n. 15 - Inverno 2010 - Le Montagne Divertenti
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n. 15 - Inverno 2010 - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna T rimestrale di A lpinismo e C ultura A lpina n°15 - Inverno 2010 - EURO 5 Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio Clima La salute dei ghiacciai lombardi Free ride Il nuovo modo di vivere la neve fresca Avventure e v r i D tenti Nuove linee su ghiaccio e neve in Valmasino Scialpinismo L'anello del Telenek all'Aprica e la valle del Giumellino in Valmalenco Alta Valle Val di Rezzalo e monte Poltron Valchiavenna Giro dei monti a Samolaco Grosio La piccola Maginot Valtellinesi nel mondo Sognando Cappadocia Natura Le farfalle del freddo e gli inquilini dell'abete Cipriano Valorsa Le icone dei martiri Passo dopo passo Prà du Ghegèla, sopra Mello e Traona Inoltre Ricette, poesie, giochi, leggende... Ambria spitiro delle Orobie valchiavenna - bassa valtellina - Valmasino - alpi retiche e orobie - valmalenco - alta valtellina 1 Le Montagne Divertenti Editoriale Beno Dopo 3 anni e 15 numeri, chi avrebbe mai pensato di vendere così tante copie, di avere un tale numero di lettori affezionati e di collaboratori validissimi? Le Montagne Divertenti vuole comunque ancora crescere e aumentare la qualità della sua offerta. Per poter fare questo abbiamo dovuto, se pure a malincuore, adeguare il prezzo della rivista ai nuovi costi. Più pagine, più articoli, più materiale inedito, più ricerca. Il tutto con tante foto, sempre più belle e interessanti. E' la nostra scommessa e il nostro impegno verso le montagne e la loro genti. In copertina: Ambria, tuffo nel passato (26 ottobre 2010, foto Beno). Escursionisti in Valfurva, sullo sfondo il pizzo Tresero (2 dicembre 2009, foto Roberto Moiola). Ultima di copertina: La notte di Santo Stefano agli Andossi in Valchiavenna (26 dicembre 2009, foto Roberto Moiola). 2 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Le Montagne Divertenti 3 Legenda Spiegazione delle schede tecniche Ottimo anche per anziani non autosufficienti o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale per la camporella, anche per le coppiette meno esperte. Una breve e divertente spiegazione dei gradi di difficoltà (in “scala Beno”) che vengono assegnati agli itinerari nelle schede sintetiche, così che possiate scegliere quelli a voi più congeniali. I gradi si riferiscono al periodo in cui è stato compiuto l’itinerario, sono quindi influenzati dalle condizioni del tracciato. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. In DETTAGLI, invece, viene espressa la difficoltà in caso di condizioni ideali del tracciato secondo la scala alpinistica convenzionale. Le schede sintetiche sono anche corredate da indicatori grafici che vi permetteranno, a colpo d’occhio, di valutare l’itinerario a voi più consono. Bellezza pericolosità Quasi meglio il centro commerciale Carino Ne vale veramente la pena Assolutamente sicuro Basta stare un po’ attenti Assolutamente fantastico Fatica Richiesta discreta tecnica alpinistica Pericoloso (si consiglia una guida) ore di percorrenza Si comincia a dover stare attenti alle storte, alle cavallette carnivore e nello zaino è meglio mettere qualche provvista e qualche vestito. dislivello in salita Una passeggiata! meno di 5 ore meno di 800 metri Nulla di preoccupante dalle 5 alle 10 ore dagli 800 ai 1500 metri Impegnativo dalle 10 alle 15 ore dai 1500 ai 2500 metri Un massacro oltre le 15 ore oltre i 2500 metri Le scarpe da ginnastica cominciano ad essere sconsigliate (sono d’obbligo abito da sera e mocassini). E’ meglio stare attenti a dove si mettono i piedi. Vertigini vietate! su RADIO TSN FM 101.100/97.700 ogni martedì con Beno & special guests ore 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45 WWW.RADIOTSN.IT Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. Sconsigliato a tutti gli appassionati di montagna non esperti e non dopati. Itinerario abbastanza lungo, ma senza particolari difficoltà alpinistiche. E’ richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e muoversi su ghiacciaio o terreni friabili come la pasta sfoglia. E’ consigliabile una guida. E’ una valida alternativa al suicidio. Solo per persone con un’ottima preparazione fisicoatletica e buona esperienza alpinistica. Servono sprezzo del pericolo e, soprattutto, barbe lunghe e incolte. Editore Beno Direttore Responsabile Maurizio Torri Redazione Alessandra Morgillo Enrico Benedetti (Beno) Roberto Moiola Responsabile della fotografia Roberto Moiola Realizzazione grafica Beno, Gloria Gianatti e Giorgio Orsucci Revisore di bozze Mario Pagni Responsabile della cartografia Matteo Gianatti Hanno collaborato a questo numero: Andrea Sem, Andrea Toffaletti, Antonio Boscacci, Dario Cossi, Fabio Pusterla, Eliana e Nemo Canetta, Fabrizio Picceni, Franco Benetti, Giacomo Meneghello, Giancarlo Sem, Gioia Zenoni,Giordano Gusmeroli, Giorgio Orsucci, Jacopo Merizzi, Kim Sommerschield, Laura Terraneo, Luciano Bruseghini, Luigi Zani, Luisa Angelici, Marcello Di Clemente, Marino Amonini, Mario Sertori, Matteo Gianatti, Nicola Giana, Pascal van Duin, Paolo Rossi, Renzo Benedetti, Riccardo Scotti, Roberto Ganassa, Sergio Scuffi, Silvio Gaggi, Vittorio Vaninetti. ARIO LE MONTAGNE DIVERTENTI Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 Speciali Itinerari d’alpinismo Itinerari d’escursionismo Rubriche 10 56 78 98 28 Ambria spirito delle Orobie La salute dei ghiacciai lombardi 64 Orobie L'anello del Telenek Bassa Valle Pra' du Ghegéla 104 Alta Valle Monte dei Poltron Valtellinesi nel mondo Sognando Cappadocia Mondo in miniautura Le farfalle del freddo Si ringraziano inoltre Via Panoramica 549/A – 23020 Montagna (SO) Abbonamenti per l’Italia annuale (4 numeri della rivista): costo € 22 euro da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio Sede di Sondrio IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50 intestato a: Beno di Benedetti Enrico Via Panoramica 549/A 23020 Montagna (SO) NELLA CAUSALE specificare: nome, cognome, indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti” comunicare il versamento con email a: [email protected] oppure telefonicamente (0342 380151 - basta lasciare i dati in segreteria) 34 Freeride: cos'è, itinerari, un quiz di valanghe 70 Alta Valle Val di Rezzalo 84 Alta Valle La piccola Maginot di Grosio 108 Fauna Gli inquilini dell'abete rosso 113 Arte e montagna Cipriano Valorsa 117 L’arte della fotografia Fotografia invernale in movimento M Redazione M Ezio Gianatti, Franco Triangeli, Pinuccia Taloni, Impresa Crapella, Diego Lanzini, Mario Maffezzini, Matteo Tarabini, Fabrizia Vido, Johnny Mitraglia, Eva Fattarelli, Enrico Minotti, Roberto Lisignoli, la Tipografia Bonazzi e tutti gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e tutti gli sponsor che credono in noi e in questo progetto. Arretrati [email protected] - € 6,00 PDF scaricabili dal sito della rivista 42 Prossimo numero 21 marzo 2010 Avventure nel Masino: con gli sci dal Cavalcorto 71 Valmalenco La valle del Giumellino [email protected] tel. 0342 380151 Stampa Bonazzi Grafica Via Francia, 1 23100 Sondrio O Pubblicità e distribuzione Per ricevere la nostra newsletter fate richiesta a: [email protected] Contatti, informazioni e merchandising S [email protected] www.lemontagnedivertenti.com 50 Avventure nel Masino: Mastro d'ascia Inverno 2010 75 Valmalenco Le cave della valle del Giumellino Le Montagne Divertenti 91 Valchiavenna Giro dei monti a Samolaco 122 Le foto dei lettori 129 Giochi 130 Ricette della nonna La zuppa di castagne Localizzazione Zillis Wergenstein Bergün Parsonz (L. Zani/ M. Amonini/ A.Boscacci) 2115 42 Valmasino 50 Valmasino 56 Orobie Campodolcino (Beno) Monte Poltron S. Cassiano Somaggia Novate Mezzola Dongo Còlico Lago di Como S. Martino Cevo Bùglio Caspano Ardenno Dubino Mantello Mello Traona Dazio Sirta MORBEGNO Postalesio Berbenno Castione Albaredo Colorina Caiolo Tartano Tremenico Premana Geròla Bellàno Taceno Pescegallo Pizzo dei Tre Signori 2554 Introbio Lierna Ornica Pasturo Barzio Monte Cadelle 2483 Passo San Marco 1985 Carona Cùsio Piazzatorre Cassiglio 3136 10 Pizzo Campaggio 2502 Olmo al Brembo Inverno 2010 Pizzo del Diavolo di Tenda 2829 Roncorbello TIRANO Bianzone Tresenda Adda Arigna Carona Aprica Pizzo Coca 3050 Corteno Gromo Monte Torena 2911 Monte Sellero 2743 Le Montagne Divertenti Pizzo Camino 2492 Monte Fumo 3409 Berzo Saviore Valle Paisco Concarena 2549 Passo del Tonale 1883 Adamello 3554 Garda Loveno Villa Pezzo Ponte di Legno Edolo Sonico Palone del Torsolazzo 2670 Vilminore Colere Cortenedolo Vione Corno dei Tre Signori 3359 Monte Tonale 2694 Incudine Monno Malonno Monte Gleno 2883 Valbondione Passo del Vivione 1828 Gandellino Vezza d'Oglio Passo dell'Aprica 56 Pizzo Redorta 3039 Mazzo Adda Ponte in Valt. Teglio Chiuro Pizzo Rodes 2829 Punta di Pietra Rossa 3212 84 Tovo Lovero Sernio Punta S. Matteo 3678 del Gavia 64Passo2621 Fumero Sondalo Monte Masuccio 2816 Schilpario Branzi Le Prese Grosotto Brusio Boirolo Albosaggia Foppolo Mezzoldo Valtorta Sondrio Le Prese S. Caterina Grosio Vetta di Ron Tresivio Talamona Bema 3323 Caspoggio Chiesa in Valmalenco Torre di S. Maria 3114 78 Delébio Rògolo Còsio Regolédo Corni Bruciati 71 Pizzo Scalino Monte Cevedale 3769 Monte Confinale 3370 frana di Val Pola Malghera Poschiavo Lanzada T. V enin a Dervio (Sergio Scuffi) Le Montagne Divertenti 2845 Verceia Bellagio 8 Julia Cima del Desenigo Monte Legnone 2610 (Eliana e Nemo Canetta) Escursione a Samolaco Pizzo Ligoncio 3678 Primolo T. Livrio La piccola Maginot di Grosio 50 Bagni del Màsino 3032 Monte Disgrazia Cepina Valdisotto Cima Saoseo 3263 Gran Zebrù 3851 S. Antonio BORMIO S. Carlo T. Mallero (Antonio Boscacci) Montemezzo Livo Gera Lario Lago di Mezzola 42 La Rösa Eita Sasso Nero 2917 3378 ra T. Code Passo del Bernina Piz Palù 2323 3906 Oga T. Roasco Chiareggio Cima di Castello T. Caldenno Pra du Ghegéla Dosso d. Liro 3308 4050 Passo del Muretto 2562 Vicosoprano Bondo Villa di Chiavenna Pizzo Badile Pizzo Bernina Ortles 3905 Bagni di Bormio Premadio Cima Piazzi 3439 i od Lag chiavo Pos S. Pietro Samòlaco 91 Era Pizzo Martello 2459 (Luciano Bruseghini) 91 Valchiavenna Prata Camportaccio Gordona La valle del Giumellino 84 Alta Valtellina CHIAVENNA Mese Soglio Castasegna Prosto (Giacomo Meneghello) 78 Bassa Valle Casaccia Passo dello Stelvio 2757 Isolaccia Arnoga T. Fo ntana Piz Languard 3268 Solda Giogo di S. Maria 2502 Valdidentro Passo del Foscagno 2291 Forcola di Livigno 2315 Passo del Maloja 1815 Pizzo Galleggione 3107 1816 Trepalle Sils o T. Masin St. Moritz Silvaplana Juf Lag 3180 hi d i Ca nca no Pontresina Julierpass Bivio Maloja 3183 L'anello del Telenek 71 Valmalenco Cresta Pizzo Stella Pizzo Quadro 3013 64 Alta Valtellina Livigno 3057 Fraciscio Mera Cima la Casina Samedan Piz Nair Pianazzo Mastro d'Ascia (Mario Sertori) Madesimo Isola 3378 3392 Pizzo d'Emet 3210 (Beno) Sur Piz Piatta Montespluga Pizzo Tambò 3279 Con gli sci dal Cavalcorto Mulegns Stelvio S. Maria Lago del Gallo Mera 3062 Innerferrera Passo dello Spluga 3159 Inn Montechiaro Müstair Piz d'Err T. La nte rna Spirito delle Orobie Zuoz Albulapass 2312 Piz Grisch Lago d i Lei Curtegns 1864 Ausserferrera Piz Quattervals 3418 Reno Splügen Medels 10 Ambria Piz Kesch Cunter Andeer Sufers luoghi e itine r a r i Capo di Ponte Monte Re di Castello 2889 Làveno Niardo © Beno 2010 - riproduzione vietata Localizzazione di luoghi e itinerari 9 Speciali d'Inverno Ambria Storia, lingua e leggende dell'antico borgo orobico Luigi Zani 10 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Le Montagne Divertenti Vista di Ambria a inizio '900 (foto Giancarlo SpecialeMessa). Ambria 11 Speciali d'Inverno A mbria, nel comune di Piateda, è un piccolo nucleo rurale di origini medioevali che sorge a m 1325 in valle Venina all'imbocco della valle di Zappello (detta anche valle di Ambria). alla confluenza fra il torrente Venina (Vinìna) e il torrente Zappello (Zapéll). Forse il toponimo Ambria è stato importato dalla famiglia degli Ambria che lì risiedeva, ma potrebbe essere anche che la famiglia abbia avuto il nome dal paese1. mbria, sperduta tra imponenti montagne e rigogliosi corsi d’acqua, è raggiungibile partendo da Piateda centro, percorrendo una strada che sale a mezza costa in direzione Piateda Alta, passando per la frazione Previsdomini (m 538) e per Monno. Qui c’era una tipica Pòosa, ovvero un punto di riposo special- A 1 - In questo secondo caso il nome Ambria potrebbe semplicemente derivare dalla voce latina adumbrare, come del resto il nostro "ombra" (giustificato dal fatto che qui il sole scompare per molti mesi). Altra ipotesi è che il toponimo sia di origine celtica (da ambe = fiume), e ciò per l'abbondanza di acque della zona. mente per coloro che trasportavano tutto a spalla o, nella migliore delle situazioni, a dorso di mulo. A Monno si svolta sulla destra e la strada, che si addentra per circa 6 km in val Venina fino a Vedello (Vedéll, m 1032), si trova in gran parte a picco sull’impervio fianco roccioso della valle. Dopo un centinaio di metri, si trova un bivio; la strada di sinistra porta ad Agneda (m 1228) in valle di Scais, mentre svoltando a destra, si sale e si raggiunge dopo 2,2 km Ambria (m 1325) nella valle omonima. Quest’ultimo tratto di strada, ancora in parte sterrata, è chiuso al traffico ai veicoli non autorizzati e termina un centinaio di metri prima di Ambria. er entrare nell’abitato si deve oltrepassare il ponticello che attraversa il torrente Venina e costeggiare il cimitero non più utilizzato dal marzo 1958 quando qui fu seppellita l’ultima persona: Arrigo Filippini. mbria rivestiva un ruolo strategico quando le comunicazioni avvenivano ancora in gran parte a P A piedi: questo borgo era un importante crocevia tra Valtellina e bergamasca. iò spiega perchè nel 1888 ad Ambria, si contavano ben 272 individui componenti 33 famiglie. Ambria ha mantenuto negli anni la sua autenticità e l’antico aspetto urbanistico che convive ancora oggi pienamente con la natura grazie al divieto di cementificazione selvaggia. Ci sono pochissime case nuove, tutte costruite rispettando lo stile di una volta, che ben convivono con quelle vecchie, le stalle e i fienili. Il borgo trasmette una particolare sensazione di antico e una mistica attrazione colpisce tutti quelli che lo visitano per la prima volta. a presenza di un luogo fortificato (castrum), posseduto dalla famiglia Fondra, e anche lo stesso nome “Ambria” sono testimoniati da scritture del lontano 1254, molto prima che il Duca d’Ambria costruisse il suo castello. Lo storico Francesco saverio Quadrio sostiene che già appena dopo l’anno mille, Ambria fosse abitata. C L L'antico ponte lungo il sentiero che da Vedello portava ad Ambria (1900-1920, foto Giancarlo Messa). "Entro quei tuguri, il fumo del fuoco acceso in mezzo della stanza acceca; entro quei letti matrimoniali, capaci di accogliere una persona sola ed anche a disagio, per noi la vita sarebbe insopportabile, mentre per essi è precisamente in quel modo che vi cementano gli affetti, che vi mantengono la pace e la felicità domestica." P. Donati - 1898 Vista di Ambria dall'alto (databile tra il 1900 e 1920: cimitero e mancanza di teleferiche Falck orientano a quel periodo) . Come si può notare l'espansione urbanistica del borgo negli anni recenti è stata pressochè nulla (foto Giancarlo Messa). Q ui vi era uno dei due castelli della famiglia degli Ambria, ma le uniche tracce rimaste della sua presenza si trovano in alcune vecchie costruzioni del borgo stesso, dove si possono ancora ammirare delle pietre lavorate d'angolo tipiche dei castelli2. Del casato degli “Ambria” si è conservato soltanto lo stemma, caratterizzato da un imponente leone con coda biforcata, segno di grande nobiltà. Negli statuti di Como del 1335, anno in cui inizia la dominazione sulla Valtellina dei Visconti, la comunità di Ambria figurava autonoma ed era allora denominata “Comune de Ambria”3. utte le case, prevalentemente in pietra, sorgono tra viottoli stretti e tortuosi, intorno e nei pressi della piccola chiesetta dedicata a San T "Nel giorno stesso in cui celebrano le nozze, se non è festivo, gli sposi vanno agli abituali lavori campestri. Come in quel primo dì, così durante tutta la vita, le donne si conservano laboriose, oneste e fedeli ai mariti, i quali fanno di tutto per renderle felici." P. Donati - 1898 Le Montagne Divertenti 12 Inverno 2010 2 - Le si nota, ad esempio, negli spigoli del campanile. 3 - "Comune de Ambria debet habere et tenere quartarium unum ad mensurandum blavam et stateram unam ad ponderandum ferrum et formagium." (da Statuti di Como, volumen Magnum, 1335, a cura di G. Manganelli). Le Montagne Divertenti Gregorio, edificata nel 1615 su strutture molto più antiche, interamente cinta da un muretto al cui interno si trova l’ossario di origine settecentesca. Quest’ultimo versa ora in condizioni di serio degrado e per la sua tutela sono necessarie urgenti opere di consolidamento e successivo restauro. Altro bene artistico/religioso molto prezioso è la croce di Ambria, originariamente astile poi modificata, che misura complessivamente 62 cm in altezza. Questa pregiata testimonianza religiosa, risalente al XII secolo, è stata eseguita tramite l’uso di lamine d’argento, lavorate a sbalzo e cesello e inchiodata ad una struttura di legno. Il tutto è stato dorato ad eccezione dei volti dei vari personaggi raffigurati (Gesù, sulla formella di destra la Vergine, dalla parte opposta l’evangelista Giovanni e due personaggi non identificabili). Il verso della croce mostra, invece, immagini realizzate a cesello. La croce è poi arricchita da gemme, che la rendono una delle opere artistiche più belle in Valtellina. Poiché in passato ci sono stati diversi tentativi di trafugarla della chiesa di San Gregorio, è ora conservata in luogo sicuro ma, purtroppo, non accessibile al pubblico. la storia della comunità etnia valdambrina pare discendere da popolazioni provenienti dalla vicina bergamasca e qui giunte attraverso il passo di Venina (m 2442) e il passo di Scìgula (m 2486). Le otto casate più antiche, derivano in origine da quattro ceppi principali. L’estrazione mineraria specialmente di ferro, attiva in alta val Venina a oltre 2000 metri di quota fino alla metà del XVIII secolo, ha favorito costanti contatti e scambi commerciali tra Ambria e la val Brembana. Non a caso gli ultimi proprietari delle miniere della val Venina risiedevano in provincia di Bergamo. Le attività primarie degli abitanti di Ambria erano comunque la pastorizia e l’agricoltura. I valdambrini, come del resto tutta L' Speciale Ambria 13 Versante orobico Speciali d'Inverno Mentre dovunque nei paesi settentrionali le donne sono atte al matrimonio piuttosto dopo dei vent'anni che prima. In Ambria a quattordici, a quindici anni al massimo si sposano. Mi si fece vedere una donna, abbastanza deperita, di 26 anni, che aveva già 7 figli, naturalmente da essa allattati, non essendo ancora noto a quelle popolazioni incorrotte l'allattamento mercenario, nè quello artificiale. P. Donati - 1898 Ritratto di una famiglia d'Ambria (1928 - 1929). Sono fotografati il padre Alessandro Taloni, la moglie Giulia Taloni ed i figli Nerina, Matilde, Angelo, Adelaide, Giuseppe Luigi e Silvio (classe 1927). Il soprannome del ceppo Taloni è " i Buratii". Il bimbo vergognoso è quel Lüìis, nato il 17.3.1924 e scomparso l'8.6.2006, ultimo "artigiano" dei manufatti d'Ambria (foto archivio Taloni). la gente di montagna, avevano un carattere piuttosto chiuso verso gli estranei ed erano abbastanza rudi e poco garbati nei modi. Dobbiamo però anche notare che, dopo un’iniziale timida diffidenza, erano e sono tuttora fondamentalmente molto ospitali. Ambria è stata sempre molto legata alla chiesa e il parroco era considerato non solo tale, ma anche educatore, amico, consigliere e consolatore. Qui non regnava però solo lavoro, casa e chiesa ma, per chi non lo sapesse, il borgo vantava anche un’osteria, ricavata nell’abitazione di un mio prozio, Silvio Taloni (detto Paštìcci), che ne era poi anche il gestore. Da notare che, nell’osteria si serviva solo un vino rosso di mediocre (per non dire infima!) qualità. Al pian terreno si trovavano la cantina e un locale nel quale si cantava e si ballava (quando c’era qualcuno che suonava una fisarmonica), mentre al primo piano c’era un’altro locale dove si giocava solitamente alla morra o alle carte. 14 Le Montagne Divertenti Adiacente all’osteria si trovava un rustico campo per il gioco delle bocce; giocatori e spettatori appoggiavano i loro boccali di vino sopra una grossa pietra di forma circolare che si trova ancora vicino all’ingresso dell’antica osteria. lingua e costumi di Ambria l valdambrìi è un dialetto arcaico che ha il pregio di non essere stato influenzato nel tempo da influssi linguistici esterni, come spesso è accaduto in altri paesi valtellinesi che hanno “lombardizzato” il loro dialetto originale. Uno strano fenomeno, del quale non si è ancora trovata una spiegazione, è che il dialetto di Ambria è parlato tale e quale anche a Vedello. Ad Agneda invece, che dista solo un paio di chilometri dagli altri due borghi, ci sono vocaboli simili ma sono spesso pronunciati con accento diverso. Un esempio pratico, i vocaboli: dentro, riso, mela, ad Agneda si dice: ìtt, rìis, pómm, mentre ad Ambria si dice: trè, rées, pùmm. U È particolarmente curioso il fatto che nel linguaggio di Ambria ci sono spesso più vocaboli per indicare anche minime variazioni della stessa cosa, ad esempio la polenta (pulénta, caravéla, štalmìgna, còola, pizzadóor) oppure il sasso (cràpp, bòcc’, predù, maròcul, güzzù, cóorna, pludìscia) o le scarpe (sciasciù, culsèer, šgàlber). Altri sinonimi curiosi, che non hanno alcuna somiglianza con gli altri dialetti dei paesi limitrofi, sono: la bèerscia (la camicia), li lòti (i pantaloni), ul blinchétt (la giacca), li paradéli (le calze), ul briòol (il cappello), ul cašpàal (il letto), ul tàarten (il rondone alpino), ul regüzz (lo scricciolo), la frašcòola (il gracchio alpino), ul belegòtt (la pentola), ul scirvìi (il fieno di alta montagna), la buréla (la rosa canina), la bràacula (la sanguisorba dodecandra), solo per citarne alcuni. ino agli anni ‘50 ul valdambrìi in sé non evidenziava alcuna alterazione. Anche se la lingua italiana era insegnata a scuola, tutti comunicavano tra loro solo in valdambrìi F Inverno 2010 molto ristretto e l’arcaica parlata rimaneva radicata anche tra i bambini in tenera età. Non dimentichiamo che i bambini in età scolastica svolgevano i compiti a casa in modo alquanto precario poiché, al termine della scuola, dovevano spesso aiutare i genitori nei lavori quotidiani (raccogliere la legna, accudire al bestiame o erano occupati in altri lavori agricoli in genere). Oggi i bambini hanno a disposizione comode scrivanie, sedie ergonomiche, PC e cancelleria a volontà, mentre un tempo si svolgevano spesso i compiti seduti su un ceppo e si scriveva con una matita alla luce di un lume a olio. L’unica matita a disposizione era tenuta come un oracolo e si appuntiva con parsimonia fino al suo completo esaurimento. Oltre alla maestra, l’altra importante figura sempre presente nella vita quotidiana che contribuiva nell’istruzione dei bambini era il parroco, che impartiva lezioni di catechismo in italiano. La lingua italiana era parlata anche dal medico, il quale aveva però solo sporadici contatti con gli abitanti di Ambria. Gli spostamenti dei valdambrini erano solitamente limitati ai comuni limitrofi (Faedo, Montagna, Poggiridenti, Tresivio e Ponte) e comunque non sufficientemente prolungati nel tempo per “contaminare” in alcun modo l’arcaica parlata. Le comunicazioni erano comunque molto più frequenti con la popolazione dell’alta val Brembana che con quella valtellinese e questo, molto probabilmente, anche a causa della posizione geografica. È curioso anche notare che i matrimoni avvenivano quasi esclusivamente all’interno del triangolo Ambria, Agneda e Vedello. Tra il 1950 e il 1960, anche se ul valdambrìi molto ristretto era ancora "S ampiamente utilizzato, si rilevava una prima, leggera alterazione del tipico linguaggio a causa di molteplici fattori esterni. I lavori inerenti allo sfruttamento idrico del territorio erano già attivi da alcuni decenni, ma durante questo periodo cresceva la domanda di mano d’opera e le nuove generazioni iniziavano a preferire sempre più il mondo del lavoro salariato, a discapito delle attività rurali che venivano lentamente abbandonate. Poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, sempre più abitanti di Ambria si spostavano durante i mesi invernali nella contrada di Cà d’Agneda a Piateda piano. Questa lenta, anche se temporanea, migrazione verso il fondovalle ha portato nel giro di pochi anni al definitivo trasferimento della popolazione. La nuova residenza favoriva anche i contatti verso il “mondo esterno” perciò la lingua italiana era sempre più in uso perchè i valdambrini non avrebbero altrimenti potuto comunicare coi forestieri. Gli abitanti dei paesi limitrofi riuscivano solitamente, in qualche modo, a interpretare questo linguaggio, che al resto dei valtellinesi rimaneva però incomprensibile. Ritengo che chi abitasse al di fuori del raggio di circa 5 chilometri da Piateda non era, già allora, in grado di capire quasi nulla del valdambrino. Anche le unioni matrimoniali si estendevano lentamente sempre più verso l’esterno del triangolo Ambria, Agneda e Vedello e si allargavano specialmente ai paesi limitrofi. Diversi nuclei famigliari di Ambria rimanevano così in contatto permanente con altri dialetti con i loro vocaboli, accenti, modi di dire che andavano inevitabilmente a “contaminare” l’originale parlata. La fine degli anni ‘50, con l’av- vento del boom economico, ha siglato il definitivo abbandono e si è fatto evidente l’inesorabile declino di questa tipica parlata alla quale sono particolarmente affezionato. Il settore idroelettrico assorbiva, specialmente tra il 1960 e il 1980, diversa forza lavoro e, contemporaneamente, si registrava un aumento dell’emigrazione di mano d’opera verso la vicina Svizzera. Le attività rurali sono state quasi nella totalità dei casi abbandonate e gli allevatori che sfruttavano gli alpeggi si sono quasi completamente estinti. La famiglia Pasini è l’unica originaria di Ambria ancora presente con il bestiame sull’alpe Dossello durante il periodo estivo e, come direbbe mio papà: l’é pó reštàat nùma i Drèera a scimà tresü ‘l Duséll cun dói šgambèerli. Non c’è più tutto quel via vai di gente tra gli stretti viottoli; chi trasportava del fieno, chi della legna, chi affilava la falce seduto per terra, chi portava il bestiame ad abbeverarsi, i bambini che giocavano con le biglie di terracotta. Anche Ambria, animandosi esclusivamente durante i mesi estivi, è purtroppo diventata come tutti gli altri paesini di montagna: viva solo saltuariamente d'estate. Dov’è quindi finita la vera lingua di Ambria, ul valdambrìi špacàat? Possiamo ancora sentirla in pochi nuclei famigliari, ad esempio tra i miei diretti ascendenti: gli Zani (detti Bilìi) e i Taloni (detti Martìi). Alcuni anziani appartenenti alle famiglie originarie di Ambria, emigrate in Brianza o nel Varesotto verso gli anni ‘50, sono ancora a perfetta conoscenza del vero valdambrìi. Quello che più mi rattrista è vedere questo linguaggio inesorabilmente destinato a scomparire. Il foletto ono anche superstiziosi: credono nello spirito Foletto, e sono parecchi coloro che assicurano di averlo sentito. Anche il buon Dell'Acqua (il parroco) è convinto che esista. Avendogli rivolta in proposito domanda categorica, mi rispose: «Sì, credono, e come è anche vero, nello spirito Foletto e null'altro. Ed alcuni montanari li ho uditi, colle mie orecchie, raccontare parecchie stranezze di questo spirito che folleggia per la valle, che segue i viandanti, che fa mille rumori, che imita il gallo, la gallina, la lepre, la volpe, l'orso, che getta giù sassi per la china senza colpire veruno, sassi che sembra proprio siano guidati da una mano ignota, giacché li arrestano al piede di coloro che il Foletto prende di mira." P. Donati, La Valtellina, 1898 Le Montagne Divertenti Speciale Ambria 15 Speciali d'Inverno "Quando nei passati anni l'orso frequentava spesso quei luoghi, portando lo spavento in quelle mandre di bovine, di pecore e di capre, essi gli davano la caccia con una costanza ed un ardimento il più delle volte coronati da un felice successo. " P. Donati 1898 Ritrovato, dopo secoli, il castello degli Ambria L'orso Antonio Boscacci Un po’ di storia li Ambria sono un’antica famiglia risalente, secondo lo storico Quadrio, al secolo XI, ma forse comparsa solo più tardi, verso la metà del XIII secolo. Comunque sia, gli Ambria famiglia proveniente dalla bergamasca, si installano nella valle omonima e da loro prende nome il piccolo paese che vi si trova. Proprio ad Ambria costruiscono il loro primo castello (alla fine del ‘200 o all’inizio del ‘300). Le loro proprietà e la loro potenza aumentarono a tal punto che, intorno alla metà del ‘300, costruirono un altro castello in territorio de Trexiviplani (in territorio di Piateda, chiamata allora Tresivio Piano). Un documento del 1385, quello stesso che mi ha fatto pensare al castello, parla dell’esistenza di un castello nelle vicinanze della chiesa di S. Croce, mentre altri documenti dell’inizio del ‘400 (1423 e 1432) parlano della vicinanza del castello alla chiesa di S. Vittore. G 9 gennaio 1999 alla prima volta che avevo cercato di rintracciare i castelli degli Ambria sono ormai trascorsi almeno 20 D anni. Allora non ne avevo trovato traccia. Gli storici che avevo consultato parlavano della presenza di due castelli attribuiti agli Ambria: uno probabilmente nel paese di Ambria1 e l’altro in qualche altra parte del comune di Piateda. Avevo fatto qualche giro qua e là ma non ero riuscito a concludere granché: nessuna traccia, nessun indizio della loro presenza. Eppure da qualche parte dovevano pur essere stati costruiti. Ma, poiché gli storici dicevano che erano spariti, la gente del posto non aveva nessuna idea di dove potessero essere e tradizioni orali per ricercarne l’ubicazione non ne esistevano. Avevo smesso di cercarli e mi ero messo il cuore in pace. Finché, chiacchierando con mio fratello Roberto, che conosce bene alcune zone di Piateda, mi disse di aver visto un muro un po’ strano. - Se vuoi ti porto a vederlo; è sopra Valbona. Poiché in quel periodo ero in tutt’altre faccende affaccendato e non avevo tempo, ho risposto di no. Poi però, una sera, mentre stavo cercando delle notizie sul comune di Piateda, mi è capitato di incontrare di nuovo i due castelli degli Ambria. In un documento del 5 luglio 1385 il dosso di cui parlava mio fratello è indicato come dosso castri Ambrie, prope ecclesiam sanctae Crucis apud castrum (dosso del castello d’Ambria, vicino alla chiesa di Santa Croce accanto al castello). Come una specie di corto circuito, ho messo in relazione ciò che stavo leggendo con quanto mi aveva riferito mio fratello. Stamattina dovevo andare a scuola, ma il pomeriggio…abbiamo trovato uno dei due castelli degli Ambria! Dove si trova il castello a Piateda si raggiunge la contrada Valbona (330 m). Attraversato il gruppo di case che sta sulla sinistra, si imbocca la mulattiera che sale alla chiesa di S. Vittore. E’ una bella D 16 Le Montagne Divertenti mulattiera acciottolata, interamente coperta dalle foglie di castagno (albero al quale è rimasta legata, per molti secoli, l’economia della zona), che sale ripida nel bosco. E’ un bosco rado, bellissimo in ogni stagione. Così come, bellissime, sono le piccole e grandi pozze, che i torrenti della zona, il Serio, il Seriolo ed il Paiosa, formano lungo il loro corso. Seguendo la mulattiera, in circa 30 minuti, si arriva alla chiesetta di S. Vittore. Ridotta in uno stato pietoso, dall’azione del tempo e dall’incuria degli uomini, appare come un animale agonizzante, che rantola nell’attesa della morte. Un centinaio di metri più in là, sul dosso di S. Vittore (o dosso del castello degli Ambria, come meglio dovrebbe essere chiamato), a m 560 di quota, si trovano i resti di una grossa baita. Avvicinandosi si nota però che la baita è stata edificata a sua volta sui resti di una costruzione precedente, della quale rimangono chiari segni. Che si tratti del castello degli Ambria (o forse, meglio, di una torre), non ci sono dubbi: lo testimoniano le grosse pietre squadrate (e lavorate sul filo), che formavano parte dei due spigoli che delimitavano la facciata rivolta verso nord. La torre, che si trova su una morena quaternaria, erosa a est dal torrente Paiosa e a ovest dai torrenti Seriolo e Serio, ha forma all’incirca quadrata e misura 6,70 m sui lati nord e sud e 6,85 m su quelli est ed ovest. Una piccola feritoia, sul lato nord è stata chiusa dall’interno. Non è rimasto molto, ma quello che è rimasto mi pare degno di essere attentamente studiato e valorizzato. Nascosto dentro i boschi di castagno sul ripido pendio della montagna, il castello degli Ambria, forse distrutto nel ‘500 e subito dimenticato, è rimasto invisibile per secoli. Eppure era lì. 1 - Ad Ambria “vi aveva pur castello con Torre, Abitazione de’ Feudatarii". Nel 1390 il castello dell’Ambria, con diverse tenute era stato dal signor di Milano, donato al Cavaliere Galeazzo de’ Porri. Inverno 2010 Antonio Boscacci da Odore di merda, edizioni Nuceröla, Sondrio 2009 La cosa che più mi ricordo del Severo di Cagnulét è stato la faccenda dell’orso e la racconto così come la raccontava lui. Il Severo era un buon cacciatore e di solito andava a caccia con il Venanzio Tavelli, il Giovanni Fagioli, il Serafino Bassola e il Torquato Credaro detto Amen. Il soprannome gli era stato dato per il fatto che quando finiva qualcosa lui aveva l’abitudine di dire amen. Alla fine della messa, anche se era la messa grande, lui diceva amen e con la voce squillante che aveva lo sentivano in tutta la chiesa. Ma amen lo diceva anche quando aveva finito di giocare a carte, mangiare la cena, sgusciare i fagioli o fare una discussione. Lui aveva confessato che lo diceva anche quando finiva di fare quel che doveva fare con la sua serva, che era una vita che stava con lui e ormai tutti li consideravano come se erano sposati. Il canonico un giorno aveva detto che potevano anche sposarsi così non vivevano nel peccato, che era una cosa che faceva male. Però si vede che a loro non gli faceva male per niente, perché avevano un bell’aspetto e erano sempre allegri. Il Serafino Bassola conosceva un Murada di Albosaggia che curava le mucche del notaio Fulgenzio Paribelli sopra Campelli verso la Piana e gli aveva detto che aveva incontrato un orso maschio che di Le Montagne Divertenti così grandi lui non ne aveva mai visto. Questo però era capitato già quindici giorni prima e l’orso si era diretto sotto la costa della Piada verso i pascoli di Bolveggio. Tutti in fregola per quell’orso, avevano deciso di partire il pomeriggio del giorno dopo per andare a dormire dal don Celestino Ruttico, parroco di Ambria, che li aveva già ospitati un’altra volta, quando erano andati a caccia di runcàsc in valle di Ambria, verso Scìgola. Erano partiti da Sondrio che erano quasi le due su un carretto che li aveva portati fino a Busteggia e dopo avevano preso il sentiero per sant’Antonio e erano arrivati a Vedello che cominciava a far buio. Quando hanno bussato alla porta del parroco di Ambria era buio pesto e se non era per il Venanzio e i suoi due cani, che conosceva bene la strada, era facile che si perdevano o finivano nel torrente Venina. Don Celestino era un prete magro e piccolo, che era lì in quel paese da più di cinquant’anni e ormai aveva superato gli ottanta. Ma era ancora vispo come un’allodola e chiacchierava sempre tantissimo. Questo perché Ambria è un paese piccolo e non viene quasi mai nessuno e quelli che arrivano sono quasi obbligati a raccontare al don Celestino per filo e per segno come vanno le cose giù in pianura, perché lui chiamava così il piano dell’Adda. Siccome però anche il Torquato era uno che quando c’era da chiacchierare non si tirava mai indietro, la conversazione è andata avanti fin dopo mezzanotte intanto che tutti gli altri dormivano con la testa sul tavolo o appoggiati all’armadio. Alla fine anche il Torquato ha detto amen e voleva dire che era ora di andare a letto e la perpetua del don Serafino li ha accompagnati in un locale lì vicino dove c’era un bel po’ di fieno. Così si sono infilati nel fieno e si sono coperti con un grosso pelòrsc e hanno dormito qualche ora. Sono partiti da Ambria che erano quasi le sei e era già un po’ tardi per il Severo, che diceva sempre che gli animali vanno cacciati appena si svegliano, che sono un po’ intontiti e sono più facili da prendere. Ma a parte il Giovanni Fagioli che gli dava ragione, tutti gli altri dicevano che a alzarsi troppo presto anche i cacciatori restano intontiti e quindi tanto vale andare a caccia un po’ più tardi. Comunque sono saliti fino alla Ca e hanno preso il sentiero per Bolveggio e quando sono arrivati alle baite, si sono disposti in fila, distanti circa duecento metri l’uno dall’altro e hanno mandato avanti i due cani del Venanzio. Quelli erano cani che lavoravano bene in coppia e se nella zona c’era un orso loro lo trovavano di certo. Infatti dopo un’ora che camminavano in quel modo e erano quasi arrivati sotto la Piada, i cani si sono messi a puntare in direzione di alcuni blocSpeciale Ambria 17 Versante orobico chi di roccia ricoperti di muschio e di mirtilli. Il Venanzio che conosceva bene i suoi cani, ha capito subito da come puntavano che quello era un orso e infatti un momento dopo è comparso. Prima ha cercato di scappare verso la costa del Meriggio poi, visto che lo avevano circondato, si è alzato sulle zampe è ha provato a difendersi. Con una zampata ha fatto volare uno dei cani, cinque metri più in là, che se prendeva un cristiano era finita, dopo si è rimesso in piedi e ha cominciato a far versi come per spaventarli. Però ormai non c’era niente da fare e, dopo che il Venanzio ha detto al Giovanni, che era il più bravo, di sparare, ma non alla testa, l’orso è crollato, colpito diretto al cuore e è morto in dieci minuti. Era quasi mezzogiorno. All’una hanno cominciato a scendere con l’orso legato a un palo, verso il dosso della Croce e sono arrivati a san Giacomo che parevano in processione. Davanti c’era il Venanzio che portava il cane ferito e dietro c’erano gli altri che a coppie, un po’ per uno, portavano l’orso. A san Giacomo hanno trovato un mulo e glielo hanno messo sopra e così alle quattro erano alla Moia e alle cinque in piazza della chiesa a Sondrio. Prima ancora che arrivavano a Sondrio, la gente aveva sentito che avevano preso un orso e la piazza era piena di curiosi, che volevano vedere se era proprio così grosso come dicevano. A vederlo dentro il carretto dove l’avevano messo per venire dal Porto, pareva ancora più grosso. Aveva la testa appoggiata sul sedile del carretto e dalla bocca gli veniva fuori un pezzo di lingua. A guardarlo così non era tanto pauroso anzi, pareva che stava dormendo e intanto che dormiva rideva un po’. Un conto è vederlo morto che pare un agnellino e un conto è incontrarlo in giro sulla montagna, ha detto il mio papà, però anche lui non ne aveva mai incontrati vivi e non poteva dire con precisione cosa si provava. Dopo una mezz’ora che erano lì è arrivato l’arciprete con una bottiglia di vino e ha fatto i complimenti a tutti i cacciatori e prima hanno bevuto, poi ha benedetto sia loro che l’animale. La pelle di quell’orso è stata conciata dai Carini e l’hanno regalata proprio all’arciprete, che era stato anche lui in gioventù un cacciatore e diceva che non poteva più andare a caccia perché aveva troppo da fare. Però io credo che non andava più a caccia per via che pesava troppo e faceva già fatica a venire fino al capitello della Madonna dell’Uva. Adesso la pelle è appesa al muro della sala di casa sua, di fronte al camino e sta proprio bene, perché dai Carini hanno fatto proprio un bel lavoro. Dopo il successo di Odore di merda Tutte le vite il nuovo libro di Antonio Boscacci "Mio papà è morto a fine Febbraio del 1859. Il 26, me lo ricordo preciso. Era stato un giorno strano, una di quelle giornate che non si sa se viene a piovere o nevicare. Per via del vento che spazzava via la strada al contrario. Quando il vento soffia così storto dal basso della piazza Quadrivio verso il Piazzo, è brutto, perchè può capitare di tutto. E infatti si è messo a nevicare. Ma non regolare come succede di solito. A folate. Grandi fiocchi di neve e poi basta. Un po' di acqua e poi via. Non si capiva più niente. Anche gli animali, quei pochi che giravano, si vede che sentivano la stranezza, perchè erano agitati e continuavano a muoversi e a girare la testa come se gli stava per capitare qualcosa di male. Perfino le mucche che uscivano dalla stalla per andare a bere alla fontana dei Lurénz, non erano normali e odoravano l'aria in qua e in là col muso. Forse gli animali avevano capito prima degli uomini che c'era un giro la morte..." Antonio Boscacci, Tutte le vite, edizioni Nucerola, Sondrio 2010 - 15€ - acquistabile presso Libreria Della Cagnoletta (Sondrio) o on-line (www.lemontagnedivertenti.com/libri) 18 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 La strada d'Ambria Marino Amonini C orreva l’anno 1971; sul primo bollettino parrocchiale edito dall’indimenticato parroco don Enrico Sassella si può leggere: “AGNEDA- Quello che pareva un sogno proibito, almeno per qualche decennio ancora, è diventata una realtà: dalla metà di luglio Agneda ha la sua carrozzabile. Modesta fin che si vuole, ma ci si va «seduti». L’iniziativa è partita dai privati: il Geom. Diego Lanzini ha fatto i rilievi ed ha preparato il progetto, dal quale risultava che l’opera era realizzabile con una spesa modesta. Si è costituita una specie di società privata a cui hanno aderito una quarantina di capifamiglia. Con un sistema di autotassazione ed il contributo di alcuni enti, si sono reperiti i fondi e poi si è dato inizio ai lavori senza perder tempo. Una ruspa, qualche carica di dinamite e nel giro di un mese la strada Vedello-Agneda era pronta." "AMBRIA- Turismo di massa anche per Ambria quest’anno; e ne siamo molto lieti. Ambria è un posto singolare : aspro e selvaggio, ma nello stesso tempo ti affascina per la quiete, il verde dei pascoli, il candore dei nevai e la poesia del fiume che non si stanca di ripetere la stessa canzone. E poi c’è la riserva di caccia con i camosci che vengono a pascolare accanto all’abitato, che fa di questa località un paradiso dai sogni proibiti per i cacciatori. Qui si arriva con il fiatone; non è una passeggiata per i piedi piatti. Ma appena arrivi ti trovi subito a casa tua.” In queste note si leggono i prodromi che avrebbero di lì a qualche anno dato avvio alla costruzione della carrozzabile che avrebbe portato l’auto anche in Ambria; rivalità mai sopite, emulazione, spirito di contrada non potevano tollerare Agneda servita da strada ed i valdambrini a rosicare. Fu così che tra il 1978 ed il 1982, in due lotti, la strada imboccò l’alta val Venina per fermarsi al parcheggio antistante la contrada d’Ambria. La vicenda fu inizialmente vissuta come una scommessa, poi fu connotata come un’ avventura e la positiva Le Montagne Divertenti Strada di Ambria, II lotto (1982, foto archivio Crapella). conclusione premiò gli sforzi dei protagonisti e dei valdambrini. Tre i padri della strada: il progettista Geom. Diego Lanzini, l’imprersario Nello Crapella ed il referente valdambrino Angelo Taloni1. Latitante l’Amministrazione Comunale, poco interessato il sindaco Renzo Micheletti, con grande tenacia e determinazione Angelo e Diego bussarono a tante porte, risolsero complessi adempimenti burocratici, raccolsero magre risorse, progettarono il percorso ed affidarono al “garibaldino” impresario di Tresivio il compito di arroccare la carrozzabile per Ambria. Chiesti tre preventivi (2 imprese di Piateda), una rinunciò, un’ altra richiese un congruo aumento; solo il Crapella, operando un lievissimo ribasso, partì all’attacco con tre figli, altri 3 operai e pochi mezzi e tanto esplosivo. Dal tornante della strada che conduce a Scais, passando per Agneda, quota 1080, mosse l’escavatore ed i mezzi dell’impresario 1 - Presidente del Consorzio di Miglioramento Fondiario Valle d’Ambria, ente regolarmente costituito dal Notaio Surace di Sondrio il 2 gennaio 1976. di Tresivio per tracciare, sbancare, erigere solidi muri, costipare il fondo, posare adeguate barriere e realizzare così l’ardita carrozzabile che termina a quota 1310, a pochi passi dal ponte che fa accedere all’antico borgo le cui origini si perdono nel tempo. Grandi rischi, qualche incidente, molti aneddoti tutti da raccontare e tre vipere (ancora in bella mostra in vasetti con formalina in casa Crapella) possono testimoniare una “eroica” avventura per collegare Ambria al resto del mondo. Son passati una trentina d’anni da quell’impresa ma osservando alcune fotografie di cantiere pare passata un’epoca; l’ambiente della forra a picco sul torrente Venina e più avanti, dove la valle spiana, le sue sponde curate a pascolo hanno lasciato spazio ad un inestricabile bosco. La solida strada regge, le insidie non mancano, temporali e geli segnano ulteriormente l’asprezza dei luoghi eppure, nell’edicola eretta allora dal Crapella come gratitudine per la protezione celeste ricevuta, la Madonnina rende mistico il luogo più pericoloso e cupo della strada, serrato tra secchi tornanti e rocce a picco. Speciale Ambria 19 Versante orobico Speciali d'Inverno I morti di Ambria L’osteria di Ambria Marino Amonini U no dei più illustri frequentatori di Ambria fu Bruno Credaro. Vi passava di lì per dare sostanza alla sua passione per la caccia, la pesca e vivere la montagna; valli buone per cacciare, torrenti e invasi eccellenti per pescare ed un'umanità davvero originale da incontrare e raccontare. I suoi due libri Storie di alpinisti e cacciatori e Ascensioni celebri sulle Retiche e sulle Orobie editi nel 1955 dalla Banca Popolare di Sondrio possono essere considerati nel ristretto numero dell’eccellenza letteraria valtellinese. Dal primo si riporta questo racconto, a mio avviso, da antologia. U n giorno, dopo la vittoria, gli alpini tornarono alle loro case, alle loro baite e vi presero il ritmo della vita di sempre. Al lutto degli amici perduti in guerra, molti aggiunsero quello dei famigliari portati via dalla febbre spagnola; ma accettarono anche questo come un colpo del destino, contro il quale è vano tentare ribellioni. Così ripresero a portare pesi su e giù per le montagne e si ritrovarono in forma, perché gli zaini e i traini avevano provveduto a tenerli in allenamento. Le guide ripresero il loro mestiere e nonostante i pericoli, trovavano che non c’erano più le sventagliate delle mitragliatrici e gli scoppi improvvisi delle granate. Tutti provavano più vivo il sentimento della famiglia, dopo anni di lontananza, e quali anni. E gustavano la soddisfazione di essere usciti vivi da quell’inferno. Ma, trascorrendo il tempo anche se nulla si perdeva delle tragiche vicende per cui erano passati, affiorava nel loro animo, non oserei dire la nostalgia ma il compiacimento per aver superato quelle prove e per essere vissuti in quell’ ambiente di sacrificio e di eroismo. Solo a lunghi intervalli ritornavano gli incubi e allora non erano più ricordo, ma reviviscenza. Una sera, sono pochi anni ero nella piccola osteria di Ambria, con una mia bambina arrivata da poco alla scuola media e che mi seguiva a caccia. Era una stanzetta male illuminata, con un tavolo al centro e due panche; sul focolare bruciava un grosso ceppo di larice; 20 Le Montagne Divertenti faceva poca fiamma, ma a tratti con uno scoppio buttava attorno un poco di bragia e per un istante il locale era percorso da una luce rossastra. Il cane, steso sul pavimento vicino al fuoco, dormiva stanco vibrando di tanto in tanto con un rapido sussulto, accompagnato da un sordo mugolìo. Si aprì la porta ed entrò un uomo alto, tanto che per passare dovette piegarsi a punto interrogativo; era magro, stempiato, con pochi capelli grigi arruffati, certamente un minatore, a giudicare dalla polvere che aveva sugli abiti Disse: “Questa sera si torna in Italia”. Veniva dalle alte gallerie del Venina e voleva dire che tornava tra la gente. Poi sedette e ordinò mezzo litro di vino; era evidentemente molto stanco e beveva in silenzio. Al secondo boccale le gote scarne incominciarono a prendere un poco di colore e gli occhi, prima quasi spenti, a ravvivarsi. E incominciò a parlare, a voce bassa dapprima e a frasi brevi e staccate: lassù nella galleria era una vita dura, sempre con quel martello della perforatrice sullo stomaco, a respirare polvere, perché la maschera dava troppo fastidio, e con quel raspo della dinamite bruciata sempre in gola. Ma ne aveva viste ben altre. Continuava a bere e gli occhi ora brillavano con una strana luce e qualche gesto accompagnava le parole che uscivano sempre più fitte: lui veniva dall’altro mondo, perché era un alpino reduce dall’Ortigara. Quando pronunciò quel nome per la prima volta, la sua faccia assunse un’espressione tragica che mantenne per tutta la durata del racconto: egli era lontano dalla quieta osteria di Ambria, era tornato sulla cima Caldiera, ad aspettare il segnale dell’attacco e la sua narrazione seguì il tumulto di un esasperante crescendo che si esprimeva dal tono della voce e dai gesti sempre più ampi e convulsi. La bambina, da un angolo, seguiva con gli occhi attoniti quella strana e tremenda lezione di storia, con un misto di paura e di umana simpatia per il vecchio soldato che riviveva le sue terribili giornate; la luce che a tratti sprizzava dal ceppo, creava un singolare contrasto tra quelle due facce che si staccavano dall’ombra: una Marino Amonini A quieta, immobile, bianca della piccola che ascoltava e l’altra dell’omone, adusta e scavata da quelle tornanti angosce. Così da quella voce, ora squillante e ora roca, venne fuori la rievocazione del calvario degli alpini: la discesa a precipizio da cima Caldiera al vallone, la risalita per la parete calcarea quasi a picco dell’Ortigara; le artiglierie e le mitragliatrici che staccavano grappoli di uomini dalla parete e li precipitavano sul fondo del vallone. Poi quando i superstiti arrivarono sulla cima, trovarono che questa non era altro che una vasta spianata, senza un angolo morto, senza un sasso che permettesse ai battaglioni di ripararsi dal fuoco delle artiglierie che dalle posizioni dominanti di Cima Undici e di Cima Dodici spazzavano il pianoro. A un certo punto il minatore incominciò a farneticare; era stanco, ma ancora narrò di una trincea che in qualche modo si era potuta scavare e che si andava colmando di morti e di una spia austriaca che era capitata, alla seconda notte, nuda nella trincea e che era stata passata per le armi. Poi tacque di colpo, appoggiò un braccio sulla tavola, sul braccio chinò il capo e si addormentò. Riprese la pace della montagna; fuori, dalle creste del Salto era spuntata la luna che, girando sopra il pizzo del Diavolo, faceva luccicare i tetti del paesino addormentato. Anche il torrente correndo tranquillo e scintillante per il breve piano, commentava con un leggero mormorìo senza turbarlo, il grande silenzio. Inverno 2010 mbria è una località che la natura e il tempo hanno reso silenziosa, ma che ha avuto un passato vitale e costituisce una delle radici più profonde della storia di Piateda. La lettura dei registri dei morti di Ambria mi ha spinto, dopo una superficiale curiosità, ad effettuare un’analisi più approfondita per evidenziare gli aspetti ambientali e sociali che in essi erano contenuti. Pur con qualche breve spazio vuoto costituito dai periodi di “interregno” tra un sacerdote e l’altro, questi registri, a partire dal 1666 per arrivare al 1901, costituiscono un prezioso aiuto alla ricostruzione delle vicende passate. Molte delle notizie contenute sono dovute allo zelo, all’istruzione, alla meticolosità di registrazione dei sacerdoti avvicendatisi; per alcuni di essi è il caso di dire “ci hanno lasciato l’anima” e non in senso figurato. Il sacerdote che istituì il primo registro conservato, Francesco Cribelli, trascorse in Ambria 32 anni, dal 1666 al 1698; il sacerdote Giacomo Castellotti di Guinado, diocesi di Pontremoli, amministrò in Ambria dal 1782 al 1811, anno in cui morì sessantasettenne. Più di tutti esercitò il sacerdote Paolo Pedrazini di Sondrio: arrivò in Ambria nel 1730 e vi rimase fino alla sua morte avvenuta il 4 maggio 1780, cioè ben 50 anni di permanenza. Fu sepolto nel locale cimitero e questo testimonia l’attaccamento ed i sentimenti per quella comunità. Caso del tutto singolare e curioso nel 1698 un defunto fu registrato dal sacerdote Gervasio Bormolini di Bormio ”...Beneficialis Trepalle e Vice Parroco Ambria”, quasi fossero due paesi vicini!. II dato più appariscente fornito da questi registri è costituito dall’età dei defunti o per meglio dire dalla premorienza rispetto ai limiti attuali. Con una conta di 918 defunti registrati per 855 dei quali viene indicata l’età, li ho divisi per fasce d’età: fino al mese, fino all’anno, fino ai 10 anni, fino ai 25 anni e cosi via. Le Montagne Divertenti Lapidi nel cimitero di Ambria testimoniano come valanghe (si noti a sx che la valanga - causa del decesso - è scolpita nella lapide), cadute in burroni e malattie improvvise e acute fossero tra le maggiori cause di morte (26 ottobre 2010, foto Beno). Ebbene, il 33% dei nati moriva prima di aver compiuto l’anno, comprendendo anche la fascia successiva risulta che il 52%, ossia più della metà della popolazione non campava oltre i 10 anni. Soltanto il 12% degli abitanti oltrepassava i 65 anni, un età oggi largamente raggiungibile. Vi sono anche periodi tristissimi come il dicembre 1744 mese in cui morirono 8 bambini in età compresa tra il mese ed i 10 anni o i mesi tragici come il febbraio - marzo 1752 in cui vennero sepolte ben 15 persone. Si avvicendarono poi altri decessi tragici e frequenti per cadute da rocce per coloro che vi si arrampicavano alla ricerca di un pugno di fieno, o come è registrato qui di seguito: “Qualmente il giorno 20 del mese di Febraro dell’anno 1769 sotto la Parrocchia d’Ambria restarono sei persone soffogate sotto a un vendullo dove si dice alla Streccia della Cha; queste venendo dalla Bassa a casa furono sorprese da detto vendullo alle hore 19 circa di detto giorno e mese: cinque de questi furono ritrovati il giorno 24 aprile 1769 in detto vendullo e gli si diede sepoltura il giorno di S. Marco 25 Aprile. Gregorio figlio di Gio: Domenico Bulant fu ritrovato solo la vigilia delle Pentecoste li 13 Maggio e fu sepolto il giorno doppo la Domenica delle Pentecoste li 14 maggio nel cemeterio di S.Gregorio Ambria da me Pre. Paolo Pedrazino Paroco. Li nomi di queste persone morte sono: nel casale di Drera, Giovanni detto Sgarello 32 anni, Maria 25 anni, Maria detta Mazianza 38 anni, nel casale di Bulant, Gregorio 37 anni, Domenico 23 anni, Maddalena 35 anni.” P er superare queste malinconiche cifre vi è il caso di un centenario Giovanni Gabrielli, quasi un messaggio per dire che vi erano anche allora condizioni per giungere a quella autorevole età, davvero un bel primato. Un altro dato curioso è costituito, laddove è registrato, dalla malattia che ha causato la morte; febbre putrida, febbre infiammatoria, febbre tiroidea, febbre verminosa, eclamsia, erpite, idropisia, epilessia, tisi, polmonite... malattie dal nome sinistro che erano fatali un secolo fa, oggi non solo sono debellate, ma quasi non si sentono più. Col passare delle generazioni questa grande selezione naturale unita a matrimoni non più esclusivamente Speciale Ambria 21 Versante orobico Speciali d'Inverno edogami, col conseguente vantaggioso ricambio genetico, avevano generato una stirpe di superuomini. Scriveva infatti P. Donati su La Valtellina nel 18981: "La media della vita è dai 66 ai 60 anni; e vi muoiono per lo più di malattie acute: polmoniti, bronchiti e mal di cuore. La popolazione quivi è sana e robustissima; gli uomini specialmente sono colossali. E non potrebbe essere diversamente, perché facendo una vita isolata, semiselvaggia, come sentii, credo giustamente, affermare, si tengono lontani da ogni vizio, da tutti i guai che vanno di pari passo colla civiltà. Inoltre si deve riflettere che a quell'altitudine non resistono proprio che gli individui robusti, onde col tempo ne è venuta una naturale selezione per la naturale eliminazione degli esseri gracili ed imperfetti. Non hanno che pochi anni e già eccoli a guidare il bestiame al pascolo. E chi ha vissuto anche soltanto qualche giorno tra i pastori, sa cosa è questa vita, ed a quali pericoli e disagi si trova esposta, specie quando si tratta di custodire le capre. Si nutrono essenzialmente di latticini e di ova, talvolta anche dalla carne di quelle bastie che, pascolando su per l'erte a scoscese chine, o per il ghiaccio, o più spesso in causa della siccità, scivolano precipitando a valle. Temprando così l'organismo alle fatiche le più salutari, ed alimentandoti di cibi punto semplici e nutrienti, crescono d'una forza o d'una resistenza veramente invidiabili." Nella diagnosi e nella formulazione di queste malattie presumibilmente incise totalmente la perizia del parroco dal momento che la presenza del medico doveva essere quasi sconosciuta essendo Ambria lontana dalle sedi umane più evolute. Il parroco rappresentava il punto di riferimento, un fulcro per la comunità; le sue competenze andavano ben oltre l’amministrazione delle anime ed il fatto che esplicasse più funzioni occupandosi ora di sacramenti ora dei fitti, ora della salute o delle controversie, dell’istruzione o dei rogiti, gli conferiva 1 - Si ringrazia l'architetto Luca De Paoli per averci segnalato il testo. 22 Le Montagne Divertenti Antichi mestieri Marino Amonini N Il fatiscente ossario settecentesco di Ambria rischia di crollare se non vi saranno repentini lavori di messa in sicurezza. L'ossario fu, assieme ai muri perimetrali della chiesa, luogo di sepoltura prediletto prima della costruzione del cimitero, ma le esalazioni mefitiche dei cadaveri creavano spesso un tanfo insopportabile (gennaio 2009, foto Marino Amonini). un’autorità e un prestigio indiscusso. Il parroco inoltre godeva di benefici derivati da lasciti, fitti sui terreni coltivabili e i pascoli, in pratica disponeva complessivamente di mezzi superiori al resto delle famiglie per cui il suo potere culturale era sostenuto anche da un relativo “benessere”. Il tempo trascorse, mutazioni sociali e politiche, guerre e dominatori cambiarono il paese, ma in questo angolo sperduto si può ritenere che pochi echi vi giunsero, e se vi giunsero non mutarono la povertà, gli stenti che alimentarono la popolazione d’Ambria. Soltanto nel tardo ‘800 qualche novità fu costituita dalla variazione e dall’introduzione di nomi nuovi e novità ancora maggiore dalla presenza di gente forestiera, mogli perlopiù di Chiuro, Faedo, Caiolo, dimostrazione di una tiepida apertura verso “il resto del mondo”. Ai ripetitivi ed omonimi Caterina, Domenica, Giovanna, Andrea, Gabriele, Gregorio si aggiunsero gli Aloisio, Brigida, Judith, Emilia, Tecla, Angelo, Jacopo, Isidoro, Raimondo, Tranquillo... In conclusione, l’analisi dei dati contenuti nei registri consultati fa emergere una comunità che strappa con enormi sacrifici la vita alla morte, dove la precarietà regola l’incremento demografico, il suo sviluppo, la sua espansione. Si denota il costante isolamento determinato in gran parte dalle condizioni ambientali che è il preludio allo spopolamento e l’abbandono che si determinerà negli anni seguenti al periodo consultato. E’ presente però una ammirevole tenacia, un grande coraggio per superare le avversità ed una straordinaria omogeneità che caratterizza ancora le attuali generazioni2. 2 -Un vivo ringraziamento va ai coniugi Antonia e Angelo Taloni (scomparso nel 2009) che tanto amabilmente mi hanno consentito di esaminare i registri a loro affidati. Inverno 2010 ei secoli scorsi la posizione, la quota, l'isolamento di Ambria rispetto ad altri borghi disseminati sulle Orobie hanno determinato condizioni di vita ancor più difficili che altrove. Alle asperità della montagna si sommavano fattori climatici davvero critici: ore di ombra e frecc' prolungavano i rigidi inverni e viverci era una condizione al limite della sopravvivenza. I valdambrini seppero integrare le magre risorse fornite dall’alleva-mento, dai pascoli, dalle minime semine ingegnandosi nella produzio-ne di elementari manufatti in legno che regalò loro anche un pizzico di popolarità; vari viaggiatori, alpinisti e autori di guide valtellinesi citano questa particolarità. Manufatti quali mestoli, posate ed utensili in acero, collari (gambìsi) per capre, rastrelli, gerle, campàsc, scope di betulla, zoccoli di larice… prodotti lassù nei lunghi inverni venivano poi venduti e scambiati nei giorni di mercato ed alle fiere di paese. Solidi utensili di cucina e lavoro in cambio di farina, legumi, riso, vino e, quando le condizioni erano proprio favorevoli, qualche indumento e calzature riempivano il capàsc con la letizia di tornare in val Venina carichi di “ricchezza”. L'essenzialità imposta dalle dure condizioni di vita aveva però maturato nei valdambrini un sapere trasmesso di generazione in generazione capace non solo di conservare questo ingegno manuale di trasformare pianticelle e ceppi in preziosi utensili, ma di conoscere tutte le malizie di questo saper fare. I cicli lunari, gli umori delle piante, i tipi di legno, i posti ove tagliarlo, quando effettuare il taglio, come stagionarlo o mulginarlo, la scelta dei ciocchi adatti, la venatura ed i nodi…. era il modesto patrimonio di ingegno di molti valdambrini altrimenti analfabeti e privi di adeguata istruzione. Le Montagne Divertenti Cavàgn e gerle, oggi di ridotte dimensioni e usati come complementi d'arredo, un tempo erano essenziali contenitori, assieme ai campàsc, per ogni sorta di trasporto, culle comprese (gennaio 2005, foto Marino Amonini). La butéga del Lüìis Taloni in Ambria, ultimo artigiano del legno (15 agosto 1995, foto Marino Amonini). Gino Belotti (Bafù), assiduo frequentatore di Ambria, per molti anni è stato occupato nella vicina centrale di Zappello. Qui con zoccoli tipici e manufatti in legno (28 ottobre 2010, foto Beno). Il progressivo spopolamento ed il definitivo abbandono di Ambria dopo il secondo conflitto mondiale ha pressoché cancellato questa forma di attività. Negli anni ’90, transitando d’estate per il borgo, sbucando nella piazzetta antistante la canonica, si poteva osservare il “regno” di Luigi Taloni: una buia masùn adattata a laboratorio in cui l’omaccione si dilettava a scavare mestoli e cucchiai che poi esponeva in ordinate file appesi alla sgangherata porta della bottega. - Ciàu Lüìis, cùmi vàla? A véedi ca tu laùuret sèmpri a brigulàa! - Ah, c’ói pó da fàa! - Bràu, tu sé nn’artìšta, a vài bée i Speciale Ambria 23 Versante orobico Speciali d'Inverno afàari? - Ah, i na völl capü negüü, ma mi ‘n sa badéeti e ‘l ma pàsa ‘l téep! Poche battute per delineare il requiem per un tempo che fu. Rimanevo ammirato per quell’antro dal sapore collodiano; Luigi era una sorta di Mastro Geppetto che da umili ciocchi ricavava levigati cucchiai, mestoli, forchettoni, basle, ciapei, ideali complementi per lo slow food. Con il piacere della lentezza, la pazienza di un cesellatore e l’orgoglio da vecio alpino. Ma nella semioscurità della masùn l’interesse era catturato da un’altra sopravvivenza: i lusaroi. Lembi di corteccia esterna, quella pellicola bianca che fa brillare le betulle anche nella notte. Sapientemente srotolate dalla pianta ed essicate erano l’infallibile elemento per accendere il fuoco nella stufa e nel focolare. Meglio della legna fina, meglio ancora delle zollette di diavolina. servivano al trasporto dell’uva al tempo della vendemmia. Per non dividere la terra e il poco bestiame, vivevano riuniti in grosse famiglie e si sapeva che il capo di una di queste, il Taloni di Ambria, veniva ogni sabato a Sondrio a comperare un quintale di farina che a mala pena durava una settimana per nutrire quella specie di tribù. Poiché i prati dei maggenghi erano pochi, salivano nella buona stagione a tagliare l’erba in alta montagna dove il terreno difficile non permetteva il pascolo. Falciavano al mattino presto, tendevano questa specie di fieno selvatico a seccare sui piccoli ripiani e alla sera lo legavano in fasci di settanta o più chili e lo portavano a casa, stipandolo nei vasti fienili. Passavano carichi per certi sentierini per i quali spesse volte i miei amici cacciatori si rifiutavano di passare. Era un lavoro di uomini e di donne e durante il giorno grida e canti si incrociavano da una sponda all’altra, passando sopra gli abissi e chissà quanti rustici idilli saranno nati a fare meno ingrato quel duro lavoro. Ma spesso, invece dell’idillio, arrivava la morte, perché per andare a tagliare poche manciate di erba sull’orlo dei precipizi o sulla breve cornice delle cenge, qualcuno precipitava, tradito da qualche ramoscello o da qualche zolla che non aveva retto al suo peso. Allo Zapèl, oltre Ambria, raccolte sotto un solo sasso, ben sette croci arrugginite ricordano alla pietà del passante altrettante tragedie di questa povera gente. Un tempo si dovevano coprire con disagi e fatiche mulattiere ed erte per contendersi una pianta, per recuperare legna e legname: basti pensare che fu dismessa l'attività estrattiva mineraria in val Venina per mancanza di questo – ora il bosco incontrollato avvolge e sta seppellendo Ambria. accorciando l’estate e prolungando le lunghe ombre, sul borgo e sul suo vissuto. P er meglio evidenziare la particolarità del dialetto di Ambria dialetto, ricco di autoironia e di colorite metafore, vi propongo in coda a questo speciale una storiella ricevuta per vie traverse e da me elaborata, che esalta la creatività e l’ingegno degli abitanti di Ambria i quali, anche se dotati di scarsa istruzione, riuscivano a risolvere problemi con elementari ma geniali soluzioni. La lettura di questo dialetto, anche se accompagnata dalla legenda per la corretta fonetica, non è così semplice. Chi volesse ascoltare questa e anche altre storielle, presentate in occasione di Ambriajazz 2010, può guardare il video realizzato durante la manifestazione stessa intitolato Ul valdambrìi, presente sul sito www.abriga.it. Questa storia potrebbe anche essere stata inventata di sana pianta, ma noi preferiamo credere che ci sia qualcosa di vero. Se poi la storia è un valdambrino che la racconta, allora la situazione cambia radicalmente e il tutto si trasforma come per incanto in fatti realmente accaduti, con tanto di testimoni pronti a confermare la veridicità dei fatti più incredibili. Ad Ambria, tutte le belle storie non hanno mai rispettato la versione originale ma, ogni volta che la storia veniva riproposta, il narratore aggiungeva inesorabilmente qualcosa di personale. Un esempio; se nella versione originale, un tale aveva mangiato 30 lumache, per il succesivo narratore che queste erano almeno 60, e chi dopo di lui giurerà che erano 100 e così via fino ad arrivare all’ultima versione dove si racconterà di almeno 300 lumache ingerite! Possiamo quindi costatare che la forbice tra verità e quanto in seguito riportato è molto, molto ampia. La storiella che ho scritto, ul valdambrìi e l’ingegnéer, è ambientata negli anni ’70, quando fu costruita la carrozzabile che da Vedello sale in ripidi tornanti verso Ambria e parla di un valdambrino che osserva incuriosito un giovane ingegnere il quale, formulando complicati calcoli e coadiuvato da strumenti all’avanguardia, cerca di tracciare la strada stessa. Sarò riuscito a reprimere le tentazioni ereditate dalle mie origini valdambrine e non avrò aggiunto proprio niente di personale a questa storiella? Avrei potuto azzardare una risposta affermativa, ma preferisco rimanere su una più vaga e tipica espressione che caratterizza la nostra cara Ambria: “mmah”! Vedello negli anni '30. per una corretta pronuncia del valdambrìi c' cc' cch ch é è ğ ó ò ö s š ş ss ü z ź ra le autorevoli testimonianze piace riportare quella del Prof. Bruno Credaro in Storie di Guide, Alpinisti e Cacciatori: a se mi era ignota la valle, qualche cosa sapevo dei suoi abitanti: era una stirpe rude e forte; a primavera arrivavano al mercato di Sondrio e vendevano i prodotti del loro paziente lavoro invernale. Su nei villaggi di Ambria e Agneda, bloccati o quasi per molti mesi dalla neve e dal gelo, fabbricavano lunghe scale a pioli, ricavandole dai tronchi diritti e sottili dei larici novelli e le vendevano a Sondrio a una o due lire; ancora erano espertissimi a intrecciare ceste e gerle che "M Le Montagne Divertenti Luigi Zani Fonetica T 24 Racconti di Ambria Inverno 2010 suono dolce, pronuncia semplice in fine di parola (calcio) = cunvìnc' suono dolce, pronuncia doppia in fine di parola (miccia) = bòcc', cavìcc' suono duro, pronuncia doppia in fine di parola (piccone) = pìcch, bècch suono duro, pronuncia semplice in fine di parola (casa) = cèrech, fìich per i suoni chiusi (méla) = ciapéll, fée per i suoni aperti (bèllo) = bèll, fèrr si pronuncia contemporaneamente una sce e una g (come dal francese jean) = ğélt, bàağiul per i suoni chiusi (órso) = órs, blótt per i suoni aperti (òsso) = òss, fòort suono chiuso (ö lombardo/dal tedesco) = cört, rööda sorda, pronuncia semplice (sale) = sàal, saiòtt si pronuncia come le due consonanti “s” e “c” separate (ascia) = šciòpp, féšta sonora (rosa) = peşànt, pişucàa sorda, pronuncia doppia (rosso) = róss, péss suono chiuso (ü lombardo/dal tedesco) = grüff, ferüüda sorda (calza) = zàpa, zòcul sonora (zero, zanzara) = źìu, brónźa Le Montagne Divertenti Speciale Ambria 25 Versante orobico Speciali d'Inverno Ul valdambrìi e l’ingegnéer Luigi Zani Il valdambrino e l'ingegnere ‘n dì, apéena sùura Vedéll, ‘n ingegnéer al lauràava a štüdiàa diségn e màpi e fa ğió cünc’ sü ntün taquìi per fa la štràada da scimà tresü ‘n Ambria un giorno appena sopra Vedello, un ingegnere stava studiando disegni e mappe ed eseguiva calcoli su un blocco note per tracciare la strada per Ambria ‘n valdambrìi, cùl briòol in còšta e i pòlech ğió i li lòti de velü, al lauràava a da améet, ma ‘l scitìiva ca dermàt là a ‘n malìiğen un valdambrino, col cappello sulle ventitre e i pollici infilati nei pantaloni di velluto, stava osservando ma non proferiva parola addossato a un sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia) l’ingegnéer al trebülàava, ‘n bòtt séma tàat al špiàava tresü i li sèlvi cùn tün štrümènt e ‘l seguitava a fa ğió cünc’, ma ‘l vignìiva ca a üna l’ingegnere tribolava, ogni tanto scrutava in alto verso le selve con uno strumento e continuava a eseguire calcoli, ma non riusciva ad arrivare ad una conclusione gliùura ‘l valdambrìi al pùuğia ‘l sügüréll ca l’éeva ntì màa, al špüüda ‘n bòtt ğió bàss, al ga va àla vèersa e ‘l ga dìss: il valdambrino appoggia allora la scure che aveva in mano, sputa una volta per terra, gli va incontro e gli dice: “io non ho capito proprio niente, cosa stai facendo?” “mi ó capìit nna madóna, chi laùuret a fàa?” l’ingegnéer al lu vàarda e ‘l ga rešpónt: “buon uomo, stiamo tracciando la strada carrozzabile per Ambria” l’ingegnere lo guarda e gli risponde: “buon uomo, stiamo tracciando la strada carrozzabile per Ambria” ul valdambrìi ‘l špüüda ‘n bòtt dapé ğió bàss e ‘l ga dìss: “al sétt che chiló ‘n Ambria i na fa ca ğió de cünc’ per fàa nnà štràada?” il valdambrino sputa ancora una volta per terra e gli dice: “lo sai che qui ad Ambria non se ne eseguono conti per costruire una strada?” l’ingegnéer, ca l’èera ca tròpp lìss, al ‘l ga rešpónt: “ah si, allora come fate?” l’ingegnere, che era piuttosto alterato, gli risponde: “ah si, allora come fate?” e ‘l valdambrìi ‘l ga dìss: “nùu ‘n ciàpa n’ marsciù dün àaşen e m’ùl invìia tresü per i dòss; ngù c’al pàsa l’àaşen l’é la vìia giüšta da fa la štràada” e il valdambrino gli dice: “noi usiamo un asino, lo incamminiamo su per i dossi e dove passa l’asino è la via giusta per tracciare la strada” l’ingegnéer, ca persüàas da la rišpòšta dul valdambrìi, al ga dumànda: “…e quando non avete l’asino?” l’ingegnere, non convinto della risposta del valdambrino, gli chiede: “…e quando non avete l’asino?” e ‘l valdambrìi: “…a bè gliùura, sa l’é iscé, ‘n ciàma ‘n ingegnéer” 26 Le Montagne Divertenti e il valdambrino: “…allora, in questo caso, chiamiamo un ingegnere” Inverno 2010 Le Montagne Divertenti Speciale Ambria 27 Speciali d'Inverno La salute dei GHIACCIAI LOMBARDI Andrea Toffaletti Servizio Glaciologico Lombardo C hi non frequenta abitualmente la montagna spesso non sa neppure cosa sia un ghiacciaio; magari non ne ha mai visto uno, nemmeno in fotografia. Ma gli appassionati di montagna sì: lo hanno sicuramente ammirato, almeno una volta, far capolino dietro ad una cresta o mostrarsi in tutta la sua magnificenza giungendo in cima ad una montagna o apparire come una superba quinta valicando un passo. Comunque la si pensi, la visione di un ghiacciaio ha da sempre suscitato forti emozioni negli uomini. Guardati con diffidenza e timore dalle genti alpine dei secoli scorsi e sfruttati per fini energetici dall’inizio del XX secolo, con il passare del tempo i ghiacciai, da remoti, lontani, inaccessibili e, perché no?, inutili ai fini della mera sopravvivenza di una comunità dedita ad un’economia agricola di montagna, sono diventati un’importante risorsa. Dallo sfruttamento idroelettrico allo sci estivo i ghiacciai sono sempre più conosciuti e frequentati, grazie anche alla sempre maggiore eco riscontrata sui media da argomenti riguardanti il clima e i suoi mutamenti di cui il ghiacciaio è fedele indicatore. Due operatori SGL (Servizio Glaciologico Lombardo) intenti nell'escavazione di una trincea per un'analisi stratigrafica del manto nevoso sul ghiacciaio del Suretta, in alta valle Spluga. L'operazione viene svolta annualmente al termine della stagione d'accumulo su alcuni ghiacciai campione (13 giugno 2009, foto Giorgio Orsucci). 28 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Le Montagne Divertenti La salute dei ghiacciai lombardi 29 Ghiacciai Speciali d'Inverno C os’è un ghiacciaio? Si tratta di una massa ghiacciata più o meno grande, dotata di movimento o, meglio, all’interno della quale sussiste un apprezzabile trasporto di massa (in questo caso la neve e il ghiaccio) dai settori superiori, più alti, verso la sua sezione terminale: vi è, infatti, una parte più a monte, denominata bacino di accumulo dove la neve caduta nei mesi freddi si accumula e non fonde mai nemmeno durante i caldi mesi estivi (...non è sempre così, purtroppo!) ed una porzione a valle, chiamata zona di ablazione, dove il ghiacciaio perde, tramite la fusione del ghiaccio stesso, parte della massa trasferitasi dai bacini soprastanti. Se la massa accumulata è maggiore di quella persa il ghiacciaio risulterà in avanzata; viceversa, se la massa persa è maggiore di quella accumulata, il ghiacciaio è in ritiro; quest’ultima è la situazione che sempre più spesso si sta manifestando negli ultimi anni. I ghiacciai risentono principalmente di due fattori: le precipitazioni nevose del periodo ottobre-maggio (stagione di accumulo) e le temperature dei mesi estivi (stagione di ablazione). Le temperature invernali incidono poco, mentre le precipitazioni estive possono essere anch’esse importanti se messe in relazione alle temperature del periodo estivo determinando la caduta di pioggia (dannosa) o neve. lla metà del XIX secolo i ghiacciai alpini conobbero la loro massima espansione1; da allora cominciò un inesorabile ritiro che, tranne qualche pausa (anni ’70 e ’80 del XX secolo), continua tutt’oggi; ma è proprio negli ultimi anni che il fenomeno ha raggiunto livelli parossistici. Modificazioni del paesaggio, vie alpinistiche divenute oggettivamente pericolose ed insicure, riduzione delle riserve idriche sia ad uso potabile sia per la produzione di energia elettrica: questi gli scenari che iniziano a prospettarsi e che ci aspetteranno nei prossimi anni in modo sempre più marcato se la tendenza in atto non cambierà. A 1990 2009 Il gruppo del Ortles-Cevedale risulta uno dei settori maggiormente colpiti dalla deglaciazione degli ultimi venti anni. Oltre al famoso ghiacciaio dei Forni il gruppo ospita altri grandi ghiacciai, tra cui il ghiacciaio di Dosegù ad E del passo Gavia. Celebre per la sua caratteristica lingua formata dal tre diverse “crepacciate”, negli ultimi venti anni ha visto ridotta notevolmente la sua imponenza e, delle tre importanti colate che alimentavano la lingua frontale, solo una è rimasta attiva (foto 1990, A.Pollini - foto 2009, A.Borghi, Servizio Glaciologico Lombardo). L'impressionante seraccata della vedretta del Disgrazia (13 febbraio 2008, foto J. Merizzi). Andamento della temperatura a Sils/Maria (nei pressi del passo del Maloja) tra il mese di Aprile e il mese di ottobre dal 1864 al 2009. Chiara la tendenza che si sta delineando negli ultimi anni, dopo una fase più fresca a cavallo degli anni '60 e '70. Nel periodo considerato, il 2009 ha eguagliato il “famoso” e caldo 2003 (fonte dati MeteoSchweiz, elaborazione R.Scotti Servizio Glaciologico Lombardo). Ma cosa è accaduto ai nostri ghiacciai nelle ultime annate? Il Servizio Glaciologico Lombardo da oltre venti anni effettua, grazie all’opera di instancabili operatori volontari, il monitoraggio degli apparati glaciali lombardi, redigendo ogni anno un report sul loro stato di salute e pubblicando i risultati sulla rivista “Terra Glacialis”. Quello che ne esce è un quadro abbastanza desolante: è stato calcolato negli ultimi anni che solo nelle stagioni 2007 e 2008 sono andati persi dai ghiacciai lombardi più di 338 milioni di m³ di acqua mentre dalla Piccola Età Glaciale la superficie si è più che dimezzata. Dal 2005 al 2009 inoltre sono scomparsi ben 52 ghiacciai! Il trend non sembra essersi invertito nemmeno negli ultimi due anni, caratterizzati da abbondanti nevicate ed estati solo apparentemente fresche. Nonostante quest’ultima sia opinione diffusa, le ultime due stagioni estive non hanno contribuito granché alla conservazione della neve invernale, nemmeno alle quote più elevate. E’ vero, nulla a che vedere rispetto all’ormai famoso 2003, l’anno del caldo insopportabile e ininterrotto, ma sufficientemente calde da provocare la fusione di gran parte della neve accumulata durante l’inverno. Insomma, la sensazione è che dopo il 2003 sia “saltata” in noi tutti la percezione di “normalità”. Per citare qualche dato, l’estate 2009 è stata tra le più calde dell’ultimo secolo eguagliando, nel periodo aprile-ottobre, il tanto chiacchierato 2003. 1 - Il periodo è chiamato Piccola Età Glaciale (PEG). 30 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Le Montagne Divertenti La salute dei ghiacciai lombardi 31 Ghiacciai Speciali d'Inverno Nel settore Spluga-Lei il versante nord del pizzo Stella ha visto un notevolissimo ritiro del ghiacciaio di Ponciagna che, dopo aver abbandonato il pianoro contraddistinto da un bel laghetto alpino, nel quale si “tuffava” con una spettacolare falesia fino ai primi anni novanta (1991, foto Tedoldi), risulta ora sempre più arretrato e assottigliato (1994, foto M. Lojacono; 2005, G. Ghielmi, Archivio Servizio Glaciologico Lombardo). Un altro ghiacciaio che ha notevolmente modificato la propria morfologia è il Ghiacciaio di Fellaria Ovest che, nel giro di poco meno di trent’anni ha perso completamente la sua parte terminale. Agli inizi degli anni ‘90 del secolo scorso (foto in alto, G. Casartelli) l’apparato presentava una lingua ben sviluppata con annessa seraccata in corrispondenza del gradino roccioso. In meno di 20 anni la fronte si è ritirata notevolmente, posizionandosi a monte del gradino roccioso, abbandonando il pianoro sottostante che risulta colonizzato dalle prime forme di vita vegetali pioniere (1999, G. Catasta; 2009, G. Neri, Archivio Servizio Glaciologico Lombardo). 1991 E i primi dati sull’estate 2010, dai più classificata come un’estate fresca, sembrano ricalcare quella precedente, a causa soprattutto al periodo molto caldo compreso tra fine giugno e fine luglio. D'altronde, come una rondine non fa primavera, così un ferragosto fresco e piovoso non fa un'estate fredda. C’è poi da constatare come le forti precipitazioni nevose invernali non abbiano interessato omogeneamente tutti i settori. Maggiori accumuli si sono registrati sulle Orobie, Spluga, Disgrazia e Adamello, con spessori registrati tra fine maggio e inizio giugno attorno ai 4 - 6 metri, mentre i meno fortunati sono stati i settori più interni e meno interessati direttamente dalle umide correnti mediterranee (Livignasco, Ortles - Cevedale e Bernina) dove l’altezza del manto nevoso si è attestato poco oltre i 2 metri a 3000 metri di quota. Ma torniamo allo stato di salute dei nostri ghiacciai. Nel 2009 i settori più penalizzati sono stati quelli in cui è anche più diffuso il glacialismo, come il gruppo del Bernina, il gruppo dell’Ortles - Cevedale e il gruppo dell’Adamello dove si trova gran parte del patrimonio glaciale lombardo. Qui i regressi frontali da un anno con l’altro sono stati importanti: numerosi i ritiri frontali superiori ai 10 metri con punte di 58 metri per il ghiacciaio del Sissone nel gruppo del Disgrazia, “vittima” di una vera e propria disintegrazione della fronte, letteralmente scivolata a valle di decine di metri. Per citare solo alcuni dati si segnalano: 32 Le Montagne Divertenti nel settore Spluga-Lei i -22 m del ghiacciaio di Cima di Lago Ovest; nel settore Disgrazia-Mallero il ghiacciaio della Ventina con -14 m e il ghiacciaio di Predarossa con -20 m; i -4 m del ghiacciaio di Campo Nord nel livignasco al confine con la Svizzera; il ghiacciaio di Pizzo Scalino -10 m; il Ghiacciaio del 1990 1994 1999 2005 2009 Dosdè Est (famoso per i tanto declamati quanto inutili teli geotessili Levissima) -34 m; nel gruppo dell’Ortles-Cevedale il grande ghiaccio dei Forni -7 m, il Cedec e il Gran Zebrù -13 m, Vitelli -12 m, Palon de la Mare -11 m, il ghiacciaio di Alpe Sud -20 m che, dato il limitato spesInverno 2010 sore, se ne presume una rapida e prossima estinzione; nel gruppo montuoso dell’Adamello la vedretta di Pisgana Ovest -34 m e la vedretta del Venerocolo -10 m. Gli unici ghiacciai che, in qualche modo, hanno beneficiato di queste condizioni meteorologiche sono stati quelli ad alimentazione Le Montagne Divertenti prevalentemente valanghiva, vale a dire quegli apparati che vengono interessati con regolarità dalle valanghe. Qui, annidati alla base di importanti pareti rocciose e con una nivometria particolarmente elevata, sopravvivono e, in qualche caso, aumentano la loro massa ghiacciata piccoli ghiacciai, dalle modestissime dimensioni ma molto interessanti dal punto di vista glaciologico in quanto primi a reagire alle sollecitazioni climatiche. Tra i ghiacciai in incremento di massa nel 2009 ben la metà appartiene infatti al versante orobico valtellinese, mentre l’altra metà è distribuita tra i settori Codera-Masino, Scalino-Painale e Disgrazia. Valanghe, protezione dai raggi solari offerta delle pareti circostanti, maggiore nevosità: queste le principali cause. Tra i ghiacciai più in salute troviamo il ghiacciaio di Marovin in val d’Arigna interamente coperto da neve residua, i piccoli apparati di Podavista e di pizzo Brunone, tutti nelle Orobie, mentre nella selvaggia val Codera segnaliamo il remoto ghiacciaio di Sivigia Nord Est. In conclusione, se nelle ultime 4 stagioni (dal 2005 al 2008) il 100% dei ghiacciai era stato rilevato in decremento rispetto all’anno precedente, a fine 2009, su 50 ghiacciai rilevati, 36 sono in decremento (72%), 3 stazionari (6%) e 9 (18%) in incremento; di questi, come già sottolineato, ben 5 appartengono al settore Orobie, 2 al Codera-Masino e 1 al gruppo del Disgrazia-Mallero. E il 2010? I dati di quest’anno sono ancora in fase di elaborazione ma, dalle prime stime, sembra delinearsi un quadro per molti versi simile a quello dello scorso anno, con bilanci positivi per i ghiacciai più piccoli ma negativi per le grandi masse di ghiaccio della val Malenco, dell’Alta Valtellina e dell’Adamello. Occorrerà riparlarne fra qualche mese. La salute dei ghiacciai lombardi 33 Speciali d'Inverno 34 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Le Montagne Divertenti Freeride in val Lia, alle spalle la conca della cima Piazzi (m 3439) (27 febbraio 2010, foto Giuliano Bordoni). Free ride 35 Freeride Speciali d'Inverno Freeride Chi è il vero freerider? Maurizio Torri Là, dove gli archi di curva tendono a raddrizzarsi “Sono molti i modi per interpretare un pendio. La linea che scegli è quella che riflette la tua personalità, il tuo essere” I T l loro stile non è quello canonico del CAI, nè quello “super light” degli skialper racing. Hanno giacche larghe dai colori sgargianti, pantaloni rigorosamente a vita bassa, maschera a specchio gigante, casco, berretto e auricolari d’ordinanza con musica “a palla”; vi sarà capitato di incontrarli a bordo pista, o su una cresta intenti a tracciare con lo sguardo una linea di discesa particolarmente suggestiva. Alcuni di voi li avranno forse guardati con diffidenza, altri avranno abbozzato un sorriso dinnanzi a quel modo spavaldo di affrontare i pendii… roppo spesso visti come pazzi squilibrati o addirittura come dei “pirati della neve”, i veri freerider sono invece degli specialisti dello sci. Specialisti che calcolano in anticipo ogni singolo salto e ogni singola curva ancora prima di girare le punte a valle. La verità è che la gran parte degli sciatori si è fatta un’idea errata di questi amanti dei cliff e delle evoluzioni in neve fresca. «Negli ultimi inverni, si è delineata una netta distinzione tra “i garisti” e chi ha un occhio di riguardo per la discesa -ha esordito-. I primi inseguono la leggerezza, hanno uno sci P er conoscere meglio quella che per molti è una moda del momento e per moltissimi un vero e proprio stile di vita, abbiamo incontrato la Guida Alpina Giuliano “bordons” Bordoni, autore della nuova guida Freeride in Lombardia edita da Versante Sud. molto stretto che premia la performance cronometrica, ma non certo la sciata. I secondi, invece, usano materiali forse meno performanti, ma sicuramente più divertenti. Il loro obiettivo è godersi la discesa. Tra quest’ultimi vanno sicuramente inquadrati i freerider: ovvero dei giovani, di età o di “spirito”, che hanno una gran voglia di powder, ovvero di neve polverosa». Come è nata la freeride mania? «D ifficile dirlo… Forse per le pubblicità televisive o per gli spettacolari video che spopolano su youtube, sta di fatto che moltissimi giovani si stanno riavvicinando al mondo del fuoripista e di conseguenza al mondo della montagna». «U no a cui piace divertirsi, uno che ama condividere le proprie passioni, uno un po’ fuori dagli schemi, uno che ama sciare e soprattutto i salti in neve fresca. Solitamente si muove in aree prossime agli impianti di risalita, ma non disdegna l’impellare e il farsi un po’ di metri in salita alla ricerca di un pendio vergine. Per esperienza posso dirvi che il vero freerider segue il cuore, ma anche la testa. Già in fase di salita scruta il pendio tracciando idealmente quella che poi sarà la sua linea di discesa. Difficilmente improvvisa, anche perché il commettere errori in determinate condizioni potrebbero costare cari. Nei video vediamo cliff1 pazzeschi su pendii quasi verticali, ma non bisogna dimenticare che i protagonisti di tali filmati sono dei veri professionisti; gente capace di interiorizzare ogni singolo passaggio ancora prima di affrontarlo. I veri incoscienti non sono loro, ma chi cerca di emularli senza una vera conoscenza dei propri limiti. Il vero incosciente è chi va in montagna senza umiltà». Da freerider e Guida Alpina come vivi la mal informazione e l’errata considerazione pubblica che vi vede come veri e propri “pirati della neve”? «P urtroppo i giornali devono vendere. E per vendere i titoli eclatanti o immagini suggestive sono una bella scorciatoia. Da qui, allo scrivere “Montagna Assassina” o dipingerci come dei pazzi che si gettano a capofitto alla ricerca di una botta di adrenalina… il passo è breve. Chi non vive di montagna o non ha cultura di montagna difficilmente sa che sulla neve il "rischio zero” non esiste. A volte basterebbe informarsi adeguatamente, interpellando le Guide Alpine, i soli professionisti della montagna, per capire che il vero freerider è tutt’altro che un esaltato o un squiliDiscesa sul Tonale occidentale, sullo sfondo il gruppo dell'Adamello. Rider Giuliano Bordoni (3 dicembre 2009, foto Michele Roscini Vitali). 1 - Bella roccia dalla si salta con atterraggio in discesa pronunciata. 36 Le Montagne Divertenti Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Giuliano entra nel "boschetto dei Trip e dei Trick", itinerario freeride a Santa Caterina (26 dicembre 2009, foto Michele Roscini Vitali ). brato. Anzi, è un atleta dotato di una notevole esperienza in fuoripista e con un’adeguata capacità per muoversi in ambiente. Ho avuto modo di conoscerne molti freerider professionisti e vi posso confermare che sono dei veri calcolatori». Come si affronta una discesa in fuoripista? «S i deve avere una buona conoscenza per la lettura del manto nevoso. In fase di salita va identificato il tracciato migliore per la discesa. Ciò lo si fa attraverso l’esperienza e seguendo alcune norme comportamentali quali la distanza dai propri compagni sia quelli che ci seguono, sia quelli che ci precedono. Bisogna cercare di stare sempre sulle dorsali e mai all’interno delle vallette e dei canali, fermarsi sempre in luoghi riparati e affrontare itinerari alla propria portata. Qualora queste nozioni vengono a scarseggiare nel proprio bagaglio ci si affida senza vergogna ad una Guida Alpina. Fondamentale è avere con se e sapere usare il kit di autosoccorso in valanga composto da ARTVA, sonda e pala». A livello di normative, cosa rischia chi scia in fuoripista? Free ride 37 Speciali d'Inverno UNA VALANGA DI QUIZ ! Cima Valleccetta detta “Croce” a cura di Davide Spini A. Guida Alpina (tel. 3337982523, email: [email protected]) Le seguenti domande hanno una o più risposte giuste. Testa la tua conoscenza in materia di neve, valanghe e autosoccorso. Bormio 3000 1 - La maggior parte delle valanghe causate dall'uomo si distacca 11 - Per salire o scender un pendio potenzialmente pericoloso su inclinazioni di A B C D 30°-35° 20°-30° 45°-55° oltre 55° A B C D neve fredda e poco coesa neve molto umida accumuli da trasporto eolico dipende dalla conformazione del terreno A B C D sto in centro lo attraverso da destra a sinistra, così faccio anche meno fatica sto a lato tolgo gli sci e mi muovo a piedi 12 - Quale tipo di valanga uccide più sciatori in inverno 2 - Quale tipo di neve favorisce lo sviluppo di valanghe su pendii A neve polverosa poco inclinati? Stardust cuneo paravalanghe A B C D Gipyes Croce Flower Power Linee di discesa dalla cima Vallecetta (m 3148), classica meta dei freerider sia per comodità d'accesso, che per divertimento degli itinerari. Dalla cima degli impianti di Bormio 3000 basta uscire dalla funivia, passarvi sotto e seguire la cresta (direzione O) che porta alla cima. Per il tracciato "Croce" si deve entrare nell’evidente canale che si trova in direzione NE, quindi rientrare nel vallone. Altre possibilità: dall'arrivo della funivia si prende velocità verso O per raggiungere tre altre belle linee di discesa: Flower Power (40°), Gipyes (40°) e Stardust (40°). E' bene non entrare dai paravalanghe, essendo la zona molto pericolosa! (tratto da Freeride in Lombardia). «N el nostro Paese non vi è un vero e proprio divieto, ma una regolamentazione che obbliga gli sciatori a seguire la segnaletica delle piste. Chi non la rispetta è passibile di sanzione. La cosa brutta è che quando ti fermano le forze dell’ordine non ti chiedono la cosa fondamentale, ovvero se sei o meno dotato di kit di autosoccorso in caso di valanga. Bisogna poi rimarcare che in caso di distacco di fronte nevoso, chi fa fuoripista può essere accusato di tentata strage a persone o cose». Cinque vette valtellinesi che un buon freerider deve assolutamente Esci dalla crisi avere in curriculum? «S arò di parte, ma essendo dell’Alta Valle dico: versante N della cima Piazzi e parte delle cime di quella conca come Corno di San Colombano e pizzo Boron. Sicuramente il Tresero, la normale del GranZebrù e la Croce della Vallecetta». 38 Le Montagne Divertenti 3 - Dov'è più probabile che avvenga il distacco di una valanga? Freeride in Lombardia - la guida L Q a Lombardia del freeride è un territorio molto vasto e per molti versi ancora sconosciuto. A B C D percorsi frequentemente sin dalle prime nevicate sono percorsi poche volte in una stagione sono vietati vengono percorsi con ARTVA, sonda e pala A B C D esposizione del versante a nord vento mancanza di rigelo notturno terreno con molte asperità esposizione nord temperature diurne poco sopra lo zero abbondanti nevicate temperature relativamente miti nord durante la notte est il pomeriggio sud la mattina sud il pomeriggio bosco di larici a 30° bosco di abeti fitto a 35° pendio sottovento poco ripidi 30/35°, ma lontano qualche decina di metri dal filo di cresta qualche metro sotto una cresta con cornici 9 - Quali tra queste sono le zone meno pericolose? A B C D canali stretti e ripidi (40°) pendii ripidi sopravento zone pianeggianti prima di un pendio ripido zone pianeggianti su cui vediamo l'accumulo di una recente valanga 10 - La scelta di un itinerario inizia Inverno 2010 probabilità di trovarmi vivo? A B C D 15 min 25 min 30 min 24 min A B C D raggiungo il primo punto in cui c'è copertura ed alletto il soccorso (118) osservo la dinamica e memorizzo il punto di travolgimento e di scomparsa del travolto. frugo nella giacca alla ricerca del mio ARTVA per metterlo in ricezione tolgo la sonda e la pala dallo zaino 6 - Quale fattore mantiene elevato il rischio di valanghe durante gran parte dell'inverno? 16 - Assisto, da una posizione sicura, al distacco di valanga che coinvolge uno sciatore. Qual è la prima cosa che faccio? A B C D G. Bordoni e P. Marazzi, Freeride in Lombardia, edizioni Versante Sud, Milano 2010 punta direttamente al travolto è perpendicolare alla linea di induzione punta lungo la tangente alla linea di induzione mi fa sempre avvicinare al travolto 5 - In tarda primavera qual è il più importante fattore che causa 15 - Se rimango sepolto da valanga quanto tempo hanno i il distacco di valanghe? miei compagni per disseppellirmi ed aver buone (80-90%) di 8 - In quale di queste zone sono più al sicuro? S tolgo eventuali laccioli da sci e bastoni tolgo sonda e pala dallo zaino non mi fido di alcune tracce lasciate da gente passata prima di me lo attraverso molto velocemente a costo di rischiare di cadere A B C D A B C D ono descritti 50 itinerari più molte varianti da Madesimo al Tonale. Ogni discesa è corredata da una scheda che riassume le caratteristiche tecniche fondamentali, oltre a numerose fotografie a colori con i tracciati delle salite e discese. A B C D 14 - Se ruotando un ARTVA sul piano orizzontale ricevo il segnale più forte, quella direzione 7 - Quali pendii sono più soggetti al distacco di valanghe primaverili e a che ora? “Freeride abbraccia uno stile di vita, una filosofia, un pensiero positivo. Freeride vuol dire sapere amare la montagna, volerla Per una donna conoscere, imparare a rispet-Canalino Sertorelli bellissima tarla.” 13 - Quali precauzioni prendo nell'attraversare un pendio con neve poco assestata 4 - Gli itinerari fuori pista sono meno pericolosi se A B C D uesta guida è il primo mattone, il primo passo, anzi la prima curva, per conoscere e apprezzare queste tracce. in prossimità di alberi in prossimità di sassi affioranti e fasce rocciose lungo pendii omogenei ad inclinazione costante in spessi (anche oltre il metro) lastroni da vento B di fondo C lastroni D scaricamenti spontanei su pendii molto ripidi A B C D al parcheggio sui primi pendii ripidi (30°) su una zona pianeggiante prima di cominciare a salire a casa Le Montagne Divertenti 17 - Tra autosoccorso e soccorso organizzato, in quale è maggiore la percentuale di recuperati vivi? A B C D Soccorso Alpino autosoccorso è circa uguale dipende dal tipo di neve 18 - E' scesa una valanga, non ho visto la dinamica, non ci sono eventuali reperti affioranti e dei testimoni affermano che c'è un travolto senza ARTVA. Da dove comincio a sondare? A B C D dal centro della valanga dalla zona di distacco faccio passare tutta la zona di accumulo nella zona di accumulo in prossimità di zone pianeggianti, alberi o sassi affioranti 19 - Per oltrepassare una zona pericolosa con i miei amici quale/i accorgimenti posso adottare A B C D procediamo muovendoci da un sasso/albero all'altro procediamo distanziati di un paio di metri provando a non cadere ci spostiamo da una zona sicura all'altra uno alla volta la attraversiamo in salita velocemente e cercando di essere leggeri Test su neve e valanghe 39 SOLUZIONI 1-A E' questa l'inclinazione dei pendii più divertenti e sciabili, mentre i versanti oltre i 45° sono percorsi meno frequentemente. Sopra i 55°/60° si hanno scaricamenti spontanei. 2-B All'interno della neve umida c'è dell'acqua allo stato liquido che la rende molto densa e pesante. Questo tipo di neve scorre anche su deboli pendenze, solitamente poco velocemente (30 - 50 km/h). 3-AeB Rocce ed alberi, sia ad alto fusto che prostrati (ad es. ontani), creano delle discontinuità all'interno del manto nevoso che ne riducono la resistenza. Mentre i lastroni spessi sono in grado di sostenere un certo carico. 4-AeD I divieti non contribuiscono all'assestamento del manto nevoso, mentre un pendio che viene sciato molto spesso, meglio se dalle prime nevicate, è molto più assestato di uno mai percorso. Il kit di autosoccorso deve essere sempre presente quando ci si trova al di fuori delle piste, indipendentemente se si è sciatori, snowboarder, alpinisti, escursionisti o ciaspolatori. 5-C Dopo qualche notte con temperature non negative il manto nevoso raggiunge una condizione in cui tutto, o quasi, il suo spessore ha temperatura di 0 °C (isotermia). E' questa una situazione molto pericolosa che può dare origine a grandi valanghe di fondo che possono interessare zona anche molto distanti dalla zona di distacco. Occhio allo zero termico! 6-A Durante l'inverno, i versanti nord (in particolare quelli più ripidi), ricevono poco irraggiamento solare. Questa condizione (temperature negative per molto tempo) non favorisce l'assestamento del manto. In particolare, quando il rapporto tra temperatura superficiale della neve e lo spessore del manto nevoso è elevato (gradiente), i cristalli di neve che si trovano vicino al terreno, evolvono la loro struttura ed iniziano ad ingrandirsi (metamorfismo costruttivo) raggiungendo dimensioni rilevanti (fino a qualche millimetro). Questa nuova forma è molto fragile ed è causa di numerosi incidenti. 7-D I versanti sud, più soggetti all'irraggiamento solare, si riscaldano durante il giorno e da essi possono distaccarsi anche valanghe spontanee di neve umida. Anche ad est c'è il sole, ma alla mattina l'aria è più fredda. 8-BeD Solo un bosco fitto di abeti dà un'effettiva protezione dalle valanghe, inoltre la neve che si trova al suo interno è più assestata di quella su pendio aperto. Nei versanti sottovento, nel caso di venti forti, la neve viene accumulata anche a parecchie decine di metri dal filo di cresta. Le cornici sono testimonianza del trasporto eolico. si crea una via di fuga. Procedendo a piedi si è più lenti e non si riesce a uscire velocemente dal tratto pericoloso; inoltre si va a "tagliare" il pendio in profondità. 12 - C La valanga a lastroni, sia soffici che duri (lastroni da vento), causa il maggio numero di vittime. Solitamente sono valanghe provocate dall'uomo che possono coinvolgere sia che le causa, sia chi si trova nelle vicinanze. 13 - A e C Sci e bastoni possono fare da zavorra (tipo un ancora) e trascinare il travolto dentro la neve. Alcune tracce su un pendio non sono necessariamente sinonimo di stabilità del manto. Con curve brusche e cadute si sovraccarica il pendio fino a 5-7 volte il nostro peso "statico". 14 - C L'ARTVA in ricezione, quando si trova orientato come la tangente di una linea di induzione del campo elettromagnetico emesso dall'ARTVA in trasmissione, riceve il segnale più forte. E' seguendo, più o meno, questa ed altre linee di induzione che ci si avvicina al sepolto. 15 - A Fino a 15 min si ha circa il 90% di probabilità estrarre un sepolto vivo. Oltre tale tempo la percentuale scende velocemente e a 35 min solo uno su tre sopravvive. 16- B Una volta noti il punto di travolgimento e scomparsa la ricerca del sepolto è molto più veloce. Il travolto si troverà valle del punto di scomparsa ed abbastanza in linea con il flusso della valanga. Solitamente il soccorso organizzato arriva quando le speranze di trovare il travolto vivo sono scese al 30-40%. 17- B Le statistiche dicono che B vince su A con il 70% contro il 18% circa. E' indispensabile che la ricerca parta daimpagni di escursione: solo con un buon autosoccorso si hanno buone probabilità di salvare il sepolto. 18 - D Questi sono punti in cui la valanga rallenta ed in cui "deposita" più probabilmente eventuali travolti. Sondare tutta la valanga richiede tempi troppo lunghi, anche se si è più di uno. 19 - C I sassi e gli alberi sono punti di debolezza del manto nevoso. Un paio di metri di distanza tra gli escursionisti sono troppo pochi per dare una effettiva distribuzione del carico e per essere ritenuta una distanza di sicurezza. 9-BeD In canali stretti e ripidi e da pendii a 30°/35° si possono staccare valanghe che possono interessare anche zona pianeggianti distante decine o anche centinaia di metri. Comunque, nei pendii sopravento si deve prestare attenzione, perchè la neve è spesso dura ed è possibile scivolare e cadere per lunghi tratti. 10 - D La scelta, e programmazione della gita inizia da casa (traendo informazioni da conoscenti, gente del posto, cartina, bollettino valanghe, meteo), ma prosegue comunque durante tutta la gita (osservando e chiedendo). 11 - C Per evitare il collasso del pendio va tagliato il meno possibile; mantenendosi ai lati ci 40 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Le Montagne Divertenti Test su neve e valanghe 41 Speciali d'Inverno Chi crede che la Valmasino s'assopisca al soffio freddo dell'inverno certo non conosce le incredibili avventure che si vivono su questi palazzi di granito quando sono ricoperti di neve e ghiaccio. Nell'inverno 2009/2010 fortunate Pascal van Duin tacchetta il ripidissimo canale che porta al pianalto sommitale della Punta Moraschini. Sullo sfondo le ardite vette della val Sione (16 maggio 2010, foto Beno). 42 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 condizioni climatiche hanno permesso per la prima volta di scendere sciando dalla vetta del Cavalcorto e di salire con le piccozze Mastro d'ascia, l'imponente cascata allo sbocco della val Arcanzolo. Mastro d'ascia nell'ultimo ventennio si era formata completamente solo un'altra volta, ma nessuno era stato in grado di scalarla. La del mulino Rusina a Vendolo (Castione, 11 aprile 2010, foto Marino Amonini). Le ruota Montagne Divertenti Test su neve e valanghe 43 Speciali d'Inverno Con gli sci dal Cavalcorto Beno 44 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Un siluro di roccia che s'alza verticale 1900 metri sopra San Martino Valmasino: questa era la cima che volevo scendere sci ai piedi. Ovviamente non dalle pareti, ma dal suo ripido versante occidentale, l'unico accessibile senza chiodi e corde. Le Montagne Divertenti Con gli sci dal Cavalcorto (m 2763) 45 Avventure nel Masino Speciali d'Inverno La vetta del Cavalcorto e il tracciato di discesa. Nella parte bassa si vede il tratto più ripido del percorso (16 maggio 2010, foto Beno). In copertina a questo articolo: il Cavalcorto in un acquerello di Kim Sommerschield (www.kimsommerschield.com). Si potrà mai scendere quel crap con gli sci? A guardare il Cavalcorto da San Martino o dalla valle del Ferro la risposta è solo una: è impossibile. Ma il gigantesco dente di granito che si erge per 1800 metri sopra il fondovalle ha un accesso più facile: il versante O, quello della val Sione. Qui si snoda la via normale che, a parte alcune rocce di II grado e fastidiosi maròss1, d'estate è scevro di difficoltà. D’inverno, però, la faccenda cambia: le cenge si cancellano e la montagna prende la pendenza media dei suoi versanti, così che nascono tratti a più di 50° e declivi valangosissimi che spaventano gli scialpinisti. "Ci proviamo?" Pascal van Duin si aggrega senza esitare. 16 marzo 2010 ’ notte e, come spesso in quest’anno di avventure frequenti nel Masino, mi trovo con Pascal al parcheggio di Ardenno all’imbocco della strada per la Valmasino. Cerchiamo di partire presto per evitare le valanghe, ma non troppo presto perchè sono solo 1700 metri di dislivello su pendii tanto ripidi da rendere minimo lo sviluppo. Non sono freschissimo: notte agitata nel valutare tutte le possibili incognite e ciò mi regala una simpatica sensazione di nausea da insonnia. Il viaggio in auto è un rincorrersi di E dubbi nella mia testa. Ricordo che alle prime nevi di ottobre ero salito quassù con Nicola e le rocce spolverate di neve sopra i m 2500 ci avevano creato qualche problema. Chissà come sarà oggi con tanta neve. Ci sarà ancora il vento maledetto di sabato? Troveremo crosta e lastroni? Non ho i rampanti! archeggiata la van-Duin-Mobile ai Bagni inizia la salita a piedi per il bosco. Il sentiero è pieno di ghiaccio e si deve saltare da un sasso all’altro per non cadere. Corte Vecchia arriva velocemente. Ecco i sassoni delle Termopili, anticamera al valangone che nasce dalla val Sione e s'im- P 1 - Ontani. 46 Le Montagne Divertenti Val Sione, Calalcorto e punta Moraschini visti dalla valle del Ligoncio; sullo sfondo si distinguono la cima di Castello , i pizzi del Ferro e la punta della Rasica (25 aprile 2010, foto Pascal van Duin). Inverno 2010 Le Montagne Divertenti Con gli sci dal Cavalcorto (m 2763) 47 Avventure nel Masino Speciali d'Inverno possessa della bassa val Porcellizzo. laocoontici contorcimenti di tronchi, rami e blocchi di ghiaccio testimoniano la ferocia delle slavine che, incentivate dall'orografia della val Sione, fan piazza pulita di tutto ciò che incontrano. E' un brutto biglietto da visita: noi quella valle la dovremo risalire tutta nel centro senza possibilità di fuga in caso di distacchi. imontata la valanga, zigzaghiamo su per il ripido pendio di neve grumosa e ghiacciata. Ho le pelli troppo strette e continuo a scivo- I R lare. La consapevolezza che se cadessi rotolerei giù fino in fondo mi induce a mettere il peso a monte, così scivolo ancora di più. Ho tutti i muscoli contratti e questo mio procedere disarmonico è uno sperpero inutile di energie. Pascal, dotato di attrezzatura e coordinazione migliori delle mie, s'allontana. Levo gli sci, ma la crosta gelata che faceva scivolare le mie pelli non è spessa a sufficienza da reggere il mio peso, così precipito in una voragine. Ne esco senza badare troppo allo stile delle manovre necessarie e rimetto gli sci. Salgo spingendo di braccia, ma la crosta si sfonda, le racchette affondano e così la mia velocità è miserevole. Siamo oltre la cascata di Sione e arriva pure il vento che urla. Gli alberi si fan radi e appare la maestosa sagoma del Pulpito, un'enorme monolite di granito scuro posto proprio nel mezzo della valle. A dx si vede il Cavalcorto la cui cima, cammuffata da giochi prospettici, è difficilmente riconoscibile. Stessa cosa vale per la punta Moraschini, la maggiore elevazione del gruppo che fa capolino proprio dietro il Pulpito. ascal prova ad aiutarmi incidendo la crosta con le lamine. Va un po' meglio, ma siamo solo a metà e io già sfinito. I cattivi pensieri e i nefasti presagi si mischiano allo stupore per la bellezza dei luoghi, e questa confusione drena il lattacido dalle gambe. assiamo nella ripida vallecola a dx del Pulpito, poi traversiamo a dx per insidiosi pendii. Una conca nevosa ci guida ai piedi della dorsale rocciosa che protegge la valle sospesa che porta direttamente in vetta al Cavalcorto. ccoci al dunque: un canale scosceso (S), poi una fascia rocciosa (dx) che va superata con la fantasia e l’immaginazione. nizia Pascal che sale con eleganti zig zag. Io, che ne ho piene le palle delle mie pelli, prendo gli sci in mano e vado a piedi con disarmonici solchi che mi fan guadagnar quota velocemente. Siamo alle malfamate roccette (30 metri). Sono ricoperte di neve instabile. Le affrontiamo direttamente senza aggirarle da O come suggerirebbe la via estiva. Utilizziamo gli sci come appoggi, mentre con la punta degli scarponi tastiamo sotto la neve in cerca di un appiglio. Ripetiamo l’operazione più volte, a tratti con difficoltà (le pendenze superano i 50°) e usciamo in groppa al promontorio che divide in due l’alta val Sione. iamo a m 2650, il paesaggio è incantevole, un filo di sole riscalda e ridà coraggio. Manca poco alla vetta e ora ho la certezza che ce la faremo. Mi scuso con Pascal per non averlo aiutato nel batter traccia, ma P P La discesa ha inizio dal cocuzzolo sommitale del Cavalcorto su una stretta lama nevosa. E I Sbagliare traiettoria in questi primi metri significherebbe un volo di oltre 1000 metri! S Scesi sulla pala la sciata si fa piacevole anche se la neve è ventata. 48 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Oltre il tratto ripido ci affacciamo sulla stupenda val Sione, madre di valanghe enormi, ma anche una conca perfetta per bellissime sciate (tutte le foto in queste pagine: Beno, 16 marzo 2010). ho i miei problemi anche da secondo. ista la ritrovata freschezza, vado davanti a far strada, ma vengo subito neutralizzato da altra neve dura. Sono demoralizzato, mi metto in coda. Siamo sotto la vetta, l’ultima pala. Io sci in mano e a nuoto, mentre Pascal tiene le pelli ai piedi fino sul cocuzzolo: un ultimo sforzo e ci siamo. ’ometto di vetta è accanto a noi, San Martino Valmasino e il Bar Monica sono a picco sotto i nostri piedi. Una stretta di mano. Il vento svanisce all'improvviso. Mi gocciola il naso. Sorrido per le foto. Sono emozionatissimo all'idea di questa discesa che, tranne nel tratto delle rocce, sarà puro piacere. arto per primo, tanto da portarmi sotto la pala. Le gambe mi cigolano un po’, provo a non ascoltarle. E’ il turno di Pascal, che attraversa con gli sci la sottile lama sommitale. Una improbabile ma minima virata verso sx significherebbe un volo di 1000 metri!! Vedere qualcuno impegnato in quelle prime curve è emozionante quanto farle. 100 metri di dislivello e siamo alle roccette. V L P Le Montagne Divertenti Togliere gli sci? No, derapatone ignobile su sassi e neve instabile, ma la discesa deve essere integrale! Sono un paio di minuti di tensione, botte e scintille di lame. R ientriamo quindi nel canale, poi nella bella val Sione, dove su pendenze sempre apprezzabili possiamo sciare secondo le tecniche canoniche. Il freddo spegne la sua morsa e a m 2100 la crosta molla le code degli sci, con sollievo per i legamenti crociati. Sempre più rilassati e divertiti raggiungiamo la fonte a 5 minuti dalle Termopili, dove leviamo gli attrezzi per continuare a piedi fino alla van Duin-Mobile. Anche questa è fatta e la nostalgia d’aver perso un obbiettivo forse supera la felicità d’averlo conquistato. Poco male: ci rimane l' "indiscesa" punta Moraschini! La discesa accanto al Pulpito. Con gli sci dal Cavalcorto (m 2763) 49 Speciali d'Inverno I mulini M astro d'ascia Mario Sertori Inverno 2010 In val di Mello avevo osservato la grande cascata di ghiaccio della val Arcanzolo, enorme rispetto alle annate normali, ma alla zanna che pendeva dall’alto mancavano ancora una decina di metri per congiungersi al piedistallo. Non capivo come facesse a star su con tutto quel peso, chissà chi è che la tiene – mi domandavo… Passarono pochi giorni. Risalivamo a piedi da San Martino e, all’altezza del secondo ponte pedonale sul Mello, diedi nuovamente un’occhiata verso il salto dell’Arcanzolo. Mi prese un colpo quando la vidi tutta d’un pezzo… In 20 anni si era formata in modo completo una sola volta! Allora qualcuno la tentò. Senza successo. 50 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Mario Sertori sull'imponente colata glaciale di Mastro d'Ascia (4 febbraio 2010, foto Francesca Marcelli e Tullio Parravicini). Le Montagne Divertenti Mastro d'Ascia 51 Speciali d'Inverno I mulini "Il desiderio di colate mai scalate mi è sempre rimasto appiccicato addosso come un odore che non riesci a far sparire. Così è stato tra le scogliere a picco sul mare artico dell’Islanda settentrionale" S ono un alpinista deviato, soffro di uno stato patologico, un quadro oscuro che con il passare del tempo volge al peggio. Il mio analista parla di “…forti turbe comportamentali, egocentrismo, disturbi della personalità che spingono il paziente ad un’esagerata percezione di sè e a ripetere sempre la medesima azione: prendere a calci e colpi di piccone salti ghiacciati al fine di provare la propria esistenza in vita”. Sì, la mia ossessione è per le cascate di ghiaccio: ne ho salite centinaia, un po’ dappertutto e di ognuna ricordo fattezze, colore e respiro. D elle valli di casa ho setacciato ogni anfratto alla ricerca dei flussi addormentati dal gelo, li ho catalogati e raccolti tra le pagine di un libro dato alle stampe nel 20041. Poi non ho più trovato nulla di nuovo da esplorare e mi è venuta voglia di girovagare tra altre montagne, più lontane. Ma il desiderio di colate mai scalate mi è sempre rimasto appiccicato addosso come un odore che non riesci a far sparire. Così è stato tra le scogliere a picco sul mare artico dell’Islanda settentrionale, dove ho scoperto una gran colonna sospesa sopra i gorghi cupi di acque arrabbiate: nelle mappe in mio possesso non compariva, ma forse era spuntata come un fungo gigante che la sorte aveva messo nel mio sacco. Dopo, altri luoghi, altri destini, altri ruscelli, altre latitudini, sempre inseguendo cristalli ibernati. Intanto avevo raccolto e sistemato in ordine alfabetico nei miei archivi le cascate più attraenti che facevano capo alla catena alpina, dalla Francia alla Slovenia. Un lavoraccio. Loro, le colate, non facevano che litigare, c’era sempre qualcuna che si sentiva di rango superiore e non ne voleva sapere di stare a fianco di altre provenienti da luoghi meno mondani. Mi ingaggiai duramente e alla fine mi riuscì, a suon di minacce, di ficcarle tutte quante in una specie di abbecedario2. Correva l’anno 2009. L a stagione successiva portò con sé una delle migliori annate per i ghiacci: ovunque brillavano flussi di ogni risma, come tante pecorelle al pascolo e le greggi al completo colonizzavano ogni angolo delle Alpi. L’inverno del 2010 fu per me un pellegrinaggio verso i letti di algide creature che distribuivano generose le loro grazie. Così un mattino di gennaio mi trovai alla base di Heimdall, una delle più spettacolari cascate della valle che sale al Cervino. Dalla grotta ai piedi di quel mostruoso castello uscirono in quattro, già pronti, armi in pugno, alla battaglia: erano tre guide con una guida istruttore che dovevano dar prova della loro abilità per passare ad un livello superiore, quello di insegnante alla scuola di formazione dei professionisti della montagna. In questo povero paese, uno dei pochi esami dove è difficile barare o essere raccomandati…. In ogni caso non me 1 - Mario Sertori, Cascate - Lombardia e Svizzera, Blu Edizioni Torino 2004 2 - Mario Sertori, Alpine Ice - Le 600 più belle cascate di ghiaccio delle Alpi, Edizioni Versante Sud, Milano 2009 Le Montagne NE dell'Islanda (3 febbraio 2008, foto Tullio Parravicini). 52scogliera La ghiacciata diDivertenti Kaldakinn nel Inverno 2010 Le Montagne Divertenti Mastro d'ascia (4 febbraio 2010, foto Francesca Marcelli). Speciali d'Inverno la sentii di aspettare il mio turno o sfidare la sorte schivando i loro proiettili. Proposi al mio compagno un'altra colata che salendo avevo notato più a sinistra del nostro obiettivo, un siluro luccicante che si infilava in uno stretto camino del quale dal basso non si riusciva a vedere quasi nulla. Quando fummo ai suoi piedi ci parve bellissima e diversa da ogni altra: la parte verticale era stretta e un po’ rammollita dal sole, mentre il colatoio superiore angusto e impiastrato di un sottile velo di durissimo ghiaccio. Ci diede da fare e da dire, ma ci lasciò passare senza pagare dazio. La chiamammo Gola dei Magri, per darle un segno della nostra riconoscenza, una casella nel catasto delle cascate e un’indicazione somatica ai futuri ripetitori. ualche giorno dopo una vocina suadente al telefono mi proponeva un’escursione con le ciaspole accompagnando 10 ragazze. Volevano che scegliessi io il posto, doveva essere suggestivo e adatto ad una prima camminata con questi aggeggi. Pensai che la val di Mello in formato frigorifero potesse fare al caso mio. Per verificare lo stato della strada e la presenza di neve che giustificasse l’uso dell’attrezzo, mi infilai in valle un pomeriggio di gennaio. I raggi di un sole stanco tagliavano in obliquo la piana di Filorera come una gran fetta di salame. La neve era ovunque, sull’incombente parete del Cavalcorto, sul Sasso di Remenno e sulla strada, lucida come una pista di pattinaggio. La materia prima non Q 54 Le Montagne Divertenti mancava e ogni ruscello era grasso e abbondante di ghiaccio. n val di Mello il grande I salto della val Arcanzolo era enorme rispetto alle annate normali, ma alla zanna che pendeva dall’alto mancavano una decina di metri per congiungersi al piedistallo. Non capivo come facesse a star su con tutto quel peso, chissà chi è che la tiene – mi domandavo… In 20 anni si era formata in modo completo una sola volta, ed era stata tentata, ma senza successo. D omenica è il giorno della gita, e torno al presente perché è come se fossero passate poche ore. Si parte con le donzelle e il tormentone della canzone di Lucio Battisti “10 ragazze per me… voglio dimenticare…” Risaliamo a piedi da San Martino e quando siamo all’altezza del secondo ponte pedonale sul Mello, tra una chiacchera e l’altra, non posso fare a meno di dare un’occhiata verso il salto dell’Arcanzolo. Mi prende un colpo quando la vedo tutta d’un pezzo… è fantastica, esteticamente perfetta, anche se la parte iniziale della colonna, dove si aggancia alla base, sembra finissima e trasparente. Faccio finta di non pensarci, ma dentro un tarlo rode… spero che quando sarò di ritorno sia caduta a pezzi…. So che non è mai stata scalata, ma anche se lo fosse, potrebbero averla fatta ieri, non è questo che importa, per me sarebbe lo stesso. Non troverò pace finchè non l’avrò salita. M artedì vado in avanscoperta, la neve è caduta già da qualche giorno, ma non vedo passi umani, solo orme di camosci a passeggio e un caprone in carne e ossa, nero come un corvo, con corna da stambecco in pensione, gli occhi del demonio e un triplo 6 marchiato a fuoco su un garretto. Sembra voglia impedirmi di raggiungere il mio destino e mi si para davanti con fare da toro alla corrida. Gioco la carta di bastoni, nel senso che gli strappo il lasciapassare con una clava di ginepro e un mantra inventato al momento. uando sono a distanza di tiro, non dall’armento ma dalla cascata, rimango senza fiato: è pazzesca. Troneggia come un totem in una caverna di pietra grigia con coltellate di arancio. Non la tocco per scaramanzia. Le giro attorno. Q e parlo, ma non L risponde. Neppure l’eco di questo antro rimanda suoni. Sarà muta. Nemmeno una goccia d’acqua si muove. E’ irreale e un po’ sinistra, ma è grandiosa. Mercoledì 4 febbraio le sono sotto con Tullio e Francesca, assicuratore e fotografo. Cerco una posizione riparata per loro e favorevole a me. Risalgo la stalagmite invitante come una radice di quercia coricata fin quando lo stomaco mi si chiude e il naso sbatte sui denti aguzzi del tronco di cristallo. I primi metri verticali sono sempre i più critici perché bisogna cercare un linguaggio comune o una “chiavetta” interpretativa che permetta di proseguire verso l’alto o viceversa. Lì si giocano le chances di successo e non servono muscoli d’acciaio, ma orecchio fino e cuore resistente. E’ una lotta senza esclusione di colpi. Provo con le buone, l’abbraccio energicamente, ma non funziona nemmeno stringendole i fianchi e soffiandole sul collo: è fredda con me. Forse era promessa a Inverno 2010 qualcuno e non mi si vuole concedere. E’ un bel test per i nervi prima ancora che per gli avambracci…. Mi sembra una maratona che non ha fine… in posizioni da kamasutra. Devo sorvegliare e pulire, pulire e sorvegliare! Un plotone di fragili candeline non permettono agganci stabili, ricoprono la superficie come fosse la bocca di un piranha all’ora dell’aperitivo e io mi sento un po’ oliva e patatina insieme. I chiodi barcollano invitando alla riflessione. Fermate il gioco voglio scendere! Nessuno mi sente! Chiedo aiuto alle forze della natura, al genio del luogo, al gran visir di tutti i camosci e perfino al demonio in veste da caprone… vedo la roccia del mio finepena come un miraggio. Il ghiaccio che si adagia un poco mi fa tornare il battito regolare. Ho le mani massacrate, le dita si aprono, le braccia di legno marcio, ma qui finalmente si può ricominciare a ragionare con i piedi. Sono al termine del fusto, sulla cima dell’albero, sono finiti tutti i rami e sono approdato sotto una lastra di pietra sporgente. Recupero una corda, liberandola dai chiodi e ne getto un capo sotto; Tullio mi aggancia il trapano e gli spit per attrezzare una sosta sicura. Il ghiaccio qui sopra è sottile, una corteccia bucherellata di pochi centimetri ricopre il granito e credo di aver già speso i miei bonus in salita per calarmi da una clessidra3 che sosterrebbe a malapena un ermellino. Saranno due solidi fix di acciaio inox a riportarmi sull’orizzontale, come si usa ormai in tutta Europa. Intanto di fronte il sole spolpa con i suoi occhi di fuoco la val del Ferro e lascia al regno delle ombre le fenditure del lato sinistro del Mello. Il fotografo sceso sulla strada per qualche scatto da lontano incrocia due ice-climber di ritorno da Durango4 che rimangono di sasso quando vedono un obiettivo puntato sul candelone. Un terzo chiamato al telefono si becca un sacco di improperi per non essersi liberato nel giorno giusto per cogliere per primo quell’ambita cascata. “Vorrà dire che saremo i primi ripetitori!” è il loro commento. Non dico nulla a nessuno, ma la voce della salita si sparge velocemente. Vengo a sapere, dopo qualche mese, quando della colonna non rimane che qualche pezzo alla base, che non è stata ripetuta e che c’è stato solo un tentativo che però si è arenato dopo pochi metri. L’ho battezzata Mastro d’ascia, un nome gridato dal basso per richiamare la mia attenzione mentre cercavo l’uscita dall’Acquapendente, una cascata dell’Appennino, ed anche la definizione attribuita agli artigiani che un tempo realizzavano a colpi di scure gli scafi di legno delle imbarcazioni. Il giorno di Mastro d’Ascia avevo programmato l’esplorazione di una nuova colata proprio in quella zona, in val Nure, ma il progetto non si era concretizzato per un improvviso rialzo delle temperature sopra la linea gotica. Cogliere l’attimo prima che l’attimo ci porti via… 3 - Clessidra di ghiaccio o Abalakov è ricavata rendendo comunicanti le cavità di due chiodi da ghiaccio (di almeno 15 cm) infissi a 60° nella colata e quindi tolti. 4 - Durango è una cascata molto bella e ripetuta in val di Mello. Le Montagne Divertenti Il (4 pietrone Urali 55 Mastro d'Ascia febbraiomalenco 2010, fotonegli Francesca Marcelli). Alpinismo Beno Oltre gli scempi edilizi, oltre al caos degli impianti di sci e delle seconde case, l'Aprica offre ai buongustai della pace e della natura lunghi itinerari scialpinistici di rara bellezza, in ambienti dove neve e vento sono gli abili demiurghi di paesaggi incontaminati. Vi porteremo così sul Telenek e sulle sue valli alte. Per giungervi basta allontanarsi di poco dal crogiuolo della frenesia e iniziare una dolce marcia verso il cielo. Il monte Telenek (in piega) e le Alpi Retiche visti dalla cima del monte Sellero (13 marzo 2010, foto Beno). 56 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Le Montagne Divertenti L'anello del Telenek (m 2753) 57 Versante orobico Alpinismo TO DONATORIO. NA E PASSAPAROLA. MOTO DONATORIO. ngue salva molte vite: alimenta e diffondi il moto donatorio. DONA E PASSAPAROLA. chi dona muove anche te. Donarenoi: sangue salva molte vite: alimenta e diffondi il moto donatorio. za siamo dona e passa parola! La forza di chi dona muove anche te. Questa forza siamo noi: dona e passa parola! AVIS SEZIONI COMUNALI DELLA PROVINCIA DI SONDRIO: AVIS DI BORMIO 0342 902670 AVIS DI CASPOGGIO 0342 451954 AVIS DI CHIAVENNA 0343 67297 AVIS DI LANZADA 0342 452633 AVIS DI LIVIGNO 334 2886020 AVIS DI MORBEGNO 0342 610243 AVIS DI POGGIRIDENTI 0342 380292 AVIS DI SONDALO 0342 801098 www.avis.it/toscana AVIS DI SONDRIO 800593000 s.it/toscana 58 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 La valle del Latte e la vetta del monte Telenek (m 2753) (13 marzo 2010, foto Beno). Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: San Paolo (m 1231). Itinerario automobilistico: da Sondrio prendere la SS 38 in direzione Tirano fino a Tresenda (18 km). Qui svoltare a dx sulla SS 39 dell'Aprica e, poco prima di Aprica, svoltare a sx in via Liscedo (10 km). La strada in discesa porta al Ponte di Ganda. Prendere quindi la stretta carreggiabile che sale in val Belviso. In caso di fondo ghiacciato conviene proseguire a piedi, altrimenti si consiglia di salire fino a San Paolo (m 1231), dove si parcheggia l'auto. Per il ritorno conviene avere o una seconda auto in località S. Antonio (Corteno), o una bella ragazza scosciata che fa l'autostop, o un fesso che si fa 16 km di corsa per tornare a prendere l'auto. Itinerario sintetico: San Paolo (m 1231) Ponte Frera (m 1380) - Malga Nembra (m 1800) - valle del Latte - bocchetta di quota m 2600 - monte Lorio (m 2673) - bocchetta di Lorio (m 2600) - monte Telenek (m 2753) - discesa per canale SE fino a m 2450 - bocchetta del Telenek (m 2588) - monte Sellero (m 2743) - valle di Campovecchio - malga Culvegla (m 1821) - Campovecchio (m 1313) - S. Antonio (m 1121) + [solo per masochisti] Le Fucine (m 875) - passo dell'Aprica (m 1172) - Liscedo (m 950) - Ponte Ganda (m 920) - San Carlo (m 1231). Tempo previsto: 10 ore per arrivare a S. Antonio Attrezzatura richiesta: kit antivalanga, piccozza e ramponi. Difficoltà/dislivello: 4- su 6 / oltre 1900 m [oltre 2500 chiudendo l'anello a piedi]. Dettagli: OSA. Tratti fino a 45° sulle pendici del Telenek. 13 marzo 2010 Le mie pelli sulle Orobie non si eran mai spinte più a oriente del Torena e l’idea di Pascal di fare un bel giro in val Belviso mi attira molto. Inoltre un anello attorno ad una cima dal nome bizzarro come il Telenek1 non può che incuriosirmi. Il mio unico e infondato timore è l’affollamento: la val Belviso sarebbe una comoda meta turistica, se solo il virus del sedentarismo, che porta la gente a non avventurarsi oltre a dove arriva l'auto, non avesse già sterminato gli ultimi volenterosi turisti. La scarsa frequentazione di questi monti, tuttavia, non è un male recente. Già Silvio Saglio nella Guida dei Monti d'Italia2 scriveva del gruppo del Telenek: "In complesso sono monti che non hanno mai attirato l'attenzione degli alpinisti e degli escursionisti e sono visitati quasi esclusivamente da mandriani, pastori, contrabbandieri, cacciatori e talvolta da qualche reparto di soldati durante il 1 - Il nome del monte Telenek discende dalla malga di Telenek, il pendio-vallone che si stende sul versante SE del monte. Non ci sono informazioni invece sull'origine del toponimo. 2 - Silvio Saglio, Alfredo Corti, Bruno Credaro, Guida dei Monti d'Italia. Alpi Orobie, CAI-TCI, Milano 1956. Le Montagne Divertenti campo estivo o le manovre. Tutto ciò è dovuto non tanto alla loro limitata prestanza morfologica, ma principalmente alle migliori attrattive dei gruppi vicini e alla mancanza o scomodità delle basi. Tutte queste cime hanno una loro caratteristica, improntata alla selvaggia desolazione dei lunghi valloni boscosi e petrosi che sovente rinchiudono pittoreschi laghi, grandi e piccini, nei quali si specchiano aspre cime, fasciate da macereti variamente colorati, campionario roccioso dell'ossatura delle montagne". L'anello del Telenek (m 2753) 59 Versante orobico Alpinismo P strada che, tanto innevata quanto insabbiata, può essere percorsa solo a piedi. Al cancello che chiude la strada (m 1380) possiamo calzare le assi e scivolare a sx del recinto per poi passare sulla dx idrografica della val Belviso. Al parco giochi ha inizio il sentiero bollato per la Malga Nembra (E). D’inverno i bolli son nascosti dalla coltre bianca e ci si deve orientare badando alle ingannevoli forme disegnate dalla neve che si adagia su tutti i piccoli dosselli dando l’idea che di lì passi il sentiero. Buona norma per non perdersi è osservare i rami bassi degli alberi che, a ridosso del sentiero, vengono recisi con la scure. La via si alza verso E sulla dorsale che divide la val di Soffia (dx) dalla valle del Latte (sx). Oltre i m 1700, dentro il bosco, si vedono delle case di caccia lignee sugli alberi. Prendiamo quota fino a uscire comodamente nella val di Soffia (dx, il sentiero estivo si mantiene invece nel bosco fino alla malga Nembra), sede di copiose valanghe che scendono dalle pendici del monte Frera. aliamo la valle sgombra d’alberi fino a m 1800, dove ci portiamo sull’ampia sella di sx, la scavalchiamo e ci abbassiamo di qualche metro verso NE, quindi pieghiamo a E (dx) ed entriamo così nella valle del Latte. Ci dirigiamo (SE) verso il suggestivo anfiteatro alpino chiuso a N dal monte Torsolazzo, a S dal monte Nembra e a SO dal monte Lorio3. Alle nostre spalle inizano a svanire le sagome del Lavazza e del magnifico Torena che ci avevano fatto compagnia fino ad ora. Quasi in fondo alla valle seguiamo l’ampio canalone-pendio che si alza a SSE verso la sella tra il monte Nembra a dx e il monte Lorio a sx. Tanti zigzag e paesaggi sempre più incantevoli ci fanno raggiungere lo spartiacque a quota 2600 ca. La vista si apre sulla val di Pisa, dove si riconosce il lago seppur ghiacciato e ricoperto di neve. Poi ammiriamo l’intera testata della val Belviso, il vicino monte Lorio, il Telenek, la cima più alta della regione, da qui apparentemente lontanissimo, e, poco più in là, la bella piramide del artiamo al mattino presto da Sondrio. Io e Gioia non abbiamo fatto colazione, tant’è che ci fermiamo in una bettola a San Giacomo. Cappuccio e brioche circondati da anziani che si scolano la grappa secca delle 7 del mattino e grassi signori di mezz’età che iniziano i loro allenamenti al videopoker ancor prima che sorga il sole. oco prima dell’Aprica prendiamo la svolta sulla dx che scende al Ponte Ganda, quindi abbandoniamo la rotabile per Carona e seguiamo quella a S (sx) per Frera e la val Belviso. Il fondo stradale è sporco di neve e ghiaccio e un cartello vieta l’accesso in questa stagione, ma Pascal mi istiga al crimine e il Panda ci porta quasi 4 km più in alto, nei pressi del nucleo di baite di San Paolo (m 1231). Oggi il vero problema irrisolto dell'alpinismo sarà riportar giù la macchina per la strada ghiacciata: non ho le catene! esse le pelli, regolati gli scarponi, come nelle gare di sci alpinismo: pronti, via! Macchè! Ci incamminiamo assonnati per la P M S 3 -Varie mappe attribuiscono questi toponimi a montagne differenti, io nel nominarle mi sono attenuto alla guida Alpi Orobie di Saglio, Corti e Credaro Il comprensorio dell'Aprica visto da I Laghetti sopra Bianzone (21 febbraio 2010, foto Beno). 60 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Le Montagne Divertenti Sellero. Non c’è anima viva nel raggio di chilometri. erseguitati dal vento seguiamo la cresta (E, sx) e in breve siamo sul Monte Lorio (m 2678, ore 4:30). Dalla vetta si diramano tre creste: a O quella da cui proveniamo, a N quella che va verso il Torsolazzo e a ESE quella verso il passo del Lorio e quindi il Monte Telenek, nostra meta. Il filo innevato è piuttosto stretto. Pascal tiene gli sci impellati ai piedi e scende a scaletta. Io e Gioia, dopo una ventina di metri a piedi, ci lasciamo scivolare col culo nella valle delle Rose, dove, rimessi gli attrezzi, saliamo verso l’evidente passo del Lorio (m 2600 ca). La ripida faccia NO del Telenek (40°) è davanti a noi. Il vento ha fatto un po’ di disastri rendendo la neve crostosa e scoprendo le pietre in molti punti. Così, già dopo pochi metri, decidiamo che è lo zaino il posto giusto per gli sci, e iniziamo a tacchettare i 100 metri di dislivello che portano in vetta. Vento da lupi, -7°C. Sul testone sommitale le pendenze scemano e si affonda, così rimettiamo gli sci e raggiungiamo la piccola croce di vetta del Telenek (m 2753, ore 0:40). Siamo sulla vetta più alta di questo gruppo montuoso, ma come per magia, nel raggio di 15 metri attorno alla croce non c’è un filo d’aria, così ci sediamo e ne approfittiamo per uno spuntino. a gita sarebbe finita, ma le ore di luce sono ancora tante e nessuno ne ha voglia di scivolare verso casa. Puntiamo quindi una nuova cima: il monte Sellero4 (SSE). Ma come raggiungerlo? Nessuno di noi ha idea di come scendere dal Telenek per versanti differenti da quello da cui siamo saliti. Tutte le altre facce della montagna paiono precipitare con pendenze proibitive. Pascal vorrebbe passare da E, ma io non mi fido: dove non si vede, a mio avviso, c’è un salto di rocce molto alto. Così, mentre loro sono al dolce (‘n arànz), io vado in perlustrazione. Scendo a SO verso la cresta che separa la val di Pisa dalla valle di Campovecchio e che dal Telenek prosegue frastagliata fino al Sellero. Scopro che, oltre una fascia P L'anfiteatro conclusivo della valle del Latte. Sulla cresta N del monte Lorio. Il Sellero dalla cima del Telenek. L 4 - Il toponimo si riferisce ai pascoli e alla valle del versante meridionale che fanno capo all'abitato di Sellero, un tempo paese agricolo da cui venivano monticate le bestie. Discesa dal Telenek - tracciato. Discesa dal Telenek. Le ultime curve per la vetta del Sellero. L'anello del Telenek (m 2753) 61 Versante orobico Alpinismo rocciosa, c’è un ripido canale nevoso continuo che smonta a sx a fino al fondovalle. Da lì salire al Sellero sarà pura formalità. er cui ci abbassiamo a piedi fino all’inizio del canale e, rimessi gli sci, serpeggiamo per il ripido pendio di neve (40°). A m 2450 ca ripelliamo e saliamo il largo vallone di cui la sagoma del Sellero - sformata dalle colonne di neve alzate dal vento disegna lo sfondo. Un’impennata di 50 metri, quindi il pendio volge a O. Guadagniamo per lastroni instabili la cresta SO del Sellero a 50 metri dalla vetta. Si muove la neve sotto i piedi, ma Pascal mi dice che “anche se parte, è roba piccola”. Io non sono troppo tranquillo, ma è fatta (Monte Sellero, m 2743, ore 1)! Gioia, che inizialmente aveva deciso di saltare l’ultima vetta, ci raggiunge in breve sospinta dalle raffiche di vento. Il paesaggio è squisito e possiamo anche pregustarci parte della discesa, che avverrà per la valle di Campovecchio. irette le punte verso valle, dopo 200 metri di crosta infame, finiamo in un fantastico pendio carico di neve polverosa. Qui anche un principiante riuscirebbe a disegnare curve eccellenti! Cerchiamo di non portarci troppo verso N per evitare alcuni salti di roccia e, dopo una discesa a dir poco superba (E), ecco il fondovalle. innanzi a noi un desolato falsopiano. Tutto di braccia coi bastoncini, che spesso e volentieri affondano nella neve per tutta la loro lunghezza. Ci mancan solo le tutine aderenti, poi ci potrebbero scambiare per fondisti in tecnica classica! Ci teniamo sulla dx idrografica e, alla vista delle baite (Malga Cuvegla, m 1830), andiamo sull’altro versante. Un traverso diagonale ci porta all’immane valanga allo sbocco della valle delle Rose. La attraversiamo da SE a NO, quindi seguiamo il sentiero sulla sx idrografica che percorre tutta l’interminabile valle di Campovecchio che fino a m 1350, per fortuna, è quasi in discesa. Con le braccia già ghisate siamo a Campovecchio (m 1311, ore 1:30). e prime tracce di uomo. Un ponticello coperto porta sulla dx idrografica. Di qui si potrebbe P D D L Nel a SE del Telenek (13 Montagne Divertenti marzo 2010, foto Beno). 62 ripidoLecanalone Inverno 2010 Le Montagne Divertenti Verso il monte Sellero (13 marzo 2010, foto Beno). scendere lungo il torrente, ma probabilmente oggi non c’è neve a sufficienza, così seguiamo la rotabile che, dopo numerosi sali e pochi scendi, arriva agli ultimi due ripidissimi tornanti in discesa per Sant’Antonio (m 1127, ore 0:30)5. ono le 18. Al volo levo sci e scarponi. Indossati maglietta e pantaloncini, inizio la corsa-calvario per il ritorno a San Paolo. Gioia e Pascal invece scenderanno fino a Le Fucine alla ricerca di una locanda dove aspettarmi e giocarsi la mia attrezzatura ai videopoker. aggiunto Le Fucine (2 km da Sant'Antonio) e pure la SS 39, corro fra le macchine e lo smog ammirando tutti gli scempi edilizi della zona, i SUV che mi sfrecciano accanto suonando il clacson senza alcun motivo e la luce che se ne va incalzata dalla notte. Dopo 35 minuti, alcuni ecomostri mi annunciano Corteno, oramai un tutt’uno con l’Aprica. Qui inizia il marciapiede dove molti turisti spingono il passeggino per donar aria buona ai lori bimbi (credo che la mia caldaia sia un ambiente di gran lunga più salubre). All’Aprica c’è gente inebriata dallo shopping ovunque, uno shock dopo una così bella giornata di pace. Mi gratta la gola per i fumi di scarico. La piana è un conti- S R 5 - Qui sarebbe opportuno avere una seconda auto o mendicare un passaggio. nuo slalom fra turisti impegnati al telefonino, SUVisti in doppia e tripla fila col loro potente mezzo acceso per mantenere in temperatura l’abitacolo anche durante la loro assenza, vestiti all’ultima moda, sguardi di disapprovazione per i miei pantaloncini a 0°C. Aumento l’andatura per fuggire da quel posto, ma ho un ginocchio che fa scintille. E’ buio e scendo contromano per la SS 39 fino al bivio per il Ponte di Ganda. Uscito dalla SS 39 torna il silenzio. Risalgo la val Belviso col vento gelido che mi impala braccia e gambe. E’ notte e scivolo ad ogni passo. La strada non finisce più. Che massacro: dopo 1 ora e 15 minuti sono al Panda dove ho qualche vestito di ricambio. Col cuore in gola e i denti che battono per il freddo, guido sul fondo ghiacciato riuscendo a non uscire di strada. Pochi minuti e saluto con ritrovata sicurezza l'asfalto che in 14 km mi porta al ristorante dove mi aspettano Pascal e Gioia. Sono a pezzi, più per il freddo che per la corsetta. a sciura che comanda, impietosita dal racconto di ciò che ho fatto, mi serve porzioni da scaricatore di porto. Cannelloni col ragù e pizzoccheri annegati nel burro: una dose di cibo tale che pure il mio stomaco solitamente capiente come il pozzo di San Patrizio - rifiuta il dolce per non esplodere! E così, con la pancia piena, si chiude una splendida giornata. L L'anello del Telenek (m 2753) 63 Alpinismo La val di Rezzalo, laterale orientale della Valdisotto accessibile dalla frazione di Fumero, è parte del comune di Sondalo. Delle valli del Parco Nazionale dello Stelvio è tra le meno conosciute, ma non per questo meno bella. Qui è possibile ritrovarsi in contatto con la natura e con se stessi senza alcuna fatica e difficoltà. Il monte dei Poltron è una delle cime che dominano la sx orografica della valle. Il toponimo trae origine dal fatto che in passato i pastori solevano spesso fare tappa e “poltrire” sulle pendici del monte. La cima non è facilmente riconoscibile dal fondo valle, ma da Le Gande se ne distingue il ripido vallone O, ben noto agli amanti dello scialpinismo. Gruppo di in val Savoretta, sulla sinistra la vedretta che porta al Savoretta (11 aprile 2010, foto Giacomo Meneghello).Inverno 2010 Lescialpinisti Montagne Divertenti 64 Le Montagne Divertenti Val di Rezzalo: Monte dei Poltron (m 2698) 65 Alta Valle Alpinismo Scialpinisti all'imbocco della val Savoretta, sullo sfondo il monte dei Poltron (11 aprile 2010, foto Giacomo Meneghello). Partenza: Fumero (m 1465). Itinerario automobilistico: da Tirano seguire Bellezza Fatica Pericolosità la SS. 38 dello Stelvio fino a Le Prese. Qui uscire e seguire le indicazioni per Fumero – val di Rezzalo. Dopo 6 km, passata una breve galleria aperta, si attraversa l’abitato di Fumero oltre cui si trovano i primi parcheggi per l’auto. E' possibile proseguire ancora in auto e imboccare la strada sterrata che porta in val di Rezzalo. Dopo meno di 1 km, in località Fontanaccia, si troverà un’altra serie di parcheggi. Itinerario sintetico: Fumero (m 1465) Fontanaccia (m 1510) - San Bernardo (m 1870) Clevaccio (m 2127) - monte dei Poltron (m 2698). Tempo di salita Attrezzatura previsto: 3 ore. richiesta: scialpinismo, kit antivalanga. attrezzatura da Difficoltà/dislivello: 3 su 6 / 1200 m. Dettagli: BS. Mappe: Kompass n. 72, Parco Nazionale dello Stelvio, 1:50000. Da 25 anni, professionisti veri che parlano la tua stessa lingua e hanno a cuore la tua salute nel tempo. dental Studio Odontoiatrico Struttura Accreditata Prestazioni di: • Alta qualità • Commisurate ai tuoi reali bisogni • Di lunga durata garantita • Al prezzo corretto • Seguite nel tempo ...diffida dai “low cost”, non c’è nulla che non possa essere fatto un pò peggio e un pò a meno... Direttore Sanitario: Dott. Corrado Tavelli pensaci e investi nella tua salute! Punta al meglio. AXEL DENTAL - Via Stelvio, 30 - 23100 SONDRIO Tel: 0342 511363 - www.axeldental.it - [email protected] 66 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 L’ itinerario parte dalla fine dell’abitato di Fumero lungo la sterrata che si addentra in val di Rezzalo. In caso di buon innevamento, in 10 minuti, si arriva a Fontanaccia1 con gli sci ai piedi. La strada che percorre la val di Rezzalo è grossomodo quella realizzata dai militari durante la prima guerra mondiale e risulta carreggiabile fino alle baite Tegiacce (m 2221). Anni fa venne ipotizzato un tracciato carrozzabile verso il passo Gavia, poiché, pochi chilometri oltre il passo dell’Alpe, si interseca la strada che da Santa Caterina porta al passo di Gavia. Tuttavia la conformazione geologica del territorio portò gli ingegneri ad abbandonare questa idea. Da Fontanaccia la via s'immerge nella pineta e corre lungo la carreggiabile. Il manto nevoso è quasi sempre battuto dal gestore del rifugio La Baita per facilitarne la percorribilità anche agli amanti dello slittino. La pendenza moderata e costante, nell’ordine del 10%, permette di ammirare il paesaggio che un po’ alla volta si apre sulla val di Rezzalo e sulle prime baite in località Pontela 1 - Limite per il traffico veicolare. Le Montagne Divertenti (m 1600), dall’altra parte del torrente Rezzalasco. Una caratteristica della val di Rezzalo fino alla località San Bernardo è la localizzazione sulla sx orografica dei principali gruppi di baite, che rimangono collegate alla strada principale tramite una serie di graziosi ponti in legno. Questi insediamenti sono, nei primi due terzi della vallata, di pertinenza degli abitanti di Frontale e Fumero, mentre nel terzo superiore vi monticano gli abitanti di Sondalo e delle altre frazioni. Poco prima di giungere in località Le Gande (Li Ghènda, m 1674)2, la pineta si fa meno fitta e davanti a noi verso dx compare il ripido vallone O del monte dei Poltron. Qui è anche presente e in parte visibile l’acquedotto (i cui lavori iniziarono nel 1938) dell’ospedale Morelli di Sondalo che, assieme al più recente acquedotto comunale in località La Fontanàscia, sfrutta la ricchezza d’acqua della vallata3. La strada effettua una doppia coppia 2 - La segnaletica in loco differisce dalla Kompass e attesta una quota di m 1733. 3 - Recentemente sono state anche realizzate un’opera di captazione in località La Préśa, a valle di Fumero, e una contestata centrale idroelettrica ubicata in frazione Le Prese. di tornanti, oltrepassando le baite de Le Gande, ed esce definitivamente dalla pineta addentrandosi sempre più nella valle. Dall'altra parte del torrente si notano la baite di Teat (m 1831). Non visibili perché nascoste nel bosco, vi sono anche le baite de Le Saline. Oltrepassato Teat la valle tende ad aprirsi sempre di più e la salita si fa molto dolce, fiancheggiando a sinistra un’area picnic attrezzata e a destra le baite Scalota. Poco più avanti la strada spiana ulteriormente e sulla dx, oltre il torrente, ecco le baite di Macoggia che occupano la piana innevata in cui termina il vallone del monte Poltron. In lontananza diventa anche visibile la chiesa di San Bernardo (m 1870). Consacrata nel 1672 è dedicata al monaco Bernardo di Chiaravalle, fondatore nel XII secolo dell’ordine dei Cistercensi, che esortava a fuggire dalle città per trovare la salvezza nelle foreste e nei luoghi solitari, fra alberi e pietre. Una targa, nei pressi della chiesa, ci riporta, invece, a tempi molto più vicini ai nostri, in quanto ricorda il contributo della valle alla lotta della Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale. Alla fine degli anni ’30, durante la cura di don Camillo Valota, per Val di Rezzalo: Monte dei Poltron (m 2698) 67 Alta Valle Alpinismo Rezzalo dominata dal corno di Boero (m 2878). Mentre, spingendo più in là lo sguardo, si riconoscono alcune delle cime Retiche tra cui il monte Storile e il monte Masuccio. Sul fianco O del monte dei Poltron si snoda la ripida ed emozionante discesa lungo il vallone che conduce velocemente al fondovalle6. Tale discesa è da affrontarsi solo con neve buona e ben assestata, dato il pericolo di slavine legato all’esposizione ed alla pendenza elevata: 40° nella prima parte7. La discesa dal versante O si effettua tenendosi quanto possibile verso dx. Le pendenze, sostenute nella prima parte, diminuiscono man mano si perde quota lungo il vallone. iunti alle pendici del monte si torna verso la chiesa di San Bernardo, raggiungibile oltrepassando un ponticello di legno. Per chi avesse dimenticato in macchina le vettovaglie o chi avesse voluto viaggiar leggero è possibile raggiungere in pochi minuti il rifugio La Baita8, ben visibile in alto a dx, per un lauto e meritato pranzo. Il ritorno dalla val di Rezzalo avviene lungo la strada dell'andata, facendo attenzione a non investire gli altri escursionisti che stanno salendo. G Le cime della val Sobretta e il tracciato di discesa dal monte dei Poltron visti dalle pendici del monte Pollore (21 gennaio 2010, foto G. Meneghello). 4 - Cfr. G. Schena, Frontale fra Otto e Novecento, in Bsav n. 12/2009, pp. 249-250. 5 - Questo tratto è soggetto a slavine in caso di neve particolarmente instabile, per cui è consigliabile salire seguendo il percorso estivo, spesso in parte visibile, rimanendo vicino al fiume e discosti dalle pendici della cima delle Pozze. 6 - Questa discesa è parte del tracciato del rally scialpinistico della val di Rezzalo che si effettua ogni anno a fine gennaio. 7 - Qualora le condizioni della neve non siano ottimali è vivamente consigliabile il rientro dalla stessa via dell’andata. Sebbene le pendenze siano minori del versante opposto le emozioni non mancheranno data la bellezza del luogo e la neve spesso “polverosa” e ben sciabile della val Savoretta. 8 - Tel. 0342 1895516 - www.rezzalovacanze.com. Prima di volger le punte degli sci a valle, lasciamo andare i nostri pensieri, lasciamo che cullati da un candido e soffice mare bianco si prendano il loro tempo. Come i vecchi pastori qui solevano fare, come forse talvolta abbiamo disimparato a fare. D Vol. 1 o di Com laghi ina ai ore: ia, o Bern Lago Maggi mbard l Pizz lla Lo oca al nni de onti de vi pere dal Pizzo C scere i m ne le no , a, te co Dal i ida. Brianz ekking per quenta rari insolit gu lla fre a de e un tr e ne ure di assiche udine di iti han voce in di granito avvent eggiate cl i moltit ss i torr di calcare a volta con pa e con una per la prim alle imman glie ch i e alle gu – o ma an ndenti ch dai vignet fin tura rite re o e sorp scarpinand iere fio anti della na lle riv e E così, lmasino, da ionisti e am troveranno ispirazion rs ione – le fonte di della Va hese, escu eparaz iabi cc del le gamba e pr a ineguagl di un un team ia di ogni to volume ero. da ti lib rit po med desc in ques oprio tem atori di : udati e pr ti colla e accompagn o la regione per il no sta on ni, sti so sc zo ali no ida an rn n co , gio lla gu Ghisl ato o e be alpinisti ccardo erari de Gli itin scursionisti, ni frequentan la Giana, Ri ti. Ha coordin ina let ico (e alp an N ffa ri ra e da auto ea To coni, cultu gna) ch ris Mos rabini e Andr alpinismo e monta Orsucci, Bo atteo Ta trale di Giorgio Bruseghini, M del trimes re Luciano Beno, ideato nti”. o il lavor tagne Diverte on “Le M alla cima il paesaggio è vasto: verso NE possiamo notare in lontananza l’inconfondibile sagoma del Gran Zebrù e la punta del pizzo Tresero, mentre in primo piano vi è l’immensa distesa di neve che ricopre la vallata. Dal lato opposto ecco la prima parte della val di 1 i a pied DIA R A B LOM in g ekkin ni e tr ursio atura n te, esc eggia erta della ss a p 74 op alla sc l. 1 IA • Vo MBARD I IN LO A PIED 2 1 ied i in Italia ap S (m 2646) e su pendenze moderate si risale (S) sulla sx orografica. Dopo un primo tratto (m 2450 ca.) ecco sulla sx la ripida gola che porta alla vedretta del Savoretta e alla cima Savoretta. Ci si tiene invece sulla dx e si serpeggia sul fianco orientale del monte dei Poltron verso la sella a S della vetta (m 2666). Dal valico si sale a N e in pochi minuti si guadagna il monte dei Poltron (m 2698, ore 1:20). ardia Poco prima della chiesa di San Bernardo (m 1815, ore 0:50) si trovano (sx) le indicazioni per il rifugio La Baita, unico punto di appoggio e ristoro della valle, raggiungibile agevolmente in pochi minuti e aperto tutti i week end invernali e su prenotazione anche nei giorni infrasettimanali. iamo al centro della valle, immersi nella natura del Parco Nazionale dello Stelvio, tra luoghi ancora selvaggi, distese di neve immacolate interrotte da alcuni gruppi di baite che in gran parte hanno mantenuto gli aspetti originali e caratteristici grazie a restauri coerenti con lo stile tradizionale. La baita tipica della valle è quella cosiddetta a blockbau, ossia a tronchi incastrati sopra una base in muratura. I tetti sono ricoperti con embrici in legno, localmente dette sc’chèndola, oppure con lastre di pietra (préda). Alcune baite sono costruite interamente in muratura con sasso a vista e poca calce. La struttura archi- tettonica è essenziale: al piano interrato la stalla per i bovini, con talvolta a fianco quella per gli ovini e i caprini, sopra il fienile attiguo al locale destinato all’uso abitativo detto la téghia. Oltre la chiesa la strada non è quasi mai battuta dai mezzi meccanici. Il percorso, quasi in piano e senza difficoltà, costeggia le varie baite del fondovalle. Giunti a Ronzone (m 1900) si oltrepassa il ponte in località Il Merlo. A questo punto la val di Rezzalo si impenna e ha inizio la salita scialpinistica vera e propria. L'inclinazione costringe a procedere a tornanti fino superare il dosso oltre cui si trova Clevaccio (m 2127, ore 0:50)5. La strada spiana all'imbocco della piana innevata di Clevio. La punta del pizzo Tresero fa capolino all’orizzonte. Prima in piano, poi in leggera discesa si piega a dx e si abbandona la val di Rezzalo per entrare nella valle di Savoretta, dominata dalla cima di Valmalza (m 3094) e dalla cima Savoretta (m 3053). Si contornano le pendici orientali della cima delle Pozze mb i in Lo a pied finanziare la manutenzione della chiesa, ci fu un periodo di produzione e vendita di formaggi, localmente detti Sciumudìn, chiamati per l’occasione “di San Bernardo”4. RESINE LPI VA I PREA GA 1. LE NTI LARIAN RIANO E SPLU MO LO LA E LA VALL 2. I NGO IA TR ENNA ELLINA 3. IL HIAV VALT VALC MEDIA GONE 4. LA SSA E SE BA RE IL 5. LA NE E GRIG BIE 6. LE ORO ALPI 7. LE Scialpinisti scendono dal versante O del monte dei Poltron (11 aprile 2010, foto G. Meneghello). A piedi in Lombardia vol. 1 Una guida ai sentieri più belli delle Alpi e Prealpi lombarde 74 passeggiate, escursioni e trekking alla scoperta della natura E' da poco in libreria la terza edizione completamente rinnovata della guida “A piedi in Lombardia” (Iter Edizioni, 264 pagg., € 14), curata da un team di autori – escursionisti, alpinisti, giornalisti e accompagnatori di media montagna – esperti frequentatori delle montagne lombarde, coordinati da Beno e Giorgio Orsucci. Dalle nevi perenni del pizzo Bernina ai laghi di Como e della Brianza, dal pizzo Coca al lago Maggiore, con passeggiate classiche e frequentate, ma anche con una moltitudine di itinerari insoliti e sorprendenti che per la priva volta han voce in una guida. E così, scarpinando dai vigneti alle immani torri di granito della Valmasino, dalle riviere fiorite fino alle guglie di calcare del lecchese, escursionisti ed amanti della natura - di ogni gamba e preparezione - troveranno in questo volume una ineguagliabile fonte di ispirazione per il proprio tempo libero. :09 /10 15 09/07 0 E 14,0 -5 77-158 -88-81 ISBN 978 9 78 68 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 7715 8881 ina a copert piedi in 85 dd 1 rdia 1.in lomba Le Montagne Divertenti Val di Rezzalo: Monte dei Poltron (m 2698) 69 La val di Rezzalo - tradizioni La val di Rezzalo è una tipica valle alpestre disseminata di gruppi di baite destinate alla monticazione, di praterie, pascoli, boschi di abeti nella parte più bassa e infine di larici nella parte medio-alta. Nel passato la val di Rezzalo fu descritta solamente nell’aspetto geografico. Fortunat Sprecher, per esempio, nel suo volume Pallas Retica del 1671, così ne dà menzione: “Valle di Rezzalo, dalla quale scende il torrente Rezzalasco che si getta poi nell’Adda, come fanno tutti i corsi d’acqua della Valtellina. Qui si trovano Frontale e Fumero”. Altri cenni vengono fatti dalle guide alpinistiche edite dalla seconda metà dell’Ottocento in poi. Riguardo alla mineralogia, nello Spione chinese, Ignazio Bardea menziona la presenza di scagliola: “la più diaffana e bella si trova per andare a Frontale da Santa Caterina per la via di Plaghera”. La valle fu sicuramente via di passaggio dei pastori bergamaschi, che transumavano nei ricchi pascoli di Valfurva con le loro greggi. Forse non è da escludere che fruissero anche delle pasture sondaline visto che nel dialetto di Frontale è in uso una manciata di parole di quasi sicura origine bergamasca, quali ad esempio śg’gàlbera “zoccolo” (altrove in Valtellina si dice ciupèl), gambìsc “collare per ovini e caprini” (altrove prevale il termine canàula). Durante il periodo della monticazione, dopo le faticose giornate di lavori agricoli, raccolta di legna, strame e fieno selvatico, i valligiani Dario Cossi Le baite in località Macoggia e il torrente Rezzalasco (foto Giacomo Meneghello). erano soliti ritrovarsi di sera in compagnia per il rosario e le preghiere a Sant’Antonio affinché proteggesse e mantenesse sano il bestiame. Questa era anche l’occasione per conversare e raccontare storie, spesso di sapore misterioso, demoniaco o terrifico, tanto per inquietare i più giovani e i più impressionabili. Purtroppo la tradizione orale si è inesorabilmente interrotta e la maggior parte delle storielle è caduta nel dimenticatoio. Tra le poche sopravvissute vi è quella della contadina che, un giorno, mentre era all’interno della sua baita a Ronźón, udì provenire dall’esterno i vagiti di un neonato. Aperta la porta si guardò attorno per vedere dove si trovasse il pargoletto che gemeva in modo così straziante. Lo vide proprio deposto, apparentemente abbandonato, sulla soglia della propria baita. Lo raccolse, lo coccolò e lo nutrì con la pappa che preparò all’istante per sfamarlo. Ma tutto a un tratto la donna si ritrovò tra le mani soltanto le fasce e subito sentì provenire dall’esterno la voce cavernosa dell’orco che rideva a crepapelle «hu hu… che sónt plén de pólt!» (hu hu, che sono pieno di pappa!). Pare anche che il crocifisso in località Malnìo venne posato a protezione dei viandanti, perché in quella zona se vedéva e se sentiva, si “vedevano” (cose misteriose e inquietanti) e si “sentivano” (voci e rumori ugualmente misteriosi e inquietanti). Poco distante, nella zona alla base del Sàsc de Ronźón pare fosse stato “confinata” l’anima di un eretico chiamato al Cuertùr, altro motivo di spavento soprattutto nelle ore del crepuscolo e della notte. Una tradizione popolare oramai desueta, consiste nella sc’pórscia, cioè l’offerta a viandanti, parenti, vicini e amici, di un pezzetto di focaccia (cornàt) preparata in occasione del ritorno a fine estate dell’alpigiano in paese.1 La consuetudine non appartiene soltanto alla val di Rezzalo, ma più in generale a tutti gli alpeggi del Comune di Sondalo, di cui l’usanza sembra essere esclusiva. I comuni circostanti non sembrano infatti conoscere questa particolare usanza. 1 - Cfr. D. Cossi, Monticazione e discesa dall’alpeggio a Frontale, in Bsav n. 11/2008, pp. 203 ss. Luciano Bruseghini 70 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Disgrazia, Cassandra e valle del Giumellino visti da Caspoggio. Indicato il tracciato per la bocchetta del Giumellino (31 gennaio 2009, foto Luciano Bruseghini). Le Montagne Divertenti La valle dei Giumellini 71 Valmalenco Alpinismo Alpe Giumellino, pizzo Scalino e Corni Bruciati visti dalla bocchetta alta di valle del Giumellino (31 gennaio 2009, foto Luciano Bruseghini). Bellezza Partenza: Primo tornante destrorso dela strada Chiesa-Primolo (m 1100 ca.). Itinerario Fatica automobilistico: Da Sondrio prendere la SP13 della Valmalenco. Superati gli abitati di Mossini e Torre S. Maria, dopo circa 15 Km si giunge a Chiesa Valmalenco. Si prosegue lungo la strada comunale per la frazione di Primolo fino al primo tornante verso dx. Pericolosità Itinerario sintetico: Primo tornante destrorso della strada Chiesa Valmalenco / Primolo (m 1100 ca.) - alpe Giumellino (m 1756) - valle del Giumellino - bocchetta alta di val Giumellino (m 2860). Tempo previsto: 4 ore per la salita. Attrezzatura richiesta: da scialpinismo o ciaspole. Kit antivalanga. Difficoltà/dislivello: 3- su 6 / 1750 m. Dettagli: MSA. Mappe: Kompass foglio 93 - Bernina-Sondrio 1:50000. Itinerario scarsamente frequentato nel periodo estivo, viene rivalutato in inverno dai pochi sci alpinisti locali in cerca di nuove emozioni! Infatti la valle del Giumellino, che si sviluppa sopra l’abitato di Chiesa in Valmalenco, è tanto dolce e bucolica nella parte bassa, quanto aspra e sassosa in quella alta. Il nome Giumellino è attribuito anche a un alpeggio, a una cima e a un corso d’acqua che nei periodi di grande piovosità scende da pareti scoscese con energia dirompente per immettersi nel torrente Mallero. Riguardo al toponimo1 esiste una leggenda che racconta di due fratelli invaghiti di una bella giovane. Per scegliere chi sposare, ella li mise alla prova invitandoli a scalare un’alta vetta rocciosa ricoperta di ghiaccio, probabilmente il pizzo Cassandra. Non vedendoli tornare, andò loro incontro lungo la valle di Sassersa e, pentendosi della sfida lanciata, iniziò a piangere (qui si formò il primo laghetto di Sassersa). Continuato il cammino, si fermò oltre un dosso roccioso e anche qui versò parecchie lacrime (secondo laghetto). Salita un’ulteriore balza, stremata dallo sforzo, singhiozzò e si 1 - Il toponimo è legato alla caratteristica cima bifida del pizzo Giumellino. 72 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Le Montagne Divertenti Nella mappa sono indicati 3 siti estrattivi della valle del Giumellino: A - cava di pietra ollare della valletta dell'Aquilone (m 2450), B- cavadi pietra ollare della Trona del Vendul (m 1900), C- cava d'amianto del Ciàn Camùsc' (m 1800). La valle del Giumellino nella sua parte alta (qui vista da quota 1900 ca) si divide in due valli. Entrambe comunicano con la valle Airale attraverso delle bocchette. Quella della diramazione settentrionale è nota come bocchetta alta di val Giumellino, l'atra come bocchetta bassa di val Giumellino. A fianco: in vetta al pizzo Giumellini (6 gennaio 2010, foto Beno). lasciò morire (terzo laghetto). Davanti al pizzo Cassandra, dove perirono i due fratelli, sorse una cima a due punte, detta dai contadini del luogo i Gemellini, oggi pizzo Giumellino. itinerario uesta valle, incassata tra le pendici meridionali del pizzo Cassandra e la cresta settentrionale che dai Corni di Airale degrada fino all’alpe Giumellino, va affrontata solamente con neve sicura, perché i ripidi contrafforti che la circondano scaricano enormi valanghe. La scarsa Q frequentazione della zona permette un’incredibile sciata su neve sempre immacolata e farinosa, in quanto il pendio è completamente rivolto a E. L’itinerario parte dalla strada che collega l’abitato di Chiesa Valmalenco con la piccola e graziosa frazione di Primolo. Nei pressi del primo tornante verso dx, si stacca una stretta pista che conduce all’alpe Giumellino e all’alpe Lago (cartello indicatore per il rifugio Bosio). Questo passaggio non viene sgomberato dalla neve per cui è possibile partire direttamente da qui con gli sci ai piedi (m 1100 La valle dei Giumellini 73 Valmalenco Alpinismo ca.). Nel caso di scarse precipitazioni, oppure se si è a stagione inoltrata, si può proseguire con l’auto per circa un chilometro, poi una sbarra preclude l’accesso ai non autorizzati. Si segue il tracciato che si snoda inizialmente in un fitto bosco di pini e teck, prendendo quota regolarmente senza tratti ripidi aiutato da diversi tornanti. Bisogna prestare attenzione alle rare motoslitte che gli abitanti del luogo utilizzano per salire agli alpeggi nel periodo invernale. Man mano si guadagna quota, la vista sui paesi dell’alta Valmalenco si fa sempre più chiara. Dopo circa 5 chilometri si raggiunge un bivio (m 1550 ca., ore 1:00), la carrareccia prosegue in due sensi differenti: verso S va avanti per l’alpe Lago, verso O si collega all’alpe Giumellino. Noi ovviamente optiamo per quest’ultima direzione e continuiamo per circa due chilometri lungo tale percorso fino a toccare le casette dell’alpe Giumellino (m 1756, ore 0:30). Questo grazioso alpeggio ha delle baite spettacolari, ristrutturate utilizzando solamente il materiale locale: pietra, legno e ciöde (lastre di serpentino scisto per la copertura dei tetti). I suoi ampi pascoli si arrampicano fin sotto i bastioni della parete E del pizzo Cassandra. Dalle malghe ci si alza verso il limitare del bosco in direzione ESE: non ci si può sbagliare perché i pascoli sono delimitati da piccoli muri in sasso e solo qui vi è un passaggio libero. Ora il cammino si sviluppa tra radi larici, pini mughi ed enormi massi; si costeggia sulla dx un’ampia distesa disseminata di grosse pietre che, quando sono ricoperte di neve, sembrano tanti bianchi “Pet del luf ” (i funghi vescia). Superato un piccolo dosso ci troviamo in una vasta piana da dove si vedono chiaramente i due rami in cui si divide la valle. Quello di sinistra (S) è più breve, ma anche più ripido, quello di destra ha maggior sviluppo ma un andamento più soffice, esclusa il muro terminale che conduce alla bocchetta di val Giumellino. Entrambi i tragitti sono interessanti, ma io preferisco quello di dx, visto che offre una sciata più lunga e divertente. Per il primo tratto non si ha un percorso obbligato di salita, bisogna compiere diversi andirivieni lungo 74 Le Montagne Divertenti il pendio, solitamente nella parte centrale, dove vi sono meno piante. Approdati al pianoro di quota 2000 metri circa (ore 0:45), si incontra l’ultimo e unico larice supersite. Le cause della mancanza di ulteriori alberi oltre questa quota sono due: il terreno completamente sassoso e le valanghe che scendono a valle dai ripidi costoni circostanti e fanno piazza pulita di tutto quello che incontrano sulla loro strada! Alzando gli occhi verso dx si distingue la cima del Pizzo Cassandra che, d’ora in avanti, ci scorterà per tutto il viaggio fino alla meta finale. Il percorso è discontinuo e si sviluppa tra dossi e brevi tratti pianeggianti, ma comunque bisogna tenersi sempre nella parte centrale della valle, anche se la neve candida invoglierebbe a percorrerne i bordi. Rivolgendosi all’indietro si possono avvistare i fantastici pendii che più tardi verranno incisi dalle nostre serpentine! Arrivati ai piedi dello strappo finale, non bisogna farsi attrarre dal ripido costone che si para proprio davanti a noi, perché la parte alta è molto ardua e stretta e creerebbe diversi problemi di manovra con gli sci. La soluzione migliore è risalire il versante a sx (SE) per poi piegare a dx raggiungendo in breve la bocchetta alta di val Giumellino (m 2860, ore 2:30 dall’alpeggio). Questo aspro passo, segnato raramente sulle mappe, mette in comunicazione la val Giumellino con la parte alta della valle Airale, il vallone che dal rifugio Bosio sale al passo di Corna Rossa. Guardando verso il basso in dire- zione SE si possono scorgere delle dolci pianure incastonate tra pendii rocciosi: in realtà si tratta di alcuni piccoli specchi d’acqua gelati ricoperti di neve: i laghetti di Cassandra. E’ possibile tuffarsi con gli sci anche lungo questo versante, però poi si andrebbe incontro ad una lunga traversata con le pelli per poter recuperare l’auto. Alzando lo sguardo verso N, in primo piano appare la cresta rocciosa che conduce al pizzo Cassandra che, anche se ricoperta di neve, è possibile cavalcare nel periodo invernale. Più a N, troneggia l’imponente mole del Monte Disgrazia. In fondo alla valle Airale, a SO, spiccano i corni Bruciati, due guglie solitarie che si ergono come vigili controllori di ogni transito verso il passo di Corna Rossa. In lontananza, in direzione E, è invece la costiera pizzo Scalino - pizzo Painale - vetta di Ron - Corna Mara a chiudere l’orizzonte. Dopo esserci lucidati gli occhi con lo splendido paesaggio e aver recuperato un po’ di energie, si è pronti ad affrontare la magnifica discesa lungo i pendii immacolati di questo splendido vallone. Si vorrebbe divorare il percorso in un sol boccone fino all’alpeggio, ma la cosa risulta impossibile a causa dell’acido lattico che brucia nei quadricipiti! Comunque, con l’aiuto di qualche breve sosta “ossigenatrice”, si compie una splendida volata. Il rientro dall’alpeggio avviene utilizzando sempre la carrareccia transitata all’andata. Inverno 2010 Le cave della valle del Giumellino Beno e Luciano Bruseghini T ra i minerali della provincia di Sondrio, uno dei più noti e sfruttati da epoca immemorabile, è la “pietra ollare”. Questo termine sta a indicare comunemente una formazione rocciosa facilmente lavorabile, specie al tornio, per ricavarne contenitori e pentole di vario genere. Infatti il termine deriva dal latino “olla”: pentola, contenitore di olio. Ne parlava già Plinio il Vecchio nella sua opera “Naturalis Historia” (23-79 d.C.) riferendosi ai giacimenti della Valchiavenna e della Valmalenco. In gergo tecnico, la pietra ollare è costituita da rocce metamoforfiche, generate da effusioni sottomarine di lave basiche. E’ costituita da due gruppi principali: il talcoscisto, con abbondanza di talco ed è la più diffusa, e il cloritoscisto, dove predomina la clorite ed è la varietà più rara e pregiata. A grandi linee si può affermare che quest’ultima prevale nel territorio di Chiesa, mentre il talcoscisto veniva estratto da depositi nel comune di Lanzada, in val Brutta (cave ormai abbandonate). Le cave di Chiesa sono per lo più concentrate nella zona compresa fra la val Sassersa e l’alpe Lago, passando per il Pirlo e l’alpe Giumellino. L'Aquilone. Sullo sfondo l'alpe Lago (8 settembre 2008, foto Sergio Guerra). L a costiera che va dal pizzo Rachele ai Corni d'Airale, coi suoi contrafforti che si protraggono verso E, è costituita da serpentiniti con ottimi siti per l'estrazione di pietra ollare. Si tramandava che nella valle del Giumellino si cavasse una pietra ollare sopraffina, senza eguali in Valmalenco, ma più nessuno nel '900 ricordava dove fosse tale giacimento. Così Guerino Gaggi, cavatore all'alpe Pirlo, uomo solitario e grandissimo conoscitore delle arti delle rocce, decise negli anni '50 di andare alla ricerca di queste antiche cave. Gaggi individuò dapprima la discarica poi il sito a m 2540/2550 nella valletta dell'Aquilone, solco che incide il versante E dei contrafforti tra il pizzo Pradaccio e il monte dell'Amianto, così chiamato per la presenza di un grosso masso sospeso morfologicamente simile a un aquilone. Le Montagne Divertenti Guerino Gaggi in cava (13 settembre 1958, foto archivio Silvio Gaggi). In questa cava, Silvio Gaggi, uno dei principali artigiani malenchi della pietra ollare e nipote di Guerino, ha trovato un’incisione riportante la data 1560: ciò indica con certezza che già in quel periodo gli abitanti della Valmalenco sfruttavano tale giacimento, poiché rappresentava la varietà più pregiata delle pietre verdi. Silvio Gaggi, da noi intervistato, conferma di aver prelevato e scolpito assieme a zio Guerino e al padre alcuni pezzi di scarto della cava e, guardando la statua di Gesù bambino che ha appena creato da uno di quei blocchi, aggiunge: «E' un materiale eccezionale, ottimo da lavorare perchè estremamente omogeneo. Mi fa risparmiare fino al 30% di tempo rispetto alla pietra ollare degli altri giacimenti, dando oltretutto risultati migliori.» La valle dei Giumellini 75 Le cave della valle del Giumellino I lavégèe «Perchè nella discarica c'erano ancora pezzi buoni da lavorare?» «Ai tempi la pietra ollare veniva cavata solo per fare lavecc'. I pezzi troppo piccoli venivano scartati. Quella taglia di rocce, tuttavia, è adatta alle sculture, così abbiamo portato i pezzi a valle.» testo di Silvio Gaggi armonizzato da Francesco Sacchi 'l ciapùn söl turn 'l gira, 'l gira cu l'acqua 'l par ch'el canta cula verga 'nt el manéch grich gruch - grich gruch fin che l'è giò giò rudùnt «Avete anche ripreso l'estrazione in quella cava?» «Assolutamente no. La cava, tra l'altro poco profonda, è raggiungibile solo con passaggi di roccia e troppo lontana, per cui ci siamo limitati a portare a valle gli scarti della discarica che sta ai piedi della cava”. «Avete portato a valle i massi da quei posti impervi?» «Sì, circa 2000 pezzi. Li facevamo rotolar giù dall'alto per i pendii, poi giungevano a m 1800 grazie a una funicolare, quindi - alleggeriti e già preparati per la lavorazione col tornio - li trasportavamo a spalle col campàcc' fino all'alpe Pirlo.» Mes i scérsc de rinfòrs i turnìs giò la spùnda cul sudùn e sciüscepet gira gira guich - gira gira guich i tàia int 'l funt L'interno della cava della valletta dell'Aquilone (8 settembre 2008, foto Sergio Guerra). In cö l'è scià 'l pan «Come pensi venivano trasportati i blocchi nei secoli prima?» «Nelle nostre indagini non abbiamo mai trovato tracce di ricoveri, per cui lassù si cavava d'estate, dormendo all'aperto o direttamente in cava. Credo poi i pezzi venissero fatti scivolare a valle sulla dura neve primaverile: l'unico modo di passare facilmente attraverso le grandi gande della valle del Giumellino. «Era questa l'unica cava di pietra ollare della valle del Giumellino?» «No. C'è n'è ad esempio una molto più conosciuta alla Trona del Vendül, a circa m 1900 a picco sotto il pizzo Pradaccio. Fu sfruttata dai Ferrari di Mascìz1 fino all'inizio della Prima Guerra Mondiale. La roccia tuttavia non è così bella come quella della valletta dell'Aquilone.» «Oltre all'iscrizione "1560", hai trovato altre testimonianze sulle rocce della valle del Giumellino?» «Così antiche no, ma più recenti (tutte posteriori alla metà dell'Ottocento) ce ne sono e ben leggibili.» 1 - Per l'esattezza il clan della famiglia dedito alle attività estrattive era detto Trainìñ. 76 Le Montagne Divertenti L'è 'l mumént pusé bröt 'l va inànz piàn piàn 'l gira 'l lima 'l fa sudà frécc' fin che l'è fö 'l levécc' cuntént 'l canta, 'l canta Ruttico gomme Silvio Gaggi sceglie i blocchi nella discarica della cava della valletta dell'Aquilone (8 settembre 2008, foto Sergio Guerra). «Si estraeva anche altro?» «Certamente: l'amianto. Due erano i siti principali nella valle del Giumellino. Quello più "eroico" si trovava a m 2200 sulla costiera tra il pizzo Pradaccio e il monte dell'Amianto. L'amianto lì era speciale quanto quello di Franscia, con anche fibre lunghe 1,5-2 metri. Fu sfruttata molto negli anni '30, quando, dopo il crollo di Wall Street, venne la grande crisi economica. A quel tempo le cave erano dirette da Ottorino Parolini di Lanzada. Lassù lavorò anche mio zio Guerino che, pensa, faceva avanti e indietro dal Pirlo a piedi tutti i giorni... diciamo un'ora e mezza abbondante dal Pirlo ad arrivar sù per uno col passo svelto! Quando qualche anno dopo si decise di fare una baracca per gli operai, le cave furon chiuse. «Non parlavi di due cave di amianto?» «Sì, l'altra stava sotto la cresta del Ciàn Camùsc', sull'orografica dx della valle del Giumellino. Fu sfruttata fino alla stagione 1950/1951 da Longhini Alessandro.» Inverno 2010 Tornio per la lavorazione della pietra ollare. 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Le montagne intorno, in un cielo che si sta lentamente schiarendo, appaiono avvolte da dense cortine di nuvole. Mentre mi dirigo verso i Trippi, camminando lungo la pista ciclabile al bordo della strada, osservo, ancora distesa sui prati, una spessa coltre di nebbia. L’umidità del mattino che si sta aprendo al giorno sembra per un momento sollevarsi e svanire. Attraverso la statale 38 ai Trippi e imbocco Prati Consiglio (15 ottobre 2010, foto Vittorio Vaninetti). Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: Traona (m 252). Itinerario automobilistico: da Morbegno seguire la SS 38 verso Colico fino a Cosio. Dopo 4,5 km prendere a dx la SP4 con indicazioni per Traona, che viene raggiunta dopo 1,5 km. Si consiglia di parcheggiare l'auto nei pressi del cimitero o della chiesa parrocchiale. Itinerario sintetico: Traona (m 252) - Pianezzo (m 474) - S. Giovanni di Bioggio (m 697) - vallone di S. Giovanni - S. Antonio (m 650) - Poira di Fuori - Poncio (m 1263) - I Colli (m 1656) - [Pra’ du Ghegèla (m 1596 - difficile da raggiungere)] - vallone di S. Giovanni - Prati Consiglio (Prati di Sopra) (m 1324) - Prati Bioggio - Prati Aragno (m 1146) - S. Giovanni di Bioggio (m 697) - Traona Tempo 78 per l'intero giro: 6 ore. Le Montagne Divertenti Bassa Valle la strada per Piateda, osservato, mentre attraverso il ponte sull’Adda, da un grosso corvo nero appollaiato su un grande albero. Leggo gli avvisi di una pesa pubblica e, poco dopo, mi infilo a sinistra lungo una strada sterrata che mi porterà a Piateda. Chiedo conferma ad un contadino mattiniero, intento a spargere letame sull’argine di un fosso e lui annuisce. La pioggia cessa e posso infilare l’ombrello dentro lo zaino. Ma è una tregua di brevissima durata perché, fatti duecento metri, la pioggia riprende più vigorosa di prima. E’ una pioggia fastidiosa e, quando passo davanti al centro sportivo e al municipio di Piateda, mi accorgo di avere le scarpe già per metà bagnate. Prati Ovest (15 ottobre 2010, foto Vittorio Vaninetti). Attrezzatura richiesta: da escursionismo - ghette in caso di neve. Difficoltà: 3- su 6. Dislivello in salita: 1450 m ca. Dettagli: EE. L'itinerario a cui si riferisce questa scheda è quello descritto nel box a fine articolo e differisce da quello raccontato (1999) che non è più percorribile date le condizioni mutate di strade e sentieri. L'attraversamento in alto del vallone di San Giovanni può essere difficoltoso. Carte: Fogli Morbegno e Verceia dell’Istituto Geografico Militare 1:25000; La Costiera dei Cèch - Buglio, Comunità Montana di Morbegno 1: 25000; Carta Tecnica Regionale, Mello, 1:10000. Inverno 2010 6 gennaio 1999 una splendida giornata, annunciata da una notte piena di stelle e da un’alba senza una nuvola. Attraversiamo le case di Traona alle 9 e saliamo verso la grande chiesa di S. Alessandro. Proprio dietro la chiesa, un cartello, che indica Pianezza (e non Pianezzo, come invece dovrebbe essere) ci fa sorridere. Saliamo lungo una bella strada acciottolata in mezzo alle vigne. Il pendio è stato terrazzato nei secoli passati in modo incredibile, con E’ Le Montagne Divertenti grossi muri di sassi squadrati. Certamente erano vigne di signori quelle che stiamo attraversando e non di poveri diavoli. I poveri diavoli se mai le lavoravano. Ancora adesso sono ben tenute e le viti sono ben lavorate. Passiamo accanto ad una cappelletta costruita nel 1769 grazie al contributo di un gruppo di benefattori di Roma (come dice una scritta scolpita nel granito). Di fronte, si stacca una stradicciola pianeggiante che, dopo aver attraversato il torrente Bombolasca, arriva alle case di Vanèl. Continuiamo lungo la stradic- ciola acciottolata che passa accanto a un’altra cappelletta (li vicino ci sono alcune baite e la zona è chiamata Gandée) e poi giunge a Pianezzo (m 474). Pianezzo è una contrada con un buon numero di case, molte delle quale sono state ristrutturate. Un tempo ci viveva una nutrita comunità, ora sono pochissime le persone che ci abitano tutto l’anno. Saliamo tra le case, fino a quelle più alte, e imbocchiamo una mulattiera che, dopo essere passata accanto ad una vasca di carico dell’acquedotto, entra in un bel bosco di castagni. Pra' du Ghegèla 79 Escursionismo Come in tutte le gite fatte in questa stagione, il sentiero è ricoperto da un grande ammasso di foglie. In alcuni punti, a causa della loro quantità e della loro distribuzione uniforme, non è semplice individuare la strada. Con un po’ di attenzione riusciamo comunque a seguire il sentiero che sale con larghi zigzag verso la sommità di un dosso. Quando stiamo per arrivare in cima al dosso, incontriamo un muro possente. Non è uno dei soliti muri e sicuramente faceva parte di un’opera di difesa della zona (non è infatti difficile ipotizzare qui la presenza di un luogo fortificato). Fatti pochi metri, siamo comunque davanti alla chiesa di S. Giovanni di Bioggio (m 697). E’ un posto incantevole, e il sole, che splende e scalda, lo rende ancora più suggestivo. La chiesa e il poggio su cui sorge hanno una storia molto antica e legata strettamente alle vicende valtellinesi, soprattutto della prima metà del secolo XVII (quando si racconta che qui c’era una guarnigione spagnola). Colpita dai raggi del sole e dalle ombre dei castagni, l'edificio sembra ancora più grande e bello. Un tale, che sta pascolando le sue pecore, dopo un primo momento di incertezza, ci fornisce delle esaurienti indicazioni sulla nostra meta e su come fare per raggiungerla. Ha fatto il pastore proprio nella zona dove noi vorremmo andare, e quindi i posti li conosce molto bene. Purtroppo, come impareremo anche stavolta, non basta conoscere i posti, occorre anche che le indicazioni non si prestino a equivoci, sempre possibili quando si parla di destra e di sinistra, di bivi, di sentieri e di scorciatoie. cendiamo lungo la strada che attraversa il vallone di S. Giovanni e, dopo essere passati davanti a una cappelletta moderna, ma con un affresco antico, che ricorda l’apparizione della Madonna a Tirano, arriviamo alla chiesetta di S. Antonio. E’ stata costruita nel 1923 e continene una statua di S. Antonio abate; sulla sua facciata si trova una lapide con una lunga lista di partigiani che morirono nella zona nel 1945. S 80 Le Montagne Divertenti Passo dopo passo Diario di Viaggio di Antonio Boscacci La chiesa di San Giovanni di Bioggio (1 maggio 2008, foto Marino Amonini). In viola il tracciato del 1999, in arancione la variante consigliata (2010). A fianco della chiesa parte un sentiero che sale nel bosco di castagni, passa accanto alle baite della località Masùn (m 795) ed arriva a un piccolo bacino di captazione dell’acqua di un torrentello. Poco sopra sbuchiamo tra i prati della Masùn du Ghegèla (m 950). Ci sono alcuni gruppetti di baite, alcune ristrutturate o ricostruite ex novo. Prendiamo come punto di riferimento una baita che sta accanto ad un grosso masso e saliamo i prati in direzione di Poira di Fuori. Raggiungiamo la sommità del pendio e imbocchiamo sulla sinistra un marcato sentiero che si inoltra dentro una vegetazione fitta e ricca di felci. Ci fermiamo qualche minuto per controllare che il sentiero imboccato sia quello giusto, poi proseguiamo. Le indicazioni che avevamo erano quelle di andare a sinistra al primo bivio. Al primo bivio andiamo a sinistra, ma ci accorgiamo subito che il sentiero preso scende e quindi non può essere il nostro. Ritorniamo sui nostri passi e poco sopra ecco un nuovo bivio. Questa volta il sentiero di sinistra è pianeggiante e molto marcato. Così lo seguiamo convinti di essere sulla strada giusta. Per fortuna, ci diciamo, che c’è il sentiero, altrimenti sarebbe proprio un bel guaio. La vegetazione è così fitta e confusa che preferiamo non pensare a quello che succederebbe se perdessimo la strada. E infatti, superato un piccolo dosso roccioso, tutto ad un tratto, il sentiero sparisce. Assennatezza avrebbe voluto che Inverno 2010 ritornassimo sui nostri passi ma… così non è stato e, tanto per provare un nuovo itinerario, iniziamo a salire il ripido pendio che abbiamo davanti. Nella valle una bella cascata spumeggia con un gran rompersi di acque sulle rocce. Finché saliamo tra gli alberi (sono soprattutto Pini silvestri), riusciamo in qualche modo a procedere, ma appena gli alberi d’alto fusto terminano, ci troviamo circondati da un ripidissimo mare di ginestre. Ora, le ginestre sono dei fiori bellissimi, ma quanto ad attraversare i loro ciuffi … è tutta un’altra cosa. Le ginestre formano delle piante alte anche 3 metri, che si intrecciano le une alle altre in un groviglio tale che passarci in mezzo è davvero una faccenda faticosissima. La tecnica è quella di strisciare in basso, tra una ginestra e l’altra, infilandosi a forza con la testa. La testa si riempie di frutti secchi e rametti. Il pendio è ripido e ci sono molte piante cadute e marce. Quando ci si aggrappa ad un ramo, anche grosso, questo cede di schianto. Ogni tanto mi arrampico su qualche roccia per cercare di capire almeno dove siamo. Prima o poi dovremo pur raggiun- Le Montagne Divertenti gere il sentiero che attraversa la valle. E infatti, finalmente, raggiungiamo un piccolo sentiero che però ci porta a una presa per l’acquedotto e poi sparisce. Fortunatamente, poco sopra, accanto a un’altra vasca, riusciamo ad agguantare un altro sentiero e questo ci sembra proprio quello giusto. Fa un caldo incredibile e siamo in Bassa Valle maglietta. Per essere il 6 di gennaio, non c’è male. Sembra una bella e calda giornata di maggio. Ci dissetiamo con l’acqua che esce dalla presa dell’acquedotto, poi riprendiamo a salire. Quello che credevamo un bel sentiero, si dimostra subito un tracciolino ripido, stretto e molto sconnesso. Comunque, dopo aver scavalcato un gran numero di alberi caduti, dopo aver superato due profonde vallecole, arriviamo su un piccolo poggio, dove si trovano i resti delle baite del Pra’ du Ghegèla (m 1596), località indicata sulle carte come Prati Quaini. E’ un piccolo pendio ripido, al centro del vallone di S. Giovanni e le baite sono state abbandonate da decenni e sono tutte crollate. E’, come al solito, molto difficile pensare che qui un tempo ci abitavano per i mesi estivi con delle capre o delle mucche. Il maggengo è circondato dalle ginestre che lentamente se lo stanno mangiando e lo stanno facendo sparire. Tra non molti anni ritornerà ad essere un pendio come quelli intorno. Parlare di tutela di queste testimonianze fa un po’ ridere però mi Località Poncio (15 ottobre 2010, foto Vittorio Vaninetti). Pra' du Ghegèla 81 Escursionismo sembra una delle cose che un popolo assennato dovrebbe fare. Da questo piccolo poggio, abbandonato dagli uomini, ma non dagli animali selvatici (come dimostrano le numerose tracce ben visibili), si apre una vista splendida sulla valle dell’Adda. Sono le 13.45 e, seduti sull’erba secca del maggengo, con le ginestre che ci proteggono le spalle, decidiamo che è giunta l’ora del pranzo. E’ un pasto molto breve e, dopo una ventina di minuti, ritorniamo sui nostri passi, per la discesa. L’idea iniziale era quella di scendere lungo un vecchio sentiero segnato sulla carte, ma l’assenza assoluta di tracce e l’esperienza della salita tra le ginestre, ci sconsigliano assolutamente di provarci. Scendiamo quindi lungo il sentiero di salita e, dopo la vasca dell’acquedotto, scopriamo che del vecchio sentiero quasi non c’è più traccia. In pratica il nuovo sentiero coincide con la traccia fatta nella posa del tubo dell’acquedotto (che ogni tanto affiora) ed è ripido, stretto e sgangherato. Alla fine comunque le ginestre si aprono e troviamo una baita e una fontana con un piccolo pascolo intorno. I cavalli che lo hanno abitato sono riusciti a mantenere a distanza le ginestre, che sembrano ansiose di conquistare anche quella piccola oasi. In fondo al pascolo scopriamo di essere ritornati al bivio del mattino 82 Le Montagne Divertenti Passo dopo passo e incontriamo una famigliola che sta salendo proprio a quella baita (che è di loro proprietà). Parlando con loro comprendiamo l’errore nel quale siamo incorsi salendo: al bivio, anziché a sinistra, saremmo dovuti andare a destra. Al termine del sentiero pianeggiante che abbiamo percorso al mattino, se anziché salire, fossimo scesi, avremmo potuto incontrare le tracce di un sentierino che attraversa il vallone di S. Giovanni. I nostri interlocutori ci dicono che quel sentierino, anche se noi non l’abbiamo visto, c’è. Le loro parole ci convincono e così decidiamo di ripercorrere il sentiero del mattino. Al suo termine, quando lo vediamo sparire, scendiamo un ripido pendio e, meraviglia, il sentiero riappare. Chiamarlo sentiero è forse eccessivo; lo potremmo chiamare fantasma di sentiero. Comunque seguendo la sua inafferrabile presenza, arriviamo sul torrente. Questo scorre incassato dentro le rocce e non ci pare proprio di scorgere dall’altra parte alcuna traccia. Ma, appena saltiamo sull’altra riva (bagnandoci), il sentiero fantasma riappare e si inerpica per una decina di metri. Guardandoci indietro scopriamo che quello dove siamo passati era l’unico posto per passare, perché, sia sopra che sotto, le rocce occupano tutta la valle. Sparendo e riapparendo almeno una dozzina di volte, il sentiero ci fa attraversare una nuova ripida valle Poi le cose si fanno più normali, il tracciato riacquista l’aria di un sentiero e ci troviamo accanto alla lunga baita dei Prati di Sopra (m 1324), che sulla carta sono indicati come Prati Consiglio. Attraversiamo scendendo una intri- Pra' du Ghegéla (15 ottobre 2010, foto Vittorio Vaninetti). Inverno 2010 Diario di Viaggio di Antonio Boscacci cata macchia di ginestre e incontriamo un piccolo parcheggio sulla strada che sale da S. Giovanni di Bioggio. Scendiamo lungo la strada, passiamo per i Prati Aragno e, al bivio per Bioggio, prendiamo a sinistra e torniamo alla chiesa di S. Giovanni di Bioggio. Sono le 17 e le corte giornate di gennaio allungano le prime ombre. Ritroviamo il sentiero percorso al mattino e, quando il buio ci sorprende, stiamo scendendo tra le case di Pianezzo. Un vecchio, che sta scaldandosi davanti a un fuoco acceso in un sottoscala, ci saluta e ci augura buon viaggio. Ripercorriamo al buio la bella mulattiera selciata. E’ un grande spettacolo. Sotto di noi, sono accese le luci di Traona e tutta la valle dell’Adda è un luccichio. Sui monti di fronte, una grande cometa, costruita per le feste di Natale, disegna la notte del pendio con una luce intensa. Ci affacciamo dal piazzale della chiesa di S. Alessandro per riempire i nostri occhi delle ultime immagini di quel buio incantato e poi scendiamo per la bella scala e la via selciata sottostante. Il rumore dei nostri passi e dei nostri bastoncini ha svegliato due grossi cani che, dall’alto, ma per fortuna all’interno di un recinto, ci seguono abbaiando. - Non fanno niente - ci dice un vecchio contadino che sbuca dal portone di un’antica casa, anche lui curioso di vedere chi fossimo. - Da dove venite – ci dice un po’ dopo, mentre attraversiamo la piazza del comune, una vecchia signora con un cappotto rosso ed uno stranissimo cappellino, che sta aprendo la porta di casa. - Da S. Giovanni? – ribatte tutta stupita. La salutiamo e il suo forte profumo di gelsomino ci accompagna fino all'auto. Sono le 18. Le Montagne Divertenti Bassa Valle Vista notturna della chiesa di Sant'Alessandro a Traona (4 novembre 2010, foto V. Vaninetti). Consigliano i locali Viste le mutate condizioni di sentieri e boschi, suggeriamo a chi volesse compiere l'anello di attenersi all'itinerario che segue. alla chiesa di S. Alessandro a Traona D si sale per comoda mulattiera fino a Pianezzo (m 474, ore 0:20). Superato l’antico borgo, si guadagna quota velocemente nel fitto sottobosco di castagni fino a giungere nello spiazzo antistante la chiesa di San Giovanni (m 697. ore 0:25). Girando verso E (dx) si prende la strada prima botumata e poi sterrata che porta alla piccola chiesetta di Sant'Antonio, dove si trova una targhetta che ricorda la traversata dei partigiani. Sulla sx della chiesetta parte un ripido sentiero non segnalato fra i boschi che in breve raggiunge i prati e le baite di Poira di Fuori (m 950, ore 0:40)1. isto che gli antichi sentieri non sono minimamente segnati, e quindi conosciuti solo dalla gente del posto, per proseguire il cammino è consigliabile risalire la sponda erbosa in direzione NE per 15 minuti e raggiungere la tagliafuoco che sale verso i Prati Ovest (m 1468). Dopo alcuni tornanti piuttosto ripidi, quando la strada comincia a spianare e si incontra una piccola piazzola di scambio, bisogna abbandona- V 1 - Itinerario non segnato, ma solo intuibile e facile da perdere: il consiglio che diamo è di continuare a puntare verso l’alto per circa mezz’oretta. Non farsi ingannare dai tagli laterali che portano verso la captazione d’acqua del torrente Vallone. Maurizio Torri e Roberto Fumelli re la strada battuta per risalire i prati lungo il sentiero, tenendo d’occhio il grosso ripetitore. L’obiettivo da raggiungere è località Colli (m 1656, ore 2) dove un gruppo di cacciatori di Traona, alcuni anni orsono ha ripulito una delle poche vie di attraversamento del torrente Vallone2. aggiunta la sommità dei prati si passa il ripetitore superando il bosco successivo ove il sentiero si fa ripido (porre attenzione ai salti di roccia verso valle). Si incontreranno un gruppo di baite. Proseguendo in direzione NO, si raggiungerà una postazione di caccia. Qui la salita è davvero finita. Ridisceso il canale in direzione O si imboccherà il sentiero che con alcuni saliscendi arriva sino alla sommità dei Prati di Bioggio. Giunti sull’altra sponda e ridiscesi sino ai Prati di Bioggio (m 1348, ore 0:30) comincerà la lunga discesa AragnoSan Giovanni. Visto che i sentieri anche in questo caso hanno lasciato il passo alla ricrescita del bosco non è disonorevole seguire la strada silvo pastorale che in 50 minuti arriva a Bioggio, proprio sotto il piazzale della chiesa, da dove si riprenderà la mulattiera per la chiesa di San Giovanni. Dalla chiesa di San Giovanni, lungo la via dell'andata, si arriverà a Pianezzo e alla chiesa parrocchiale di Traona (ore 2 dai Prati Bioggio). R 2 - La vegetazione ha già invaso il percorso, ritenuto arduo pure dagli abitanti della zona. Chi volesse azzardare l’attraversamento sappia che perdere la via è molto facile. Se non si è sicuri, meglio tornare per la via dell'andata. Pra' du Ghegèla 83 La piccola Maginot di Grosio Eliana e Nemo Caneta La conca di Grosio offre molteplici spunti d’interesse: castelli, chiese, palazzi, incisioni rupestri. Gli escursionisti, in questi ultimi anni, hanno iniziato ad apprezzare tutto ciò ma molto altro resta da “scoprire”. Ecco un nuovo spunto: l’archeologia militare. A Grosio infatti possiamo toccare con mano una solida e importante linea fortificata, eretta negli anni dal 1916 all’autunno del 1918, il cui compito era di bloccare eventuali irruzioni asburgiche provenienti dallo Stelvio e dall’Alta Valtellina. Lo sbarramento di Grosio, vera linea difensiva arretrata, doveva quindi proteggere l’importante centro logistico, stradale e ferroviario di Tirano, nonché gli impianti idroelettrici della zona, che già allora erano fondamentali per le industrie padane. Archivi del oveniente dagli pr ito ed in to en Arzuga.Docum Cannoniera di io - Roma. en G l Museo de Vernuga dai fori della cannoniera di Arzuga (24 ottobre 2010, foto Giacomo Meneghello). 84 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Le Montagne Divertenti La piccola Maginot di Grosio 85 Escursionismo Alta Valle Il 24 maggio 1915 l’Italia entra in guerra al fianco dell’Intesa (Francia, Gran Bretagna, Russia, Belgio, Serbia e Giappone) e molti credono che il nostro intervento sarà decisivo. Conrad, Capo di Stato Maggiore di Vienna, già prima del conflitto affermava che era possibile fermare la Russia, ma difficile battere sia Mosca che Belgrado. Ma se pure l’Italia fosse stata della partita ... No, nulla da fare: spettava alla diplomazia sventare il rischio; in fondo Conrad aveva ragione. Anche Berlino è convinta che se Roma entra in guerra per gli Asburgo saranno guai; infatti farà di tutto per convincere Vienna a “cedere” all’Italia le terre irredente. Ma Roma chiede parecchio (l’annessione di Trento e Trieste città libera) mentre l’Austria ci sente poco da questo orecchio: ci darà il Trentino (e neppure tutto). D unque nelle radiose giornate di maggio, l’esercito varca la frontiera. Se Cadorna avesse voluto, i nostri avrebbero avuto la capacità di conquistare in breve il Trentino-Alto Adige. I coraggiosi volontari tirolesi, pochi e mal armati, nulla avrebbero potuto opporci, salvo qualche area fortificata. L’opinione non è solo italiana, pure i tedeschi lo credono. Ma Cadorna deciderà diversamente e i suoi detrattori non hanno mai dimostrato avesse torto. L’Italia entra in guerra avendo chiesto parecchio agli Alleati: deve quindi offrire un contributo sostanziale. Conquistare la val d’Adige sarebbe importante sul piano propagandistico: “Siamo a Trento, occupiamo Bolzano!”. Ma Cadorna nota che tutto ciò non abbrevierebbe la guerra europea di un giorno. Decide allora di attaccare ad est, per collaborare, nel bacino danubiano, con russi e serbi, che dovranno anch’essi agire contro l’armata austro-ungarica. In quest’ottica il fronte alpino, 86 Le Montagne Divertenti Itinerario "Strada dello Storile" in rosso (1 - viadotto, 2 - arrivo sulla cresta e congiunzione con la strada che viene da Fusino). Itinerario "Cannoniera di Arzuga" in blu (3 - cannoniera). Itinerario "Fortificazioni dal fondovalle a Ron" in arancione (4 - parcheggio, 5 - prime trincee blindate, 6 - trincea e galleria, 7 - Alvior [inizio serie trincee blindate], 8 - serie di trincee blindate, 9 - antica mulattiera del Mortirolo). Partenza: si consideri Grosio come Difficoltà: 1 Itinerario automobilistico: da Tirano prendere la SS 38 in direzione Bormio. Al km 14 (viadotto) si prende l'uscita per Grosio. Dislivello in salita: 1- 500 "campo base" per i 3 itinerari. Itinerario sintetico: 1- Gromo - costruzione isolata a m 1480 ca.; 2- Gromo - cannoniera d'Arzuga; 3- vecchia centrale elettrica (m 677) Alvior - I Ron (m 960). Tempo di percorrenza: 1- 1 ora e 45'; 2- 1 ora; 3- 1 ora/1 ora e mezza. Attrezzatura escursionismo. richiesta: da Bellezza su 6. Fatica metri; 2- trascurabile; 3- 300 m ciirca. Dettagli: Pericolosità T/E itinerari semplici e per lo più supportati da segnaletica. I sentieri presentano ricrescita vegetativa e alberi caduti lungo il percorso. Il Sindaco di Grosio, contattato da Montagne Divertenti, assicura che è già in corso un vasto piano di pulizia dei sentieri, azione che proseguirà nel 2011. Per ulteriori informazioni, rivolgersi al Comune di Grosio. Mappa: consigliati i fogli IGM 1:25000 . quello lombardo in particolare, non conta molto: se gli Imperiali conquistano qualche vetta o valico, poco male, chi vince si deciderà altrove. Unica previdenza: evitare che dalle Retiche l’avversario si affacci alla Padania. Così nessuno si preoccupa quando il nemico nel ‘15 ci precede allo Stelvio e controlla il Tonale. Ma l’offensiva italo-russo-serba non decolla: noi c’impantaniamo (pure causa l’inazione serba) sul Carso e sull’Isonzo. I russi, pur valorosamente combattendo, sono battuti dai tede- schi, accorsi a cavare le castagne dal fuoco (lo faranno altre volte, Caporetto compresa) all’esercito imperialregio. I serbi non muovono un passo, non sparano un colpo, altro che attaccare! Si dice che tra Belgrado e Vienna ci fosse un tacito accordo: voi austriaci togliete ogni uomo dal nostro fronte per opporvi agli italiani e noi serbi eviteremo il disonore che quegli stessi italiani (mai simpatici agli slavi meridionali) giungano a Lubiana e in Dalmazia. Inverno 2010 I tracciati per la strada dello Storile e la cannoniera di Arzuga. In rosso "la strada dello Sotile", in magenta "la cannoniera di Arzuga", in giallo la carrozzabile per la val Grosina (foto e grafica Canetta). Le alpi e la valtellina così i nostri comandi nel ‘16 si trovano sulle Alpi spesso in posizioni difficili. E se gli austro-ungarici attaccassero? Difatti lo faranno sugli altipiani Veneto-Trentini, giungendo ad un soffio dalla pianura. E se forzassero Stelvio e Tonale? Potrebbero dirigere verso Brescia ed il Lario, persino puntare a Milano. Sarebbero dolori! Bisognava allora parare una simile eventualità. Ecco quindi la genesi politico-militare delle fortificazioni nella conca di Grosio-Grosotto. Fortificazioni che costituiscono una piccola Maginot di grande interesse storico e che – a torto – sono poco note ai tellini stessi. Quindi nel ‘16 si inizia, in Valtellina ma in realtà un po’ ovunque, a costruire linee arretrate ove attestarsi nel caso di sfondamento nemico. E N ella valle dell’Adda la posizione storica è al ponte del Diavolo, tradizionale limite del Contado di Bormio, ove ci si era Le Montagne Divertenti battuti pure in epoca risorgimentale. Posizione scelta e definita, dunque? Mica tanto poiché già nelle Guerre d’Indipendenza era stato notato come la Stretta del Diavolo, pur angusta ed apparentemente di facile difesa, avesse un limitato campo di tiro per le armi da fuoco (oggi, con la frana di val Pola, tutto è mutato). Già nel 1859 non si usavano più alabarde ed archibugi, figuriamoci nel 1916, con mitragliatrici e fucili che sparavano oltre i 2000 metri! Non basta: la stretta è facile da evitare. Dalla Valfurva, attraverso il passo dell’Alpe e la val di Rezzalo, e da Valdidentro, attraverso il passo di Verva e la val Grosina. Era necessario allora cercare una posizione con un buon campo di tiro e non aggirabile. Essenziale era poi coprire le centrali elettriche di Grosio e Grosotto, già allora d’importanza strategica. questo punto la scelta fu obbligata: uno sbarramento tra le pendici del monte Varadega e dello Storile. Da qui un secondo sbarramento chiudeva la val Grosina a S. Giacomo, appoggiandosi al rio Arte- A gione, sotto il dosso Cornin. Questa linea aveva il grande vantaggio di collegarsi con le difese del Mortirolo e con quelle dell’alta Valcamonica, presso Vezza. C i si potrebbe immaginare lungo questi sbarramenti di scoprire solo trincee a secco, camminamenti scavati nel terreno, qualche sentiero d’arroccamento. Nulla di tutto ciò: gli apprestamenti campali sono nelle aree a quota maggiore, oltre i 1300/1400 metri. A quote inferiori (ove si può arrivare anche d’inverno) la Seconda Linea di Difesa appare, pur se danneggiata, come una vera e propria barriera stabile, una piccola Maginot1 appunto nella 1 - Imponente complesso di fortificazioni, ostacoli anti-carro, postazioni mitragliatrici, caserme e depositi di munizioni realizzati dal 1928 al 1940 a protezione dei confini che la Francia aveva in comune con Germania e Italia. Trae il suo nome da André Maginot, all'epoca Ministro della Guerra francese. La piccola Maginot di Grosio 87 Escursionismo Alta Valle Valtellina: bunker, trincee blindate in cemento armato, postazioni per mitragliatrici, cannoniere ed osservatori in roccia (spesso annidati in posizioni incredibili). 3 – Le trincee blindate dal fondovalle a Ron il tracciato che discende, con qualche curva, sino ad affacciarsi al grande burrone sopra Vernuga. Ora iniziamo a scendere una sorta di stretto canale che incide la parete e che da lontano è quasi invisibile. Poco oltre, abbandonato il sentiero principale, pieghiamo a dx raggiungendo subito l’ingresso (segnalato) della cannoniera d’Arzuga3 (m 950 ca., ore 1). Il manufatto è stato messo in sicurezza ma richiede prudenza. Il vasto interno (portarsi una pila per illuminare) comprende alcuni vani previsti per polveriere e depositi, mentre l’ampio camerone terminale è illuminato da due feritoie per artiglierie che dominano il corso dell’Adda e si aprono su di una strapiombante parete alta 200 metri. l ritorno si può percorrere lo stesso itinerario, oppure scendere sul sentiero militare tutto il valloncello per continuare, con panoramico percorso sopra Grosio, sino alle sue case più elevate (tracciato talora danneggiato: informarsi in paese). Da Grosio, in direzione di Bormio, si va a valicare il ponte sull’Adda e si parcheggia a dx, alla vecchia centrale elettrica (m 677)4. Dirigendosi a NE, si incrocia l’antica mulattiera, in realtà una stradella acciottolata, che saliva al Mortirolo. L’imbocco è difeso da una trincea blindata in cemento (cartello, visitabile). Proseguendo si transita dai resti di un bunker, parzialmente sotterraneo e oggi riutilizzato. A dx, al limite del bosco, si scorge il profilo di una trincea che domina i prati sottostanti. Ecco una cappelletta, ove la stradella piega a dx e inizia a salire; nei pressi una caverna in roccia. Superata la vecchia condotta forzata, ci si porta su un cucuzzolo, a dx, ove è una trincea blindata cui segue una caverna in roccia, a picco su Grosio. Poche decine di metri e si è alla carrozzabile (non esistente nel ‘15/’18) che collega Grosio al Mortirolo (possibilità di parcheggio); nei pressi trincea in cemento (cartello, visitabile). Continuando a monte, in breve alle case di Alvior (m 821), in parte realizzate su altre opere. Sempre sull’acciottolato della stradella proseguiamo sino ad un bivio e prendiamo a sx, lungo il sentiero delle trincee. Poco dopo una traccia a sx, un po’ infrascata, porta a una delle trincee più interessanti: un possente manufatto, in cemento, a dominio dei prati di Alvior, che termina con un ampio bunker per mitragliatrici (cartello). Abbiamo ora due possibilità: interessante è proseguire lungo il crestone, fitto di trincee (in parte visitabili), ma la traccia è sovente seminascosta dalla vegetazione. O, più facilmente, tornare sul sentiero (già mulattiera d’arroccamento alle trincee), per sbucare nuovamente sulla stradella del Mortirolo. Più avanti a sx è l’ingresso di una caverna in roccia. Subito oltre un bivio: a dx prosegue il tracciato principale. Noi imbocchiamo il percorso a sx che in breve porta a I Ron (m 960, ore 1/1:30 a seconda del percorso scelto), nei cui prati erano varie trincee (ora quasi tutte nascoste). Ampio panorama sull’anti- 3 - Questo è il nome ufficiale militare, anche se localmente è nota come Cannoniera della Vernuga. 4 - La centrale esisteva già nel 1915. C annoniere sono presenti pure nel territorio grosottino: ad esempio a Pughien, ove erano i pezzi per la difesa contraerea delle centrali elettriche. Il tutto servito da stradelle e mulattiere che dimostrano l’accurato studio per realizzare tracciati agevoli e ben coperti. Naturalmente non tutto è restato; sono sparite le profonde siepi di filo spinato e le opere che sbarravano il fondovalle dell’Adda, a NE di Grosio sono state travolte da nuove abitazioni. Allora prati, oggi villettopoli, pure se in un paio di punti le vecchie trincee in cemento affiorano. Il naturale prezzo da pagare al progresso ... non disgiunto da una scarsa attenzione, almeno sino a qualche anno orsono, a questi reperti, che in altre zone e regioni turistiche, restaurati e valorizzati, favoriscono un notevole afflusso di appassionati e visitatori. ITINERARI 1 – la Strada dello Storile D a Grosio si imbocca la carrozzabile verso la val Grosina. Subito dopo il tornante quota 900 ca., a dx è la sterrata che porta a Gromo (m 938). Conviene parcheggiare e prendere quota sulla stradella con percorso panoramico. Verso i m 1100 è un bivio: a dx si prosegue per Arzuga (itinerario 2); noi prendiamo a sx il vecchio tracciato militare di recente ripulito, di cui ammiriamo gli ampi e comodi tornanti, sorretti da massicci muri a secco. Intorno a quota 1200 il tracciato originario spariva sotto una frana di blocchi: si è recentemente provveduto ad aprire un nuovo percorso (corrisponde solo in parte all’originale). Un breve tratto a sentiero, verso i m 1350, e tra i massi si ritrova la vecchia strada che non si lascia più. Continuiamo a mezza costa, con andamento a SO, lungo una balconata naturale con vista a 88 Le Montagne Divertenti L'imponente viadotto poco prima di Pra del Poda (24 aprile 2010, foto Nemo Canetta). All'ingresso della cannoniera di Arzuga e in discesa da Prà del Poda lungo la strada della val Grosina (4 novembre 2010. foto Giacomo Meneghello). picco su Grosio. A quota 1420 ca. si valica un’incassata gola con un incredibile viadotto, uno dei manufatti più impressionanti ed interessanti della zona. La stradella prosegue nel bosco e con alcuni tornanti sbuca a Pra del Poda (m 1480 ca, ore 1.45). La vista è amplissima sullo sbocco della val Grosina, i monti circostanti e in direzione della costiera del Mortirolo. Qui si incontra una sterrata recente che collega Fusino con le baite di Cigozzo, sotto la vetta del monte Storile2. In discesa si può prendere verso Fusino, oppure ripercorrere a ritroso l’itinerario di salita. 2 – La Cannoniera di Arzuga L ungo l’itinerario 1, al bivio oltre Gromo si prende a dx, valicando alcuni ripidi valloncelli. Giunti al verde ripiano di Arzuga si imbocca 2 - La Strada dello Storile continua, quasi sempre ben percorribile, sino alla vetta dell’omonimo monte, toccando punti ben fortificati, ambienti suggestivi ed offrendo, alla fine, un panorama circolare eccezionale. Ma non è certo un percorso eswcursionistico invernale. A Inverno 2010 Le Montagne Divertenti Ron 8 9 7 6 bunker 5 4 L'itinerario 3 visto dalle pendici del monte Storile. Indicati: 4 - parcheggio, 5 - prime trincee blindate, 6 - trincea e galleria, 7 - Alvior [inizio serie trincee blindate], 8 - serie di trincee blindate, 9 - antica mulattiera del Mortirolo (4 novembre 2010, foto G. Meneghello). stante Monte Storile, fortificato sino alla sommità. er rientrare alla ex Centrale è senz’altro consigliabile seguire la stradella del Mortirolo. Come per l’itinerario della Strada dello Storile, si può continuare, sia pure con qualche maggiore complicazione, sino alla vetta del monte Varadega che, sull’opposto versante dello Storile, costituiva il pilastro meridionale dello sbarramento di Grosio. Ma anche questo percorso è da effettuarsi in estate. P L'interno della trincea blindata di Alvior (4 novembre 2010, foto Giacomo Meneghello). La piccola Maginot di Grosio 89 Escursionismo Giro dei monti a Samolaco Sergio Scuffi Da San Pietro a Santa Teresa e ritorno per Pièza Cavrée, passando per deliziosi alpeggi e terrazzi morenici: questo il nostro suggerimento per scoprire i monti di Samolaco. Lo splendido panorama dall'inizio dei prati di Santa Teresa verso il fondovalle della Valchiavenna (3 novembre 2010, foto Beno). 90 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Le Montagne Divertenti Giro dei monti a Samolaco 91 Escursionismo Valchiavenna Il tracciato dell'itinerario osservato da Somaggia. Riferimenti: 1- cappella dei Crestóon, 2- Sass dàla Štrìa (foto e grafica Sergio Scuffi). Bellezza Fatica Pericolosità - Partenza: San Pietro (m 254). Itinerario automobilistico: da Piantedo si percorre la SS 36 fino a Somaggia. Alla rotonda si segue la seconda uscita (San Pietro/ Era) e si attraversa il passaggio a livello (km 17). Percorsa la SP52 (800 metri), all'incrocio si va a dx sulla SP2. Superato Era si arriva a San Pietro. Si sale in paese per via Tonaia e, in corrispondenza di una piazzetta (negozio, bar) si svolta a sx; al bivio successivo si va a sx in leggera discesa; lasciando a sx la torre del Culumbée. A pochi metri c'è la chiesa e , a sx, il parcheggio (circa 22 km da Piantedo). Itinerario sintetico: San Pietro (m 254) - e segnalati. Prestare attenzione in caso di neve o ghiaccio. Mappa: Kompass foglio n.92, Valchiavenna e Val Bregaglia, 1:50000. Mott di Damìin Monastero (m 400) - Mott di Damíin (m 700) - Santa Teresa (m 947) - Pièza Cavrée (m 795) - Sassello (m 250 ca.) - San Pietro. Tempo giro. di percorrenza: 4 ore per l'intero Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà: 2 su 6. Dislivello in salita: 700 metri circa. Dettagli: EE. Sentieri non sempre ben tenuti 92 Le Montagne Divertenti La torre del Culumbée (museo) e il campanile della chiesa di San Pietro (3 novembre 2010, foto Beno). 947 Salita al maggengo di Santa Teresa, P artiamo da San Pietro, dal parcheggio nei pressi della chiesa, salendo la breve rampa che parte a S dell'edificio; pochi metri e incrociamo via Alle Fontane1. Pianeggiamo a dx lungo la strada, quindi su a sx e successivamente curviamo sx. La strada inizia a salire ripida verso Monastero passando per I Crotti. Il sentiero segnalato (bolli biancorossi), praticabile anche se non curato, incrocia ogni tanto la strada asfaltata e taglia i tornanti accorciando il tragitto2. In pochi minuti ci si affaccia alla bella spianata di Monastero, subito 1 - Il sentiero si districa fra le abitazioni. Per non perdersi o ritrovarsi in casa di qualcuno è meglio seguire la rotabile. 2 - Nella parte altra, dopo esser sbucato sulla strada tra il 5° e il 6° tornante sopra I Crotti, ricomincia qualche metro più in basso a dx. Inverno 2010 Le Montagne Divertenti salutati da alcuni rustici (uno con un dipinto votivo, forse in onore della Madonna di Gallivaggio). Altri dipinti mal conservati si trovano più avanti. Siamo su un bel ripiano di origine morenica, a ricordo delle glaciazioni che interessarono anche questa vallata. La linea dei terrazzamenti morenici è chiara su tutto il tratto che va dalla Torre di Segname fino a Casenda, con andamento degradante da N a S, e nettamente incisa in più punti dai corsi d’acqua che scendono dalla montagna. Siamo nella parte terminale, verso E, delle Alpi Lepontine: dall'altro lato della valle iniziano le Retiche, annunciate dall’imponente pizzo Prata, localmente noto come Pizóon. Sulla presenza nel passato di un monastero non ci sono dubbi, come si deduce dai ruderi che ancora testimoniano gli antichi insediamenti, e soprattutto dal vasto terreno recin- Dipinto votivo a Monastero (3 novembre 2010, foto Beno). Giro dei monti a Samolaco 93 Escursionismo Valchiavenna Il pianoro di Monastero e il pizzo di Prata (3 novembre 2010, foto Beno). tato che conserva ancora un vecchio cancello di ingresso. Lo conferma anche l’estrema parcellizzazione dei terreni, un tempo intensamente coltivati, che occupano il pianoro3. Tuttavia non si è ancora trovata alcuna documentazione, se si esclude una nota di consegna del 1772 di arredi per un “oratorio” alla chiesa di San Pietro. Un po’ staccati verso S (a sx per chi sale), ci sono i casolari di un secondo nucleo; oggi Monastero non è più abitato, anche se diversi rustici sono stati recuperati come seconde case (fenomeno favorito negli ultimi anni anche dal completamento della strada carrozzabile). Lasciato il nucleo di Monastero e, seguendo il segnavia posto poco oltre la cappelletta bianca4, si prende a dx. Dopo circa 80 metri si imbocca (sx) un comodo e largo sentiero bollato. In una decina di minuti si raggiunge il sovrastante terrazzamento morenico di Pianezza, con un gran muro a circondare quello che doveva essere 3 - Il fenomeno è tipico degli insediamenti più antichi. 4 - La cappelletta era un tempo meta di rogazioni. 94 Le Montagne Divertenti un tempo terreno coltivato, e i ruderi di un’antica costruzione con semplice portale in pietra e finestra trilitica. Poco sopra altri rustici, ormai in decadimento: siamo alla località Cè dàla Blása, un tempo utilizzata da alcune famiglie che ne coltivavano i terreni con piccoli orti e campicelli di patate, portandovi le mucche al pascolo e sfalciando i pochi prati disponibili. Qui il sentiero, con andamento quasi pianeggiante, compie una lunga traversa verso dx (N) fino al dosso che sovrasta le forre del torrente Mengasca. A pochi passi, in piano sulla dx, merita una visita un altro maggengo, il Mott di Damíin (m 700, ore 1:20): qualche casolare ed un vasto prato con una pendenza incredibile, precipite sul torrente. ornati al bivio seguiamo il sentiero principale, che compie una decisa svolta a sx e sale, con pendenza regolare, attraverso fitti boschi di faggio fino ai prati di Santa Teresa (m 947, ore 0:40). I rustici di questo antico maggengo, qui conosciuto come il Móont (ovvero il monte per eccellenza) sono per lo più allineati sul bel declivio lungo T Il sorprendente alpeggio di Mott di Damìin si presenta con qualche baita e un prato ripidissimo che si getta nelle gole del torrente Mengasca. Di fronte a Mott di Damìin (N), sulla sx idrografica, si trova, ben visibile, l'alpe Caurghetto (3 novembre 2010, foto Beno). l’asta del piccolo torrente: la val Màrscia o val di Becc'5. Sulla dx, sola e affacciata verso la valle, si staglia contro il cielo la sagoma della semplice chiesetta, che è un po’ il biglietto da visita di questo luogo da incanto6. lla chiesa possiamo appoggiare lo zaino su uno dei muretti di recente risistemati da alcuni assidui frequentatori del luogo, e finalmente goderci il bellissimo panorama. A Tutta la valle è in mostra, da Chiavenna a N fino a Novate Mezzola, dove si stendono i colori di due specchi d’acqua: il blu intenso del Pozzo di Riva, il verde del lago di Mezzola, che chiude la piana della bassa Valchiavenna poco più giù. 5 - Trad: valle dei Caproni. 6 - Per chi vuole saperne di più: - A. Del Giorgio, A. Paggi, Inventario dei toponimi valtellinesi e valchiavennaschi, n. 22, Territorio comunale di Samolaco, Villa di Tirano 1966. - A. Del Giorgio, Samolaco ieri e oggi, Sondrio 1997. - S. Scuffi, Nü ‘n cuštümàva, vocabolario dialettale di Samolaco, Sondrio 2005 Inverno 2010 Di fronte l’imponente mole del Pizzo Prata (m 2727), dietro il quale si intuisce la val Codera, mentre verso N chiude l’orizzonte la corona di cime con incastonato il pizzo Stella (m 3163). Anche le valli Spluga e Bregaglia sono bene individuabili, mentre sulla sx si nota il passo della Forcola. A monte dei prati vi è il bel bosco del Röan: un magnifico faggeto dove corre il sentiero per il piccolo alpeggio di Sambusina, ormai al limite inferiore della pineta. Guardando verso valle, ad una quota leggermente inferiore, si intravedono altri maggenghi: Pièza Cavrée, che vedremo nel ritorno, e il più importante Paiedo, di cui diremo un’altra volta. Più in alto, la sagoma del monte Berlinghera, con l’ampia sella della bocchetta di Chiaro sulla dx. poi scendere lungo un dosso percorrendo un sentiero zigzagante che ci porta alla Bolgadregna, torrente incassato nella roccia e abbellito da diverse cascatelle7. Lo attraversiamo su un ponticello in legno e siamo subito a Pièza Cavrée (m 795, ore 0:20). 7 - Curiosità: in questa zona c’è una piccola colonia di maggiociondoli che, a maggio durante il periodo della fioritura, spiccano con il loro caratteristico colore giallo vivo. Qui si incontra un primo minuscolo nucleo di baite, in parte ristrutturate; più avanti ce ne sono altre. Anche in questo maggengo non si portano più bestie da anni, tuttavia capre e pecore vi sostano ancora numerose, ben decise a fare onore al nome di questo luogo. In basso, sulla sinistra del piccolo pianoro, ha inizio il sentiero che ci riporterà a valle, fino al piccolo nucleo ritorno per Pièza Cavrée Ci incamminiamo verso S, superando il ponticello nei pressi della terza baita dal basso (rudere). Con una breve traversata raggiungiamo ciò che rimane dei prati del Pianèl, per Le Montagne Divertenti Giro dei monti a Samolaco 95 Escursionismo Valchiavenna Dalla chiesetta di Santa Teresa si gode un bellissimo paesaggio sulla Valchiavenna, da Chiavenna (non ripresa in foto) al lago di Novate. Svettano il pizzo di Prata, il Ligoncio, il Sasso Manduino e le altre cime della val dei Ratti (3 novembre 2010, foto Beno). del Sassello. Visto che le persone preferiscono salire in auto fino in quota, dopo la realizzazione delle piste rotabili, questo è divenuto un percorso poco frequentato e quindi non più curato8, anche se abbastanza ben segnalato (strisce bianche e rosse). Poco sotto Pièza Cavrée troviamo la fatiscente cappella dei Crestóon, a cui occorrerebbero urgenti interventi di restauro. Serpeggiando per il bosco di castagni in una decina di minuti siamo al Sass dàla Štría, grosso macigno oggetto di una leggenda locale. Più giù giungiamo al Mott de Mugnìna, piccola protuberanza di origine morenica che si discende con un percorso piuttosto ripido e tortuoso per giungere ai crotti della Piazza e, poco sotto, ad un altro pianello, denominato pure Piazza9. Da qui scendiamo al Sassello (m 250 ca., ore 1), minuscolo nucleo non più abitato (una casa ristrutturata per le vacanze) e abbellito da un bel 8 - Consigliabile solo a escursionisti esperti, specie in caso di neve. In alternativa si può seguire la recente pista rotabile che scende a valle. 9 - Entrambi i nuclei sono fatiscenti e abbandonati. A Piazza si noteranno grosse cataste di legna. 96 Le Montagne Divertenti Sopra: Pièza Cavrée (3 novembre 2010, foto Beno),. Sotto: l'affresco in località Sassello (21 febbraio 2007, foto Sergio Scuffi). Sass dàla Štría l macigno collocato sul poco sopra il sentiero I Sassello - Pièza Cavrée si trova in un punto che sovrasta quasi a strapiombo il torrente Bolgadregna, ed è attraversato, diagonalmente, da una venatura di roccia di diversa conformazione, più morbida e friabile, cosicchè risulta incavata in forma tale che la fantasia popolare vi ha intravisto le tracce di una grossa catena. a qui la leggenda secondo la quale, in quei luoghi, sarebbe vissuta una strega; costei, offesa per qualche motivo dagli abitanti dei villaggi sottostanti, Nogaredo e Schenone, situati ai lati del torrente Bolgadregna, avrebbe pensato di vendicarsi rotolando il masso fin dentro al corso d’acqua, in modo da impedire che esso potesse scorrere regolarmente e fornire l’acqua per tutti i bisogni della gente: lavarsi, preparare i cibi, abbeverare il bestiame (gli acquedotti non c’erano, ma fortunatamente allora i corsi d’acqua non erano inquinati). etto fatto, la strega lega il macigno con una Il Sass dala Štría (19 ottobre 2010, foto Sergio Scuffi). grossa catena, tira e tira con tutte le sue forze: tale è la pressione che la catena lascia l’impronta sulla roccia, ma il macigno di lì non si smuove. La strega, come si può immaginare, rimane delusa e probabilmente pensa a qualche altra forma di vendetta: intanto il masso è ancora lì a testimoniare, con quei segni, ciò che allora succedeva… così, almeno, pensano quelli che oggi ci raccontano la storia. D Santa Teresa dal fondo dei prati. Quella che si vede è la prima baita dell'alpeggio che si incontra salendo da Monastero (3 novembre 2010, foto Beno). dipinto sulla facciata di una edificio isolato10. Qui si incrocia la Via Francisca, percorso storico che giunge a S fino a San Fedelino, per poi collegarsi con la via Regina, mentre a N conduce 10 - Dal Sassello, con una piccola deviazione verso S, in cinque minuti può raggiungere il caratteristico villaggio denominato Lööch, di cui si è detto in Sergio Scuffi, Lööch , Le Montagne Divertenti, n. 6 - autunno 2008, pgg. 40-41. a Chiavenna. Prendiamo a N (sx) seguendo i segnavia gialli. Guadiamo il torrente e raggiungiamo Schenone. Snodandosi fra le abitazioni il tracciato arriva fino alla strada asfaltata (cartello segnavia). Il campanile di San Pietro è ben visibile lassù in alto, al che, senza problemi e senza via obbligata, torniamo all’auto. Inverno 2010 D Le Montagne Divertenti Giro dei monti a Samolaco 97 Rubriche valtellinesi nel mondo Il tardo pomeriggio esalta luci e volumi della straordinaria geologia della Cappadocia; appena fuori Goreme, verso Avanos (29 maggio 2010). Sognando Ritratto a Mustafapasa (3 giugno 2010). Montagne Divertenti 98 diLefamiglia Inverno 2010 Sulla pista per Kavak; nei volti dei bimbi la quieta curiosità per i "forestieri" (3 giugno 2010). Cappadocia IlLesuggestivo spettacolo dei "ballon" che si levano all'alba colorando il cielo sopra Goreme (30 maggio 2010). Montagne Divertenti Testi e foto Marino Amonini Sognando Cappadocia 99 Rubriche Valtellinesi nel mondo L S a giornata è molto lunga a Göreme; già alle 4:30 gli altoparlanti dei minareti diffondono l’assordante salmodiare delle invocazioni alla preghiera da parte del muezzin. Poi inizia il carosello di gipponi, trattori e pulmini che portano nelle radure il businnes delle mongolfiere. e questa sveglia anticipata induce in qualcuno il cattivo umore, ben presto lo spettacolo del sorgere del sole ed il levarsi nel cielo di decine e decine di palloni colorati riempie d'emozione anche lo spettatore più assonnato: sono le prime meraviglie di Cappadocia, una delle più belle regioni della Turchia. S e poi il programma di giornata prevede, nella formula condivisa con altri 12 nordic walkers nostrani, quindici chilometri di scarpinata in una valle ogni giorno diversa fra le tante che costellano questo lembo di antica Anatolia, il bottino di stupori è davvero ricco. Un cammino nel tempo, un riportare indietro le lancette di molti secoli, un tuffo in un mondo tanto antico quanto affascinante: questa è la Cappadocia. A cominciare dalla straordinaria geologia che l’ha disegnata: un ricamo durato milioni di anni ne fa ora un sito irripetibile tanto da essere inserito - con pieno merito - già dal 1985 nel patrimonio dell'Umanità. I famosi “camini delle fate”, i pinnacoli, le guglie ora ardite e solide - frutto dell’erosione operata da pioggia, corsi d’acqua e vento, durata milioni di anni- , oltre che farsi ammirare per l'originale architettura di forme e volumi, seducono lo sguardo per la varietà di colori che assumono a seconda dell'ora o del cielo in cui svettano. Ma se la natura ha fatto di questa regione di 9576 ettari un luogo straordinario, occorre aggiungere che le popolazioni che vi si sono insediate l’hanno colonizzata e conservata con eccezionale maestria. Si parla di insediamenti rupestri, di villaggi trogloditi, di città sotterranee che ci raccontano il passato. Ogni lembo di territorio scarpinato Emozionanti dalle mongolfiere Montagne Divertentiche si levano ogni mattina di bel tempo da Goreme (30 maggio 2010, foto Maristella Scieresini). 100 Le vedute Inverno 2010 Le Montagne Divertenti ci ha offerto scorci e scenari, colture e culture, incontri e scoperte, volti e storie di grande interesse. La preparata e paziente guida turca Gurcan, che ci ha "acchiappati" ad Ankara per poi condividerei 7 giorni di chilometri a piedi e in bus e infine mollarci di nuovo alla stazione ferroviaria della capitale, ha saputo colmare con grande professionalità ogni nostra sete di conoscere e capirepersone, luoghi e situazioni. Gurcan ha saputo saziare ogni nostra curiosità sulla storia, l'arte, il costume e la vita di oggi come di ieri, dagli oscuri e profondi meandri della città troglodita di Kaymakli fino allo spazioso orizzonte che si gode in cima alla rocca di Uçhisar. La formula, sapientemente messa a punto dai nostri istruttori Nicola e Stellina, di coniugare spettacolari camminate su sentieri e soste culturali, pit stop gastronomici e visite a eccellenze produttive ci ha consentito una efficace full immersion nella realtà turca in generale e della Cappadocia in particolare. Sostenuti da un clima favorevole, quel pizzico di stanchezza, che accumulavamo per le lunghe camminate, è stato ampiamente ripagato dall'osservazione dei luoghi, dall'interesse dei manufatti e dalla spontanea cordialità delle genti incontrate.Incontri improvvisi, rapidi, di passaggio. Incontri con culture, linguaggi, costumi, realtà diverse. Incontri con un lembo di mondo musulmano, entro il loro spazio vitale. Siamo tornati arricchiti da questa umanità, ora che, allontanati i pregiudizi, ci è meno sconosciuta e più vicina. Dalle madri che vendono centrini e bamboline di pezza ai venditori di frutta secca (viagra ottomano!), dagli scolaretti che vogliono farsi fotografare agli sveltissimi camerieri, dai rugosi volti dei vecchi contadini agli scaltri affaristi da bazar, in ognuno di loro si leggono sentimenti e sofferenze comuni a tutti i popoli del mondo. Camminare è il modo migliore per “vedere” la bellezza dei luoghi e le testimonianze storiche. L'"effetto sorpresa", inoltre, ha reso tutto ancor più piacevole; infatti ad ogni piega del sentiero si aprono vedute diverse, prospettive nuove. In punti sperduti, in forre profonde s’incontra l’ometto che vende spremute o il tè (çay), in campetti delimitati dai “camini delle fate” ci si imbatte in famigliole di contadini curiose e liete dell'incontro, attraversando i paesi incuriosisce la convivenza pacifica tra l'internet point e retaggi di vita ottocenteschi, nelle cittadine più vocate all'offerta turistica i più esercitano il commercio con una miriade di proposte d'acquisto moderatamente insistite, ma mai petulanti. La visita ad alcune aziende tipichecome tappeti, ceramiche, produzione dell'onice e turchese - ci ha mostrato accoglienza, elevata maestria produttiva, abilità e serietà commerciale. Nell’insieme si coglie una popolazione attiva, carica di bella energia, di voglia di sviluppo in un paese che cresce in fretta, con le vistose contraddizioni che non possiamo certo criticare in quanto viviamo in un paese che è espressione alta del tutto e del suo contrario. Göreme, Avanos, Aksaray, Uçhisar, Çavusin, Kavak, Bahçeli, Ayvali, Mustafapasa, Sognali, Pasabag, Zelve sono alcune delle località visitate ricche di testimonianze storiche ed artistiche ma indubbiamente le suggestioni scaturite nel percorrere la città troglodita di Kaymakli, la Valle delle Rose, il Museo all’aperto del villaggio di Zelve, il Caravanserraglio di Sarihan, la Valle Rossa, l’Ihlara Valsisi Turistik Tesisleri, la Valle Bianca, la Valle dei Piccioni ci riportano indietro Sognando Cappadocia 101 Rubriche Valtellinesi nel mondo nella storia, in spazi senza tempo. Pensate che nel villaggio troglodita di Zelve viveva una comunità di oltre 2300 anime, poi il terremoto del 1952 disseminò crolli, spacchi e sconquassi che determinarono un totale abbandono della valle per dar vita ad un nuovo paese. Ciò che è rimasto è diventato area museale all’aperto. Quando si pensa a quelle cavità scavate nel tufo calcareo hanno vissuto nostri coetanei e molti di loro possono essere testimoni di una vita da trogloditi, si è presi da una sorta di confuso smarrimento: la preistoria pare sfiorarci! Anche questo è Cappadocia! Quando il sole tramonta i camini delle fate allungano le ombre, i colori si ambrano, il crepuscolo è esaltante momento fotografico, poi giunge la sera, cala la notte. La luna piena - che fortunati siamo stati - rende Göreme ancora più lunare; il fresco stempera il caldo, dai luoghi da sogno percorsi e visitati si scivola in quelli che si annunciano per il giorno dopo. Il sonno tarda ed è bene addormentarsi dopo l’ultimo contrappello delle 23 del muezzin e dei suoi benedetti altoparlanti, o si passa dalle fantasie agli incubi! Invece la Cappadocia è un infinito sogno: tutto da scarpinare. Le nostre rotte di Nordic Walking in Cappadocia 28 maggio Partenza da Sondrio per Milano Malpensa, volo per Istambul quindi per Ankara. Visita Museo delle Civiltà Anatoliche e Cittadella poi passeggiata al Parco con lago e giochi di luce. 29 maggio Ankara Trasferimento con minibus a Göreme, sosta al lago Tuz Golü, Aksaray visita alla città troglodita di Kaymakli, Göreme. 30 maggio Göreme visita Museo allAaperto, trasferimento alla rocca di Uçhisar, visita alla rocca, trasferimento per la Valle delle Rose e ritorno a Göreme. 31 maggio Göreme Çavusin - Pasabag, camini delle fate - Zelve, Museo allaaperto del villaggio troglodita, Avanos, visita al centro di produzione dei tappeti aSentez Avanos HaliS, Caravanserraglio di Sarihan, ritorno a Çavusin, escursione nella valle Rossa. 1 giugno Ihlara valley - trasferimento a Ihlara Valsisi Turistik Tesisleri - discesa nella valle tramite scalone, visita chiese: Chiesa sotto l’albero - Chiesa del serpente - Belisirma: Chiesa del granaio, Bahattini, Chiesa del colonnato; discesa a Selime e visita al complesso monastico. Ritorno a Goreme in minibus. 2 giugno Göreme Valle Bianca - Uçhisar, visita al centro di lavorazione dell,onice e del turchese, ritorno a Göreme per la Valle dei Piccioni – Avanos, spettacolo dei Dervisci rotanti. 3 giugno Göreme Trasferimento a Kavak - Bahçeli - Ayvali - Mustafapasa Trasferimento a Sognali, visita alle chiese all’imbocco delle valli gemelle. 4 giugno Göreme mattino volo con mongolfiera - Avanos, visita fabbrica di ceramiche Güray SeramikG, Uçhisar, trasferimento ad Ankara, partenza per Istambul con treno cuccetta (notte). 5 giugno Istambul inizio visita alle principali attrattive: Moschea Blu; Küçük Aya Sofia (piccola); moschea Sokollu Mehemet, Pasa Camii, Aya Sofya, Cisterna Basilica, Gran Bazar e Bazar delle spezie, moschea Rüstem Pasa, Camii, passeggiata notturna sino al Ponte di Galata. 6 giugno Istambul mattino visita al Palazzo Topkapi, ultimo sguardo al Galata Bridge e panino con pesce, rientro in Italia e in valle. Marino Amonini Marino Amonini, 61 anni, di Piateda con ascendente valdambrino, professione nonno, nel tempo libero fotografo, coltivatore d’orto, scarpinatore di nordic walking e, quando i turni della moglie Adriana lo consentono anche, fondista. Perennemente affamato di letture, non disdegno scrivere; collaboro da oltre trentacinque anni con varie testate, da cui la fama di avere una grossa zucca, tanto che anche il mio cappello alpino è stato prodotto con lo stampo delle culderi. Ho fondato nel 1983 All’ombra del Rodes, dirigo dal 1988 Valtellina Alpina e dal 2003 Il Gazzettino dell’Unione dei Comuni Albosaggia All'imbocco della valle di Zelve, trasformata in Museo all'aperto per il villaggio troglodita abitato fino al 1952, poi abbandonato a causa dei crolli diLeunMontagne catastroficoDivertenti terremoto (31 maggio 2010). 102 Inverno 2010 Le Montagne Divertenti - Caiolo- Cedrasco – Fusine; una vera e propria scalata editoriale al regno della brina! Inguaribile curiosone, amo ravanare in archivi e robe vecchie, contrade abbandonate per leggervi i segni di storie minime nelle pietre, tra i documenti, le vecchie foto che poi restauro con ore di computer. Ho curato varie pubblicazioni sia come autore, che coordinatore applicandomi con passione in ognuna per la qualità dei testi, la cura della grafica e delle immagini. Collaboro con Le montagne divertenti fin dalla sua nascita con testi e foto, oltre che distribuendo la rivista nelle zone “all'ombra del Rodes”. Marino Amonini e nipotino (2010). Sognando Cappadocia 103 Il mondo in miniatura Speciali d'Inverno LE FARFALLE DEL FREDDO Alessandra Morgillo 104 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Le Montagne Divertenti Venessa atalanta a Carona Le farfalle (maggio 2010,del fotofreddo Paolo Rossi).105 Speciali d'Inverno insetti Il mondo in miniatura ). lo Inverno 2010 gi l or .M Le Montagne Divertenti Vanessa atalanta (30 gennaio 2009, foto Alessandra Morgillo). A to , fo 09 20 106 Quando l’insetto si posa ad ali chiuse è poco appariscente per non suscitare l’attenzione di potenziali predatori: la pagina inferiore delle ali è in forte contrasto con la vivacità della parte superiore, poiché si presenta di colore scuro e omogeneo, fortemente mimetico. Questo esemplare, tuttavia, presenta ali parzialmente logore, a prova del lungo inverno che ha appena superato. Le zampe anteriori sono tipicamente più corte e tenute all’insù accanto al capo svolgono una funzione sensoriale oppure vengono utilizzate per ripulire le antenne. no cricchiolano al sole gli infissi della finestra e Carletto solleva lo sguardo sonnecchiante dal libro di storia. È un bel pomeriggio di gennaio. Dell’ultima nevicata è rimasta solo qualche traccia sui prati brulli, ma l’aria è ancora fredda e pungente. Di questi tempi non vi è praticamente traccia di insetti e Carletto attende con ansia la primavera per ricominciare a investigare l’affascinate mondo in miniatura con l’aiuto del saggio nonno naturalista. Quante scoperte fanno durante le loro passeggiate, armati solo di lente d’ingrandimento e tanta voglia di scoprire i segreti della natura! Con lo sguardo fisso alla finestra e immerso nei suoi pensieri, il bimbo immagina ad un certo punto una farfalla scura che si avvicina leggera.. sempre più grande… sembra proprio vera! Stropicciandosi gli occhi ripete tra sé e sé ciò che gli aveva detto il nonno: in inverno non ci sono insetti, e quelli che riescono a sopravvivere lo trascorrono dormendo, nasco- sti in luoghi protetti. Riapre gli occhi: la farfalla è ancora lì, volteggia davanti al vetro e poi si posa sul davanzale. Non passa neanche un minuto e il nonno, pocanzi intento a leggere il giornale sulla poltrona della stanza accanto, si ritrova davanti a quella finestra, condotto con foga dal nipotino che farfuglia concitato: “una farfalla, una farfalla del freddo!” Inforcati gli occhiali il nonno osserva silenzioso il grande lepidottero, fermo ad ali chiuse, dal profilo scuro e dimesso, che quasi si confonde col davanzale. “È venuta a farti visita una Vanessa!” esclama finalmente, ancora ansimando per quella corsa inaspettata. g iu d g 18 o( rd ca S ssa l de ne Va cione, nera e con pois bianchi… non sono questi i colori della squadra di calcio… nonno, si chiama così perché è bergamasca?” “Oh no Carletto, Atalanta era una ninfa greca e forte guerriera; i nomi dei personaggi mitologici vengono spesso riproposti in diversi ambiti, in particolar modo nella classificazione degli insetti”. “Ma cosa ci fa in giro in pieno inverno, non ha freddo?” “Certo che sente freddo, in questo momento, infatti, sta cercando di ssa ca ti 'or ell ol Pa o t (fo “Ma nonno” ribatte impaziente Carletto “forse ti sbagli, Vanessa è una mia compagna di scuola!”. Poi si stropiccia nuovamente gli occhi. Che sia quella farfalla davvero frutto della sua immaginazione? Il nonno sorridendo: “Molte persone hanno questo nome, ma anche alcune grandi e vistose farfalle”. “È tutta scura, non mi sembra tanto vistosa” lo interrompe il bimbo, ma un attimo dopo realizza: “Ah, è la mimez… cioè, è il trucco per nascondersi, non è vero nonno?” “Esatto Carletto, hai imparato a riconoscere la mimetizzazione, cioè la strategia che molti insetti sfruttano per confondersi con l’ambiente e non farsi vedere dai predatori. Ma vediamo di quale Vanessa si tratta” asserisce il nonno mentre apre la finestra molto lentamente. La farfalla allora si muove un po’, compiendo, senza sollevarsi in volo, rapidi battiti d’ali che infine distende dopo averle rivolte al pallido al sole. Il bimbo non riesce a trattenere lo stupore: “Com’è bella! E che colori vivaci!” “Ecco, adesso non ho alcun dubbio: si chiama Vanessa atalanta, a volte detta anche Vulcano”. “Atalanta? Ma è marrone, aran- ne Va i). oss R o A differenza di quasi tutte le altre farfalle, che vivono al massimo qualche settimana, le Vanesse hanno una vita lunga, che può durare fino a undici mesi. riscaldarsi crogiolandosi al sole; si serve delle sue grandi ali scure che orienta al sole come fossero ampi pannelli in grado di assorbirne il tepore. In inverno, quindi, esse cadono in uno stato di quiescenza, una sorta di letargo degli insetti, e dormono riparate all’interno delle fessure delle rocce, in protetti anfratti sotto la corteccia nei tronchi, o nelle cavità di vecchie mura in pietra. Di tanto in tanto però, quando si presentano belle giornate e la temperatura aumenta, si destano e approfittano di qualche ora di sole per andare alla ricerca di qualcosa da mangiare”. Carletto ha solo otto anni, ma è un bimbo sveglio e sa che le farfalle si cibano di nettare, ma in inverno non ci sono tanti fiori, perciò si rivolge al nonno incuriosito: “E di cosa si nutre?”. “Per sopravvivere a questa stagione - è una delle pochissime in grado di farlo - è costretta a variare la sua dieta, spaziando dal nettare dei fiori, a sostanze organiche di vario tipo, come ad esempio la frutta marcescente o la linfa che sgorga dalle ferite degli alberi”. Il bimbo è entusiasta: “Allora è una farfalla speciale! Prendiamola, così la guardiamo meglio!”. Ma il nonno con fermezza: “È sempre meglio non toccare le Le Montagne Divertenti Vanessa atalanta non è l’unica in grado di svernare, altre farfalle appartenenti alla famiglia delle Ninfalidi possono farlo come ad esempio la bella vanessa del cardo (Vanessa cardui), uno dei lepidotteri più comuni con capacità migratorie o la vanessa dell’ortica (Aglais urticae), i cui bruchi, proprio come quelli della Vanessa atalanta, si nutrono preferibilmente delle foglie di questa pianta. farfalle, si rischia di rovinar loro le ali e comprometterne la capacità di volare”. “Sarà a causa di quella strana polverina che rimane sulle dita quando le tocchi, giusto nonno?”. “Innanzitutto sono molto delicate ed è facile danneggiarle, inoltre le nostre dita rimuovono quelle minuscole squamette che, embricate come le tegole di un tetto, ricoprono la superficie delle ali. Non si tratta di polverina magica, ma costituiscono il caratteristico mosaico di colori e soprattutto sono elementi indispensabili per ridurre la turbolenza durante il volo”. Anche se per Carletto quelle squamette continuano a emanare un po’ di magia, ha imparato la lezione e non toccherà più le farfalle. Ma la curiosità è ancora forte, perciò insiste: “Non c’è un modo per prenderla senza rischiare di farle del male?”. “Possiamo convincerla a salire spontaneamente sulla mano. Offriamole un po’ di marmellata, di questi tempi non si lascerà sfuggire una tale leccornia”. Detto fatto, Carletto appoggia il dito davanti alla Vanessa che prima assaggia con le zampette anteriori, che sono organi del gusto nelle farfalle, e poi srotola la lunga proboscide (che si chiama spiritromba) per suggere la sostanza zuccherina. Per nulla intimorita fa poi una bella passeggiata sulla mano del bimbo che stupito e divertito ne osserva da vicino ogni dettaglio. Infine spicca il volo allontanandosi con sorprendente rapidità, forse alla ricerca di un nuovo rifugio per proteggersi dal freddo e colorare nuove giornate invernali. Le farfalle del freddo 107 Rubriche fauna alpina gli inquilini dell'abete rosso Alessandra Morgillo Proprio come gli inquilini di un edificio a più piani, insetti, mammiferi e perlopiù uccelli si sistemano sui rami dell'abete rosso che meglio rispondono alle proprie esigenze, usufruendo così di tutte le risorse che l’albero, direttamente o indirettamente, offre loro. 108 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Le Montagne Divertenti Cincia bigia (inverno 2006, foto Franco Benetti) e abete rosso (7 febbraio 2010, foto Giacomo Meneghello). Vita negli specchi d'acqua montani 109 Rubriche Fauna Gli inquilini dell’abete rosso L’ Pettirosso (15 dicembre 2008, foto Franco Benetti). abete rosso (Picea abies L.), detto anche peccio (pèsc), è la più importante conifera forestale dei boschi montani delle Alpi. Costituisce foreste pure, chiamate peccete, oppure miste in consorzio con abete bianco (Abies alba Mill.) e faggio (Fagus sylvatica L.) o, a maggiore altitudine, con larice (Larix decidua Miller) e pino cembro (Pinus cembra L.); in quota può formare il limite degli alberi. Imponente e maestoso, raggiunge i 50 metri di altezza, ha un tronco colonnare rivestito da una ruvida corteccia bruno-rossastra, che ne ha suggerito il nome, e piccole foglie aghiformi di color verde cupo inserite singolarmente tutt’intorno ai rametti a formare una chioma conica e regolare. In inverno esse non abbandonano i rami, ben tollerando gelo e vento grazie alla consistenza coriacea e alla resina oleosa che le ricopre. Come suggerisce il termine conifera1 , possiede coni legnosi (le pigne) penduli, provvisti di squame strettamente embricate a protezione dei semi. Solo quando quest’ultimi sono maturi, le pigne si aprono e cadono a terra, ancora tutte intere. Queste caratteristiche conferiscono al peccio resistenza e tenacia in condizioni climatiche proibitive, ma lo rendono, tuttavia, ben poco sfruttabile come fonte di cibo per gli animali che popolano il bosco invernale. Ciò nonostante, ogni singolo albero rappresenta un complesso e diversificato sistema di nicchie ecologiche, ospitando svariate specie di animali che convivono in completa armonia. Proprio come gli inquilini di un edificio a più piani, insetti, mammiferi e perlopiù uccelli si sistemano sui rami che meglio rispondono alle proprie esigenze, usufruendo così di tutte le risorse che l’albero, direttamente o indirettamente, offre loro. All’ombra di un peccio A Nocciolaia a Pontresina (6 gennaio 2008, foto Franco Benetti). i piedi dell’albero, tra le sue robuste radici, il pettirosso (Erithacus rubecola) saltella sul terreno coperto di aghi e rametti secchi, alla ricerca di invertebrati o di qualche semino. L’aria dolce e indifesa di questo uccellino cela un’indole solitaria e territoriale, per cui non dividerà la propria area di alimentazione con inquilini della stessa specie, anzi la difenderà gelosamente mostrando, fiero, l’inconfondibile macchia arancione. iù difficile da avvistare, a causa della livrea mimetica e per le dimensioni ridotte è lo scricciolo (Troglodytes troglodytes), passeriforme lungo appena 10 centimetri e riconoscibile per la coda corta tenuta sempre ben alzata. Insettivoro dinamico e scattante è solito ispezionare il suolo boschivo, intrufolandosi anche nei posti più intricati per scovare gli insetti e i ragni di cui si nutre, accontentandosi, in caso di necessità, anche di qualche bacca. La base dell’albero offre alla nocciolaia (Nucifraga caryocatactes) un buon punto di riferimento per ritrovare le provviste, semi di pino, nocciole, ghiande e bacche, accumulate e interrate durante la bella stagione. Questo intelli- P Scoiattolo in val Roseg (16 novembre 2008, foto Roberto Moiola). 110 Le Montagne Divertenti 1 - Dal greco fero = portare. Inverno 2010 gentissimo corvide ha la capacità di ricordare centinaia di nascondigli diversi, orientandosi anche con la neve, poiché in grado di fissare nella prodigiosa memoria numerosi e validi elementi identificativi di un territorio. Quando, per vari motivi, qualche dispensa non viene visitata, in primavera i semi germinano; la nocciolaia, perciò, contribuisce indirettamente al rinnovo forestale e in particolare riveste un ruolo fondamentale nella dispersione del pino cembro, i cui semi troppo pesanti non potrebbero altrimenti allontanarsi molto dalla pianta madre. Spesso al suolo si rinvengono pigne incastrate tra le pietre o tra le ceppaie, sapientemente posizionate dalla nocciolaia per agevolare la complicata operazione di apertura. Se invece sono rosicchiate, con un solo ciuffo di squame al vertice e tutt’intorno diversi frammenti, è opera dello scoiattolo (Sciurus vulgaris) che mastica la pigna immatura quando è ancora sospesa ai rami, ne ingerisce i semi e scarta il resto. In inverno, per la scarsità di cibo, non sono rare le incursioni a livello del suolo di questo abituale abitante dei rami. Una vita in verticale I l ritmico tamburellare contro la solida corteccia è udibile anche a diverse centinaia di metri di distanza; è il richiamo del picchio, creatura alquanto bizzarra, i cui straordinari adattamenti anatomici e comportamentali ne fanno uno degli animali maggiormente specializzati nel muoversi e nutrirsi lungo il fusto degli alberi. Le sue zampe sono diverse da quelle degli altri uccelli: le dita, munite di forti artigli, sono disposte due in avanti e due all’indietro e consentono al picchio di ancorarsi in verticale, stabile sulla coda dalle penne insolitamente robuste per garantire sostegno contro il tronco. In questa posizione l’animale può scalpellare energicamente la corteccia con il becco diritto e appuntito per estrarre coleotteri xilofagi (che si nutrono del legno) che preleva afferrandoli con la lunga lingua appiccicosa e dotata di setole all’apice. Nella stagione invernale, quando gli insetti scarseggiano, il robusto becco risulta efficace per scalfire pigne, noci e ghiande fino ad aprirle, dopo averle ingegnosamente incastrate tra i rami o nella corteccia. Il suo nido è una cavità scavata nei tronchi maturi, profonda anche mezzo metro. La parte basale dei grossi fusti è solitamente frequentata dal più grande picchio europeo, il picchio nero (Dryocopus martius), i cui nidi abbandonati vengono solitamente utilizzati dalla civetta capogrosso (Aegolius funereus), piccolo rapace notturno, oppure divengono rifugio del ghiro (Glis glis) durante il suo lungo letargo invernale. Nella parte più alta del tronco o sulle sue principali diramazioni, si aggirano, spesso celati dalla chioma, l’elegante picchio rosso maggiore (Dendrocopos major) e il piccolo picchio muratore (Sitta europaea). Quest’ultimo, a dispetto del suo nome, non è un picchio vero e proprio, ma un passeriforme capace di spostarsi a piccoli balzi sia verso l’alto che a testa in giù. L’appellativo “muratore” giustifica la singolare abitudine di murare i fori d’ingresso di cavità preesistenti sul tronco, applicando un impasto di fango e saliva per adattarli, così, alla propria nidificazione. Le Montagne Divertenti Picchio nero in val Gerola (11 giugno 2008, foto Roberto Moiola). Picchio muratore a Pontresina (foto Franco Benetti). Vita negli specchi d'acqua montani 111 arte e montagna Rubriche S i accontenta, invece, solo di un intreccio di muschio e rametti, appoggiato su un lembo di corteccia sollevato, il rampichino alpestre (Certhia familiaris), tra i più specializzati inquilini del tronco: la livrea bruna screziata lo rende quasi impossibile da scorgere tra le placche legnose, mentre saltella con disinvoltura spesso girando a spirale intorno al fusto. molteplici strategie ed evoluto sofisticati adattamenti per spartirsi le risorse disponibili lungo tutta la sua altezza. Una varietà e una ricchezza di grande valore, ma custodita con modestia dal nostro albero di Natale, che l’uomo, invece, pretende di impreziosire con lo sfarzo dei suoi addobbi. icone di santi e martiri La chioma Beno e Gioia Zenoni Q uando al suolo c’è la neve non è insolito vedere appollaiato sui robusti rami bassi di un abete rosso il gallo cedrone (Tetrao urogallus). In inverno si ciba degli aghi dell’albero, è infatti tra i pochi animali in grado di digerirle, e grazie a questa risorsa può sopravvivere alla stagione rigida. l più piccolo uccello che può vivere su un peccio è il regolo (Regulus regulus). Non raggiunge il decimetro di lunghezza e si riconosce per la sottile fascia gialla contornata di nero al vertice del capo. Emette acuti zii…ziii mentre con il becco minuto ricerca freneticamente invertebrati sui rametti e tra gli aghi. e fronde, invece, sono l’ambiente preferito dalle cince. Esistono diverse specie di questi acrobatici passeriformi, ma nei boschi di conifere è facile incontrare oltre alla cincia dal ciuffo (Parus cristatus), la più elegante, adorna, come suggerisce il nome, di una cresta di penne particolarmente allungate erette sul capo, anche la cincia bigia alpestre (Parus montanus), dalle ampie guance candide e un cappuccio tutto nero sul capo, la cincia mora (Parus ater), con la tipica macchia bianca sulla nuca e la cinciallegra (Parus major), più grande delle altre e d’abito vivacemente colorato. A proprio agio sui rami esterni fittamente coperti di aghi e flessibili, le cince ispezionano minuziosamente gli interstizi tra i licheni, tra gli aghi e tra le squame delle pigne alla ricerca di piccoli artropodi. Il loro piccolo becco appuntito è abbastanza robusto per scalfire diversi semi che in inverno integrano la loro dieta. Sono molto intelligenti e sanno accumulare in siti protetti i semi in eccesso, sfruttando questa preziosa risorsa nei momenti di maggiore difficoltà. Cipriano Valorsa I L Fringuello a Pontresina (18 maggio 2009, foto Franco Benetti). In cima G ruppetti di fringillidi vagabondano di chioma in chioma spostandosi di continuo e interagendo con animato chiacchiericcio. Il fringuello alpino (Montifringilla nivalis), specie d’alta quota onnivora e versatile, adatta la propria alimentazione alle risorse disponibili, al contrario del crociere (Loxia curvirostra), specializzato, invece, nel cibarsi esclusivamente dei semi delle conifere. Questo colorato uccellino si appende a testa in giù sui coni della parte più alta della chioma e ne estrae i semi con facilità grazie al becco dall’insolita conformazione: le estremità incrociate l’una sull’altra lo rendono uno strumento perfettamente funzionale per divaricare le robuste squame legnose delle pigne. Questi e molti altri sono gli inquilini invernali di un abete rosso, ospiti selezionati che hanno perfezionato 112 Le Montagne Divertenti Gallo cedrone all'Aprica (8 maggio 2009, foto Franco Benetti). Cincia mora (2 marzo 2009, foto Alessandra Morgillo). Inverno 2010 Scriveva papa Gregorio Magno: "la pittura serve agli analfabeti come la scrittura per chi sa leggere”. Oggi questa regola si è ribaltata, spesso ci mancano gli strumenti per comprendere alcune rappresentazioni sacre che ci appaiono bizzarre, come talvolta l'iconografia dei santi. Cipriano LaMontagne lunetta raffigurante San Pietro Martire nell'oratorio dei SS. Rocco e Sebastano (28 settembre2010, foto Beno). Valorsa - parte II Le Divertenti 113 Arte e montagna V 114 Le Montagne Divertenti la fece torturare a morte, con mutilazione dei seni. Si dice che il velo caduto dal suo capo dopo la morte deviò il corso della lava dell’Etna. E' invocata contro gli incendi, le eruzioni e i terremoti. Tutt’oggi a Catania in occasione della sua festa viene portato in processione il suo velo. Protegge dalle malattie al seno, le nutrici e le madri che allattano . L'oratorio dei SS. Rocco e Sebastiano a Grosio (3 ottobre 2010, foto Beno). Cerchiamo di spiegare alcune delle figure dipinte dal Valorsa nell'oratorio dei SS. Rocco e Sebastiano: S. Agata E' raffigurata coi seni su un vassoio e la palma della vittoria in mano. Della sua vita non si conosce niente che possa essere definito storico, ma esiste prova di culto antico e vi sono molte versioni della sua leggenda a partire dal IV sec. d.c.. Giovane donna siciliana benestante, aveva consacrato la propria verginità a Cristo. Fu oggetto delle mire del console Quinziano che, appellandosi a un editto imperiale contro i cristiani, la fece rinchiu- dere in un bordello e tentò mille espedienti per farla rinunciare al suo proposito. Falliti i malefici intenti, Inverno 2010 S. Lucia - oratorio dei SS. Rocco e Sebastiano. S. Lucia Martire nel 304, viene rappresentata con gli occhi su un vassoio e nell'altra mano il coltello con cui se li è cavati. Nata a Siracusa da nobile e ricca famiglia cristiana, dedicò la sua vita a Dio e donò ricchezze ai poveri. Come Sant’Agata, fu rapita da un soldato romano e, poiché oppose resistenza, fu denunciata, torturata e uccisa. E' tra le prime vergini martiri celebrate dalla chiesa. Quella degli occhi è solo leggenda: si sarebbe strappata gli occhi piuttosto che cedere all'assalitore. Secondo la tradizione, va invocata per curare le malattie degli occhi. S. Agata - oratorio dei SS. Rocco e Sebastiano . isto che la maggior parte degli affreschi del Valorsa in alta Valtellina non sono visionabili perchè le chiese sono tutte chiuse, concludiamo il nostro viaggio sulle orme del Valorsa a Grosio dove, sul lato sinistro della chiesa di San Giorgio si trova ed è visitabile, sul fondo di un prato recintato che anticamente era il cimitero, l'oratorio dei SS. Rocco e Sebastiano. Valorsa ne affrescò le pareti esterne, l'intradosso delle tre arcate e le vele della volta. L'oratorio è una cappella datata 1480 che, dopo la peste del 1630, venne trasformato in ossario. Sulla fronte principale si distinguono, seppur rovinate, le figure di S.Rocco a sinistra e di S. Sebastiano a destra. Fu dipinto dal Valorsa presumibilmente nel 1565 e offre una vasta campionaria di scene dall'iconografia cruenta, come spesso venivano commissionate ai pittori del '500. Scriveva papa Gregorio Magno nell’VIII sec. d.C.: “la pittura serve agli analfabeti come la scrittura per chi sa leggere”. Oggi questa regola si è ribaltata, spesso ci mancano gli strumenti per comprendere le rappresentazioni che spesso ci appaiono bizzarre. Un esempio è l'iconografia dei santi e dei martiri, cioè il modo in cui venivano rappresentati, che ha costituito la base della catechesi dei nostri avi e per secoli ha racchiuso, attraverso un patrimonio d’immagini d’impatto immediato, la controparte visiva della tradizione orale che ha conservato e rielaborato la storia e le leggende relative alla vita dei protettori delle comunità cristiane. Simboli, feste e riti ad essi legati hanno un’origine antichissima, talvolta perfino derivata dalla spiritualità pagana di cui la religione cristiana raccoglie in eredità, adattandole, certe espressioni popolari del culto. Gli attributi con cui i santi sono rappresentati richiamano alla mente le modalità del martirio, i miracoli o peculiari episodi che ne marcano l’identità: spesso si tratta di oggetti che ancora oggi, seppur sia andato perso il valore didattico delle raffigurazioni, solleticano l' immaginazione e ci colpiscono per la cruenza. S. Caterina d’Alessandria Era una giovane molto bella e devota, voluta in sposa dall’imperatore Massenzio (IV sec.), che provò a convincerla facendola confrontare con 50 filosofi e oratori. Di fronte ad essi Caterina parlò così bene da convertirli al cristianesimo. L'imperatore, inferocito, fece bruciare i filosofi sul rogo e, vedendosi ancora respinto dalla giovane, la condannò alla prigione senza cibo. Fu però nutrita da una colomba mandata da Le Montagne Divertenti Dio, al che l'imperatore, inferocito, decise di giustiziarla col supplizio della ruota dentata. Ma anche la ruota si ruppe salvandola. Fu perciò decapitata e si narra che dalla sua testa sgorgasse latte. E' protettrice di oratori, filosofi, notai e balie. S. Caterina - oratorio dei SS. Rocco e Sebastiano. S. Pietro Martire E' rappresentato (vedi copertina di questo articolo) come membro del’ordine dei domenicani, con tonaca bianca, mantello nero, una mannaia conficcata in testa e palma della vittoria. Nato a Verona a fine XII sec., entrò nell’ordine dei predicatori affascinato da San Domenico. Nominato priore, fece prediche e svolse attività taumaturgiche. Nominato inquisitore da papa Gregorio IX per combattere l’eresia catara, fu ucciso nel 1252 dagli stessi catari in un agguato sulla strada da Como a Milano. Secondo tradizione col suo sangue scrisse "credo in deum". Viene invocato contro il mal di testa quando la mannaia da sola non basta a farlo passare. S. sebastiano E' raffigurato trafitto da frecce, simbolo del suo martirio. Secondo la leggenda il santo visse sotto l'impero di Diocleziano. Era alto ufficiale dell'esercito imperiale, ma quando Diocleziano, che nutriva profondo odio verso i cristiani, scoprì che Sebastiano era cristiano lo condannò a morte trafitto da frecce. Dopo questo martirio, creduto erroneamente morto, fu abbandonato dai carnefici. Soccorso e amorevolmente curato riuscì a guarire, ma tornò da Diocleziano per rimproverarlo e questi lo fece flagellare a morte e ne gettò il corpo nella Cloaca Maxima. Assieme a S. Rocco è protettore contro le epidemie, ed è per questa ragione che l'oratorio fu loro dedicato dopo la tremenda epidemia di peste del 1630. S. Stefano E' raffigurato con dei sassi in testa e la palma della vittoria in mano. E' il primo martire cristiano e la sua festività viene perciò festeggiata il giorno successivo alla natività di Cristo. La sua vita e la sua morte sono documentate negli Atti degli Apostoli, il libro canonico redatto dall'evangelista Luca. Stefano fu il primo diacono, scelto per le opere di carità come l'assistenza alle vedove e agli orfani. Fu lapidato nel periodo di persecuzione religiosa e di vuoto amministrativo seguito alla deposizione di Ponzio Pilato. S. francesco E' raffigurato mentre riceve le stigmate dal crocifisso che sembra emanare raggi laser. S. Francesco- oratorio dei SS. Rocco e Sebastiano. Rubriche Cipriano Valorsa - autoritratto - particolare della deposizione della chiesa di San Giorgio a Grosio (3 ottobre 2010, foto Beno). Cipriano Valorsa - parte II 115 Rubriche FOTOGRAFIA INVERNALE IN MOVIMENTO Testi e foto Roberto Moiola 116 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Freeride in Valgerola Le Montagne Divertenti (28 febbraio 2010, foto Roberto Moiola). L'arte della fotografia 117 Rubriche Giochi di neve sul monte Rolla (27 gennaio 2008, foto Roberto Moiola). Ciaspolatori in Valfurvaverso le baite dell'Ables (2 dicembre 2009, foto Roberto Moiola). O rmai le lunghe e assolate giornate estive sono solo un ricordo, i colori brillanti delle fioriture e dei bei laghetti alpini sono solo un sogno e un arrivederci all'anno prossimo. L'inverno, col suo freddo pungente e il clima nebbioso, può invogliarci a riporre nel cassetto l'attrezzatura fotografica, troppo ingombrante quando andiamo a sciare sulle piste, troppo pesante da aggiungere allo zaino, già colmo di vestiti, quando ci avviamo per una faticosa ciaspolata in neve fresca. Eppure, se vinciamo questi ostacoli, scopriamo che d'inverno fotografare è più facile che nelle altre stagioni. Prima di tutto consideriamo a nostro favore l'abbondante luminosità riverberata dalla neve, un fattore molto importante quando pensiamo ad uno dei classici 118 Le Montagne Divertenti errori dei fotografi dilettanti: la foto mossa. Più luce significa infatti un tempo di scatto più breve: uno scatto rapido è sinonimo di foto stabile. Grazie all'abbondanza di luce non siamo obbligati nemmeno ad intervenire crescendo il fattore ISO, che pare venirci in aiuto nelle situazioni più buie ma che in realtà ha come risvolto della medaglia maggior rumore e minor qualità. Pensiamo poi alla tipologia della luce. La luce radente, tipica delle prime ore del mattino o del tramonto, ci permette di mostrare le trame migliori e più brillanti che si formano tra le curve della neve, ogni volta ci stupiamo della semplice bellezza che può assumere il magico manto nevoso. Anche per la fotografia notturna l'inverno è il momento migliore: di notte la neve si illumina in presenza della luna, restituendo immagini di grande fascino, anche grazie alla presenza incantata delle stelle nel cielo. N elle fotografie di paesaggi invernali è sempre buona norma includere soggetti umani, meglio se abbigliati con colori sgargianti quali il rosso o l'arancione. E' essenziale posizionare correttamente il soggetto nel panorama, anche a parecchia distanza da noi se necessario. Facciamo attenzione al senso con il quale si muovono i nostri amici ciaspolatori; meglio dare respiro al loro movimento, posizionandoli ad esempio a sinistra e lasciando libero il centro del fotogramma per rendere intuibile la direzione del loro spostamento. Ricordiamoci che una fotografia deve raccontare un momento, solo così si potrà rivivere Inverno 2010 al meglio un ricordo e si potranno emozionare i futuri osservatori. Per quanto riguarda l'aspetto tecnico, verifichiamo di avere un tempo di scatto di almeno 1/200s e una apertura che non scenda troppo sotto al di sotto del valore f/10. La messa a fuoco ovviamente andrà fatta sui soggetti. Se vogliamo invece una foto ricordo dei partecipanti, l'inquadratura dovrà essere più stretta e si dovrà porre particolare attenzione alle ombre sui visi. La luce migliore per i ritratti la si ha in giornate velate o nuvolose, purtroppo troppo fredde durante la stagione invernale e dunque poco invitanti per fare un'escursione sulla neve. Nelle giornate di sole, più calde ma più ostiche per i ritratti, occorre evitare di porre il soggetto con il viso rivolto al sole. Può stupire, ma è meglio tenere i soggetti con il viso in ombra, per poi andare ad illuminarmi con l'aiuto del flash al fine di Le Montagne Divertenti Ciaspolatori in val Febbraro (14 marzo 2010, foto Roberto Moiola). raggiungere un miglior equilibrio tra luminosità e contrasto. Il "riempimento flash" sarà migliore se ci affidiamo ad un lampo regolabile e direzionabile. E' così per qualsiasi flash esterno che viene montato sulla slitta del pentaprisma della foto- camera dove sono posti i contatti. Andrebbe anche valutata la direzione del flash, la classica luce sparata frontalmente non sempre aggiunge dettagli ai lineamenti del viso, anzi talvolta si avrà l'effetto contrario e controproducente di locali sovraesposizioni. L'arte della fotografia 119 Rubriche Freeride in Valgerola (28 febbraio 2010, foto Roberto Moiola). V ediamo invece qualche dritta per chi si muove in rapidità tra le piste da sci. Senz'altro è necessario avere qualche nozione circa la foto in movimento e la giusta valutazione della messa a fuoco: il mosso e lo sfocato sono sempre in agguato! Un'innata capacità di cogliere l'attimo è senza dubbio importante, ma una buona impostazione iniziale della fotocamera può aiutare molto. Partiamo stabilendo un ISO pari a 400; evitiamo poi le impostazioni completamente automatiche e disponiamoci in modalità semiautomatica con priorità di tempo. Chiunque sia il nostro soggetto sicuramente sulla neve non avrà la velocità da bradipo di un ciaspolatore in mezzo metro 120 Le Montagne Divertenti di neve fresca: ci occorre quindi un tempo di scatto molto breve, al più di 1/1000s, o anche meno se le condizioni di luce lo consentono. In presenza di buona luminosità, possiamo valutare che la macchina si assesterà su un valore medio di f/10. Meglio comunque non stare troppo tempo a pensare: la cosa migliore è realizzare una prima serie di scatti di prova, per poi valutarne la nitidezza, facendo uso dello zoom all'interno del display di visualizzazione delle foto. Se con questo tempo di scatto abbiamo ottenuto foto mosse, possiamo ridurre il tempo di scatto in due modi: aumentando ulteriormente il parametro ISO, oppure agendo direttamente sul tempo di scatto, questo se la nostra apertura non è già al livello massimo (tra f/2,8 e f/5,6 a seconda dell'obbiettivo). Risolto il rilevante problema del mosso, vediamo ora come comportarci contro eventuali sfocature. Evitiamo di impostare manualmente il fuoco sul bottone apposito presente sull'obbiettivo, e concentriamoci sulle varie opzioni in macchina. Prima differenza è tra fuoco singolo e fuoco continuo. Sappiamo bene che la messa a fuoco si ha quando si preme a metà il pulsante di scatto. Questa però non continuerà "a seguire il soggetto", che è evidentemente in movimento, verso o oltre di noi, se siamo sull'opzione di messa a fuoco singola (SINGLE SHOT). Inverno 2010 Quindi meglio impostare la fotocamera con messa a fuoco continua (AI SHOT o AI SERVO). Il punto di messa a fuoco è altresì di cruciale importanza. Tutte le fotocamere di moderna concezione ci permettono di impostare l'area di messa a fuoco, solitamente scelta tra 9 o addirittura 16 diversi punti del fotogramma. Ovviamente un punto di messa a fuoco fisso è adatto se siamo pronti a fotografare un soggetto che passa per forza in un punto ad una certa distanza da noi, come ad esempio ad uno sciatore che durante uno slalom è, per così dire, obbligato a passare da un certo paletto. Per noi sarà semplice perché dobbiamo solo scattare nel momento esatto, con il Le Montagne Divertenti Snowboard freeride in Valgerola (28 febbraio 2010, foto Roberto Moiola). fuoco ovviamente già in posizione. In questo caso meglio impostare lo scatto multiplo: in una raffica di foto realizzeremo senz'altro il fotogramma perfetto! Se il nostro soggetto è invece imprevedibile nel suo movimento è preferibile utilizzare la modalità di messa a fuoco con punto automatico: sarà cioè la nostra macchina a rincorrere e cercare di congelare il soggetto con una messa a fuoco opportuna. Una situazione sicuramente più difficile, che ci vedrà sbagliare un numero elevato di volte. Ma non perdiamoci d'animo perché è essenziale provare e riprovare per poter acquisire la giusta domestichezza e tecnica. Da questo punto di vista, un contributo di fondamentale importanza ci è dato dall'avvento del digitale, che ci rende più agevole ed economico imparare dai nostri stessi errori. Buone foto a tutti! L'arte della fotografia 121 le foto dei lettori Rubriche Motta di Olano (m.1700) in Valgerola dopo una copiosa nevicata (10 gennaio 2010, foto Luca Picillo). Attrezzatura utilizzata: NIKON D90. Parametri foto: 1/500s f/11 ISO 200 25mm di focale. VALMALENCO Alessandro con il nonno “Pagnota” e il cavallo Luna all’Alpe Zana (18 luglio 2010, foto Pando). D ue sezioni dedicate ai nostri lettori: una che premia il fotografo più bravo, l’altra che mostra la fantasia di chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo (la foto deve avere anche un soggetto umano, la rivista e uno scorcio del luogo!). Le foto giunte a [email protected] sono state tantissime, per cui, nonostante sia stata ampliata la sezione, qualcuno vedrà la propria pubblicata solo sul prossimo numero. BERNINA Corrado e Ornella Tavelli in vetta al Bernina (agosto 2010). P er ogni numero de “Le Montagne Divertenti” sceglieremo e premieremo la foto migliore fra quelle ambientate sulle nostre montagne (inviare il materiale a [email protected]) e la pubblicheremo con una recensione dettagliata e la scheda di presentazione del fotografo. Se questa sarà a taglio verticale e con soggetto primaverile potrà essere scelta con l'ultima di copertina del prossimo numero! Lo scatto migliore fra quelli giunti negli ultimi 3 mesi è quello di: i chiamo Luca Picillo, sono un medico veterinario. Ho 32 anni, vivo a Milano, ma frequento la montagna, posso dirlo, fin dalla nascita. Sono un grande frequentatore della Valtellina e ancor più specificamente della mia amata Valgerola. Proprio su queste montagne ho recentemente scoperto la passione per la fotografia, paesaggistica e naturalistica in particolare. Compatibilmente con il mio tempo libero cerco comunque di spaziare su tutte le Alpi, in ogni stagione dell'anno, per godermi gli straordinari scenari che offrono e migliorare le mie qualità di fotografo dilettante. 122 Le Montagne Divertenti L a foto di Luca è uno scatto molto suggestivo che ci racconta una delle magie dell'inverno: il panorama dopo una fitta nevicata. Ci troviamo chiaramente in una situazione tra le migliori per realizzare fotografie al paesaggio innevato. Il maltempo sta lasciando lo spazio a giornate assolate, le ultime nubi in cielo si spezzano lasciandoci scorgere le tanto amate tonalità di blu. Grazie a questa situazione la luce non è troppo forte, l'esposizione è omogenea e senza ombre (talvolta i forti contrasti tra sole ed ombra distolgono l'attenzione dai veri elementi di interesse presenti nel quadro). Questa velatura ci permette altresì di rendere al meglio le tonalità chiare presenti nel paesaggio: si leggono molto bene sia le sfumature all'interno delle nuvole che i dettagli nella neve in primo piano. Le aree sovraesposte sono uno dei classici errori quando scattiamo immagini in situazioni come questa. E' azzeccato anche il taglio degli alberi in primo piano. Una lettura da sinistra a destra che pare invitare l'osservatore a scrutare verso il fondovalle e le vette delle Alpi Retiche. Inverno 2010 NORVEGIA Manuel e Maria Anna Nonini ai piedi del ghiacciaio Svartisen (19 agosto 2010). Le Montagne Divertenti TIBET M recensione di sysa Tenda nomade al Campo Base dell'Everest (15 agosto 2010, foto Claudia Schenatti). il fotografo Le foto dei lettori 123 le foto dei lettori Rubriche Rubriche IRLANDA DEL NORD Filippo Chistolini, Stefano Alberti e Martino Fumagalli al "Giant's Causeway" (4 agosto 2010). OROBIE VALTELLINESI Il gruppo ViviOrobie a Tartano (4 luglio 2010). SCOZIA Andrea Toffaletti e Giuditta Lojacono (10 agosto 2010). VALMALENCO Bimbi sul Tremogge (22 agosto 2010). EUROPEAN TOUR 124 Le Montagne Divertenti Andrea Mazzoni e Katia Bertolini all'isola d'Elba (31 luglio 2010). 13 CIME Carlo,Dorico,Mirko e Giorgio sul Tresero dopo aver fatto il giro delle 13 Cime (foto Luciano Bruseghini). ISOLA D'ELBA CRETA Sara, papà Stefano Molatore e mamma Sonia Vallan, sul mare di Malia (luglio 2010). Ciclisti valtellinesi lungo i 700km da Berlino a Copenaghen (luglio 2010). ISLANDA Sergio Cadregari e Patrizia Oregioni al parco Landmannalaugar. Inverno 2010 Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori 125 le foto dei lettori Rubriche Rubriche ALTA VALTELLINA OROBIE Gruppo del CAI Valmalenco sul Gran Zebrù (11 luglio 2010, foto Luciano Bruseghini). Roberto Guerra sul pizzo del Diavolo della Malgina (11 settembre 2010). UMBRIA Adriano Marini in volo col parapendio sopra il lago Trasimeno (25 agosto 2010). ZIMBABWE Laura e Michele alle cascate Vittoria (27 agosto 2010). AUSTRALIA Gianmarco Vola e Marco Maffezzini, Ponte Top Tree Walk, Valle dei Giganti, Walpole. CANTON TICINO Il GRUPPO CANYONING RANCIGA di Morbegno & Dintorni prima di iniziare la discesa della forra del Cresciano superiore in Canton Ticino (22 agosto 2010). 126 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori 127 14 n. de Ma ch'el? so lu zi on i vinti Giochi l Rubriche Vincitori e ma ch'el? ma che scimma i-è? L’utensile misterioso, fotografato da Antonio Stefanini, è il capilì della rocca (o conocchia). Serviva per tenere fermo il lino da filare sulla rocca nella fase della filatura. Viceversa, la lana cardata era più docile del lino e necessitava meno di un tale fermo. Purtroppo nessuno è stato in grado di dare la risposta esatta... La foto di Beno, scattata il 18 luglio 2010 dalla cima di Rosso (m 3366) utilizzando un teleobiettivo da 250mm, ritrae in primo piano la cima del Ferro Centrale, chiamata anche cima della Bondasca, e in secondo piano il lontanissimo monte Rosa, in cui si distingue la punta Gnifetti (m 4554) dove si trova (ovviamente non visibile!) la capanna Margherita, il rifugio più alto d'Europa. Sei pratico di cose strane? Eccoti un oggetto misterioso. Dimmi di che cosa si tratta e come veniva utilizzato. I 2 più veloci dalle ore 20:00 del 25 dicembre 2010 vinceranno l’esclusiva maglietta de “Le Montagne Divertenti / Waltellina”, il 3° classificato ricevera' una fascetta de "Le Montagne Divertenti", il 4° e il 5° un libro a I vincitori sono stati: 1) Sara Mossini di Mossini 2) Elena Lungoma di San Remo 3) Sergio Proh 4) Lucia e Andrea Fiorelli di San Martino Valmasino 5) Alessandro Gusmeroli di Talamona sua scelta tra quelli disponibili su www.lemontagnedivertenti.com/libri Manda le tue risposte a: [email protected] oggetto della mail: “ma ch'el?” Hanno inoltre indovinato la soluzione: Oreste Ciapessoni,e Valentino Grossi. Ma che scimma i-è? Se sei un attento osservatore, indovina quali sono le 3 cime indicate col pallino e il lago ritratto in questa immagine. Il più veloce dalle ore 20:00 del 25 dicembre 2010 vincerà la foto stampata su tela 30x76cm (con pregevole cornice di legno artigianale). Il 2° e il 3° classificato avranno la fascetta de “Le Montagne Divertenti”, il 4° e il 5° un libro tra quelli disponibili su www. lemontagnedivertenti.com/libri Manda le tue risposte a [email protected] oggetto della mail: “Ma che scimma i-è?”. . . . ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO O ALL'INDIRIZZO SBAGLIATO VERRANNO RITENUTE NULLE 128 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 Le Montagne Divertenti Giochi 129 Rubriche lE RICETTE DELLA NONNA Con le castagne ricette col botto ... Laura Terraneo V ZUPPA DI CASTAGNE Ingredienti (per 3 persone): - 500 gr. di castagne; - ½ litro di brodo vegetale; - sale; - 1 bicchierino di marsala; - 40 gr di burro; - 2 mele. zucchero (peso pari alla metà scarsa della polpa ottenuta), una bustina di vanillina e latte freddo (coprire a filo e poi regolarsi secondo la consistenza). Mescolare e cuocere fino a fare asciugare la purea, ma non del tutto. Aggiungere un bicchierino di rum o di cognac. Frullare di nuovo, se necessario, la purea con il mixer. Mettere le coppette in frigo. Lessare le castagne in pentola a pressione per 40 minuti, pelarle togliendo anche la pellicina e unire al brodo vegetale, sale e a 1 bicchierino di marsala. Portare il tutto a ebollizione e frullare. Rimettere sul fuoco per altri 15 minuti. Si fanno intanto soffriggere in 40 g di burro 2 mele sbucciate e tagliate a fettine e si uniscono al passato di castagne. Si serve su crostini di pane tostati o fritti nel burro. BUDINO DI CASTAGNE Dosi per 4 persone. Lessare 1 kg di castagne in pentola a pressione per 40 minuti, pelarle togliendo anche la pellicina e schiacciarle bene con una forchetta. Mettere la polpa così ottenuta in una casseruola unendo lo 130 Le Montagne Divertenti Inverno 2010 “La montagna può davvero cambiare il destino delle persone ampliando gli orizzonti dell'anima e abbattendo quelle barriere della mente che per motivi genetici e sociali ci portiamo dentro”. 132 Le Montagne Divertenti Andrea Panighetti Inverno 2010 Le Montagne Divertenti Ricette 133