riduzione del 10-20% nel colesterolo LDL (1). Le donne diabetiche sono incoraggiate a mangiare almeno 2 pasti alla settimana a base di pesce azzurro, per au- 33 DIABETES CARE, MAY 2008 mentare gli acidi grassi n-3, ma le donne in gravidanza dovrebbero evitare di mangiare pesce ad alto contenuto potenziale di metilmercurio (ad es., pescespada, merluzzo reale) (1). C. Nefropatia diabetica Raccomandazioni • Determinare il livello dell’albuminuria e stimare il tasso di filtrazione glomerulare (GFR) mediante la creatinina serica prima della gravidanza in tutte le donne diabetiche. (E) • All’inizio della gravidanza valutare l’escrezione urinaria di albumina con una valutazione random del rapporto albumina/creatinina. (E) • Nelle pazienti in gravidanza con micro- o macroalbuminuria misurare adeguatamente CrCl delle 24 h, poiché il GFR stimato mediante l’equazione dello studio Modification of Diet in Renal Disease (MDRD) non è accurata nella gestazione. (E) • Per ridurre il rischio e/o rallentare la progressione della nefropatia (A) e per migliorare l’esito perinatale (E), ottimizzare il controllo della glicemia e della pressione arteriosa. • Sospendere ACE inibitori e ARB se si prevede una gravidanza e usare i farmaci discussi nella sezione sull’ipertensione in gravidanza. (E) • Le donne con nefropatia manifesta devono consultare un dietista accreditato e limitare l’assunzione di proteine a ~1.1 g · kg di peso corporeo-1 · giorno-1 (~10% delle calorie giornaliere, la quantità corrente di proteine raccomandata negli adulti), ma non < 60 g/giorno. (E) • Prendere in considerazione l’invio della paziente presso un centro specializzato nel trattamento della patologia renale diabetica e della gravidanza quando il GFR è sceso a < 60 ml/min. per 1.73 m2 o si sono manifestate difficoltà nella gestione dell’ipertensione. (E) La nefropatia diabetica è la causa principale di insufficienza renale terminale ed è un forte predittore di mortalità da CVD nelle donne diabetiche. La classificazione dei valori di albuminuria e GFR stimato nella nefropatia diabetica e nella insufficienza renale cronica e i loro effetti sulla gravidanza sono elencati nella tabella 2 (2,153,169-171). Durante una gravidanza normale l’escrezione urinaria di albumina (UAE) evidenzia un aumento modesto, che va fino a 30 mg/giorno o ACR urinario random fino a 22 mg/g, ma l’escrezione totale della proteina aumenta fino a 300 mg/giorno (1). La diagnosi di microalbuminuria in gravidanza si basa su misure ripetute di UAE tra 30-299 mg/giorno o ACR tra 30-299 mg/g in assenza di batte34 riuria (1,2). Le donne diabetiche con microalbuminuria al basale possono avere notevoli aumenti di UAE ed escrezione totale delle proteine entro il terzo trimestre, ma l’albuminuria solitamente regredisce dopo il parto. Alcuni casi di aumento della proteinuria sono dovuti a preeclampsia (e parto prima del termine), che è predetta dalla microalbuminuria al basale in numerosi studi osservazionali su donne con diabete di tipo 1 (1). Si presume una diagnosi di nefropatia diabetica manifesta in gravidanza in presenza di albuminuria persistente (≥ 300 mg/giorno) o di proteinuria (≥ 500 mg/giorno) prima della 20° settimana di gestazione, in assenza di batteriuria o evidenza di altre patologie del tratto renale o urinario. La proteinuria nella seconda metà della gravidanza può dipendere da preeclampsia. I metodi dipstick o il rapporto proteina/creatinina urinaria random non sono metodi accurati per predire o quantificare la proteinuria in gravidanza. Le pazienti con nefropatia manifesta possono raggiungere valori nefrosici di proteinuria nel terzo trimestre (3-20 g/giorno), ma di solito la proteinuria regredisce dopo il parto (1). La nefropatia diabetica in corso di gravidanza è un forte fattore di rischio per restrizione delle crescita fetale, preeclampsia, parto prematuro e parto di feto morto, tutti eventi che possono essere minimizzati mediante controllo ottimale della glicemia e della pressione arteriosa (172). Il GFR stimato, basato su creatinina serica, età, sesso e razza (formula MDRD) non è accurato in gravidanza (173); pertanto si raccomanda la misura della CrCl urinaria delle 24 h nella valutazione della nefropatia in gravidanza. Durante una gravidanza normale il GFR aumenta fino al 50% in più, in associazione con l’aumento fisiologico della eiezione cardiaca e del flusso ematico renale nella prima metà della gravidanza. Le pazienti diabetiche ben controllate, senza CrCl alterata al basale, possono avere l’innalzamento della CrCl osservato nella gravidanza normale (1). Durante la gravidanza la CrCl rimane stabile nei 3/4 delle pazienti con nefropatia e GFR iniziale preservato, ma si riduce nei 2/3 delle pazienti con GFR significativamente ridotto all’inizio della gravidanza. Nelle donne con nefropatia non è frequente la progressione verso la insufficienza renale in gravidanza, ma le esperienze pubblicate di donne con insufficienza renale grave all’inizio della gravidanza sono limitate. È interessante capire se la gravidanza esacerba la successiva progressione della nefropatia. Nel complesso delle pubblicazioni il 45% delle donne con GFR lievemente ridotto (livello 2) all’inizio della gravidanza progrediva verso la insufficienza renale entro il 12° anno successivo al parto. Tuttavia studi caso-controllo su donne affette da nefropatia che erano già state in gravidanza, rispetto a donne che non lo erano mai state, non hanno dimostrato aumento del rischio di insufficienza renale nel primo gruppo nei 10 anni successivi al parto e il tasso di riduzione del GFR dopo la gravidanza era simile a quello previsto nelle donne nefropatiche del secondo gruppo (1). La gestione dell’ipertensione in corso di gravidanza diabetica è riassunta nella sezione B.2 e discussa più avanti nel libro (1). Studi osservazionali supportano il controllo della pressione arteriosa a 110129/65-79 mmHg nelle donne nefropatiche in gravidanza (172,174,175). ACE inibitori e ARB non devono essere impiegati in gravidanza. Esiste solamente evidenza aneddotica che il calcio-antagonista nondiidropiridinico diltiazem riduce l’albuminuria nel corso della gravidanza. Nel libro sono discussi l’impiego di eritropoietina nell’anemia grave e nell’emodialisi e la gestione delle donne che hanno subito trapianto del rene in gravidanza (1). D. Retinopatia diabetica Raccomandazioni • Le cure precedenti al concepimento in tutte le donne diabetiche dovrebbero includere un esame completo della vista con pupilla dilatata da parte di un oftalmologo o optometrista. Le donne dovrebbero ricevere consulenza sul rischio di sviluppo e/o progressione della retinopatia diabetica. (B) • Per ridurre il rischio o rallentare la progressione di retinopatia, ottimizzare il controllo della glicemia e della pressione arteriosa. (A) • Inviare prontamente da un oftalmologo esperto nella gestione e nel trattamento della retinopatia diabetica le pazienti che presentano qualsiasi livello di edema maculare, retinopatia diabetica non proliferativa grave (NPDR) o di retinopatia diabetica proliferativa (PDR). (A) • I valori della glicemia dovrebbero essere portati lentamente alla quasi normalità nell’arco di un periodo di 6 mesi nelle pazienti in stato di pre-concepimento con NPDR grave o PDR, prima di affrontare una gravidanza. (A) • L’esame con pupilla dilatata dovrebbe essere effettuato nel primo trimestre, con follow-up attento per tutta la durata della gravidanza e per 1 anno dopo il parto. (B) • Le pazienti con retinopatia minima o assente dovrebbero essere esaminate nel primo e nel terzo trimestre, quelle con retinopatia lieve ogni trimestre e quelle con retinopatia da moderata a NPDR grave o a PDR ogni mese, a discrezione del professionista che ha in cura la paziente. (E) DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, MAY 2008 • Il trattamento con fotocoagulazione laser è indicato nella riduzione del rischio di perdita della vista nelle pazienti in fase di pre-concepimento e in quelle in gravidanza con rischio elevato di PDR, edema maculare clinicamente significativo e in alcuni casi di NPDR grave. (A) • Nelle donne con PDR non trattata il parto vaginale è stato associato a emorragia della retina e del vitreo. In queste donne si dovrebbe prendere in considerazione il parto cesareo, dopo consulto con ostetrico e oftalmologo. (E) La retinopatia diabetica è responsabile della maggior parte di nuovi casi di cecità negli adulti. Glaucoma, cataratta e altri disordini della vista possono colpire precocemente le donne diabetiche e dovrebbero anche essere presi in esame. È stato dimostrato che la gestione intensiva del diabete con l’obiettivo di ottenere una glicemia quasi normale previene e/o ritarda l’insorgenza della retinopatia diabetica. Anche il controllo della pressione arteriosa ridurrà la progressione della retinopatia (2). Il rischio a breve termine della progressione della retinopatia in gravidanza è quasi doppio, rispetto al rischio nello stato di non gravidanza. Pertanto si raccomanda di eseguire con maggiore frequenza gli esami della retina in gravidanza, e di determinare gli intervalli tra gli esami sulla base dello status della retinopatia. Il rischio in gravidanza di sviluppo di PDR in assenza di retinopatia apparente al basale è raro, ma se la retinopatia è presente il suo livello di gravità all’inizio della gravidanza predice il rischio di progressione nel corso della gravidanza nelle donne con diabete di tipo 1. Altri fattori che aumentano il rischio di progressione in gravidanza della retinopatia conclamata comprendono: durata prolungata/insorgenza precoce del diabete, A1C elevata nel primo trimestre e persistente controllo modesto della glicemia o sua normalizzazione rapida, ipertensione cronica, nefropatia e sviluppo di preeclampsia nel corso della stessa gravidanza. I migliori risultati dovrebbero essere conseguiti quando la glicemia è ottimizzata prima del concepimento. L’edema maculare sembra aggiungersi a PDR, nefropatia diabetica e preeclampsia in gravidanza. Le informazioni sulla retinopatia diabetica in gravidanze complicate da diabete di tipo 2 sono frammentarie (1) Il rischio di progressione in gravidanza di PDR non trattata è molto elevato e supporta la necessità di valutazione e gestione attenta della retinopatia pre-concepimento. Si dovrebbe prendere in considerazione la foto-coagulazione laser quando in gravidanza sono diagnosticati di neo-vascolarizzazione della retina, ede- ma maculare clinicamente significativo o NPDR molto grave. Le pazienti con neovascolarizzazione dovrebbero evitare la manovra di Valsalva, per ridurre il rischio di emorragia grave. Sebbene non vi siano studi controllati sull’impatto del tipo di parto sul rischio di emorragia grave nelle donne con PDR in atto, è ragionevole evitare le spinte nella seconda fase del travaglio mediante anestesia epidurale e mediante parto assistito o taglio cesareo. Nel caso di emorragia o distacco del vitreo in gravidanza si dovrebbero seguire le raccomandazioni per il trattamento dei soggetti non in gravidanza (1). Dopo la gravidanza è possibile che la retinopatia progredisca nel 6-20% delle pazienti con diabete di tipo 1 e alcune di queste pazienti richiedono foto-coagulazione laser dopo il parto (34). Gli studi di cui sopra supportano l’esigenza di attento follow-up oftalmologico nell’anno successivo alla gestazione. Studi caso-controllo dimostrano tassi simili o inferiori di progressione a lungo termine della retinopatia nelle donne che hanno partorito, rispetto alle nullipare e il tasso non aumenta nelle donne con più di una gravidanza (1). E. Neuropatie diabetiche Raccomandazioni • Tutte le pazienti dovrebbero essere sottoposte a screening per polineuropatia distale simmetrica (DPN) e neuropatia autonomica almeno 1 volta all’anno, mediante semplici test clinici. (B) • Educare tutte le pazienti all’auto-cura dei piedi. In quelle con DPN agevolare il miglioramento dell’educazione alla cura del piede e indicare calzature speciali. (A) • Informare le donne diabetiche del fatto che la gravidanza non sembra aumentare il rischio di sviluppo o progressione di DPN o di neuropatie diabetiche autonomiche, fatta eccezione per gli effetti transitori, ma possibilmente gravi sulla gastroparesi. (B) • Informare le donne affette da gastroparesi che questa complicanza è associata a rischio elevato di morbilità e a rischio di esito perinatale negativo. Se necessario usare i farmaci standard per iperemesi e supporto nutrizionale. © • Informare le donne colpite da DPN senso-motoria simmetrica cronica o da neuropatia cardiovascolare autonomica che queste condizioni possono essere associate a rischio aumentato di complicanze perinatali e richiederanno trattamento precauzionale. (B) • Valutare la presenza di risposte contro-regolatorie clinicamente ridotte all’ipoglicemia ed educare le pazienti a minimizzare la loro ricorrenza. (E) • Trattare le donne con diabete sintoma- DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 tico e DPN o neuropatie cardiovascolari o gastro-intestinali in maniera adeguata. (E) Le neuropatie diabetiche possono essere eterogenee, con manifestazioni cliniche focali o diffuse nelle donne in età riproduttiva, con danno delle fibre di tutti i nervi periferici – motori, sensoriali e autonomici (176,177). Fra le più frequenti vi sono la DPN senso-motoria simmetrica cronica (176) e la neuropatia autonomica (130). La neuropatia cardiaca autonomica è presa in considerazione nella sezione sulla CVD. I test di screening della DPN comprendono: sensibilità alla puntura di spillo, percezione della temperatura e delle vibrazioni (con diapason di 128 Hz), sensazione pressoria con monofilamento di 10-g sul lato plantare distale di tutti e due gli alluci e valutazione dei riflessi alla caviglia (176179). Le combinazioni di più di 1 test hanno > 87% di sensibilità nella diagnosi di DPN (2). La mancanza di percezione del tocco del filamento e della vibrazione predice il rischio di ulcere del piede. Abbiamo bisogno di altri dati sui valori predittivi di questi test in gravidanza. Disponiamo di informazioni limitate, in gran parte derivate da articoli su casi isolati, in riferimento all’eventuale peggioramento in gravidanza dei sintomi della neuropatia senso-motoria o autonomica. È difficile separare l’effetto della neuropatia diabetica sull’esito della gravidanza dai fattori noti di rischio per risultati avversi della gravidanza, come il controllo metabolico modesto, iperemesi, nutrizione inadeguata e patologia microvascolare concomitante. Particolarmente importante in gravidanza è l’associazione della neuropatia autonomica con l’aumento del rischio d’ipoglicemia grave. La presenza di gastroparesi è particolarmente pericolosa perché, associata a iperemesi della gravidanza, esacerba nausea e vomito. Ne può derivare assorbimento irregolare degli elementi nutritivi, nutrizione inadeguata e controllo anomalo della glicemia (1). Molte pazienti affette da gastroparesi traggono benefici dal trattamento con farmaci pro-cinetici, come la metoclopramide, un farmaco di categoria B ritenuto di impiego sicuro per tutto il corso della gravidanza. Anche l’eritromicina, un altro farmaco di categoria B (tranne che nella forma di estolato), può essere utile nel trattamento della gastroparesi (176). Casi gravi di gastroparesi diabetica appaiata a iperemesi possono richiedere nutrizione parenterale completa (1). Esistono pochi dati sul trattamento del dolore da DPN in gravidanza. Il dolore delle fibre C, caratterizzato da iperestesia e bruciore, può essere trattato con applicazioni topiche di Capsaicina (ritenuta 35 DIABETES CARE, MAY 2008 sicura in gravidanza) o Clonidina, un farmaco di categoria C che notoriamente non causa danni in gravidanza. Il dolore delle fibre A, un dolore più profondo che solitamente non risponde ai trattamenti summenzionati, può rispondere al trattamento con antidepressivi triciclici come amitriptilina o nortriptilina, che sono farmaci di categoria D, per il possibile rischio di teragenicità, ma sembrano d’impiego relativamente sicuro dopo il primo trimestre, con qualche evidenza di effetti minimali sul neonato. Anche i farmaci antiepilettici, come carbamazepina e gabapentina, sono stati impiegati con risultati positivi nella gestione del dolore neuropatico diabetico (176) ma, come per qualsiasi farmaco antiepilettico, il loro impiego in gravidanza deve tenere conto del loro potenziale teratogenico. In casi gravi di dolore da DPN può essere utile il metadone. Bibliografia 36 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, MAY 2008 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 37 DIABETES CARE, MAY 2008 38 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, MAY 2008 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 39 DIABETES CARE, MAY 2008 40 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, MAY 2008 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 41 DIABETES CARE, JUNE 2008 Editoriale Un passo indietro – o avanti? SAUL GENUTH, MD1 RICHARD KAHN, PHD2 orse è giunto il momento – o almeno sta per arrivare, di riprendere in considerazione le categorie diagnostiche correlate al diabete e ai suoi parenti stretti, ridotta tolleranza al glucosio (IGT) e alterata glicemia a digiuno. IGT, IFG e la loro combinazione oggi sono considerate pre-diabete perché, rispetto alla normale tolleranza al glucosio, segnalano un aumento del rischio di sviluppo di diabete (1). Prima del 1979, quando il National Diabetes Data Group definì l’IGT (2) e la dichiarò una categoria diagnostica ufficiale, si aveva o non si aveva il diabete e i valori non diagnostici della glicemia erano de facto “normali”. Alcuni clinici riconoscevano una via di mezzo, ma essa non era inclusa in tutti gli studi epidemiologici o nella pratica. L’aggiunta della IFG nel 1997, allo scopo di creare una condizione equivalente alla IGT, arricchì la via di mezzo e aumentò la consapevolezza e il riconoscimento di livelli intermedi d’intolleranza glucidica (3). Adesso esisteva un gruppo distinto di soggetti con glicemia plasmatica a digiuno compresa tra la normalità (< 110 mg/dl) e la nuova soglia minima del diabete del 1997 di 126 mg/dl, che poteva non incontrare il criterio dell’IGT di 140-199 mg/dl 2 h dopo un carico standard con 75 g di glucosio orale (3). Un ulteriore rifinitura dell’IFG nel 2003 ha modificato il valore soglia minimo da 110 a 100 mg/dl, modificazione raccomandata per rendere equivalenti entrambi gli stati intermedi e per definire in maniera più realistica il limite superiore della normalità (4). Recentemente, tuttavia, un numero sempre maggiore di studi ha dimostrato che con valori glicemici superiori alla normalità, ma nel range di IFG o IGT, v’è un aumento del rischio di superare il confine del diabete (FPG 126 mg/dl o un valore 2 h dopo carico 200 mg/dl) in pochi anni (1). Queste ultime cifre si basano sull’associazione di IFG e IGT con lo sviluppo successivo di retinopatia diabetica (3); tuttavia anche questa linea divisoria tra diabete e pre-diabete può essere messa in discussione dello studio Diabetes F Prevention Program, che ha osservato una prevalenza aumentata di microaneurismi della retina nei soggetti con IGT (5). Inoltre, uno studio recente condotto su giovani uomini israeliani riferisce che anche con valori della glicemia a digiuno attualmente considerati normali v’è un aumento significativo del rischio di sviluppo di diabete nell’arco di pochi anni (6). Quando la FPG è nel range tra 81 e 99 mg/dl, l’incidenza del diabete a 6 anni progressivamente si triplica (6). Allo stesso modo nel range dei valori della glicemia plasmatica a 2 h tra < 85 e 125139 mg/dl dopo carico di glucosio orale, il rischio di diabete incidente nell’arco di 7-8 anni aumenta dal 3.0 al 10.7% (7). Inoltre nell’ambito di questi range correntemente definiti normali di FPG e glicemia plasmatica a 2 h, si osserva una riduzione della secrezione d’insulina rispetto all’insulino-resistenza, cioè una riduzione nella funzione fisiologica delle β-cellule man mano che aumenta la glicemia plasmatica (8), e ciò offre un continuum fisiopatologico con la più marcata disfunzione β-cellulare che caratterizza IGT, IFG e infine il diabete. V’è da aggiungere che si ritiene che la FPG e in special modo i valori della glicemia plasmatica a 2 h al di sotto dei valori soglia del diabete (9-14), e anche i valori dell’A1C che li accompagnano (15), predicono patologia cardiovascolare e mortalità. In breve, la situazione diagnostica è molto più fluida di quanto non vorrebbero far pensare le categorie pubblicate e i loro valori soglia. Inoltre l’uso specifico dell’IGT come soglia assoluta per l’aumento del rischio di diabete, cioè il pre-diabete, è reso impraticabile da un grado elevato di non riproducibilità (3). Sia nel breve termine che nel lungo termine i pazienti possono passare ripetutamente da IGT a glicemia normale e viceversa. Ad esempio, in un recente studio di popolazione il 39% dei soggetti con IGT a un test iniziale di tolleranza al glucosio orale è stato classificato normale (e il 13% diabetico) a un secondo test, effettuato 2-6 settimane più tardi (16). Non sempre sono identificabili Da: the 1Division of Clinical and Molecular Endocrinology, Department of Medicine, Case Western Riserve University, Ohio e the 2American Diabetes Association, Alexandria, Virginia. 42 le ragioni cliniche di questo fenomeno, come le modificazioni di peso, le modalità dell’attività fisica, l’assunzione pregressa di carboidrati, l’uso di farmaci e le comorbilità, ma l’alterazione della funzione β-cellulare (come osservato sopra) appare come un probabile candidato fisiopatologico. È anche stata riportata l’inversione da diabete a non diabete nel 12% di una popolazione controllata per 7-8 anni; 90% di coloro che sono rientrati nella condizione non diabetica erano stati neodiagnosticati nel corso della visita basale (17). In un altro studio (18), 30 mesi dopo una diagnosi iniziale di diabete il 42% dei soggetti cui il diabete era stato diagnosticato per FPG ≥ 126 mg/dl e il 72% di quelli con glicemia plasmatica a 2 h ≥ 200 mg/dl non erano più diabetici. È stato stabilito che il termine “disglicemia” descrive la condizione in cui i valori della glicemia plasmatica superano quelli nei quali non è probabile che si verifichino eventi avversi (19). Il glucosio, una molecola ritenuta un tempo una vera e propria benedizione, essenziale alla vita, oggi sembra gettare un’ombra oscura sulla vita, anche se è nel range ritenuto normale. È del tutto possibile che tutti stiamo percorrendo la strada che ci porterà al diabete e/o alla patologia cardiovascolare (CVD), a velocità diverse, sulla base del nostro genoma, ambiente, cultura e stile di vita. L’unica cosa che ci impedisce di svilupparlo può essere l’interposizione di qualche altra malattia fatale o l’adozione di uno stile di vita rigoroso, che sconfigge l’obesità e gli effetti negativi del comportamento sedentario. Sulla base di questa nuova considerazione che il valore della glicemia, come quello del colesterolo LDL, può non avere un vero livello soglia che separa il range di non rischio da quello del rischio, può essere del tutto arbitrario e biologicamente scorretto definire lo stato di prediabete se tutti, in misura maggiore o minore, siamo pre-diabetici. Anche la sicurezza con cui definiamo i valori normali della glicemia sembra essere messa regolarmente in dubbio (20). Pertanto sembrerebbe giunta l’ora di prendere in considerazione la riorganizzazione delle nostre categorie diagnostiche. Potremmo abbandonare del tutto IFG e IGT e ritornare alla sola categoria patologica etichettata con la parola “diabete”, con i valori soglia correnti di 126 mg/dl e 200 mg/dl. I risultati nel lungo termine del follow-up della coorte del Diabetes Prevention Program (21) un giorno potranno persino convincerci ad DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, JUNE 2008 abbassare questi valori se i soggetti che rimangano nelle categorie attuali di IFG e IGT evidenziano un numero sempre maggiore di complicanze nel corso di attento follow-up. Nell’ambito della categoria del non diabete i medici dovrebbero, tuttavia, riconoscere un gradiente di rischio per sviluppo di diabete e/o CVD, correlato all’innalzamento dei valori glicemici e dire, come si fa nel caso del colesterolo LDL, “più bassi sono meglio è”. I medici potrebbero indicare ai loro pazienti che v’è un gradiente di rischio che inizia con FPG di ~80 mg/dl, mostrare loro in quale posizione si trovano, rispetto a questo gradiente, e incoraggiarli a modificare il loro stile di vita molto prima di quanto non si faccia attualmente. Per aiutare i medici, potremmo creare nomo-grammi con odds ratio per il rischio di sviluppo di diabete ad ogni aumento di 10 mg/dl per la FPG al di sopra di 80 mg/dl come riferimento 1.0. Un nomo-gramma simile, con basale e incrementi adeguati, oggi può essere costruito per l’A1C (15), poiché la standardizzazione dell’assay è andata avanti bene (22) e abbiamo stime accurate e precise dell’equivalenza tra A1C e valori glicemici medi (23). Inoltre oggi sembra possibile potere stabilire un valore dell’A1C per la diagnosi di diabete (24-27). Ancora più adeguati e importanti sono gli algoritmi della valutazione globale di rischio, che hanno come direttivo il rischio di diabete e di CVD mediante l’integrazione di tutti i maggiori fattori di rischio per entrambe le condizioni (vedi htpp://www.diabetes.org/diabetesphd/default.jsp?WTLPromo=Home_fla sh_030408PHD per PHD del diabete). Naturalmente medici, infermieri e altri professionisti dovrebbero fare del loro meglio per avviare il trattamento di modificazione dello stile di vita in tutti i soggetti che hanno in cura, poiché un numero veramente elevato di adulti (e sempre maggiore di bambini) è a rischio. La presenza di altri fattori di rischio per diabete ed eventi avversi associati, come storia familiare, età, sovrappeso/obesità, storia di diabete mellito gestazionale, dislipidemia e pressione arteriosa elevata, dovrebbe far intensificare gli sforzi per la modificazione dello stile di vita. Si dovrebbe misurare periodicamente la FPG (o A1C), per determinare come sta andando la disglicemia di ciascun paziente, così come facciamo attualmente, per ragioni analoghe, con la misura dei valori dei lipidi e della pressione arteriosa. Un argomento importante è se si devono usare farmaci nel trattamento della disglicemia, per ottenere valori più bassi possibile della glicemia. Alcuni trial clinici disponibili dimostrano una qualche efficacia nella prevenzione o nel ritardo della progressione da IGT e/o FPG a diabete di metformina (28), acarbose (29), rosiglitazone (30), orlistat (31) e glipizide (32), per almeno 2-4 anni. I rapporti rischi/benefici e costi/benefici, in riferimento all’uso indefinito di trattamento farmacologico in presenza di valori inferiori ai valori soglia correnti per il diabete, non sono chiari, anche se linee guida recenti indicano uno spazio per il trattamento farmacologico in soggetti a rischio altamente selezionati (33). Allo stesso modo in cui si sta studiando l’impiego più aggressivo di farmaci antiipertensivi in popolazioni con valori della pressione arteriosa ritenuti in precedenza non a rischio (34), dovremmo determinare l’effetto positivo, prolungato dell’abbassamento della glicemia quando i valori della glicemia non hanno raggiunto quelli diagnostici del diabete. Le modificazioni di cui sopra richiedono che si prendano in considerazione molte problematiche. Ad esempio, poiché tutti i trial sulla prevenzione sono stati di breve durata e la tolleranza al glucosio tende al peggioramento progressivo, anche in presenza di una significativa riduzione del rischio di sviluppo di diabete durante il trial, nella maggior parte dei casi la maggioranza dei partecipanti è rimasta a rischio. Saremo in grado di identificare con certezza, sulla base di studi fisiopatologici, quale paziente beneficerà di quale farmaco o se è necessario un trattamento farmacologico multiplo, con aumento di rischi e costi? Quali potrebbero essere le conseguenze negative del ritorno alla semplice categorizzazione diagnostica del diabete? Oggi che medici, infermieri, nutrizionisti, dottorandi e studenti in medicina sono stato incoraggiati a prendere in considerazione IGT e IFG, abbandonare queste condizioni definite richiederebbe un programma di rieducazione e comunque il cambiamento di per sè incontra problemi e opposizione (35). In misura minore potrebbe anche essere necessaria una qualche rieducazione del pubblico, anche se i termini IFG e IGT non sembrano ancora entrati nell’uso comune. L’evidenza che i termini IFG e IGT partano da processi fisiopatologici in qualche modo differenti (36,37) impedisce di eliminarli, per ottenere un paradigma clinicamente semplificato? Inoltre, poiché IGT e IFG sono stati frequentemente usati come fattori di rischio nella ricerca epidemiologica e l’IGT è stata una condizione basale nella ricerca terapeutica, in studi futuri potrebbero mantenere per qualche tempo la loro significatività. Un altro problema è che a tutt’oggi tutti i trial importanti di prevenzione del diabete, che comprendono test di modifi- DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 cazione dello stile di vita, sono stati eseguiti su coorti che avevano IGT (28,38); indubbiamente molti soggetti avevano anche IFG (28). Il diabete sarebbe stato altrettanto prevenibile (o ritardato con la stessa facilità) se questi metodi fossero stati usati nella popolazione generale con valori glicemici più bassi, anche se applicati a gruppi con rischio maggiore, come quelli con storia familiare di diabete? Avrebbero funzionato altrettanto bene nei segmenti più giovani, rispetto a quelli più vecchi, delle popolazioni o nei soggetti che incontrano, e in quelli che non incontrano, le definizioni correnti di sovrappeso e obesità? Le complicanze microvascolari e CVD non si svilupperebbero? Dovremmo aspettare a cambiare lo schema di classificazione fino a quando non arriveranno le risposte a queste domande, con la possibilità che non arrivino ancora per molti anni, se mai arriveranno? Un’altra considerazione importante è se è possibile aspettarsi che le assicurazioni sanitarie paghino il tempo e gli sforzi dei professionisti che insegnano e supportano le modificazioni preventive dello stile di vita, se non è possibile fornire ai pazienti una diagnosi formale di pre-diabete in base ai valori della glicemia plasmatica. Le preoccupazioni che oggi affliggono il pubblico e i politici relativamente agli aumenti inesorabili dei costi della sanità potrebbero opporsi a una ampia diffusione di misure preventive, potenzialmente molto costose, nella popolazione generale fino a quando i loro effetti positivi non siano pienamente dimostrati. Siamo pronti ad affrontare questa complessa problematica? Dobbiamo ancora assimilare le lezioni di IGT e IFG e continuare a farlo per determinare la relazione che intercorre tra loro e un elenco di variabili biologiche e demografiche? Forse si può usare un punteggio numerico di valutazione del rischio globale per diabete e CVD, che impiega tutti i fattori di rischio misurabili nell’ambulatorio medico, per fare scattare la copertura assicurativa per il trattamento delle modificazione dello stile di vita (28). Secondo noi non è importante continuare a discutere i livelli soglia corretti. Nonostante l’infinita lista di studi che si potrebbero avviare per migliorare la definizione di IFG e IGT, è chiaro che i giorni di IFG e IGT come entità cliniche sono agli sgoccioli ed è possibile prevedere che l’accumulo di conoscenza li accorcerà, piuttosto che allungarli. Noi prevediamo che sarà effettivamente un passo avanti e non indietro – scientificamente, ma anche storicamente – quando IGT e IFG diventeranno fuori-moda. Forse è giunta l’ora di riesaminare le classificazioni categoriche correnti dei valori della 43 DIABETES CARE, JUNE 2008 glicemia plasmatica. È possibile che il nostro futuro si riveli essere il nostro passato. Bibliografia 44 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, JUNE 2008 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 45 DIABETES CARE, JULY 2008 Aggiustamento al target nel diabete di tipo 2 Confronto tra un semplice algoritmo e il conteggio dei carboidrati nell’aggiustamento dell’insulina glulisina ai pasti RICHARD M. BERGENSTAL, MD1 ALEKSANDRA VLAJNIC, MD3 MARY JOHNSON, RN, CDE2 PRISCILLA HOLLANDER, MD4 MARGARET A. POWERS, PHD, RD, CDE1 MARC RENDELL, MD5 ALAN WYNNE, MD2 OBIETTIVO – Il conteggio dei carboidrati è un approccio efficace per l’aggiustamento dell’insulina dei pasti nel diabete di tipo 1, ma non è stato rigorosamente valutato nel diabete di tipo 2. Abbiamo confrontato il rapporto insulina/carboidrati con un semplice algoritmo per l’aggiustamento della dose dell’insulina glulisina al pasto. DISEGNO DELLA RICERCA E METODI – Questo studio controllato, multicentrico, randomizzato, di 24 settimane ha confrontato 2 algoritmi per l’aggiustamento dell’insulina (glulisina) all’ora dei pasti, insieme a un algoritmo standard per l’aggiustamento dell’insulina basale (glargine) in 273 pazienti con diabete di tipo 2. Glulisina e glargine sono state aggiustate settimanalmente in tutti e due i gruppi, sulla base dei risultati dell’auto-monitoraggio della glicemia (SMBG) della settimana precedente. Al gruppo del semplice algoritmo sono state indicate dosi stabilite di glulisina da somministrare prima di ogni pasto. Al gruppo del conteggio dei carboidrati è stato fornito un rapporto insulina/carboidrati da usare a ogni pasto e il dosaggio di glulisina è stato aggiustato sulla base della quantità di carboidrati consumata. RISULTATI – I valori dell’A1C alla 24ª settimana erano 6.70% (semplice algoritmo) e 5.54% (conteggio carboidrati). Le modificazione medie rispettive dell’A1C dal basale alla 24ª settimana erano –1.46 e –1.59% (P = 0.24). Il 73.2% (semplice algoritmo) e il 69.2% (conteggio carboidrati) (P = 0.70) dei soggetti aveva A1C < 7.0%; i valori rispettivi di A1C < 6.5% erano del 44.3 e 49.5% (P = 0.28). La dose totale giornaliera d’insulina era minore e v’era un trend verso minore aumento di peso nei pazienti del gruppo del conteggio carboidrati. I tassi d’ipoglicemia grave erano bassi ed uguali nei due gruppi. CONCLUSIONI – Gli aggiustamenti settimanali dell’insulina negli schemi basalebolo, basati sui pattern della glicemia prima dei pasti e all’ora di andare a letto producevano riduzioni significative nell’A1C. La disponibilità di 2 approcci efficaci per la somministrazione e l’aggiustamento dell’insulina ad azione rapida all’ora dei pasti può aumentare la disponibilità di medici e pazienti a fare avanzare il trattamento nella direzione della somministrazione d’insulina con schemi basale-bolo. Diabetes Care 31: 1305-1310, 2008 alori elevati di A1C e di glicemia postprandiale sono stati correlati al rischio di complicanze a lungo termine del diabete (1.3). Per raggiungere i valori target dell’A1C e della glicemia postprandiale nel diabete di tipo 2 spesso è necessario il trattamento insulinico (4). Sebbene disponiamo di numerosi trattamenti insu- V linici, in questo studio abbiamo esaminato l’impiego di un regime fisiologico che comprende un’insulina ad azione prolungata, che fornisce un livello d’insulina basale valido per tutto il giorno e un’insulina ad azione rapida per la somministrazione in bolo all’ora dei pasti (5,6). Fissare il dosaggio ottimale dell’insuli- Da: 1International Diabetes Center at Park Nicollet, Minneapolis, Minnesota; the 2Cotton-O’Neil Clinic, Topeka, Kansas; 3sanofi-aventis US, Bridgewater, New Jersey; the 4Baylor Endocrine Center, Dallas, Texas e 5Creighton Diabetes Center, Omaha, Nebraska. 46 na al pasto può essere difficile perché spesso implica calcoli di fattori multipli, come glicemia corrente, target della glicemia, rapporti insulina/carboidrati, contenuto totale di carboidrati dei pasti e livelli dell’attività fisica (7). La somministrazione d’insulina basata sul conteggio dei carboidrati è il metodo d’elezione per il miglioramento del controllo della glicemia nel diabete di tipo 1 (8,9), ma risulta di difficile realizzazione in alcuni pazienti (10,11). Non sono stati condotti né studi ampi, randomizzati sul trattamento intensivo con analoghi dell’insulina in schemi basale-bolo in pazienti con diabete di tipo 2, né studi di valutazione dell’efficacia del conteggio dei carboidrati in questi pazienti. In questo studio di 24 settimane abbiamo confrontato l’uso del rapporto insulina/carboidrati con un semplice algoritmo basato sul controllo glicemico, per l’aggiustamento della dose dell’insulina glulisina al pasto. DISEGNO DELLA RICERCA E METODI Questo studio multicentrico, controllato, in aperto, randomizzato, per gruppi paralleli comprendeva 2 settimane di screening seguite da 24 settimane di trattamento. La randomizzazione (1:1) è stata bilanciata per somministrazione di metformina, numero d’iniezioni d’insulina al basale, iniezione con penna vs. siringa e fiala e centro dello studio. Lo studio era conforme alle linee guida del International Council on Harmonization E6 di maggio 1996 e ai principi della Dichiarazione di Helsinki. Il protocollo e i documenti dello studio sono stati approvati dai comitati di revisione istituzionali e tutti i pazienti hanno fornito il consenso informato scritto. I partecipanti erano d’età compresa tra 18 e 70 anni, avevano diabete di tipo 2 da ≥ 6 mesi, A1C 7-10% allo screening e da ≥ 3 mesi prima dell’inizio dello studio erano trattati con ≥ 2 iniezioni d’insulina /giorno (il 36% 2 iniezioni e il 64% > 2 iniezioni) con o senza metformina. All’inizio dello studio il 37% usava glargine e almeno 1 iniezione di un analogo dell’insulina ad azione rapida, il 36% usava un’insulina pre-miscelata e il resto altri trattamen- DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, JULY 2008 Tabella 1 – Aggiustamento delle dosi d’insulina glargine e insulina glulisina, sulla base del pattern dei valori della glicemia all’ora dei pasti nella settimana precedente Aggiustamenti dell’insulina glargine: tutti e due i gruppi Media del SMBG a digiuno degli ultimi 3 giorni > 180 mg/dl 140-180 mg/dl 120-139 mg/dl 95-119 mg/dl 70-94 mg/dl < 70 mg/dl Aggiustamento Aumentare di 8 unità Aumentare di 6 unità Aumentare di 4 unità Aumentare di 2 unità Nessuna modificazione Diminuire dello stesso numero di unità dell’aumento dell’insulina glulisina di quella settimana o fino al 10% della dose totale d’insulina glargine Aggiustamenti dell’insulina glulisina: gruppo del semplice algoritmo Dose al pasto ≤ 10 unità > 11-19 unità ≥ 20 unità Pattern dei valori della glicemia al pasto al di sotto del target* Pattern dei valori della glicemia al pasto al di sopra del target† Ridurre di 1 unità Ridurre di 2 unità Ridurre di 3 unità Aumentare di 1 unità Aumentare di 2 unità Aumentare di 3 unità Aggiustamenti dell’insulina glulisina: gruppo del conteggio dei carboidrati (rapporto insulina/carboidrati)‡ Dose al pasto 1 unità/20 g 1 unità/15 g 1 unità/10 g 1 unità/15 g 1 unità/15 g§ Pattern dei valori della glicemia al pasto al di sotto del target* Pattern dei valori della glicemia al pasto al di sopra del target† Ridurre a 1 unità/25 g Ridurre a 1 unità/20 g Ridurre a 1 unità/15 g Ridurre a 1 unità/10 g Ridurre a 1 unità/15 g Aumentare a 1 unità/15 g Aumentare a 1 unità/10 g Aumentare a 1 unità/15 g Aumentare a 1 unità/15 g Aumentare a 1 unità/15 g *Se oltre 1/2 dei valori della glicemia al pasto della settimana erano al di sotto del target. †Se oltre 1/2 dei valori della glicemia al pasto della settimana erano al disopra del target. ‡A ciascun paziente nel gruppo del conteggio carboidrati è stato anche dato un programma per la correzione della dose d’insulina glulisina al pasto, per aggiungere qualche unità se elevata o toglierne se bassa. §Aumentare l’insulina al pasto se necessario seguendo questo pattern. ti. I motivi d’esclusione erano: trattamento con farmaci antidiabetici orali (tranne metformina) fino a 3 mesi prima dell’inizio dello studio; previsione di gravidanza, gravidanza o allattamento; creatinina serica ≥ 1.5 mg/dl negli uomini (≥ 1.4 mg/dl nelle donne) che assumevano metformina e > 3.0 mg/dl in qualsiasi soggetto; patologia renale clinicamente significativa (tranne proteinuria); epatopatia; scompenso cardiaco classe III-IV della New York Heart Association o qualsiasi malattia o condizione che avrebbe potuto interferire con il completamento dello studio. Trattamenti I target erano una glicemia a digiuno < 95 mg/dl, < 100 mg/dl prima del pasto (prima del pranzo e della cena) e < 130 mg/dl all’ora di andare a letto. Dosaggio dell’insulina glargine. La dose iniziale d’insulina glargine è stata calcolata come il 50% della dose totale, giornaliera d’insulina di prima della randomizzazione. Successivamente il dosaggio è stato titolato settimanalmente in conformità con la media degli ultimi 3 giorni di glicemia a digiuno auto-monitorata (SMBG) (tabella 1). L’aumento della dose poteva essere diviso in ≥ 2 incrementi nell’arco della settimana. Dosaggio dell’insulina glulisina. Il restante 50% della dose totale, giornaliera d’insulina è stato impiegato per l’insulina glulisina all’ora dei pasti, suddivisa in 3 pasti: il 50% al pasto più abbondante (soprattutto carboidrati), il 33% al pasto medio e il 17% in quello più leggero. L’aggiustamento della dose di glulisina in entrambi i gruppi è stato basato sui pattern della glicemia prima di pranzo/cena e all’ora di andare a letto (a questi tre momenti ci si riferisce come ora dei pasti) della settimana precedente, come illustrato nella tabella 1. Lo staff dello studio ha insegnato al gruppo come contare i carboidrati (conteggio carboidrati) e come usare il rapporto insulina/carboidrati. I rapporti insulina/carboidrati di ciascun pasto sono stati determinati sulla base dell’algoritmo della tabella 1. Il rapporto insulina/carboidrati permette ai pazienti di aggiustare l’insuli- DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 na sulla base della quantità di carboidrati che decidono di consumare in un pasto. Farmaci antidiabetici aggiuntivi I pazienti che alla randomizzazione assumevano metformina hanno continuato a farlo, allo stesso dosaggio. Non sono stati permessi altri farmaci orali o insulina. Raccomandazioni relative al regime alimentare e allo stile di vita Del materiale educativo è stato disegnato specificatamente per questo studio sulla base del libro del Type 2 Diabetes BASICS del International Diabetes Center (12). Il materiale destinato al gruppo del semplice algoritmo ha omesso tutti i riferimenti all’assunzione di carboidrati, tranne che nel contesto del trattamento dell’ipoglicemia e del consumo di alcol. Diari dei pazienti e visite dello studio Diari. Tutti i pazienti hanno registrato l’SMBG prima dei pasti e prima di andare a dormire, le dosi d’insulina, l’assunzione di cibo e di carboidrati stimati a pasto 47 DIABETES CARE, JULY 2008 (gruppo del conteggio carboidrati), le informazioni correlate a ipoglicemia e a livello di attività fisica e a un profilo della glicemia in 7 punti alle settimane 0, 12, 18 e 24. Visite. Le visite dello studio sono state effettuate allo screening, al basale e alle settimane 2, 6, 12, 18 e 24 (end point). Le valutazioni hanno incluso: esami fisici, segni vitali, elettrocardiogramma, A1C, test di laboratorio ematologici e chimici e lettura del diario. Sono stati registrati eventi avversi, episodi d’ipoglicemia e farmaci concomitanti. Vi sono stati contatti settimanali, attraverso visite o telefonate, per controllare i diari e aggiustare le dosi d’insulina. Variabili d’efficacia e sicurezza Efficacia. L’end point primario era la modificazione dell’A1C dal basale alla 24ª settimana. Le variabili secondarie erano: modificazione dell’A1C dal basale a specifici momenti dello studio; modificazioni dal basale alla 24ªsettimana della glicemia plasmatica a digiuno (FPG); glicemia prima del pasto e postprandiale; profilo della glicemia in 7 punti; dosi medie d’insulina basale, in bolo e totale; lipidi; percentuali di pazienti che raggiungevano A1C < 7.0 e < 6.5% alla 24ª settimana e aumento di peso. Sicurezza. Sono stati registrati tutti gli eventi avversi. Sono stati documentati i dati clinico-chimici ed ematologici e i risultati degli esami fisici, compresi peso e segni vitali. Ipoglicemia È stata definita ipoglicemia grave quella che richiedeva assistenza e implicava SMBG <36 mg/dl o trattamento, con immediati risultati positivi, con carboidrati orali, glucosio endovenoso o glucagone. È stata anche documentata l’ipoglicemia sintomatica. Analisi dei dati Popolazioni. La popolazione della sicurezza comprendeva i pazienti che assumevano ≥ 1 dose del farmaco dello studio e disponevano di documentazione relativa al follow-up. La popolazione dell’intenzione di trattamento (ITT) comprendeva pazienti valutati per la sicurezza, che disponevano di una valutazione basale e di una in corso di trattamento di ≥ 1 variabile dell’efficacia, ma escludeva i pazienti che non erano mai stati sottoposti a trattamento o che erano trattati, ma non avevano avuto valutazioni dell’efficacia successivamente all’esame basale. Dimensione del campione. Si doveva testare l’ipotesi di non inferiorità; uno studio con 86 soggetti valutabili in ciascun braccio del trattamento avrebbe avuto il 90% di potenza nell’individuazione differenze di trattamento dello 0.5%. L’SD di σ = 1.0 impiegato nei computi della potenza corrisponde al 95% del limite superiore della confidenza del SD della modificazione dell’A1C di un trial precedente sull’insulina glulisina. Metodologia statistica. Un’analisi a misure ripetute e con modello misto, che comprendeva A1C basale, numero di iniezioni giornaliere prima dello studio (2 o > 2), uso di metformina alla randomizzazione, metodo d’iniezione (penna o fiala) e sito dello studio ha fornito stime aggiustate e modificazioni, rispetto al basale, per visita, alle settimane 2, 6, 12, 18 e 24, relativamente ad A1C, FPG, profilo della glicemia in 7 punti, dosi d’insulina basale e in bolo, lipidi, peso e BMI. Le percentuali di pazienti che ottenevano A1C < 7.0 e < 6.5% sono state analizzate mediante regressione logistica, che comprendeva braccio del trattamento, A1C basale e altri fattori alla randomizzazione. È stato usato un modello di regressione di Poisson, che incorporava dispersione in eccesso, per analizzare il tasso d’ipoglicemia e un modello di re- Popolazione della sicurezza (n = 277) Semplice algoritmo dell’ITT n. (%) (n = 136) Abbandoni AE Violazione del protocollo Assente al follow-up Morte Scelta di non proseguire da parte del paziente Altro Completato Conteggio carboidrati dell’ITT n. (%) (n = 137) 12 (8.8) 3 (2.2) 3 (2.2) 1 (0.7) 0 (0) 5 (3.7) 0 (0) 124 (91.2) Abbandoni AE Violazione del protocollo Assente al follow-up Morte Scelta di non proseguire da parte del paziente Altro Completato Figura 1 – Disposizione dei pazienti. AE, eventi avversi. 48 28 (20.4) 6 (4.4) 6 (4.4) 5 (3.6) 1 (0.7) 9 (6.6) 3 (2.2) 109 (79.6) gressione logistica per analizzare l’incidenza d’ipoglicemia. RISULTATI Su 281 pazienti randomizzati 273 componevano la popolazione ITT (tabella 2) (136 del semplice algoritmo e 137 del conteggio carboidrati) (figura 1). 40 pazienti ITT sospendevano il trattamento (12 nel gruppo del semplice algoritmo e 28 in quello del conteggio carboidrati). Analisi primaria dell’efficacia Nell’analisi primaria dell’efficacia si impiegava ANCOVA per confrontare la modificazione, rispetto al basale, dell’A1C alla 24ª settimana dopo aggiustamento per A1C basale. Si osservava una non inferiorità del semplice algoritmo, rispetto al conteggio dei carboidrati, perché l’A1C media migliorava in tutte e due le braccia del trattamento in misura simile (riduzione del 1.46% con semplice algoritmo e del 1.59% con conteggio carboidrati) e i limiti di confidenza al 95% sulla differenza media rientravano nel margine della non inferiorità dello 0.5%, specificato nel protocollo dello studio (settimana 24; conteggio carboidrati – semplice algoritmo = -0.13% con limiti di confidenza al 95% (.0.35 a 0.09%). Analisi secondaria dell’efficacia I valori dell’A1C alla 24ª settimana erano di 6.70% (semplice algoritmo) e di 6.54% (conteggio carboidrati) (figura 2A); in ciascun punto del tempo le modificazioni, rispetto al basale, erano statisticamente significative con tutti e due i trattamenti (P < 0.0001). Alla 12ª settimana entrambi i gruppi ottenevano una A1C media < 7.0%. All’end point il 73.0% (semplice algoritmo) e il 69.2% (conteggio carboidrati) dei pazienti avevano un’A1C < 7.0% (P = 0.70); i valori rispettivi con A1C <6.5% erano del 44.3 e 49.5% (p = 0.28). Alla 24ª settimana in tutte e due le braccia del trattamento si registravano significativi miglioramenti medi, aggiustati, della FPG rispetto al basale (semplice algoritmo 112.0 mg/dl; conteggio carboidrati 101.8 mg/dl; P <0.0001 in entrambi). La modificazione dal basale era di –40.4 mg/dl nei pazienti del gruppo del semplice algoritmo e di -50.6 mg/dl in quelli del gruppo del conteggio carboidrati (P = 0.059) (figura 2B). Alla 12ª settimana la FPG media era di 108 mg/dl (semplice algoritmo) e di 112 mg/dl (conteggio carboidrati). A ogni visita i valori della glicemia si riducevano in entrambe le braccia del trattamento e la modificazione nell’ambito dello stesso gruppo, rispetto al basale, era statisticamente significativa in tutti i punti del tempo dell’intera giornata e in tutte le visite dello studio (figura 2C). DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, JULY 2008 Tabella 2 – Caratteristiche demografiche e cliniche e trattamento precedente con insulina nella popolazione ITT (entrambi P < 0.0001 vs. basale; P = 0.073 nei gruppi). Caratteristica Sicurezza Eventi avversi. La popolazione impiegata nella determinazione degli eventi avversi e delle ipoglicemie proveniva dalla popolazione della sicurezza. Complessivamente 102 (73.9%) pazienti nel gruppo del semplice algoritmo e 98 (70.5%) in quello del conteggio carboidrati riportavano ≥ 1 evento avverso dovuto al trattamento. In tutti e due i gruppi gli eventi avversi più frequenti erano: infezione del tratto respiratorio superiore (semplice algoritmo 17.4%; conteggio carboidrati 10.8%), rinofaringite (8.7% vs. 5.8%, rispettivamente), sinusite (8.0% vs. 6.5%) e influenza (5.1% vs. 6.5%). Su 42 eventi avversi gravi, 41 erano non fatali: 22 (15.9%) nel gruppo del semplice algoritmo e 19 (13.7%) nel gruppo del conteggio carboidrati. Nel gruppo del conteggio carboidrati si verificava un decesso per infarto del miocardio. Gli eventi avversi facevano sospendere il trattamento in 6 (4.3%) pazienti nel gruppo del conteggio carboidrati e in 3 (2.2%) in quello del semplice algoritmo. Ipoglicemia. Nel gruppo del semplice algoritmo si registravano 53 episodi d’ipoglicemia grave in 19 pazienti e in quello del conteggio carboidrati 37 episodi in 19 pazienti; ne conseguiva la stima di 0.89 e 0.67 eventi/pazienti-anno nei due gruppi (P = 0.58). SMBG < 70 mg/dl, con sintomi, non era statisticamente significativo nei 2 gruppi (P = 0.08). Tuttavia l’SMBG < 50 mg/dl, con sintomi, era lievemente più frequente, ma in maniera statisticamente significativa, nel gruppo del conteggio carboidrati, rispetto al gruppo del semplice algoritmo (8.0 vs. 4.9 eventi/pazientianno, P = 0.02). Esami clinici e di laboratorio. Le modificazioni rispetto al basale erano minori e prive di significatività clinica. Semplice algoritmo n 136 Età (anni) 55.1 ± 8.8 (29-70) Sesso Maschile 53 (39.0) Femminile 83 (61.0) Razza Bianca 111 (81.6) Di colore 15 (11.0) Asiatica/orientale 2 (1.5) Multirazziale 0 (0.0) Altro 8 (5.9) Altezza (cm) 169 ± 10.6 (146-198) Peso (kg) 107 ± 24.2 (61-187) 37.7 ± 8.1 (21-63) BMI (kg/m2) A1C (%) 8.1 ± 0.9 (7-10) FPG (mg/dl) 162 ± 58.2 (49-306) Età all’insorgenza (anni) 42.8 ± 10.6 (13-66) Durata del diabete (anni) 12.9 ± 7.7 (0-40) Il soggetto usava una penna per somministrare l’insulina? No 66 (48.5) Sì 69 (50.7) Numero d’iniezioni alla randomizzazione 2 al giorno 43 (31.6) > 2 al giorno 93 (68.4) Uso di metformina alla randomizzazione No 90 (66.2) Sì 46 (33.8) Conteggio carboidrati Valore di P 137 5.0 ± 9.5 (28-71) 0.8026 67 (48.9) 70 (51.1) 0.2468 109 (79.6) 15 (10.9) 0 (0.0) 1 (0.7) 12 (8.8) 170 ± 9.8 (150-193) 103 ± 21.7 (52-171) 35.6 ± 7.2 (17.60) 8.3 ± 0.9 (6-11) 163 ± 54.2 (52-341) 42.4 ± 9.6 (14-63) 13.0 ± 7.8 (0-36) 0.2776 0.4560 0.1217 0.0416 0.0825 0.8112 0.8594 0.9055 62 (45.3) 75 (54.7) 0.7788 57 (41.6) 80 (58.4) 0.0211 89 (65.0) 48 (35.0) 0.5793 I dati sono medie ± SD (range) o n (%). Modificazioni delle dosi d’insulina Al basale le dosi medie d’insulina glulisina e glargine e la dose totale di insulina erano di 53.9, 53.9 e 107.8 unità (semplice algoritmo) e di 50.5, 50.5 e 100.9 unità (conteggio carboidrati), rispettivamente. Alla 24ª settimana le dosi medie aggiustate di insulina glulisina (P = 0.0011), insulina glargine (P < 0.0001) e le dosi totali d’insulina (P = 0.0002) erano significativamente più elevate nei pazienti del gruppo del semplice algoritmo, rispetto a quelli del conteggio carboidrati (108.7, 102.5 e 207.4 unità vs. 88.9, 86.4 e 175.5 unità, rispettivamente). Alla 24ª settimana la dose totale d’insulina era di 1.9 unità/kg (gruppo del semplice algoritmo) e di 1.7 unità/kg (gruppo del conteggio carboidrati) (vedi tabella 3 dell’appendice on-line, disponibile al sito http://dx.doi.org/10.2337/dc07-2137). Lipidi Il colesterolo totale medio aggiustato si riduceva lievemente in entrambi i gruppi, dal basale alla 24ª settimana. Si osservava una riduzione significativa solamente alla 12ª settimana nei pazienti del gruppo del conteggio carboidrati: da 175.0 a 168.5 mg/dl (-8.35 mg/dl; P < 0.01). Né il cole- sterolo HDL né quello LDL subivano modificazioni significative dal basale alla 24ª settimana in entrambi i gruppi; non si osservavano differenze nei gruppi alla 12ª o 24ª settimana. I trigliceridi si riducevano significativamente dal basale alla 12ª settimana nel gruppo del conteggio carboidrati (144.0 a 128.5 mg/dl) e in quello del semplice algoritmo (164.7 a 148.3 mg/dl) (-18.27 mg/dl, P < 0.0001 e -15.14 mg/dl, P < 0.004, rispettivamente). Si osservava anche una riduzione significativa dei trigliceridi dal basale alla 24ª settimana nel gruppo del conteggio carboidrati (144.0 a 133.0 mg/dl), ma non in quello del semplice algoritmo (164.7 a 153.4 mg/dl) (13.19 mg/dl, P = 0.008 e –8.19 mg/dl, P = 0.170, rispettivamente). Peso e BMI Tutti e due i gruppi aumentavano di peso alla 24ª settimana: quello del semplice algoritmo di 3.6 kg (3.4%) e quello del conteggio carboidrati di 2.4 kg (2.3%) (P = 0.06 nella differenza nei gruppi alla 24ª settimana). Entrambi i gruppi evidenziavano un aumento modesto, ma significativo del BMI alla 24ª settimana: quello del semplice algoritmo di 1.28 kg/m2 e quello del conteggio carboidrati di 0.83 kg/m2 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 CONCLUSIONI Il nostro è uno dei pochi trial randomizzati e controllati che valuta il trattamento con analogo dell’insulina nello schema basale-bolo in pazienti obesi con diabete di tipo 2 e uno dei primi a valutare l’impiego del conteggio dei carboidrati nei pazienti con diabete di tipo 2. L’impiego di un semplice algoritmo per aggiustare settimanalmente l’insulina glulisina al pasto, in base ai pattern del SMBG, ha avuto la stessa efficacia dell’impiego dei rapporti insulina/carboidrati. Entrambi gli approcci hanno prodotto una riduzione di circa 1.5% nell’A1C senza differenze significative nella modificazione media dell’A1C rispetto al basale o nella percentuale di pazienti che raggiungevano gli obiettivi dell’A1C < 6.5% (13) o < 7.0% (14). Tutti e due i trattamenti sono stati ben tollerati. Il ri49 DIABETES CARE, JULY 2008 A digiuno Dopo Prima colazione di pranzo Dopo pranzo Prima di cena Dopo cena All’ora di andare a letto Figura 2 – A: A1C: modificazione rispetto al basale nei gruppi del semplice algoritmo e del conteggio carboidrati alle settimane 2, 6, 12, 18 e 24 (popolazione ITT). B: FPG: modificazione rispetto al basale nei gruppi del semplice algoritmo e del conteggio carboidrati alle settimane 2, 6, 12, 18 e 24 (popolazione ITT). C: Profili glicemici con SMBG in 7 punti al basale e alla 24ª settimana nei gruppi del semplice algoritmo e del conteggio carboidrati (popolazione ITT). schio d’ipoglicemia grave era basso e non significativamente differente nei gruppi. Altri studi (15,16) hanno dimostrato che i pazienti con diabete ben controllato con l’insulina spesso hanno un rapporto insulina basale:insulina in bolo vicino a 50% : 50%. Alla 24ª settimana, dopo titolazioni settimanali multiple dell’insulina sulla base dei pattern degli SMBG, entrambi i gruppi del semplice algoritmo e del conteggio carboidrati avevano rapporti insulina basale-bolo di ~49%:51%. Inoltre, alla fine dello studio la dose d’insulina in bolo era divisa tra colazione, pranzo e cena: ~27, 35 e 38% nel gruppo del semplice algoritmo e 25, 34 e 41% in quello del conteggio carboidrati, rispettivamente. Alla 24ª settimana tutti e due i gruppi richiedevano dosi totali giornaliere consistenti d’insulina (semplice algoritmo 1.9 unità/kg e conteggio carboidrati 1.7 unità/kg). Il dosaggio minore d’insulina nei pazienti del gruppo del conteggio carboidrati può riflettere un migliore abbinamento tra dosi d’insulina ad assunzione di carboidrati al pasto, in 50 contrapposizione con le dosi fisse al pasto nel gruppo del semplice algoritmo. In uno studio recente che confrontava 3 approcci per iniziare il trattamento con un analogo dell’insulina in pazienti con diabete di tipo 2 (basale, pre-miscelato bifasico e ai pasti), Holman e al. (17) hanno concluso che, sebbene ciascun regime migliorava il controllo della glicemia, era probabile che la maggior parte dei pazienti avesse bisogno di più di un tipo d’insulina per raggiungere gli obiettivi della glicemia. Le percentuali di pazienti che raggiungevano il target dello studio dell’A1C (< 6.5%) erano 8.1% con la basale, 17.0% con la bifasica e 23.9% con le prandiali. Sebbene non si possono confrontare direttamente i trattamenti insulinici di popolazioni di studio dicerse, probabilmente era più difficile controllare il diabete nella nostra popolazione, perché i pazienti lo avevano da più tempo ed erano più obesi, rispetto ai soggetti del trial di Holman e al. Nello studio che qui riportiamo, tuttavia, i pazienti con diabete di tipo 2 trattati con insulina basa- le-bolo ottenevano A1C <6.5% per quasi metà del tempo dello studio (44.3% con semplice algoritmo e 49.5% con conteggio carboidrati). Sebbene il trattamento con insulina basale-bolo possa migliorare il controllo della glicemia nel diabete di tipo 1 (6,18) e di tipo 2 (19,20), non è stato chiaramente definito l’impiego più efficace del SMBG per aggiustare le dosi d’insulina basale-bolo (21-24). Alcuni ritengono che il monitoraggio postprandiale sia fondamentale per stabilire un buon controllo della glicemia, mentre altri non sono convinti dell’essenzialità del test postprandiale (25). In questo studio abbiamo dimostrato che i pazienti con diabete di tipo 2 che adoperavano l’SMBG solo a digiuno e prima dei pasti per monitorare e aggiustare gli analoghi dell’insulina ad azione rapida e prolungata ottenevano un ottimo controllo della glicemia, misurata dall’A1C, con ipoglicemia grave minima. Gli elementi chiavi del trattamento insulinico di successo sono l’ottimizzazione DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, JULY 2008 del controllo della glicemia simultaneamente alla minimizzazione dell’ipoglicemia. I pazienti possono imparare ad aggiustare l’insulina ai pasti con l’impiego di un semplice algoritmo o dei rapporti insulina/carboidrati, che permettono flessibilità nella scelta dei cibi e abbinamenti relativamente precisi dell’insulina richiesta ai pasti, ma che possono apparire complessi ed essere di difficile implementazione in alcuni pazienti (10,11). Abbiamo dimostrato che una dose standard d’insulina glulisina al pasto, aggiustata settimanalmente sulla base dei pattern della glicemia prima dei pasti, può far raggiungere gli stessi obiettivi di un trattamento che aggiusta l’insulina al pasto sulla base dei rapporti insulina/carboidrati. È possibile che i nostri pazienti del gruppo del semplice algoritmo consumassero quantità abbastanza consistenti di carboidrati, minimizzando pertanto le modificazioni necessarie nel dosaggio dell’insulina, o che avessero imparato a modificare la loro assunzione di carboidrati sulla base delle misure del SMBG. Per riassumere, la disponibilità di 2 approcci efficaci per la somministrazione e l’aggiustamento dell’insulina ad azione rapida al pasto (un semplice algoritmo e il rapporto insulina/carboidrati) può aumentare la disponibilità di pazienti e clinici a dare l’avvio al trattamento con insulina basale-bolo, un passo spesso necessario per ottenere il controllo ottimale della glicemia nel diabete di tipo 2. Bibliografia DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 51 DIABETES CARE, JULY 2008 Meta-analisi Efficacia, sicurezza e tollerabilità del trattamento con pregabalin nella neuropatia periferica diabetica dolorosa Dati di 7 trial randomizzati controllati ROY FREEMAN, MD1 EDITH DURSO-DECRUZ, PHD2 BIROL EMIR, PHD2 OBIETTIVO – Valutare efficacia, sicurezza e tollerabilità di pregabalin in un ampio range di dosaggi efficaci, determinare le differenze d’efficacia degli schemi di somministrazione tre volte al giorno (TID) vs. due volte al giorno (BID) e usare l’analisi del tempo trascorso prima dell’evento per determinare il tempo necessario alla comparsa di un effetto terapeutico sostenuto, con l’impiego dei dati di 7 trial su pregabalin nella neuropatia periferica diabetica dolorosa (DPN). DISEGNO DELLA RICERCA E METODI – Sono stati messi insieme i dati di 7 trial in doppio cieco, randomizzati, placebo-controllati, che impiegavano pregabalin nel trattamento di DPN dolorosa con dosaggi di 150, 300 e 600 mg/giorno, somministrati BID o TID. Solamente 1 trial comprendeva tutti e 3 questi dosaggi e il dosaggio TID è stato usato in 4. Tutti gli studi condividevano i criteri fondamentali di selezione e le durate dei trattamenti andavano da 5 a 13 settimane. RISULTATI – L’analisi riunita dimostrava che il pregabalin riduceva significativamente il dolore e le interferenze con il sonno ad esso correlato, associati a DPN (150, 300 e 600 mg/giorno somministrati TID vs. placebo, tutti i valori di P ≤ 0.007). Solamente il dosaggio di 600 mg/giorno era efficace se somministrato BID (P ≤ 0.001). Le riduzioni di dolore e d’interferenza con il sonno associate a pregabalin sembravano correlate al dosaggio; l’effetto massimo si osservava nei pazienti trattati con 600 mg/giorno. L’analisi di Kaplan-Meier rivelava che il tempo medio prima della comparsa del miglioramento sostenuto di 1 punto (≥ 30% all’end point) era di 4 giorni nei pazienti trattati con 600 mg/giorno, di 5 giorni in quelli trattati con 300 mg/giorno, di 13 giorni in quelli trattati con 150 mg/giorno di pregabalin e di 60 giorni nei pazienti placebo-trattati. I più frequenti eventi avversi emergenti dal trattamento erano vertigini, sonnolenza ed edema periferico. CONCLUSIONI – Il trattamento con pregabalin nel range dei dosaggi efficaci è associato a miglioramento significativo, correlato al dosaggio, del dolore nei pazienti con DPN. Diabetes Care 31: 1448-1454, 2008 a prevalenza di neuropatia diabetica è del 50% nei pazienti che hanno il diabete da 25 anni (1) e la neuropatia periferica, diabetica (DPN) dolorosa colpisce fino al 26% di tutti i pazienti diabetici (2). I sintomi vanno da disestesia lieve a dolore forte e ininterrotto, che può avere un impatto profondo sulla qualità di vita dei pazienti (3,4). Farmaci di classi diverse sono impie- L gati nel trattamento della DPN dolorosa, con vari gradi d’efficacia, sicurezza e tollerabilità. I farmaci antiepilettici, gabapentin e pregabalin, sono diventati di uso diffuso nel trattamento della DPN dolorosa. Questi farmaci si legano alla sotto-unità ausiliaria α2-δδ del canale del calcio sensibile al voltaggio e pertanto riducono l’influsso Ca2+ nei terminali nervosi e modulano il rilascio di neuro-trasmettitori (5). Da: the 1Department of Neurology, Beth Israel Deaconess Medical Center, Harvard Medical School, Boston, Massachusetts e 2Pfizer Global Pharmaceuticals, New York, New York. 52 Esistono 7 trial in doppio cieco, randomizzati, placebo-controllati su DPN dolorosa trattata con pregabalin (6-12), 5 dei quali sono interamente pubblicati (711). Il range di dosaggio efficace nel trattamento del dolore neuropatico è di 150600 mg/giorno, somministrati 3 volte (TID) o 2 volte (BID) al giorno. Nei 7 trial sono stati usati i dosaggi di 150, 300 e 600 mg/giorno, ma solamente 1 trial li comprendeva tutti e tre. Pertanto, considerati singolarmente, i 7 trial presentano un quadro incompleto del range di dosaggi efficaci. Inoltre il dosaggio TID è stato usato nei primi 4 trial, mentre nei 3 più recenti è stato usato il dosaggio BID. L’obiettivo di quest’articolo è di usare i dati riuniti di questi 7 trial per valutare efficacia, sicurezza e tollerabilità di pregabalin nel range dei dosaggi efficaci. Questi dati sono stati utilizzati anche per determinare le differenze d’efficacia dei programmi di somministrazione TID e BID. Infine è stata efettuata un’analisi dei dati riuniti in riferimento al tempo prima del verificarsi dell’evento, per determinare il tempo trascorso prima della comparsa di un effetto terapeutico sostenuto con i diversi dosaggi del farmaco. DISEGNO DELLA RICERCA E METODI Le durate dei trattamenti negli studi andavano da 5 a 13 settimane (figura 1A). 4 trial hanno impiegato il dosaggio TID, 3 quello BID e tutti tranne 1 (pregabalin 300 mg/giorno vs. placebo) hanno intensificato il dosaggio, per raggiungere quello fisso assegnato nell’arco di 1-2 settimane. I pazienti sono stati randomizzati a placebo o a dosaggio fisso di pregabalin di 150, 300 o 600 mg/giorno. 1 trial comprendeva un braccio con dosaggio di 75 mg/giorno (8); non presentiamo qui i risultati di questo dosaggio di pregabalin perché non è ritenuto terapeutico nella DPN dolorosa. 1 trial (10) ha studiato pazienti con DPN e nevralgia post-erpetica, cui era somministrato pregabalin a dosaggio flessibile (150-600 mg/giorno), pregabalin a dosaggio fisso (600 mg/giorno) o placebo. Per coerenza con gli obiettivi di quest’analisi solamente i pazienti con DPN cui era somministrato DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, JULY 2008 Durata dello studio (settimane) Pazienti (ITT) Basale Intensificazione della dose Dose fissa Pregabalin (mg/dl) Lesser e al. 2004 (8) Richter e al. 2005 (9) Dati in archivio (6) Rosenstock e al 2004 (7) Tolle e al. 2007* (11) Freynhagen e al. 2005 (10) Rosenstock e al. 2007† (12) Tutti i trial Analisi totale riunita della popolazione ITT Abbandoni, n (%) AE Non compliant 30 (5.4) 7 (1.3) AE 7 (4.0) Non compliant 0 AE Non compliant 26 (9.8) 2 (0.8) AE Non compliant 75(14.6) 10 (1.9 Mancanza d’efficacia 45 (8.0) Mancanza d’efficacia 8 (4.5) Mancanza d’efficacia 7 (2.6) Mancanza d’efficacia 21 (4.1) Assente al follow-up Assente al follow-up Assente al follow-up Assente al follow-up Altro 4 (0.7) 22 (3.9) Altro 0 4 (2.3) Altro 0 4 (1.5) Altro 1 (0.2) 17 (3.3) Completamenti, n (%) Elementi demografici e caratteristiche basali n (%) Uomini Bianchi Di colore Ispanici Altro Media ±SD Età, anni Peso, kg Punteggio dolore Punteggio sonno A1C n (%) Uomini Bianchi Di colore Ispanici Altro Media ±SD Età, anni Peso, kg Punteggio dolore Punteggio sonno A1C n (%) Uomini Bianchi Di colore Ispanici Altro Media ±SD Età, anni Peso, kg Punteggio dolore Punteggio sonno A1C n (%) Uomini Bianchi Di colore Ispanici Altro Media ±SD Età, anni Peso, kg Punteggio dolore Punteggio sonno A1C Figura 1 – A: Braccia del dosaggio dei 7 trial che hanno contribuito a quest’analisi, popolazioni ITT. *Il trial ha impiegato una popolazione ITT modificata: 11 pazienti sono stati ritirati dal Ministero della Salute/Commissione europea durante una sospensione clinica parziale. AE, eventi avversi; PBO, placebo; PGB, pregabalin. †Il trial comprendeva 338 pazienti, 96 dei quali avevano DPN dolorosa e sono stati assegnati a dosaggio fisso di 600 mg/giorno di pregabalin. I pazienti con nevralgia post-erpetica di questo trial non sono stati inclusi nella presente analisi e non lo sono stati neanche i pazienti con DPN assegnati a dosaggio flessibile di pregabalin. ‡Nessuna intensificazione del dosaggio. PBO, placebo. B: Studi riuniti sulla disposizione del paziente con elementi demografici e caratteristiche basali. DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 53 DIABETES CARE, JULY 2008 Modificazione media least square % di rispondenti Modificazione media least square Settimane Distribuzione della sopravvivenza ≥ 50% di miglioramento rispetto al basale ≥ 30% di miglioramento rispetto al basale 0% dei pazienti 25% dei pazienti 50% dei pazienti 75% dei pazienti Giorno Figura 2- A: Modificazione dal basale all’end point nel punteggio medio del dolore least-squares in base all’analisi dell’ultima osservazione condotta. La popolazione dei pazienti era composta da pazienti che avevano valutazioni basali e all’end point (pertanto in alcuni gruppi le cifre sono inferiori a quelle della popolazione ITT). Si sono osservate riduzioni significative nel punteggio medio del dolore least square, relativamente a tutti e tre i dosaggi indagati: -2.05, -2.36 e –2.75 punti nei pazienti trattati con 150, 300 e 600 mg/giorno vs. –1.49 nei pazienti placebo-trattati (*P = 0.007 con 150 mg/giorno e †P <0.0001 con 300 e 600 mg/giorno vs. placebo). B: Modificazione dal basale alla 5° settimana nel punteggio medio del dolore 54 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, JULY 2008 pregabalin a dosaggio fisso (28% della coorte) sono stati inclusi in quest’analisi. Ciascuno studio condivideva i criteri fondamentali d’inclusione, compresi età ≥18 anni, punteggio medio del dolore ≥ 4 (su una scala numerica di classificazione simil-Likert [NRS] di 11 punti: 0 = “nessun dolore” a 10 = “dolore più forte possibile”) nell’arco di un periodo basale di 7 giorni e un punteggio ≥ 40 mm sulla scala analogica visiva da 0 a 100 mm dello Short-Form McGill Pain Questionnaire allo screening e alla randomizzazione (basale e randomizzazione in 1 studio). In ciascun trial tutti i pazienti dovevano avere valori dell’A1C ≤ 11%. In 3 studi il precedente fallimento del trattamento con gabapentin era criterio d’esclusione (6-8). Prima della partecipazione tutti i pazienti hanno fornito il consenso informato e tutti gli studi sono stati condotti in accordo con i principi etici della Dichiarazione di Helsinki, con i requisiti imposti dal comitato interno di revisione o con le linee guida della buona pratica clinica. La misura primaria dell’efficacia in ciascuno studio era il punteggio medio del dolore all’end point (sul NRS in 11 punti), derivato dalle osservazioni registrate quotidianamente dai pazienti nei loro diari. È stata anche effettuata un’analisi supplementare dei rispondenti che usava due definizioni di risposte – pazienti con riduzioni di ≥ 50% e ≥3 0% nei punteggi medi del dolore, rispetto al basale. Gli studi comprendevano numerose misure secondarie di efficacia. Il punteggio medio dell’interferenza col sonno all’end point è stato desunto dai diari giornalieri dei pazienti, che vi registravano la misura in cui il dolore aveva interferito con il loro sonno (effettuato anche con NRS in 11 punti, da 0 = “il dolore non interferisce con il sonno” a 10 = “il dolore interferisce pesantemente con il sonno”). Ogni studio comprendeva la Patient Global Impression of Change, nel quale i pazienti graduavano il loro miglioramento su una scala in 7 punti, che andava da “molto peggio” a “molto meglio”(6-12). Anche queste misure sono state analizzate per determinare se v’erano differenze significative, rispetto al placebo, tra i regimi di dosaggio BID e TID. Infine abbiamo indagato in tutti e 7 gli studi quanto tempo passava prima che subentrasse sollievo dal dolore sostenuto e clinicamente significativo, che è stato definito come il primo giorno in cui il paziente dimostrava una riduzione ≥ 1 punto nel punteggio medio del dolore, con riduzione ≥ 30% e ≥ 50% nel punteggio medio del dolore all’end point. Questi 2 criteri sono stati imposti per assicurare sollievo dal dolore clinicamente significativo e duraturo, sulla base dell’evidenza di studi con disegni simili nei quali un miglioramento ≥ 30%, rispetto al basale, corrisponde all’impressione globale del paziente di una modificazione in “molto meglio” o “veramente meglio” all’end point dello studio (13). I punteggi basali del dolore in un trial clinico tipico su pazienti con DPN sono tra 6 e 6.5 sulla scala da 0 a 10 punti; pertanto un miglioramento del 30% rappresenta ~2 punti. Abbiamo definito “evento” d’interesse, in quest’analisi del tempo trascorso prima del verificarsi dell’evento, il tempo necessario per la riduzione ≥ 1 punto nel punteggio giornaliero del dolore, pur riconoscendo che qualsiasi criterio di questo genere poteva essere ritenuto arbitrario. Il tempo trascorso prima della comparsa del sollievo sostenuto dal dolore è stato valutato mediante l’applicazione della procedura di KaplanMeier e i confronti con il placebo sono stati fatti con il test log rank. Le misure di sicurezza comprendevano incidenza di eventi avversi, esami fisici e neurologici, elettrocardiogramma, segni vitali, modificazione del peso e test clinici di laboratorio, compresa l’A1C. Nell’analisi riunita tutti i test statistici delle misure di efficacia sono stati effettuati sulla popolazione dell’intenzione al trattamento (ITT). All’end point i punteggi medi del dolore, che impiegavano l’ultima osservazione condotta e l’inter- ferenza con il sonno, sono stati analizzati mediante ANCOVA (con un termine per i valori basali e uno per il trattamento), mentre altre misure secondarie di efficacia (rispondenti) sono state analizzate mediante un modello di regressione logistica (con un termine per i valori basali e uno per il trattamento). RISULTATI 1.510 pazienti rappresentavano la popolazione ITT nei 7 studi: 557 placebotrattati e 953 trattati con pregabalin. Il 90% dei pazienti erano bianchi e il 58% uomini. L’età media era di 59 anni, il peso medio di 93 kg e il punteggio medio basale del dolore era di 6.5 (figura 1B). Efficacia Si osservavano riduzioni significative nei punteggi medi del dolore least-squares all’end point con tutti e tre i dosaggi indagati (P = 0.007 con 150 mg/giorno e P <0.0001 con 300 e 600 mg/giorno vs. placebo) (figure 2A e B). Le riduzioni del dolore associate a pregabalin sembravano positivamente correlate al dosaggio e si osservava l’effetto massimo nei pazienti trattati con 600 mg/giorno. Le proporzioni di pazienti che avevano riduzioni ≥ 50 o ≥ 30% dei livelli di dolore (rispondenti) erano significativamente superiori nei gruppi pregabalin, rispetto al gruppo placebo (figura 2C) ed erano correlate al dosaggio. I numeri necessari da trattare per questi dati sono i seguenti: 600 mg/giorno di pregabalin 4.04 (95% CI 3.3-5.3), 300 mg/giorno di pregabalin 5.99 (4.210.4) e 150 mg/giorno di pregabalin 19.06 (Il CI per la riduzione del rischio assoluto contiene lo 0 e ciò rende il CI per il numero necessario da trattare di difficile interpretazione). Un numero crescente di pazienti trattati con pregabalin riportava miglioramenti delle condizioni generali di salute, rispetto ai pazienti placebo-trattati, sulla base delle misure della Patient Global Im- least-squares. Si sono osservate riduzioni con tutti e tre i dosaggi indagati: -1.98, -2.44 e –2.75 punti nei pazienti trattati con 150, 300 3 600 mg/giorno di pregabalin vs. –1.47 nei pazienti placebo-trattati (*P < 0.0001 vs. placebo; †P <0.01 vs. placebo). C: Proporzione di pazienti che avevano miglioramento ≥ 50% e ≥ 30%, rispetto al basale, nel punteggio medio del dolore all’end point, in base all’analisi dell’ultima osservazione condotta. La popolazione dei pazienti era composta da pazienti che avevano valutazioni basali e all’end point (pertanto le cifre in alcuni gruppi sono inferiori a quelle della popolazione ITT). Dei pazienti trattati con 150, 300 e 600 mg/giorno di pregabalin 27, 39 e 47%, rispettivamente, riportavano riduzioni del dolore ≥ 50% dal basale all’end point, mentre il 22% dei pazienti placebo-trattati riportava riduzioni simili (300 e 600 mg/giorno di pregabalin, †P< 0.0001 vs. placebo). Con l’impiego del criterio del miglioramento ≥ 30%, un livello di miglioramento ritenuto clinicamente significativo (31), 43, 55 e 62% dei pazienti trattati con 150, 300 e 600 mg/giorno di pregabalin, rispettivamente, erano rispondenti vs. il 37% dei pazienti placebo-trattati (*P = 0.0455 con 150 mg/giorno, †P =0.0001 con 300 e ‡P < 0.0001 con 600 mg/giorno vs.placebo). D: Analisi con la curva di sopravvivenza del tempo che trascorreva prima della comparsa del sollievo significativo dal dolore, definito come il primo giorno nel quale il paziente evidenziava un punteggio medio, sostenuto del dolore ≥ 1 punto, dove sostenuto è definito come una riduzione ≥ 30% nel punteggio medio del dolore all’end point. Il tempio medio prima dell’inizio del miglioramento sostenuto (≥ 30% all’end point) di 1 punto era di 4 giorni nei pazienti trattati con 600 mg/giorno di pregabalin, di 5 giorni in quelli trattati con 300 mg/giorno, di 13 giorni in quelli trattati con 150 mg/giorno e di 60 giorni nei pazienti placebo-trattati. Gli hazard proporzionali erano di 1.44 con 150 mg/giorno di pregabalin, (P = 0.013), 1.84 con 300 mg/giorno di pregabalin (P < 0.0001) e 2.26 con 600 mg/giorno di pregabalin (P < 0.0001). PGB = pregabalin. DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 55 DIABETES CARE, JULY 2008 Tabella 1 – TEAE frequenti e sospensioni che si verificavano in ≥ 5% di ciascun gruppo di trattamento (in ordine decrescente a partire dalla percentuale maggiore di eventi avversi nel gruppo di 600 mg/giorno di pregabalin) Pregabalin ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– Placebo 150 mg/giorno 300 mg/giorno 600 mg/giorno –––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––– ––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––– n (%) Sospensione n (%) sospensione n (%) sospensione n (%) sospensione n Evento avverso Vertigini Edema periferico* Sonnolenza Aumento di peso Astenia Mal di testa Secchezza delle fauci Incidente Capogiro Nausea Dolore Infezione Edema 557 26 (4.7) 40 (7.2) 16 (2.9) 5 (0.9) 12 (2.2) 38 (6.8) 7 (13) 16 (2.9) 5 (0.9) 29 (5.2) 18 (3.2) 35 (6.3) 0 176 0.7 0.5 0.4 0 0.2 1.1 0 0 0.4 0.9 0.4 0 0 12 (6.8) 10 (5.7) 9 (5.1) 8 (4.5) 4 (2.3) 12 (6.8) 3 (1.7) 4 (2.3) 3 (1.7) 4 (2.3) 9 (5.1) 14 (8.0) 4 (2.3) 266 1.1 1.1 0.6 0 0.6 0.6 0.6 0 0 0.6 0.6 0 0 62 (23.3) 26 (9.8) 38 (14.3) 10 (3.8) 13 (4.9) 16 (6.0) 13 (4.9) 7 (2.6) 8 (3.0) 8 (3.0) 8 (3.0) 23 (8.6) 13 (4.9) 511 3.4 1.5 3.0 0.4 2.3 0.8 0.8 0.4 1.5 1.1 0.4 0.8 0.4 142 (27.8) 82 (16.0) 38 (13.3) 45 (8.8) 44 (8.6) 35 (6.8) 30 (5.9) 26 (5.1) 25 (4.9) 23 (4.5) 20 (3.9) 17 (3.3) 10 (2.0) 6.8 2.7 4.3 1.0 2.0 2.5 1.8 0.6 1.4 2.0 0 0.4 0 I dati sono % se non indicato diversamente. *1 paziente nel gruppo di 600 mg aveva edema ed edema periferico. pression of Change. L’80, 74 e 65% dei pazienti trattati con 600, 300 e 150 mg/giorno di pregabalin, rispettivamente, miglioravano, rispetto al 54% dei pazienti placebo-trattati (300 e 600 mg/giorno P < 0.0001). In ciascuna delle analisi summenzionate tutti e due i regimi BID e TID di pregabalin al dosaggio di 600 mg/giorno erano significativamente superiori al placebo (P < 0.0001 in tutti i confronti dei dosaggi BID e TID, rispetto a placebo). Con il dosaggio di 300 mg/giorno solamente il regime TID era significativamente superiore al placebo (P < 0.0001 in tutti i confronti); tuttavia il gruppo del dosaggio di 300 mg/giorno BID era incluso solamente in 1 dei 7 trial. L’analisi di Kaplan-Meier rivelava che il tempo medio per la comparsa di sollievo sostenuto (miglioramento ≥ 30%, rispetto al basale) dal dolore era di 4 giorni nei pazienti trattati con 600 mg/giorno di pregabalin, 5 e 13 giorni in quelli trattati con 300 e 150 mg/giorno, rispettivamente e di 60 giorni nei pazienti placebo-trattati (figura 2D). Il confronto tra i gruppi trattati con pregabalin e quelli placebo-trattati mediante test log rank confermava che il tempo per la comparsa di sollievo clinicamente significativo dal dolore era più breve in maniera statisticamente significativa nei primi, rispetto a quelli placebo-trattati (P < 0.0001 con dosi di pregabalin di 300 e 600 mg/giorno e p = 0.01 con dose di 150 mg/giorno). Il tempo medio per la comparsa del sollievo sostenuto (miglioramento ≥ 50%, rispetto al basale) del dolore era di 6 giorni nei pazienti trattati con 600 56 mg/giorno di pregabalin e di 12 giorni in quelli trattati con 300 mg/giorno di pregabalin. Il confronto tra i gruppi trattati con pregabalin e con placebo mediante test log rank confermava che il tempo per la comparsa del sollievo clinicamente significativo dal dolore era più breve in maniera statisticamente significativa, rispetto al placebo (P <0.0001 con dosi di pregabalin di 300 e 600 mg/giorno e P = NS con dose di 150 mg/giorno). I punteggi medi dell’interferenza con il sonno all’end point erano anche significativamente migliorati in tutti e tre i gruppi pregabalin, con i dosaggi di 150, 300 e 600 mg/giorno, che evidenziavano riduzioni di –1.92, -2.32 e –2.62, rispettivamente, rispetto a –1.32 con placebo (P = 0.003 con 150 mg/giorno e P <0.0001 con 300 e 600 mg/giorno vs. placebo). Come succedeva nella modificazione del punteggio medio del dolore, il miglioramento nell’interferenza con il sonno sembrava positivamente correlato al dosaggio. Sicurezza e tollerabilità L’incidenza di eventi avversi emergenti dal trattamento (TEAE) sembrava correlata al dosaggio e la maggior parte dei TEAE frequenti aveva incidenza massima nei pazienti trattati con 600 mg/giorno (tabella 1). Non v’era un pattern coerente nei tassi d’incidenza dei TEAE per regime di dosaggio e alcuni TEAE, come l’edema periferico e l’aumento di peso, avevano maggiore incidenza nei gruppi con dosaggio BID, rispetto ai gruppi con dosaggio TID, mentre altri TEAE, come vertigini e sonnolenza, colpivano con maggiore frequenza i gruppi TID, rispetto ai BID. In tutti i gruppi di trattamento i TEAE erano generalmente da lievi a moderati. Il tasso di sospensione del trattamento dipendente dagli eventi avversi era massimo nel gruppo di 600 mg/giorno (figura 1B). TEAE gravi colpivano il 3.4, 2.3 e 4.9% dei pazienti trattati con 150, 300 e 600 mg/giorno di pregabalin e il 3.4% dei pazienti placebo-trattati. I più frequenti TEAE gravi riportati dai pazienti trattati con pregabalin e con placebo erano di natura cardiovascolare e non si riteneva che fossero associati al trattamento. Nell’arco della 5-13 settimane di trattamento l’incidenza dell’aumento clinicamente significativo di peso (definito sulla base del criterio della Food and Drug Administration di aumento del peso ≥ 7% dal basale all’end point) con pregabalin vs. placebo era correlata al dosaggio: 2.01% nel gruppo di 150 mg/giorno di pregabalin (P = 0.14 [95% CI –0.47 a 3.03%]), 2.12% nel gruppo di 300 mg/giorno di pregabalin (P = 0.04 [-0.09 a 2.86%]) e 3.88% nel gruppo di 600 mg/giorno di pregabalin (P < 0.0001 [1.76-4.54%]), rispetto allo 0.73% nel gruppo del placebo. Gli odds dell’aumento di peso, rispetto al placebo, erano di 2.3 volte con 150 mg/giorno (P = 0.14 [0.77-6.60%]), 2.8 volte con 300 mg/giorno (P = 0.04 [1.06-7.47%]) e 6.2 volte con 600 mg/giorno di pregabalin (P < 0.0001 [2.8213.67%]). Le modificazioni medie del peso dal basale all’end point nei pazienti trattati con pregabalin vs. quelli placebo-trattati erano di 0.76 kg con 150 mg/giorno (P = 0.02 [0.08-1.11 kg]), 1.86 kg con 300 mg/giorno (P < 0.0001 [1.26-2.14 kg]) e 2.04 kg con 600 mg/giorno di pregabalin DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, JULY 2008 (P < 0.0001 [1.54-2.22 kg]); la modificazione media era di 0.16 kg con placebo. L’incidenza dell’aumento di peso ≥ 7% per durata dello studio con tutti i dosaggi di pregabalin era la seguente: 5 settimane, 2.8%; 8 settimane, 6.8% e 12-13 settimane, 7.9%. V’era un aumento correlato al dosaggio nell’edema e nell’edema periferico (tabella 1). La presenza di edema per gravità, con tutti i dosaggi, era la seguente: con 150 mg/giorno di pregabalin: lieve 64.3%, moderato 28.6% e grave 7.1%; con 300 mg/giorno di pregabalin: lieve 56.4%, moderato 41% e grave 2.6%; con 600 mg/giorno di pregabalin: lieve 63.4%, moderato 33% e grave 1.1%; con placebo: lieve 81%, moderato 19% e grave 0%. In tutti i gruppi trattati con pregabalin il 15.2% dei pazienti aveva edema o edema periferico, il 6.0% aveva un aumento di peso ≥ 7% e il 2.3% aveva aumento di peso ed edema. Nel confronto, nel gruppo placebo-trattato il 7.3% aveva edema o edema periferico, l’1.5% aveva aumento di peso ≥ 7% e lo 0.2% aveva tutti e due. Negli studi non erano riportate modificazioni clinicamente significative dei valori di laboratorio dal basale all’end point. Non v’erano modificazioni statisticamente e clinicamente significative dal basale all’end point dei valori dell’A1C (% di Hb totale) nei pazienti trattati con pregabalin e nei soggetti di controllo, nell’arco delle 513 settimane del trattamento: 0.07% (95% CI –0.07 a 0.24) con 150 mg/giorno di pregabalin; 0.01% (-0.01 a 0.26) con 300 mg/giorno di pregabalin; 0.08% (-0.09 a 0.13) con 600 mg/giorno di pregabalin e 0.03% (-0.05 a 0.11) con placebo. CONCLUSIONI In quest’analisi riunita di 7 trial controllati e randomizzati su pazienti con DPN dolorosa è stato dimostrato che pregabalin, somministrato con dosaggi differenti, riduceva significativamente il dolore associato a DPN. L’analisi riunita, diversamente dai singoli trial, dimostrava l’efficacia anche della dose di 150 mg; invece la somministrazione BID era efficace solamente con il dosaggio di 600 mg. Inoltre l’analisi del tempo prima del verificarsi dell’effetto rivelava che pregabalin era associato a una rapida comparsa del sollievo sostenuto dal dolore in maniera correlata al dosaggio. Numerosi anticonvulsivanti con meccanismi diversi d’azione sono stati oggetto di trial randomizzati e controllati su larga scala, che ne valutavano l’efficacia terapeutica nel trattamento della DPN dolorosa. Questi farmaci, tra cui topiramato (1416), lamotrigina (17), ossicarbazepina (18,19) e gabapentin (20-22), hanno dimostrato efficacia variabile nei trial clinici. Al contrario pregabalin ha dimostrato efficacia in 6 su 7 trial clinici, 1 dei quali comprendeva braccia di trattamento con 150, 300 e 600 mg/giorno, 2 comprendevano 2 di questi dosaggi e 4 solamente 1 (figura 1A). L’elaborazione riunita dei dati di tutte le braccia di trattamento in quest’analisi arricchisce la conoscenza che abbiamo di efficacia, sicurezza e tollerabilità di pregabalin nel trattamento di DPN dolorosa. In termini d’efficacia v’è stata un evidente risposta al dosaggio, con efficacia massima nei pazienti trattati con 600 mg/giorno. Ugualmente evidente da questa analisi riunita – ma non dall’esame individuale dei singoli trial, poiché la dose di 150 mg/giorno non era efficace in nessuno dei singoli trial – è risultata l’osservazione che anche i pazienti trattati con il dosaggio più basso di pregabalin previsto per il dolore neuropatico cronico, 150 mg/giorno, hanno vuto miglioramenti statisticamente significativi del dolore e della correlata interferenza con il sonno e hanno risposto al pregabalin (miglioramento ≥ 30%) in proporzioni significativamente maggiori, rispetto al placebo. L’analisi dei dati riuniti, relativa al tempo necessario per la comparsa dell’effetto, rivelava una comparsa rapida, correlata al dosaggio, del sollievo sostenuto dal dolore. Al 4° giorno il 50% dei soggetti che assumevano 600 mg/giorno avevano un miglioramento sostenuto (≥ 30% all’end point) di 1 punto nel punteggio del dolore, mentre si otteneva una risposta di questa consistenza dopo 5 giorni nel gruppo che assumeva 300 mg/giorno. Tutti e 7 gli studi hanno dimostrato differenze statisticamente significative tra pregabalin e placebo alla 1° (6-10,12) o 2° (11) settimana; tuttavia queste analisi non implicano necessariamente che la risposta sia clinicamente significativa. Inoltre quest’approccio non fornisce un’idea della possibile durata della risposta nei singoli pazienti. Sebbene non sia impiegata di frequente nei trial sulla terapia del dolore (23), l’analisi del tempo necessario per la comparsa dell’effetto che abbiamo usato qui fornisce informazioni numeriche e grafiche (figura 2D) clinicamente rilevanti per pazienti e clinici, in particolare la probabilità di una risposta clinica pre-determinata (l’hazard proporzionale) e il tempo per ottenere detta risposta. In quest’articolo l’analisi è stata complicata dai differenti programmi di intensificazione del dosaggio nei singoli trial. Poiché il tempo necessario per la comparsa dell’effetto era determinato dalle modalità di intensificazione del dosaggio e non dal momento nel tempo in cui si otteneva una dose terapeutica efficace, è possibile che l’analisi abbia sopravvalutato il tempo necessario per ottenere l’efficacia sostenuta. Gli studi futuri dovrebbero incorporare questa tecnica analitica in maniera prospettica. DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 La nostra analisi ha rivelato che il programma di dosaggio (BID vs.TID) apparentemente non ha comportato differenze significative nei pazienti trattati con 600 mg/giorno, poiché tutti e due i regimi sono stati altamente significativi dal punto di vista statistico, rispetto a placebo. Questo dato non concorda con studi sulla nevralgia post-erpetica, nella quale è stata dimostrata l’efficacia BID in vari dosaggi, da 150 a 600 mg/giorno (24). Non si sa su cosa si basi questa diversa efficacia nei diversi stati della patologia, sebbene possa essere correlata, in parte, all’uso concomitante di farmaci antidolorifici in tutti i trial clinici su pregabalin nelle nevralgie posterpetiche (24-26). Tuttavia le dosi di 150 e 300 mg/giorno sono state usate BID solamente in 1 studio incluso in quest’analisi (15) e sono necessari studi ulteriori per dare una risposta definitiva a questo problema. L’aumento d’efficacia correlato al dosaggio è stato accompagnato da un simile aumento, d’incidenza della maggior parte degli eventi avversi. Allo stesso modo il tasso di abbandoni, dovuto a evento avverso, era correlato alla dose. Vertigini, sonnolenza ed edema periferico erano gli eventi avversi più frequenti. Mentre v’era un aumento consistente dell’incidenza di vertigini con i diversi dosaggi, l’incidenza della sonnolenza era simile con i dosaggi di 300 e 600 mg/giorno. L’esame degli eventi avversi per regime di dosaggio, cioè BID vs. TID, in riferimento a ciascun dosaggio giornaliero di pregabalin, non rivelava pattern consistenti a favore di un regime, rispetto a un altro. V’era un aumento correlato al dosaggio dell’edema periferico (tabella 1). L’edema non è stato un criterio d’esclusione in nessuno studio; tuttavia è indispensabile il parere clinico ogniqualvolta pregabalin è somministrato a pazienti con edema preesistente. Pregabalin non era associato a complicanze cardiovascolari e a modificazioni di laboratorio indicative di sofferenza renale o epatica e raramente causava abbandoni. L’incidenza dell’aumento di peso non era solamente correlata al dosaggio, ma dipendeva anche dalla durata dell’esposizione. Non si conosce la causa sottesa all’aumento di peso e non sembra essere correlata alla presenza di edema periferico. Non v’erano evidenze che l’aumento di peso compromettesse il controllo della glicemia; l’analisi riunita non ha evidenziato alcuna modificazione significativa dei valori dell’A1C in nessuna coorte di studi nei quali i trattamenti duravano da 5 a 13 settimane. Sono necessari studi prolungati per affrontare questo problema. In conclusione, la nostra analisi di 7 trial clinici randomizzati, controllati, condotti su pazienti con DPN dolorosa ha dimostrato che nel range dei dosaggi effica- 57 DIABETES CARE, JULY 2008 ci, pregabalin non solo riduceva in maniera significativa il dolore associato a DPN, ma era anche associato a rapida comparsa del sollievo sostenuto dal dolore, il cui miglioramento era accompagnato però da maggiore incidenza di eventi avversi correlati al dosaggio. Bibliografia 58 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, JULY 2008 Meta-analisi Rosiglitazone e rischio di tumori Una meta-analisi di trial clinici randomizzati MATTEO MONAMI, MD, PHD CATERINA LAMANNA, MD NICCOLÒ MARCHIONNI, MD EDOARDO MANNUCCI, MD OBIETTIVO – Nonostante dati sperimentali indichino l’effetto protettivo degli agonisti dei recettori perossisomiali proliferatore-attivati, rispetto alle neoplasie maligne, i risultati degli studi epidemiologici disponibili sull’incidenza dei tumori nei pazienti trattati con rosiglitazone non sono univoci. L’obiettivo di questa meta-analisi di trial clinici randomizzati è di valutare l’effetto di rosiglitazone sull’incidenza di tumori. DISEGNO DELLA RICERCA E METODI – Sono stati rintracciati i trial clinici randomizzati con rosiglitazone, con durata > 24 settimane, attraverso Medline e il sito web della GlaxoSmithKline, che riporta i risultati principali di tutti i trial sponsorizzati dallo GlaxoSmithKline; i tumori maligni sono stati desunti dal riepilogo degli eventi avversi gravi. Le proporzioni delle misure degli esiti nei gruppi di trattamento sono state confrontate per odds proporzionali (OR) e 95% CI. In considerazione delle differenze della durata del follow-up nelle braccia di trattamento in alcuni trial, abbiamo anche calcolato l’incidenza del tumore nei gruppi rosiglitazone e di controllo. RISULTATI – Si reperivano 80 trial, che arruolavano 16.332 e 12.522 pazienti nei gruppi rosiglitazone e di confronto, rispettivamente. Il rosiglitazone non era associato a modificazione significativa del rischio di tumori (OR 0.91 [95% CI 0.71-1.16], P = 0.44). L’incidenza di tumori maligni era significativamente minore nei pazienti trattati con rosiglitazone, rispetto ai gruppi di controllo (0.23 [0.19-0.26] vs. 0.44 [0.34-0.58] casi/pazienti-anno; P < 0.05). CONCLUSIONI – L’impiego di rosiglitazone sembra sicuro in termini d’incidenza di tumori, mentre il possibile effetto protettivo di questo farmaco necessità di ulteriori indagini. Diabetes Care 31: 1455-1460, 2008 ue studi epidemiologici hanno fornito risultati discordanti sugli effetti di rosiglitazone sull’incidenza di tumori maligni. Uno studio ha riportato una riduzione specifica dell’incidenza del tumore del polmone (1), mentre un altro ha indicato un rischio aumentato di tumori maligni, senza fornire informazioni sui tipi di tumore (2). È stato suggerito un ipotetico effetto antitumorale dei tiazolidinedioni, sulla base del loro profilo farmacologico d’azione. Gli effetti anti-mitotici e pro-differenziazione degli agonisti dei recettori perossissomiale proliferatore-attivati (PPAR), che sono stati descritti in modelli in vitro e animali (3-5), hanno suggerito la possibilità di usare questi farmaci D nel trattamento antitumorale, sebbene i risultati di trial preliminari siano stati contraddittori (6-10). D’altra parte fino ad ora non sono stati identificati meccanismi che sottendono un possibile effetto mitogenico degli attivatori di PPAR. L’obiettivo di questa meta-analisi è di valutare il rischio di tumori associato al trattamento con rosiglitazone, rispetto a placebo o a farmaci ipoglicemizzanti. DISEGNO DELLA RICERCA E METODI I trial sono stati identificati attraverso una ricerca nel sito web della GlaxoSmithKline (GSK) (11), produttrice del rosiglitazone, che contiene i risultati di Da: the Department of Cardiovascular Medicine, Sction of Geriatric Cardiology, Azienda Ospedaliera Careggi, Firenze, Italia. DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 tutti i trial completati sponsorizzati da GSK, con la descrizione di tutti gli eventi avversi gravi (compresi quelli ritenuti non correlati al farmaco dello studio), come i tumori maligni incidenti. I trial pubblicati, sponsorizzati da altre società o da istituzioni accademiche sono stati rintracciati attraverso una ricerca su Medline, relativa a tutti i trial randomizzati e controllati su rosiglitazone, condotti su soggetti umani, con i risultati pubblicati in inglese entro il 5 febbraio 2008. Di ciascun trial sono elencati, con una breve descrizione, tutti gli eventi avversi gravi, fatali e non fatali in ciascun braccio di trattamento. In quest’analisi sono stati inclusi tutti gli studi che confrontavano rosiglitazone con placebo o altri farmaci attivi, con durata > 24 settimane. Sono stati esclusi gli studi di durata inferiore, in considerazione del fatto che è improbabile che l’esposizione breve a un farmaco abbia un qualsiasi impatto sull’incidenza di tumore. Il verificarsi di eventi fatali o non fatali è stato desunto dagli eventi avversi gravi. Dopo l’esclusioni di trial con 0 eventi, sono stati calcolati gli odds proporzionali (OR) e i 95% CI con la procedura ponderata degli OR di Mantel-Haenszel (MH), con l’impiego di un modello di effetto a random. È stata scelta questa procedura per superare le limitazioni del metodo Peto (12-14), che era stato usato in una precedente meta-analisi sugli effetti cardiovascolari di rosiglitazone (15). Infatti il metodo Peto sopravvaluta le differenze nei trattamenti quando si include in una meta-analisi un numero considerevole di trial di piccole dimensioni, nei quali si verificano pochi eventi (12-14. Ogniqualvolta è stato possibile sono state effettuate analisi separate dei trial con comparatori differenti o in quelli condotti su pazienti con diabete di tipo 2 o non diabetici, come pure dei trial di durata ≥ 52 settimane. Sono anche state eseguite analisi separate relativamente ai tipi più frequenti di tumore. In considerazione del fatto che nel trial più ampio incluso nell’analisi (16) la durata del follow-up nel braccio del rosiglitazone è maggiore, rispetto ai comparatori (17), abbiamo anche calcolato l’effettiva entità d’incidenza di tumori nei diversi gruppi di trattamento, con l’impiego di un modello con effetto a random, ipotizzando che i tassi di assenza al follow-up, mortalità e incidenza di tumo- 59 DIABETES CARE, JULY 2008 (ricerca su Medline) Rintracciati n = 208 Rintracciati n = 229 Esclusi per: differenti, a causa del numero insufficiente di eventi registrati in ciascun gruppo. L’entità dell’incidenza cumulativa dei tumori nel gruppo rosiglitazone era significativamente (P < 0.05) inferiore, rispetto a quella con i comparatori (0.23 [95% CI 0.19-0.26] vs. 0.44 [0.34-0.58] casi/100 pazienti-anno; P < 0.05). Il rapporto proporzionale riunito con rosiglitazone (vs. comparatori) era di 1.02 (95% CI 0.67-1.57). Trial pubblicati Trial su Sito web di GSK Esclusi per: Durata < 4 settimane n = 68 Durata < 4 settimane n = 48 Interruzione n=2 Pubblicazioni doppie n = 77 No gruppo di controllo n = 82 No gruppo di controllo n = 24 Analisi interim n=1 No trattamento con rosiglitazone n=2 CONCLUSIONI Sul sito web GSK n = 31 SAE non riportati n =26 INCLUSI n = 55 INCLUSI n = 25 TOTALE n = 80 Figura 1 – Diagramma di flusso dei trial valutati per l’inclusione nella meta-analisi. SAE = eventi avversi gravi. ri maligni siano stati costanti per tutta la durata di ciascun trial; quest’analisi ha anche incluso trial con 0 eventi. Inoltre, successivamente alla determinazione delle dimensioni degli effetti nei trial individuali, i rapporti tra entità dell’incidenza sono stati calcolati in ciascun trial e combinati, per ottenere un rapporto di tasso riunito. Tutte le analisi sono state condotte mediante Comprehensive Meta Analysis (versione 2.2.046; Englewood, NJ). RISULTATI Il diagramma dei trial è illustrato nella figura 1. Gli 80 trial inclusi nell’analisi arruolavano 16.332 e 12.522 pazienti, trattati con rosiglitazone e comparatori (15.700 e 18.050 pazienti-anno), rispettivamente, con età media ponderata di 55.3 anni. 63 e 17 dei trial rintracciati erano condotti su pazienti con diabete di tipo 2 (A1C media 8.1%) o su soggetti affetti da differenti condizioni, rispettivamente (tabella 1). La maggior parte (25 su 51) dei trial pubblicati che non erano presenti nel sito web GSK (11) non riportava la descrizione dettagliata di eventi avversi gravi, compresi i tumori maligni; solamente 2 tumori maligni erano stati osservati nei trial che disponevano di queste informazioni. Un elenco completo dei trial non pubblicati sul sito web GSK, inclusi o non inclusi nella meta-analisi, è riportato nell’appen- 60 dice on-line (disponibile al sito http://dx.doi.org/10.2337/dc07-2308). Il numero di tumori maligni incidenti riportato in ciascun trial è riassunto nella tabella 1. Su 302 casi di tumore, 42 (13.9%) erano gastrointestinali, 13 (4.3%) pancreatici, 26 (8.6%) polmonari, 35 (11.6%) di ghiandola mammaria/tratto genitale femminile, 36 (11.9%) del tratto urogenitale maschile e 105 (34.8%) di altra origine nota; il tipo di tumore non era specificato in 45 (14.9%) casi. Non si osservava alcuna differenza nella proporzione di casi di pazienti assegnati a rosiglitazone o ai comparatori. L’MH-OR (95% CI) complessivo con rosiglitazone, rispetto ai gruppi di controllo, era di 0.91 ([0.71-1.16]; P = 0.44). Oltre la metà dei tumori maligni era osservata in un ampio trial, A Diabetes Outcome Progression Trial (ADOPT); l’MH-OR dopo l’esclusione di questo studio era di 0.92 (0.61-1.39). Quando si analizzavano separatamente i trial di durata ≥ 52 settimane, l’MH-OR con rosiglitazone era di 0.86 (0.66-1.14). Si ottenevano risultati simili nei pazienti non diabetici e nei pazienti con diabete di tipo 2 (0.93 [0.332.65] e 0.91 [0.71-1.17], rispettivamente), con comparatori differenti e nei tipi più frequenti di tumore , quando erano analizzati separatamente (figura 2). Non erano effettuate analisi separate su singoli tumori maligni in trial con comparatori I dati del trial clinici randomizzati di cui disponiamo, riepilogati in questa meta-analisi, non supportano l’ipotesi recente di un aumento di rischio di tumori associato a rosiglitazone (2). Al contrario l’incidenza di tumori maligni nei pazienti trattati con rosiglitazone non è maggiore, rispetto a quella osservata con comparatori, anche se questi dati non confermano un possibile effetto protettivo del farmaco, suggerito da osservazioni precedenti (1). In considerazione del fatto che il trattamento con metformina è associato a riduzione del rischio di tumore in studi epidemiologici (18), si dovrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di un effetto protettivo attribuibile al miglioramento della sensibilità all’insulina e/o a riduzione dei livelli circolanti d’insulina, insieme ad altri effetti più diretti del farmaco, dipendenti o non dipendenti dai PPAR-γγ (4,5,19). Tuttavia il rapporto proporzionale riunito non ha messo in luce un qualsiasi effetto di rosiglitazone sul rischio di tumore. Questa discrepanza potrebbe dipendere dal fatto che la proporzione di soggetti trattata con rosiglitazone e con trattamenti di controllo varia nei trial che arruolavano pazienti con caratteristiche differenti, che potevano influire sull’incidenza di tumori. Si dovrebbe anche tenere conto del fatto che le entità dell’incidenza e i rapporti proporzionali riportati in quest’analisi sono stati ottenuti sulla base di differenti ipotesi problematiche (cioè tassi di assenze al follow-up, mortalità, e incidenza di tumori maligni sono stati costanti per tutta la durata del trial); pertanto la cautela è d’obbligo quando si considerano questi risultati. Per raccogliere informazioni più affidabili su quest’argomento si dovrebbe condurre una meta-analisi dei trial su rosiglitazone, basata sui dati dei pazienti. Il metodo d’elezione nella valutazione degli effetti dei trattamenti farmacologici su esiti maggiori è rappresentato da trial clinici randomizzati, specificatamente disegnati e di dimensioni adeguate. Sfortunatamente non disponiamo di trial di questo tipo sui farmaci ipoglicemiz- DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, JULY 2008 Tabella 1 – Caratteristiche principali dei trial clinici inclusi nella meta-analisi Studio (11)* Caratteristiche Comparatore Durata (settimane) Numero R/C Età media (anni) A1C media (%) Casi incidenti di tumore R/C Soggetti non diabetici Trial sul sito web GSK 100684 49653/330 49653/331 49653/334 49653/392 49653/131 49653/452 ARA102198 AVA100193 Altri trial pubblicati Car Sidhu Silic van Wijk Coll Cavalcanti Baillargeon Lemay Pazienti con diabete di tipo 2 Trial sul sito web GSK 49653/048 (ADOPT)† 49653/048 (ADOPT)† 49653/080 49653/097 49653/135 49653/211 49653/020 AVM100264 712753/008 49653/137 BRL49653/185 SB-712753/003 SB-712753/007† SB-712753/007† 49653/128 49653/134 SB-797620/004 49653/024 49653/044 49653/079 49653/079 49653/082 49653/085 49653/093† 49653/093† 49653/094 49653/095 49653/096 49653/109 49653/125 Sindrome metabolica Psoriasi a placche Psoriasi a placche Insulino-resistenza Insulino-resistenza Insulino-resistenza Sclerosi multipla Artrite reumatoide Malattia di Alzheimer Placebo 52 43/47 45 – 0/0 Placebo Placebo Placebo Metformina Placebo Placebo Placebo 52 52 52 52 26 26 26 1,181/382 706/325 178/177 16/15 39,427 26/25 49/49 44 45 68 56 48 42 56 – – – – – – – 3/1 0/1 4/3 0/0 0/0 0/1 0/0 Placebo 24 394/124 71 – 0/0 Infezione da HIV Coronaropatia Infezione da HIV Infezione da HIV Infezione da HIV Infezione da HIV PCOS PCOS Placebo Placebo Metformina Metformina Metformina Placebo Placebo Nessuno 48 48 48 26 26 24 24 24 53/55 46/46 30/30 19/20 15/16 48/48 42/30 15/13 45 62 42 47 48 47 27 24 – – – – – – – – 1/0 0/0 0/0 0/0 0/0 0/0 0/0 0/0 Monoterapia Monoterapia Monoterapia Monoterapia Terapia combinata NYHA-II mono-combinata Monoterapia Terapia combinata Terapia combinata Terapia combinata Mono-combinata Terapia combinata Monoterapia, OL Terapia combinata OL Terapia combinata Terapia combinata Monoterapia Monoterapia Terapia combinata Monoterapia Terapia combinata Terapia combinata Terapia combinata Monoterapia Terapia combinata Terapia combinata Terapia combinata Terapia combinata Monoterapia Terapia combinata OL Gliburide Metformina Gliburide Gliburide Placebo Placebo 208 208 156 148 104 52 1,456/1,441 1,456/1,454 104/99 122/120 116/111 110/114 56 57 56 56 68 64 7.3 7.3 9,1 8.9 7.4 NR 63/71 63/67 1/3 1/4 4/7 2/3 Gliburide Sulfoniluree Nessuno Gliburide Nessuno Placebo Metformina Nessuno 52 52 48 32 32 32 32 32 384/203 394/302 284/135 204//185 563/142 254/272 159/154 155/154 60 59 55 59 59 59 59 59 8.2 8.0 NR 8.4 7.4 7.2 7.2 7.2 3/0 2/1 3/0 2/4 4/2 0/1 0/0 0/0 Placebo Placebo Glimepiride Placebo Placebo Gliburide Placebo Placebo Placebo Metformina Placebo Placebo Placebo Placebo Glipizide Nessuno 28 28 28 26 26 26 26 26 26 26 26 26 26 26 26 26 39/38 561/276 232/225 774/185 71/34 104/106 99/106 212/107 138/139 107/109 106/109 232/116 196/96 232/115 52/25 175/173 58 55 53 57 54 58 58 56 61 59 59 58 58 60 53 56 9.6 8,7 9.0 8.9 9.6 9.2 9.2 9.1 NR 8.7 8.7 8.8 9.0 9,1 8.0 8.9 0/0 0/2 1/0 5/1 0/0 1/0 2/0 0/0 1/0 0/0 0/0 0/0 1/0 2/0 0/0 0/0 Continua alla pagina successiva DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 61 DIABETES CARE, JULY 2008 Tabella 1 – Continua Studio (11)* 49653/127 49653/136 49653/145 49653/147 49653/162 49653/234 49653/390 49653/369 49653/132 49653/347 49653/015 49653/284 SB-712753/002 49653/090 49653/325 SB-712753/009 AVD102209 49653/143 49653/207 49653/282 Altri trial pubblicati Ko Derosa (a) Derosa (b) Derosa (c) Rahman Kelly Reynolds Osman Zhou Goldberg Weisslan Agrawal Dailey Garber Wang Wong Jung Totale Numero R/C Età media (anni) A1C Casi media incidenti di (%) tumore R/C Caratteristiche Comparatore Durata (settimane) Terapia combinata Terapia combinata Terapia combinata Terapia combinata Terapia combinata Terapia combinata Terapia combinata Monoterapia Terapia combinata Terapia combinata Terapia combinata Terapia combinata Terapia combinata Monoterapia Terapia combinata Terapia combinata Terapia combinata Terapia combinata Monoterapia in bambini Terapia combinata Placebo Placebo Nessuno Placebo Placebo Placebo Nessuno Gliburide Placebo Placebo Placebo Placebo Placebo Placebo Placebo Placebo Placebo Placebo Metformina 26 26 26 26 26 26 26 26 24 24 24 24 24 24 24 24 24 24 24 56/58 148/143 231/242 89/88 168/172 116/61 33/30 25/24 442/112 418/212 395/198 382/384 288/280 22/75 196/195 162/160 132/131 121/124 99/101 60 65 61 54 60 63 NR 52 59 53 61 55 58 59 53 57 56 52 14 9.0 8.2 8.6 9.1 8.0 8.1 NR 6.8 9.8 9.0 9.2 8.0 7.5 8.8 8.0 8.7 9.6 9.2 8.0 0/2 2/0 1/0 0/0 2/0 1/0 1/0 0/0 1/1 0/1 4/0 1/0 1/0 1/0 0/1 2/0 0/0 1/0 0/0 Gliburide 24 69/72 60 7.6 0/0 Terapia combinata Terapia combinata Terapia combinata Monoterapia Monoterapia Terapia combinata Monoterapia Monoterapia PTCA Terapia combinata Monoterapia Terapia combinata Terapia combinata Terapia combinata Terapia combinata Mono-combinata Terapia combinata Terapia combinata – Insulina Glimepiride Pioglitazone Pioglitazone Placebo Gliburide Placebo Placebo 52 52 52 52 52 26 26 26 56/56 49/50 48/48 45/42 11/11 20/16 8/8 8/8 58 53 55 54 47 60 55 55 9.6 8.0 9.0 8.1 7.5 7.6 9.6 9.6 0/0 0/0 0/0 0/0 0/0 0/0 0/0 0/0 Placebo Pioglitazone Placebo Nessuno Placebo Gliburide Nessuno Nessuno Metformina – 24 24 24 24 24 24 24 24 24 39.2 442/112 369/366 358/351 288/280 181/184 158/160 35/35 26/26 15/15 16,332/12,522 56 56 55 58 57 56 61 62 57 55.3 9.8 7.5 8.0 7.5 8.1 8.5 7.3 7.2 9.1 8.1 0/0 0/0 0/0 0/0 0/1 0/0 0/0 0/0 0/0 124/178 *Vedi APPENDICE per riferimenti. †Trial con comparatori multipli. ADOPT: A Diabetes Outcome Progression Trial; mono-combinata, monoterapia o terapia combinata; NR: non riportato; NYHA-II: New York Heart Association, classe II; OL: in aperto; PCOS: sindrome dell’ovaio policistico; PTCA: angioplastica coronarica percutanea transluminale; R/C: rosiglitazone vs. comparatore. zanti. Pertanto sono state usate come fonti surrogate d’informazioni meta-analisi di eventi verificatesi in trial randomizzati, disegnati per end point diversi (15). Dovrebbe essere semplice riconoscere i limiti di questa procedura; in particolare può essere problematica la classificazione degli esiti riportati come eventi avversi e non come end point pre-definiti. È importante notare che la maggior parte dei trial pubblicati non riporta informazioni su tumori maligni inciden62 ti; questi casi sono di facile identificazione solamente nei trial riportati nel sito web GSK (11), che contiene una descrizione dettagliata di tutti gli eventi avversi gravi. Inoltre l’inclusione in una metaanalisi di molti trial di dimensioni ridotte, con un numero modesto di eventi, rappresenta un problema relativamente alle analisi statistiche (12-14). Si dovrebbe anche prendere in considerazione il fatto che i trial clinici di solito arruolano pazienti relativamente giovani, con po- che comorbilità e compliance elevata e pertanto presumibilmente a basso rischio di tumore. D’altra parte, un trial che valuta l’effetto di un farmaco ipoglicemizzante sull’incidenza di tumori maligni è di difficile realizzazione, a causa della dimensione del campione e della durata del follow-up richieste. Per questo motivo le informazioni su questo end point possono essere ottenute solamente attraverso studi epidemiologici o meta-analisi di trial disegnati per DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, JULY 2008 Placebo Metformina Sulfoniluree Complessivamente Tumori maligni Gastrointestinali Polmonari Mammario/FGT Prostata Meglio con Rosiglitazone Meglio con comparatore Figura 2 - Effetti di rosiglitazone sui tumori maligni incidenti. La dimensione dei marker dei dati rappresenta il peso relativo del trial in base al numero dei tumori incidenti. FGT: tratto genitale femminile. altri scopi. L’approccio epidemiologico fornisce il vantaggio della possibilità di raccogliere campioni di ampie dimensioni e di follow-up di lunga durata; tuttavia in studi osservazionali gli aggiustamenti multipli per confondenti non possono mai eliminare del tutto le interferenze delle prescrizioni (cioè gli effetti delle differenti caratteristiche dei pazienti sulle diverse scelte terapeutiche). Quest’interferenza potrebbe essere responsabile della discrepanza tra i nostri risultati e quelli di recenti studi cross-sezionali (2). Il numero di eventi inclusi nella presente meta-analisi non le conferisce affidabilità relativamente a tipi specifici di tumore. Tuttavia i nostri dati confermano la possibilità di protezione specifica nei confronti del tumore polmonare, che è stata precedentemente riportata in uno studio epidemiologico (1). Considerando il fatto che la patogenesi delle differenti forme di tumore è molto eterogenea, il farmaco potrebbe avere effetti divergenti su differenti tumori maligni. È interessante notare che non è stata individuata alcuna riduzione del rischio di tumore del tratto genitale femminile nelle pazienti trattate con rosiglitazone, sebbene il farmaco sia stato usato nel trattamento della sindrome dell’ovaio policistico (20), che è un fattore noto di rischio per questi tumori maligni (21). Sono necessari ampi database per chiarire il profilo di rischio nelle forme individuali di tumore nei pazienti trattati con rosiglitazone. Per riassumere, l’impiego di rosiglitazone sembra sicuro, rispetto al rischio di tumori maligni incidenti, mentre ulteriori studi sono necessari per confermarne il possibile effetto protettivo di questo farmaco. L’incidenza di tumori, che può essere modificata con i farmaci ipoglicemizzanti, merita di essere presa in considerazione come esito rilevante nella scelta del trattamento del diabete di tipo 2. Bibliografia DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 63 DIABETES CARE, JULY 2008 64 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, JULY 2008 Morte al conteggio dei carboidrati? l trattamento insulinico è una strategia efficace nel controllo della glicemia nei pazienti con diabete di tipo 2. Anche se spesso ce ne dimentichiamo, è importante adottare un regime alimentare appropriato come coadiuvante dell’insulina. Inoltre un principio base di questo trattamento è che la dose d’insulina e la sua somministrazione dovrebbero essere idonee a bilanciare regime alimentare e attività fisica, al fine di mantenere normale la glicemia. In questo numero di Diabetes Care, Bergenstal e al. (1) hanno valutato 2 strategie per la determinazione del dosaggio appropriato d’insulina in bolo ai pasti. Un semplice algoritmo che aggiustava la dose d’insulina in bolo, sulla base della media settimanale della glicemia prima dei pasti, è stato confrontato con un algoritmo basato sul conteggio dei carboidrati ai pasti. Gli autori hanno dimostrato l’equivalenza della strategia più semplice e di quella più elaborata del conteggio dei carboidrati nel raggiungimento del controllo della glicemia; quasi la metà dei partecipanti in entrambi i gruppi otteneva A1C < 6.5%. I pazienti affetti da diabete di tipo 2 trattati con insulina basale: bolo possono riuscire a controllare la glicemia senza dovere eseguire il complesso conteggio dei carboidrati? Il conteggio dei carboidrati esiste dagli anni ‘20 del novecento ed è diventato parte integrante della gestione dei pazienti con diabete di tipo 1 dopo la pubblicazione dei dati del Diabetes Control and Complications Trial (2). Tuttavia l’efficacia del conteggio dei carboidrati nel diabete di tipo 2 è poco conosciuta. Le barriere potenziali a questo conteggio comprendono il tempo e lo sforzo che il paziente deve dedicare al conteggio del contenuto di carboidrati di ciascun pasto, le difficoltà del paziente nel capire questa strategia e la reperibilità di dietisti e di personale sanitario adeguatamente addestrati per spiegarla. Gli autori non hanno valutato gli esiti relativi alla qualità della vita e ben poco si sa dell’impatto del conteggio dei carboidrati sulla qualità della vita. Studi precedenti hanno dimostrato che, quando ne hanno la possibilità, i pazienti scelgono di sospendere il conteggio dei carboidrati, rispetto ad altre strategie (3). Certamente è necessario proseguire la ricerca sull’ottimizzazione del conteggio dei carboidrati nel diabete di tipo 2 e anche sulla valutazione dell’accuratezza del conteggio eseguito dai pazienti nella vita reale. Sembrerebbe però che, se si possono I ottenere valori simili del controllo della glicemia, con pochi eventi avversi, utilizzando un semplice algoritmo, allora il semplice algoritmo può essere una strategia migliore nell’aggiustamento dell’insulina. Inoltre il semplice algoritmo può essere più indicato per l’istruzione dei pazienti in centri poco serviti, dove può non esservi disponibilità di dietisti. Ma il conteggio dei carboidrati presenta effetti positivi, che esulano dal controllo della glicemia? Esaminando gli esiti secondari dello studio si evidenzia un trend nella direzione di minore aumento di peso alla fine delle 24 settimane nel gruppo del conteggio dei carboidrati, che registrava un aumento di peso del 2.3%, rispetto all’aumento del 3.4% nel gruppo del semplice algoritmo. L’1% di differenza nell’aumento di peso nell’arco di 6 mesi non raggiungeva significatività statistica, ma lo studio non era adeguatamente potenziato per testare la significatività di questa differenza. Quali sarebbero gli effetti del peso in un periodo di tempo più prolungato? Il dosaggio maggiore d’insulina usato nel gruppo del semplice algoritmo potrebbe causare maggiore aumento di peso? L’aumento di peso è un ben noto effetto collaterale del trattamento insulinico e studi precedenti dimostrano aumenti di peso ≤ 20% in 1 anno con alcuni trattamenti insulinici (4). La gestione del peso costituisce un aspetto cruciale nel diabete di tipo 2 e sarà importante valutare strategie atte a minimizzare l’aumento di peso in corso di trattamento insulinico. La riduzione dei carboidrati può essere una strategia importante nel miglioramento del controllo della glicemia e della perdita di peso. Il gruppo del conteggio dei carboidrati assumeva meno carboidrati o calorie, rispetto al gruppo del semplice algoritmo? Nel Look AHEAD (Action for Health in Diabetes) Trial, che valuta i potenziali benefici del controllo del peso nel diabete di tipo 2, è stato riscontrato che le 3 strategie più frequentemente usate dai partecipanti per tenere il peso sotto controllo erano: maggior consumo di frutta e verdura, eliminazione dei dolci e minor consumo di cibi ad alto contenuto di carboidrati (5). Il conteggio dei carboidrati può aumentare la consapevolezza della quantità di carboidrati consumata e ridurla di conseguenza. Un numero maggiore di pazienti nel gruppo del semplice algoritmo ha completato lo studio, rispetto ai gruppi del conteggio carboidrati (91.2 vs. 79.6%) e DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 questa circostanza può far pensare a maggiore compliance con il semplice algoritmo. Il tasso complessivo di eventi avversi era simile nei gruppi di trattamento, ma valore dell’auto-monitoraggio della glicemia < 50% mg/dl con sintomi era lievemente più frequenti nel gruppo del conteggio dei carboidrati, rispetto a quello del semplice algoritmo. Sebbene non vi fosse alcuna differenza statisticamente significativa nei tassi d’ipoglicemia con tutti i dosaggi dell’algoritmo, nel gruppo del semplice algoritmo si registravano 53 episodi d’ipoglicemia in 19 pazienti, mentre ne avvenivano 37 in 19 pazienti del gruppo del conteggio dei carboidrati. Sebbene non siano chiari i motivi di questa differenza, ci chiediamo se essa non rifletta l’aggiustamento in tempo reale della dose di insulina in bolo nel gruppo del conteggio dei carboidrati, rispetto all’aggiustamento settimanale della dose nel gruppo del semplice algoritmo. La gestione dell’insulina continua ad essere complessa e richiede monitoraggio attento da parte dei pazienti e dei loro medici. Bergenstal e al. (1) hanno sviluppato un algoritmo che semplifica la gestione dei trattamenti insulinici, che contengono insulina basale e all’ora dei pasti. I pazienti con diabete di tipo 2 possono raggiungere gli obiettivi del controllo della glicemia con un semplice algoritmo per l’insulina basale: bolo, senza l’aggiunta dell’onere del conteggio del contenuto di carboidrati di ciascun pasto. Tuttavia il controllo della glicemia è uno dei tanti aspetti della gestione del diabete e non dobbiamo dimenticare altri aspetti importanti, come il controllo del peso e il rischio d’ipoglicemia. Bergenstal e al. ci hanno sicuramente fornito la spinta propulsiva per cominciare a esaminare la rilevanza del conteggio dei carboidrati sul dosaggio dell’insulina nel diabete di tipo 2, ma il conteggio dei carboidrati può avere altre motivazioni per essre fatto, oltre a quella del semplice aggiustamento dei farmaci. NICHELA J. DAVIS, MD, MS1 JUDITH WYLIE-ROSETT, EDD, RD2 Da: the 1Department of Medicine, Albert Einstein College of Medicine/Montefiore Medicale Center, Bronx, New York e the 2Department of Epidemiology and Population Health, Albert Einstein College of Medicine, Bronx, New York. 65 DIABETES CARE, JULY 2008 Bibliografia 66 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, AUGUST 2008 Come tradurre i livelli di A1C in valori glicemici medi DAVID M. NATHAN, MD1 JUDITH KUENEN, MD2 RIKKE BORG, MD3 HUI ZHENG, PHD1,4 DAVID SCHOENFELD, PHD1,4 ROBERT J. HEINE, MD2 FOR THE A1C-DERIVED AVERAGE GLUCOSE (ADAG) STUDY GROUP* OBIETTIVO – Il dosaggio dell’A1C, espresso come la percentuale di emoglobina che è glicata, misura la glicemia cronica ed è ampiamente usato per giudicare l’adeguatezza del trattamento del diabete e per aggiustarlo. La gestione quotidiana è guidata dall’auto-monitoraggio delle concentrazioni capillari della glicemia (milligrammi per decilitro o millimoli per litro). Abbiamo voluto determinare la relazione matematica che intercorre tra A1C e valori della glicemia media (AG) e se si poteva esprimere e riportare l’A1C come AG nelle stesse unità usate nell’automonitoraggio. DISEGNO DELLA RICERCA E METODI – 507 soggetti, che comprendevano 268 pazienti con diabete di tipo 1, 159 con diabete di tipo 2 e 80 soggetti non diabetici, di 10 centri internazionali sono stati inclusi nell’analisi. I valori dell’A1C ottenuti alla fine di 3 mesi e misurati in un laboratorio centrale sono stati confrontati con i valori AG dei 3 mesi precedenti. L’AG è stata calcolata mediante combinazione dei risultati ponderati di almeno 2 giorni di monitoraggio continuato della glicemia effettuato 4 volte, con l’auto-monitoraggio quotidiano in 7 punti della glicemia capillare (puntura del dito), effettuato almeno 3 giorni alla settimana. RISULTATI – Ogni soggetto otteneva approssimativamente 2.700 valori della glicemia nell’arco di 3 mesi. L’analisi della regressione lineare tra valori dell’A1C e dell’AG forniva la correlazione più rigorosa (AGmg/dl = 28.7 X A1C – 46.7, R2 = 0.84, P < 0.0001) e permetteva il calcolo della stima della glicemia media (eAG) dai valori dell’A1C. Le equazioni della regressione lineare non differivano significativamente nei sottogruppi, sulla base di età, sesso, tipo di diabete, razza/etnia o status del fumo. CONCLUSIONI – I valori dell’A1C possono essere espressi come eAG nella maggior parte dei pazienti con diabete di tipo 1 e di tipo 2. Diabetes Care 31: 1473-1478, 2008 l dosaggio dell’A1C è accettato ovunque ed impiegato come mezzo affidabile per la valutazione della glicemia cronica (1-3). La sua stretta associazione con il rischio di complicanze a lungo termine, stabilita in studi epidemiologici e trial clinici (4-6), ha indotto a fissare obiettivi specifici dell’A1C nel trattamento del diabete, allo scopo di prevenire o ritardare lo sviluppo delle complicanze (2,7-9). Il trattamento del diabete viene aggiustato sulla base dei risultati dell’A1C, espressi come la percentuale d’e- I moglobina glicata. In tutto il mondo la gran maggioranza degli assay è stata standardizzata, mediante il National Glyco-hemoglobin Standardization Program (10), con il dosaggio utilizzato nel Diabetes Control and Complications Trial (DCCT), che ha stabilito la relazione che intercorre tra i valori dell’A1C e il rischio di complicanze diabetiche a lungo termine (4,5). È stato sviluppato e proposto per l’uso nella standardizzazione globale, da parte dell’International Federation of Cli- nical Chemists, un metodo nuovo, più stabile e specifico, di standardizzazione dell’assay dell’A1C, che non è indicato per l’uso di routine (11,12). Tuttavia i risultati del nuovo metodo, con valori che sono 1.5-2.0 punti percentuali inferiori a quelli dell’attuale National Glyco-hemoglobin Standardization Program (13), potenzialmente causano confusione nei pazienti e nel personale sanitario che li ha in cura. Inoltre i risultati dell’International Federation of Clinical Chemists dovrebbero essere espressi in nuove unità (millimoli per mole) e questo aumenterebbe la confusione. La glicemia cronica (A1C) è usualmente espressa come percentuale di emoglobina che è glicata, mentre il monitoraggio e il trattamento quotidiani del diabete si basano sui valori acuti della glicemia, espressi in milligrammi per decilitro o millimoli per litro. Questa discrepanza ha sempre creato problemi. Se potessimo riportare, in maniera affidabile, il controllo metabolico cronico e gli obiettivi della gestione nel lungo termine come glicemia media (AG), cioè nelle stesse unità di misura della glicemia acuta, queste potenziali fonti di confusione sarebbero eliminate. La relazione che intercorre tra A1C e glicemia cronica è stata indagata in numerosi studi, che hanno supportato l’associazione tra A1C e valori dell’AG nelle 5-12 settimane precedenti (14-21). Tuttavia gli studi meno recenti erano limitati e comprendevano coorti omogenee, di dimensioni relativamente ridotte, di pazienti solitamente affetti da diabete di tipo 1 (14-19). Inoltre quasi tutti gli studi pregressi hanno contato su misure non frequenti dei valori della glicemia capillare, mettendo in dubbio la validità della loro valutazione della glicemia cronica. Abbiamo eseguito uno studio internazionale, multicentrico, per esaminare la relazione che intercorre tra i valori della glicemia media, valutata nella maniera più completa possibile attraverso la combinazione del monitoraggio continuo della glicemia e di test frequenti della glicemia capillare con puntura del dito, e quelli dell’A1C nel tempo. DISEGNO DELLA RICERCA E METODI Da: the 1Diabetes Center, Massachusetts General Hospital and Harvard Medical School, Boston, MA; the 2Department of Endocrinology/Diabetes Center, VU University Medical Center, Amsterdam, the Netherlands; 3Steno Hospital, Copenhagen, Denmark e the 4Department of Biostatistics, Massachusetts General Hospital, Boston, MA. DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 I soggetti dello studio sono stati arruolati in 11 centri in U.S.A., Europa, Africa e Asia, sulla base del protocollo concordato. I volontari con diabete di ti67 DIABETES CARE, AUGUST 2008 po 1, tipo 2 e non diabetici avevano tra 18 e 70 anni e si riteneva probabile che riuscissero a completare il protocollo, che comprendeva l’auto-monitoraggio con puntura del dito e il monitoraggio continuo della glicemia. Per essere eleggibili i soggetti non diabetici dovevano non avere storia familiare di diabete, valori della glicemia plasmatica < 97 mg/dl (5.4 mmol/l) successivamente a digiuno notturno e valore dell’A1C < 6.5%. I soggetti diabetici dovevano avere controllo stabile della glicemia, evidenziato da 2 valori dell’A1C entro 1 punto percentuale di oscillazione nei 6 mesi antecedenti all’arruolamento. Qualsiasi condizione che potesse causare modificazioni maggiori della glicemia, come patologie che richiedono l’uso di steroidi o la previsione di gravidanza durante il periodo dello studio, era motivo di esclusione. Allo stesso modo qualsiasi condizione o trattamento che potevano interferire con le misure dell’A1C eseguite con uno qualsiasi dei metodi dello studio, come le emoglobinopatie (22), o con la correlazione tra valori dell’A1C e dell’AG, come l’anemia (ematocrito < 39% negli uomini e < 36% nelle donne), ricambio elevato degli eritrociti evidenziato da reticolocitosi, perdite ematiche e/o trasfusioni, patologia renale o epatica cronica, o uso di vitamina C a dosaggio elevato o trattamento con eritropoetina erano motivi d’esclusione. Lo studio è stato approvato dai comitati etici delle istituzioni partecipanti e tutti i partecipanti hanno fornito il consenso informato scritto. Misure della glicemia Le misure della glicemia comprendevano il monitoraggio continuo della glicemia interstiziale (CGM) (CGMS; Medtronic Minimed, Northridge, CA), che misura i valori della glicemia ogni 5 min. ed era effettuato per almeno 2 giorni al basale e successivamente ogni 4 settimane per 12 settimane. A scopo di calibratura e come misura indipendente della glicemia i soggetti hanno effettuato automonitoraggio in otto punti (prima dei pasti, 90 min. dopo i pasti, prima di andare a dormire e alle 3:00 del mattino) della glicemia capillare mediante glucometro HemoCue (Hemocue Glucose 201 Plus; Hemocue, Angelholm, Sweden) durante i 2 giorni del CGM. Come terza misura, indipendente, della glicemia ai soggetti è stato chiesto di eseguire il monitoraggio in 7 punti della glicemia capillare con puntura del dito (come il profilo in otto punti summenzionato, senza la misura delle 3:00 del mattino) (One Touch Ultra; Lifescan, Milipitas, CA) per almeno 3 giorni alla settimana, non nei momenti in cui eseguivano il CGM, per tutta la durata dello studio. I risultati del 68 CGM e del monitoraggio con puntura del dito sono stati scaricati dai loro rispettivi misuratori e inviati ai centri che coordinavano i dati. Per essere accettabili ai fini dell’analisi i dati del CGM dovevano includere almeno un profilo ben riuscito delle 24 h su 2-3 giorni di monitoraggio, senza intervalli > 120 min. e una differenza media assoluta, rispetto ai risultati della calibratura Hemocue, < 18%, come raccomanda il produttore. I campioni ematici per la misura dell’A1C sono stati raccolti al basale e ogni mese per 3 mesi. Detti campioni sono stati congelati a –80° C e inviati in ghiaccio secco al laboratorio centrale. I campioni sono stati analizzati mediante 4 diversi assay allineati al DCCT, che comprendevano cromatografia liquida ad alta prestazione (Tosoh G7; Tosoh Bioscience, Tokyo, Japan), 2 immunoassay (Roche A1C e Roche Tina-quant; Roche Diagnostics) e un assay di affinità (Primus Ultra2; Primus Diagnostics, Kansas City, MO). E’ stato usato il valore medio dell’A1C. Gli assay di laboratorio sono stati approvati dal National Glycohemoglobin Study Program (10) e hanno coefficienti di variazione intra- e interassay < 2.5% con valori bassi e alti. Gli assay era altamente correlati tra di loro, con valori R2 di 0.99, inclinazioni di ~1.0 e intercettazioni tra 0.01 e 0.18. I campioni che dimostravano “picchi d’invecchiamento” alla cromatografia liquida ad alta prestazione ed evidenza di degradazione in attesa di e/o durante la spedizione non sono stati ritenuti accettabili per l’analisi. Un centro in Asia non è stato in grado di conservare i campioni in maniera accettabile e pertanto i campioni non hanno potuto essere analizzati per A1C. Il centro è stato eliminato dallo studio. Gestione del diabete Il disegno dello studio era osservazionale. La gestione del diabete è stata affidata ai pazienti e al personale sanitario che li aveva abitualmente in cura ed è stata aggiustata sulla base dei risultati dell’auto-monitoraggio con puntura del dito. I risultati del CGM sono stati esaminati dallo staff dello studio quando venivano scaricati. I partecipanti di regola erano all’oscuro dei risultati del CGM; ne venivano informati se si osservavano frequenti e prolungati periodi d’ipoglicemia, non individuati in altro modo; in questi casi il personale sanitario veniva allertato in modo da potere aggiustare il trattamento. Analisi statistica Abbiamo calcolato una media aritmetica della glicemia (AG) in ciascun soggetto, mediante combinazione della misura CGM dei valori della glicemia interstizia- le, corretta dal fattore 1.05 per essere equivalente ai valori della glicemia capillare del nostro studio, con le misure Lifescan con puntura del dito della glicemia capillare. Poiché i valori della glicemia sono stati misurati con maggiore frequenza nei giorni di CGM (n ~ 288 al giorno), rispetto ai giorni del Lifescan (n~7), i risultati sono stati ponderati in maniera che ciascuna misura fosse proporzionale all’inverso del totale delle misure effettuate nello stesso giorno. Pertanto a ciascun giorno in cui si misuravano i valori della glicemia è stato conferito lo stesso peso. I soggetti che avevano meno di 7 giorni di CGM nel corso dello studio sono stati esclusi dall’analisi. Abbiamo applicato modelli di regressione lineare e quadratica per la stima della relazione che intercorreva tra A1C e AG. Il modello quadratico non ha fornito miglioramento significativo, rispetto al modello della regressione lineare (P = 0.82). Un modello esponenziale è stato preso in considerazione ma non è stato usato, poiché l’esiguità dei dati nel range di A1C elevata ha prodotto stime altamente variabili. Sono stati calcolati gli intervalli per rappresentare il range di predizione dell’AG per i valori dell’A1C (23). Per la correzione per la eteroschedasticità abbiamo adattato un modello nel quale la varianza dell’AG è una funzione incrementale dell’A1C. Ne consegue che gli intervalli di predizione del 90% dell’A1C per i dati AG si ottengono con a + b x A1C ± tn-1.1-α/2 √ X 1+1 n √β (A1C) 1 β/2 dove n = 507 e α = 0.1, che significa √ tn-1.1-α/2 = 1.648 e 1+1 ≈ 1. m I dettagli matematici del metodo Bayesiano sono forniti nell’appendice 1 on-line, disponibile al sito web http://dx.doi.org/10.2337/dc08-0545. Per ritenere accettabile i risultati complessivi dello studio è stato deciso a priori che ≥ 90% dell’AG calcolata dei singoli pazienti doveva rientrare nel ± 15% dell’AG calcolata in tutto lo studio. Abbiamo esaminato l’influenza di fattori come età, sesso, razza (caucasica, africana o afro-americana o ispanica) e la storia di fumo sulla correlazione tra A1C e AG con un modello di regressione multivariata. Abbiamo confrontato le inclinazioni e le intercettazioni delle equazioni di regressione nei sottogruppi individuali e abbiamo calcolato l’SD dell’errore di predizione di ciascuno. L’età è stata divisa per terzili, separatamente per il diabete di tipo 1 (< 40, 40-50, > 50 anni) e di tipo 2 (< 50, 50-60, > 60 anni). DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, AUGUST 2008 Tabella 1 – Caratteristiche basali Coorte sottoposta a screening Soggetti analizzati –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– Tipo 1 Tipo 2 Non diabetici Tutti Tipo 1 Tipo 2 Non diabetici Tutti n Età Sesso (% femminile) Razza/etnia Bianchi non ispanici Africana/Afro-americana Ispanica Altro Status del fumo A1C (%) Trattamento Pompa esterna 3 o più iniezioni al giorno Solo regime alimentare Solo farmaci orali Solo insulina Insulina + farmaci orali 335 42 ± 13.1 171 (51) 236 54 ± 9.4 119 (50) 90 38 ± 13.1 60 (67) 661 46.1 ± 13.5 350 (53) 268 43 ± 13 140 (52) 159 56 ± 9 81 (51) 80 40 ± 14 55 (69) 507 46 ± 14 276 (54) 282 (84) 23 (7) 18 (5) 12 (4) 40 (12) 7.3 ± 1.1 145 (61) 59 (25) 23 (10) 6 (4) 29 (12) 6.7 ± 0.9 60 (67) 15 (17) 15 (17) 0 7 (8) 5.3 ± 0.3 487 (74) 97 (15) 56 (8) 21 (3) 46 (12) 6.8 ± 1.2 248 (93) 5 (2) 15 (6) 0 32 (12) 7.3 ± 1.1 118 (73) 21 (13) 12 (8) 8 (5) 14 (9) 6.8 ± 1.1 56 (71) 12 (15) 12 (15) 0 7 (9) 5.2 ± 0.3 422 (83) 38 (8) 39 (8) 8 (2) 53 (11) 6.8 ± 1.3 42% 58% 47% 53% 12% 54% 17% 17% 10% 52% 19% 19% I dati sono medie ± SD o n (%) se non indicato diversamente. RISULTATI Tra aprile 2006 e agosto 2007, 661 pazienti erano arruolati in 10 centri clinici : 6 negli Stati Uniti, 3 in Europa e 1 in Cameron. 335 partecipanti avevano diabete di tipo 1, 236 di tipo 2 e 90 non erano diabetici (tabella 1). I partecipanti venivano distribuiti per A1C basale in 3 gruppi: 18% con A1C > 8.5%, 44% tra 6.6 e 8.5% e 38% tra 4 e 6.5%. Il gruppo con A1C più bassa consisteva per il 63% di pazienti diabetici e per il 37% di partecipanti non diabetici. Su 661 soggetti che completavano le visite di screening, 154 (23%) non venivano inclusi nelle analisi finali per i seguenti motivi: 91 (15%) non completavano lo studio o erano esclusi prima della fine dello studio per condizioni pre-definite, identificate durante lo screening o sviluppate nel corso dello studio; 11 (2%) non avevano CGM adeguato e 52 (8%) non avevano campioni valutabili per A1C per ragioni tecniche, come degradazione del campione per problemi di conservazione o spedizione. 507 soggetti completavano lo studio e avevano monitoraggio della glicemia e campioni A1C adeguati per l’inclusione nell’analisi (tabella 1). I dati CGM e quelli del monitoraggio capillare Lifescan con puntura del dito comprendevano ~2.500 e 230 misure per soggetto, rispettivamente, per complessivi 2.700 test della glicemia nell’arco di 3 mesi. Il numero medio di giorni di CGM era di 13 e del monitoraggio capillare di 39; il 36% dei profili in 7 punti era completo, con un numero medio di test di 5.1 al giorno. La correlazione tra CGM e misure Hemocue simultanee non usate nella calibratura del CGM era eccellente, con il limite del 95% dei CGMS medi complessivi meno Hemocue medio che andavano da–30.6 a 30.6 mg/dl (-1.7 a 1.7 mmol/l). Per misurare la correlazione in stato stazionario tra AG e A1C lo studio è stato disegnato in maniera tale da includere i soggetti con glicemia relativamente stabile. I valori dell’A1C erano generalmente stabili, e il 96% dei soggetti che nel corso dello studio manteneva l’A1C entro 1 punto percentuale, rispetto al valore basale. Nella figura 1 è illustrata la correlazione tra valore dell’A1C alla fine dei 3 mesi di studio e l’AG calcolata nei 3 mesi precedenti, espressa come semplice regressione lineare AGmg/dl = 28.7 X A1C – 46.7 (AGmmol/l = 1.59 X A1C – 2.59), R2 = 0.84, P < 0.0001. La correlazione ha SD di errore di predizione di 15.7 mg/dl (0.87 mmol/l). Sulla base del modello descritto nella sezione dell’analisi statistica, i valori stimati sono i seguenti: α = -41.4, 95% CI –48.8 a –35.5; β = 27.9, 26.7 – 29.0; β1 = 4.81, 2.18-15.33; β2 = 2.03, 1.42-2.59. Questo produce SD di errore stimato di 13.4, 15.7 e 18.0 mg/dl quando l’A1C è del 6, 7 e 8%, rispettivamente. La linea di regressione suggerita dal modello Bayesiano differisce < 2 mg/dl da una semplice linea di regressione lineare nel range di A1C del 4-10%, che comprende il 98.5% dei nostri campioni; gli intervalli di predizione si allargano (P < 0.05) con DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 l’aumentare dei valori dell’A1C al 12%, ma la differenza tra la regressione lineare Bayesiana e quella semplice rimane <5 mg/dl. L’analisi di Bland-Altman, che esamina la differenza tra glicemia stimata e osservata nel range dei valori della glicemia, è illustrata nell’appendice 2 online. I limiti di predizione del 90% dell’AG, basati sul modello di SD variabile, erano molto vicini ai limiti presenti di ± 15% della media predetta nel pieno range dell’A1C; l’89.95% dei campioni rientravano nel 15% dell’AG calcolata. La traduzione dell’A1C in AG stimata (eAG), sulla base della regressione lineare, è illustrata nella tabella 2, per unità convenzionali e SI e con limiti della predizione del 95%. E’ importante notare che l’equazione di regressione di A1C e AG, che usa solamente i risultati del CGM nel calcolo dell’AG, era: AGCGM = 28.0 X A1C – 36.9 (R2 = 0.82, P < 0.0001); la regressione che usava solamente i profili in 7 punti con puntura del dito per il calcolo dell’AG era: AG 7PUNTI = 29.1 X A1C –50.7 (R2 = 0.82, P < 0.0001). La differenza nelle regressioni non era statisticamente significativa con inclinazione e intercettazione combinate (P = 0.11). La relazione che intercorreva tra A1C e AG era la stessa, quando solamente i soggetti diabetici erano inclusi (eAG della regressione lineare = 28.3 X A1C – 43.9 [R2 = 0.79, P < 0.0001). Un confronto tra le equazioni di regressione nell’ambito di sottogruppi specificati è illustrato nella tabella 3. Non v’erano differenza significative in inclinazione o intercettazione 69 DIABETES CARE, AUGUST 2008 Figura 1 - Regressione lineare tra A1C alla fine del 3° mese e AG calcolata nei 3 mesi precedenti. AGmg/dl calcolata = 28.7 X A1C – 46.7 (AGmmol = 1.59 X A1C –2.59) (R2 = 0.84, P < 0.0001). nelle equazioni di regressione in nessuno dei confronti tra sottogruppi e gli SD dell’errore di predizione erano tutti vicini al valore di 15.7 mg/dl (0.87 mmol/l) in tutta la coorte dello studio. CONCLUSIONI I risultati dello studio A1c-Derived Average Glucose (ADAG) supportano il concetto di una stretta correlazione tra valori dell’A1C e AG nel diabete di tipo 1 e di tipo 2. Il dosaggio dell’A1C ha un ruolo centrale nella gestione clinica del Tabella 2 – Glicemia media stimata mg/dl* A1C (%) 5 97 (76-120) 6 126 (100-152) 7 154 (123-185) 8 183 (147-217) 9 212 (170-249) 10 240 (193-282) 11 269 (217-314) 12 298 (240-347) mmol/l† 5.4 (4.2-6.7) 7.0 (5.5-8.5) 8.6 (6.8-10.3) 10.2 (8.1-12.1) 11.8 (9.4-13.9) 13.4 (10.7-15.7) 14.9 (12.0-17.5) 16.5 (13.3-19.3) I dati in parentesi sono 95% CI. *eAG (mg/dl) con regressione lineare = 28.7 X A1C – 46.7. †eAG (mmol/l) con regressione lineare = 1.59 X A1C – 2.59. 70 diabete. Obiettivi di trattamento disegnati per ridurre lo sviluppo di complicanze a lungo termine sono stati adottati sulla scia del DCCT (4) e i metodi per il dosaggio dell’A1C sono stati standardizzati sulla base dei valori del DCCT in gran parte del mondo (10). Lo sviluppo di un metodo nuovo di calibratura dell’assay, che lo rende più stabile e specifico, dovrebbe migliorare ulteriormente la comparabilità degli assay in tutto il mondo (11,12). Poiché questo metodo misura un analita ben definito di una sola specie molecolare di emoglobina glicata, i valori di riferimento sono più bassi rispetto ai precedenti assay allineati al DCCT. Onde evitare confusione e potenziale deterioramento del controllo della glicemia, in conseguenza del riferimento a valori più bassi dell’A1C (24), il nostro studio ha voluto determinare la relazione che intercorre tra A1C e AG. Lo scopo ultimo è stato quello di determinare se il valore di A1C della glicemia cronica poteva essere riportato nelle stesse unità usate nel monitoraggio quotidiano (12,25). Studi precedenti sulla correlazione tra A1C e glicemia media sono stati generalmente ostacolati da misure limitate dei valori glicemici, che hanno fatto dubitare dell’affidabilità delle stime dell’AG. Il CGM fornisce la possibilità di misurare tutti i valori della glicemia. Uno studio recente che includeva 3 mesi di CGM otteneva una correlazione tra A1C e AG molto simile a quella presentata nel nostro studio e forniva pertanto una validazione esterna, ma era condotto solamente su 25 soggetti, la maggior parte dei quali affetti da diabete di tipo 1 (21). Il nostro studio fornisce una valutazione relativamente completa della glicemia quotidiana e stabilisce una forte correlazione tra valori di A1C e AG, che giustifica una diretta traduzione da A1C misurata a un valore di più facile comprensione, espresso nelle stesse unità del monitoraggio con puntura del dito. E’ importante notare che l’equazione di regressione di questo studio fornisce valori più bassi di eAG, rispetto all’equazione di ampio uso derivata dal DCCT e la dispersione attorno alla linea di regressione è meno ampia (18). La spiegazione più ovvia della differenza tra AG calcolata in base al DCCT e quella calcolata nel nostro studio è data dalla differenza nella frequenza delle misure della glicemia usata per calcolare l’AG (un solo profilo in 7 punti senza misura notturna nell’arco di 3 mesi nel DCCT, rispetto a numerosi CGM e misure di profili in 7 punti, che includevano una media di 52 giorni nell’ADAG), che fornisce una misura più completa e rappresentativa della glicemia media nell’ADAG. I nostri risultati supportano con forza una semplice correlazione lineare tra va- DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, AUGUST 2008 Tabella 3 – Confronto delle equazioni di regressione tra A1C e AG per sottogruppi Confronto Sesso Tipo di diabete Età, diabete di tipo 1 Età, diabete di tipo 2 Etnia Fumo Uomini vs. donne Tipo 1 vs. tipo 2 1° terzile vs. 2° 1° terzile vs. 3° 2° terzile vs. 3° 1° terzile vs. 2° 1° terzile vs. 3° 2° terzile vs. 3° Caucasica vs. africana/afro-americana Caucasica vs. ispanica Ispanica vs. africana/afro-americana Mai vs. attualmente Differenza d’inclinazione Differenza d’intercettazione P* 0.17 ± 1.14 –1.46 ± 1.61 –1.03 ± 2.27 1.53 ± 2.37 0.50 ± 2.47 –7.40 ± 3.67 –1.57 ± 3.36 5.83 ± 3.07 3.87 ± 1.85 –1.80 ± 3.12 –2.06 ± 3.49 2.62 ± 1.48 0.57 ± 7.94 9.35 ± 11.21 –5.61 ± 16.56 –6.99 ± 17.59 –1.38 ± 18.29 52.0 ± 24.43 11.59 ± 22.31 –40.41 ± 21.45 23.35 ± 12.48 5.89 ± 20.51 17.46 ± 22.94 –16.76 ± 10.93 0.91 0.41 0.71 0.18 0.69 0.08 0.84 0.17 0.07 0.81 0.43 0.14 I dati sono medie ± SE. *test χ2 con 2 d.f. che confrontano simultaneamente inclinazione e intercettazione. lori medi della glicemia e dell’A1C in un range clinicamente rilevante della glicemia. I nostri dati soddisfacevano il criterio a priori della qualità; cioè il 90% delle stime ricadeva nel range di ± 15% della linea di regressione. Questo criterio è stato ritenuto realistico, tenendo conto dell’imprecisione dell’assay dell’A1C, del CGM e dei test di auto-monitoraggio della glicemia. La nostra ampia popolazione ci ha permesso di dimostrare che la correlazione tra A1C e AG era consistente in tutti i sottogruppi pre-specificati. La correlazione rigorosa e consistente in tutti i sottogruppi indica che in molti pazienti diabetici, se non nella maggior parte di loro, non vi sono fattori importanti che influiscono sulla correlazione tra valori medi della glicemia e A1C. V’era un’indicazione (P = 0.07) che la linea di regressione era differente negli afro-americani, in misura tale che a un dato valore dell’a1C gli afro-americani potevano avere un valore medio lievemente inferiore della glicemia. Questo risultato borderline richiede ulteriore indagine, per assicurarsi che non intercorre alcuna relazione tra etnia e la correlazione tra glicemia media e A1C. V’era anche l’idea che l’età potesse influire sulla correlazione tra AG e A1C; tuttavia l’effetto non era monotonico. Le linee di regressione in ciascun gruppo d’età s’intersecavano per A1C del 7%, con il primo e il terzo terzili simili e il terzile di mezzo diverso. Sospettiamo che si tratti di un dato spurio. Vi sono altri fattori clinici conclamati, come anemia e alterato ricambio degli eritrociti, che possono influire sui risultati dell’A1C misurata con tutte le metodiche, ed emoglobinopatie, che interferiscono con la misura dell’A1C eseguita con metodiche specifiche (22). I soggetti che potevano essere affetti da queste condizioni sono stati esclusi dallo studio. Lo studio ADAG ha qualche limite. Contrariamente alle nostre intenzioni ed aspettative alcuni gruppi etnici/razziali non erano rappresentati in misura adeguata, soprattutto a causa dell’esclusione di uno dei centri, che comprendeva una popolazione asiatica molto ampia e del numero limitato di soggetti di discendenza africana. Inoltre la stima della glicemia media si basava prevalentemente su 2 metodiche: CGM e auto-monitoraggio intermittente della glicemia capillare. (Le misure Hemocue, che sono ritenute idonee a fornire valori equivalenti alle misure di laboratorio, sono state usate principalmente per calibrare il CGM [26]). Per combinare queste misure in un unico calcolo dell’AG il CGM e le misure capillari con puntura del dito hanno dovuto essere ponderati, per tenere conto del numero diverso di misure in un giorno; tuttavia in analisi separate, che confrontavano le correlazioni tra A1C e AG misurata con CGM o misure capillari con puntura del dito, non risultava alcuna differenza specifica nelle correlazioni. Infine, poiché solamente i pazienti diabetici con controllo stabile e senza alcuna indicazione di patologie degli eritrociti sono stati inclusi nello studio, i risultati correnti sono direttamente applicabili solamente a questa popolazione. Sono stati esclusi anche i bambini e le donne in gravidanza; in questi gruppi sono necessari dati aggiuntivi per confermare la correlazione stabilita. E’ importante notare che uno studio pubblicato di recente ha confrontato la glicemia media calcolata di 47 bambini con diabete di tipo 1, d’età compresa tra 4 e 18 anni, che avevano almeno 1 CGM di 24 h in 6 su 13 settimane con l’A1C alla fine delle 13 settimane (27). Sebbene anche questi autori abbiano concluso che “l’A1C riflette direttamente la glicemia media nel tempo”, essi hanno osservato una variazione tra individui DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 sostanzialmente maggiore nella correlazione tra AG e A1C, rispetto a quella del nostro studio. Le fonti potenziali di questa variabilità possono essere identificate confrontando lo studio DirectNet, condotto su bambini (27) con lo studio ADAG e con quello recente su adulti (21), che erano selezionati per controllo stabile della glicemia ed eseguivano CGM per il 97% delle 12 settimane dello studio. Lo studio DirectNet ha impiegato un metodo non centralizzato dell’A1C, con correlazione relativamente modesta con il metodo della cromatografia liquida ad alta prestazione. Inoltre i bambini avevano glicemie altamente variabili ed eseguivano il CGM solamente per il 67% del periodo dello studio; questa circostanza può avere impedito la misura accurata della glicemia media. I risultati correnti permettono di riportare la misura dell’A1C come eAG. L’interpretazione dell’A1C, analoga all’interpretazione della creatinina serica quando è riportata come tasso calcolato della filtrazione glomerulare, dovrebbe fornire al personale sanitario un indice più utile di glicemia cronica. Linee guida di consenso recentemente pubblicate hanno avallato la scelta di riportare i valori dell’A1C insieme al valore calcolato dell’eAG, indicando quindi che i risultati dell’ADAG sono accettabili (25). Bibliografia 1. Saudek CD, Derr RL, Kalvani RR: Assessing glycaemia in diabetes using self-monitoring blood glucose and hemoglobin A1c. JAMA 295:1688–1697, 2006 2. American Diabetes Association: Standards of medical care of diabetes. Diabetes Care 30 (Suppl. 1):S4 –S41, 2007 3. Goldstein DE, Little R, Lorenz RA, 71 DIABETES CARE, AUGUST 2008 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 72 Malone JI, Nathan DM, Peterson CM, Sacks DB: Tests of glycaemia in diabetes. Diabetes Care 27:1761–1773, 2004 Diabetes Control and Complications Trial Research Group: The effect of intensive diabetes treatment on the development and progression of long-term complications in insulindependent diabetes mellitus: Diabetes Control and Complications Trial. 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Eur J Endocrinol 153:275– 281, 2005 DirectNet Study Group: Relationship of A1C to glucose concentrations in children with type 1 diabetes: assessments by highfrequency glucose determination by sensors. Diabetes Care 31:381–385, 2008 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, AUGUST 2008 La combinazione di sulfoniluree e metformina è associata ad aumento del rischio di patologia cardiovascolare o di mortalità per qualsiasi causa? Una meta-analisi di studi osservazionali AJAY D. RAO, MD1 NITESH KUHADIYA, MBBS2 KRISTI REYNOLDS, PHD, MPH2,3 VIVIAN A. FONSECA, MD1 OBIETTIVO – Gli studi osservazionali che valutavano l’associazione tra trattamento combinato con metformina e sulfoniluree e mortalità per qualsiasi causa e/o mortalità cardiovascolare nel diabete di tipo 2 hanno evidenziato risultati conflittuali. Abbiamo pertanto valutato gli effetti del trattamento combinato con sulfoniluree e metformina sul rischio di mortalità per qualsiasi causa e patologia cardiovascolare (CVD) in soggetti con diabete di tipo 2. DISEGNO DELLA RICERCA E METODI – È stata condotta una ricerca in MEDLINE (gennaio 1966- luglio 2007) per identificare gli studi osservazionali che esaminavano l’associazione tra trattamento combinato con sulfoniluree e metformina e il rischio di CVD o mortalità per qualsiasi causa. Su 299 articoli rilevanti 9 sono stati inclusi nella meta-analisi. In questi studi è stato valutato il trattamento combinato con sulfonilurea e metformina e sono stati riportati il rischio di CVD e/o mortalità e il rischio relativo, aggiustato (RR) o equivalente (hazard proporzionale o odds proporzionali) e varianza corrispondente o equivalente. RISULTATI –Gli RR riuniti (95% CI) degli esiti nei soggetti con diabete di tipo 2 cui era prescritto trattamento combinato con sulfoniluree e metformina erano di 1.19 (0.88-1.62) nella mortalità per qualsiasi causa, 1.29 (0.73-2.27) nella mortalità per CVD e 1.43 (1.10-1.85) nell’end point composito di ospedalizzazioni per CVD o mortalità (eventi fatali e non fatali). CONCLUSIONI – Il trattamento combinato con metformina e sulfoniluree aumentava in maniera significativa gli RR dell’end point composito di ospedalizzazioni cardiovascolari o mortalità (eventi fatali e non), indipendentemente dal gruppo di riferimento (trattamento con regime alimentare, monoterapia con metformina o monoterapia con sulfonilurea); tuttavia non v’erano effetti significativi di questo trattamento combinato sulla mortalità per CVD o per qualsiasi causa, considerate separatamente. Diabetes Care 31: 1672-1678, 2008 l diabete di tipo 2 è associato ad aumento del rischio di mortalità per qualsiasi causa e patologia cardiovascolare (CVD). Tuttavia a tutt’oggi i trial clinici non hanno dimostrato che il raggiungimento di valori normali della glicemia I può ridurre il rischio di eventi cardiovascolari. Nel UK Prospective Diabetes Study (UKPDS) si otteneva una riduzione della glicemia con il trattamento con metformina nei pazienti sovrappeso che seguivano Da: the 1Department of Medicine, Tulane University School of Medicine, New Orleans, Louisiana; the 2Department of Epidemiology, Tulane University School of Public Health and Tropical Medicine, New Orleans, Louisiana e the 3Southern California Kaiser Permanente Medical Group, Pasadena, California. DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 un regime alimentare, e conseguente riduzione del rischio d’infarto del miocardio e di mortalità per qualsiasi causa. Tuttavia quando nello stesso trial veniva prescritta una combinazione di metformina e sulfonilurea per il controllo della glicemia, si registrava un aumento significativo del rischio di morte correlata al diabete e di mortalità per qualsiasi causa e non un effetto positivo, un dato attribuito dai ricercatori al caso (1). Nel UKPDS le sulfoniluree non erano associate al rischio di morte correlata al diabete o di infarto del miocardio (2), ma in studi precedenti come l’University Group Diabetes Program (UGDP) si era osservato un aumento del rischio (3) e un avvertenza sull’aumento del rischio di CVD è inserito nelle indicazioni approvate dalla Food and Drug Administration per questa classe di farmaci. Una recente rassegna sistematica di studi clinici sui trattamenti del diabete ha notato che nella maggior parte dei trial non erano disponibili i dati sugli esiti a lungo termine (4). Studi osservazionali d’indagine sull’associazione tra trattamento combinato con metformina e sulfoniluree e rischio di CVD e mortalità hanno riportato risultati conflittuali. Alcuni studi hanno riportato che l’impiego del trattamento combinato aumenta il rischio di mortalità per qualsiasi causa e per CVD (5), mentre altri non hanno osservato alcuna associazione (6,7) o hanno riportato riduzione del rischio (8). Poiché con ogni probabilità questi sono i farmaci maggiormente prescritti nel diabete di tipo 2, il possibile aumento di rischio di mortalità per qualsiasi causa e di eventi cardiovascolare crea preoccupazione. In considerazione di queste discordanze in letteratura e della mancanza di trial clinici che valutino gli effetti a lungo termine del trattamento combinato con sulfoniluree e metformina, abbiamo condotto una meta-analisi di studi osservazionali per esaminare l’associazione tra trattamento combinato con sulfoniluree e metformina e rischio di CVD e mortalità per qualsiasi causa. 73 DIABETES CARE, AUGUST 2008 DISEGNO DELLA RICERCA E METODI talità per qualsiasi causa e mortalità/morbilità cardiovascolare. È stata condotta una ricerca bibliografica nel database di MEDLINE (da gennaio 1966 a tutto luglio 2007) con l’utilizzo delle intestazioni cliniche “diabete mellito, di tipo 2”; “trattamento farmacologico, combinazione”; “combinazioni di farmaci”; “composti di sulfoniluree”; “acetoesamide”; “clorpropamide”; “tolbutamide”; “tolazamide”; “gliburide”; “glipizide”; “biguanidi” e “metformina” e della parola chiave “glimepiride”. La ricerca è stata ristretta agli studi condotti sull’uomo, identificati anche attraverso una ricerca nei riferimenti citati negli studi originali e negli articoli rilevanti pubblicati in riviste. I contenuti di 299 abistract o manoscritti completi, identificati nel corso della ricerca bibliografica sono stati passati in rassegna, separatamente e in duplicato, da 2 ricercatori, per determinare se incontravano i criteri d’inclusione. Quando i 2 ricercatori non erano d’accordo su inclusione o esclusione un terzo ricercatore conduceva ulteriori valutazioni dello studio e i disaccordi venivano risolti con la discussione. Nella selezione degli studi sono stati adottati i seguenti criteri d’inclusione: 1) studi osservazionali che indagavano la relazione che intercorre tra trattamento combinato con metformina (biguanidi) più sulfoniluree e rischio di CVD e/o mortalità, 2) rischio relativo aggiustato (RR) o equivalente (cioè hazard proporzionale, odds proporzionali) e varianza corrispondente o equivalente riportata e 3) diagnosi di diabete di tipo 2 sulla base dei criteri standard al tempo dello studio. Tutti i dati sono stati estratti indipendentemente e in duplicato. Le differenze nell’estrazione dei dati sono state risolte di comune accordo, e facendo riferimento alla pubblicazione originale. Non è stato contattato alcun autore con richieste di ulteriori informazioni. È stato usato un modulo standardizzato di estrazione, sul quale sono state registrate le seguenti informazioni: titolo dello studio, nome del primo autore, anno di pubblicazione, paese dello studio, anni dello studio, denominazione della coorte, disegno dello studio (studio prospettico o retrospettivo di coorte o studio caso-controllo), durata del follow-up, caratteristiche della popolazione dello studio (dimensione del campione, distribuzione di età, razza e sesso, durata media del diabete, A1C media), tipo di gruppo di riferimento e fattori confondenti. Sono stati estratti gli RR di mortalità/morbilità cardiovascolare e/o mortalità per qualsiasi causa o per causa specifica, associati al trattamento combinato e i loro CI ed SE corrispondenti. È stato estratto il numero di eventi di mor- Analisi Statistica Gli RR sono stati usati come misura dell’associazione tra trattamento combinato con metformina e sulfonilurea e mortalità per CVD e per qualsiasi causa. Gli RR di ciascuno studio sono stati ponderati con l’inverso della loro varianza. Per stabilizzare le varianze e normalizzare le distribuzioni gli RR e i corrispondenti SE di ciascuno studio sono stati trasformati nei loro logaritmi naturali. Quando è stato necessario gli SE sono stati derivati dai CI forniti in ciascuno studio originale. Nella coorte del trattamento combinato non erano disponibili i dati principali delle analisi del tempo trascorso prima dell’evento. Pertanto, nell’analisi complessiva, le stime degli RR e i 95% CI della mortalità per qualsiasi causa e della CVD associata al trattamento combinato sono state riunite, senza tenere conto del gruppo di riferimento usato. Le analisi dei sottogruppi sono state condotte per gruppo di riferimento (regime alimentare, sulfonilurea in monoterapia o metformina in monoterapia). I modelli degli effetti fissi e di quelli a random di DerSimonian e Laird sono stati usati nel calcolo degli RR riuniti di CVD e mortalità per qualsiasi causa associate al trattamento combinato (9). Sebbene tutti e due i modelli fornissero dati simili, qui sono presentati i risultati del modello degli effetti a random, a causa della significativa eterogeneità degli studi. La CVD era definita in ciascun singolo studio. Negli esiti del nostro studio abbiamo usato la mortalità cardiovascolare e per qualsiasi causa, così come un end point composito di ospedalizzazione o mortalità per CVD (il primo evento cardiovascolare, fatale o non fatale). Il nostro studio ha riportato separatamente gli RR per coronaropatia e per stroke (10). Abbiamo dapprima ponderato tutti e due gli RR per l’inverso della loro varianza e poi li abbiamo riuniti, con l’impiego di un modello a effetti fissi, per ottenere una stima complessiva per lo studio. Per esaminare l’associazione tra stime dell’effetto e le loro varianze è stato usato il test di Begg della correlazione rank e per individuare gli errori di pubblicazione è stato usato il test di regressione lineare di Egger, che regredisce le statistiche Z al reciproco di SE in ciascuno studio (11,12). Inoltre, uno alla volta ciascuno studio è stato omesso, per valutare l’influenza di quello studio sulla stima riunita. Tutte le analisi sono state effettuate mediante STATA, versione 8.2 (STATA, College Station, TX). 74 RISULTATI La figura A1 dell’appendice on-line (disponibile nel sito web http://dx.dpi.org/102337/dc08-0167) illustra gli studi inclusi nella meta-analisi. Sui 25 studi che incontravano i criteri d’inclusione 16 venivano esclusi dalla meta-analisi. 11 studi non riportavano CVD o mortalità come esito, 3 erano duplicati e 2 comprendevano combinazioni multiple di farmaci. 2 studi esaminavano l’associazione tra trattamento combinato con metformina e sulfonilurea in gruppi differenti di soggetti, tenendo conto di quale farmaco era somministrato per primo e questi gruppi venivano trattati come studi separati nella meta-analisi. Le caratteristiche dei partecipanti dello studio e il disegno dei 9 studi osservazionali inclusi nella meta-analisi sono illustrati nella tabella 1 (5-8,10,13-16). 6 erano studi retrospettici di coorte, 2 erano prospettici di coorte e 1 era caso-controllo. Sui 9 studi, 1 era condotto negli Stati Uniti, 2 in Canada, 1 a Israele e 5 in paesi europei. Il numero di partecipanti andava da 910 nello studio di Olsson e al. (10) a 39.721 in quello di Kahler e al. (7). L’età media andava da 58.9 a 71.3 anni. Il tempo medio di follow-up andava da 2.1 a 7.7 anni. Sui 9 studi, 7 riportavano mortalità per qualsiasi causa, 4 mortalità cardiovascolare e 3 ospedalizzazioni cardiovascolari. Sui 101.733 partecipanti inclusi in questi studi 25.091 erano trattati con combinazione di metformina e sulfonilurea. Bruno e al. (13) e Koro e al. (16) non specificavano il numero di partecipanti sottoposti a trattamento combinato. La figura 1 illustra i risultati dei modelli con effetti a random che riunivano gli RR aggiustati per mortalità per qualsiasi causa, mortalità per CVD e ospedalizzazioni o mortalità per CVD, rispettivamente, associati a trattamento combinato con metformina e sulfonilurea ed evidenzia anche il numero di eventi associati al trattamento combinato, rispetto al gruppo di controllo, nella mortalità per qualsiasi causa, mortalità per CVD e ospedalizzazioni o mortalità per CVD. Le stime riunite degli RR non erano statisticamente significative relativamente alla mortalità per qualsiasi causa o per CVD, mentre l’uso del trattamento combinato era significativamente associato ad aumento del rischio di ospedalizzazioni o mortalità cardiovascolari. Nelle analisi della sensibilità era presente eterogeneità significativa negli studi che riportavano mortalità per qualsiasi causa (P < 0.001). Tuttavia l’esclusione di uno studio qualsiasi non modificava la stima riunita. Negli studi che riportavano mortalità per CVD era presente eterogeneità significativa (P < 0.001) e l’esclusio- DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, AUGUST 2008 Paese, periodo dello studio Dimensione del campione Età (anni) Durata del diabete (anni) A1C (%) Uomini (%) Variabili controllate per 7.7* 6.1. registro svedese della mortalità* 7, archivi demografici locali, certificati di morte Durata del follow-up (anni) e modalità del follow-up Sulfonilurea + metformina vs. regime alimentare Sulfonilurea + metformina vs. sulfonilurea in monoterapia Sulfonilurea + biguanidi vs. regime alimentare Trattamento combinato vs. gruppo di controllo Stroke, IHD e mortalità per qualsiasi causa; IHD; ICD-8 (410-414); Stroke: ICD-8 (430-438) Mortalità per qualsiasi causa Stroke, IHD, CVD e mortalità per qualsiasi causa; IHD; ICD-9 (410-414); Stroke; ICD-9 (430-438) Esito e criteri diagnostici Metformina + sulfonilurea vs. sulfonilurea in monoterapia Mortalità per qualsiasi casua Ospedalizzazione per CVD e CVD e mortalità per qualsiasi causa; CVD,ICD-9 e ICD-10 Ospedalizzazione per CVD e mortalità per CVD, ICD-9 CHF incidente (mortalità o ospedalizzazione) definita come codice del Oxford Medical Information System o codice medico CVD e mortalità per qualsiasi causa; CVD: ICD-9 (390-459) Mortalità per qualsiasi causa 5.1, statistiche vitali computerizzate del servizio sanitario di Saskatchewan* 2.1, database della ricerca della medicina di base† 9, statistiche vitali com puterizzate del servizio sanitario di Saskatchewan* 3.4, database della medicina di base* 8, certificati di morte del Registro Generale‡ 3, database della mortalità della Veterans Health Administration‡ di Read A. Prima sulfonilurea, aggiunta di metformina vs. metformina in monoterapia. B. Prima metformina, aggiunta di sulfonilurea vs. metformina in monoterapia. C. Sulfonilurea + meteformina vs. metformina in monoterapia Sulfonilurea + metformina vs. sulfonilurea in monoterapia A. Prima sulfonilurea, aggiunta di metformina vs. sulfonilurea in monoterapia. B. Prima metformina, aggiunta di sulfonilurea vs. metformina in monoterapia Sulfonilurea+metformina vs. sulfonilurea in monoterapia Sulfonilurea + metformina vs. sulfonilurea in monoterapia Tabella 1 – Caratteristiche degli studi osservazionali su trattamento combinato con metformina e sulfoniluree e rischio di CVD e di morte Autore, anno della pubblicazione (rif.) Età, sesso, FBG, fumo BMI, ipertensione, durata del diabete, periodo dell’anno, medico curante 42.6 – – 7.5 8.5 – 58.9 – 1,967 910 Italia, 1988-1995 Svezia, 1984-1996 Età, sesso, FBG, durata del diabete, area di studio, anno d’inclusione Bruno, 1999 (13 Olsson, 2000 (10) 74.5 55.9 – – – – 60.1 64.1 2,275 8,866 Israele Canada, 1991-1996 52.6 Fisman, 2001 (14) Johnson, 2002 (8) – 56.0 – – 64.2 – 11,587 65.6 Regno Unito, 1992-1998 4,142 Gulliford, 2004 (6) Canada, 1991-1999 Età, sesso, fumo, durata del diabete, pressione arteriosa, colesterolo, ospedalizzazione pregressa, trattamento con farmaci cardiovascolari Età, sesso, uso di nitrati, punteggio di patologia cronica Età, sesso, ipertensione, durata del diabete,CHF, angina, MI, IHD, PVD, retinopatia, nefropatia, neuropatia, ulcere del piede e cancrena, ESRD patologia valvolare Età, sesso, FBG, fumo, BMI, ipertensione, uso di betabloccanti e farmaci antipiastrinici, PVD, CVA pregressa, sindrome anginale, CHF Età, sesso, uso di nitrati, punteggio modificato di di patologia cronica Età, sesso, anno del trattamento, CHD, farmaci cardiovascolari Johnson, 2005 (15) 52.3 98 54.1 – 7.4 – – – 3.9 71.3 66.9 63.6 9,089 39,721 5,730 Regno Unito, 1987-2001 U.S.A., 1998-2001 Scozia, 1994-2001 Koro, 2005 (16) Evans, 2006 (5) Kahler, 2007 (7) Età, durata del diabete, punteggio di propensione di A1C, creatinina, visite mediche correlate al diabete, uso di farmaci ipolipemizzanti e antiipertensivi CAD = coronaropatia; CHF = scompenso cardiaco congestizio; CVA = incidente cerebrovascolare; ESRD = patologia renale terminale; FBG = glicemia a digiuno; IHD = cardiopatia ischemica; MI = infarto del miocardio; PVD = vascolopatia periferica. *Durata media del follow-up. †Durata mediana del follow-up. ‡Durata massima del follow-up. 75 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, AUGUST 2008 Rischio Relativo (95% CI) N° di Eventi/Totale Trattamento combinato Gruppo di controllo Non specificato Non specificato Non specificato Non specificato Complessivamente Rischio Relativo (95% CI) N° di Eventi/Totale Trattamento combinato Gruppo di controllo Non specificato Non specificato Non specificato Non specificato Complessivamente Rischio Relativo (95% CI) N° di Eventi/Totale Trattamento combinato Gruppo di controllo Non specificato Non specificato Non specificato Non specificato Non specificato Non specificato Complessivamente Figura 1 – Stime degli RR e 95% CI per mortalità per qualsiasi causa (A), mortalità per CVD (B) ed end point composito di ospedalizzazione per CVD o mortalità per CVD (C), associati al trattamento combinato con metformina e sulfonilurea per singolo studio e riuniti, insieme alle proporzioni di eventi relativamente a ciascun esito. ne dello studio di Johnson e al. (15) comportava un aumento significativo del rischio di mortalità per CVD, associato al trattamento combinato con metformina e 76 sulfoniluree (RR 1.63 [95% CI 1.11-2.39]). Era anche presente eterogeneità significativa negli studi che riportavano ospedalizzazioni cardiovascolari o mortalità (P = 0.001), e l’esclusione di uno studio qualsiasi non alterava la stima riunita. Non v’era alcuna evidenza di errori di pubblicazione per test di correlazione rank o di DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, AUGUST 2008 Tabella 2 – RR riuniti (95% CI) di mortalità per qualsiasi causa, mortalità per CVD ed end point composito di ospedalizzazioni o mortalità per CVD, in conformità con i diversi criteri d’esclusione Ospedalizzazioni per CVD Mortalità per qualsiasi causa Mortalità per CVD o mortalità per CVD ––––––––––––––––––––––––––––––– ––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––– N° di studi RR (95% CI) N° di studi RR (95% CI) N° degli studi RR (95% CI) Tutti gli studi Studi che controllavano importanti fattori confondenti* Studi che controllavano importanti fattori confondenti† 10 6 1.19 (0.88-1.62) 1.36 (0.93-2.04) 6 5 1.29 (0.73-2.27) 1.63 (1.11-2.39) 7 6 1.43 (1.10-1.85) 1.55 (1.28-1.87) 4 1.34 (0.73-2.47) 3 1.72 (0.93-3.20) 4 1.50 (1.25-1.78) *Gli studi che non controllavano per la durata del diabete sono stati esclusi. Relativamente alla mortalità per qualsiasi causa, esclusione degli studi di Gulliford (12), Johnson (14) e Fisman (21). Relativamente alla mortalità per CVD e all’end point composito di ospedalizzazioni o mortalità per CVD, esclusione dello studio di Johnson (23). †Gli studi che non controllavano la durata del diabete o CVD pregressa sono stati esclusi. Relativamente a mortalità per qualsiasi causa, esclusione degli studi di Gulliford (12), Johnson (14), Olsson (16), Bruno (20) e Fisman (21). Relativamente alla mortalità per CVD e all’end point composito di ospedalizzazioni o mortalità per CVD, esclusione degli studi di Olsson (16), Johnson (23) e Bruno (20). regressione (P > 0.10 in tutti). Nello studio di Evans e al. (5) i partecipanti nel gruppo di riferimento erano impiegati più di una volta nel calcolo della stima riunita. Le analisi venivano ripetute, omettendo varie combinazioni di questo studio, e non si osservava alcuna modificazione sostanziale nei risultati. Inoltre conducevamo un’analisi della sensibilità, nella quale gli studi che non effettuavano aggiustamenti per durate del diabete o CVD pregressa erano esclusi (6,8,13,14,17). Queste informazioni sono incluse nella tabella 2. Analisi dei sottogruppi Le stime degli RR per la mortalità per qualsiasi causa e per CVD e per le ospedalizzazioni o mortalità per CVD associate al trattamento combinato con metformina e sulfonilurea nei sottogruppi definiti in conformità con il trattamento comparatore, sono illustrate nella tabella A1 dell’appendice on-line. Gli RR stimati erano > 1.0 in tutti i sottogruppi, tranne che nell’associazione tra mortalità per qualsiasi causa e trattamento combinato, rispetto alla sulfonilurea. Rispetto al trattamento con regime alimentare, quello combinato aumentava in maniera significativa gli RR di mortalità per qualsiasi causa e il trattamento combinato, rispetto alla metformina in monoterapia, aumentava significativamente gli RR di ospedalizzazioni o mortalità per CVD. CONCLUSIONI In questa meta-analisi il trattamento combinato con metformina e sulfonilurea aumentava significativamente l’RR di ospedalizzazione o mortalità cardiovascolare (eventi fatali e non fatali), indipendentemente dal gruppo di riferimento (regime alimentare, metformina in monote- rapia o sulfonilurea in monoterapia) usato. Tuttavia non v’erano effetti statisticamente significativi del trattamento combinato con sulfonilurea e metformina sulla mortalità per CVD o per qualsiasi causa. Questi risultati possono contribuire a chiarire i dati conflittuali di numerosi, ampi studi osservazionali, che hanno esaminato l’effetto del trattamento combinato con metformina e sulfonilurea sul rischio di eventi di CVD nei pazienti con diabete di tipo 2, mentre l’associazione di questa combinazione con mortalità per qualsiasi causa e cardiovascolare rimane oscura. A causa della natura progressiva del diabete di tipo 2 molti pazienti sono trattati con combinazioni di farmaci ipoglicemizzanti orali, per raggiungere gli obiettivi della glicemia. Ad esempio, nell’algoritmo più raccomandato la combinazione di sulfonilurea e metformina è il secondo passo nella gestione dei pazienti con diabete di tipo 2 (18). È probabile che i pazienti sottoposti a trattamento combinato abbiano una forma della patologia che progredisce con maggiore rapidità o abbiano il diabete da più tempo, o entrambi. Nel UKPDS la riduzione della glicemia nei pazienti con diabete di tipo 2, obesi e ad alto rischio, trattati con metformina in monoterapia era associata a riduzione degli eventi cardiovascolare avversi (2). Tuttavia, quando è stata prescritta la combinazione di metformina e sulfonilurea, si è osservato un aumento del rischio, contrariamente a quanto si notava in alcuni studi osservazionali. Questa discrepanza può essere dovuta a differenze nelle popolazioni di questi studi. Può essere importante non solo ridurre la glicemia, ma anche prendere in considerazione la scelta del farmaco usato per ottenere questa riduzione. Una metaanalisi recente ha dato luogo a discussioni DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 su alcuni nuovi farmaci impiegati nella riduzione della glicemia, perché ha indicato che il rosiglitazone può essere associato ad aumento del rischio d’infarto del miocardio e possibilmente di morte (19). È importante sottolineare che gran parte di questo aumento di rischio con rosiglitazone è stato osservato nei trattamenti combinati (20). Tuttavia l’analisi ad interim del trial Rosiglitazone Evaluated for Cardiac Outcomes and Regulation of Glycaemia in Diabetes (RECORD) ha dato risultati inconcludenti (21). La nostra metaanalisi è importante nel contesto di quello studio, poiché la combinazione di metformina e sulfonilurea è il gruppo comparatore, rispetto alle combinazioni con rosiglitazone. Numerosi studi osservazionali hanno esaminato l’associazione tra trattamento combinato e rischio di CVD e di mortalità per qualsiasi causa. Evans e al. (5) hanno condotto un’analisi del database di 400.000 soggetti scozzesi e hanno identificato 5.730 pazienti cui erano stati prescritti farmaci ipoglicemizzanti orali tra il 1994 e il 2001. I pazienti trattati solamente con sulfoniluree o in combinazione con metformina apparentemente avevano RR aumentato di esiti cardiovascolari avversi, rispetto ai pazienti trattati con metformina solamente. Era preoccupante notare che la combinazione di sulfonilurea e metformina sembrava annullare il potenziale effetto positivo della metformina sulla CVD osservato nel UKPDS (2). Uno studio di Fisman e al. (14) è stato condotto su 2.275 pazienti affetti da diabete di tipo 2 e coronaropatia, che partecipavano al Bezafibrate Infarction Prevention Study. I pazienti sono stati seguiti per 7 anni e gli autori hanno dimostrato che gli eventi cardiovascolari e la mortalità erano gli stessi se erano trattati con una sulfonilurea o con metformina. Tuttavia v’era un 77 DIABETES CARE, AUGUST 2008 aumento significativo, correlato al tempo, della mortalità quando si usava il trattamento combinato. Olsson e al. (10) hanno analizzato la mortalità in una coorte di modeste dimensioni di pazienti che assumevano sulfoniluree da sole o in combinazione con metformina e hanno osservato una mortalità cardiovascolare più elevata nei pazienti che assumevano la combinazione, rispetto alla sulfonilurea da sola. Nella nostra meta-analisi l’esclusione dello studio di Johnson e al. (15) produceva un aumento significativo del rischio di mortalità per CVD, associato al trattamento combinato con metformina e sulfonilurea. Lo studio di Johnson e al. (15) riportava la riduzione del rischio di mortalità per CVD, associata al trattamento combinato con metformina e sulfonilurea, rispetto alla sulfonilurea in monoterapia, ma lo studio aveva molti limiti. Un numero notevole di pazienti erano stati esclusi per uso d’insulina a breve termine. I pazienti cui era stato prescritto il trattamento combinato erano di 2.3 anni più giovani, rispetto a quelli che avevano avuto prescritta metformina in monoterapia e di 5.8 anni, rispetto ai pazienti che avevano avuto prescritta sulfonilurea in monoterapia, una discrepanza che è difficile spiegare. I pazienti affetti da malattia più grave o da malattie intercorrenti, compresa ospedalizzazione per eventi cardiovascolari, possono avere richiesto l’uso d’insulina e pertanto sono stati esclusi dallo studio. Nella nostra analisi abbiamo osservato una associazione relativamente maggiore con eventi di CVD fatale e non fatale, rispetto a eventi solamente fatali, e ciò indica che l’incidenza di eventi di CVD può essere incrementata dal trattamento combinato, ma può esservi stato un tasso inferiore caso-fatalità. Questo è in disaccordo con i dati recenti dello studio Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes (ACCORD) (22), nel quale il trattamento intensivo con combinazioni multiple di trattamenti per il diabete era associato a riduzione di eventi di CVD non fatale, ma aumento di eventi fatali. Non è possibile determinare il motivo di questa discrepanza, sebbene è possibile che i pazienti degli studi osservazionali inclusi nella nostra analisi non avessero valori della glicemia tanto bassi come quelli del trial ACCORD. Vi possono essere numerose spiegazioni dell’aumento di rischio associato a questa combinazione. Primo, è possibile che i pazienti che necessitano di questa combinazione abbiano una forma più aggressiva della malattia e pertanto un deterioramento più rapido del controllo della glicemia nel tempo. Secondo, le sulfoniluree sono associate ad aumento di peso, mentre la metformina è associata a perdita di peso, e anche a qualche migliora- 78 mento di numerosi fattori di rischio cardiovascolare. Qualsiasi aumento di peso indotto dalla combinazione può annullare alcuni di questi effetti positivi ed aumentare i rischi. Altre spiegazioni possibili comprendono la nota propensione delle sulfoniluree a causare ipoglicemia. Quando sono impiegate in combinazione con un farmaco come la metformina, che può ridurre la produzione di glucosio epatico, il recupero dall’ipoglicemia può subire alterazioni. L’ipoglicemia può aumentare il rischio di anomalie cardiovascolari, come l’ischemia e le aritmie (23,24). V’è notevole controversia anche circa l’impatto delle sulfoniluree sul pre-condizionamento ischemico (25), ma nulla si sa degli effetti del trattamento combinato. Sebbene una meta-analisi non sia il modo migliore per testare l’efficacia e la sicurezza di questa combinazione di trattamenti, è altamente improbabile che per testare quest’ipotesi venga condotto un trial clinico su larga scala. Pertanto, per arrivare a delle conclusioni, dobbiamo affidarci ai dati di studi osservazionali ed emanare raccomandazioni appropriate. È anche poco chiaro in quale misura certi errori e limiti metodologici, come confondenti residui, possano esistere negli studi compresi nella nostra meta-analisi, poiché la maggioranza di essi erano analisi retrospettiche di database. Inoltre il gruppo di riferimento variava negli studi. Ad esempio, alcuni studi usavano il gruppo trattato con regime alimentare come gruppo di riferimento, mentre altri usavano i gruppi trattati con sulfoniluree o metformina in monoterapie. Infine, abbiamo osservato eterogeneità quantitativa sostanziale negli studi, ma l’esiguità del loro numero ha limitato la nostra capacità di indagare le possibili fonti di questa variabilità. Inoltre i dati delle analisi dei sottogruppi dovrebbero essere interpretati con cautela, poiché il numero di studi esaminati era ridotto. Complessivamente i nostri risultati rassicurano e preoccupano contemporaneamente coloro che prescrivono i farmaci antidiabetici in trattamenti combinati, per ottenere un buon controllo della glicemia. Poiché con ogni probabilità sulfoniluree e metformina sono i farmaci di più ampio uso in combinazione è possibile che questo uso causi un miglioramento iniziale del controllo della glicemia che, di per sé, può migliorare gli eventi microvascolari. Sebbene il regime alimentare da solo sia associato a minor rischio di mortalità, nel UKPDS il solo regime alimentare era associato ad aumento delle complicanza microvascolari (2). Pertanto si devono bilanciare i rischi e i benefici dei farmaci usati quando si prendono decisioni relative al trattamento. Vogliamo sottolineare che questa meta-analisi ha dei limiti e serve a esaminare i dati pubblicati per dare luogo a nuove ipotesi. Questo tipo di analisi non dovrebbe essere impiegato come base di decisioni cliniche. Noi speriamo che essa suggerisca la programmazione di trial clinici futuri, per la valutazione non solo di un buon controllo della glicemia, ma anche del modo più sicuro ed efficace per raggiungere gli obiettivi glicemici. Chiaramente abbiamo bisogno di ulteriori studi per valutare l’associazione tra trattamento combinato con metformina e sulfonilurea e mortalità per qualsiasi causa e/o cardiovascolare e per capire il potenziale meccanismo dei suoi effetti deleteri. Bibliografia 1. UK Prospective Diabetes Study Group: Effect of intensive blood glucose control with metformin on complications in overweight patients with type 2 diabetes (UKPDS 34). 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Usato in tutto il mondo nel monitoraggio della glicemia cronica, esso è uno strumento essenziale per determinare se un paziente ha raggiunto l’obiettivo alla base del trattamento del diabete: la riduzione netta e sostenuta della glicemia plasmatica per ottenere un valore il più vicino possibile alla normalità, sostenibile in sicurezza. Con la pubblicazione dello studio A1c-Derived Average Glucose (ADAG) in questo numero di Diabetes Care (1), l’evoluzione del dosaggio dell’A1C continua e si raggiunge un punto fermo importante. Per apprezzare al meglio questo studio può essere utile una breve prospettiva storica, sicuramente incompleta. 60 anni fa Allen e al. (2) dimostravano che l’emoglobina A (che costituisce circa il 97% dell’emoglobina totale) contiene 3 componenti minori, denominati HbA1a, HbA1b e HbA1c (A1C). Nei decenni successivi abbiamo appreso che a queste componenti è attaccata una molecola di esoso (3) e che l’emoglobina A ha in effetti altri 2 derivati glicati minori. Tutti e 5 insieme essi compongono ~5.7% della molecola di HbA (4). Nella fase iniziale della separazione dell’emoglobina Huisman e Dozy (5) hanno notato, del tutto incidentalmente, che il valore delle componenti di emoglobina glicata aumentava in alcuni soggetti che stavano studiando e che erano diabetici. Ci sono voluti altri 4 anni, tuttavia, prima che Rahbar e colleghi (6,7) documentassero che il diabete è chiaramente associato ad aumento dell’emoglobina glicata. Gli studi di Rahbar hanno indotto altri ricercatori a confermare questi dati iniziali e a cercare la spiegazione di come il glucosio si lega all’emoglobina. Alcuni anni dopo, nel 1972, Bunn e al. (8) dimostravano che la causa dell’aumento dell’emoglobina glicata nel diabete, che interessava prevalentemente la componente A1C, era la glicazione enzimatica in eccesso durante l’intero arco di vita dei globuli rossi, in maniera essenzialmente irreversibile. Di conseguenza l’intreccio A1C- diabete è passato dalla chimica clinica alla medicina clinica. Koenig e al. (9) sono stati i primi a dimostrare che i valori dell’A1C ben si correlavano con la glicemia a digiuno e hanno concluso che “proba- N 80 bilmente riflettono… la concentrazione media giornaliera della glicemia … e possono fornire un indice migliore del controllo della glicemia del paziente.” Infatti subito dopo il loro studio molti altri ricercatori hanno confermato una forte associazione tra A1C e controllo della glicemia e la rilevanza clinica della misura (10-15), che superava per utilità la valutazione convenzionale che si faceva allora del controllo metabolico nel tempo (cioè segni, sintomi, urine e valore della glicemia). Gli accurati esperimenti biochimici effettuati negli anni ‘70 e ‘80 del secolo scorso, i più importanti quelli di Mortensen e Christophersen (16), hanno dimostrato che la frazione di A1C in un campione dipende dai valori della glicemia in un periodo di tempo precedente, come anche dal ricambio dei globuli rossi e raggiunge lo stato stazionario tra la 4° e la 12° settimana. Questa cinetica è stata supportata da numerosi studi clinici su pazienti con diabete di tipo 1 e di tipo 2, nei quali si osservava che il valore dell’A1C si correlava bene con la regolazione della glicemia (17) o con la glicemia media misurata nel tempo con punture multiple del dito (9,15,18-24). Con il maggiore impiego del test dell’A1C, dozzine di differenti metodiche analitiche, basate su diversi principi di assay (come la cromatografia con scambio di ioni, l’immunoassay e l’elettroforesi) sono state usate per la misurazione dell’emoglobina glicata. Senza un metodo di riferimento comune e assay standardizzati, i risultati variavano considerevolmente quando lo stesso campione era testato in laboratori o con metodi diversi, e anche quando era testato ripetutamente con la stessa metodologia. Era del tutto frequente, ad esempio, avere valori che andavano dal 4.0 all’8.1% nello stesso campione ematico (25). Inoltre gli assay usati allora (e anche oggi) nella medicina clinica non misuravano solo l’A1C, ma anche altri componenti dell’emoglobina glicata e i risultati erano riportati come A1C, HbA1 o emoglobina glicata totale. I risultati erano influenzati anche da altre sostanze interferenti. Il Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) Study Group ha riconosciuto questi problemi e ha centralizzato la misura dell’A1C sin dall’inizio dello studio, in maniera da evitare risul- tati confondenti se questo analita chiave fosse stato misurato in siti diversi dello studio (26). E inoltre, anticipando i risultati del DCCT, l’American Association for Clinical Chemistry (AACC) ha dato vita nel 1993 un gruppo di lavoro per la standardizzazione dell’A1C, per dare consistenza alla misura dell’A1C e fare risalire i risultati del DCCT, in maniera tale che questi risultati potessero essere direttamente correlati al rischio di progressione della complicanze diabetiche. Successivamente all’elaborazione del protocollo di standardizzazione, il gruppo dell’American Association for Clinical Chemistry è stato sciolto e nel 1996 è nato il National Glycohemoglobin Standardization Program (NGSP) (27). In breve, nel NGSP il metodo di riferimento è la misura dell’A1C ottenuta mediante cromatografia liquida ad alta prestazione con scambio di ioni, come nel DCCT. I produttori di equipaggiamento per test possono ottenere la certificazione del NGSP se i loro strumenti sono calibrati in maniera tale da ottenere risultati sovrapponibili a quelli del NGSP. Anche i laboratori possono ottenere questa certificazione, grazie allo stesso protocollo e fornire conseguentemente servizi ottimali. Tutto questo ha prodotto una drastica riduzione della variabilità tra laboratorio e laboratorio e un deciso miglioramento in quanto a precisione e comparabilità dei valori (28). Nel 2007 ~99% di tutti i risultati dei test dell’A1C negli Stati Uniti erano riconducibili a quelli ottenuti nel DCCT, con percentuali simili nei risultati dei test in tutto il Regno Unito e in Canada (D. Sacks, comunicazione personale). Sebbene non siano disponibili dati comparabili di altri paesi, gran parte dei test dell’A1C in tutto il mondo e riconducibile alle cifre del DCCT. Ma rimangono dei problemi. Primo, il metodo di riferimento della cromatografia liquida ad alta prestazione impiegato nel NGSP è in qualche modo non specifico, in quanto quella metodologia, come tante altre, non misura solamente l’A1C. Sebbene questo problema sia risolto dall’uso di un solo metodo di riferimento, nel mondo della chimica clinica questa situazione è “incerta dal punto di vista metrologico”. Secondo, sebbene la maggior parte dei metodi usati in tutto il mondo siano certificati dal NGSP, esistono altri programmi di standardizzazione, DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, AUGUST 2008 i più importanti in Giappone (29) e in Svezia (30). Pertanto non esiste un vero e proprio programma internazionale di standardizzazione. Questi due problemi hanno fatto sì che nel 1995 l’International Federation of Clinical Chemistry and Laboratory Medicine (IFCC) intraprendesse lo sviluppo di un metodo di riferimento veramente specifico, che misurasse solamente l’A1C e che comportasse una standardizzazione globale, sulla base di un sistema internazionale di misurazione, valido dal punto di vista metrologico (31). L’IFCC non solo è riuscita (32,33) a sviluppare un assay siffatto, ma il metodo di riferimento è stato approvato da parte di tutte le società che la compongono ed è stato organizzato un network globale di laboratori di riferimento (33). Ma spesso il progresso comporta altri problemi e difficoltà. Primo, il metodo IFCC è molto complicato, richiede un equipaggiamento costoso (uno spettrometro di massa) ed è complessivamente molto caro. Pertanto, così come succede con altri metodi di riferimento, non può essere usato in un laboratorio clinico per test di routine dell’A1C. Questo significa che può essere usato solamente per calibrare gli strumenti di laboratorio che misurano l’A1C nella maniera tradizionale, cioè con uno qualsiasi dei tanti metodi disponibili. Per quanto deludente questo fatto non diminuisce l’importanza dell’odierna disponibilità di un programma più solido di standardizzazione. Secondo, e molto più importante, poiché il nuovo metodo di riferimento misura l’A1C stessa, e pertanto non si individuano più i componenti non-A1C, si riduce il range normale dell’A1C – di circa 2 punti percentuali rispetto a quelli riportati correntemente. Inoltre l’IFCC ha raccomandato (per essere corretti dal punto di vista metrologico) di esprimere l’A1C in millimoli di A1C per mole d’emoglobina totale; questo produrrebbe un range normale di circa 29-43 mmol di A1C/mole di emoglobina (34). Un passaggio a percentuali inferiori d’A1C sarebbe indubbiamente e intollerabilmente confondente e probabilmente provocherebbe deterioramento del controllo della glicemia (35), ma un passaggio di massa alle unità dell’IFCC creerebbe sicuramente confusione. Sebbene si possa programmare uno strumento per la conversione dei nuovi valori IFCC a quelli derivati dal DCCT, l’IFCC ha sostenuto che l’espressione di un analita come percentuale non è corretta dal punto di vista metrologico e pertanto non dovrebbe essere usata. In risposta alle di- rettive proposte dall’IFCC è stato creato un gruppo di lavoro American Diabetes Association/International Diabetes Federation (che incorporava rappresentanti dell’IFCC) per formulare raccomandazioni su come evitare questo problema (36). Ne è emerso non solamente la raccomandazione che le cifre derivate da DCCT dovrebbero essere possibilmente mantenute, ma anche che dovrebbe essere avviato uno studio internazionale che indaghi con maggiore attenzione la relazione che intercorre tra A1C e glicemia media. In caso di “successo” dello studio potremmo almeno adottare un’unità derivata da A1C (ad es., “glicemia media stimata” in milligrammi per decilitro o millimoli per litro), che risolverebbe l’obiezione dell’IFCC ad avere risultati di laboratorio espressi come percentuali. Questa proposta è stata successivamente ratificata in un documento ufficiale di consenso, emanato da tutte e 4 le organizzazioni (37). La logica di un ulteriore studio che esamini la correlazione tra glicemia media e A1C è partita dalla osservazione che gli studi già pubblicati usavano molteplici misure della concentrazione glicemica, arruolavano pochi soggetti (soprattutto soggetti con diabete di tipo 1), eseguivano le misure per periodi limitati di tempo e, quel che più conta, raccoglievano campioni della glicemia con frequenza inadeguata (prevalentemente durante il giorno). Ad esempio, la tabella di conversione citata frequentemente negli American Diabetes Association Standards of Medical Care in Diabetes – 2007 (38) si basava sulla campionatura limitata della glicemia capillare nel DCCT e in effetti l’intenzione dello studio non era di determinare la correlazione tra glicemia media e A1C. Pertanto era necessario avere maggiori evidenze che l’A1C rappresenti veramente la glicemia media. Adesso abbiamo i risultati dello studio internazionale (1), che confermano ed estendono dati precedenti. I punti di forza dello studio sono il fatto che esso esamina la correlazione tra A1C e glicemia media in un ampio spettro di valori dell’A1C – da ~5% al 13% - e in un numero di soggetti maggiore di quanto non fosse mai stato fatto. Inoltre esso ha arruolato soggetti normali e soggetti con diabete di tipo 1 e di tipo 2, in numeri sufficienti a far concludere che la correlazione tra le 2 variabili era consistente in questi sottogruppi e anche relativamente ad altre variabili importanti (età, appartenenza etnica, fumo). Infine lo studio ha DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 effettuato ~2.700 misure della glicemia in ciascun partecipante, cifra che supera di gran lunga quella di quasi tutti gli studi precedenti. I risultati supportano chiaramente l’ipotesi che v’è una forte correlazione lineare tra glicemia media e A1C, con un coefficiente di correlazione (R2) di 0.84. I dati dell’ADAG indicano che ad ogni valore medio della glicemia o dell’A1C, v’è qualche dispersione (si veda la figura 1 nello studio ADAG) e questo comporta una correlazione non proprio perfetta. Ciò dipende da un errore di misurazione o indica che il valore dell’A1C riflette processi che vanno oltre la semplice glicazione dell’emoglobina dipendente dal tempo e dalla concentrazione della glicemia? Per risolvere questo dubbio sarebbe necessario uno studio ancora più esteso, condotto idealmente in un solo centro, su soggetti più diversificati, mesi di monitoraggio continuo della glicemia senza interruzioni e, quel che più conta, un errore di misurazione di gran lunga inferiore di quanto non si osserva attualmente. Lo studio di Nathan e al. (39), nel quale sono state effettuate 24.000 misure in ciascun partecipante ha prodotto un R2 (0.81) e un’equazione di regressione molto simili a quelli riportati nello studio ADAG, e ciò indica che la correlazione non migliora se si effettuano più misurazioni. Pertanto non ci spieghiamo ~16-19% della variazione, ma dato per scontato che v’è un modesto errore di misurazione nella determinazione dell’A1C (forse il 2-5%), le limitazioni imposte dalla metodologia possono spiegare la variazione residua. Naturalmente questo studio non ci permette di concludere che la correlazione è valida in tutte le popolazioni. Questo significa che molte popolazioni (ad es. asiatiche, delle isole del Pacifico, bambini) non sono state studiate ed è concepibile che la fisiologia della glicazione differisca in questi gruppi, sebbene non ve ne sia una ragione ovvia. Uno studio recente (40), che ha dimostrato una correlazione relativamente modesta tra glicemia media e A1C nei bambini, non dovrebbe sollevare dubbi sulla traslazione dello studio ADAG ad altre popolazioni. In quello studio (40) non risulta chiaro se i valori dell’A1C erano stabili per tutta la durata dello studio e quante misure della glicemia sono state effettuate in ciascun partecipante ed esistono dubbi su precisione e accuratezza dell’apparecchiatura usata nel monitoraggio continuo della glicemia e su altre problematiche (1). 81 DIABETES CARE, AUGUST 2008 Nello studio ADAG le differenze nei vari gruppi etnici non erano statisticamente significative. Tuttavia lo studio non era adeguatamente potenziato per individuare queste differenze e, in un gruppo, le differenza si avvicinavano alla significatività. Sebbene altri studi abbiano dimostrato un’associazione tra appartenenza etnica e A1C quando i valori della glicemia sono simili (41,42), in tutti gli studi le misure della glicemia erano abbastanza infrequenti, le popolazioni dello studio non erano controllate per emoglobinopatia e non v’erano misure del tasso di glicazione, relativamente all’etnia. Chiaramente siamo in un campo che ha bisogno di ulteriori indagini. È importante sottolineare che i ricercatori ADAG hanno voluto studiare i pazienti con glicemia “stabile” – pre-definita come una modificazione dell’A1C < 1% nel corso dello studio – e tutti, tranne il 4%, erano stabili in base a questa definizione. Non sorprende che vi fosse qualche modificazione, soprattutto perchè i pazienti eseguivano un numero considerevolmente maggiore di automonitoraggi, rispetto alla vita reale. Tuttavia una modificazione dell’1% con un valore basale di 11% ha implicazioni differenti da quelle associate a una modificazione simile con 7%. I ricercatori hanno scelto a ragione di correlare l’A1C della fine dello studio con la glicemia media stimata (eAG) e questo consente di affermare che la glicemia media riflette la glicemia dei 3 mesi precedenti. Che cosa significa tutto questo nella pratica clinica? A un livello di base, quando i clinici spiegano ai pazienti che cosa “significa” A1C, questi oggi sanno che la spiegazione fornita da decenni – “è la sua glicemia media negli ultimi mesi” – è vera. Inoltre, sapere qual’è la propria glicemia media dovrebbe essere utile a clinici e pazienti, nella misura in cui il valore del controllo prolungato della glicemia (A1C) può essere credibilmente reso nelle stesse unità comunicate al paziente al momento della diagnosi e dei valori ottenuti con l’auto-monitoraggio. Infine abbiamo una nuova opportunità di (ri)educazione per quanto attiene all’importanza del controllo glicemico e della gravità del diabete. Poiché i risultati dello studio soddisfacevano i criteri a priori, l’accordo redatto nel documento di consenso da parte di European Association for the Study of Diabetes, International Diabetes Federation e IFCC (37) entrerà in vigore. Pertanto è auspicabile che i clinici che richiedono il test dell’A1C ricevano dal laboratorio una documentazione che contiene il valore solito 82 dell’A1C, l’eAG derivata da quella misura e una unità IFCC, che sarà probabilmente ignorata (in millimoli per mole). L’American Diabetes Association e l’European Association for the Study of Diabetes hanno intenzione di avviare un programma educativo comprensivo, centrato sulla conoscenza della propria glicemia media e stanno pubblicando una nuova tabella di conversione basata sull’equazione derivata dallo studio ADAG. È possibile che i pazienti si confondano vedendo che la glicemia “media” nei loro glucometri non collima con l’eAG. Tuttavia anche questo fornisce l’opportunità di educare i pazienti alle fluttuazioni della glicemia, che possono verificarsi in momenti diversi da quelli previsti nei loro programmi di monitoraggio. Inoltre, il 95% CI del eAG per qualsiasi valore dell’A1C implica incertezza sulla “vera” media – a maggior ragione quando i valori dell’A1C sono molto elevati. Ma dovremmo ricordarci che ogni punto di stima in medicina comporta incertezza in quanto a imprecisione del laboratorio e che questa variazione viene quasi sempre ignorata. Se necessario, tuttavia questi CI danno ai clinici l’opportunità di fornire ai pazienti il range della loro glicemia media. Un altro limite potenziale dello studio è l’esclusione specifica di soggetti affetti da condizioni che potevano influire sull’A1C, ad es. emoglobinopatie. L’inadeguato riconoscimento di quest’ultima nella pratica clinica limita l’interpretazione dell’A1C e limiterà l’utilità della discussione sull’eAG in questi pazienti. Nonostante i limiti di cui abbiamo appena parlato, lo studio di Nathan e colleghi (1) con ogni probabilità rimarrà un riferimento chiave relativamente alla correlazione tra A1C e glicemia media. Sicuramente il termine A1C, insieme alle sue unità correnti e al range normale, non scomparirà né si modificherà. Inoltre, qualunque sia lo strumento e l’assay utilizzato in un laboratorio clinico, essa continuerà a rimanere lo stesso, anche se il metodo di riferimento usato nella calibratura diventerà più preciso. Un operatore sanitario che desidera comunicare ai suoi pazienti l’A1C potrà certamente continuare a farlo. Ma coloro che sono interessati ad aggiungere una nuova strategia per il miglioramento delle cure oggi hanno a disposizione un nuovo termine che probabilmente sarà più semplice spiegare ai pazienti e che conferirà più significato e importanza al controllo della glicemia. Da: the 1 American Diabetes Association, Alexandria, Virginia e the 2Tulane University School of Medicine, New Orleans, Louisiana. Bibliogragia RICHARD KAHN, PHD1 VIVIAN FONSECA, MD2 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 DIABETES CARE, AUGUST 2008 DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 83 Diabetes Care edizione italiana DIRETTORE SCIENTIFICO ED EDITORIALE Prof. Domenico Cucinotta DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO DI MEDICINA INTERNA - UNIVERSITÀ DI MESSINA DIRETTORE RESPONSABILE Riccardo Bonaventura Registrato Tribunale Milano 28.09.1999 n. 607 Stampato da: Rino Labate e d i t o r e per: With permission from Diabetes Care. Copyright © 2002 by American Diabetes Association, Inc. The American Diabetes Association takes no responsability for the accuracy of the translation from English. Tutti i diritti di traduzione, adattamento parziale o totale con qualsiasi mezzo (compresi microfilm, copie fotostatiche e xerografiche) sono vietati. Periodico associato all’USPI Traduzioni: Giovanna Mannino In redazione: Barbara Labate e Luigi Fedele In copertina : Barca a vela, foto di Barbara Labate 84 DIABETES CARE, AUGUST 2008 Rino Labate e d i t o r e Via Pietro Castelli, pal. ILES - 98122 Messina corrispondenza: Viale P. Umberto, 101/A cell. 347/4194987 E-mail: [email protected] Stampato nel mese di Marzo 2008 da: OFFICINA GRAFICA srl - Via Matteotti, 4 89018 Villa San Giovanni (RC) Tel. 0965.752886 - e-mail: [email protected] DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO 32 - DICEMBRE 2008 85 86