geografia umana politica religiosa valpescara medioevo
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geografia umana politica religiosa valpescara medioevo
C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – Archeologia Medievale XXVII, 2000, pp. 101-129 NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI volutamente richiama, con intento comparativo, metodi e risultati. Le fonti storiche e documentarie, pervenute in numero assai consistente e relative ai secoli IX-XIV, permettono di tracciare ipotesi ricostruttive sulle modalità di occupazione, organizzazione e gestione del territorio nell’età franco-longobarda e nell’età normanna. Si tratta prevalentemente di cronache e documenti monastici, secondariamente di testimonianze di carattere economico ed amministrativo 2. Lo spoglio dei documenti editi ed inediti è stato soprattutto mirato alla comprensione delle realtà istituzionali e delle entità politiche ed economiche attive nel comprensorio di Loreto fra IX e XII secolo, con lo scopo di percepire i rapporti non sempre facili tra le forze in gioco e di cogliere i caratteri della loro azione organizzatrice sul territorio. È emersa l’importanza storica non solo dei singoli provvedimenti, ma anche delle costanti, che permettono di inserire alcune iniziative concrete in disegni strategici di più ampio respiro e che aiutano a sondare la temperie politica e socio-culturale dell’epoca. I modelli, che ne risultano e che si riferiscono ai secoli posteriori al IX, riflettono certamente alcune realtà di origine precedente, le cui caratteristiche possono essere ricostruite tramite l’indagine archeologica e, non secondariamente, tramite l’interpretazione dei documenti medievali secondo un’ottica volta all’individuazione degli elementi superstiti del paesaggio antico e alla ricostruzione delle fasi del popolamento e dello sfruttamento agricolo del territorio tra età imperiale ed alto medioevo. Il metodo seguìto dalla Miglia-rio per il proprio studio sulla Sabina 3 e, in generale, sull’Italia centro-appenninica è da questo punto di vista esemplare, perché si fonda prevalentemente sull’analisi dei documenti farfensi e ne interpreta il contenuto riferendolo sistematicamente alla situazione economica ed insediativa della zona in età romana (tardorepubblicana, imperiale e tardoantica): nella vocazione agricola dell’area e nella incisiva presenza di strutture e infrastrutture romane individua gli elementi che favoriscono la gradualità della transizione e l’adattamento/riproposizione di schemi insediativi ed organizzativi dell’attività economica e produttiva. La marcata ruralità del territorio e la prevalenza dell’attività agricola; l’economia aperta agevolata dalla sopravvivenza di gran parte dell’assetto viario antico; la continuità nel carattere “pubblico” di alcuni terreni (agri publici, proprietà imperiali, gualdi e curtes monastiche); l’incidenza del latifondo (indicato dalla frequenza di prediali) nella costituzione dei patrimoni monastici sono elementi che contraddistinguono anche l’area della Val Pescara e giustificano l’adozione di un’ipotesi continuista nell’accostarsi alla documentazione scritta e archeologica. I dati di carattere archeologico provengono da una serie di scavi e da una capillare attività di survey, che, in atto da diversi anni nel comprensorio della Val Pescara, è stata promossa dalla Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo ed ha via via coinvolto enti locali ed istituzioni universitarie. In particolare, nell’area comunale di Loreto Annalisa Colecchia GEOGRAFIA UMANA, GEOGRAFIA POLITICA, GEOGRAFIA RELIGIOSA: ASPETTI DI ORGANIZZAZIONE E GESTIONE DEL TERRITORIO IN UN’AREA DELLA COLLINA ABRUZZESE TRA ETÀ TARDOANTICA E MEDIOEVO INTRODUZIONE Inquadramento religioso e inquadramento politico di un territorio sono aspetti strettamente interconnessi e intimamente legati alle caratteristiche del popolamento ed alle strategie di controllo e di gestione economica. Negli anni compresi tra età tardoantica ed altomedioevo, quando la distinzione tra forze laiche e ecclesiastiche è oltremodo fluida, quando l’intreccio degli interessi politici, economici, sociali è assai articolato, l’organizzazione del paesaggio antropico non può che riflettere la complessità di tali legami. Nella caratterizzazione di un territorio, allora, al di là del rapporto diretto tra i vari elementi del sistema, – edificio di culto e comunità dei fedeli, centro democoltile e unità dipendenti, castello e relative pertinenze, etc. –, non si possono disconoscere le reciproche influenze e gli effetti “devianti” prodotti da altri fattori concomitanti, costituzionali o contingenti che siano: la presenza di un forte potere monastico, per esempio, l’ingerenza signorile più o meno marcata, lo sviluppo e la crisi del sistema curtense, la costruzione di castra e il rafforzamento delle difese del territorio in momenti di particolare pericolo. L’alto numero delle variabili coinvolte consiglia di limitare lo studio ad aree circoscritte ed a singoli casi e di costruire modelli microregionali, dei quali sarà possibile verificare l’estendibilità mediante il confronto dialettico con altre situazioni microregionali e con altri modelli elaborati per territori geomorfologicamente e culturalmente affini 1. Il caso che si vuol presentare riguarda un’area della collina abruzzese, estesa a nord del fiume Pescara, gravitante sul fiume Tavo, e compresa tra il fiume Fino, a nord, ed il Torrente Nora, a sud (odierno comune di Loreto Aprutino, PE, Fig. 1). IL METODO Il presente lavoro è il prodotto di un uso combinato di varie fonti – archeologiche, toponomastiche, documentarie, bibliografiche – e si colloca sulla scia di analoghe ricerche realizzate più o meno di recente in alcuni territori dell’Italia centro-appenninica, di cui 1 C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI to variamente. Mantenendo costante l’attenzione all’elemento topografico, il testo che segue è, quindi, strutturato come analisi dei vari temi (insediamento, inquadramento politico e religioso del territorio, incidenza del potere monastico, strategie di acquisizione e gestione fondiaria promosse da signori laici ed ecclesiastici, contrasti patrimoniali fra abbazie ed episcopato…), sia presi singolarmente sia nelle loro reciproche relazioni. Al paesaggio e alla storia dei secoli IX e seguenti è riservata la parte iniziale dell’esposizione, in quanto, grazie alla diretta integrazione tra fonti scritte e archeologiche, l’elaborazione di modelli è più immediata, e l’interpretazione dei documenti agevola anche la lettura del territorio. La ricostruzione procede diacronicamente e sincronicamente mediante la presentazione, all’interno di un medesimo periodo, di casi ed esiti particolari che costituiscono varianti dello stesso modello. La ricostruzione del paesaggio antico occupa l’ultima parte del presente lavoro e si basa, oltre che sulla lettura “retrospettiva” delle fonti documentarie medievali, su una notevole quantità di dati archeologici relativi al periodo romano ed all’età tardoantica. Aprutino, nell’ambito di un progetto di studio e valorizzazione del territorio, hanno operato le Università di Siena, Pisa, Chieti, che sono state impegnate in alcuni saggi di scavo (Colle Fiorano/Masseria Zopito Colantonio, Cordano/Santa Caterina) e nella redazione di una carta archeologica 4. L’analisi geomorfologica, l’aerofotointerpretazione e l’individuazione di tracce di possibile origine antropica, la menzione nelle fonti scritte di sedi di popolamento o di aree di frequentazione, le segnalazioni dei locali gruppi archeologici hanno riguardato larghe zone, indagate parzialmente e per piccoli campioni che spesso si sono concentrati in spazi circoscritti o sono andati a collocarsi lungo direttrici viarie. La ricognizione sistematica di un esteso campione, scelto in modo da riassumere ed esemplificare le caratteristiche geomorfologiche del territorio, ha completato il lavoro sul campo: il campione è costituito dall’intero complesso di Fiorano, che, dalla dorsale del colle omonimo si sviluppa verso sud, diramandosi nelle propaggini di Loreto, S. Quirico, Fiorano Basso-Proprietà del Preposto, Fiorano Basso-Masseria Acerbo (Fig. 2). L’interpretazione dei dati è stata guidata da un ampliamento di prospettiva e dal confronto con modelli storico-archeologici elaborati per illustrare aspetti del popolamento in altri territori dell’Italia centrale: il modello diacronico (dall’età imperiale all’altomedioevo) creato da Elvira Migliario per la Sabina (agro curense) e dedicato alla definizione e allo studio delle strutture agrarie del territorio 5 (cfr. supra); i modelli proposti da Toubert6, che si soffermano sull’originalità strutturale della curtis italiana in età carolingia; le preziose note di Feller7, redatte in margine al Chronicon Casauriense; gli esempi che Wickham8 ha desunto dallo spoglio del Chronicon Vulturnense e che si riferiscono all’organizzazione della terra S. Vincentii negli anni precedenti l’incastellamento. Sono state utilizzate anche osservazioni relative all’area del medio e basso Vomano e al territorio pedemontano dei comuni di Teramo e Mon-torio (insediamenti collocati fra i 250 ed i 650 m s.l.m.). I risultati delle indagini condotte in questo comprensorio valgono ad affermare una fondamentale continuità nella scelta dei siti dall’età romana al pieno medioevo e, nello stesso tempo, fenomeni di più o meno intensa mobilità insediativa che interessano perlopiù l’area collinare e pedemontana 9. 1. L’INQUADRAMENTO POLITICO E RELIGIOSO DEL TERRITORIO TEMATICHE E CRONOLOGIA DI RIFERIMENTO Pluralità di elementi costitutivi del paesaggio antropico (centri politici e militari, luoghi di culto, insediamenti, strade, terre colte e incolte), da un lato, pluralità di fonti dall’altro. Per non far torto alla ricchezza di informazioni e suggestioni possibili, è corretto, allora, articolare la ricostruzione del paesaggio “storico” in una serie di modelli, perlopiù complementari talvolta alternativi. Intesi non solo come modelli di popolamento, ma anche come approfondimenti tematici, illustrano ciascuno un particolare aspetto dell’organizzazione e gestione del territorio in un lasso di tempo più o meno ampio e caratterizza2 1.1. Il castrum Laureti e la pieve di S. Pietro in Loreto Il castrum Laureti 10 è il fulcro politico-militare del settore che si estende a nord del fiume Tavo e, per la sua antichità oltre che per la sua importanza, rappresenta un punto di riferimento costante nell’organizzazione del territorio. Il passo della Chronica Monasterii Casinensis (I, 45), in cui viene per la prima volta menzionato, permette di definire la sua area di influenza diretta e di ancorare elementi topografici del passato ad elementi topografici del presente. Grazie alle indicazioni spaziali si possono stabilire alcune coordinate fondamentali: il testo dell’884 delimita la medietatem castri Laureti, intra quos fines nulli omnino aliquid pertinet nisi tantum monasterio Casinensi. Assumendo come punto di partenza il castello di Loreto, il limite del territorio coincide, a nord, con il fossatum de Rosiccle 11 (Fosso Moretto) cum ecclesia que ibi constructa est in honore sancti Felicis 12 ; poi, costeggiando il fossatum de Doreniano (Fosso Bottarane), arriva al fiume Tavo; prosegue lungo il Tavo verso ovest, fino alla località di Paterno; da qui recte ascendit fino al fonte di Loreto e ritorna al castello (Fig. 3). Questo testo introduce il problema della nascita del centro fortificato di Loreto. Le ipotesi sulla sua origine non possono prescindere dalle trasformazioni nel popolamento dell’area limitrofa di Colle Fiorano 13, dove la riduzione dei nuclei abitativi, riscontrata fra età tardoantica ed altomedioevo, potrebbe essere messa in relazione con le fasi della penetrazione longobarda nel territorio dell’Abruzzo adriatico. Tra il Tavo ed il Pescara, zona di frontiera, lo scontro fra Bizantini e Longobardi deve essere stato particolarmente acceso e deve essersi protratto per molti anni con esito alterno (secoli VI e VII): il territorio di Lo- C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI che, travalicando i confini amministrativi del castrum Laureti, comprende aree soggette al castrum Collis Corbinii ed arriva forse ad abbracciare un ambito ancora più esteso, tra il Fino ed il Tavo 18. Dipendono dal capitolo di S. Pietro parecchie cappelle e chiese rurali, distribuite nel borgo e nel territorio circostante, che, nel Catalogus ecclesiarum del 1283, risultano in numero di diciannove. È certo questo il momento di massimo sviluppo della chiesa di S. Pietro; nell’elenco delle decime versate nel 1324 ai collettori della curia romana, infatti, le cappelle dipendenti sono ormai solo quattordici 19. Mentre alcune di queste chiese sono state donate da Tasso Normanno, il quale particolarmente favorì la badia di S. Pietro, e, in qualche caso, possono vantare origini più antiche di quelle della chiesa matrice, altre sono sicuramente filiazioni di S. Pietro e segnano l’allargamento del centro di Loreto, la sua accresciuta importanza e la ripartizione del popolamento nelle campagne in villae, contratae e frazioni. La strutturazione pievana documentata a Loreto testimonia il modello che Violante definisce «organizzazione per parrocchie» e che collega all’affermazione dell’insediamento per castra ed al consolidamento delle signorie territoriali 20. Vale la pena percorrere brevemente le vicende di alcune chiese rurali per cogliere le modalità di gestione del territorio messe in opera da S. Pietro e dai conti di Loreto. Innanzitutto l’Ecclesia S. Iovenalis 21 che, benché pauperculam, esisteva già prima del 1066, anno della sua dotazione da parte di Tasso Normanno. Con questo importante atto, al quale s’è già accennato, la chiesa diventa detentrice di un ampio territorio, i cui confini sono precisamente delineati nel documento 22. Parallelamente alla definizione del territorio dipendente viene assegnata alla chiesa anche una qualche funzione di cura animarum; le vengono attribuite le decime dei mulini già esistenti e di quelli che saranno eventualmente costruiti lungo il Tavo, in tenimento di Collecorvino; le viene, inoltre, concesso il diritto di ricevere decime da parte di quei proprietari in Loreto ed in Collecorvino che desiderino versarle. Per la sua illuminazione ed il suo mantenimento vengono, infine, destinati alla chiesa di S. Giovenale alcuni possedimenti che Tasso Normanno aveva nel castello di Collecorvino, in contrada Liazzane. Con lo stesso documento la chiesa viene donata alla badia di S. Pietro in Loreto, della quale diventa grancia. S. Giovenale è ancora ricordata nella donazione di Tasso Normanno del 1091: le rendite da essa derivanti vengono esplicitamente destinate al sostentamento dei clerici residenti nella chiesa badiale di S. Pietro. Anche la chiesa di Santa Maria de Recepto o de Praecepto è una delle grance che S. Pietro possiede nel territorio e nel paese di Loreto 23. La sua origine sarebbe da riportare alla prima età normanna, precisamente ai tempi di Tasso Normanno, il quale avrebbe fondato a Loreto un piccolo ospizio di infermi con annessa chiesa. Proprio per la sua vicinanza a questo ospizio, Santa Maria de Recepto è denominata anche dell’Ospedale, ed intorno ad essa sorgono presto altre case, come è attestato dalla tradizione e come è raffigurato in un affresco di S. Maria in Piano. La chiesa di S. Pietro, dunque, amministra i suoi reto è attraversato dalla strada che collega Teate a Pinna e che costituisce il principale tramite di penetrazione nell’area meridionale e costiera. La nascita del castrum Laureti deve essere, allora, fatta risalire agli anni della conquista longobarda (fine VI) e deve essere inserita all’interno della strategia attuata dai Longobardi a difesa di un’area di frontiera 14? La ricostruzione è plausibile, ma i dati documentari ed archeologici finora a nostra disposizione non sono sufficienti per affermarlo. Le caratteristiche del contado dipendente dal castrum Laureti, con la sua organizzazione in casali (Galiano, Paterno, Palme e Rosiccle), si riflettono nei documenti del Chronicon Casauriense, che delineano il paesaggio agrario e la realtà insediativa dei secoli X ed XI e che testimoniano la vitalità dell’abitato sparso in aree prossime al castrum Laureti e da esso dipendenti. Prevalgono le piccole e medie proprietà, vigneti e appezzamenti di terreno spesso con case, che sono oggetto di transazione da parte di privati. In alcuni casi i nomi dei contraenti si rivelano degni di interesse, quando sono accompagnati dalla loro nazionalità (salego) ed attestano la penetrazione di genti franche ed alemanne nel ducato di Spoleto 15. Nella prima metà del XIII secolo il legame tra Galiano, Paterno, Palme, Rosiccle, da una parte, e Loreto, dall’altra, sembra essersi accentuato: la dizione di “casale” è sostituita da quella di “contrata”; le località sono quasi sempre segnalate in pertinentiis castri Laureti, in pertinentiis Laureti, in territorio Laureti; gli atti di compravendita che riguardano queste zone vengono stipulati a Loreto e conservati nell’archivio della chiesa di S. Pietro in Loreto; i proprietari delle diverse porzioni di terreno probabilmente risiedono nel castello stesso. Questa situazione (gravitazione di nuclei sparsi intorno al centro di Loreto) sembra persistere ancora oggi nella geografia antropica del territorio, dimostrando quale fondamentale ruolo giocano i condizionamenti territoriali e la memoria storica nella determinazione dell’attuale paesaggio rurale. È soprattutto in età normanna che, stando alle fonti documentarie, il centro fortificato sancisce la sua preminenza in un distretto territoriale sempre più vasto. Grazie alla protezione ed al controllo dei conti di Loreto, vengono avviati e portati a compimento due processi paralleli, funzionali ad un’unica strategia di controllo sul territorio: si consolida la strutturazione dell’area sottoposta al castrum Laureti e, parallelamente, si definiscono i confini e le pertinenze del distretto territoriale dipendente da S. Pietro in Loreto, che è, nello stesso tempo, chiesa pievana e chiesa castrense. In questo caso sembra che la formazione dei nuovi distretti civili sia stata più rapida della parallela evoluzione delle circoscrizioni ecclesiastiche e che il distretto signorile – originato dal castello – abbia fatto da supporto alla creazione del distretto ecclesiastico 16. I primi conti di Loreto promuovono l’ascesa economica e politica della chiesa di S. Pietro, concedendole il loro quasi esclusivo favore. Negli anni successivi alle donazioni di Tasso Normanno (1066 e 1091) 17 , S. Pietro assume la cura animarum e la raccolta delle decime in una vasta circoscrizione territoriale, 3 C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI nel territorio in oggetto, corrisponde, per alcune sue caratteristiche, a questa tipologia di oratori privati con funzione funeraria; per altre sue caratteristiche sfugge a qualsiasi classificazione e pone difficoltà interpretative risolvibili solo ipotizzando un processo evolutivo. Si riportano separatamente dati archeologici e dati documentari. I dati archeologici – Nel settore centro-occidentale di colle Fiorano, nell’immediato nord-ovest di Loreto, sulle strutture di una villa d’età imperiale viene costruito un edificio di culto, identificabile con la chiesa di S. Serotino. L’edificio, absidato ed orientato est-ovest, è stato oggetto di scavo da parte della Soprintendenza Archeologica d’Abruzzo e delle Università di Siena, Pisa e Chieti; è largo m 9 e lungo m 20 circa ed ha elevati in ciottoli, pezzame laterizio e pietre sommariamente sbozzate legate da malta. Il terminus ante quem per la sua costruzione è fornito dal corredo di una delle due sepolture in cassa di laterizi, ubicate nel fuoco dell’abside: un boccale confrontabile, per forma e motivi decorativi, con esemplari della “ceramica tipo Crecchio” (seconda metà VI-prima metà VII secolo). Altro elemento di datazione e qualificazione del sito è l’applique da cintura del tipo a cinque pezzi, “di tipo longobardo” (prima metà VII), probabilmente pertinente ad una sepoltura distrutta. Oltre alle due tombe privilegiate di cui si è detto, altre sepolture di forma e orientamento diverso, prive di corredo, sono state scoperte sia all’interno dell’edificio sia all’esterno, in prossimità dei suoi perimetrali (sub stillicidio). L’edificio (Fig. 4), originariamente a navata unica, in una fase successiva venne diviso in tre navate su pilastri poggianti su fondazioni di forma quadrangolare in ciottoli di fiume. Anche lo studio degli intonaci dipinti e dei frammenti di sculture altomedievali (plutei e transenne) rinvenuti in loco indirizza verso una distinzione in due fasi, una originaria di VI-VII ed una carolingia, durante la quale venne sicuramente realizzato un rinnovo dell’arredo liturgico. Di poco successivo all’impianto della chiesa è un lungo ambiente rettangolare identificato a nord di essa: ancora non completamente scavato, forse era destinato ad accogliere un fonte battesimale del tipo ad immersione 35. Il completamento dello studio dei materiali e della documentazione di scavo, il prosieguo delle indagini, intensive ed estensive, nell’area chiariranno meglio la relazione tra chiesa e villa. La pianta delle strutture finora messe in luce rivela, comunque, alcune anomalie; innanzitutto l’orientamento non canonico della chiesa (abside rivolto ad ovest) che, se può essere stato determinato dalla volontà dei costruttori di mantenere l’accesso della chiesa indipendente da quello della villa, dimostra che, quando l’oratorio fu costruito, la villa era ancora attiva e che tra le due strutture esisteva una qualche correlazione: furono gli abitanti della villa a promuovere l’erezione della chiesa e ad utilizzarla come luogo privato di sepoltura? I dati documentari – L’identificazione dell’edificio di culto recentemente scavato a Colle Fiorano con la estesi possedimenti terrieri per mezzo di grance. Secondo un’autorevole tradizione storiografica si trova nella condizione di badia nullius 24 e, grazie a questo suo particolare privilegio giuridico, è direttamente soggetta all’autorità ed alla protezione del papato ed è svincolata dal controllo del vescovo di Penne. Questo suo status, però, non trova adeguato riscontro nei dati che emergono dalle fonti scritte. Anche se il capitolo di Loreto Aprutino, in virtù del suo consistente complesso beneficiario, gode di una certa autonomia amministrativa, è indubbio il suo inserimento – almeno formale – nell’organizzazione diocesana pennese, già più o meno chiaramente ribadito nelle due concessioni di Tasso Normanno, che vengono fatte dietro richiesta del vescovo di Penne; nel testo del 1091, anzi, la soggezione è esplicitamente prescritta e si materializza nel censo di dodici denari che S. Pietro è tenuta a versare al vescovo. La conservazione nell’Archivio capitolare di Penne di molti documenti che riguardano direttamente la Ecclesia S. Petri de Laureto (elenchi di possessioni, deposizioni testimoniali relative a vertenze giudiziarie,…) costituisce una prova ulteriore del rapporto istituzionale di dipendenza dalla sede episcopale di Penne 25. E ancora: nella controversia riguardante il possesso di S. Maria in Piano, che è contesa tra l’abbazia di S. Bartolomeo di Carpineto e la chiesa di S. Pietro in Loreto 26, il vescovo di Penne Odanus agisce energicamente in qualità di rappresentante di S. Pietro. Tra le numerose altre chiese del distretto di S. Pietro sono degne di nota anche l’Ecclesia S. Marie in Piano 27, l’Ecclesia S. Felicis 28, l’Ecclesia S. Iohannis ad Fontem 29, l’Ecclesia S. Iohannis de Rosiulo 30, l’Ecclesia S. Stephani 31, l’Ecclesia S. Laurentii ad Coratum 32 e l’Ecclesia S. Leonardi 33. 1.2. Le chiese minori. S. Serotino: da oratorio privato a chiesa pievana Riflettendo sulla relazione tra edifici religiosi e popolamento nelle campagne, Settia 34 si domanda fino a che punto la costruzione di una cappella rappresenti una risposta alle esigenze cultuali delle comunità contadine e, quindi, se sia possibile, sulla base dell’ubicazione delle chiese rurali e delle aree cimiteriali annesse, studiare la distribuzione degli insediamenti umani nel territorio. Il rapporto tra edificio di culto e insediamento non è sempre diretto: le numerose chiese sorte in età tardoantica ed altomedioevale non sono necessariamente connesse alla presenza di una collettività di potenziali fedeli, ma nascono spesso come oratori privati con funzioni prevalentemente cimiteriali o come chiese curtensi, strumento in mano ai monasteri per la gestione della proprietà agraria. Le chiese private fungevano innanzitutto da necropoli per le famiglie dei fondatori, le cui sepolture, nonostante il divieto esplicitamente formulato nel Liber diurnus (VI sec.), erano poste all’interno dell’edificio. Sebbene l’usanza di seppellire presso cappelle sia espressamente testimoniata dalle fonti scritte solo a partire dagli ultimi decenni del X secolo, i ritrovamenti archeologici danno conto della diffusione di questa pratica già nei secoli VI e VII. Un edificio di culto, recentemente portato alla luce 4 C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI ne è più forte e più diretto di quanto sia all’interno del distretto che dipende da S. Pietro in Loreto 45. Intorno alla chiesa di S. Serotino, con la sua lunga cronologia di occupazione, si sviluppa un agglomerato abitativo, le cui tracce si riscontrano più chiaramente nell’area a sud dell’edificio, al di là della strada Fiorano-Collatuccio, area già occupata dalle strutture della villa romana. I materiali rinvenuti durante le ricognizioni coprono un arco cronologico che va dall’età romana al pieno medioevo e lasciano supporre che il sito acquisti una certa consistenza nei secoli centrali e finali del medioevo (acroma decorata a pettine, acroma con decorazione “a stuoia”, vetrina sparsa,…). Gli anni successivi al Mille vedono, quindi, la realizzazione di un equilibrio insediativo abbastanza stabile ed il consolidarsi del popolamento intorno ai due poli di Loreto e S. Serotino: Loreto è il principale centro fortificato della zona ed esercita il suo controllo su un territorio piuttosto vasto (cfr. supra); la chiesa di S. Serotino è il punto di riferimento cultuale di alcuni piccoli agglomerati abitativi dislocati nel settore centrale ed in quello occidentale di Colle Fiorano. Poiché, in base ai risultati della ricognizione a Colle Fiorano, il materiale medioevale sembra concentrarsi soltanto in tre punti 46, ci si chiede se sia possibile identificare nei tre siti individuati le tre ville che, secondo lo Stoppa, formavano la parrocchia di S. Serotino (Fig. 5) 47. chiesa di S. Serotino 36 è stata suggerita dalle indicazioni fornite dallo Stoppa, che ubica S. Serotino “su un podere della nobile signorina Angiolina Treccia”, attualmente proprietà di Zopito Colantonio. Di Vestea lega la fondazione della chiesa alla predicazione cristiana di Giovanni di Siria (inizio VII secolo). S. Serotino sarebbe stata una delle tante cappelle sparse nelle campagne e soggette alla giurisdizione delle chiese urbane con la qualifica di minores tituli. La loro condizione istituzionale era stata regolamentata dal Sinodo di Pavia del 950, che aveva stabilito la dipendenza delle cappelle dalle chiese maggiori ed aveva affidato loro l’incarico di impartire l’istruzione elementare tra il popolo. Le asserzioni del Di Vestea sono in contrasto con i documenti che egli stesso riporta, nei quali il rettore di S. Serotino viene definito Archi-presbyter e viene, quindi, insignito di funzioni direttive all’interno del sistema pievano 37. Alla parrocchia di S. Serotino, che gli scavi hanno rivelato dotata di battistero, faceva capo un piccolo distretto pievano, costituito, secondo lo Stoppa, da tre ville site in contrada Fiorano, «delle quali si ignorano i nomi». In questo ristretto ambito territoriale, la parrocchia doveva esercitare la cura animarum e gli altri diritti connessi con il suo status: lo ius baptisterii e lo ius cimiterii. Accanto alla chiesa di S. Pietro cum Ecclesiis et possessionibus suis e distinta da essa, S. Serotino compare, infatti, nei privilegi di conferma rilasciati da papi ed imperatori ai vescovi pennesi: nel privilegio di Innocenzo II al vescovo Grimaldo (1140)38; nel privilegio dell’imperatore Enrico VI al vescovo Ottone (1195)39; in alcuni privilegi di Federico II al vescovo Gualterio (1209, 1220 e 1221) 40. L’archipresbyter di S. Serotino è più volte ricordato in documenti ed in testi di XII, di XIII ed anche di XIV secolo: alcuni documenti dell’Archivio di S. Pietro in Loreto, inventariati dal Di Vestea (anni 1194 e 1196) 41; l’atto con cui la Contessa Maria di Loreto dona al monastero di Picciano l’ecclesia S. Angeli in Camposacro, la grancia di Camposacro ed alcuni mulini sul Tavo (a. 1210) 42; le Rationes Decimarum del 1328 43. Una conclusione – Per conciliare dati archeologici e dati documentari, una volta accettata l’identificazione dell’edificio scavato con S. Serotino, è necessario distinguere diverse fasi e ipotizzare una sorta di percorso evolutivo all’interno del sistema ecclesiastico loretese. Considerata la sua antichità, è probabile che S. Serotino, nata come oratorio privato, successivamente sia stata dotata di battistero 44 e sia divenuta nel corso dell’altomedioevo il più importante, se non l’unico, punto di riferimento religioso di un esteso territorio. In seguito, dopo la costituzione di Loreto come principale centro di popolamento e la parallela affermazione di S. Pietro come chiesa matrice di un ampio distretto ecclesiastico, il ruolo di S. Serotino deve essersi notevolmente ridimensionato. Chiamata a sovrintendere su una piccola circoscrizione territoriale (Villae Laureti), nei secoli XII (seconda metà) e XIII, deve avere assolto più una funzione strategica e di equilibrio di poteri che una funzione eminentemente religiosa; all’interno del distretto ecclesiastico di S. Serotino, infatti, il controllo del vescovo di Pen- 1.3. L’incidenza del potere monastico: due modelli complementari e alternativi Il principale fattore di disgregazione e di lacerazione all’interno della struttura pievana è rappresentato dalle esenzioni monastiche, particolarmente forti in area pennese, a causa della grande estensione delle proprietà abbaziali. In età longobarda e franca, le abbazie benedettine di Montecassino, di S. Vincenzo al Volturno, di S. Clemente a Casauria, di S. Bartolomeo di Carpineto detengono nel loretese e nelle aree limitrofe ampie porzioni di terra, curtes e chiese. Alla fine del IX secolo (884) Montecassino possiede, in aggiunta alla medietatem castri Laureti, anche l’ecclesia S. Angeli in Galbanico cum integra ipsa curte48, la chiesa di S. Scholastica juxta fluvium, qui dicitur Tabe cum integra curte de Moscufo (884) 49 e la metà del castello di Pianella (1080) 50, che, tutte insieme, costituiscono un’estensione terriera vasta e coerente. S. Vincenzo ha sporadiche proprietà in Laureto: la ecclesia Sancte Marie con territorio dipendente (anni 968 e 982) 51. S. Clemente a Casauria (tra fine IX e prima metà X secolo) e S. Bartolomeo di Carpineto (nel periodo successivo) esercitano la loro influenza nella zona di Ocretanum, cioè nell’area compresa tra il fiume Tavo ed il Torrente Nora. Tra episcopato e monasteri potevano scoppiare controversie patrimoniali, controversie che spesso, con esito alterno, si trascinavano per molto tempo e coinvolgevano anche forze laiche. Esemplare la vicenda della chiesa di S. Maria in Piano, che sorge poco lontano da Loreto Aprutino (PE), alla distanza di circa un chilometro e mezzo dal centro storico, e che, per antichità e prestigio52, era un centro cultuale e gestionale di primaria importanza nel territorio 5 C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI gio, ricevendo la conferma dei propri beni dal vescovo di Penne Grimaldus (1123) 59 e dai papi Pasquale II (1116)60 e Innocenzo II (1138) 61, i quali menzionano entrambi, fra gli altri possessi carpinetani, la chiesa di S Maria in Piano. S. Maria in Piano era stata data a San Bartolomeo pochi anni prima, nel 1120 62. Alla luce delle testimonianze riportate e delle vicende patrimoniali accennate, la realizzazione di lavori nella chiesa e l’apposizione della lapide da parte di Joannes sono interpretabili come sanzioni di un possesso conquistato, ma ancora da consolidare: ricevuta S. Maria nel 1120, l’abate interviene subito al suo interno e manifesta la forte volontà carpinetana di una stabile presenza sul territorio. La politica di Joannes è seguita anche dai suoi successori, come risulta dalle posteriori conferme patrimoniali all’abbazia e dal fatto che, almeno per oltre un cinquantennio, i diritti del monastero sulla chiesa, pur se pericolosamente contestati, sono strenuamente difesi dai rettori di S. Bartolomeo di fronte ai delegati pontifici ed ai giudici chiamati, in diverse occasioni, a decidere sulla vertenza. Anche se il possesso della chiesa ed i diritti sui domini e sulle pertinenze non erano chiaramente assegnati, l’importanza di S. Maria in Piano sembra sia cresciuta ed abbia stimolato rivendicazioni e pretese, provocando l’intervento papale. Le bolle pontificie degli anni 1181/82, 1189, 1195, 119863 confermavano al vescovo di Penne i diritti sulla chiesa e ne sanzionavano l’autorità, più teorica che fattuale. Lo stesso vescovo di Penne, Odanus, agì pro Abbate S. Petri de Laureto, quando, tra il 1170 e il 1181, la causa venne discussa dinanzi ai delegati pontifici, una prima volta alla presenza del solo Aprutino Episcopo, una seconda volta alla presenza del medesimo Aprutino Episcopo, del Domino Leonati Sanctae Romanae Ecclesiae Diacono Cardinali e dell’Abbati S. Clementis de Piscaria. In questa occasione, Odanus, cum de prolatione sententiae conciperet diffidentiam, riunì una moltitudine di uomini armati che, incutendo terrore nei giudici e nei rappresentanti della parte avversa, impedì la conclusione del processo ed indusse l’abate di S. Bartolomeo ad inviare alla Sede Apostolica proteste scritte e resoconti dell’accaduto64. Nel 1194, la posizione di S. Maria in Piano venne discussa nuovamente in presenza di giudici e la vertenza insorta tra Gualtieri, abate di S. Bartolomeo, e Michele, abate di S. Pietro, venne definita grazie alla deposizione di alcuni testimoni. Dal dibattimento risultò che la badia di S. Pietro in Loreto, prima e durante il dominio del conte Rambotto, aveva esercitato il diritto di ordinare et exordinare i cappellani di S. Maria in Piano ed aveva detenuto alcuni altri privilegi e prerogative su di essa; Rambotto, nipote del fondatore, dopo averla estorta alla chiesa di S. Pietro, l’aveva venduta al monastero di S. Bartolomeo, ed aveva così sollecitato gli esponenti della parte defraudata a rivolgersi al Papa per chiedere la restituzione di una donazione fatta ex parte Apostolici domini Regis et Episcopi; l’abate di S. Bartolomeo, interrogato dal delegato pontificio, il vescovo di Valva, ammise di aver comprato la chiesa di S. Maria in Piano dal conte Rambotto 65. Una seconda pergamena, conservata (modello 1). Negli anni della piena affermazione normanna i rapporti tra episcopato e monasteri sono più spesso improntati ad una «salda forma di convivenza» 53, di cui offrono valida testimonianza alcuni atti compresi nello scomparso Cartulario di S. Maria di Picciano, che, consultati da Antinori, sono stati regestati ed ordinati cronologicamente da Clementi 54 (modello 2). Nei due paragrafi successivi si riportano testimonianze, che permettono di definire due modelli complementari e alternativi. 1. Episcopati e monasteri: contese patrimoniali A partire dalla seconda metà dell’XI secolo, le fonti scritte testimoniano ampiamente la controversia che, per il possesso di S. Maria in Piano, si accese tra la chiesa di S. Pietro in Loreto (cfr. supra) e l’abbazia di S. Bartolomeo di Carpineto. Se ne ripercorrono brevemente alcune tappe. Nel 1091, S. Maria viene ricordata nell’atto di donazione di Tasso Normanno al «Capitolo di S. Pietro Apostolo, dallo stesso Conte fondato e dotato in penitenza delle scelleraggini commesse» 55. Il possesso della chiesa da parte di S. Pietro non doveva, però, essere molto saldo: dopo la morte di Tasso Normanno, i suoi discendenti, disponendone in vario modo, crearono i presupposti di una contesa patrimoniale che esplose alla fine del XII secolo e fornirono argomenti di rivendicazione ad entrambe le parti interessate, la badia di S. Pietro in Loreto ed il monastero di S. Bartolomeo di Carpineto. Alcuni passi del Chronicon di S. Bartolomeo documentano che per un cinquantennio, tra alternanza di donazioni, vendite ed espropri, l’abbazia detenne il possesso di S. Maria in Piano 56. Un’iscrizione, recentemente (ottobre 1996) rinvenuta all’interno della chiesa, in occasione di interventi di restauro 57, si riferisce, a quanto pare, alle vicende di questi anni ed arricchisce di ulteriori dati i riferimenti del Chronicon carpinetano (Fig. 6). MODELLO Trascrizione -… [ANNI AB INCARNATI] ONE DOMINI NOSTRI J ESU XISU MILLESIMO C ENTESIMO XXII DITIO NE IIII O R F S IO-NES Integrazione -… [anni ab incarnati] / one Domini nostri J / esu X(r)is(t)u millesimo c / entesimo XXII (in)ditio / ne IIII o(pus) r(e)f(ecit) s(ervus) Io(an)nes Il testo dell’epigrafe ricorda il rifacimento di S. Maria in Piano, nel 1122, da parte di un Joannes. Un vescovo, un abate, un laico? Le fonti scritte 58 attestano che, in quegli anni, Joannes era l’abate di S. Bartolomeo di Carpineto. Sull’abate Joannes, che rimase in carica per 32 anni (1116-1148), il Chronicon carpinetano è ricco di informazioni (Chronica Monasterii S. Bartholomaei de Carpineto, X coll. 361366). Al di là dell’elogio delle sue virtù di uomo pio ed erudito, espresso in termini abbastanza consueti, il testo riferisce le iniziative di Joannes in favore del monastero, che negli anni del suo abbaziato ampliò le proprie zone di influenza e crebbe molto in presti6 C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI arricchiscono con ampie donazioni il monastero, creando una propria base di potere nell’area immediatamente a nord di Loreto: tra la seconda metà dell’XI e la fine del XIII secolo, Picciano acquista cospicui beni nella zona compresa tra Loreto e Collecorvino (Fig. 2). L’abbazia cistercense di S. Maria di Casanova68 si avvantaggia del legame con i signori di Loreto nei primi decenni del XIII secolo, quando Maria, Laureti et Cupersani Comitissa, dona al monastero la chiesa di S. Angelo di Campo Sacro, per licenza e concessione del vescovo di Penne Ottone (1210). Questi, membro della famiglia dei conti di Loreto 69, appoggia la loro politica di espansione territoriale e favorisce lo sviluppo del monastero, al cui prestigio ed alla cui ricchezza sono legate le ambizioni dei suoi. Anche prima di entrare a far parte della proprietà abbaziale, la chiesa di S. Angelo vanta il possesso di grandi estensioni di terra e la giurisdizione su un’area abbastanza ampia. L’atto di donazione riferisce che Maria di Loreto aveva acquistato S. Angelo, con tenimenti e feudi dipendenti, dal fratello Terrisio e le aveva assegnato altri terreni lungo il Tavo, pro construendis in ipsa Molendinis. Sotto la gestione monastica questi terreni e mulini vengono certamente strutturati in una grancia, la grancia di Campo Sacro che viene menzionata insieme alla chiesa nel privilegium concessionis et confirma-tionis di Bernardo II di Loreto (1219) 70. È possibile ipotizzare per S. Angelo un’origine come chiesa privata, forse edificata dallo stesso Terrisio, fratello della contessa Maria, e fatta consacrare pochi anni prima della donazione all’abbazia di Casanova. L’ipotesi è tanto più attendibile per la parentela del fondatore con il vescovo di Penne. Le chiese di proprietà di questi monasteri pagano le decime al vescovo di Penne, ma esercitano particolari diritti ed agiscono in modo autonomo. Per esempio, la chiesa di S. Colomba, concessa in donazione all’abate Siolfo del Monastero di S. Maria di Picciano nel 1079, svolge una forma di cura animarum al di fuori della giurisdizione del vescovo, ma certo sotto il suo patronato: nel 1102, alla presenza del vescovo Eriberto, di Guglielmo Tassone e dell’abate Alberico, si stabilisce che i parrocchiani della distrutta chiesa di S. Andrea di Fraiano versino le decime e le oblazioni dei vivi e dei morti alla chiesa di Santa Colomba presso il castello di Loreto 71. Nei secoli posteriori all’XI, quando sembra riscontrabile un modello completo di organizzazione pievana, in realtà il sistema funziona grazie alla intermediazione del forte potere politico-militare dei conti di Loreto, i quali, per definire il proprio controllo sul territorio e sugli uomini, adottano diverse forme e diversi mezzi. Dietro i rapporti istituzionali ed ufficiali fra conti, abati, vescovi, archipresbyteri si nascondono solide relazioni di parentela e di amicizia. Questa realtà spiega anche la facilità con cui spesso cappelle di fondazione privata o ristrutturate da privati vengono dotate di beni, concesse in livello a chierici e laici 72 ed integrate nella struttura pievana 73. nell’Archivio Capitolare di Loreto e visionata dal Bindi, riferisce la decisione del vescovo di Teramo e dell’abate di S. Clemente a Casauria, i quali, designati come arbitri da papa Celestino III, dichiararono l’abate di S. Pietro legittimo rettore di S. Maria in Piano e conferirono alla chiesa la qualifica di Ospizio, affidando al prevosto la cura animarum 66. La controversia si trascinò, a quanto pare, ancora per parecchi anni, con momenti di maggiore o minore tensione. Un documento conservato nell’Archivio di S. Pietro in Loreto testimonia una fase particolarmente accesa: nel 1253 Bartholus, rappresentante dell’abbazia carpinetana, chiedeva la restituzione di S. Maria in Piano, che i canonici S. Petri de Laureto avevano violentemente ed illegalmente occupato. A tale rivendicazione il prepositus abbatis et capituli Sancti Petri aveva risposto accusando il monaco Gualterius, il quale aveva dimorato per un certo tempo in S. Maria in Piano, di essersi appropriato dei sacri arredi e di averli portati nel monastero di S. Bartolomeo; aveva aggiunto, inoltre, che lo stesso abate era colpevole di aver venduto visitationem parrochie sue pro certo pretio e che, pertanto, essendosi macchiato di simonia, non era degno né di guidare l’abbazia di S. Bartolomeo né di reggere la chiesa di S. Maria in Piano. Bartholus intendeva, con questo documento, scagionare l’abate di S. Bartolomeo dalle accuse rivoltegli; si abbandonava, dunque, ad una serie di disquisizioni giuridiche volte a dimostrare come, secondo il diritto canonico, un abate non fosse responsabile di colpe commesse dai suoi monaci (Archivio di San Pietro in Loreto, cit. in PERILLI 1994, pp. 125-128). Si ignora se la richiesta di Bartholus sia stata accettata, ma si può supporre che negli anni successivi il possesso della chiesa da parte di S. Pietro si sia sempre più consolidato: nelle Rationes Decimarum del 1324, S. Maria in Piano è ricordata fra le chiese dipendenti da S. Pietro (SELLA 1936, p. 182); in una pergamena conservata nell’Archivio capitolare di Penne, Giovanna II d’Angiò conferma nel 1434 le donazioni di Tasso Normanno alla badia di S. Pietro (BINDI 1889, p. 599). 2. Episcopati e monasteri: “una salda forma di convivenza” Gli interessi di due monasteri della media Val Pescara (S. Maria di Picciano e S. Maria di Casanova) e le esenzioni loro assegnate convivono con quei diritti che sulle chiese del territorio sono riservati all’episcopato pennese. Una bolla di papa Leone IX, datata 19 giugno 1051, conferma al Monastero di Picciano i beni donati e le decime dei morti, «colla licenza di fare consacrare le chiese e gli altari, ordinare i Monaci e i Chierici da vescovi Cattolici»; inoltre esenta il luogo dai sinodi vescovili ed intende preservarlo, «sotto pena di censure ai distrattori», dalle molestie di imperatori, re, duchi, marchesi, vescovi, conti o quanti altri volessero affermare il loro dominio sulle celle, sui castelli, sulle ville e sui poderi dipendenti dal monastero 67. Nelle vicende riguardanti Picciano significativo è il ruolo giocato dai conti di Loreto, che proteggono ed MODELLO 2. UOMINI E TERRE NEL MEDIOEVO Nel corso dell’altomedioevo, i vici costituiscono 7 C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI condo Feller, incompiuto, in quanto poggiante su fondamenta poco solide: la presenza di una folta classe di allodieri e la mancanza di coesione territoriale provocano la stagnazione della situazione insediativa; la debolezza congenita del potere aristocratico laico, minato da contrasti tra componenti della famiglia o tra famiglie rivali, incapace di imporsi in maniera esclusiva su una circoscrizione o su un castello (i castra erano divisi in porzioni ripartite tra diversi proprietari), impedisce la stabile affermazione di una nuova forma di organizzazione del territorio e di un nuovo modo di produzione. Negli ultimi anni del potere franco e in quelli della conquista normanna (seconda metà XI-prima metà XII), che procedette con faticosa lentezza nella contea di Penne 76, è, comunque, riscontrabile, quale compimento di un fenomeno già avviatosi alla fine del X, il diradarsi delle forme di abitato sparso e il costituirsi di nuclei insediativi più consistenti (villae), talvolta protetti da strutture fortificate. Alle esigenze politiche e difensive si coniugano le istanze economiche legate all’affermazione, o al tentativo di affermazione, della signoria fondiaria: «fatto insediamentistico, fatto economico, l’incastellamento è anche un fondamentale fatto sociale» 77. Anche i dati archeologici non escludono fenomeni precastrali di riassetto insediativo e di nucleazione dell’habitat 78. I risultati di ricognizioni e scavi 79 in area adriatica permettono di elaborare ricostruzioni relative alle ubicazioni preferenziali dei villaggi (villae), alla loro struttura interna ed alla tipologia abitativa: scelta di posizioni d’altura (sommità o versante), poche unità abitative raccolte intorno ad una chiesa rurale, case costruite in materiale deperibile (capanne in terra talora con copertura laterizia) e dotate di vicine fosse granarie o pozzi di scarico. All’interno del quadro così delineato si propone come modello evolutivo quello della curtis de Ocretano, poi castellum de Locretano, alla cui elaborazione hanno concorso sia dati documentari sia dati archeologici. la forma più diffusa di popolamento e sono, insieme ai casalia, le realtà spaziali più immediatamente percepite dagli uomini del tempo. I casalia, la cui formazione è connessa da Feller 74 al progresso della colonizzazione agraria ed alla crescita demografica del IX secolo, comprendono le chiese private (di proprietà degli abitanti del casale) e le terrae in curte, parcelle di terra sulle quali sono costruite le abitazioni, case isolate o piccoli agglomerati. Anche se non promuovono la gestione comunitaria della terra né sviluppano alcun processo di raggruppamento e di concentrazione degli uomini, rappresentano una prima, molto labile, forma di coesione della comunità contadina, o almeno della sua élite. L’estrema frammentazione è il carattere prevalente della proprietà terriera nell’Abruzzo adriatico, dove neppure le curtes sono realtà territoriali continue, ma, a quanto risulta dai documenti, sono costituite da appezzamenti di piccole dimensioni (da 1 a 20 moggi, ossia da 0,3 a 6 ha), spesso distanti tra loro 75. L’incidenza della proprietà allodiale è, quindi, la principale causa della fragilità dell’organizzazione curtense e il principale fattore di stasi del paesaggio agrario, poiché gli allodi sono inestricabilmente intrecciati alle grandi proprietà. L’azione delle abbazie benedettine si rivolge soprattutto all’applicazione di un sistema più razionale di sfruttamento agricolo del territorio, quello della curtis bipartita, e alla creazione di una comunanza di interessi tra monastero e coltivatori. È questa la politica fondiaria adottata con particolare tenacia dagli abati di Montecassino e di S. Clemente a Casauria, che, nei secoli IX e soprattutto X, avviano progetti di rinnovamento nella conduzione agraria, tentando di affermarsi con forza accentratrice sulle tendenze dispersive dei detentori di allodi. Nella seconda metà del X secolo, l’abate Adamo di Casauria e l’abate Aligerno di Montecassino intraprendono un progetto lungimirante di acquisto e di sistematica stipulazione di contratti di livello (concessioni a forte entratura e a basso censo), che, oltre ad assicurare cospicue ed immediate entrate in denaro, ottengono ai monasteri diritto di giurisdizione sui propri cartulati e stimolano, di fronte ai problemi di gestione della terra, l’assunzione dei medesimi atteggiamenti dell’aristocrazia laica. Alcuni intraprendenti esponenti di famiglie aristocratiche, approfittando della debolezza del potere comitale, tentano, appunto in questi anni, di estendere il proprio controllo su larghe porzioni di territorio e di imporre la propria protezione alle abbazie, che talvolta ne sollecitano l’aiuto per l’edificazione di castelli. Se, infatti, il fenomeno dell’incastellamento viene promosso soprattutto dall’aristocrazia laica, ad esso prendono parte anche le grandi abbazie, fra le quali quella di S. Clemente, con il duplice intento di difendere e controllare militarmente il territorio e di compattare le proprietà e razionalizzare la gestione agraria. Un esempio: l’abate Adamo di Casauria edifica, alla fine del X secolo, sei castra che si dispongono, formando un arco di cerchio, intorno al monastero. Ma, così come il processo di accorpamento terriero, anche il processo di incastellamento risulta, se- 2.1. La curtis de Ocretano La curtis de Ocretano appartiene alle curtes che Toubert definisce di secondo tipo 80: circondata da un mosaico di terre coloniali, sembra promuovere ampiamente la coltivazione dell’ulivo e della vite, la pastorizia e lo sfruttamento dell’incolto; accanto alla pratica agricola porta verosimilmente avanti una sistematica attività artigianale ed “imprenditoriale”, volta al sopperimento delle quotidiane esigenze interne ed all’ammodernamento strutturale. La microtoponomastica è indicativa in proposito: le specificazioni ad fornellum, ad calcaria, ad puteum 81 segnalano la presenza di infrastrutture destinate non solo ai fabbisogni giornalieri, ma anche ad una generalizzata pratica costruttiva e di produzione artigianale; microtoponimi quali ad petra 82 potrebbero suggerire, invece, l’idea della persistenza di resti risalenti al periodo romano, e mostrare come alcune zone di Ocretanum siano state interessate dall’occupazione romana prima che da quella medievale 83. Viene fuori un’immagine di persistenza insediativa, anche se le 8 C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI in quello pennese. Questo movimento di congregatio fundorum, di cui è possibile cogliere un aspetto nelle vicende di Ocretanum, viene promosso da tutti i principali centri abbaziali dell’Italia centrale, costituisce un fattore trainante nell’evoluzione delle strutture fondiarie e rappresenta una tappa fondamentale nella formazione di complessi fondiari vasti e più o meno coerenti e, quindi, nella genesi dell’incastellamento. A partire dalla seconda metà del IX secolo, la proprietà latifondista, in particolare quella monastica, assume un carattere polinucleare, si presenta, cioè, come una successione di «nebulose più o meno dense di coloniae che gravitano intorno ad alcuni nuclei curtensi, anch’essi di dimensione e composizione quanto mai varie» 90. Le terre che circondano la curtis e che, insieme con lei, compongono il casale de Ocretano sono, appunto, aree di espansione agraria e di notevole mobilità della forza lavoro; entrano gradatamente a far parte delle proprietà del monastero e sono sottoposte alla gestione economico-amministrativa del centro curtense, ma non perdono del tutto il loro carattere di unità indipendenti. In questo senso deve essere interpretata la peculiarità della curtis italiana all’interno del quadro territoriale carolingio: lo spezzettamento e la dispersione prevalgono sul modello della curtis bipartita 91 (cfr. supra). Lo stesso Feller, desumendo dal testo del Chronicon le caratteristiche strutturali della curtis de Ocretano, non riesce a distinguere le pertinenze della curtis dalle unità abitative e produttive che compongono il casale: nella metà del IX secolo la curtis sarebbe formata da una ventina di particelle e si estenderebbe per circa 40 ettari, scrive Feller, attribuendo alla curtis alcune aree che propriamente erano esterne al suo nucleo costitutivo 92. Nella seconda metà del X secolo ha inizio il declino di S. Clemente, che non può vantare più la preminenza patrimoniale nella zona di Ocretanum. Un’efficace testimonianza di questo declino economico e politico è data dal contratto di livello che i fratelli Bezzo, Luiduini e Wido stipulano nel 971-972 con l’abbazia casauriense 93. Imponendo un’alta entratura ed un basso canone annuale, S. Clemente sembra volersi disfare della curtis de Ocretano, sulla quale ormai non riesce più a far valere i propri diritti di possesso; il contratto potrebbe mascherare, infatti, la vendita della proprietà. Questo testo definisce i confini della curtis e delle sue adiacentia e precisa che l’area occupava una superficie di 200 moggi 94: i punti di riferimento, pur se difficilmente rapportabili a toponimi odierni, sembrano indicare una vasta estensione territoriale compresa tra Colle Freddo, Cordano-S. Caterina e Colle Cavaliere (Fig. 7). Nel 1022, come risulta da quello che è forse il documento più rappresentativo dell’insicurezza e della violenza dei tempi, il possesso abbaziale della curtis è quanto mai vacillante. Nella lettera indirizzata all’imperatore Arrigo II, i monaci di Casauria raccontano le immense perdite subite per colpa dell’inettitudine degli abati, le invasioni continue dei proprietari limitrofi, la forzosa espropriazione dei beni, e chiedono soccorso per porre fine a questo stato di cose. Fra gli altri soprusi, si riferisce che Trasmundus aree abitate e coltivate in età romana e tardoantica non dovevano corrispondere meccanicamente alle aree di espansione medievale, considerando il diverso rapporto con il bosco e con l’incolto e la conquista di spazi all’agricoltura realizzata nei secoli VIII e IX. Le vicende della curtis de Ocretano sono legate agli interessi economici e politici dell’abbazia di S. Clemente a Casauria nell’area compresa tra il Tavo e la Nora. La sua acquisizione da parte del monastero risale all’873: il gastaldo Allo 84 e sua moglie Fredeldi offrono in dono all’abate Romano la curtis de Viario, in Tocci pertinentia, e la curtis de Ocretano cum casis, terris, vineis seu pomis et cum omnibus ad ipsam curtem pertinen-tibus in integrum fine Tabe et fine Launora, e ricevono in cambio il tributo di due cavalli equipaggiati 85; pochi anni dopo, Allo e Fredeldi completano la cessione vendendo all’abate per trecento solidi i beni che sono ancora in loro possesso in entrambe le curtes, quella in vico loco ubi dicitur Viario… cum ecclesia Sancti Flaviani e quella in territorio pinnense loco ubi dicitur Ocretano… cum ecclesia Sancte Iuste et Sancti Florentii in integrum cum cellis et dotis eius 86. Anche dopo la vendita dei propri possessi, la famiglia di Allo cerca di mantenere il suo rapporto privilegiato con la curtis de Ocretano, richiedendola in precaria all’abate Romano (a. 873-875). Il testo del Chronicon: l’abate Romano concede ad Adelmus Allonis ed a suo figlio, usque in diebus vite nostre, la curtis de Ocretano cum casis et terris et vineis et cum omnibus quicquid ad ipsam curtem pertinet; Adelmo ed i suoi si impegnano a lavorarla, coltivarla, migliorarla in tutto ed a non alienarla, né tramite vendita né tramite donazione; promettono, inoltre, di versare a Romano ed ai suoi successori un censo annuale di trenta denari d’argento, dum Allo genitor meus advixerit, e, post obitum Allonis, un censo di dodici denari. L’inadempienza di queste condizioni o la negligenza nel curare i beni affidati avrebbero comportato la loro forzosa restituzione al monastero di S. Clemente 87. La descrizione dei beni assegnati in usufrutto e le clausole del contratto si riferiscono senza ombra di dubbio a terreni già da tempo messi a coltura ed assai produttivi: gli spazi che compongono la curtis sono fittamente abitati e sono adibiti ad uliveti, frutteti, vigneti; la fissazione di un canone annuale piuttosto alto non si giustificherebbe se non fosse riferita a terreni già produttivi. Alla curtis de Ocretano Adelmo è costretto a rinunciare alcuni anni dopo la stipulazione del contratto, quia ego Adelmus ipsam curtem minime laborare potui e, restituendola all’abate Romano, riceve da questi caballum unum et boves duos 88. Adelmo non è in grado di ottemperare agli obblighi assunti nei confronti del monastero, che trova più conveniente gestire direttamente l’amministrazione della curtis de Ocretano89. Nel periodo immediatamente successivo alla rinuncia di Adelmo, infatti, il Chronicon Casauriense non attesta l’allivellamento ad altri della curtis, che continua ad essere il principale possesso abbaziale nella zona di Ocretanum. Durante il governo dell’abate Romano, l’abbazia di S. Clemente, che attraversa una fase di crescita e di assestamento, continua a fare acquisti, prestarie, concessioni livellarie soprattutto nel contado teatino ed 9 C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI glio le fasi ed i passaggi dall’abitato sparso all’abitato accentrato, sostenere o smentire la sequenza villaggio aperto-villaggio fortificato. filius Bernardi (tulit) curtem de Ocretano cum ipsa Ecclesia sancte Iuste95. Negli anni successivi ampie estensioni di terre in Ocretanum diventano proprietà dell’abbazia di S. Bartolomeo di Carpineto, che, in accordo con Transmundus conte di Penne, promuove l’incastellamento dell’area (anni 1066-1074). 2.3. Il castellum de Locretano: i dati archeologici Per formulare un modello insediativo completo e per integrare dati documentari e dati archeologici bisogna preliminarmente prendere posizione su una questione fondamentale: l’identificazione tra Ocretanum e Cordano/S. Caterina (IGM F 141 III SO). Argomentazioni di diversa consistenza103 si pronunciano a favore della coincidenza tra Cordano ed Ocretanum ed, in particolare, a favore del posizionamento della curtis e del castellum sull’altopiano di S. Caterina: si tratta di un esteso altopiano dalla forma trapezoidale e dai fianchi molto ripidi, terminante in un piccolo rilievo rotondeggiante e interessato da un’alta densità di materiale archeologico. Su di esso sorge isolata una cappella che, dedicata a S. Caterina, potrebbe preservare la memoria di un più antico edificio di culto. Stoppa sostiene che la chiesa di Santa Caterina venne eretta dal conte Berardo II di Loreto (prima metà XIII) dopo il crollo per vetustà dell’edificio di S. Giusta (Fig. 8). Accettata la coincidenza tra Cordano-S. Caterina e Ocretanum/Locretanum, si considerano sinteticamente gli spunti archeologici alla luce del modello storico formulato. I risultati di saggi di scavo, di ricognizioni sistematiche e di aereofotointerpretazione non smentiscono le ipotesi esposte, ma neppure le confermano in maniera decisiva 104. Il sito, interessato da labili forme di popolamento già nel IX-X secolo, tra X e XI secolo è occupato da un consistente agglomerato abitativo che presumibilmente si sviluppa intorno ad un luogo di culto. La presenza umana sembra attestata almeno fino al XIV secolo, ma le dimensioni dell’insediamento devono essersi notevolmente ridotte. L’indagine sul territorio ha permesso di acquisire alcune informazioni sulle caratteristiche dell’insediamento accentrato. Ubicato nel punto più alto e più isolato dell’altopiano di Cordano, naturalmente difeso dalle asperità dei versanti calanchivi, l’abitato non aveva grande estensione (mq 8000 circa). La maggior parte delle case aveva presumibilmente elevati, copertura e spesso anche pavimentazione in laterizi; accanto ad esse sorgevano strutture in pietra e forse anche in legno. I materiali costruttivi che ricorrono con più frequenza sono mattoni di forma rettangolare, scanalati sulla faccia superiore (lunghezza cm 22,5; larghezza cm 10,5; altezza cm 5), dall’impasto abbastanza depurato, polveroso e di colore giallo-beige. Ad essi sono associati laterizi da copertura (coppi) e laterizi di impasto molto più grezzo e di minore spessore (cm 4), usati probabilmente per la pavimentazione; la superficie risulta usurata in più punti. In minore quantità sono presenti pietre di media pezzatura e di forma regolare, talvolta sagomate, e grandi blocchi in pietra che forse formavano strutture difensive. I reperti ceramici 105 delineano, pur con un margine di incertezza, una sequenza insediativa ininterrotta tra IX e XIV secolo. Sono attribuibili perlopiù al periodo successivo all’incastellamento (vetrina spar- 2.2. Il castellum de Locretano: i dati documentari Al castellum de Locretano fa riferimento una “carta di consignoria anticipata” 96, databile tra il 1066 ed il 1074. Si tratta di un accordo, stipulato tra l’abate di S. Bartolomeo Erimundus e Trans-mundus Bernardi conte di Penne, in seguito al quale gli abitanti del castello di Mortula e quelli del castello di Bufi vengono uniti in un luogo chiamato Locretanum 97: Transmundus concede all’abate una terra di sei sestari e quattro pugilli e, al di fuori del fossato del castello stesso, una terra di due moggi; ciascuna delle due parti avrebbe avuto uomini nel castello come fossero propri e l’abate avrebbe avuto la facoltà di fondare e gestire chiese come in un suo proprio castello 98. L’incastellamento è, quindi, il risultato dell’azione programmata e combinata di due volontà politiche oltre che economiche. Ma quali congiunture hanno determinato il luogo ed il momento della scelta? Il castellum de Locretano non sorge come nucleo di espansione agraria. La decisione di incastellare Ocretanum è dettata, piuttosto, dalla necessità esclusivamente politica di legittimare un diritto di possesso, manifestandolo nella costante presenza di uomini legati al monastero ed alla casata di Transmundus; rappresenta l’esito obbligato della sistematica attività di espansione territoriale che interessa la zona tra il Tavo e la Nora 99. Per Ocretanum/castellum de Locretano potrebbe valere una sequenza insediativa scandita in tre momenti, come quella che i documenti del Chronicon Vulturnense testimoniano per S. Maria Oliveto e che l’indagine archeologica su alcuni castelli abbandonati della Sabina tiberina e del senese sembra confermare 100 . Primo momento. Tra il IX e la fine del X secolo, prevalgono l’habitat sparso e la frammentazione agraria: la chiesa di S. Giusta è il punto di riferimento cultuale per gli abitanti del casale e della curtis de Ocretano ed è il simbolo dell’appartenenza ad un’unica comunità contadina. Secondo momento. Alla fine del X secolo sembrano realizzarsi forme di accentramento più o meno spontaneo: la menzione di una villa quae dicitur Ocretano (969) 101 può essere interpretata come costituzione di un villaggio accentrato in un’area già occupata da edifici (abitativi o cultuali) ed in un punto strategico del territorio (l’altopiano di Cordano/S. Caterina). Terzo momento. Nella seconda metà del secolo XI, in concomitanza con l’arrivo dei Normanni, la costruzione del castello conclude il processo di concentrazione e soprattutto dota il territorio di un nucleo fortificato per fronteggiare minacce esterne. Locretanum assume la duplice funzione di centro di popolamento e di punto di riferimento ed eventuale rifugio per gli abitanti degli insediamenti sparsi nelle campagne circostanti 102. I dati archeologici possono aiutare a definire me10 C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI lo a Castellana di Pianella (PE) 112 testimoniano, appunto, fiorenti attività commerciali e produttive. Nello stesso senso si pronunciano i dati toponomastici: la ricchezza di prediali, desunti da documenti di IX-XII secolo, (Ocretano, Brotiano-Brocciano, Nepozzano, Galiano, Doreniano, Sablanico) sostiene l’idea della fondamentale persistenza dell’assetto agrario ed insediativo di età romano-bizantina. Le aree più prossime all’attuale centro di Loreto Aprutino, le alture limitrofe di Colle Fiorano e di S. Quirico, e, in genere, il settore settentrionale del comprensorio in oggetto, sembrano, invece, caratterizzarsi per una più rapida disgregazione del tessuto insediativo di età precedente 113: qui la contrazione del popolamento procede con ritmo costante nel corso dell’età tardoantica e dell’altomedioevo, per cui la situazione insediativa di X secolo (cfr. supra) è il risultato di una lenta progressione che, accanto alla sistematica rarefazione del numero degli abitati, vede la continuità di occupazione e l’ampliamento dei siti che sopravvivono alla fine dell’età antica. Il principale modello di riferimento è offerto dal sito della chiesa di S. Serotino, che s’impianta in un’area già occupata da una villa romana (cfr. supra), e da alcuni altri siti di Colle Fiorano che presentano continuità di occupazione dall’età romana all’altomedioevo 114. La continuità non riguarda solo la persistenza d’occupazione di una determinata area, ma, più in profondità, la perpetuazione di un modo abitativo che trae la sua origine dall’assetto paganico-vicano di matrice italica: un tessuto insediativo a maglie larghe, che ha come punti d’aggregazione centri cultuali e funerari (Fig. 9). Il trasferimento dell’organizzazione paganicovicana 115 nella concreta realtà spaziale offre spunti di analisi assai interessanti. Le popolazioni vestine, infatti, innervano porzioni di territorio con una rete insediativa articolata e gerarchizzata, all’interno della quale sembrano definirsi aree di culto e aree di sepoltura, centri amministrativi e spazi di rappresentanza. Il modello di popolamento che ne viene fuori e che non può certamente prescindere dalle caratteristiche paesaggistiche del comprensorio comporta, rispetto al periodo arcaico, l’abbandono della fascia dei terrazzi alluvionali e l’occupazione sistematica di sedi più elevate (dorsali collinari, sommità di alture), dalle quali era più agevole il controllo delle vallate e dei percorsi viarii, cioè dei tramiti di penetrazione nel territorio vestino. Si afferma un modo di organizzazione dello spazio in sistemi insediativi (abitati sparsi/necropoli/santuario) che corrispondono ai complessi collinari ritagliati dai fossati. Alla diversificazione funzionale delle aree doveva probabilmente corrispondere una diversificazione nelle tecniche e nei materiali costruttivi: l’uso di laterizi, tegole, pietre lavorate, fregi architettonici e altri materiali di pregio 116 era prerogativa delle sole strutture religiose e pubbliche, mentre il ricorso, totale o parziale, a materiali deperibili (battuti di argilla, frammenti di incannucciata come quelli ritrovati a Colle Carpini 117) connotava gli edifici abitativi 118. L’indagine sistematica a Colle Fiorano ha fornito sa, maiolica arcaica, ceramica acroma che trova confronti morfologici in esemplari provenienti dai livelli di X-XI e di XI-XII secolo di Pescara e di Colle S. Giovanni d’Atri). Benché la maggior parte delle forme (olle, brocche, anforette, testi da pane con presa a listello) sia genericamente riferibile al X-XI secolo, alcuni reperti fanno risalire la cronologia di occupazione del sito almeno al IX secolo. I frammenti di contenitori in pietra ollare, recuperati nell’intero sito, si inquadrano, sulla base della loro presenza nei livelli di Pescara/Bagno Borbonico 106, in un periodo compreso tra VIII secolo avanzato e X secolo; un frammento di vetrina pesante (vetrina B, impasto 13)107 e un frammento di testo da pane con listello ad orlo ingrossato e rivolto verso l’alto 108 sono sicuramente assegnabili ai secoli IX e X. Alcune altri osservazioni aiutano a definire l’organizzazione interna dell’abitato accentrato. L’insediamento era naturalmente difeso nei lati nord-ovest e sud-ovest che si affacciano su Fosso del Poggio; il lato orientale era forse artificialmente protetto (il rinvenimento di grandi blocchi in pietra soprattutto in questa zona non è, però, indizio sufficiente per affermarlo). All’interno dell’abitato sorgeva una chiesa (identificabile come la chiesa di S. Giusta), alla quale era annessa un’area cimiteriale 109: l’edificio era certamente collegato, tramite una strada, alla struttura (una struttura signorile?) che la motta ellittica dell’estremità nord-ovest potrebbe nascondere. 3. INSEDIAMENTI, VIABILITÀ E ORGANIZZAZIONE DEL TERRITORIO IN ETÀ ANTICA La necessità di fondare sui dati archeologici e sui documenti medievali la ricostruzione della realtà precedente il secolo VIII comporta, per la distanza cronologica e per la diversità delle fonti disponibili, alcuni problemi di ordine interpretativo, di fronte ai quali occorre precisare metodi di intervento finalizzato: il ricorso a modelli costruiti per contesti regionali simili al nostro ed il continuo scambio informativo tra macro e microstoria sostengono la creazione di ipotesi sulle strategie di popolamento e sui modi di occupazione del suolo; la preliminare analisi semantica dei termini e delle espressioni utilizzate nelle varie fonti per indicare particolari strutture agrarie dà un orientamento corretto al discorso sulla loro genesi, la loro organizzazione, la loro funzione, inquadrandole in un tempo ed un luogo determinati. Poiché molte questioni sulla struttura interna del ducato longobardo di Spoleto restano ancora aperte, è quanto mai problematico lo studio della sua area periferica 110. Proprio la posizione confinaria dei territori gravitanti sulla valle del fiume Pescara e il carattere fluttuante del confine longobardo spiegano la particolare vitalità economica dell’intera area, che doveva costituire il fonte di approvvigionamento alimentare per i centri strategici della costa (Ostia Aterni in primo luogo), soggetti al dominio bizantino fino alla metà del VII secolo e costituenti un solido fronte di resistenza alla conquista longobarda 111. I frequenti rinvenimenti, sul territorio, di ceramica dipinta a bande (tipo Crecchio) e lo scavo di una fornace di VII seco11 C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI case sparse, strutture produttive e strutture di immagazzinamento derrate, più o meno vicine ai nuclei maggiori. Con la fine del I secolo a.C. e l’inizio del successivo le villae rustiche, sorte quasi tutte su insediamenti tardo-repubblicani, promuovono l’ammodernamento delle strutture e delle infrastrutture (costruzioni in laterizi, creazione di impianti idrici…), talvolta la loro monumentalizzazione (pavimenti a mosaico, ambienti decorati con colonnine ed architravi…), ed innescano un processo di nucleazione dell’habitat che porta alla scomparsa dei piccoli agglomerati abitativi-produttivi e dei complessi agricoli minori (III secolo). La diffusione delle villae costituisce un fattore di discriminazione sociale e comporta l’impianto di un nuovo e più razionale modo di produzione agricola e di gestione del territorio (costituzione di latifondi, ricorso alla manodopera schiavistica, inserimento dell’area in circuiti commerciali a medio e lungo raggio…). È, comunque, ipotizzabile una certa integrazione tra la grande proprietà e il sistema dei piccoli abitati sparsi, che vengono in parte coinvolti nel nuovo processo produttivo. Gli abitati minori subiscono, dal II d.C. e per tutta l’età tardoimperiale un drastico ridimensionamento numerico, sintomatico di radicali trasformazioni negli assetti proprietari e nelle scelte produttive. S’è detto: impianto di un esteso e complesso sistema di villae rustiche, diffusione della grande proprietà, concentrazione della manodopera in pochi siti e conseguente contrazione del numero degli insediamenti rurali. Qui, come in altri territori dell’Italia centroappenninica, i latifondi non sono necessariamente un’estensione compatta di terreno, ma possono anche essere formati da “aziende agricole di varie dimensioni lontane e indipendenti fra loro” 127. La particolare ricchezza di toponimi prediali, oltre ad attestare la vitalità dell’insediamento romano in epoca tardoimperiale e tardoantica, indica la realizzazione di un profondo riassetto proprietario della zona: il probabile accorpamento dei fundi 128 di Brotiano/ Brocciano e Nepozzano, che nei secoli IX-X fanno parte della curtis di Ocretano 129 potrebbe risalire a questo periodo. Il fenomeno, sintomo di contrazione degli abitati e di concentrazione della popolazione, non è infrequente. Se ne trova, anzi, un esempio in un altro contesto abruzzese, la valle del Vomano (TE). Nel X secolo la curtis altomedioevale di Avenano, sita a nord di Montorio, era costituita dai fundi di Barviano, Romano e Rossiano: l’appartenenza dell’intera area alla diocesi aprutina e la toponomastica prediale potrebbero adombrare, qui come ad Ocretano, una fusione territoriale avvenuta in un periodo anche molto precedente l’attestazione documentaria (X secolo). La caratteristica strutturale dello spezzettamento e della dispersione, propria anche delle curtes monastiche in area centroappenninica (cfr. supra), rappresenterebbe un elemento del nothing new under the sun sostenuto dalla Migliario per la Sabina tiberina 130 . La Migliario, indirizzando la sua attenzione sull’aspetto genetico delle curtes farfensi, mette in relazione la frammentarietà della curtis con la sua origi- alcuni esempi concreti dei modi e dei tempi in cui l’assetto insediativo romano ingloba e trasforma l’habitat italico 119 (Fig. 10). La sostanziale continuità di occupazione dell’area non esclude forme di microristrutturazione insediativa: in età romana l’intensificazione della presenza umana nel settore centro-orientale del colle si accompagna ad un relativo abbandono del settore occidentale (loc. Casone) 120. In altri comprensori ben definiti dal punto di vista geomorfologico, preferibilmente in aree di sommità e di dorsale oppure sui versanti esposti a sud, si sviluppano organizzazioni insediative analoghe a quella di Colle Fiorano: gli assetti di Colle Freddo e Colle Carpini, di Scannella e di Poggio Ragone presentano aspetti di continuità insediativa dal periodo italico alla tarda antichità 121. Questi siti antichi sono messi in comunicazione da una serie di strade e tracciati secondari che, ricalcando spesso itinerari naturali, attraversano il territorio di Loreto e lo collegano ai principali centri urbani della costa e dell’interno (Ostia Aterni, Teate e Pinna). Individuate grazie al posizionamento sulla cartografia degli insediamenti romani, alcune di queste direttrici viarie devono essere di origine precedente 122 . La continuità nell’uso dei tracciati stradali ripropone la questione del passaggio all’età romana, questione che è bene considerare sullo sfondo della realtà insediativa abruzzese. La continuità, o una minima dislocazione dell’habitat, è tipica anche di altri contesti regionali e, generalmente, medio adriatici 123. In età romana, l’organizzazione di una funzionale rete stradaria velocizza i rapporti con la regione interna e con l’area costiera e favorisce, capillarmente, il collegamento dei singoli abitati rurali tra loro e con gli assi viarii principali. Fra età preromana ed età tardorepubblicana i principali siti si dislocano nei pressi della direttrice viaria che, provenendo da Teate, attraversa il Torrente Nora e prosegue lungo il confine comunale Loreto/Pianella; lambisce Colle Cinciero (necropoli italica) e Colle Carpini (abitato italico/romano); passa per Salmacina ed attraversa il Tavo all’altezza di Ponte del Macchinista; entra in contrada Farina-Cardito e sale verso S. Maria in Piano ed il centro di Loreto 124. Nel corso del I secolo a.C. si afferma un habitat articolato in insediamenti di diversa grandezza (case sparse, fattorie, villae rustiche) 125, fra i quali si realizza una stretta integrazione economica. È possibile ipotizzare una prima fase di insediamenti rustici a conduzione familiare (metà I a.C.). Spesso ubicate sul sito di insediamenti precedenti, queste piccole aziende agricole dovevano essere composte da un’area centrale, attorno alla quale si disponevano alcune capanne con copertura di tegole e con elevati in materiali deperibili, legno (Catone, 14) o mattoni crudi (Varrone, 1, 14, 4; Vitruvio, 2, 1) o fango o pietra a secco126. L’impianto di questo sistema di fattorie non altera l’abitato sparso di età precedente, anzi ne precisa meglio i contorni, la consistenza e l’articolazione interna: tra gli insediamenti rustici di media grandezza, collocati ad una distanza reciproca di alcune centinaia di metri (m 300 circa), sorgevano 12 C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – ne ed il suo processo di formazione: le terre costituenti la primitiva dos della chiesa che, centro amministrativo dell’azienda, precede la sua organizzazione, formano il nucleo primitivo della curtis; successivamente ed in tempi diversi, esso viene arricchito dalle donazioni dei laici e raggiunge l’estensione media di 1000 moggi (circa 250 ettari) 131, esasperando ancora di più i suoi caratteri di dispersione. Per quanto riguarda le caratteristiche del popolamento in età tardoantica si riscontra una tendenza alternativa nella dislocazione dei siti: accanto alla sostanziale continuità e all’ampliamento di alcuni grandi complessi abitativi (villae rustiche) a nord e a sud del Fiume Tavo, la rioccupazione di siti abbandonati nella prima e media età imperiale 132. Particolarmente ricco di dati ed esemplificativo di una probabile rioccupazione dopo un periodo di recessione è un sito individuato tramite ricognizione in località S. Quirico 133, in un’area assai prossima al centro di Loreto (Fig. 11). Su un pianoro che si sviluppa ai piedi di un’altura e domina il Fosso Ponte dei Cani, sono state rinvenute emergenze di materiale archeologico che sembrano riferirsi a strutture di differenti periodi: una villa rustica di età tardo-repubblicana; una serie di unità abitative, produttive e di servizio relative ad un complesso di dimensioni medio-grandi, vissuto tra V e VI secolo; una o più strutture medioevali che denotano la rioccupazione dell’area successiva al Mille. La villa, sottoposta probabilmente a ricostruzione e ad ampliamento, sembra essere durata almeno fino alla media età imperiale: i materiali definiscono un periodo di vita compreso tra età augustea e III-IV secolo d.C. e qualificano una struttura di pregio 134. A questa prima fase di occupazione segue un periodo di abbandono, testimoniato dall’assenza di reperti sicuramente attribuibili al IV secolo. La ripresa insediativa si data tra V e VI secolo ed interessa un’area più ampia rispetto a quella dell’edificio romano: un complesso abitativo che nasce nel V secolo e che continua a vivere per tutto il VI e per i primi anni del VII secolo 135. Il posizionamento delle diverse unità topografiche rivela un lieve spostamento verso ovest del nucleo dell’insediamento, sebbene anche nella zona precedentemente occupata dalla villa (settore est) siano stati individuati materiali pertinenti al complesso tardoantico-altomedioevale, in quantità proporzionalmente minore rispetto ai materiali romani. In questo paesaggio umano si deve inserire la fondazione di oratori privati e di cappelle che, come quella scavata a Colle Fiorano, costituivano il punto di riferimento cultuale dei nuclei insediativi sparsi nel territorio 136 (Fig. 12); in questi, e negli anni della conquista longobarda, si avvia lo sviluppo del Castrum Laureti, che diventa il punto di riferimento politicomilitare di un territorio, nel quale il modo abitativo prevalente resta quello sparso di ascendenza italica (cfr. supra). NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI ecclesiae Farfensis) è il risultato del lavoro erudito di Gregorio di Catino, che, negli ultimi anni dell’XI secolo, si dedicò al riordino dell’archivio del monastero di Farfa e all’opera di copiatura dei documenti su cui si fondavano i diritti proprietari e i privilegi dell’abbazia. Egli raccolse milletrecentoventiquattro documenti (dal secolo VIII ai suoi tempi), che utilizzò, integrandoli con altri, come fonti per la compilazione del suo Chronicon Farfense 137. Oltre alle conferme di beni e privilegi fatte dai pontefici e dagli imperatori (Ottone I, Ottone II, Ottone III, Enrico IV, Enrico V), il Regesto e il Chronicon conservano la memoria delle concessioni ducali e delle donazioni ricevute da esponenti dell’aristocrazia franco-longobarda e dell’aristocrazia normanna. La Chronica Monasterii Casinensis, redatta nell’XI secolo da Leone Marsicano e regestata da Pietro Diacono, attesta i cospicui beni che l’abbazia di Montecassino aveva nella regione abruzzese, principalmente nei contadi di Chieti, Penne, Sulmona, Teramo. Fra i documenti riportati nella Chronica quello più significativo e più denso di informazioni sulle proprietà abruzzesi del monastero è il Memoratorium che l’abate Bertario compilò alla fine del IX secolo (a. 884), in un periodo reso insicuro dalle incursioni saracene 138. Il testo ha la forma di «un frammento di cronaca monastica con intendimenti privati catastali» e menziona, fra i vari possedimenti abbaziali, la metà del castello di Loreto (a. 884) 139. Il Chronicon Vulturnense 140, scritto da Giovanni Monaco negli anni 1110-1130, contiene poco più di duecento documenti attinenti le vicende dell’abbazia di S. Vincenzo al Volturno. Alcuni di essi hanno notevole interesse, in quanto offrono dati per la definizione del processo d’incastellamento nella terra Sancti Vincentii dopo la crisi dell’invasione saracena. Il Liber instrumentorum seu chronicorum Monasterii Casauriensis fu redatto dal monaco Giovanni di Berardo sotto il patrocinio dell’abate Leonate, con la cui morte (25 marzo 1182) il racconto del Chronicon si arresta. Il testo, ispirato da illustri precedenti (le opere di Gregorio di Catino per l’abbazia di Farfa, l’opera del monaco Giovanni per S. Vincenzo al Volturno, la Cronaca di Leone Marsicano ed il Registro di Pietro Diacono per Montecassino), si distingue da essi per la ricchezza del contenuto (più di 2000 documenti) e per l’originale organizzazione del materiale documentario e narrativo: instrumentarium e chronicon non formano due sezioni separate, ma sono riportati nelle medesime pagine, rispettivamente al centro e sul margine interno, secondo una struttura sinottica che consente al lettore di passare rapidamente dall’uno all’altro e viceversa (Pratesi). Il manoscritto, conservato nella Biblio-thèque Nationale di Parigi 141 e recentemente pubblicato in riproduzione anastatica 142, è un codice in pergamena di 272 carte, presumibilmente numerate nella prima metà del secolo scorso, più quattro di guardia, due all’inizio e due alla fine. La Chronica Monasterii s. Bartholomaei de Carpineto è opera del monaco benedettino Alessandro, che scrisse presumibilmente sotto il pontificato di Celestino III (fine XII secolo) 143. La sua struttura è annunciata nel prologo: alla indicazione dei singoli privilegi, segue, diviso in sei libri, il testo cronachistico vero e proprio (la storia della fondazione; la serie degli abati; le vicende patrimoniali dell’abbazia); in appendice, vengono riportati i diplomi, gli instrumenti, le lettere della Sede Apostolica e della Regia Appendice CRONACHE E DOCUMENTI MONASTICI Il Regesto di Farfa (Liber gemniagraphus sive cleronomialis 13 C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI territori di frontiera (fine VI-VII secolo), Atti del V Seminario sul tardoantico e l’altomedioevo in Italia centrosettentrionale, Monte Barro-Galbiate (Lecco), giugno 1994, Mantova. BROGIOLO G.P., GELICHI S. (a cura di), 1994, Edilizia residenziale tra V e VIII secolo, Atti del IV Seminario sul tardoantico e l’altomedioevo in Italia centrosettentrionale, Monte BarroGalbiate (Lecco), 2-4 settembre 1993, Mantova. 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Quirico; Reperti rinvenuti durante le ricognizioni preliminari del 1995; Forme d’abitato altomedievale a Colle Fiorano; Notizie sull’assetto del territorio in età medievale, in STAFFA 1998, pp. 37-38; 57-59; 60; 72; 73-74; 86; 90; 9091. CONTI P.M., 1975, Genesi, fisionomia e ordinamento territoriale del ducato di Spoleto «Spoletium», XVII, pp. 17-39. CONTI P.M., 1978, Ordinamento sociale, tradizione guerriera e struttura politica nel ducato longobardo di Spoleto, «Spoletium», XX, pp. 3-24. CONTI P.M., 1982, Il ducato di Spoleto e la storia istituzionale dei Longobardi, Spoleto. CUOZZO E., 1984, Catalogus Baronum. Commentario, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Fonti per la Storia d’Italia, Corte, alcuni privilegi di conferma rilasciati da pontefici e vescovi pennesi. Una redazione mutila del Chronicon fu pubblicata dall’Ughelli 144, che attinse al Codice originale allora conservato nel Cenobio di Casanova 145. Il Capasso ed il Bindi146 diedero notizia di un esemplare più corretto esistente nella Biblioteca Brancacciana di Napoli e da esso trassero l’indice completo delle chiese e delle località nelle quali l’abbazia aveva possessi. Il Cartulario dell’Abbazia di S. Maria di Picciano fu rinvenuto da Antinori nel Monastero di S. Maria del Soccorso di Aquila e da questi utilizzato per la redazione degli Annali 147. Le citazioni dei documenti che lo componevano, e che sono andati perduti, sono state individuate nel testo antinoriano e sono state raccolte da Clementi e Berardi in una sezione del loro Regesto delle fonti archivistiche degli Annali Antinoriani (voll. II-XVII)148 e, con maggior dovizia di particolari, dal solo Clementi in appendice al testo S. Maria di Picciano, un’abbazia scomparsa e il suo cartulario, sec. XI 149. Gli atti dell’Archivio badiale di S. Pietro in Loreto sono documenti di fondamentale importanza per il periodo compreso tra la seconda metà del XII e la fine del XIII secolo. Un parziale inventario di questi documenti fu redatto nel 1896 dal Di Vestea, che, quale abate di S. Pietro, attinse liberamente al fondo archivistico e curò la pubblicazione di alcuni atti. Già nel 1889, comunque, il Bindi aveva reso noto il testo della donazione di Tasso Normanno risalente al 1091 150. FONTI ECONOMICHE ED AMMINISTRATIVE Catalogus Baronum è il titolo collettivo scelto da Carlo Borrelli per l’editio princeps di tre separati documenti in appendice alla sua opera Vindex Neapolitanae Nobilitatis 151 . Il primo di essi, definito più propriamente quaternus magnae expeditionis, documenta la straordinaria entità dell’esercito approntato tra il 1150 e il 1168 dai re normanni siciliani nelle province continentali del ducatus Apuliae e del principatus Capuae al fine di fronteggiare l’imminenza di un attacco esterno e l’endemica ribellione interna. L’analisi del quaternus, compiuta da E. Jamison 152, ha permesso di individuare tre diverse fasi di redazione del testo: il nucleo più consistente risale al 1150, quando re Ruggero ordinò una mobilitazione generale dell’esercito (magna expeditio), in seguito alla minacciosa alleanza stipulata fra Corrado III e Emanuele Comneno; gli aggiornamenti del 1167 e del 1168 testimoniano il protrarsi della situazione di pericolo, che rendeva necessario il computo esatto delle forze disponibili e giustificava lo stato di allarme continuo. Le indicazioni del Catalogus, con il numero di milites e di servientes o pedites da fornire, sono una chiara rappresentazione della ricchezza delle varie contee e della loro condizione giuridica, delineando la distinzione tra patrimonial owners e feudal tenants: i primi, che non erano obbligati a servire nell’esercito, contribuivano pro auxilio magne expeditionis secondo quanto loro spettava; gli altri, oltre a versare quanto dovevano in proporzione alla loro proprietà, erano tenuti ad offrire anche un augmentum di cavalieri e fanti. BIBLIOGRAFIA ANTINORI A.L., 1704-1778, Annali degli Abruzzi (1704-1778), Bologna 1973 (riproduzione anastatica del manoscritto). BINDI V., 1889, Monumenti storici ed artistici degli Abruzzi, Napoli. BROGIOLO G.P. (a cura di), 1995, Città, castelli, campagne nei 14 C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – CI, Roma. 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C ASTAGNETTI, La pieve rurale nell’Italia padana, Roma 1976, p. 150. 17 Rivera sostiene la falsità della Charta offersionis datata 13 febbraio 1066, IND. IV, e conservata nell’Archivio di San Pietro in Loreto: la donazione del 1066 e quella del 1091 sarebbero rimaneggiamenti di un unico documento che, se autentico, risalirebbe al 1096 (RIVERA 1926, pp. 48-49). 18 Nell’atto del 1066, insieme con la Ecclesia S. Iovenalis, S. Pietro riceve ampi diritti su alcune contrade site in territorio di Collecorvino e sui mulini costruiti e da costruirsi lungo il Tavo (DI VESTEA 1896, pp. 239-240, n. 1; PERILLI 1994, pp. 20-22). 19 Rationes Decimarum, nn. 2680-2693, cit. in SELLA 1936, pp. 182-183. 20 VIOLANTE 1982. 21 La chiesa di S. Giovenale oggi non è più esistente, ma è ubicabile con certezza nell’omonima contrada, in territorio di Collecorvino. Di Vestea fornisce coordinate precise e situa la chiesa sull’altipiano contiguo a villa Barbari (DI VESTEA 1923, p. 65). 22 Dalla via detta Le Focazzare (ad oriente) fino al fiume Tavo, poi, proseguendo verso occidente, fino alla selva di Guallum e di Campinetum (forse la zona attualmente denominata Fosso Ciampini, in contrada Gallo); quindi, lungo la linea che corre da Campinetum al Malereguardium e che, infine, ritorna ex tranverso alla strada Le Focazzare. 23 DI VESTEA 1923, p. 66. 24 La tradizione storiografica secondo la quale S. Pietro sarebbe stata sede di monaci benedettini sembra risalire al Lubin, che, rifacendosi ad un accenno del Chronicon di S. Bartolomeo di Carpineto (UGHELLI 1720, VI col. 1294), inserisce la chiesa loretese nel suo elenco delle abbazie d’Italia (LUBIN 1693, p. 186). Il Di Vestea (D I VESTEA 1896; 1912; 1913; 1923) ed il Kehr (KEHR 1909, p. 289), accettandola, consolidano questa affermazione, alla quale recentemente il Perilli, che come i suoi predecessori non ne verifica l’attendibilità sui documenti, dà il suggello della ufficialità (PERILLI 1994, pp. 14-18). 25 PELLEGRINI 1988, p. 70. 26 Chronica Monasterii S. Bartholomaei de Carpineto, X, col. 377. 27 Al di là del dibattito relativo alla sua origine (longobarda o normanna ?), le vicende della chiesa di S. Maria in Piano trovano largo spazio nei documenti di XI-XIV secolo, a causa dell’aspra controversia per il suo possesso, che oppose l’abbazia di S. Bartolomeo di Carpineto e la chiesa di S. Pietro in Loreto. 28 Cfr. note 12 e 73. 29 Sorgeva a sud del paese, «sulla linea delle mura che circondavano Loreto nei bassi tempi», e doveva il suo nome alla vicinanza della Fontana Grande. Fu abbattuta nel 1805, quando, riferisce lo Stoppa, venne ristrutturato il vicino Palazzo Valentini. Cfr. STOPPA 1934, pp. 484-485. 30 I Capitula damnorum dantium Universitatis Terre Laureti, anno 1703 (Archivio Comunale di Loreto Aprutino) attestano la lezione S. Giovanni de Rosecchi e forniscono coordinate utili all’ubicazione della chiesa: tra la contrada di Sablanico (ad est) e la contrada di Pecania-Cappuccini (ad ovest). 31 Rimasta in piedi fino al primo ventennio del secolo scorso, svolgeva particolari funzioni cimiteriali: fuori delle sue mura, rammenta lo Stoppa, «era consuetudine tumulare i morti di azione violenta, uccisi di coltello o fucile o giustiziati al capestro» (STOPPA 1934, pp. 488-489). 32 Dopo la sua prima attestazione (1091), se ne perde memoria fino al 1188, quando «il Camerlengo (tesoriere) di Loreto e il giudice» sentenziano che la chiesa, della quale si erano impadroniti i due preti Riccardo e Lorenzo di Filippo, venga immediatamente restituita all’abate e ai canonici (scil. di S. Pietro) con tutti i beni ad essa spettanti (STOPPA 1934, pp. 486-487). Nel 1268, in un atto di cessione di beni, sono ricordati i possedimenti che S. Lorenzo aveva in contrata de Corata (Archivio di San Pietro in Loreto, cit. in PERILLI 1994, p. 136). Sulla sua ubicazione sussistono dubbi: il toponimo San Lorenzo sarebbe rimasto ad un podere di Fiorano Basso, dove si trova una edicoletta votiva, forse a ricordo dell’antica chiesa. 33 Una notizia di Stoppa, già tramandata da Antinori, indicherebbe che la chiesa, sita in contrada Pecania, esisteva già nell’878, quando, il giorno 11 novembre, vi tennero un placito i conti di Penne, di Teate e di Aprutium. In quella occasione, si impegnarono con giuramento ad affrontare uniti il pericolo saraceno. Se ne trova ancora una probabile menzione nelle Rationes Decimarum del 1324 (Ecclesia S. Nardi). Su beneficio di San Leonardo sorge, nel 1583, il 15 16 NOTE SETTIA 1982, pp. 481-482. Cfr. appendice. 3 M IGLIARIO 1988; MIGLIARIO 1995a, pp. 477-478, 484-485; MIGLIARIO 1995b. 4 Lo studio del territorio e la redazione della carta archeologica sono stati l’oggetto della tesi di laurea della scrivente, discussa presso l’Università di Siena nell’anno accademico 1995-96 (relatore prof. G.P. Brogiolo). 5 Il modello teorico elaborato e il procedimento “a ritroso” applicato dalla Migliario sono stati dalla stessa studiosa estesi ad alcuni altri territori del Lazio nord-orientale e dell’Abruzzo occidentale, la cui trattazione unitaria è giustificata dalla comune annessione al ducato di Spoleto (Amiternino, Cicolano, Furconino). Cfr. MIGLIARIO 1995b. 6 TOUBERT 1973a, 1973b; 1979. 7 FELLER 1985; 1986; 1989; 1994. 8 WICKHAM 1985; 1987. 9 STAFFA 1986, 1991a. 10 Chronica Monasterii Casinensis, I 45; Chronica Monasterii S. Bartholomaei de Carpineto, X col. 359; STAFFA 1995, p. 204. 11 Il toponimo Rosiccle è attestato anche nel Chronicon Casauriense (cc. 23r, 24r) ed è riferibile ad una località interna al casale Palme (zona di Colle Palma). 12 La chiesa di S. Felice doveva sorgere nel casale Galiano, dove un passo del Chronicon Casauriense ricorda una via de sancto Felice de Galiano (c. 26r; anno 1026). 13 La sommità di Colle Fiorano è stata interessata da una sistematica campagna di ricognizione e da un intervento di scavo, che ha riguardato un sito a continuità d’occupazione dall’età repubblicana al medioevo (direzione scientifica: prof. G.P. Brogiolo, Università di Padova, e prof. S. Gelichi, Università di Pisa). I risultati sono in corso di stampa. Per alcune anticipazioni cfr. BROGIOLO-GELICHI 1998; COLECCHIA 1998. 14 STAFFA 1995, pp. 201-206; ID. 1997. 1 2 16 C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI mo trionfante in terra loretese (STOPPA 1934, pp. 115-116, pp. 478480). Anche se non si vuol dar credito alla ipotesi della costruzione della chiesa su un preesistente tempio pagano, l’attribuzione del prediale Pignano alla vicina contrada suggerisce una protratta e marcante presenza romana nella zona. Ad assegnare la fondazione della chiesa ai Longobardi sembra, invece, propenso Bindi (BINDI 1889, p. 596), contestato da Di Vestea (DI VESTEA 1912), che a sua volta afferma un’origine normanna e ne lega la costruzione alla vittoria normanna di Civitade in Capitanata (a. 1053), come «atto di ringraziamento all’Altissimo» per il buon esito della battaglia e come tentativo di creare una sorta di legame spirituale e devozionale con i popoli abruzzesi, a consolidamento della recente conquista militare di quei territori. 53 H. D IENER, Das Verhältris Clunys zu den Bischöfen, in G. TELLENBACH, Neue Forschungen über Cluny und die Cluniacenser, Freiburg 1959, pp. 221-352. 54 CLEMENTI-BERARDI 1980, CLEMENTI 1982. 55 BINDI 1889, p. 596. 56 Chronica Monasterii S. Bartholomaei de Carpineto, X coll. 359360, 363-364, 367-369, 370, 372; BINDI 1889, pp. 596-597; B. CAPASSO, Fonti della Storia nelle Provincie Meridionali, Archivio Storico, Vol. I, fasc. 11, p. 208; Fenice Vestina ms. Part. II. 57 La lastra di marmo era stata reimpiegata come base dell’altare laterale destro della chiesa di S. Maria in Piano (quarta cappella) ed era stata lì collocata successivamente al 1955, quando pesanti interventi di restauro, effettuati all’interno dell’edificio, l’avevano per la prima volta portata alla luce; è priva dell’angolo inferiore destro e presenta lo spigolo superiore arrotondato in seguito, probabilmente, al riutilizzo come base d’altare; le lettere della prima riga risultano, perciò, quasi completamente abrase. 58 Cfr. nota 56. 59 UGHELLI 1717, I col. 52; Chronica Monasterii S. Bartholomaei de Carpineto, X col. 362; X coll. 388-392. 60 Chronica Monasterii S. Bartholomaei de Carpineto, X coll. 390391. 61 Chronica Monasterii S. Bartholomaei de Carpineto, X coll. 391392. 62 Cfr. nota 56. 63 KEHR 1909, p. 286, nn. 15 e 17; pp. 288-289, nn. 31 e 33; p. 295, n. 6; BINDI 1889, pp. 597-598. 64 Chronica Monasterii S. Bartholomaei de Carpineto, X col. 373. 65 BINDI 1889, pp. 597-598. Una copia del documento esisteva a Loreto Aprutino, nella biblioteca del cav. Antonio Casamarte; cfr. KEHR 1909, p. 290, nn. 1 e 2. 66 BINDI 1889, p. 598. 67 ANTINORI, Annali, VI 162. 68 S. Maria di Casanova era stata fondata dalla stessa contessa di Loreto e Conversano nel 1197 (GIANNANGELI 1984, pp. 161-164). 69 UGHELLI 1717, I col. 1122. 70 Rilasciato nel 1219, al compimento della maggiore età di Bernardo, il documento cita esplicitamente la grancia di Campo Sacro e descrive le dipendenze di S. Angelo con le stesse espressioni del precedente atto di donazione (1210): terreni siti in prossimità del Tavo; tutti i mulini che i monaci di Casanova hanno costruito o costruiranno lungo il fiume, sia a ponente sia a levante cum omnibus quae fore videntur necessaria molendinis. E aggiunge quicquid in territorio Laureti, seu in territorio Cretani emerunt, vel aliter iuste acquisiverunt: le proprietà del monastero, quindi, si sono ampliate verso sud ed hanno inglobato porzioni di terre in Cretano. 71 CLEMENTI, BERARDI 1980, p. 227; CLEMENTI 1982, pp. 223-224 (a. 1102): Charta memorationis; ANTINORI, Annali, VII 47. 72 VIOLANTE 1982, pp. 1089-1093. 73 A questo proposito la storia dell’antica (almeno IX secolo) ecclesia S. Felicis offre un esempio illuminante. Un documento del 1121, conservato nell’Archivio di San Pietro in Loreto ed in parte pubblicato da Stoppa, attesta che Gualterius archipresbiter Ecclesiae Sancti Petri, in cambio di un censo annuale, fa remissionem della chiesa di S. Felice al dominus Eldebrandus, qui eam construxit, nel giorno della sua consacrazione, alla presenza del vescovo di Penne e di altri testimoni illustri e non illustri. 74 FELLER 1988; 1989; 1994. 75 FELLER 1989. 76 Per le fasi dell’avanzata normanna in Abruzzo, cfr. RIVERA 1926. 77 TOUBERT 1979, p. 57. 78 STAFFA et alii 1991, STAFFA et alii 1995, STAFFA 1998. 79 Cfr. i villaggi altomdievali scavati in loc. Ventignano-Case Fiucci di Cepagatti (PE), STAFFA 1989, pp. 565-578; loc. Colle S. Giovanni di Atri (TE), ID. 1991c, p. 673 e ID. 1994, pp. 73-74. convento dei Cappuccini, dal quale deriva l’attuale nome della zona. Stoppa riferisce di alcuni rinvenimenti archeologici nell’orto del convento relativi ad una cinquantina di sepolture con e senza corredo, monete, «vasi ad anse e senza, con vasetti ed alzate di diverse forme e alcune di queste verniciate in nero» (STOPPA 1934, pp. 116, 447, 469, 470, 486). Saggi archeologici effettuati dalla Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo (direzione scientifica dott. A. R. Staffa) in località S. Maria delle Grazie-Cappuccini (settembre-ottobre 1997) hanno permesso l’individuazione di sepolture in fosse terragne, alcune delle quali dotate di corredo (secoli VI-VII). Cfr. STAFFA 1998, p. 74. 34 SETTIA 1982. 35 BROGIOLO-GELICHI, in corso di stampa. Per un’anticipazione cfr. ID. 1998, pp. 66-69. 36 Il ricordo di S. Serotino compare per la prima volta nella Cronaca di Oderano (m. 1046) ed è associato all’attività di evangelizzazione svolta nella Gallia da Sabiniano e Potenziano (IX secolo), martiri e primi vescovi di Sens (Bibliotheca Sanctorum, 548-550). La dedicazione della chiesa loretese a S. Serotino può allora essere ricondotta alla fase carolingia dell’edificio, evidenziata dai recenti scavi (cfr. supra). 37 Sulla istituzione e i caratteri dell’archipresbyteratus rurale cfr. RUGGIERO 1977, pp. 66-68. Ruggiero, che analizza la dislocazione degli archipresbyteratus nella diocesi di Salerno (fine XII-inizio XIII), motiva la creazione di questa struttura ecclesiastica con l’esigenza di assicurare assistenza religiosa ad una popolazione assai irregolarmente dislocata nel territorio diocesano. 38 UGHELLI 1717, I col. 1119. 39 UGHELLI 1717, I col. 1128. 40 UGHELLI 1717, I coll. 1131, 1134, 1135. 41 Archivio di San Pietro in Loreto, cit. in DI VESTEA 1923, pp. 20-21 (a. 1194): Presbyter Joannes Archipresbyter Sancti Serotini testis rogatus; Archivio di San Pietro in Loreto, cit. in DI VESTEA 1923, p. 21 (a. 1196): Presbyter Joannes Archipresbyter S. Serotini Villarum. 42 Charta donationis, cit. in GIANNANGELI 1984, pp. 164-170 (a. 1210): dominus Iohannes Ieronimi Archipresbyter villarum Laureti. 43 Rationes Decimarum, cit. in SELLA 1936, p. 233 (a. 1328): ECCLESIA S. SEVERINI (scil. S. Serotini) DE VILLIS LAURETI. Eodem die ibidem recepti sunt per eundem vicarium et subcollectorem pro dicta secunda papali decima anni secundi a dompno Bartholomeo archipresbitero de Villis Laureti pro ecclesia S. Severini in argento tar. tuo. 44 Numerosi oratori privati ottennero, nel primo altomedioevo, la concessione del fonte battesimale, diventando chiese battesimali e innescando un processo che, in alcuni casi, diede luogo alla formazione di pievi. Per un inquadramento del problema in area ravennate cfr. BUDRIESI 1999, pp. 9-83, particolarmente pp. 17-25, e bibliografia ivi citata. 45 La chiesa di S. Pietro, per consuetudine e per un suo particolare status giuridico, godeva di alcuni privilegi e di una parziale indipendenza nei confronti del vescovo di Penne (cfr. supra). 46 COLECCHIA 1998, pp. 72 (fig. 171), 90. 47 STOPPA 1934, pp. 488, 493. 48 Attestata per la prima volta nell’884 (Chronica Monasterii Casinensis, I 45), la chiesa compare ancora nei privilegi di conferma rilasciati a Montecassino dagli imperatori Enrico III (GATTULA 1734, pp. 148-149, a. 1047), Lotario III (GATTULA 1734, pp. 250-253, a. 1137), Enrico VI (GATTULA 1734, pp. 269-275, a. 1191). Detentrice di alcuni benefici nelle limitrofe contrade di Galiano, Sablanico, de Pecza (metà XIII), sorgeva probabilmente in Sablanico, come vuole Stoppa e come sembrano suggerire alcune persistenze toponomastiche: la menzione della località S. Angelo in Sablanico nel catasto del 1635. Coordinate utili alla sua ubicazione sono contenute anche nei settecenteschi Capitula dannorum dantium Universitatis Terre Laureti (1703). In questo testo, la chiesa di S. Angelo è assunta come punto di riferimento per la delimitazione del territorio, all’interno del quale il pascolo di animali veniva interdetto per un certo periodo dell’anno: la chiesa è descritta come prossima alla fonte di Sablanico. 49 Chronica Monasterii Casinensis, I 45. 50 GATTULA 1734, pp. 182-183. 51 Chronicon Vulturense, pp. 276-277 (e note), 140-142, 292, 294; ibidem, vol. II, pp. 292-294 (a. 982): (…) et est ipsa res per mensura modiorum octoginta, et habet finis: capo fine Forca de casale et via, que pergit de Tricalio da Macine, et pergit in fluvio Tabe; pede et uno lato fine fluvio Tabe; et de alio lato fine fonte Laureti(na), que pergit in rigo Latico (…). 52 Sull’origine di Santa Maria in Piano sono state espresse opinioni contrastanti: Stoppa fa risalire la sua fondazione agli inizi del V secolo e la interpreta come la prima affermazione del cristianesi- 17 C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI Rosciani (RAVIZZA, Collezione di diplomi e di altri documnti de’ tempi di mezzo e recenti da servire alla storia della città di Chieti, I-IV, Napoli 1830). 4) Un capitolo della Mappa dell’intiero dominio di Loreto (Archivio Comunale di Loreto Aprutino), realizzata nel 1787, reca il titolo Castelluccio e Collorso e contiene una descrizione, i cui termini sono bene individuabili sul territorio se si accetta l’identificazione tra il feudo di Cretaro e Cordano: «Castelluccio e Collorso. Comincia dalla strada di Pianella che divide i beni del suddetto sig. Acerbo, e quelli del sig. D. Errigo de Lassis, tirando in su per il fiume Tavo, salendo per la strada che porta alla città dell’Aquila, calando per i confini del feudo del Cretaro, viene a terminare alla strada suddetta». 5) L’evoluzione fonetica Ocretanum/LocretanumCretano/Cretaro-Cordano, testimoniata anche da documenti di epoca bassomedioevale e successiva, sembra plausubile. 6) La storiografia locale (STOPPA 1934, p. 449) non mette in discussione l’identificazione di Ocretanum con Cordano-S. Caterina. Le coordinate fornite dai vari testi permettono di definire una estensione compresa tra Colle Cavaliere, Colle Freddo, il Torrente Nora, il limite comunale Pianella-Loreto, la «strada che porta alla città dell’Aquila»: in questi confini risulta compreso l’altopiano di S. Caterina, che, unica zona del territorio, restituisce una discreta quantità di materiali medioevali e si distingue per la posizione isolata e strategica. 104 COLECCHIA 1995-1996, pp. 359-378; BROGIOLO-GELICHI in STAFFA 1998, pp. 85-86. 105 COLECCHIA 1998, p. 86. 106 STAFFA 1991b, pp. 354-359. 107 STAFFA 1991b, pp. 349-350: Vetrina b. Verde giallastra, brillante, molto compatta. Impasto 13. Grigiastro-marrone verso la vetrina, arancio all’interno, duro ruvido a frattura irregolare con inclusi micacei brillanti di dimensioni piccolissime. 108 Cfr. STAFFA-ODOARDI 1996, p. 201, fig. 28, n. 86b. 109 È probabile che S. Giusta sorgesse in una posizione e con orientamento diversi da quelli di S. Caterina, certamente più spostata verso ovest rispetto ad essa. In questo settore, infatti, oltre all’abbondante materiale ceramico e costruttivo (laterizi), sono stati rinvenuti numerosissimi frammenti osteologici umani. Cfr. COLECCHIA 1995-1996, pp. 359-378. 110 Alcune aporie conoscitive riguardano l’estensione e l’elasticità dei confini del ducato; la definizione dei limiti territoriali e del grado di autonomia giurisdizionale e amministrativa dei gastaldati; l’esistenza di distretti minori complementari alle iudiciarie; il carattere di entità territoriali quali vici, fundi, loci e le funzioni demandate agli ufficiali che vi risiedevano; l’acquisizione di una fisionomia giuridico-amministrativa da parte dei pagi o piuttosto l’utilizzo del termine per designazioni demiche e cultuali. Cfr. CONTI 1975, CONTI 1978, CONTI 1982. 111 STAFFA et alii 1991, STAFFA 1992, STAFFA 1994; STAFFA 1995; STAFFA et alii 1995. 112 La fornace di Castellana si segnala per la produzione di un tipo di anfore, che trova confronti con analogo materiale di ambito bizantino (rinvenimenti nel castrum bizantino di Perti vicino Savona, ad Otranto, a Miseno e genericamente in contesti campani, calabresi, siciliani) e risulta attestato anche nei due centri portuali abruzzesi di Aternum e Ortona. Cfr. PETRONE-SIENA-TROIANO-VERROCCHIO 1994. 113 STAFFA 1994; STAFFA et alii 1995; ID. 1997. 114 COLECCHIA 1998, pp. 61-62, 73-74. 115 Per un esempio illustrativo del funzionamento dell’assetto paganico-vicano in ambito vestino cfr. COARELLI-LA REGINA 1993, pp. 16-17. 116 STOPPA 1934. 117 STAFFA et alii 1995. 118 Per il territorio loretese sono note necropoli e sepolture isolate, la struttura degli abitati è ben documentata nei siti di Colle Freddo e Colle Carpini e la frequenza dei santuari è attestata dai rinvenimenti di Rotacesta, di Poggio Ragone (tempio di Feronia), di Colle Fiorano: a Rotacesta è stato individuato un deposito votivo che conteneva statuine bronzee di Ercole e monete del II a.C.; a Poggio Ragone sono state scavate le strutture del tempio di Feronia che, di impianto tardo-repubblicano e primo-imperiale, doveva sorgere in un luogo già interessato da attività cultuali; a Colle Fiorano sorgevano i templi di Flora e Vesta, i cui resti furono scoperti nella prima metà del secolo (STOPPA 1934, pp. 49-56). Cfr. STAFFA 1998, pp. 1655. 119 COLECCHIA 1995-1996; 1998, pp. 37-39. 120 In questa zona venne individuato e parzialmente scavato dal Leopardi un grande sepolcreto che restò in uso tra fine IV e inizio VI secolo a.C. (LEOPARDI 1954, pp. 291-301; LA REGINA 1968, p. 419; CIANFARANI-FRANCHI DELL’ORTO-LA REGINA 1978, pp. 292-307; PAPI 1980, pp. 16-35; PAPI 1990, pp. 161-163). 80 Le curtes di secondo tipo coniugano attività economiche diverse e si caratterizzano per la loro complessità e per l’eterogeneità dei profitti ricavati dalla riserva signorile: il settore della cerealicoltura occupa un posto secondario, quello silvo-pastorale e quello della produzione specializzata di olio e vino sono molto sviluppati e si affiancano ad iniziative “imprenditoriali” e ad investimenti per la messa in funzione ed il mantenimento di dispositivi tecnici “all’avanguardia” (soprattutto mulini ad acqua, vivai ed altri fabbricati per lo sfruttamento dell’energia idraulica). Cfr. TOUBERT 1973b, pp. 95132; 187-206. 81 Chronicon Casauriense, cc. 21rv; 22r. 82 Chronicon Casauriense, cc. 21rv; 22r. 83 Cfr. STAFFA 1998, p. 84. 84 Allo, castaldio, vir locuplex in pinnense atque teatino comitatu, possiede notevoli estensioni di terre in Ocretano ed è più volte menzionato nel Chronicon Casauriense. 85 Chronicon Casauriense, c. 83v. 86 Chronicon Casauriense, c. 86rv. 87 Chronicon Casauriense, c. 100rv. 88 Chronicon Casauriense, c. 107rv. 89 Chronicon Casauriense, c. 108r: (Romanus) eandem curtem ad proprium opus ecclesiae recepit. 90 TOUBERT 1973b, p. 162. 91 TOUBERT 1973b, FELLER 1989. 92 FELLER 1989, pp. 125-126. 93 Chronicon Casauriense, c. 141r. 94 Feller ritiene che un moggio corrisponda a 0,3 ettari (F ELLER 1989, p. 125). 95 Chronicon Casauriense, c. 181r. 96 Toubert definisce «carte di consignoria anticipata» i contratti di incastellamento che associano un signore ecclesiastico, il quale offre un sito per il nuovo abitato e le terre da coltivare, ad un imprenditore, un signore laico, il quale si assume l’onere della realizzazione materiale; le carte di questo tipo si preoccupano soprattutto di definire le modalità di spartizione dei diversi profitti derivanti dall’impresa di colonizzazione (TOUBERT 1973a). 97 STAFFA et alii 1995, p. 314; CLEMENTI 1988, p. 77. 98 Chronica Monasterii S. Bartholomaei de Carpineto, X col. 355. 99 L’acquisizione di beni posti nelle limitrofe zone di Ocretanum e di Colle Freddo (oltre a notevoli estensioni di terre, l’Ecclesia S. Enlanii, l’Ecclesia S. Savini, l’Ecclesia S. Iuste de Ocretano, l’Ecclesia S. Nicolai de Ocretano,…) deve essere compresa nel progetto economico-politico globale, portato avanti dall’abbazia di S. Bartolomeo e sostenuto da esponenti dell’aristocrazia locale. 100 Ci si riferisce ai castelli di Montagliano e Caprignano in Sabina ed al castello di Montarrenti in provincia di Siena. Per Montagliano cfr. E. DE MINICIS, E. HUBERT (a cura di), Indagine archeologica in Sabina: Montagliano, da casale a “castrum” (secc. IX-XV), «Archeologia Medievale», XVIII (1991), pp. 491-546. Per Caprignano cfr. F. BOUGARD, E. HUBERT, G. NOYÉ, Caprignano (com. di Casperia, prov. di Rieti), «MEFRM», 98, pp. 1186-1194; F. BOUGARD, E. HUBERT, G. NOYÉ, Du village perché au castrum: le site de Caprignano en Sabine, in G. NOYÉ (a cura di), Structures de l’habitat et occupation du sol dans les pays méditerranéens: les méthodes et l’apport de l’archéologie extensive (Paris 1984), Paris, pp. 433-465; G. NOYÉ, Caprignano (Casperia, prov. di Rieti), «MEFRM», 96, pp. 958-972. Per Montarrenti cfr. C. WICKHAM, Per una storia dell’incastellamento: la Toscana, in R. FRANCOVICH, M. MILANESE (a cura di), Lo scavo archeologico di Montarrenti e i problemi dell’incastellamento medievale. Esperienze a confronto, Firenze 1989, pp. 79-102. 101 Chronicon Casauriense, c. 136r. 102 La persistenza di abitati sparsi nel territorio del castellum de Locretano è testimoniata dal numero di chiese (S. Giusta, S. Nicola, S. Maria, S. Michele) che sono associate al castellum nei privilegi pontifici del 1116 e del 1138 (Chronica Monasterii S. Bartholomaei de Carpineto, X coll. 390-391). 103 Si riportano qui di seguito le varie argomentazioni. 1) Negli atti di donazione al monastero di S. Clemente (873-875) la curtis de Ocretano viene descritta come compresa tra il Tavo e la Nora (fine Tabe et fine Launora, Chron. Casaur., cc. 83v, 84r, 86rv, a. 873875). 2) In un contratto di usufrutto, stipulato dall’abate Adam (a. 971-972) e ricordato nel Chronicon Casauriense (Chron. Casaur., c. 141r), tra i confini della curtis e delle sue adiacentia (200 moggi) sono indicati il tricalium de Caballari (identificabile con Colle Cavaliere, a nord-ovest di Cordano) ed il Rigo Boragario (identificabile con Fosso del Poggio, a sud di Cordano). 3) Nel 1461 il feudum Locritani, assegnato da Ferdinando I d’Aragona alla città di Chieti in remunerazione della sua fedeltà e dei danni sofferti, è sito in provincia Aprutij ultra iuxta territorium Planelle, territorium Laureti et 18 C OPYRIGHT © E DIZIONI ALL ’I NSEGNA DEL G IGLIO – NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI la-loc. Colle Pizzuto (Colle di Guido), sul sito di una fattoria tardorepubblicana viene edificata una villa, che restituisce materiali per lo più inquadrabili fra la fine del V ed i primi decenni del VII secolo, ceramica dipinta tarda, sigillata africana D1 e D2, sigillata microasiatica, imitazioni di sigillata africana in ceramica depurata, contenitori cilindrici del tardo impero… (STAFFA et alii 1991, p. 649; STAFFA et alii 1995, pp. 303-304). 133 COLECCHIA 1995-1996; 1998, pp. 61-62. 134 Tra i materiali sigillata italica e tardo-italica, frammenti di anfore Dressel 2/4 e Camulodunum 184, un frammento di lucerna a canale-Firmalampe, sigillata chiara C. La Camulodunum 184, anfora di origine rodia, era utilizzata soprattutto per il trasporto di vini pregiati. 135 Tra i materiali sigillata chiara D2; ceramica a vernice rossa; spatheia di piccole dimensioni; grandi contenitori cilindrici di origine africana. 136 COLECCHIA 1995-1996; 1998, pp. 61-62, 73-74. 137 Di entrambi i testi, i cui originali sono conservati a Roma nella biblioteca Vittorio Emanuele tra i manoscritti farfensi, sono state pubblicate edizioni critiche, corredate da note e da indici analitici: I. GIORGI, U. BALZANI, Il Regesto di Farfa compilato da Gregorio di Catino, Roma 1872-1892 (voll. 2, 3, 4, 5), 1914 (vol. 1); U. BALZANI (a cura di), Chronicon Farfense, Roma 1903. 138 E. CARUSI, Il “Memoratorium” dell’abate Bertario sui possessi cassinesi nell’Abruzzo teatino, e uno sconosciuto vescovo di Chieti del 938, “Casinensia”, Montecassino 1929, pp. 97-114. 139 Chronica Monasterii Casinensis, I 45. 140 V. FEDERICI (a cura di), Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Fonti per la storia d’Italia, LVIII-LX, Roma 1925-38. 141 Il Chronicon venne sottratto alla biblioteca dei re aragonesi di Napoli e, portato in Francia da Carlo VIII (1494-1495), entrò a far parte della biblioteca del palazzo di Blois; successivamente, con l’intera collezione reale, contribuì a formare l’antico fondo latino della Bibliothèque Nationale. 142 L’Aquila 1981-82, in occasione del V centenario dell’introduzione della stampa in Abruzzo. 143 Auctore Alexandro Monacho, qui eam scripsit Coelestini III Papae temporibus… 144 F. UGHELLI, Italia Sacra sive de Episcopiis Italiae… opus singulare, ed. 2. aucta et emendata cura N. Coleti, Venetiis 17171722, vol. X coll. 349-392. 145 Nel 1258, il pontefice Alessandro IV aveva assegnato all’abbazia di Casanova quella di S. Bartolomeo; la concessione veniva confermata da re Manfredi con un diploma del 1259. 146 CAPASSO 1876; BINDI 1889. 147 L.A. ANTINORI, Annali degli Abruzzi, 1704-1778 (facsimile del manoscritto autografo inedito esistente presso la Biblioteca Provinciale “Salvatore Tommasi” dell’Aquila), Bologna 1973. 148 CLEMENTI-BERARDI 1980. 149 CLEMENTI 1982. 150 BINDI 1889, pp. 591-594; DI VESTEA 1896. 151 C. BORRELLI, Vindex Neapolitanae Nobilitatis, Napoli 1653. 152 E. JAMISON (a cura di), Catalogus Baronum, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Fonti per la storia d’Italia, CI, Roma 1972. Cfr. STAFFA 1998, pp. 16-55. STAFFA et alii 1991, pp. 662-666. 123 Un esempio fra tanti, particolarmente evidente, riguarda l’evoluzione insediativa della Val Vomano tra VII e I a. C. Le necropoli ed i piccoli abitati, inquadrabili fra la fase iniziale delle culture medio adriatiche e quella immediatamente precedente la romanizzazione, appaiono distribuiti in tutta la valle e particolarmente concentrati fra Basciano e Guardia Vomano (media valle). Spesso gli insediamenti romani sorgono proprio nei pressi di questi siti già occupati e ne riproducono la caratteristica di dispersione nel territorio. In quest’area vici e agglomerati più ridotti continuano a costituire l’ossatura del sistema economico e produttivo anche quando, tra II e I secolo a.C., si affermano, con il diffondersi delle villae, nuovi criteri di gestione agraria e nuove forme di integrazione tra attività diverse: i piccoli insediamenti rustici, che sopravvivono o che nascono ex novo, vengono coinvolti nel modo di produzione della villa, che diventa il principale centro agricolo di un territorio formatosi per l’accorpamento di più fundi. Talvolta, poi, le villae stesse sorgono sul sito di piccoli vici. Cfr. STAFFA 1986; 1991a. 124 La strada, dalla quale si diramavano percorsi secondari, costeggiava siti italici, romani ed anche medievali e rivela un uso protratto nel tempo: la conformazione del paesaggio subcollinare dell’area adriatica non permetteva una larga varietà nella ubicazione degli insediamenti e delle strade. 125 Schede di sito: COLECCHIA 1995-1996; 1998, pp. 57-59. 126 Per la Sabina, agro curense, cfr. REGGIANI 1985, p. 61. 127 MIGLIARIO 1988. 128 I fundi sono gli indicatori espliciti di un intimo legame tra realtà altomedioevale e realtà romana. In proposito la Migliario insiste sulla conservazione delle strutture catastali imperiali (ripartizione in fundi) nel territorio e nella memoria istituzionale (MIGLIARIO 1988, pp. 58-71). Delogu (DELOGU 1994, pp. 18-19), riferendosi ai medesimi documenti farfensi, nota che la menzione dei fundi come fondamentali unità agrarie compare «solo nelle solenni conferme rilasciate dai papi e dagli imperatori del IX secolo all’abbazia» e che, invece, nelle altre carte riguardanti la gestione della proprietà fondiaria, territorio ed insediamento sono strutturati prevalentemente per casali, per curtes e per piccoli agglomerati abitativi (casae massariciae). I fundi non significano la persistenza dell’ordinamento catastale romano, semmai rivelano la vocazione classicheggiante della cultura di IX secolo. 129 STAFFA et alii 1995; Chronicon Casauriense, c. 141r. 130 MIGLIARIO 1988; EAD. 1995. 131 Chronicon Farfense, pp. 95-132: Faroaldo dona al monastero undici curtes per un’estensione di 11000 moggi di terra. Un secondo modello genetico, molto meno frequente del precedente, vuole la curtis originariamente costituita da un’unica entità territoriale, all’interno della quale si differenziano in seguito casales e vocabula (MIGLIARIO 1988, pp. 55-56). 132 Alcuni siti della Val Pescara presentano, appunto, un vuoto insediativo tra media età imperiale e V-VI secolo: 1) in loc. Casali di Nocciano, un sito, oggetto di scavo della Soprintendenza Archeologica nei mesi giugno-luglio 1994, ha rivelato una successione di villaggio a capanne e case in terra di età repubblicana-villa rustica di tarda età repubblicana, abbandonata nella media età imperiale e rioccupata fra la fine del V e la prima metà del VI (STAFFA et alii 1991, p. 654; STAFFA et alii 1995, p. 319); 2) in frazione Castellana di Pianel121 122 19