n. 15 - Inverno 2010 - Le Montagne Divertenti

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n. 15 - Inverno 2010 - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
T rimestrale
di
A lpinismo
e
C ultura A lpina
n°15 - Inverno 2010 - EURO 5
Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio
Clima
La salute dei ghiacciai
lombardi
Free ride
Il nuovo modo di vivere
la neve fresca
Avventure
e
v
r
i
D tenti
Nuove linee su ghiaccio
e neve in Valmasino
Scialpinismo
L'anello del Telenek
all'Aprica e la valle
del Giumellino in
Valmalenco
Alta Valle
Val di Rezzalo e monte
Poltron
Valchiavenna
Giro dei monti a
Samolaco
Grosio
La piccola Maginot
Valtellinesi nel
mondo
Sognando Cappadocia
Natura
Le farfalle del freddo e
gli inquilini dell'abete
Cipriano Valorsa
Le icone dei martiri
Passo dopo
passo
Prà du Ghegèla, sopra
Mello e Traona
Inoltre
Ricette, poesie, giochi,
leggende...
Ambria
spitiro delle Orobie
valchiavenna
- bassa valtellina - Valmasino - alpi retiche e orobie - valmalenco - alta valtellina
1
Le Montagne Divertenti Editoriale
Beno
Dopo 3 anni e 15 numeri, chi avrebbe mai pensato di vendere così tante copie,
di avere un tale numero di lettori affezionati e di collaboratori validissimi?
Le Montagne Divertenti vuole comunque ancora crescere e aumentare la qualità della sua offerta.
Per poter fare questo abbiamo dovuto, se pure a malincuore, adeguare il prezzo della rivista ai nuovi costi.
Più pagine, più articoli, più materiale inedito, più ricerca.
Il tutto con tante foto, sempre più belle e interessanti.
E' la nostra scommessa e il nostro impegno verso le montagne e la loro genti.
In copertina: Ambria, tuffo nel passato (26 ottobre 2010, foto Beno).
Escursionisti in Valfurva, sullo sfondo il pizzo Tresero (2 dicembre 2009, foto Roberto Moiola).
Ultima di copertina: La notte di Santo Stefano agli Andossi in Valchiavenna (26 dicembre 2009, foto Roberto Moiola).
2
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Le Montagne Divertenti 3
Legenda
Spiegazione delle schede tecniche
Ottimo anche per anziani non autosufficienti
o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale
per la camporella, anche per le coppiette
meno esperte.
Una breve e divertente spiegazione dei gradi di difficoltà (in “scala Beno”) che vengono assegnati
agli itinerari nelle schede sintetiche, così che possiate scegliere quelli a voi più congeniali. I gradi si
riferiscono al periodo in cui è stato compiuto l’itinerario, sono quindi influenzati dalle condizioni
del tracciato. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa
rivista e dalle nostre stesse capacità. In DETTAGLI, invece, viene espressa la difficoltà in caso di
condizioni ideali del tracciato secondo la scala alpinistica convenzionale.
Le schede sintetiche sono anche corredate da indicatori grafici che vi permetteranno, a colpo
d’occhio, di valutare l’itinerario a voi più consono.
Bellezza
pericolosità
Quasi meglio il centro commerciale
Carino
Ne vale veramente la pena
Assolutamente sicuro
Basta stare un po’ attenti
Assolutamente fantastico
Fatica
Richiesta discreta tecnica alpinistica
Pericoloso (si consiglia una guida)
ore di percorrenza
Si comincia a dover stare
attenti alle storte,
alle cavallette carnivore
e nello zaino è meglio mettere
qualche provvista
e qualche vestito.
dislivello in salita
Una passeggiata!
meno di 5 ore
meno di 800 metri
Nulla di preoccupante
dalle 5 alle 10 ore
dagli 800 ai 1500 metri
Impegnativo
dalle 10 alle 15 ore
dai 1500 ai 2500 metri
Un massacro
oltre le 15 ore
oltre i 2500 metri
Le scarpe da ginnastica
cominciano ad essere
sconsigliate (sono d’obbligo
abito da sera e mocassini).
E’ meglio stare attenti
a dove si mettono i piedi.
Vertigini vietate!
su RADIO TSN
FM 101.100/97.700
ogni martedì con Beno & special guests
ore 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45
WWW.RADIOTSN.IT
Montagna divertente,
itinerario molto lungo
e ricco di insidie di varia
specie. Sconsigliato a tutti gli
appassionati di montagna non
esperti e non dopati.
Itinerario abbastanza
lungo, ma senza
particolari difficoltà
alpinistiche.
E’ richiesta una buona
conoscenza dell’ambiente
alpino, discreta capacità
di arrampicare
e muoversi su ghiacciaio
o terreni friabili come
la pasta sfoglia.
E’ consigliabile una guida.
E’ una valida alternativa
al suicidio. Solo per
persone con un’ottima
preparazione fisicoatletica e buona
esperienza alpinistica.
Servono sprezzo del
pericolo e, soprattutto,
barbe lunghe e incolte.
Editore
Beno
Direttore Responsabile
Maurizio Torri
Redazione
Alessandra Morgillo
Enrico Benedetti (Beno)
Roberto Moiola
Responsabile della fotografia
Roberto Moiola
Realizzazione grafica
Beno, Gloria Gianatti e Giorgio Orsucci
Revisore di bozze
Mario Pagni
Responsabile della cartografia
Matteo Gianatti
Hanno collaborato a questo numero:
Andrea Sem, Andrea Toffaletti, Antonio Boscacci, Dario Cossi,
Fabio Pusterla, Eliana e Nemo Canetta, Fabrizio Picceni,
Franco Benetti, Giacomo Meneghello, Giancarlo Sem, Gioia
Zenoni,Giordano Gusmeroli, Giorgio Orsucci, Jacopo Merizzi,
Kim Sommerschield, Laura Terraneo, Luciano Bruseghini, Luigi
Zani, Luisa Angelici, Marcello Di Clemente, Marino Amonini,
Mario Sertori, Matteo Gianatti, Nicola Giana, Pascal van
Duin, Paolo Rossi, Renzo Benedetti, Riccardo Scotti, Roberto
Ganassa, Sergio Scuffi, Silvio Gaggi, Vittorio Vaninetti.
ARIO
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna
Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369
Speciali
Itinerari
d’alpinismo
Itinerari
d’escursionismo
Rubriche
10
56
78
98
28
Ambria spirito delle Orobie
La salute dei ghiacciai
lombardi
64
Orobie
L'anello del Telenek
Bassa Valle
Pra' du Ghegéla
104
Alta Valle
Monte dei Poltron
Valtellinesi nel mondo
Sognando Cappadocia
Mondo in miniautura
Le farfalle del freddo
Si ringraziano inoltre
Via Panoramica 549/A – 23020 Montagna (SO)
Abbonamenti per l’Italia
annuale (4 numeri della rivista):
costo € 22 euro da versarsi sul
c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio Sede di Sondrio
IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50
intestato a:
Beno di Benedetti Enrico
Via Panoramica 549/A
23020 Montagna (SO)
NELLA CAUSALE specificare: nome, cognome,
indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti”
comunicare il versamento con email a:
[email protected]
oppure telefonicamente
(0342 380151 - basta lasciare i dati in segreteria)
34
Freeride:
cos'è, itinerari, un quiz di valanghe
70
Alta Valle
Val di Rezzalo
84
Alta Valle
La piccola Maginot di Grosio
108
Fauna
Gli inquilini dell'abete rosso
113
Arte e montagna
Cipriano Valorsa
117
L’arte della fotografia
Fotografia invernale in
movimento
M
Redazione
M
Ezio Gianatti, Franco Triangeli, Pinuccia Taloni, Impresa
Crapella, Diego Lanzini, Mario Maffezzini, Matteo Tarabini,
Fabrizia Vido, Johnny Mitraglia, Eva Fattarelli, Enrico
Minotti, Roberto Lisignoli, la Tipografia Bonazzi e tutti gli
edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e tutti gli
sponsor che credono in noi e in questo progetto.
Arretrati
[email protected] - € 6,00
PDF scaricabili dal sito della rivista
42
Prossimo numero
21 marzo 2010
Avventure nel Masino:
con gli sci dal Cavalcorto
71
Valmalenco
La valle del Giumellino
[email protected]
tel. 0342 380151
Stampa
Bonazzi Grafica
Via Francia, 1
23100 Sondrio
O
Pubblicità e distribuzione
Per ricevere la nostra newsletter fate richiesta a:
[email protected]
Contatti, informazioni e merchandising
S
[email protected]
www.lemontagnedivertenti.com
50
Avventure nel Masino:
Mastro d'ascia
Inverno 2010
75
Valmalenco
Le cave della valle del Giumellino
Le Montagne Divertenti 91
Valchiavenna
Giro dei monti a Samolaco
122
Le foto dei lettori
129
Giochi
130
Ricette della nonna
La zuppa di castagne
Localizzazione
Zillis
Wergenstein
Bergün
Parsonz
(L. Zani/ M. Amonini/ A.Boscacci)
2115
42 Valmasino
50 Valmasino
56 Orobie
Campodolcino
(Beno)
Monte Poltron
S. Cassiano
Somaggia
Novate
Mezzola
Dongo
Còlico
Lago
di Como
S. Martino
Cevo
Bùglio
Caspano Ardenno
Dubino Mantello Mello
Traona
Dazio
Sirta
MORBEGNO
Postalesio
Berbenno
Castione
Albaredo
Colorina
Caiolo
Tartano
Tremenico
Premana
Geròla
Bellàno
Taceno
Pescegallo
Pizzo dei Tre Signori
2554
Introbio
Lierna
Ornica
Pasturo
Barzio
Monte Cadelle
2483
Passo San Marco
1985
Carona
Cùsio
Piazzatorre
Cassiglio
3136
10
Pizzo Campaggio
2502
Olmo
al Brembo
Inverno 2010
Pizzo del Diavolo
di Tenda
2829
Roncorbello
TIRANO
Bianzone
Tresenda
Adda
Arigna
Carona
Aprica
Pizzo Coca
3050
Corteno
Gromo
Monte Torena
2911
Monte Sellero
2743
Le Montagne Divertenti Pizzo Camino
2492
Monte Fumo
3409
Berzo
Saviore
Valle
Paisco
Concarena
2549
Passo del Tonale
1883
Adamello
3554
Garda
Loveno
Villa
Pezzo
Ponte
di Legno
Edolo
Sonico
Palone del Torsolazzo
2670
Vilminore
Colere
Cortenedolo
Vione
Corno dei Tre Signori
3359
Monte Tonale
2694
Incudine
Monno
Malonno
Monte Gleno
2883
Valbondione
Passo del Vivione
1828
Gandellino
Vezza
d'Oglio
Passo dell'Aprica
56
Pizzo Redorta
3039
Mazzo
Adda
Ponte in Valt.
Teglio
Chiuro
Pizzo Rodes
2829
Punta di Pietra Rossa
3212
84
Tovo
Lovero
Sernio
Punta S. Matteo
3678
del Gavia
64Passo2621
Fumero
Sondalo
Monte Masuccio
2816
Schilpario
Branzi
Le Prese
Grosotto
Brusio
Boirolo
Albosaggia
Foppolo
Mezzoldo
Valtorta
Sondrio
Le Prese
S. Caterina
Grosio
Vetta di Ron
Tresivio
Talamona
Bema
3323
Caspoggio
Chiesa
in Valmalenco
Torre
di S. Maria
3114
78
Delébio Rògolo
Còsio
Regolédo
Corni Bruciati
71
Pizzo Scalino
Monte Cevedale
3769
Monte Confinale
3370
frana
di Val Pola
Malghera
Poschiavo
Lanzada
T. V
enin
a
Dervio
(Sergio Scuffi)
Le Montagne Divertenti 2845
Verceia
Bellagio
8
Julia
Cima del Desenigo
Monte Legnone
2610
(Eliana e Nemo Canetta)
Escursione a Samolaco
Pizzo Ligoncio
3678
Primolo
T. Livrio
La piccola Maginot di Grosio
50
Bagni
del Màsino
3032
Monte Disgrazia
Cepina
Valdisotto
Cima Saoseo
3263
Gran Zebrù
3851
S. Antonio
BORMIO
S. Carlo
T. Mallero
(Antonio Boscacci)
Montemezzo
Livo Gera
Lario
Lago
di Mezzola
42
La Rösa
Eita
Sasso Nero
2917
3378
ra
T. Code
Passo del Bernina
Piz Palù
2323
3906
Oga
T. Roasco
Chiareggio
Cima di Castello
T. Caldenno
Pra du Ghegéla
Dosso d. Liro
3308
4050
Passo del Muretto
2562
Vicosoprano
Bondo
Villa
di Chiavenna Pizzo Badile
Pizzo Bernina
Ortles
3905
Bagni di Bormio
Premadio
Cima Piazzi
3439
i
od
Lag chiavo
Pos
S. Pietro
Samòlaco 91
Era
Pizzo Martello
2459
(Luciano Bruseghini)
91 Valchiavenna
Prata
Camportaccio
Gordona
La valle del Giumellino
84 Alta Valtellina
CHIAVENNA
Mese
Soglio
Castasegna
Prosto
(Giacomo Meneghello)
78 Bassa Valle
Casaccia
Passo dello Stelvio
2757
Isolaccia
Arnoga
T. Fo
ntana
Piz Languard
3268
Solda
Giogo di S. Maria
2502
Valdidentro
Passo del
Foscagno
2291
Forcola
di Livigno
2315
Passo del Maloja
1815
Pizzo Galleggione
3107
1816
Trepalle
Sils
o
T. Masin
St. Moritz
Silvaplana
Juf
Lag
3180
hi d
i Ca
nca
no
Pontresina
Julierpass
Bivio
Maloja
3183
L'anello del Telenek
71 Valmalenco
Cresta
Pizzo Stella
Pizzo Quadro
3013
64 Alta Valtellina
Livigno
3057
Fraciscio
Mera
Cima la Casina
Samedan
Piz Nair
Pianazzo
Mastro d'Ascia
(Mario Sertori)
Madesimo
Isola
3378
3392
Pizzo d'Emet
3210
(Beno)
Sur
Piz Piatta
Montespluga
Pizzo Tambò
3279
Con gli sci dal Cavalcorto
Mulegns
Stelvio
S. Maria
Lago del Gallo
Mera
3062
Innerferrera
Passo dello Spluga
3159
Inn
Montechiaro
Müstair
Piz d'Err
T.
La
nte
rna
Spirito delle Orobie
Zuoz
Albulapass
2312
Piz Grisch
Lago d
i Lei
Curtegns 1864
Ausserferrera
Piz Quattervals
3418
Reno
Splügen
Medels
10 Ambria
Piz Kesch
Cunter
Andeer
Sufers
luoghi e itine r a r i
Capo
di Ponte
Monte Re di Castello
2889
Làveno
Niardo
© Beno 2010 - riproduzione vietata
Localizzazione di luoghi e itinerari
9
Speciali d'Inverno
Ambria
Storia, lingua e leggende
dell'antico borgo orobico
Luigi Zani
10
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Le Montagne Divertenti Vista di Ambria a inizio '900 (foto Giancarlo
SpecialeMessa).
Ambria
11
Speciali d'Inverno
A
mbria, nel comune di Piateda,
è un piccolo nucleo rurale
di origini medioevali che sorge a m
1325 in valle Venina all'imbocco
della valle di Zappello (detta anche
valle di Ambria). alla confluenza fra il
torrente Venina (Vinìna) e il torrente
Zappello (Zapéll). Forse il toponimo
Ambria è stato importato dalla famiglia degli Ambria che lì risiedeva, ma
potrebbe essere anche che la famiglia
abbia avuto il nome dal paese1.
mbria, sperduta tra imponenti
montagne e rigogliosi corsi
d’acqua, è raggiungibile partendo
da Piateda centro, percorrendo una
strada che sale a mezza costa in direzione Piateda Alta, passando per la
frazione Previsdomini (m 538) e per
Monno. Qui c’era una tipica Pòosa,
ovvero un punto di riposo special-
A
1 - In questo secondo caso il nome Ambria
potrebbe semplicemente derivare dalla voce latina
adumbrare, come del resto il nostro "ombra"
(giustificato dal fatto che qui il sole scompare per
molti mesi). Altra ipotesi è che il toponimo sia di
origine celtica (da ambe = fiume), e ciò per l'abbondanza di acque della zona.
mente per coloro che trasportavano
tutto a spalla o, nella migliore delle
situazioni, a dorso di mulo. A Monno
si svolta sulla destra e la strada, che si
addentra per circa 6 km in val Venina
fino a Vedello (Vedéll, m 1032), si
trova in gran parte a picco sull’impervio fianco roccioso della valle.
Dopo un centinaio di metri, si trova
un bivio; la strada di sinistra porta ad
Agneda (m 1228) in valle di Scais,
mentre svoltando a destra, si sale e si
raggiunge dopo 2,2 km Ambria (m
1325) nella valle omonima. Quest’ultimo tratto di strada, ancora in parte
sterrata, è chiuso al traffico ai veicoli
non autorizzati e termina un centinaio di metri prima di Ambria.
er entrare nell’abitato si deve
oltrepassare il ponticello che
attraversa il torrente Venina e costeggiare il cimitero non più utilizzato dal
marzo 1958 quando qui fu seppellita
l’ultima persona: Arrigo Filippini.
mbria rivestiva un ruolo strategico quando le comunicazioni
avvenivano ancora in gran parte a
P
A
piedi: questo borgo era un importante
crocevia tra Valtellina e bergamasca.
iò spiega perchè nel 1888 ad
Ambria, si contavano ben 272
individui componenti 33 famiglie.
Ambria ha mantenuto negli anni la
sua autenticità e l’antico aspetto urbanistico che convive ancora oggi pienamente con la natura grazie al divieto
di cementificazione selvaggia. Ci sono
pochissime case nuove, tutte costruite
rispettando lo stile di una volta, che
ben convivono con quelle vecchie, le
stalle e i fienili. Il borgo trasmette una
particolare sensazione di antico e una
mistica attrazione colpisce tutti quelli
che lo visitano per la prima volta.
a presenza di un luogo
fortificato (castrum), posseduto
dalla famiglia Fondra, e anche
lo stesso nome “Ambria” sono
testimoniati da scritture del lontano
1254, molto prima che il Duca
d’Ambria costruisse il suo castello.
Lo storico Francesco saverio Quadrio
sostiene che già appena dopo l’anno
mille, Ambria fosse abitata.
C
L
L'antico ponte lungo il sentiero che da Vedello portava ad Ambria (1900-1920, foto Giancarlo Messa).
"Entro quei tuguri, il fumo del fuoco acceso in mezzo della stanza acceca; entro quei letti
matrimoniali, capaci di accogliere una persona sola ed anche a disagio, per noi la vita sarebbe
insopportabile, mentre per essi è precisamente in quel modo che vi cementano gli affetti, che
vi mantengono la pace e la felicità domestica." P. Donati - 1898
Vista di Ambria dall'alto (databile tra il 1900 e 1920: cimitero e mancanza di teleferiche Falck orientano a quel periodo) . Come si può notare
l'espansione urbanistica del borgo negli anni recenti è stata pressochè nulla (foto Giancarlo Messa).
Q
ui vi era uno dei due castelli
della famiglia degli Ambria,
ma le uniche tracce rimaste della sua
presenza si trovano in alcune vecchie
costruzioni del borgo stesso, dove
si possono ancora ammirare delle
pietre lavorate d'angolo tipiche dei
castelli2. Del casato degli “Ambria”
si è conservato soltanto lo stemma,
caratterizzato da un imponente
leone con coda biforcata, segno
di grande nobiltà. Negli statuti di
Como del 1335, anno in cui inizia
la dominazione sulla Valtellina dei
Visconti, la comunità di Ambria
figurava autonoma ed era allora
denominata “Comune de Ambria”3.
utte le case, prevalentemente
in pietra, sorgono tra viottoli
stretti e tortuosi, intorno e nei pressi
della piccola chiesetta dedicata a San
T
"Nel giorno stesso in cui celebrano le nozze, se non è festivo, gli sposi vanno agli abituali
lavori campestri. Come in quel primo dì, così durante tutta la vita, le donne si conservano
laboriose,
oneste e fedeli ai mariti, i quali fanno di tutto per renderle felici." P. Donati - 1898
Le Montagne Divertenti 12
Inverno 2010
2 - Le si nota, ad esempio, negli spigoli del
campanile.
3 - "Comune de Ambria debet habere et tenere quartarium unum ad mensurandum blavam et stateram
unam ad ponderandum ferrum et formagium."
(da Statuti di Como, volumen Magnum, 1335, a cura
di G. Manganelli).
Le Montagne Divertenti Gregorio, edificata nel 1615 su strutture molto più antiche, interamente
cinta da un muretto al cui interno si
trova l’ossario di origine settecentesca.
Quest’ultimo versa ora in condizioni
di serio degrado e per la sua tutela
sono necessarie urgenti opere di
consolidamento e successivo restauro.
Altro bene artistico/religioso molto
prezioso è la croce di Ambria, originariamente astile poi modificata, che
misura complessivamente 62 cm in
altezza. Questa pregiata testimonianza
religiosa, risalente al XII secolo, è
stata eseguita tramite l’uso di lamine
d’argento, lavorate a sbalzo e cesello e
inchiodata ad una struttura di legno.
Il tutto è stato dorato ad eccezione
dei volti dei vari personaggi raffigurati (Gesù, sulla formella di destra la
Vergine, dalla parte opposta l’evangelista Giovanni e due personaggi non
identificabili). Il verso della croce
mostra, invece, immagini realizzate
a cesello. La croce è poi arricchita
da gemme, che la rendono una delle
opere artistiche più belle in Valtellina.
Poiché in passato ci sono stati diversi
tentativi di trafugarla della chiesa
di San Gregorio, è ora conservata in
luogo sicuro ma, purtroppo, non
accessibile al pubblico.
la storia della comunità
etnia valdambrina pare discendere da popolazioni provenienti dalla vicina bergamasca e qui
giunte attraverso il passo di Venina (m
2442) e il passo di Scìgula (m 2486).
Le otto casate più antiche, derivano in
origine da quattro ceppi principali.
L’estrazione mineraria specialmente
di ferro, attiva in alta val Venina a
oltre 2000 metri di quota fino alla
metà del XVIII secolo, ha favorito
costanti contatti e scambi commerciali tra Ambria e la val Brembana.
Non a caso gli ultimi proprietari delle
miniere della val Venina risiedevano
in provincia di Bergamo. Le attività
primarie degli abitanti di Ambria
erano comunque la pastorizia e l’agricoltura.
I valdambrini, come del resto tutta
L'
Speciale Ambria
13
Versante orobico
Speciali d'Inverno
Mentre dovunque
nei paesi
settentrionali le
donne sono atte
al matrimonio
piuttosto dopo
dei vent'anni che
prima. In Ambria
a quattordici,
a quindici anni
al massimo si
sposano. Mi si fece vedere una
donna, abbastanza deperita, di 26 anni, che aveva già 7 figli,
naturalmente da essa allattati, non essendo ancora noto a quelle
popolazioni incorrotte l'allattamento mercenario, nè quello artificiale. P. Donati - 1898
Ritratto di una famiglia d'Ambria (1928 - 1929). Sono fotografati il padre Alessandro Taloni, la moglie Giulia Taloni ed i figli Nerina, Matilde, Angelo,
Adelaide, Giuseppe Luigi e Silvio (classe 1927). Il soprannome del ceppo Taloni è " i Buratii". Il bimbo vergognoso è quel Lüìis, nato il 17.3.1924 e
scomparso l'8.6.2006, ultimo "artigiano" dei manufatti d'Ambria (foto archivio Taloni).
la gente di montagna, avevano un
carattere piuttosto chiuso verso gli
estranei ed erano abbastanza rudi e
poco garbati nei modi. Dobbiamo
però anche notare che, dopo un’iniziale timida diffidenza, erano e sono
tuttora fondamentalmente molto
ospitali. Ambria è stata sempre molto
legata alla chiesa e il parroco era considerato non solo tale, ma anche educatore, amico, consigliere e consolatore.
Qui non regnava però solo lavoro,
casa e chiesa ma, per chi non lo
sapesse, il borgo vantava anche
un’osteria, ricavata nell’abitazione di
un mio prozio, Silvio Taloni (detto
Paštìcci), che ne era poi anche il
gestore. Da notare che, nell’osteria si
serviva solo un vino rosso di mediocre
(per non dire infima!) qualità. Al pian
terreno si trovavano la cantina e un
locale nel quale si cantava e si ballava
(quando c’era qualcuno che suonava
una fisarmonica), mentre al primo
piano c’era un’altro locale dove si
giocava solitamente alla morra o alle
carte.
14
Le Montagne Divertenti Adiacente all’osteria si trovava un
rustico campo per il gioco delle bocce;
giocatori e spettatori appoggiavano i
loro boccali di vino sopra una grossa
pietra di forma circolare che si trova
ancora vicino all’ingresso dell’antica
osteria.
lingua e costumi di Ambria
l valdambrìi è un dialetto
arcaico che ha il pregio di non
essere stato influenzato nel tempo da
influssi linguistici esterni, come spesso
è accaduto in altri paesi valtellinesi che
hanno “lombardizzato” il loro dialetto
originale. Uno strano fenomeno, del
quale non si è ancora trovata una spiegazione, è che il dialetto di Ambria è
parlato tale e quale anche a Vedello.
Ad Agneda invece, che dista solo
un paio di chilometri dagli altri due
borghi, ci sono vocaboli simili ma
sono spesso pronunciati con accento
diverso. Un esempio pratico, i vocaboli: dentro, riso, mela, ad Agneda
si dice: ìtt, rìis, pómm, mentre ad
Ambria si dice: trè, rées, pùmm.
U
È particolarmente curioso il fatto
che nel linguaggio di Ambria ci
sono spesso più vocaboli per indicare anche minime variazioni della
stessa cosa, ad esempio la polenta
(pulénta, caravéla, štalmìgna, còola,
pizzadóor) oppure il sasso (cràpp,
bòcc’, predù, maròcul, güzzù, cóorna,
pludìscia) o le scarpe (sciasciù, culsèer,
šgàlber). Altri sinonimi curiosi, che
non hanno alcuna somiglianza con gli
altri dialetti dei paesi limitrofi, sono:
la bèerscia (la camicia), li lòti (i pantaloni), ul blinchétt (la giacca), li paradéli (le calze), ul briòol (il cappello), ul
cašpàal (il letto), ul tàarten (il rondone
alpino), ul regüzz (lo scricciolo), la
frašcòola (il gracchio alpino), ul belegòtt (la pentola), ul scirvìi (il fieno
di alta montagna), la buréla (la rosa
canina), la bràacula (la sanguisorba
dodecandra), solo per citarne alcuni.
ino agli anni ‘50 ul valdambrìi
in sé non evidenziava alcuna
alterazione. Anche se la lingua italiana
era insegnata a scuola, tutti comunicavano tra loro solo in valdambrìi
F
Inverno 2010
molto ristretto e l’arcaica parlata
rimaneva radicata anche tra i bambini
in tenera età. Non dimentichiamo
che i bambini in età scolastica svolgevano i compiti a casa in modo
alquanto precario poiché, al termine
della scuola, dovevano spesso aiutare
i genitori nei lavori quotidiani (raccogliere la legna, accudire al bestiame o
erano occupati in altri lavori agricoli
in genere). Oggi i bambini hanno
a disposizione comode scrivanie,
sedie ergonomiche, PC e cancelleria
a volontà, mentre un tempo si svolgevano spesso i compiti seduti su un
ceppo e si scriveva con una matita alla
luce di un lume a olio. L’unica matita
a disposizione era tenuta come un
oracolo e si appuntiva con parsimonia
fino al suo completo esaurimento.
Oltre alla maestra, l’altra importante
figura sempre presente nella vita
quotidiana che contribuiva nell’istruzione dei bambini era il parroco, che
impartiva lezioni di catechismo in
italiano. La lingua italiana era parlata
anche dal medico, il quale aveva però
solo sporadici contatti con gli abitanti
di Ambria.
Gli spostamenti dei valdambrini
erano solitamente limitati ai comuni
limitrofi (Faedo, Montagna, Poggiridenti, Tresivio e Ponte) e comunque
non sufficientemente prolungati nel
tempo per “contaminare” in alcun
modo l’arcaica parlata. Le comunicazioni erano comunque molto più
frequenti con la popolazione dell’alta
val Brembana che con quella valtellinese e questo, molto probabilmente,
anche a causa della posizione geografica. È curioso anche notare che i
matrimoni avvenivano quasi esclusivamente all’interno del triangolo
Ambria, Agneda e Vedello.
Tra il 1950 e il 1960, anche se ul
valdambrìi molto ristretto era ancora
"S
ampiamente utilizzato, si rilevava una
prima, leggera alterazione del tipico
linguaggio a causa di molteplici fattori
esterni. I lavori inerenti allo sfruttamento idrico del territorio erano già
attivi da alcuni decenni, ma durante
questo periodo cresceva la domanda di
mano d’opera e le nuove generazioni
iniziavano a preferire sempre più il
mondo del lavoro salariato, a discapito
delle attività rurali che venivano lentamente abbandonate.
Poco dopo la fine della seconda
guerra mondiale, sempre più abitanti
di Ambria si spostavano durante i
mesi invernali nella contrada di Cà
d’Agneda a Piateda piano. Questa
lenta, anche se temporanea, migrazione verso il fondovalle ha portato
nel giro di pochi anni al definitivo
trasferimento della popolazione.
La nuova residenza favoriva anche
i contatti verso il “mondo esterno”
perciò la lingua italiana era sempre
più in uso perchè i valdambrini non
avrebbero altrimenti potuto comunicare coi forestieri. Gli abitanti dei
paesi limitrofi riuscivano solitamente,
in qualche modo, a interpretare
questo linguaggio, che al resto dei
valtellinesi rimaneva però incomprensibile. Ritengo che chi abitasse al di
fuori del raggio di circa 5 chilometri
da Piateda non era, già allora, in grado
di capire quasi nulla del valdambrino.
Anche le unioni matrimoniali si
estendevano lentamente sempre più
verso l’esterno del triangolo Ambria,
Agneda e Vedello e si allargavano
specialmente ai paesi limitrofi. Diversi
nuclei famigliari di Ambria rimanevano così in contatto permanente
con altri dialetti con i loro vocaboli,
accenti, modi di dire che andavano
inevitabilmente a “contaminare” l’originale parlata.
La fine degli anni ‘50, con l’av-
vento del boom economico, ha
siglato il definitivo abbandono e si è
fatto evidente l’inesorabile declino di
questa tipica parlata alla quale sono
particolarmente affezionato. Il settore
idroelettrico assorbiva, specialmente
tra il 1960 e il 1980, diversa forza
lavoro e, contemporaneamente, si
registrava un aumento dell’emigrazione di mano d’opera verso la vicina
Svizzera. Le attività rurali sono state
quasi nella totalità dei casi abbandonate e gli allevatori che sfruttavano gli
alpeggi si sono quasi completamente
estinti. La famiglia Pasini è l’unica
originaria di Ambria ancora presente
con il bestiame sull’alpe Dossello
durante il periodo estivo e, come
direbbe mio papà: l’é pó reštàat nùma
i Drèera a scimà tresü ‘l Duséll cun dói
šgambèerli.
Non c’è più tutto quel via vai
di gente tra gli stretti viottoli; chi
trasportava del fieno, chi della legna,
chi affilava la falce seduto per terra,
chi portava il bestiame ad abbeverarsi,
i bambini che giocavano con le biglie
di terracotta. Anche Ambria, animandosi esclusivamente durante i mesi
estivi, è purtroppo diventata come
tutti gli altri paesini di montagna: viva
solo saltuariamente d'estate. Dov’è
quindi finita la vera lingua di Ambria,
ul valdambrìi špacàat? Possiamo
ancora sentirla in pochi nuclei famigliari, ad esempio tra i miei diretti
ascendenti: gli Zani (detti Bilìi) e i
Taloni (detti Martìi). Alcuni anziani
appartenenti alle famiglie originarie
di Ambria, emigrate in Brianza o nel
Varesotto verso gli anni ‘50, sono
ancora a perfetta conoscenza del vero
valdambrìi.
Quello che più mi rattrista
è vedere questo linguaggio
inesorabilmente destinato a
scomparire.
Il foletto
ono anche superstiziosi: credono nello spirito Foletto, e sono parecchi coloro
che assicurano di averlo sentito. Anche il buon Dell'Acqua (il parroco) è convinto
che esista. Avendogli rivolta in proposito domanda categorica, mi rispose: «Sì,
credono, e come è anche vero, nello spirito Foletto e null'altro.
Ed alcuni montanari li ho uditi, colle mie orecchie, raccontare parecchie stranezze di questo
spirito che folleggia per la valle, che segue i viandanti, che fa mille rumori, che imita il gallo,
la gallina, la lepre, la volpe, l'orso, che getta giù sassi per la china senza colpire veruno,
sassi che sembra proprio siano guidati da una mano ignota, giacché li arrestano al piede di
coloro che il Foletto prende di mira." P. Donati, La Valtellina, 1898
Le Montagne Divertenti Speciale Ambria
15
Speciali d'Inverno
"Quando nei passati anni l'orso frequentava spesso quei luoghi, portando lo spavento in quelle mandre
di bovine, di pecore e di capre, essi gli davano la caccia con una costanza ed un ardimento il più delle
volte coronati da un felice successo. " P. Donati 1898
Ritrovato, dopo secoli, il castello degli Ambria
L'orso
Antonio Boscacci
Un po’ di storia
li Ambria sono un’antica
famiglia risalente, secondo
lo storico Quadrio, al secolo XI, ma
forse comparsa solo più tardi, verso
la metà del XIII secolo.
Comunque sia, gli Ambria famiglia proveniente dalla bergamasca, si
installano nella valle omonima e da
loro prende nome il piccolo paese
che vi si trova.
Proprio ad Ambria costruiscono il
loro primo castello (alla fine del ‘200
o all’inizio del ‘300).
Le loro proprietà e la loro potenza
aumentarono a tal punto che,
intorno alla metà del ‘300, costruirono un altro castello in territorio de
Trexiviplani (in territorio di Piateda,
chiamata allora Tresivio Piano).
Un documento del 1385, quello
stesso che mi ha fatto pensare al
castello, parla dell’esistenza di un
castello nelle vicinanze della chiesa
di S. Croce, mentre altri documenti
dell’inizio del ‘400 (1423 e 1432)
parlano della vicinanza del castello
alla chiesa di S. Vittore.
G
9 gennaio 1999
alla prima volta che avevo
cercato di rintracciare i
castelli degli Ambria sono ormai
trascorsi almeno 20
D
anni. Allora non ne avevo trovato
traccia. Gli storici che avevo consultato parlavano della presenza di due
castelli attribuiti agli Ambria: uno
probabilmente nel paese di Ambria1
e l’altro in qualche altra parte del
comune di Piateda. Avevo fatto qualche giro qua e là ma non ero riuscito a
concludere granché: nessuna traccia,
nessun indizio della loro presenza.
Eppure da qualche parte dovevano
pur essere stati costruiti. Ma, poiché
gli storici dicevano che erano spariti,
la gente del posto non aveva nessuna
idea di dove potessero essere e tradizioni orali per ricercarne l’ubicazione
non ne esistevano. Avevo smesso di
cercarli e mi ero messo il cuore in
pace.
Finché, chiacchierando con mio
fratello Roberto, che conosce bene
alcune zone di Piateda, mi disse di
aver visto un muro un po’ strano.
- Se vuoi ti porto a vederlo; è sopra
Valbona.
Poiché in quel periodo ero in
tutt’altre faccende affaccendato e
non avevo tempo, ho risposto di no.
Poi però, una sera, mentre stavo
cercando delle notizie sul comune di
Piateda, mi è capitato di incontrare
di nuovo i due castelli degli Ambria.
In un documento del 5 luglio 1385
il dosso di cui parlava mio fratello è
indicato come dosso castri Ambrie,
prope ecclesiam sanctae Crucis
apud castrum (dosso del castello
d’Ambria, vicino alla chiesa di
Santa Croce accanto al castello).
Come una specie di corto circuito, ho messo in relazione ciò che
stavo leggendo con quanto mi aveva
riferito mio fratello.
Stamattina dovevo andare a scuola,
ma il pomeriggio…abbiamo trovato
uno dei due castelli degli Ambria!
Dove si trova il castello
a Piateda si raggiunge la
contrada Valbona (330
m). Attraversato il gruppo di
case che sta sulla sinistra,
si imbocca la mulattiera
che sale alla chiesa di
S. Vittore. E’ una bella
D
16
Le Montagne Divertenti mulattiera acciottolata, interamente
coperta dalle foglie di castagno
(albero al quale è rimasta legata, per
molti secoli, l’economia della zona),
che sale ripida nel bosco.
E’ un bosco rado, bellissimo in
ogni stagione. Così come, bellissime,
sono le piccole e grandi pozze, che i
torrenti della zona, il Serio, il Seriolo
ed il Paiosa, formano lungo il loro
corso.
Seguendo la mulattiera, in circa 30
minuti, si arriva alla chiesetta di S.
Vittore. Ridotta in uno stato pietoso,
dall’azione del tempo e dall’incuria degli uomini, appare come un
animale agonizzante, che rantola
nell’attesa della morte.
Un centinaio di metri più in là,
sul dosso di S. Vittore (o dosso del
castello degli Ambria, come meglio
dovrebbe essere chiamato), a m 560
di quota, si trovano i resti di una
grossa baita. Avvicinandosi si nota
però che la baita è stata edificata a
sua volta sui resti di una costruzione
precedente, della quale rimangono
chiari segni. Che si tratti del castello
degli Ambria (o forse, meglio, di una
torre), non ci sono dubbi: lo testimoniano le grosse pietre squadrate
(e lavorate sul filo), che formavano
parte dei due spigoli che delimitavano la facciata rivolta verso nord.
La torre, che si trova su una morena
quaternaria, erosa a est dal torrente
Paiosa e a ovest dai torrenti Seriolo
e Serio, ha forma all’incirca quadrata
e misura 6,70 m sui lati nord e sud
e 6,85 m su quelli est ed ovest. Una
piccola feritoia, sul lato nord è stata
chiusa dall’interno.
Non è rimasto molto, ma quello
che è rimasto mi pare degno di essere
attentamente studiato e valorizzato.
Nascosto dentro i boschi di castagno sul ripido pendio della montagna, il castello degli Ambria, forse
distrutto nel ‘500 e subito dimenticato, è rimasto invisibile per secoli.
Eppure era lì.
1 - Ad Ambria “vi aveva pur castello con Torre,
Abitazione de’ Feudatarii". Nel 1390 il castello
dell’Ambria, con diverse tenute era stato dal signor
di Milano, donato al Cavaliere Galeazzo de’ Porri.
Inverno 2010
Antonio Boscacci da Odore di merda, edizioni Nuceröla, Sondrio 2009
La cosa che più mi ricordo
del Severo di Cagnulét è stato la
faccenda dell’orso e la racconto così
come la raccontava lui. Il Severo
era un buon cacciatore e di
solito andava a caccia con il
Venanzio Tavelli, il Giovanni
Fagioli, il Serafino Bassola e
il Torquato Credaro detto
Amen. Il soprannome gli
era stato dato per il fatto
che quando finiva qualcosa
lui aveva l’abitudine di dire
amen. Alla fine della messa,
anche se era la messa grande,
lui diceva amen e con la voce
squillante che aveva lo sentivano in tutta la chiesa. Ma amen lo
diceva anche quando aveva finito di
giocare a
carte,
mangiare la
cena, sgusciare
i fagioli o fare una
discussione. Lui aveva
confessato che lo diceva
anche quando finiva
di fare quel che doveva
fare con la sua serva, che
era una vita che stava con lui e
ormai tutti li consideravano come
se erano sposati. Il canonico un
giorno aveva detto che potevano
anche sposarsi così non vivevano
nel peccato, che era una cosa che
faceva male. Però si vede che a loro
non gli faceva male per niente,
perché avevano un bell’aspetto e
erano sempre allegri.
Il Serafino Bassola conosceva un
Murada di Albosaggia che curava
le mucche del notaio Fulgenzio
Paribelli sopra Campelli verso la
Piana e gli aveva detto che aveva
incontrato un orso maschio che di
Le Montagne Divertenti così grandi lui non ne aveva mai
visto. Questo però era capitato
già quindici giorni prima e l’orso
si era diretto sotto la
costa della Piada
verso i pascoli
di Bolveggio.
Tutti in fregola
per quell’orso,
avevano deciso
di partire il
pomeriggio del
giorno dopo
per andare a
dormire dal don
Celestino Ruttico,
parroco di Ambria, che li
aveva già ospitati un’altra volta,
quando erano andati a caccia di
runcàsc in valle di Ambria, verso
Scìgola. Erano partiti
da Sondrio che
erano quasi le
due su un
carretto che
li aveva
portati
fino a
Busteggia
e dopo
avevano
preso il
sentiero per
sant’Antonio
e erano arrivati a
Vedello che cominciava a far buio. Quando hanno
bussato alla porta del parroco di
Ambria era buio pesto e se non era
per il Venanzio e i suoi due cani,
che conosceva bene la strada, era
facile che si perdevano o finivano
nel torrente Venina.
Don Celestino era un prete
magro e piccolo, che era lì in quel
paese da più di cinquant’anni e
ormai aveva superato gli ottanta.
Ma era ancora vispo come un’allodola e chiacchierava sempre tantissimo. Questo perché Ambria è un
paese piccolo e non viene quasi
mai nessuno e quelli che arrivano
sono quasi obbligati a raccontare al
don Celestino per filo e per segno
come vanno le cose giù in pianura,
perché
lui chiamava
così il piano
dell’Adda. Siccome
però anche il Torquato
era uno che quando c’era
da chiacchierare non si tirava mai
indietro, la conversazione è andata
avanti fin dopo mezzanotte intanto
che tutti gli altri dormivano con
la testa sul tavolo o appoggiati
all’armadio.
Alla fine anche il Torquato ha
detto amen e voleva dire che era
ora di andare a letto e la perpetua
del don Serafino li ha accompagnati in un locale lì vicino dove
c’era un bel po’ di fieno. Così si
sono infilati nel fieno e si sono
coperti con un grosso pelòrsc e
hanno dormito qualche ora.
Sono partiti da Ambria che erano
quasi le sei e era già un po’ tardi per
il Severo, che diceva sempre che gli
animali vanno cacciati appena si
svegliano, che sono un po’ intontiti
e sono più facili da prendere. Ma
a parte il Giovanni Fagioli che gli
dava ragione, tutti gli altri dicevano
che a alzarsi troppo presto anche i
cacciatori restano intontiti e quindi
tanto vale andare a caccia un po’
più tardi.
Comunque sono saliti fino alla
Ca e hanno preso il sentiero per
Bolveggio e quando sono arrivati
alle baite, si sono disposti in fila,
distanti circa duecento metri l’uno
dall’altro e hanno mandato avanti
i due cani del Venanzio. Quelli
erano cani che lavoravano bene in
coppia e se nella zona c’era un orso
loro lo trovavano di certo. Infatti
dopo un’ora che camminavano in
quel modo e erano quasi arrivati
sotto la Piada, i cani si sono messi a
puntare in direzione di alcuni blocSpeciale Ambria
17
Versante orobico
chi di
roccia
ricoperti di
muschio
e di mirtilli.
Il Venanzio
che conosceva
bene i suoi cani, ha
capito subito da come
puntavano che quello era
un orso e infatti un momento
dopo è comparso. Prima ha
cercato di scappare verso la costa
del Meriggio poi, visto che lo
avevano circondato, si è alzato sulle
zampe è ha provato a difendersi.
Con una zampata ha fatto volare
uno dei cani, cinque metri più in
là, che se prendeva un cristiano era
finita, dopo si è rimesso in piedi e
ha cominciato a far versi come per
spaventarli.
Però ormai non c’era niente da
fare e, dopo che il Venanzio ha
detto al Giovanni, che era il più
bravo, di sparare, ma non alla testa,
l’orso è crollato, colpito diretto al
cuore e è morto in dieci minuti.
Era quasi mezzogiorno.
All’una hanno cominciato a
scendere con l’orso legato a un
palo, verso il dosso della Croce e
sono arrivati a san Giacomo che
parevano in processione. Davanti
c’era il Venanzio che portava il cane
ferito e dietro c’erano gli altri che a
coppie, un po’ per uno, portavano
l’orso. A san Giacomo hanno
trovato un mulo e glielo hanno
messo sopra e così alle quattro
erano alla Moia e alle cinque in
piazza della chiesa a Sondrio.
Prima ancora che arrivavano
a Sondrio, la gente aveva
sentito che avevano
preso un orso e la
piazza era piena
di curiosi, che
volevano
vedere se era
proprio così
grosso come
dicevano. A vederlo
dentro il carretto dove
l’avevano messo per venire
dal Porto, pareva ancora più
grosso. Aveva la testa appoggiata sul
sedile del carretto e dalla bocca gli
veniva fuori un pezzo di lingua. A
guardarlo così non era
tanto pauroso anzi,
pareva che stava
dormendo e
intanto che
dormiva
rideva un
po’. Un
conto è
vederlo
morto che
pare un
agnellino e un
conto è incontrarlo in giro sulla
montagna, ha detto il mio
papà, però anche lui non ne aveva
mai incontrati vivi e non poteva
dire con precisione cosa si provava.
Dopo una mezz’ora che erano lì è
arrivato l’arciprete con una bottiglia di vino e ha fatto i complimenti a tutti i cacciatori e prima
hanno bevuto, poi ha benedetto sia
loro che l’animale.
La pelle di quell’orso è
stata conciata dai Carini
e l’hanno regalata
proprio all’arciprete,
che era stato anche
lui in gioventù un
cacciatore e diceva che
non poteva più andare
a caccia perché aveva
troppo da fare. Però io
credo che non andava
più a caccia per via che
pesava troppo e faceva già
fatica a venire fino al capitello della
Madonna dell’Uva.
Adesso
la
pelle è
appesa al
muro della sala di
casa sua, di fronte
al camino e sta
proprio bene, perché
dai Carini hanno fatto
proprio un bel lavoro.
Dopo il successo di Odore di merda
Tutte
le
vite
il nuovo libro di Antonio Boscacci
"Mio papà è morto a fine Febbraio del 1859. Il 26, me lo ricordo preciso. Era stato un
giorno strano, una di quelle giornate che non si sa se viene a piovere o nevicare. Per via del
vento che spazzava via la strada al contrario. Quando il vento soffia così storto dal basso
della piazza Quadrivio verso il Piazzo, è brutto, perchè può capitare di tutto. E infatti
si è messo a nevicare. Ma non regolare come succede di solito. A folate. Grandi fiocchi
di neve e poi basta. Un po' di acqua e poi via. Non si capiva più niente. Anche gli
animali, quei pochi che giravano, si vede che sentivano la stranezza, perchè erano agitati
e continuavano a muoversi e a girare la testa come se gli stava per capitare qualcosa di
male. Perfino le mucche che uscivano dalla stalla per andare a bere alla fontana dei
Lurénz, non erano normali e odoravano l'aria in qua e in là col muso. Forse gli animali
avevano capito prima degli uomini che c'era un giro la morte..."
Antonio Boscacci, Tutte le vite, edizioni Nucerola, Sondrio 2010 - 15€ - acquistabile presso Libreria Della Cagnoletta (Sondrio) o on-line (www.lemontagnedivertenti.com/libri)
18
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
La strada
d'Ambria
Marino Amonini
C
orreva l’anno 1971; sul primo
bollettino parrocchiale edito
dall’indimenticato
parroco
don
Enrico Sassella si può leggere:
“AGNEDA- Quello che pareva
un sogno proibito, almeno per qualche decennio ancora, è diventata una
realtà: dalla metà di luglio Agneda ha
la sua carrozzabile. Modesta fin che si
vuole, ma ci si va «seduti». L’iniziativa
è partita dai privati: il Geom. Diego
Lanzini ha fatto i rilievi ed ha preparato il progetto, dal quale risultava che
l’opera era realizzabile con una spesa
modesta. Si è costituita una specie di
società privata a cui hanno aderito una
quarantina di capifamiglia. Con un
sistema di autotassazione ed il contributo di alcuni enti, si sono reperiti
i fondi e poi si è dato inizio ai lavori
senza perder tempo.
Una ruspa, qualche carica di dinamite e nel giro di un mese la strada
Vedello-Agneda era pronta."
"AMBRIA- Turismo di massa anche
per Ambria quest’anno; e ne siamo molto
lieti. Ambria è un posto singolare : aspro
e selvaggio, ma nello stesso tempo ti affascina per la quiete, il verde dei pascoli, il
candore dei nevai e la poesia del fiume
che non si stanca di ripetere la stessa
canzone. E poi c’è la riserva di caccia con
i camosci che vengono a pascolare accanto
all’abitato, che fa di questa località un
paradiso dai sogni proibiti per i cacciatori. Qui si arriva con il fiatone; non è
una passeggiata per i piedi piatti. Ma
appena arrivi ti trovi subito a casa tua.”
In queste note si leggono i
prodromi che avrebbero di lì a qualche anno dato avvio alla costruzione
della carrozzabile che avrebbe portato
l’auto anche in Ambria; rivalità mai
sopite, emulazione, spirito di contrada
non potevano tollerare Agneda servita
da strada ed i valdambrini a rosicare.
Fu così che tra il 1978 ed il 1982,
in due lotti, la strada imboccò l’alta
val Venina per fermarsi al parcheggio
antistante la contrada d’Ambria.
La vicenda fu inizialmente vissuta
come una scommessa, poi fu connotata come un’ avventura e la positiva
Le Montagne Divertenti Strada di Ambria, II lotto (1982, foto archivio Crapella).
conclusione premiò gli sforzi dei
protagonisti e dei valdambrini.
Tre i padri della strada: il progettista
Geom. Diego Lanzini, l’imprersario
Nello Crapella ed il referente valdambrino Angelo Taloni1.
Latitante l’Amministrazione Comunale, poco interessato il sindaco Renzo
Micheletti, con grande tenacia e determinazione Angelo e Diego bussarono a
tante porte, risolsero complessi adempimenti burocratici, raccolsero magre
risorse, progettarono il percorso ed
affidarono al “garibaldino” impresario
di Tresivio il compito di arroccare la
carrozzabile per Ambria.
Chiesti tre preventivi (2 imprese
di Piateda), una rinunciò, un’
altra richiese un congruo aumento;
solo il Crapella, operando un lievissimo ribasso, partì all’attacco con tre
figli, altri 3 operai e pochi mezzi e
tanto esplosivo.
Dal tornante della strada che
conduce a Scais, passando per
Agneda, quota 1080, mosse l’escavatore ed i mezzi dell’impresario
1 - Presidente del Consorzio di Miglioramento
Fondiario Valle d’Ambria, ente regolarmente
costituito dal Notaio Surace di Sondrio il 2
gennaio 1976.
di Tresivio per tracciare, sbancare,
erigere solidi muri, costipare il fondo,
posare adeguate barriere e realizzare
così l’ardita carrozzabile che termina a
quota 1310, a pochi passi dal ponte
che fa accedere all’antico borgo le cui
origini si perdono nel tempo.
Grandi rischi, qualche incidente,
molti aneddoti tutti da raccontare e
tre vipere (ancora in bella mostra in
vasetti con formalina in casa Crapella)
possono testimoniare una “eroica”
avventura per collegare Ambria al
resto del mondo.
Son passati una trentina d’anni da
quell’impresa ma osservando alcune
fotografie di cantiere pare passata
un’epoca; l’ambiente della forra a
picco sul torrente Venina e più avanti,
dove la valle spiana, le sue sponde
curate a pascolo hanno lasciato spazio
ad un inestricabile bosco.
La solida strada regge, le insidie non
mancano, temporali e geli segnano
ulteriormente l’asprezza dei luoghi
eppure, nell’edicola eretta allora dal
Crapella come gratitudine per la
protezione celeste ricevuta, la Madonnina rende mistico il luogo più pericoloso e cupo della strada, serrato tra
secchi tornanti e rocce a picco.
Speciale Ambria
19
Versante orobico
Speciali d'Inverno
I morti di Ambria
L’osteria di Ambria
Marino Amonini
U
no dei più illustri frequentatori
di Ambria fu Bruno Credaro.
Vi passava di lì per dare sostanza
alla sua passione per la caccia, la pesca
e vivere la montagna; valli buone per
cacciare, torrenti e invasi eccellenti per
pescare ed un'umanità davvero originale da incontrare e raccontare.
I suoi due libri Storie di alpinisti e
cacciatori e Ascensioni celebri sulle Retiche e sulle Orobie editi nel 1955 dalla
Banca Popolare di Sondrio possono
essere considerati nel ristretto numero
dell’eccellenza letteraria valtellinese.
Dal primo si riporta questo racconto,
a mio avviso, da antologia.
U
n giorno, dopo la vittoria, gli
alpini tornarono alle loro case,
alle loro baite e vi presero il ritmo della
vita di sempre. Al lutto degli amici
perduti in guerra, molti aggiunsero quello
dei famigliari portati via dalla febbre
spagnola; ma accettarono anche questo
come un colpo del destino, contro il quale
è vano tentare ribellioni.
Così ripresero a portare pesi su e giù per
le montagne e si ritrovarono in forma,
perché gli zaini e i traini avevano provveduto a tenerli in allenamento.
Le guide ripresero il loro mestiere e
nonostante i pericoli, trovavano che non
c’erano più le sventagliate delle mitragliatrici e gli scoppi improvvisi delle granate.
Tutti provavano più vivo il sentimento
della famiglia, dopo anni di lontananza,
e quali anni. E gustavano la soddisfazione di essere usciti vivi da quell’inferno.
Ma, trascorrendo il tempo anche se nulla
si perdeva delle tragiche vicende per cui
erano passati, affiorava nel loro animo,
non oserei dire la nostalgia ma il compiacimento per aver superato quelle prove
e per essere vissuti in quell’ ambiente di
sacrificio e di eroismo.
Solo a lunghi intervalli ritornavano gli
incubi e allora non erano più ricordo, ma
reviviscenza.
Una sera, sono pochi anni ero nella
piccola osteria di Ambria, con una mia
bambina arrivata da poco alla scuola
media e che mi seguiva a caccia.
Era una stanzetta male illuminata, con
un tavolo al centro e due panche; sul focolare bruciava un grosso ceppo di larice;
20
Le Montagne Divertenti faceva poca fiamma, ma a tratti con uno
scoppio buttava attorno un poco di bragia
e per un istante il locale era percorso da
una luce rossastra.
Il cane, steso sul pavimento vicino al
fuoco, dormiva stanco vibrando di tanto
in tanto con un rapido sussulto, accompagnato da un sordo mugolìo.
Si aprì la porta ed entrò un uomo alto,
tanto che per passare dovette piegarsi a
punto interrogativo; era magro, stempiato, con pochi capelli grigi arruffati,
certamente un minatore, a giudicare
dalla polvere che aveva sugli abiti Disse:
“Questa sera si torna in Italia”.
Veniva dalle alte gallerie del Venina e
voleva dire che tornava tra la gente. Poi
sedette e ordinò mezzo litro di vino; era
evidentemente molto stanco e beveva in
silenzio.
Al secondo boccale le gote scarne incominciarono a prendere un poco di colore e
gli occhi, prima quasi spenti, a ravvivarsi.
E incominciò a parlare, a voce bassa
dapprima e a frasi brevi e staccate: lassù
nella galleria era una vita dura, sempre
con quel martello della perforatrice sullo
stomaco, a respirare polvere, perché la
maschera dava troppo fastidio, e con quel
raspo della dinamite bruciata sempre in
gola. Ma ne aveva viste ben altre. Continuava a bere e gli occhi ora brillavano con
una strana luce e qualche gesto accompagnava le parole che uscivano sempre più
fitte: lui veniva dall’altro mondo, perché
era un alpino reduce dall’Ortigara.
Quando pronunciò quel nome per
la prima volta, la sua faccia assunse
un’espressione
tragica che mantenne
per tutta la durata del racconto: egli era
lontano dalla quieta osteria di Ambria,
era tornato sulla cima Caldiera, ad
aspettare il segnale dell’attacco e la sua
narrazione seguì il tumulto di un esasperante crescendo che si esprimeva dal tono
della voce e dai gesti sempre più ampi e
convulsi.
La bambina, da un angolo, seguiva con
gli occhi attoniti quella strana e tremenda
lezione di storia, con un misto di paura e
di umana simpatia per il vecchio soldato
che riviveva le sue terribili giornate;
la luce che a tratti sprizzava dal ceppo,
creava un singolare contrasto tra quelle due
facce che si staccavano dall’ombra: una
Marino Amonini
A
quieta, immobile, bianca della piccola che
ascoltava e l’altra dell’omone, adusta
e scavata da quelle tornanti angosce. Così
da quella voce, ora squillante e ora roca,
venne fuori la rievocazione del calvario
degli alpini: la discesa a precipizio da
cima Caldiera al vallone, la risalita per la
parete calcarea quasi a picco dell’Ortigara;
le artiglierie e le mitragliatrici che staccavano grappoli di uomini dalla parete e li
precipitavano sul fondo del vallone.
Poi quando i superstiti arrivarono sulla
cima, trovarono che questa non era altro
che una vasta spianata, senza un angolo
morto, senza un sasso che permettesse ai
battaglioni di ripararsi dal fuoco delle
artiglierie che dalle posizioni dominanti
di Cima Undici e di Cima Dodici spazzavano il pianoro.
A un certo punto il minatore incominciò
a farneticare; era stanco, ma ancora narrò
di una trincea che in qualche modo si era
potuta scavare e che si andava colmando
di morti e di una spia austriaca che era
capitata, alla seconda notte, nuda nella
trincea e che era stata passata per le armi.
Poi tacque di colpo, appoggiò un braccio
sulla tavola, sul braccio chinò il capo e si
addormentò.
Riprese la pace della montagna; fuori,
dalle creste del Salto era spuntata la luna
che, girando sopra il pizzo del Diavolo,
faceva luccicare i tetti del paesino addormentato.
Anche il torrente correndo tranquillo e
scintillante per il breve piano, commentava con un leggero mormorìo senza
turbarlo, il grande silenzio.
Inverno 2010
mbria è una località che la
natura e il tempo hanno reso
silenziosa, ma che ha avuto un passato
vitale e costituisce una delle radici più
profonde della storia di Piateda.
La lettura dei registri dei morti di
Ambria mi ha spinto, dopo una superficiale curiosità, ad effettuare un’analisi più approfondita per evidenziare
gli aspetti ambientali e sociali che in
essi erano contenuti.
Pur con qualche breve spazio vuoto
costituito dai periodi di “interregno”
tra un sacerdote e l’altro, questi registri, a partire dal 1666 per arrivare
al 1901, costituiscono un prezioso
aiuto alla ricostruzione delle vicende
passate.
Molte delle notizie contenute sono
dovute allo zelo, all’istruzione, alla
meticolosità di registrazione dei sacerdoti avvicendatisi; per alcuni di essi
è il caso di dire “ci hanno lasciato
l’anima” e non in senso figurato.
Il sacerdote che istituì il primo registro conservato, Francesco Cribelli,
trascorse in Ambria 32 anni, dal 1666
al 1698; il sacerdote Giacomo Castellotti di Guinado, diocesi di Pontremoli, amministrò in Ambria dal 1782
al 1811, anno in cui morì sessantasettenne.
Più di tutti esercitò il sacerdote
Paolo Pedrazini di Sondrio: arrivò in
Ambria nel 1730 e vi rimase fino alla
sua morte avvenuta il 4 maggio 1780,
cioè ben 50 anni di permanenza.
Fu sepolto nel locale cimitero e
questo testimonia l’attaccamento ed i
sentimenti per quella comunità.
Caso del tutto singolare e curioso
nel 1698 un defunto fu registrato
dal sacerdote Gervasio Bormolini di
Bormio ”...Beneficialis Trepalle e Vice
Parroco Ambria”, quasi fossero due
paesi vicini!.
II dato più appariscente fornito da
questi registri è costituito dall’età dei
defunti o per meglio dire dalla premorienza rispetto ai limiti attuali. Con
una conta di 918 defunti registrati per
855 dei quali viene indicata l’età, li ho
divisi per fasce d’età: fino al mese, fino
all’anno, fino ai 10 anni, fino ai 25
anni e cosi via.
Le Montagne Divertenti Lapidi nel cimitero di Ambria testimoniano come valanghe (si noti a sx che la valanga - causa
del decesso - è scolpita nella lapide), cadute in burroni e malattie improvvise e acute fossero tra
le maggiori cause di morte (26 ottobre 2010, foto Beno).
Ebbene, il 33% dei
nati moriva prima di
aver compiuto l’anno,
comprendendo anche la
fascia successiva risulta
che il 52%, ossia più della
metà della popolazione non
campava oltre i 10 anni.
Soltanto il 12% degli
abitanti oltrepassava
i 65 anni, un età oggi
largamente raggiungibile.
Vi sono anche periodi tristissimi
come il dicembre 1744 mese in cui
morirono 8 bambini in età compresa
tra il mese ed i 10 anni o i mesi tragici
come il febbraio - marzo 1752 in cui
vennero sepolte ben 15 persone.
Si avvicendarono poi altri decessi
tragici e frequenti per cadute da rocce
per coloro che vi si arrampicavano alla
ricerca di un pugno di fieno, o come è
registrato qui di seguito:
“Qualmente il giorno 20 del mese di
Febraro dell’anno 1769 sotto la Parrocchia d’Ambria restarono sei persone
soffogate sotto a un vendullo dove si dice
alla Streccia della Cha; queste venendo
dalla Bassa a casa furono sorprese da
detto vendullo alle hore 19 circa di detto
giorno e mese: cinque de questi furono
ritrovati il giorno 24 aprile 1769 in
detto vendullo e gli si diede sepoltura il
giorno di S. Marco 25 Aprile.
Gregorio figlio di Gio: Domenico
Bulant fu ritrovato solo la vigilia delle
Pentecoste li 13 Maggio e fu sepolto il
giorno doppo la Domenica delle Pentecoste li 14 maggio nel cemeterio di
S.Gregorio Ambria da me Pre. Paolo
Pedrazino Paroco.
Li nomi di queste persone morte
sono: nel casale di Drera, Giovanni
detto Sgarello 32 anni, Maria 25 anni,
Maria detta Mazianza 38 anni, nel
casale di Bulant, Gregorio 37 anni,
Domenico 23 anni, Maddalena 35
anni.”
P
er superare queste malinconiche
cifre vi è il caso di un centenario
Giovanni Gabrielli, quasi un messaggio per dire che vi erano anche allora
condizioni per giungere a quella autorevole età, davvero un bel primato.
Un altro dato curioso è costituito,
laddove è registrato, dalla malattia che
ha causato la morte; febbre putrida,
febbre infiammatoria, febbre tiroidea,
febbre verminosa, eclamsia, erpite,
idropisia, epilessia, tisi, polmonite...
malattie dal nome sinistro che erano
fatali un secolo fa, oggi non solo sono
debellate, ma quasi non si sentono
più. Col passare delle generazioni
questa grande selezione naturale unita
a matrimoni non più esclusivamente
Speciale Ambria
21
Versante orobico
Speciali d'Inverno
edogami, col conseguente vantaggioso
ricambio genetico, avevano generato
una stirpe di superuomini. Scriveva
infatti P. Donati su La Valtellina nel
18981: "La media della vita è dai 66
ai 60 anni; e vi muoiono per lo più di
malattie acute: polmoniti, bronchiti e
mal di cuore.
La popolazione quivi è sana e
robustissima; gli uomini specialmente sono colossali.
E non potrebbe essere diversamente,
perché facendo una vita isolata, semiselvaggia, come sentii, credo giustamente, affermare, si tengono lontani
da ogni vizio, da tutti i guai che
vanno di pari passo colla civiltà.
Inoltre si deve riflettere che a
quell'altitudine non resistono proprio
che gli individui robusti, onde col
tempo ne è venuta una naturale selezione per la naturale eliminazione
degli esseri gracili ed imperfetti.
Non hanno che pochi anni e già
eccoli a guidare il bestiame al pascolo.
E chi ha vissuto anche soltanto
qualche giorno tra i pastori, sa cosa è
questa vita, ed a quali pericoli e disagi
si trova esposta, specie quando si tratta
di custodire le capre.
Si nutrono essenzialmente di latticini e di ova, talvolta anche dalla
carne di quelle bastie che, pascolando
su per l'erte a scoscese chine, o per il
ghiaccio, o più spesso in causa della
siccità, scivolano precipitando a valle.
Temprando così l'organismo alle
fatiche le più salutari, ed alimentandoti di cibi punto semplici e nutrienti,
crescono d'una forza o d'una resistenza
veramente invidiabili."
Nella diagnosi e nella formulazione di queste malattie presumibilmente incise totalmente la perizia del
parroco dal momento che la presenza
del medico doveva essere quasi sconosciuta essendo Ambria lontana dalle
sedi umane più evolute.
Il parroco rappresentava il punto
di riferimento, un fulcro per la
comunità; le sue competenze andavano ben oltre l’amministrazione
delle anime ed il fatto che esplicasse più funzioni occupandosi ora
di sacramenti ora dei fitti, ora della
salute o delle controversie, dell’istruzione o dei rogiti, gli conferiva
1 - Si ringrazia l'architetto Luca De Paoli per averci
segnalato il testo.
22
Le Montagne Divertenti Antichi mestieri
Marino Amonini
N
Il fatiscente ossario settecentesco di Ambria rischia di crollare se non vi saranno repentini lavori
di messa in sicurezza. L'ossario fu, assieme ai muri perimetrali della chiesa, luogo di sepoltura
prediletto prima della costruzione del cimitero, ma le esalazioni mefitiche dei cadaveri creavano
spesso un tanfo insopportabile (gennaio 2009, foto Marino Amonini).
un’autorità e un prestigio indiscusso.
Il parroco inoltre godeva di benefici
derivati da lasciti, fitti sui terreni coltivabili e i pascoli, in pratica disponeva
complessivamente di mezzi superiori
al resto delle famiglie per cui il suo
potere culturale era sostenuto anche
da un relativo “benessere”.
Il tempo trascorse, mutazioni
sociali e politiche, guerre e dominatori cambiarono il paese, ma in
questo angolo sperduto si può ritenere che pochi echi vi giunsero,
e se vi giunsero non mutarono la
povertà, gli stenti che alimentarono
la popolazione d’Ambria.
Soltanto nel tardo ‘800 qualche
novità fu costituita dalla variazione
e dall’introduzione di nomi nuovi
e novità ancora maggiore dalla
presenza di gente forestiera, mogli
perlopiù di Chiuro, Faedo, Caiolo,
dimostrazione di una tiepida apertura verso “il resto del mondo”.
Ai ripetitivi ed omonimi Caterina, Domenica, Giovanna, Andrea,
Gabriele, Gregorio si aggiunsero
gli Aloisio, Brigida, Judith, Emilia,
Tecla, Angelo, Jacopo, Isidoro,
Raimondo, Tranquillo...
In conclusione, l’analisi dei dati
contenuti nei registri consultati
fa emergere una comunità che
strappa con enormi sacrifici la
vita alla morte, dove la precarietà
regola l’incremento demografico,
il suo sviluppo, la sua espansione.
Si denota il costante isolamento
determinato in gran parte dalle
condizioni ambientali che è il preludio allo spopolamento e l’abbandono che si determinerà negli anni
seguenti al periodo consultato.
E’ presente però una ammirevole
tenacia, un grande coraggio per
superare le avversità ed una straordinaria omogeneità che caratterizza
ancora le attuali generazioni2.
2 -Un vivo ringraziamento va ai coniugi Antonia e
Angelo Taloni (scomparso nel 2009) che tanto
amabilmente mi hanno consentito di esaminare i
registri a loro affidati.
Inverno 2010
ei secoli scorsi la posizione, la
quota, l'isolamento di Ambria
rispetto ad altri borghi disseminati
sulle Orobie hanno determinato
condizioni di vita ancor più difficili
che altrove. Alle asperità della montagna si sommavano fattori climatici
davvero critici: ore di ombra e frecc'
prolungavano i rigidi inverni e viverci
era una condizione al limite della
sopravvivenza. I valdambrini seppero
integrare le magre risorse fornite
dall’alleva-mento, dai pascoli, dalle
minime semine ingegnandosi nella
produzio-ne di elementari manufatti
in legno che regalò loro anche un
pizzico di popolarità; vari viaggiatori,
alpinisti e autori di guide valtellinesi
citano questa particolarità.
Manufatti quali mestoli, posate ed
utensili in acero, collari (gambìsi) per
capre, rastrelli, gerle, campàsc, scope
di betulla, zoccoli di larice… prodotti
lassù nei lunghi inverni venivano
poi venduti e scambiati nei giorni di
mercato ed alle fiere di paese.
Solidi utensili di cucina e lavoro in
cambio di farina, legumi, riso, vino e,
quando le condizioni erano proprio
favorevoli, qualche indumento e
calzature riempivano il capàsc con la
letizia di tornare in val Venina carichi
di “ricchezza”.
L'essenzialità imposta dalle dure
condizioni di vita aveva però maturato
nei valdambrini un sapere trasmesso
di generazione in generazione capace
non solo di conservare questo ingegno manuale di trasformare pianticelle e ceppi in preziosi utensili, ma
di conoscere tutte le malizie di questo
saper fare.
I cicli lunari, gli umori
delle piante, i tipi di
legno, i posti ove tagliarlo,
quando effettuare il
taglio, come stagionarlo
o mulginarlo, la scelta dei
ciocchi adatti, la venatura
ed i nodi…. era il modesto
patrimonio di ingegno
di molti valdambrini
altrimenti analfabeti e privi
di adeguata istruzione.
Le Montagne Divertenti Cavàgn e gerle, oggi di ridotte dimensioni e usati come complementi d'arredo, un tempo erano
essenziali contenitori, assieme ai campàsc, per ogni sorta di trasporto, culle comprese (gennaio
2005, foto Marino Amonini).
La butéga del Lüìis Taloni in Ambria, ultimo
artigiano del legno (15 agosto 1995, foto
Marino Amonini).
Gino Belotti (Bafù), assiduo frequentatore di
Ambria, per molti anni è stato occupato nella
vicina centrale di Zappello. Qui con zoccoli tipici
e manufatti in legno (28 ottobre 2010, foto Beno).
Il progressivo spopolamento ed
il definitivo abbandono di Ambria
dopo il secondo conflitto mondiale ha
pressoché cancellato questa forma di
attività.
Negli anni ’90, transitando d’estate
per il borgo, sbucando nella piazzetta
antistante la canonica, si poteva osservare il “regno” di Luigi Taloni: una
buia masùn adattata a laboratorio in
cui l’omaccione si dilettava a scavare
mestoli e cucchiai che poi esponeva
in ordinate file appesi alla sgangherata
porta della bottega.
- Ciàu Lüìis, cùmi vàla? A véedi ca
tu laùuret sèmpri a brigulàa!
- Ah, c’ói pó da fàa!
- Bràu, tu sé nn’artìšta, a vài bée i
Speciale Ambria
23
Versante orobico
Speciali d'Inverno
afàari?
- Ah, i na völl capü negüü, ma mi ‘n
sa badéeti e ‘l ma pàsa ‘l téep!
Poche battute per delineare il
requiem per un tempo che fu.
Rimanevo ammirato per quell’antro dal sapore collodiano; Luigi era
una sorta di Mastro Geppetto che
da umili ciocchi ricavava levigati
cucchiai, mestoli, forchettoni, basle,
ciapei, ideali complementi per lo slow
food. Con il piacere della lentezza, la
pazienza di un cesellatore e l’orgoglio
da vecio alpino.
Ma nella semioscurità della masùn
l’interesse era catturato da un’altra
sopravvivenza: i lusaroi. Lembi di
corteccia esterna, quella pellicola
bianca che fa brillare le betulle anche
nella notte. Sapientemente srotolate
dalla pianta ed essicate erano l’infallibile elemento per accendere il fuoco
nella stufa e nel focolare.
Meglio della legna fina, meglio
ancora delle zollette di diavolina.
servivano al trasporto dell’uva al tempo
della vendemmia.
Per non dividere la terra e il poco
bestiame, vivevano riuniti in grosse
famiglie e si sapeva che il capo di
una di queste, il Taloni di Ambria,
veniva ogni sabato a Sondrio a
comperare un quintale di farina che
a mala pena durava una settimana
per nutrire quella specie di tribù.
Poiché i prati dei maggenghi erano
pochi, salivano nella buona stagione a
tagliare l’erba in alta montagna dove
il terreno difficile non permetteva il
pascolo. Falciavano al mattino presto,
tendevano questa specie di fieno selvatico a seccare sui piccoli ripiani e alla
sera lo legavano in fasci di settanta o più
chili e lo portavano a casa, stipandolo
nei vasti fienili. Passavano carichi per
certi sentierini per i quali spesse volte i
miei amici cacciatori si rifiutavano di
passare.
Era un lavoro di uomini e di
donne e durante il giorno grida e
canti si incrociavano da una sponda
all’altra, passando sopra gli abissi e
chissà quanti rustici idilli saranno
nati a fare meno ingrato quel duro
lavoro.
Ma spesso, invece dell’idillio, arrivava la morte, perché per andare a
tagliare poche manciate di erba sull’orlo
dei precipizi o sulla breve cornice delle
cenge, qualcuno precipitava, tradito da
qualche ramoscello o da qualche zolla
che non aveva retto al suo peso.
Allo Zapèl, oltre Ambria, raccolte
sotto un solo sasso, ben sette croci arrugginite ricordano alla pietà del passante
altrettante tragedie di questa povera
gente.
Un tempo si dovevano
coprire con disagi e fatiche
mulattiere ed erte per
contendersi una pianta, per
recuperare legna e legname:
basti pensare che fu
dismessa l'attività estrattiva
mineraria in val Venina per
mancanza di questo – ora il
bosco incontrollato avvolge
e sta seppellendo Ambria.
accorciando l’estate e
prolungando le lunghe
ombre, sul borgo e sul suo
vissuto.
P
er meglio evidenziare la particolarità del dialetto di Ambria
dialetto, ricco di autoironia e di
colorite metafore, vi propongo in
coda a questo speciale una storiella
ricevuta per vie traverse e da me
elaborata, che esalta la creatività e l’ingegno degli abitanti di
Ambria i quali, anche se dotati
di scarsa istruzione, riuscivano a
risolvere problemi con elementari
ma geniali soluzioni. La lettura di
questo dialetto, anche se accompagnata dalla legenda per la corretta
fonetica, non è così semplice. Chi
volesse ascoltare questa e anche altre
storielle, presentate in occasione di
Ambriajazz 2010, può guardare il
video realizzato durante la manifestazione stessa intitolato Ul valdambrìi, presente sul sito www.abriga.it.
Questa storia potrebbe anche
essere stata inventata di sana pianta,
ma noi preferiamo credere che ci
sia qualcosa di vero. Se poi la storia
è un valdambrino che la racconta,
allora la situazione cambia radicalmente e il tutto si trasforma come
per incanto in fatti realmente accaduti, con tanto di testimoni pronti a
confermare la veridicità dei fatti più
incredibili.
Ad Ambria, tutte le belle
storie non hanno mai
rispettato la versione
originale ma, ogni volta che
la storia veniva riproposta,
il narratore aggiungeva
inesorabilmente qualcosa
di personale.
Un esempio; se nella versione
originale, un tale aveva mangiato
30 lumache, per il succesivo narratore che queste erano almeno 60,
e chi dopo di lui giurerà che erano
100 e così via fino ad arrivare all’ultima versione dove si racconterà
di almeno 300 lumache ingerite!
Possiamo quindi costatare che la
forbice tra verità e quanto in seguito
riportato è molto, molto ampia. La
storiella che ho scritto, ul valdambrìi
e l’ingegnéer, è ambientata negli anni
’70, quando fu costruita la carrozzabile che da Vedello sale in ripidi
tornanti verso Ambria e parla di un
valdambrino che osserva incuriosito un giovane ingegnere il quale,
formulando complicati calcoli e
coadiuvato da strumenti all’avanguardia, cerca di tracciare la strada
stessa. Sarò riuscito a reprimere le
tentazioni ereditate dalle mie origini
valdambrine e non avrò aggiunto
proprio niente di personale a questa
storiella? Avrei potuto azzardare una
risposta affermativa, ma preferisco
rimanere su una più vaga e tipica
espressione che caratterizza la nostra
cara Ambria: “mmah”!
Vedello negli anni '30.
per una corretta pronuncia del valdambrìi
c'
cc'
cch
ch
é
è
ğ
ó
ò
ö
s
š
ş
ss
ü
z
ź
ra le autorevoli testimonianze
piace riportare quella del Prof.
Bruno Credaro in Storie di Guide,
Alpinisti e Cacciatori:
a se mi era ignota la valle,
qualche cosa sapevo dei suoi
abitanti: era una stirpe rude e forte;
a primavera arrivavano al mercato
di Sondrio e vendevano i prodotti del
loro paziente lavoro invernale. Su nei
villaggi di Ambria e Agneda, bloccati o quasi per molti mesi dalla neve
e dal gelo, fabbricavano lunghe scale a
pioli, ricavandole dai tronchi diritti e
sottili dei larici novelli e le vendevano a
Sondrio a una o due lire; ancora erano
espertissimi a intrecciare ceste e gerle che
"M
Le Montagne Divertenti Luigi Zani
Fonetica
T
24
Racconti di Ambria
Inverno 2010
suono dolce, pronuncia semplice in fine di parola (calcio) = cunvìnc'
suono dolce, pronuncia doppia in fine di parola (miccia) = bòcc', cavìcc'
suono duro, pronuncia doppia in fine di parola (piccone) = pìcch, bècch
suono duro, pronuncia semplice in fine di parola (casa) = cèrech, fìich
per i suoni chiusi (méla) = ciapéll, fée
per i suoni aperti (bèllo) = bèll, fèrr
si pronuncia contemporaneamente una sce e una g (come dal francese jean) = ğélt, bàağiul
per i suoni chiusi (órso) = órs, blótt
per i suoni aperti (òsso) = òss, fòort
suono chiuso (ö lombardo/dal tedesco) = cört, rööda
sorda, pronuncia semplice (sale) = sàal, saiòtt
si pronuncia come le due consonanti “s” e “c” separate (ascia) = šciòpp, féšta
sonora (rosa) = peşànt, pişucàa
sorda, pronuncia doppia (rosso) = róss, péss
suono chiuso (ü lombardo/dal tedesco) = grüff, ferüüda
sorda (calza) = zàpa, zòcul
sonora (zero, zanzara) = źìu, brónźa
Le Montagne Divertenti Speciale Ambria
25
Versante orobico
Speciali d'Inverno
Ul valdambrìi e l’ingegnéer
Luigi Zani
Il valdambrino e l'ingegnere
‘n dì, apéena sùura Vedéll,
‘n ingegnéer al lauràava a štüdiàa diségn e màpi
e fa ğió cünc’ sü ntün taquìi
per fa la štràada da scimà tresü ‘n Ambria
un giorno appena sopra Vedello,
un ingegnere stava studiando disegni e mappe
ed eseguiva calcoli su un blocco note
per tracciare la strada per Ambria
‘n valdambrìi, cùl briòol in còšta e i pòlech ğió i li lòti de velü,
al lauràava a da améet, ma ‘l scitìiva ca
dermàt là a ‘n malìiğen
un valdambrino, col cappello sulle ventitre e i pollici infilati nei pantaloni di velluto,
stava osservando ma non proferiva parola
addossato a un sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia)
l’ingegnéer al trebülàava,
‘n bòtt séma tàat al špiàava tresü i li sèlvi cùn tün štrümènt
e ‘l seguitava a fa ğió cünc’, ma ‘l vignìiva ca a üna
l’ingegnere tribolava,
ogni tanto scrutava in alto verso le selve con uno strumento
e continuava a eseguire calcoli, ma non riusciva ad arrivare ad una conclusione
gliùura ‘l valdambrìi al pùuğia ‘l sügüréll ca l’éeva ntì màa,
al špüüda ‘n bòtt ğió bàss,
al ga va àla vèersa e ‘l ga dìss:
il valdambrino appoggia allora la scure che aveva in mano,
sputa una volta per terra,
gli va incontro e gli dice:
“io non ho capito proprio niente, cosa stai facendo?”
“mi ó capìit nna madóna, chi laùuret a fàa?”
l’ingegnéer al lu vàarda e ‘l ga rešpónt:
“buon uomo, stiamo tracciando la strada carrozzabile per Ambria”
l’ingegnere lo guarda e gli risponde:
“buon uomo, stiamo tracciando la strada carrozzabile per Ambria”
ul valdambrìi ‘l špüüda ‘n bòtt dapé ğió bàss e ‘l ga dìss:
“al sétt che chiló ‘n Ambria i na fa ca ğió de cünc’ per fàa nnà štràada?”
il valdambrino sputa ancora una volta per terra e gli dice:
“lo sai che qui ad Ambria non se ne eseguono conti per costruire una strada?”
l’ingegnéer, ca l’èera ca tròpp lìss, al ‘l ga rešpónt:
“ah si, allora come fate?”
l’ingegnere, che era piuttosto alterato, gli risponde:
“ah si, allora come fate?”
e ‘l valdambrìi ‘l ga dìss:
“nùu ‘n ciàpa n’ marsciù dün àaşen e m’ùl invìia tresü per i dòss;
ngù c’al pàsa l’àaşen l’é la vìia giüšta da fa la štràada”
e il valdambrino gli dice:
“noi usiamo un asino, lo incamminiamo su per i dossi
e dove passa l’asino è la via giusta per tracciare la strada”
l’ingegnéer,
ca persüàas da la rišpòšta dul valdambrìi,
al ga dumànda:
“…e quando non avete l’asino?”
l’ingegnere,
non convinto della risposta del valdambrino,
gli chiede:
“…e quando non avete l’asino?”
e ‘l valdambrìi:
“…a bè gliùura, sa l’é iscé,
‘n ciàma ‘n ingegnéer”
26
Le Montagne Divertenti e il valdambrino:
“…allora, in questo caso,
chiamiamo un ingegnere”
Inverno 2010
Le Montagne Divertenti Speciale Ambria
27
Speciali d'Inverno
La salute dei
GHIACCIAI
LOMBARDI
Andrea Toffaletti
Servizio Glaciologico Lombardo
C
hi non frequenta abitualmente
la montagna spesso non sa
neppure cosa sia un ghiacciaio; magari
non ne ha mai visto uno, nemmeno
in fotografia. Ma gli appassionati di
montagna sì: lo hanno sicuramente
ammirato, almeno una volta, far capolino dietro ad una cresta o mostrarsi in
tutta la sua magnificenza giungendo
in cima ad una montagna o apparire
come una superba quinta valicando
un passo. Comunque la si pensi, la
visione di un ghiacciaio ha da sempre
suscitato forti emozioni negli uomini.
Guardati con diffidenza e timore dalle
genti alpine dei secoli scorsi e sfruttati
per fini energetici dall’inizio del XX
secolo, con il passare del tempo i ghiacciai, da remoti, lontani, inaccessibili
e, perché no?, inutili ai fini della mera
sopravvivenza di una comunità dedita
ad un’economia agricola di montagna,
sono diventati un’importante risorsa.
Dallo sfruttamento idroelettrico allo
sci estivo i ghiacciai sono sempre più
conosciuti e frequentati, grazie anche
alla sempre maggiore eco riscontrata
sui media da argomenti riguardanti il
clima e i suoi mutamenti di cui il ghiacciaio è fedele indicatore.
Due operatori SGL (Servizio Glaciologico Lombardo) intenti nell'escavazione di una
trincea per un'analisi stratigrafica del manto nevoso sul ghiacciaio del Suretta, in alta valle
Spluga. L'operazione viene svolta annualmente al termine della stagione d'accumulo su
alcuni ghiacciai campione (13 giugno 2009, foto Giorgio Orsucci).
28
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Le Montagne Divertenti La salute dei ghiacciai lombardi
29
Ghiacciai
Speciali d'Inverno
C
os’è un ghiacciaio?
Si tratta di una massa ghiacciata più o meno grande, dotata di
movimento o, meglio, all’interno
della quale sussiste un apprezzabile
trasporto di massa (in questo caso la
neve e il ghiaccio) dai settori superiori, più alti, verso la sua sezione
terminale: vi è, infatti, una parte
più a monte, denominata bacino
di accumulo dove la neve caduta
nei mesi freddi si accumula e non
fonde mai nemmeno durante i caldi
mesi estivi (...non è sempre così,
purtroppo!) ed una porzione a valle,
chiamata zona di ablazione, dove il
ghiacciaio perde, tramite la fusione
del ghiaccio stesso, parte della massa
trasferitasi dai bacini soprastanti. Se
la massa accumulata è maggiore di
quella persa il ghiacciaio risulterà in
avanzata; viceversa, se la massa persa
è maggiore di quella accumulata, il
ghiacciaio è in ritiro; quest’ultima è
la situazione che sempre più spesso si
sta manifestando negli ultimi anni.
I ghiacciai risentono principalmente di due fattori: le precipitazioni
nevose del periodo ottobre-maggio
(stagione di accumulo) e le temperature dei mesi estivi (stagione di
ablazione). Le temperature invernali incidono poco, mentre le
precipitazioni estive possono
essere anch’esse importanti se
messe in relazione alle temperature
del periodo estivo determinando
la caduta di pioggia (dannosa) o
neve.
lla metà del XIX secolo i
ghiacciai alpini conobbero la
loro massima espansione1; da allora
cominciò un inesorabile ritiro che,
tranne qualche pausa (anni ’70 e ’80
del XX secolo), continua tutt’oggi;
ma è proprio negli ultimi anni che il
fenomeno ha raggiunto livelli parossistici. Modificazioni del paesaggio,
vie alpinistiche divenute oggettivamente pericolose ed insicure, riduzione delle riserve idriche sia ad uso
potabile sia per la produzione di
energia elettrica: questi gli scenari
che iniziano a prospettarsi e che
ci aspetteranno nei prossimi anni
in modo sempre più marcato se la
tendenza in atto non cambierà.
A
1990
2009
Il gruppo del Ortles-Cevedale risulta uno dei settori maggiormente colpiti dalla deglaciazione
degli ultimi venti anni. Oltre al famoso ghiacciaio dei Forni il gruppo ospita altri grandi
ghiacciai, tra cui il ghiacciaio di Dosegù ad E del passo Gavia. Celebre per la sua caratteristica
lingua formata dal tre diverse “crepacciate”, negli ultimi venti anni ha visto ridotta
notevolmente la sua imponenza e, delle tre importanti colate che alimentavano la lingua
frontale, solo una è rimasta attiva (foto 1990, A.Pollini - foto 2009, A.Borghi, Servizio
Glaciologico Lombardo).
L'impressionante seraccata della vedretta del Disgrazia (13 febbraio 2008, foto J. Merizzi).
Andamento della temperatura a Sils/Maria (nei pressi del passo del Maloja) tra il
mese di Aprile e il mese di ottobre dal 1864 al 2009. Chiara la tendenza che si sta
delineando negli ultimi anni, dopo una fase più fresca a cavallo degli anni '60 e '70.
Nel periodo considerato, il 2009 ha eguagliato il “famoso” e caldo 2003 (fonte dati
MeteoSchweiz, elaborazione R.Scotti Servizio Glaciologico Lombardo).
Ma cosa è accaduto ai nostri
ghiacciai nelle ultime annate?
Il Servizio Glaciologico Lombardo
da oltre venti anni effettua, grazie
all’opera di instancabili operatori
volontari, il monitoraggio degli apparati glaciali lombardi, redigendo ogni
anno un report sul loro stato di salute
e pubblicando i risultati sulla rivista
“Terra Glacialis”. Quello che ne esce
è un quadro abbastanza desolante: è
stato calcolato negli ultimi anni che
solo nelle stagioni 2007 e 2008 sono
andati persi dai ghiacciai lombardi
più di 338 milioni di m³ di acqua
mentre dalla Piccola Età Glaciale la
superficie si è più che dimezzata. Dal
2005 al 2009 inoltre sono scomparsi ben 52 ghiacciai! Il trend non
sembra essersi invertito nemmeno
negli ultimi due anni, caratterizzati
da abbondanti nevicate ed estati solo
apparentemente fresche. Nonostante
quest’ultima sia opinione diffusa, le
ultime due stagioni estive non hanno
contribuito granché alla conservazione della neve invernale, nemmeno
alle quote più elevate. E’ vero, nulla a
che vedere rispetto all’ormai famoso
2003, l’anno del caldo insopportabile
e ininterrotto, ma sufficientemente
calde da provocare la fusione di gran
parte della neve accumulata durante
l’inverno. Insomma, la sensazione è
che dopo il 2003 sia “saltata” in noi
tutti la percezione di “normalità”.
Per citare qualche dato, l’estate 2009 è
stata tra le più calde dell’ultimo secolo
eguagliando, nel periodo
aprile-ottobre, il tanto chiacchierato 2003.
1 - Il periodo è chiamato Piccola Età Glaciale (PEG).
30
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Le Montagne Divertenti La salute dei ghiacciai lombardi
31
Ghiacciai
Speciali d'Inverno
Nel settore Spluga-Lei il versante
nord del pizzo Stella ha visto
un notevolissimo ritiro del
ghiacciaio di Ponciagna che,
dopo aver abbandonato il
pianoro contraddistinto da un
bel laghetto alpino, nel quale si
“tuffava” con una spettacolare
falesia fino ai primi anni
novanta (1991, foto Tedoldi),
risulta ora sempre più arretrato
e assottigliato (1994, foto M.
Lojacono; 2005, G. Ghielmi,
Archivio Servizio Glaciologico
Lombardo).
Un altro ghiacciaio che ha notevolmente
modificato la propria morfologia è il
Ghiacciaio di Fellaria Ovest che, nel
giro di poco meno di trent’anni ha perso
completamente la sua parte terminale. Agli
inizi degli anni ‘90 del secolo scorso (foto in
alto, G. Casartelli) l’apparato presentava una
lingua ben sviluppata con annessa seraccata
in corrispondenza del gradino roccioso.
In meno di 20 anni la fronte si è ritirata
notevolmente, posizionandosi a monte del
gradino roccioso, abbandonando il pianoro
sottostante che risulta colonizzato dalle
prime forme di vita vegetali pioniere (1999,
G. Catasta; 2009, G. Neri, Archivio Servizio
Glaciologico Lombardo).
1991
E i primi dati sull’estate 2010,
dai più classificata come un’estate
fresca, sembrano ricalcare quella
precedente, a causa soprattutto
al periodo molto caldo compreso
tra fine giugno e fine luglio.
D'altronde, come una rondine
non fa primavera, così un ferragosto fresco e piovoso non fa
un'estate fredda. C’è poi da constatare come le forti precipitazioni
nevose invernali non abbiano
interessato omogeneamente tutti i
settori. Maggiori accumuli si sono
registrati sulle Orobie, Spluga,
Disgrazia e Adamello, con spessori
registrati tra fine maggio e inizio
giugno attorno ai 4 - 6 metri,
mentre i meno fortunati sono stati
i settori più interni e meno interessati direttamente dalle umide
correnti mediterranee (Livignasco,
Ortles - Cevedale e Bernina) dove
l’altezza del manto nevoso si è attestato poco oltre i 2 metri a 3000
metri di quota.
Ma torniamo allo stato di salute
dei nostri ghiacciai. Nel 2009 i
settori più penalizzati sono stati
quelli in cui è anche più diffuso
il glacialismo, come il gruppo del
Bernina, il gruppo dell’Ortles
- Cevedale e il gruppo dell’Adamello dove si trova gran parte del
patrimonio glaciale lombardo.
Qui i regressi frontali da un anno
con l’altro sono stati importanti:
numerosi i ritiri frontali superiori
ai 10 metri con punte di 58 metri
per il ghiacciaio del Sissone nel
gruppo del Disgrazia, “vittima” di
una vera e propria disintegrazione
della fronte, letteralmente scivolata a valle di decine di metri. Per
citare solo alcuni dati si segnalano:
32
Le Montagne Divertenti nel settore Spluga-Lei i -22 m del
ghiacciaio di Cima di Lago Ovest;
nel settore Disgrazia-Mallero il
ghiacciaio della Ventina con -14 m
e il ghiacciaio di Predarossa con -20
m; i -4 m del ghiacciaio di Campo
Nord nel livignasco al confine con
la Svizzera; il ghiacciaio di Pizzo
Scalino -10 m; il Ghiacciaio del
1990
1994
1999
2005
2009
Dosdè Est (famoso per i tanto
declamati quanto inutili teli
geotessili Levissima) -34 m; nel
gruppo dell’Ortles-Cevedale il
grande ghiaccio dei Forni -7 m,
il Cedec e il Gran Zebrù -13 m,
Vitelli -12 m, Palon de la Mare
-11 m, il ghiacciaio di Alpe Sud
-20 m che, dato il limitato spesInverno 2010
sore, se ne presume una rapida e
prossima estinzione; nel gruppo
montuoso
dell’Adamello
la
vedretta di Pisgana Ovest -34 m e
la vedretta del Venerocolo -10 m.
Gli unici ghiacciai che, in qualche modo, hanno beneficiato di
queste condizioni meteorologiche
sono stati quelli ad alimentazione
Le Montagne Divertenti prevalentemente valanghiva, vale
a dire quegli apparati che vengono
interessati con regolarità dalle
valanghe. Qui, annidati alla base
di importanti pareti rocciose e
con una nivometria particolarmente elevata, sopravvivono e, in
qualche caso, aumentano la loro
massa ghiacciata piccoli ghiacciai,
dalle modestissime dimensioni
ma molto interessanti dal punto
di vista glaciologico in quanto
primi a reagire alle sollecitazioni
climatiche. Tra i ghiacciai in incremento di massa nel 2009 ben la
metà appartiene infatti al versante
orobico valtellinese, mentre l’altra metà è distribuita tra i settori
Codera-Masino,
Scalino-Painale
e Disgrazia. Valanghe, protezione
dai raggi solari offerta delle pareti
circostanti, maggiore nevosità:
queste le principali cause. Tra i
ghiacciai più in salute troviamo il
ghiacciaio di Marovin in val d’Arigna interamente coperto da neve
residua, i piccoli apparati di Podavista e di pizzo Brunone, tutti nelle
Orobie, mentre nella selvaggia
val Codera segnaliamo il remoto
ghiacciaio di Sivigia Nord Est.
In conclusione, se nelle ultime
4 stagioni (dal 2005 al 2008)
il 100% dei ghiacciai era stato
rilevato in decremento rispetto
all’anno precedente, a fine 2009,
su 50 ghiacciai rilevati, 36 sono
in decremento (72%), 3 stazionari
(6%) e 9 (18%) in incremento; di
questi, come già sottolineato, ben
5 appartengono al settore Orobie,
2 al Codera-Masino e 1 al gruppo
del Disgrazia-Mallero.
E il 2010? I dati di quest’anno
sono ancora in fase di elaborazione
ma, dalle prime stime, sembra delinearsi un quadro per molti versi
simile a quello dello scorso anno,
con bilanci positivi per i ghiacciai più piccoli ma negativi per
le grandi masse di ghiaccio della
val Malenco, dell’Alta Valtellina
e dell’Adamello. Occorrerà riparlarne fra qualche mese.
La salute dei ghiacciai lombardi
33
Speciali d'Inverno
34
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Le Montagne Divertenti Freeride in val Lia, alle spalle la conca della cima Piazzi (m 3439) (27 febbraio 2010, foto Giuliano
Bordoni).
Free ride
35
Freeride
Speciali d'Inverno
Freeride
Chi è il vero freerider?
Maurizio Torri
Là, dove gli archi di curva tendono a raddrizzarsi
“Sono molti i modi per interpretare un pendio. La linea che scegli è quella
che riflette la tua personalità, il tuo essere”
I
T
l loro stile non è quello canonico del CAI, nè quello “super
light” degli skialper racing. Hanno
giacche larghe dai colori sgargianti,
pantaloni rigorosamente a vita
bassa, maschera a specchio gigante,
casco, berretto e auricolari d’ordinanza con musica “a palla”; vi sarà
capitato di incontrarli a bordo pista,
o su una cresta intenti a tracciare
con lo sguardo una linea di discesa
particolarmente suggestiva. Alcuni
di voi li avranno forse guardati con
diffidenza, altri avranno abbozzato
un sorriso dinnanzi a quel modo
spavaldo di affrontare i pendii…
roppo spesso visti come pazzi
squilibrati o addirittura come
dei “pirati della neve”, i veri freerider
sono invece degli specialisti dello sci.
Specialisti che calcolano in anticipo
ogni singolo salto e ogni singola curva
ancora prima di girare le punte a valle.
La verità è che la gran
parte degli sciatori si è fatta
un’idea errata di questi
amanti dei cliff e delle
evoluzioni in neve fresca.
«Negli ultimi inverni, si è delineata
una netta distinzione tra “i garisti” e
chi ha un occhio di riguardo per la
discesa -ha esordito-. I primi inseguono la leggerezza, hanno uno sci
P
er conoscere meglio quella
che per molti è una moda del
momento e per moltissimi un vero e
proprio stile di vita, abbiamo incontrato la Guida Alpina Giuliano
“bordons” Bordoni, autore della
nuova guida Freeride in Lombardia
edita da Versante Sud.
molto stretto che premia la performance cronometrica, ma non certo
la sciata. I secondi, invece, usano
materiali forse meno performanti,
ma sicuramente più divertenti. Il
loro obiettivo è godersi la discesa.
Tra quest’ultimi vanno sicuramente
inquadrati i freerider: ovvero dei
giovani, di età o di “spirito”, che
hanno una gran voglia di powder,
ovvero di neve polverosa».
Come è nata la freeride
mania?
«D
ifficile dirlo… Forse per le
pubblicità televisive o per
gli spettacolari video che spopolano
su youtube, sta di fatto che moltissimi giovani si stanno riavvicinando
al mondo del fuoripista e di conseguenza al mondo della montagna».
«U
no a cui piace divertirsi,
uno che ama condividere
le proprie passioni, uno un po’ fuori
dagli schemi, uno che ama sciare e
soprattutto i salti in neve fresca. Solitamente si muove in aree prossime agli
impianti di risalita, ma non disdegna
l’impellare e il farsi un po’ di metri in
salita alla ricerca di un pendio vergine.
Per esperienza posso dirvi che il vero
freerider segue il cuore, ma anche
la testa. Già in fase di salita scruta il
pendio tracciando idealmente quella
che poi sarà la sua linea di discesa.
Difficilmente improvvisa, anche
perché il commettere errori in determinate condizioni potrebbero costare
cari. Nei video vediamo cliff1 pazzeschi su pendii quasi verticali, ma non
bisogna dimenticare che i protagonisti di tali filmati sono dei veri professionisti; gente capace di interiorizzare
ogni singolo passaggio ancora prima
di affrontarlo. I veri incoscienti non
sono loro, ma chi cerca di emularli
senza una vera conoscenza dei propri
limiti. Il vero incosciente è chi va in
montagna senza umiltà».
Da freerider e Guida
Alpina come vivi la mal
informazione e l’errata
considerazione pubblica
che vi vede come veri
e propri “pirati della
neve”?
«P
urtroppo i giornali devono
vendere. E per vendere i titoli
eclatanti o immagini suggestive sono
una bella scorciatoia. Da qui, allo scrivere “Montagna Assassina” o dipingerci come dei pazzi che si gettano a
capofitto alla ricerca di una botta di
adrenalina… il passo è breve. Chi non
vive di montagna o non ha cultura di
montagna difficilmente sa che sulla
neve il "rischio zero” non esiste. A
volte basterebbe informarsi adeguatamente, interpellando le Guide Alpine,
i soli professionisti della montagna,
per capire che il vero freerider è
tutt’altro che un esaltato o un squiliDiscesa sul Tonale occidentale, sullo sfondo il gruppo dell'Adamello. Rider Giuliano Bordoni (3 dicembre 2009, foto Michele Roscini Vitali).
1 - Bella roccia dalla si salta con atterraggio in
discesa pronunciata.
36
Le Montagne Divertenti Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Giuliano entra nel "boschetto dei Trip e dei Trick", itinerario freeride a Santa Caterina
(26 dicembre 2009, foto Michele Roscini Vitali ).
brato. Anzi, è un atleta dotato di una
notevole esperienza in fuoripista e con
un’adeguata capacità per muoversi in
ambiente. Ho avuto modo di conoscerne molti freerider professionisti e
vi posso confermare che sono dei veri
calcolatori».
Come si affronta una
discesa in fuoripista?
«S
i deve avere una buona conoscenza per la lettura del manto
nevoso. In fase di salita va identificato
il tracciato migliore per la discesa.
Ciò lo si fa attraverso l’esperienza e
seguendo alcune norme comportamentali quali la distanza dai propri
compagni sia quelli che ci seguono,
sia quelli che ci precedono. Bisogna
cercare di stare sempre sulle dorsali
e mai all’interno delle vallette e dei
canali, fermarsi sempre in luoghi riparati e affrontare itinerari alla propria
portata. Qualora queste nozioni
vengono a scarseggiare nel proprio
bagaglio ci si affida senza vergogna
ad una Guida Alpina. Fondamentale
è avere con se e sapere usare il kit di
autosoccorso in valanga composto da
ARTVA, sonda e pala».
A livello di normative,
cosa rischia chi scia in
fuoripista?
Free ride
37
Speciali d'Inverno
UNA VALANGA DI QUIZ !
Cima Valleccetta
detta “Croce”
a cura di Davide Spini A. Guida Alpina (tel. 3337982523, email: [email protected])
Le seguenti domande hanno una o più risposte giuste. Testa la tua conoscenza in materia di neve, valanghe e autosoccorso.
Bormio 3000
1
- La maggior parte delle valanghe causate dall'uomo si distacca 11 - Per salire o scender un pendio potenzialmente pericoloso
su inclinazioni di
A
B
C
D
30°-35°
20°-30°
45°-55°
oltre 55°
A
B
C
D
neve fredda e poco coesa
neve molto umida
accumuli da trasporto eolico
dipende dalla conformazione del terreno
A
B
C
D
sto in centro
lo attraverso da destra a sinistra, così faccio anche meno fatica
sto a lato
tolgo gli sci e mi muovo a piedi
12 - Quale tipo di valanga uccide più sciatori in inverno
2
- Quale tipo di neve favorisce lo sviluppo di valanghe su pendii
A neve polverosa
poco inclinati?
Stardust
cuneo paravalanghe
A
B
C
D
Gipyes
Croce
Flower
Power
Linee di discesa dalla cima Vallecetta (m 3148), classica meta dei freerider sia per comodità d'accesso, che per divertimento degli itinerari.
Dalla cima degli impianti di Bormio 3000 basta uscire dalla funivia, passarvi sotto e seguire la cresta (direzione O) che porta alla cima. Per il
tracciato "Croce" si deve entrare nell’evidente canale che si trova in direzione NE, quindi rientrare nel vallone.
Altre possibilità: dall'arrivo della funivia si prende velocità verso O per raggiungere tre altre belle linee di discesa: Flower Power (40°), Gipyes (40°)
e Stardust (40°). E' bene non entrare dai paravalanghe, essendo la zona molto pericolosa! (tratto da Freeride in Lombardia).
«N
el nostro Paese non vi è un
vero e proprio divieto, ma
una regolamentazione che obbliga gli
sciatori a seguire la segnaletica delle
piste. Chi non la rispetta è passibile di
sanzione. La cosa brutta è che quando
ti fermano le forze dell’ordine non
ti chiedono la cosa fondamentale,
ovvero se sei o meno dotato di kit
di autosoccorso in caso di valanga.
Bisogna poi rimarcare che in caso di
distacco di fronte nevoso, chi fa fuoripista può essere accusato di tentata
strage a persone o cose».
Cinque vette valtellinesi
che un buon freerider
deve assolutamente
Esci dalla crisi
avere in curriculum?
«S
arò di parte, ma essendo
dell’Alta Valle dico: versante
N della cima Piazzi e parte delle cime
di quella conca come Corno di San
Colombano e pizzo Boron. Sicuramente il Tresero, la normale del GranZebrù e la Croce della Vallecetta».
38
Le Montagne Divertenti 3 - Dov'è più probabile che avvenga il distacco di una valanga?
Freeride in Lombardia - la guida
L
Q
a Lombardia del freeride è
un territorio molto vasto e
per molti versi ancora sconosciuto.
A
B
C
D
percorsi frequentemente sin dalle prime nevicate
sono percorsi poche volte in una stagione
sono vietati
vengono percorsi con ARTVA, sonda e pala
A
B
C
D
esposizione del versante a nord
vento
mancanza di rigelo notturno
terreno con molte asperità
esposizione nord
temperature diurne poco sopra lo zero
abbondanti nevicate
temperature relativamente miti
nord durante la notte
est il pomeriggio
sud la mattina
sud il pomeriggio
bosco di larici a 30°
bosco di abeti fitto a 35°
pendio sottovento poco ripidi 30/35°, ma lontano qualche decina di metri dal filo di cresta
qualche metro sotto una cresta con cornici
9 - Quali tra queste sono le zone meno pericolose?
A
B
C
D
canali stretti e ripidi (40°)
pendii ripidi sopravento
zone pianeggianti prima di un pendio ripido
zone pianeggianti su cui vediamo l'accumulo di una recente valanga
10 - La scelta di un itinerario inizia
Inverno 2010
probabilità di trovarmi vivo?
A
B
C
D
15 min
25 min
30 min
24 min
A
B
C
D
raggiungo il primo punto in cui c'è copertura ed alletto il soccorso (118)
osservo la dinamica e memorizzo il punto di travolgimento e di scomparsa del travolto.
frugo nella giacca alla ricerca del mio ARTVA per metterlo in ricezione
tolgo la sonda e la pala dallo zaino
6
- Quale fattore mantiene elevato il rischio di valanghe durante gran parte dell'inverno?
16
- Assisto, da una posizione sicura, al distacco di valanga che coinvolge uno sciatore. Qual è la prima cosa che faccio?
A
B
C
D
G. Bordoni e P. Marazzi, Freeride in Lombardia, edizioni Versante Sud, Milano 2010
punta direttamente al travolto
è perpendicolare alla linea di induzione
punta lungo la tangente alla linea di induzione
mi fa sempre avvicinare al travolto
5
- In tarda primavera qual è il più importante fattore che causa 15
- Se rimango sepolto da valanga quanto tempo hanno i il distacco di valanghe?
miei compagni per disseppellirmi ed aver buone (80-90%) di 8 - In quale di queste zone sono più al sicuro?
S
tolgo eventuali laccioli da sci e bastoni
tolgo sonda e pala dallo zaino
non mi fido di alcune tracce lasciate da gente passata prima di me
lo attraverso molto velocemente a costo di rischiare di cadere
A
B
C
D
A
B
C
D
ono descritti 50 itinerari più molte varianti da
Madesimo al Tonale. Ogni
discesa è corredata da una
scheda che riassume le caratteristiche tecniche fondamentali,
oltre a numerose fotografie a
colori con i tracciati delle salite
e discese.
A
B
C
D
14
- Se ruotando un ARTVA sul piano orizzontale ricevo il segnale più forte, quella direzione
7
- Quali pendii sono più soggetti al distacco di valanghe primaverili e a che ora?
“Freeride abbraccia uno stile
di vita, una filosofia, un pensiero positivo.
Freeride vuol dire sapere
amare la montagna, volerla
Per una donna
conoscere,
imparare a rispet-Canalino Sertorelli
bellissima
tarla.”
13
- Quali precauzioni prendo nell'attraversare un pendio con neve poco assestata
4 - Gli itinerari fuori pista sono meno pericolosi se
A
B
C
D
uesta guida è il primo
mattone,
il
primo
passo, anzi la prima
curva, per conoscere e apprezzare queste tracce. in prossimità di alberi
in prossimità di sassi affioranti e fasce rocciose
lungo pendii omogenei ad inclinazione costante
in spessi (anche oltre il metro) lastroni da vento
B di fondo
C lastroni
D scaricamenti spontanei su pendii molto ripidi
A
B
C
D
al parcheggio
sui primi pendii ripidi (30°)
su una zona pianeggiante prima di cominciare a salire
a casa
Le Montagne Divertenti 17
- Tra autosoccorso e soccorso organizzato, in quale è
maggiore la percentuale di recuperati vivi?
A
B
C
D
Soccorso Alpino
autosoccorso
è circa uguale
dipende dal tipo di neve
18
- E' scesa una valanga, non ho visto la dinamica, non ci sono
eventuali reperti affioranti e dei testimoni affermano che c'è un
travolto senza ARTVA. Da dove comincio a sondare?
A
B
C
D
dal centro della valanga
dalla zona di distacco
faccio passare tutta la zona di accumulo
nella zona di accumulo in prossimità di zone pianeggianti, alberi o sassi affioranti
19
- Per oltrepassare una zona pericolosa con i miei amici
quale/i accorgimenti posso adottare
A
B
C
D
procediamo muovendoci da un sasso/albero all'altro
procediamo distanziati di un paio di metri provando a non cadere
ci spostiamo da una zona sicura all'altra uno alla volta
la attraversiamo in salita velocemente e cercando di essere leggeri
Test su neve e valanghe
39
SOLUZIONI
1-A
E' questa l'inclinazione dei pendii più divertenti e sciabili, mentre
i versanti oltre i 45° sono percorsi meno frequentemente. Sopra i
55°/60° si hanno scaricamenti spontanei.
2-B
All'interno della neve umida c'è dell'acqua allo stato liquido che la
rende molto densa e pesante. Questo tipo di neve scorre anche su
deboli pendenze, solitamente poco velocemente (30 - 50 km/h).
3-AeB
Rocce ed alberi, sia ad alto fusto che prostrati (ad es. ontani),
creano delle discontinuità all'interno del manto nevoso che ne
riducono la resistenza. Mentre i lastroni spessi sono in grado di
sostenere un certo carico.
4-AeD
I divieti non contribuiscono all'assestamento del manto nevoso,
mentre un pendio che viene sciato molto spesso, meglio se dalle
prime nevicate, è molto più assestato di uno mai percorso. Il kit di
autosoccorso deve essere sempre presente quando ci si trova al di
fuori delle piste, indipendentemente se si è sciatori, snowboarder,
alpinisti, escursionisti o ciaspolatori.
5-C
Dopo qualche notte con temperature non negative il manto nevoso
raggiunge una condizione in cui tutto, o quasi, il suo spessore ha
temperatura di 0 °C (isotermia). E' questa una situazione molto
pericolosa che può dare origine a grandi valanghe di fondo che
possono interessare zona anche molto distanti dalla zona di
distacco. Occhio allo zero termico!
6-A
Durante l'inverno, i versanti nord (in particolare quelli più ripidi),
ricevono poco irraggiamento solare. Questa condizione (temperature
negative per molto tempo) non favorisce l'assestamento del manto.
In particolare, quando il rapporto tra temperatura superficiale della
neve e lo spessore del manto nevoso è elevato (gradiente), i cristalli
di neve che si trovano vicino al terreno, evolvono la loro struttura
ed iniziano ad ingrandirsi (metamorfismo costruttivo) raggiungendo
dimensioni rilevanti (fino a qualche millimetro). Questa nuova forma è
molto fragile ed è causa di numerosi incidenti.
7-D
I versanti sud, più soggetti all'irraggiamento solare, si riscaldano
durante il giorno e da essi possono distaccarsi anche valanghe
spontanee di neve umida. Anche ad est c'è il sole, ma alla mattina
l'aria è più fredda.
8-BeD
Solo un bosco fitto di abeti dà un'effettiva protezione dalle
valanghe, inoltre la neve che si trova al suo interno è più assestata
di quella su pendio aperto. Nei versanti sottovento, nel caso di
venti forti, la neve viene accumulata anche
a parecchie decine di metri dal filo di
cresta. Le cornici sono testimonianza del
trasporto eolico.
si crea una via di fuga. Procedendo a piedi si è più lenti e non
si riesce a uscire velocemente dal tratto pericoloso; inoltre si va a
"tagliare" il pendio in profondità.
12 - C
La valanga a lastroni, sia soffici che duri (lastroni da vento), causa
il maggio numero di vittime. Solitamente sono valanghe provocate
dall'uomo che possono coinvolgere sia che le causa, sia chi si trova
nelle vicinanze.
13 - A e C
Sci e bastoni possono fare da zavorra (tipo un ancora) e trascinare
il travolto dentro la neve. Alcune tracce su un pendio non sono
necessariamente sinonimo di stabilità del manto. Con curve
brusche e cadute si sovraccarica il pendio fino a 5-7 volte il nostro
peso "statico".
14 - C
L'ARTVA in ricezione, quando si trova orientato come la tangente
di una linea di induzione del campo elettromagnetico emesso
dall'ARTVA in trasmissione, riceve il segnale più forte. E' seguendo,
più o meno, questa ed altre linee di induzione che ci si avvicina al
sepolto.
15 - A
Fino a 15 min si ha circa il 90% di probabilità estrarre un sepolto
vivo. Oltre tale tempo la percentuale scende velocemente e a 35
min solo uno su tre sopravvive.
16- B
Una volta noti il punto di travolgimento e scomparsa la ricerca del
sepolto è molto più veloce. Il travolto si troverà valle del punto
di scomparsa ed abbastanza in linea con il flusso della valanga.
Solitamente il soccorso organizzato arriva quando le speranze di
trovare il travolto vivo sono scese al 30-40%.
17- B
Le statistiche dicono che B vince su A con il 70% contro il 18%
circa. E' indispensabile che la ricerca parta daimpagni di escursione:
solo con un buon autosoccorso si hanno buone probabilità di
salvare il sepolto.
18 - D
Questi sono punti in cui la valanga rallenta ed in cui "deposita"
più probabilmente eventuali travolti. Sondare tutta la valanga
richiede tempi troppo lunghi, anche se si è più di uno.
19 - C
I sassi e gli alberi sono punti di debolezza del manto nevoso. Un
paio di metri di distanza tra gli escursionisti sono troppo pochi per
dare una effettiva distribuzione del carico e per essere ritenuta una
distanza di sicurezza.
9-BeD
In canali stretti e ripidi e da pendii a
30°/35° si possono staccare valanghe
che possono interessare anche zona
pianeggianti distante decine o anche
centinaia di metri. Comunque, nei pendii
sopravento si deve prestare attenzione,
perchè la neve è spesso dura ed è possibile
scivolare e cadere per lunghi tratti.
10 - D
La scelta, e programmazione della gita
inizia da casa (traendo informazioni da
conoscenti, gente del posto, cartina,
bollettino valanghe, meteo), ma prosegue
comunque durante tutta la gita (osservando
e chiedendo).
11 - C
Per evitare il collasso del pendio va tagliato
il meno possibile; mantenendosi ai lati ci
40
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Le Montagne Divertenti Test su neve e valanghe
41
Speciali d'Inverno
Chi crede che la Valmasino s'assopisca al soffio freddo
dell'inverno certo non conosce le incredibili
avventure che si vivono su questi palazzi di
granito quando sono ricoperti di neve e
ghiaccio.
Nell'inverno 2009/2010 fortunate
Pascal van Duin tacchetta il ripidissimo canale che porta al pianalto
sommitale della Punta Moraschini. Sullo sfondo le ardite vette della val Sione
(16 maggio 2010, foto Beno).
42
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
condizioni climatiche hanno permesso per la prima volta di
scendere sciando dalla vetta del Cavalcorto e di salire con
le piccozze Mastro d'ascia, l'imponente cascata allo sbocco
della val Arcanzolo. Mastro d'ascia nell'ultimo ventennio si
era formata completamente solo un'altra volta, ma
nessuno era stato in grado di scalarla.
La
del mulino
Rusina a Vendolo (Castione, 11 aprile 2010, foto Marino Amonini).
Le ruota
Montagne
Divertenti
Test su neve e valanghe
43
Speciali d'Inverno
Con gli sci
dal Cavalcorto
Beno
44
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Un siluro di roccia che s'alza verticale 1900 metri sopra San
Martino Valmasino: questa era la cima che volevo scendere sci
ai piedi. Ovviamente non dalle pareti, ma dal suo ripido versante
occidentale, l'unico accessibile senza chiodi e corde.
Le Montagne Divertenti Con gli sci dal Cavalcorto (m 2763)
45
Avventure nel Masino
Speciali d'Inverno
La vetta del Cavalcorto e il tracciato di discesa. Nella parte bassa si vede il tratto più ripido del percorso (16 maggio 2010, foto Beno).
In copertina a questo articolo: il Cavalcorto in un acquerello di Kim Sommerschield (www.kimsommerschield.com).
Si potrà mai scendere
quel crap con gli sci?
A guardare il Cavalcorto
da San Martino o dalla
valle del Ferro la risposta
è solo una: è impossibile.
Ma il gigantesco dente di
granito che si erge per 1800
metri sopra il fondovalle
ha un accesso più facile:
il versante O, quello della
val Sione. Qui si snoda la
via normale che, a parte
alcune rocce di II grado e
fastidiosi maròss1, d'estate
è scevro di difficoltà.
D’inverno, però, la
faccenda cambia: le cenge
si cancellano e la montagna
prende la pendenza media
dei suoi versanti, così che
nascono tratti a più di 50°
e declivi valangosissimi che
spaventano gli scialpinisti.
"Ci proviamo?" Pascal
van Duin si aggrega senza
esitare.
16 marzo 2010
’ notte e, come spesso in
quest’anno
di
avventure
frequenti nel Masino, mi trovo con
Pascal al parcheggio di Ardenno
all’imbocco della strada per la Valmasino. Cerchiamo di partire presto per
evitare le valanghe, ma non troppo
presto perchè sono solo 1700 metri
di dislivello su pendii tanto ripidi da
rendere minimo lo sviluppo.
Non sono freschissimo: notte
agitata nel valutare tutte le possibili
incognite e ciò mi regala una simpatica sensazione di nausea da insonnia.
Il viaggio in auto è un rincorrersi di
E
dubbi nella mia testa. Ricordo che alle
prime nevi di ottobre ero salito quassù
con Nicola e le rocce spolverate di
neve sopra i m 2500 ci avevano creato
qualche problema. Chissà come sarà
oggi con tanta neve. Ci sarà ancora il
vento maledetto di sabato? Troveremo
crosta e lastroni? Non ho i rampanti!
archeggiata la van-Duin-Mobile
ai Bagni inizia la salita a piedi
per il bosco. Il sentiero è pieno di
ghiaccio e si deve saltare da un sasso
all’altro per non cadere. Corte Vecchia
arriva velocemente. Ecco i sassoni
delle Termopili, anticamera al valangone che nasce dalla val Sione e s'im-
P
1 - Ontani.
46
Le Montagne Divertenti Val Sione, Calalcorto e punta Moraschini visti dalla valle del Ligoncio; sullo
sfondo si distinguono la cima di Castello , i pizzi del Ferro e la punta della Rasica
(25 aprile 2010, foto Pascal van Duin).
Inverno 2010
Le Montagne Divertenti Con gli sci dal Cavalcorto (m 2763)
47
Avventure nel Masino
Speciali d'Inverno
possessa della bassa val Porcellizzo.
laocoontici contorcimenti di
tronchi, rami e blocchi di ghiaccio testimoniano la ferocia delle
slavine che, incentivate dall'orografia
della val Sione, fan piazza pulita di
tutto ciò che incontrano. E' un brutto
biglietto da visita: noi quella valle la
dovremo risalire tutta nel centro senza
possibilità di fuga in caso di distacchi.
imontata la valanga, zigzaghiamo su per il ripido pendio
di neve grumosa e ghiacciata. Ho le
pelli troppo strette e continuo a scivo-
I
R
lare. La consapevolezza che se cadessi
rotolerei giù fino in fondo mi induce
a mettere il peso a monte, così scivolo
ancora di più. Ho tutti i muscoli
contratti e questo mio procedere
disarmonico è uno sperpero inutile di
energie. Pascal, dotato di attrezzatura
e coordinazione migliori delle mie,
s'allontana.
Levo gli sci, ma la crosta gelata che
faceva scivolare le mie pelli non è
spessa a sufficienza da reggere il mio
peso, così precipito in una voragine.
Ne esco senza badare troppo allo
stile delle manovre necessarie e
rimetto gli sci. Salgo spingendo di
braccia, ma la crosta si sfonda, le
racchette affondano e così la mia velocità è miserevole.
Siamo oltre la cascata di Sione e
arriva pure il vento che urla. Gli alberi
si fan radi e appare la maestosa sagoma
del Pulpito, un'enorme monolite di
granito scuro posto proprio nel mezzo
della valle. A dx si vede il Cavalcorto
la cui cima, cammuffata da giochi
prospettici, è difficilmente riconoscibile. Stessa cosa vale per la punta
Moraschini, la maggiore elevazione
del gruppo che fa capolino proprio
dietro il Pulpito.
ascal prova ad aiutarmi incidendo la crosta con le lamine.
Va un po' meglio, ma siamo solo a
metà e io già sfinito. I cattivi pensieri
e i nefasti presagi si mischiano allo
stupore per la bellezza dei luoghi, e
questa confusione drena il lattacido
dalle gambe.
assiamo nella ripida vallecola a
dx del Pulpito, poi traversiamo
a dx per insidiosi pendii. Una conca
nevosa ci guida ai piedi della dorsale
rocciosa che protegge la valle sospesa
che porta direttamente in vetta al
Cavalcorto.
ccoci al dunque: un canale
scosceso (S), poi una fascia
rocciosa (dx) che va superata con la
fantasia e l’immaginazione.
nizia Pascal che sale con eleganti
zig zag. Io, che ne ho piene le
palle delle mie pelli, prendo gli sci in
mano e vado a piedi con disarmonici
solchi che mi fan guadagnar quota
velocemente. Siamo alle malfamate
roccette (30 metri). Sono ricoperte di
neve instabile. Le affrontiamo direttamente senza aggirarle da O come
suggerirebbe la via estiva. Utilizziamo
gli sci come appoggi, mentre con la
punta degli scarponi tastiamo sotto
la neve in cerca di un appiglio. Ripetiamo l’operazione più volte, a tratti
con difficoltà (le pendenze superano i
50°) e usciamo in groppa al promontorio che divide in due l’alta val Sione.
iamo a m 2650, il paesaggio
è incantevole, un filo di sole
riscalda e ridà coraggio. Manca poco
alla vetta e ora ho la certezza che ce la
faremo. Mi scuso con Pascal per non
averlo aiutato nel batter traccia, ma
P
P
La discesa ha inizio dal cocuzzolo sommitale del Cavalcorto su una stretta lama nevosa.
E
I
Sbagliare traiettoria in questi primi metri significherebbe un volo di oltre 1000 metri!
S
Scesi sulla pala la sciata si fa piacevole anche se la neve è ventata.
48
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Oltre il tratto ripido ci affacciamo sulla stupenda val Sione, madre di valanghe enormi, ma anche una conca perfetta per bellissime sciate (tutte le
foto in queste pagine: Beno, 16 marzo 2010).
ho i miei problemi anche da secondo.
ista la ritrovata freschezza, vado
davanti a far strada, ma vengo
subito neutralizzato da altra neve
dura. Sono demoralizzato, mi metto
in coda. Siamo sotto la vetta, l’ultima pala. Io sci in mano e a nuoto,
mentre Pascal tiene le pelli ai piedi
fino sul cocuzzolo: un ultimo sforzo e
ci siamo.
’ometto di vetta è accanto a noi,
San Martino Valmasino e il Bar
Monica sono a picco sotto i nostri
piedi. Una stretta di mano. Il vento
svanisce all'improvviso. Mi gocciola
il naso. Sorrido per le foto. Sono
emozionatissimo all'idea di questa
discesa che, tranne nel tratto delle
rocce, sarà puro piacere.
arto per primo, tanto da
portarmi sotto la pala. Le
gambe mi cigolano un po’, provo a
non ascoltarle. E’ il turno di Pascal,
che attraversa con gli sci la sottile
lama sommitale. Una improbabile ma
minima virata verso sx significherebbe
un volo di 1000 metri!! Vedere qualcuno impegnato in quelle prime curve
è emozionante quanto farle.
100 metri di dislivello e siamo alle
roccette.
V
L
P
Le Montagne Divertenti Togliere gli sci? No,
derapatone ignobile su
sassi e neve instabile,
ma la discesa deve essere
integrale! Sono un paio di
minuti di tensione, botte
e scintille di lame.
R
ientriamo quindi nel canale,
poi nella bella val Sione,
dove su pendenze sempre apprezzabili possiamo sciare secondo
le tecniche canoniche. Il freddo
spegne la sua morsa e a m 2100 la
crosta molla le code degli sci, con
sollievo per i legamenti crociati.
Sempre più rilassati e divertiti
raggiungiamo la fonte a 5 minuti
dalle Termopili, dove leviamo gli
attrezzi per continuare a piedi fino
alla van Duin-Mobile.
Anche questa è fatta
e la nostalgia d’aver
perso un obbiettivo forse
supera la felicità d’averlo
conquistato. Poco male:
ci rimane l' "indiscesa"
punta Moraschini!
La discesa accanto al Pulpito.
Con gli sci dal Cavalcorto (m 2763)
49
Speciali d'Inverno
I mulini
M astro
d'ascia
Mario Sertori
Inverno 2010
In val di Mello avevo osservato la grande cascata
di ghiaccio della val Arcanzolo, enorme rispetto
alle annate normali, ma alla zanna che pendeva
dall’alto mancavano ancora una decina di metri per
congiungersi al piedistallo.
Non capivo come facesse a star su con tutto
quel peso, chissà chi è che la tiene – mi
domandavo…
Passarono pochi giorni. Risalivamo a piedi da San
Martino e, all’altezza del secondo ponte pedonale
sul Mello, diedi nuovamente un’occhiata verso il
salto dell’Arcanzolo.
Mi prese un colpo quando la vidi tutta d’un pezzo…
In 20 anni si era formata in modo completo una
sola volta!
Allora qualcuno la tentò.
Senza successo.
50
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Mario Sertori sull'imponente colata glaciale di Mastro d'Ascia (4 febbraio 2010, foto Francesca Marcelli e Tullio Parravicini).
Le Montagne Divertenti Mastro d'Ascia
51
Speciali d'Inverno
I mulini
"Il desiderio di colate
mai scalate mi è sempre
rimasto appiccicato
addosso come un odore
che non riesci a far
sparire. Così è stato tra
le scogliere a picco sul
mare artico dell’Islanda
settentrionale"
S
ono un alpinista deviato,
soffro di uno stato
patologico, un quadro
oscuro che con il passare del
tempo volge al peggio. Il mio
analista parla di “…forti turbe
comportamentali, egocentrismo,
disturbi della personalità che
spingono il paziente ad un’esagerata
percezione di sè e a ripetere sempre la
medesima azione: prendere a calci e colpi
di piccone salti ghiacciati al fine di provare la
propria esistenza in vita”. Sì, la mia ossessione è
per le cascate di ghiaccio: ne ho salite centinaia,
un po’ dappertutto e di ognuna ricordo fattezze,
colore e respiro.
D
elle valli di casa ho setacciato ogni anfratto alla ricerca dei
flussi addormentati dal gelo, li ho catalogati e raccolti tra
le pagine di un libro dato alle stampe nel 20041. Poi non ho più
trovato nulla di nuovo da esplorare e mi è venuta voglia di girovagare tra altre montagne, più lontane. Ma il desiderio di colate
mai scalate mi è sempre rimasto appiccicato addosso come un
odore che non riesci a far sparire. Così è stato tra le scogliere
a picco sul mare artico dell’Islanda settentrionale, dove ho
scoperto una gran colonna sospesa sopra i gorghi cupi di acque
arrabbiate: nelle mappe in mio possesso non compariva, ma forse
era spuntata come un fungo gigante che la sorte aveva messo nel
mio sacco. Dopo, altri luoghi, altri destini, altri ruscelli, altre latitudini, sempre inseguendo cristalli ibernati. Intanto avevo raccolto
e sistemato in ordine alfabetico nei miei archivi le cascate più attraenti che facevano capo alla catena alpina, dalla Francia alla Slovenia.
Un lavoraccio. Loro, le colate, non facevano che litigare, c’era sempre
qualcuna che si sentiva di rango superiore e non ne voleva sapere di
stare a fianco di altre provenienti da luoghi meno mondani. Mi ingaggiai duramente e alla fine mi riuscì, a suon di minacce, di ficcarle tutte
quante in una specie di abbecedario2. Correva l’anno 2009.
L
a stagione successiva portò con sé una delle migliori annate per
i ghiacci: ovunque brillavano flussi di ogni risma, come tante
pecorelle al pascolo e le greggi al completo colonizzavano ogni
angolo delle Alpi. L’inverno del 2010 fu per me un pellegrinaggio
verso i letti di algide creature che distribuivano generose le loro
grazie.
Così un mattino di gennaio mi trovai alla base di Heimdall,
una delle più spettacolari cascate della valle che sale al
Cervino.
Dalla grotta ai piedi di quel mostruoso castello uscirono in
quattro, già pronti, armi in pugno, alla battaglia: erano
tre guide con una guida istruttore che dovevano dar
prova della loro abilità per passare ad un livello superiore, quello di insegnante alla scuola di formazione
dei professionisti della montagna. In questo povero
paese, uno dei pochi esami dove è difficile barare
o essere raccomandati…. In ogni caso non me
1 - Mario Sertori, Cascate - Lombardia e Svizzera, Blu Edizioni
Torino 2004
2 - Mario Sertori, Alpine Ice - Le 600 più belle cascate
di ghiaccio delle Alpi, Edizioni Versante Sud, Milano 2009
Le Montagne
NE dell'Islanda (3 febbraio 2008, foto Tullio Parravicini).
52scogliera
La
ghiacciata diDivertenti
Kaldakinn nel
Inverno 2010
Le Montagne Divertenti Mastro d'ascia (4 febbraio 2010, foto Francesca Marcelli).
Speciali d'Inverno
la sentii di aspettare il mio turno o
sfidare la sorte schivando i loro proiettili. Proposi al mio compagno un'altra colata che salendo avevo notato
più a sinistra del nostro obiettivo,
un siluro luccicante che si infilava in
uno stretto camino del quale dal basso
non si riusciva a vedere quasi nulla.
Quando fummo ai suoi piedi ci parve
bellissima e diversa da ogni altra: la
parte verticale era stretta e un po’
rammollita dal sole, mentre il colatoio
superiore angusto e impiastrato di un
sottile velo di durissimo ghiaccio. Ci
diede da fare e da dire, ma ci lasciò
passare senza pagare dazio. La chiamammo Gola dei Magri, per darle un
segno della nostra riconoscenza, una
casella nel catasto delle cascate e un’indicazione somatica ai futuri ripetitori.
ualche giorno dopo una
vocina suadente al telefono
mi proponeva un’escursione con le
ciaspole accompagnando 10 ragazze.
Volevano che scegliessi io il posto,
doveva essere suggestivo e adatto ad
una prima camminata con questi
aggeggi. Pensai che la val di Mello
in formato frigorifero potesse fare al
caso mio. Per verificare lo stato della
strada e la presenza di neve che giustificasse l’uso dell’attrezzo, mi infilai
in valle un pomeriggio di gennaio.
I raggi di un sole stanco tagliavano
in obliquo la piana di Filorera come
una gran fetta di salame. La neve era
ovunque, sull’incombente parete del
Cavalcorto, sul Sasso di Remenno
e sulla strada, lucida come una pista
di pattinaggio. La materia prima non
Q
54
Le Montagne Divertenti mancava e ogni ruscello era grasso e
abbondante di ghiaccio.
n val di Mello il grande
I
salto della val Arcanzolo era enorme rispetto
alle annate normali, ma alla
zanna che pendeva dall’alto
mancavano una decina di
metri per congiungersi al
piedistallo. Non capivo
come facesse a star su con
tutto quel peso, chissà chi
è che la tiene – mi domandavo… In 20 anni si era
formata in modo completo
una sola volta, ed era stata
tentata, ma senza successo.
D
omenica è il giorno della
gita, e torno al presente
perché è come se fossero passate
poche ore. Si parte con le donzelle e
il tormentone della canzone di Lucio
Battisti “10 ragazze per me… voglio
dimenticare…”
Risaliamo a piedi da San Martino e
quando siamo all’altezza del secondo
ponte pedonale sul Mello, tra una
chiacchera e l’altra, non posso fare a
meno di dare un’occhiata verso il salto
dell’Arcanzolo. Mi prende un colpo
quando la vedo tutta d’un pezzo…
è fantastica, esteticamente perfetta,
anche se la parte iniziale della colonna,
dove si aggancia alla base, sembra
finissima e trasparente. Faccio finta
di non pensarci, ma dentro un tarlo
rode… spero che quando sarò di
ritorno sia caduta a pezzi…. So che
non è mai stata scalata, ma anche se lo
fosse, potrebbero averla fatta ieri, non
è questo che importa, per me sarebbe
lo stesso. Non troverò pace finchè non
l’avrò salita.
M
artedì vado in avanscoperta,
la neve è caduta già da qualche giorno, ma non vedo passi umani,
solo orme di camosci a passeggio e un
caprone in carne e ossa, nero come
un corvo, con corna da stambecco
in pensione, gli occhi del demonio e
un triplo 6 marchiato a fuoco su un
garretto. Sembra voglia impedirmi di
raggiungere il mio destino e mi si para
davanti con fare da toro alla corrida.
Gioco la carta di bastoni, nel senso
che gli strappo il lasciapassare con una
clava di ginepro e un mantra inventato al momento.
uando sono a distanza di tiro,
non dall’armento ma dalla
cascata, rimango senza fiato: è pazzesca. Troneggia come un totem in una
caverna di pietra grigia con coltellate
di arancio. Non la tocco per scaramanzia. Le giro attorno.
Q
e parlo, ma non
L
risponde. Neppure
l’eco di questo antro
rimanda suoni. Sarà muta.
Nemmeno una goccia
d’acqua si muove. E’ irreale
e un po’ sinistra, ma è
grandiosa.
Mercoledì 4 febbraio le sono sotto
con Tullio e Francesca, assicuratore
e fotografo. Cerco una posizione
riparata per loro e favorevole a me.
Risalgo la stalagmite invitante come
una radice di quercia coricata fin
quando lo stomaco mi si chiude e il
naso sbatte sui denti aguzzi del tronco
di cristallo. I primi metri verticali
sono sempre i più critici perché bisogna cercare un linguaggio comune
o una “chiavetta” interpretativa che
permetta di proseguire verso l’alto
o viceversa. Lì si giocano le chances
di successo e non servono muscoli
d’acciaio, ma orecchio fino e cuore
resistente. E’ una lotta senza esclusione di colpi. Provo con le buone,
l’abbraccio energicamente, ma non
funziona nemmeno stringendole
i fianchi e soffiandole sul collo: è
fredda con me. Forse era promessa a
Inverno 2010
qualcuno e non mi si vuole concedere.
E’ un bel test per i nervi prima ancora
che per gli avambracci…. Mi sembra una
maratona che non ha fine… in posizioni
da kamasutra. Devo sorvegliare e pulire,
pulire e sorvegliare! Un plotone di fragili
candeline non permettono agganci stabili,
ricoprono la superficie come fosse la bocca
di un piranha all’ora dell’aperitivo e io mi
sento un po’ oliva e patatina insieme. I chiodi
barcollano invitando alla riflessione. Fermate il
gioco voglio scendere! Nessuno mi sente! Chiedo
aiuto alle forze della natura, al genio del luogo,
al gran visir di tutti i camosci e perfino al demonio
in veste da caprone… vedo la roccia del mio finepena come un miraggio. Il ghiaccio che si adagia un
poco mi fa tornare il battito regolare. Ho le mani massacrate, le dita si aprono, le braccia di legno marcio, ma qui
finalmente si può ricominciare a ragionare con i piedi. Sono
al termine del fusto, sulla cima dell’albero, sono finiti tutti
i rami e sono approdato sotto una lastra di pietra sporgente.
Recupero una corda, liberandola dai chiodi e ne getto un capo
sotto; Tullio mi aggancia il trapano e gli spit per attrezzare una
sosta sicura. Il ghiaccio qui sopra è sottile, una corteccia bucherellata di pochi centimetri ricopre il granito e credo di aver già
speso i miei bonus in salita per calarmi da una clessidra3 che
sosterrebbe a malapena un ermellino. Saranno due solidi fix di
acciaio inox a riportarmi sull’orizzontale, come si usa ormai in
tutta Europa. Intanto di fronte il sole spolpa con i suoi occhi di
fuoco la val del Ferro e lascia al regno delle ombre le fenditure
del lato sinistro del Mello.
Il fotografo sceso sulla strada per qualche scatto da lontano
incrocia due ice-climber di ritorno da Durango4 che rimangono
di sasso quando vedono un obiettivo puntato sul candelone.
Un terzo chiamato al telefono si becca un sacco di improperi
per non essersi liberato nel giorno giusto per cogliere per primo
quell’ambita cascata. “Vorrà dire che saremo i primi ripetitori!”
è il loro commento. Non dico nulla a nessuno, ma la voce della
salita si sparge velocemente. Vengo a sapere, dopo qualche mese,
quando della colonna non rimane che qualche pezzo alla base,
che non è stata ripetuta e che c’è stato solo un tentativo che però si
è arenato dopo pochi metri.
L’ho battezzata Mastro d’ascia, un nome gridato
dal basso per richiamare la mia attenzione
mentre cercavo l’uscita dall’Acquapendente,
una cascata dell’Appennino, ed anche la
definizione attribuita agli artigiani che un tempo
realizzavano a colpi di scure gli scafi di legno
delle imbarcazioni.
Il giorno di Mastro d’Ascia avevo programmato l’esplorazione
di una nuova colata proprio in quella zona, in val Nure, ma il
progetto non si era concretizzato per un improvviso rialzo delle
temperature sopra la linea gotica. Cogliere l’attimo prima che
l’attimo ci porti via…
3 - Clessidra di ghiaccio o Abalakov è ricavata rendendo comunicanti le cavità di
due chiodi da ghiaccio (di almeno 15 cm) infissi a 60° nella colata e quindi tolti.
4 - Durango è una cascata molto bella e ripetuta in val di Mello.
Le Montagne Divertenti Il (4
pietrone
Urali
55
Mastro d'Ascia
febbraiomalenco
2010, fotonegli
Francesca
Marcelli).
Alpinismo
Beno
Oltre gli scempi edilizi, oltre al caos degli impianti di
sci e delle seconde case, l'Aprica offre ai buongustai
della pace e della natura lunghi itinerari scialpinistici
di rara bellezza, in ambienti dove neve e vento sono gli
abili demiurghi di paesaggi incontaminati. Vi porteremo
così sul Telenek e sulle sue valli alte.
Per giungervi basta allontanarsi di poco dal crogiuolo
della frenesia e iniziare una dolce marcia verso il cielo.
Il monte Telenek (in piega) e le Alpi Retiche visti dalla cima del monte Sellero (13 marzo 2010, foto Beno).
56
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Le Montagne Divertenti L'anello del Telenek (m 2753)
57
Versante orobico
Alpinismo
TO DONATORIO.
NA E PASSAPAROLA.
MOTO DONATORIO.
ngue salva molte vite: alimenta e diffondi il moto donatorio.
DONA
E
PASSAPAROLA.
chi dona muove anche te.
Donarenoi:
sangue
salva
molte vite:
alimenta e diffondi il moto donatorio.
za siamo
dona
e passa
parola!
La forza di chi dona muove anche te.
Questa forza siamo noi: dona e passa parola!
AVIS SEZIONI COMUNALI DELLA PROVINCIA DI SONDRIO:
AVIS DI BORMIO 0342 902670
AVIS DI CASPOGGIO 0342 451954
AVIS DI CHIAVENNA 0343 67297
AVIS DI LANZADA 0342 452633
AVIS DI LIVIGNO 334 2886020
AVIS DI MORBEGNO 0342 610243
AVIS DI POGGIRIDENTI 0342 380292
AVIS DI SONDALO 0342 801098
www.avis.it/toscana
AVIS DI SONDRIO 800593000
s.it/toscana
58
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
La valle del Latte e la vetta del monte Telenek (m 2753) (13 marzo 2010, foto Beno).
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: San Paolo (m 1231).
Itinerario automobilistico: da Sondrio
prendere la SS 38 in direzione Tirano fino a Tresenda
(18 km). Qui svoltare a dx sulla SS 39 dell'Aprica e,
poco prima di Aprica, svoltare a sx in via Liscedo (10
km). La strada in discesa porta al Ponte di Ganda.
Prendere quindi la stretta carreggiabile che sale in val
Belviso. In caso di fondo ghiacciato conviene
proseguire a piedi, altrimenti si consiglia di salire fino
a San Paolo (m 1231), dove si parcheggia l'auto.
Per il ritorno conviene avere o una seconda auto in
località S. Antonio (Corteno), o una bella ragazza
scosciata che fa l'autostop, o un fesso che si fa 16 km
di corsa per tornare a prendere l'auto.
Itinerario
sintetico:
San Paolo (m 1231) Ponte Frera (m 1380) - Malga Nembra (m 1800) -
valle del Latte - bocchetta di quota m 2600 - monte
Lorio (m 2673) - bocchetta di Lorio (m 2600) - monte
Telenek (m 2753) - discesa per canale SE fino a m
2450 - bocchetta del Telenek (m 2588) - monte
Sellero (m 2743) - valle di Campovecchio - malga
Culvegla (m 1821) - Campovecchio (m 1313) - S.
Antonio (m 1121) + [solo per masochisti] Le Fucine
(m 875) - passo dell'Aprica (m 1172) - Liscedo (m
950) - Ponte Ganda (m 920) - San Carlo (m 1231).
Tempo previsto: 10 ore per arrivare a S. Antonio
Attrezzatura richiesta: kit antivalanga,
piccozza e ramponi.
Difficoltà/dislivello: 4- su 6 / oltre 1900 m
[oltre 2500 chiudendo l'anello a piedi].
Dettagli: OSA. Tratti fino a 45° sulle pendici del
Telenek.
13 marzo 2010
Le mie pelli sulle Orobie non si
eran mai spinte più a oriente del
Torena e l’idea di Pascal di fare
un bel giro in val Belviso mi attira
molto. Inoltre un anello attorno ad
una cima dal nome bizzarro come il
Telenek1 non può che incuriosirmi.
Il mio unico e infondato timore
è l’affollamento: la val Belviso
sarebbe una comoda meta turistica,
se solo il virus del sedentarismo, che
porta la gente a non avventurarsi
oltre a dove arriva l'auto, non avesse
già sterminato gli ultimi volenterosi
turisti.
La scarsa frequentazione di
questi monti, tuttavia, non è un
male recente. Già Silvio Saglio
nella Guida dei Monti d'Italia2
scriveva del gruppo del Telenek:
"In complesso sono monti che non
hanno mai attirato l'attenzione
degli alpinisti e degli escursionisti
e sono visitati quasi esclusivamente
da mandriani, pastori, contrabbandieri, cacciatori e talvolta da
qualche reparto di soldati durante il
1 - Il nome del monte Telenek discende dalla malga
di Telenek, il pendio-vallone che si stende sul
versante SE del monte. Non ci sono informazioni
invece sull'origine del toponimo.
2 - Silvio Saglio, Alfredo Corti, Bruno Credaro,
Guida dei Monti d'Italia. Alpi Orobie, CAI-TCI,
Milano 1956.
Le Montagne Divertenti campo estivo o le manovre. Tutto ciò
è dovuto non tanto alla loro limitata
prestanza morfologica, ma principalmente alle migliori attrattive
dei gruppi vicini e alla mancanza
o scomodità delle basi. Tutte queste
cime hanno una loro caratteristica,
improntata alla selvaggia desolazione dei lunghi valloni boscosi e
petrosi che sovente rinchiudono
pittoreschi laghi, grandi e piccini,
nei quali si specchiano aspre cime,
fasciate da macereti variamente
colorati, campionario roccioso
dell'ossatura delle montagne".
L'anello del Telenek (m 2753)
59
Versante orobico
Alpinismo
P
strada che, tanto innevata quanto
insabbiata, può essere percorsa solo
a piedi. Al cancello che chiude la
strada (m 1380) possiamo calzare le
assi e scivolare a sx del recinto per poi
passare sulla dx idrografica della val
Belviso. Al parco giochi ha inizio il
sentiero bollato per la Malga Nembra
(E). D’inverno i bolli son nascosti
dalla coltre bianca e ci si deve orientare badando alle ingannevoli forme
disegnate dalla neve che si adagia su
tutti i piccoli dosselli dando l’idea che
di lì passi il sentiero. Buona norma
per non perdersi è osservare i rami
bassi degli alberi che, a ridosso del
sentiero, vengono recisi con la scure.
La via si alza verso E sulla dorsale
che divide la val di Soffia (dx) dalla
valle del Latte (sx). Oltre i m 1700,
dentro il bosco, si vedono delle case di
caccia lignee sugli alberi. Prendiamo
quota fino a uscire comodamente
nella val di Soffia (dx, il sentiero estivo
si mantiene invece nel bosco fino
alla malga Nembra), sede di copiose
valanghe che scendono dalle pendici
del monte Frera.
aliamo la valle sgombra d’alberi
fino a m 1800, dove ci portiamo
sull’ampia sella di sx, la scavalchiamo
e ci abbassiamo di qualche metro
verso NE, quindi pieghiamo a E (dx)
ed entriamo così nella valle del Latte.
Ci dirigiamo (SE) verso il suggestivo
anfiteatro alpino chiuso a N dal monte
Torsolazzo, a S dal monte Nembra e
a SO dal monte Lorio3. Alle nostre
spalle inizano a svanire le sagome del
Lavazza e del magnifico Torena che ci
avevano fatto compagnia fino ad ora.
Quasi in fondo alla valle seguiamo
l’ampio canalone-pendio che si alza a
SSE verso la sella tra il monte Nembra
a dx e il monte Lorio a sx. Tanti zigzag e paesaggi sempre più incantevoli
ci fanno raggiungere lo spartiacque a
quota 2600 ca. La vista si apre sulla
val di Pisa, dove si riconosce il lago
seppur ghiacciato e ricoperto di neve.
Poi ammiriamo l’intera testata della
val Belviso, il vicino monte Lorio, il
Telenek, la cima più alta della regione,
da qui apparentemente lontanissimo,
e, poco più in là, la bella piramide del
artiamo al mattino presto
da Sondrio. Io e Gioia non
abbiamo fatto colazione, tant’è che
ci fermiamo in una bettola a San
Giacomo. Cappuccio e brioche
circondati da anziani che si scolano
la grappa secca delle 7 del mattino e
grassi signori di mezz’età che iniziano
i loro allenamenti al videopoker ancor
prima che sorga il sole.
oco prima dell’Aprica prendiamo la svolta sulla dx che
scende al Ponte Ganda, quindi abbandoniamo la rotabile per Carona e
seguiamo quella a S (sx) per Frera
e la val Belviso. Il fondo stradale è
sporco di neve e ghiaccio e un cartello
vieta l’accesso in questa stagione, ma
Pascal mi istiga al crimine e il Panda
ci porta quasi 4 km più in alto, nei
pressi del nucleo di baite di San Paolo
(m 1231). Oggi il vero problema irrisolto dell'alpinismo sarà riportar giù la
macchina per la strada ghiacciata: non
ho le catene!
esse le pelli, regolati gli scarponi, come nelle gare di
sci alpinismo: pronti, via! Macchè!
Ci incamminiamo assonnati per la
P
M
S
3 -Varie mappe attribuiscono questi toponimi a
montagne differenti, io nel nominarle mi sono
attenuto alla guida Alpi Orobie di Saglio, Corti e
Credaro
Il comprensorio dell'Aprica visto da I Laghetti sopra Bianzone (21 febbraio 2010, foto Beno).
60
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Le Montagne Divertenti Sellero. Non c’è anima viva nel raggio
di chilometri.
erseguitati dal vento seguiamo
la cresta (E, sx) e in breve siamo
sul Monte Lorio (m 2678, ore 4:30).
Dalla vetta si diramano tre creste:
a O quella da cui proveniamo, a N
quella che va verso il Torsolazzo e a
ESE quella verso il passo del Lorio
e quindi il Monte Telenek, nostra
meta. Il filo innevato è piuttosto
stretto. Pascal tiene gli sci impellati ai
piedi e scende a scaletta. Io e Gioia,
dopo una ventina di metri a piedi, ci
lasciamo scivolare col culo nella valle
delle Rose, dove, rimessi gli attrezzi,
saliamo verso l’evidente passo del
Lorio (m 2600 ca). La ripida faccia
NO del Telenek (40°) è davanti a noi.
Il vento ha fatto un po’ di disastri
rendendo la neve crostosa e scoprendo
le pietre in molti punti. Così, già
dopo pochi metri, decidiamo che è
lo zaino il posto giusto per gli sci, e
iniziamo a tacchettare i 100 metri di
dislivello che portano in vetta. Vento
da lupi, -7°C. Sul testone sommitale
le pendenze scemano e si affonda, così
rimettiamo gli sci e raggiungiamo la
piccola croce di vetta del Telenek (m
2753, ore 0:40). Siamo sulla vetta
più alta di questo gruppo montuoso,
ma come per magia, nel raggio di 15
metri attorno alla croce non c’è un
filo d’aria, così ci sediamo e ne approfittiamo per uno spuntino.
a gita sarebbe finita, ma le ore
di luce sono ancora tante e
nessuno ne ha voglia di scivolare verso
casa. Puntiamo quindi una nuova
cima: il monte Sellero4 (SSE). Ma
come raggiungerlo? Nessuno di noi
ha idea di come scendere dal Telenek
per versanti differenti da quello da cui
siamo saliti. Tutte le altre facce della
montagna paiono precipitare con
pendenze proibitive. Pascal vorrebbe
passare da E, ma io non mi fido: dove
non si vede, a mio avviso, c’è un salto
di rocce molto alto. Così, mentre loro
sono al dolce (‘n arànz), io vado in
perlustrazione. Scendo a SO verso la
cresta che separa la val di Pisa dalla
valle di Campovecchio e che dal
Telenek prosegue frastagliata fino al
Sellero. Scopro che, oltre una fascia
P
L'anfiteatro conclusivo della valle del Latte.
Sulla cresta N del monte Lorio.
Il Sellero dalla cima del Telenek.
L
4 - Il toponimo si riferisce ai pascoli e alla valle del
versante meridionale che fanno capo all'abitato di
Sellero, un tempo paese agricolo da cui venivano
monticate le bestie.
Discesa dal Telenek - tracciato.
Discesa dal Telenek.
Le ultime curve per la vetta del Sellero.
L'anello del Telenek (m 2753)
61
Versante orobico
Alpinismo
rocciosa, c’è un ripido canale nevoso
continuo che smonta a sx a fino al
fondovalle. Da lì salire al Sellero sarà
pura formalità.
er cui ci abbassiamo a piedi fino
all’inizio del canale e, rimessi gli
sci, serpeggiamo per il ripido pendio
di neve (40°). A m 2450 ca ripelliamo
e saliamo il largo vallone di cui la
sagoma del Sellero - sformata dalle
colonne di neve alzate dal vento disegna lo sfondo. Un’impennata di
50 metri, quindi il pendio volge a O.
Guadagniamo per lastroni instabili la
cresta SO del Sellero a 50 metri dalla
vetta. Si muove la neve sotto i piedi,
ma Pascal mi dice che “anche se parte,
è roba piccola”. Io non sono troppo
tranquillo, ma è fatta (Monte Sellero,
m 2743, ore 1)! Gioia, che inizialmente aveva deciso di saltare l’ultima
vetta, ci raggiunge in breve sospinta
dalle raffiche di vento. Il paesaggio è
squisito e possiamo anche pregustarci
parte della discesa, che avverrà per la
valle di Campovecchio.
irette le punte verso valle,
dopo 200 metri di crosta
infame, finiamo in un fantastico
pendio carico di neve polverosa. Qui
anche un principiante riuscirebbe a
disegnare curve eccellenti!
Cerchiamo di non portarci troppo
verso N per evitare alcuni salti di
roccia e, dopo una discesa a dir poco
superba (E), ecco il fondovalle.
innanzi a noi un desolato
falsopiano. Tutto di braccia
coi bastoncini, che spesso e volentieri
affondano nella neve per tutta la loro
lunghezza. Ci mancan solo le tutine
aderenti, poi ci potrebbero scambiare
per fondisti in tecnica classica! Ci
teniamo sulla dx idrografica e, alla
vista delle baite (Malga Cuvegla, m
1830), andiamo sull’altro versante.
Un traverso diagonale ci porta all’immane valanga allo sbocco della valle
delle Rose. La attraversiamo da SE
a NO, quindi seguiamo il sentiero
sulla sx idrografica che percorre tutta
l’interminabile valle di Campovecchio che fino a m 1350, per fortuna,
è quasi in discesa. Con le braccia già
ghisate siamo a Campovecchio (m
1311, ore 1:30).
e prime tracce di uomo. Un
ponticello coperto porta sulla
dx idrografica. Di qui si potrebbe
P
D
D
L
Nel
a SE del
Telenek (13
Montagne
Divertenti
marzo 2010, foto Beno).
62 ripidoLecanalone
Inverno 2010
Le Montagne Divertenti Verso il monte Sellero (13 marzo 2010, foto Beno).
scendere lungo il torrente, ma probabilmente oggi non c’è neve a sufficienza, così seguiamo la rotabile che,
dopo numerosi sali e pochi scendi,
arriva agli ultimi due ripidissimi
tornanti in discesa per Sant’Antonio
(m 1127, ore 0:30)5.
ono le 18. Al volo levo sci e
scarponi. Indossati maglietta e
pantaloncini, inizio la corsa-calvario
per il ritorno a San Paolo. Gioia e
Pascal invece scenderanno fino a Le
Fucine alla ricerca di una locanda
dove aspettarmi e giocarsi la mia
attrezzatura ai videopoker.
aggiunto Le Fucine (2 km da
Sant'Antonio) e pure la SS 39,
corro fra le macchine e lo smog ammirando tutti gli scempi edilizi della
zona, i SUV che mi sfrecciano accanto
suonando il clacson senza alcun
motivo e la luce che se ne va incalzata
dalla notte. Dopo 35 minuti, alcuni
ecomostri mi annunciano Corteno,
oramai un tutt’uno con l’Aprica. Qui
inizia il marciapiede dove molti turisti
spingono il passeggino per donar aria
buona ai lori bimbi (credo che la mia
caldaia sia un ambiente di gran lunga
più salubre). All’Aprica c’è gente
inebriata dallo shopping ovunque,
uno shock dopo una così bella giornata di pace. Mi gratta la gola per i
fumi di scarico. La piana è un conti-
S
R
5 - Qui sarebbe opportuno avere una seconda auto
o mendicare un passaggio.
nuo slalom fra turisti impegnati al
telefonino, SUVisti in doppia e tripla
fila col loro potente mezzo acceso per
mantenere in temperatura l’abitacolo
anche durante la loro assenza, vestiti
all’ultima moda, sguardi di disapprovazione per i miei pantaloncini a 0°C.
Aumento l’andatura per fuggire da
quel posto, ma ho un ginocchio che
fa scintille. E’ buio e scendo contromano per la SS 39 fino al bivio per il
Ponte di Ganda. Uscito dalla SS 39
torna il silenzio. Risalgo la val Belviso
col vento gelido che mi impala braccia e gambe. E’ notte e scivolo ad ogni
passo. La strada non finisce più. Che
massacro: dopo 1 ora e 15 minuti
sono al Panda dove ho qualche vestito
di ricambio. Col cuore in gola e i
denti che battono per il freddo, guido
sul fondo ghiacciato riuscendo a non
uscire di strada. Pochi minuti e saluto
con ritrovata sicurezza l'asfalto che in
14 km mi porta al ristorante dove mi
aspettano Pascal e Gioia. Sono a pezzi,
più per il freddo che per la corsetta.
a sciura che comanda, impietosita dal racconto di ciò che ho
fatto, mi serve porzioni da scaricatore
di porto. Cannelloni col ragù e pizzoccheri annegati nel burro: una dose di
cibo tale che pure il mio stomaco solitamente capiente come il pozzo di
San Patrizio - rifiuta il dolce per non
esplodere! E così, con la pancia piena,
si chiude una splendida giornata.
L
L'anello del Telenek (m 2753)
63
Alpinismo
La val di Rezzalo, laterale orientale della Valdisotto accessibile dalla
frazione di Fumero, è parte del comune di Sondalo. Delle valli del
Parco Nazionale dello Stelvio è tra le meno conosciute, ma non per
questo meno bella.
Qui è possibile ritrovarsi in contatto con la natura e con se stessi
senza alcuna fatica e difficoltà.
Il monte dei Poltron è una delle cime che dominano la sx orografica
della valle. Il toponimo trae origine dal fatto che in passato i pastori
solevano spesso fare tappa e “poltrire” sulle pendici del monte.
La cima non è facilmente riconoscibile dal fondo valle, ma da Le
Gande se ne distingue il ripido vallone O, ben noto agli amanti dello
scialpinismo.
Gruppo di
in val
Savoretta, sulla sinistra la vedretta che porta al Savoretta (11 aprile 2010, foto Giacomo Meneghello).Inverno 2010
Lescialpinisti
Montagne
Divertenti
64
Le Montagne Divertenti Val di Rezzalo: Monte dei Poltron (m 2698)
65
Alta Valle
Alpinismo
Scialpinisti all'imbocco della val Savoretta, sullo sfondo il monte dei Poltron (11 aprile 2010, foto Giacomo Meneghello).
Partenza: Fumero (m 1465).
Itinerario automobilistico: da Tirano seguire
Bellezza
Fatica
Pericolosità
la SS. 38 dello Stelvio fino a Le Prese. Qui uscire e
seguire le indicazioni per Fumero – val di Rezzalo.
Dopo 6 km, passata una breve galleria aperta, si
attraversa l’abitato di Fumero oltre cui si trovano i
primi parcheggi per l’auto. E' possibile proseguire
ancora in auto e imboccare la strada sterrata che
porta in val di Rezzalo. Dopo meno di 1 km, in località
Fontanaccia, si troverà un’altra serie di parcheggi.
Itinerario
sintetico: Fumero (m 1465) Fontanaccia (m 1510) - San Bernardo (m 1870) Clevaccio (m 2127) - monte dei Poltron (m 2698).
Tempo di salita
Attrezzatura
previsto: 3 ore.
richiesta:
scialpinismo, kit antivalanga.
attrezzatura
da
Difficoltà/dislivello: 3 su 6 / 1200 m.
Dettagli: BS. Mappe: Kompass n. 72, Parco
Nazionale dello Stelvio, 1:50000.
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lingua e hanno a cuore la tua salute nel tempo.
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66
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
L’
itinerario parte dalla fine
dell’abitato di Fumero lungo
la sterrata che si addentra in val
di Rezzalo. In caso di buon innevamento, in 10 minuti, si arriva a
Fontanaccia1 con gli sci ai piedi.
La strada che percorre la val di
Rezzalo è grossomodo quella realizzata dai militari durante la prima
guerra mondiale e risulta carreggiabile
fino alle baite Tegiacce (m 2221).
Anni fa venne ipotizzato un tracciato carrozzabile verso il passo Gavia,
poiché, pochi chilometri oltre il passo
dell’Alpe, si interseca la strada che
da Santa Caterina porta al passo di
Gavia. Tuttavia la conformazione
geologica del territorio portò gli ingegneri ad abbandonare questa idea.
Da Fontanaccia la via s'immerge
nella pineta e corre lungo la carreggiabile. Il manto nevoso è quasi sempre
battuto dal gestore del rifugio La
Baita per facilitarne la percorribilità
anche agli amanti dello slittino.
La pendenza moderata e costante,
nell’ordine del 10%, permette di
ammirare il paesaggio che un po’
alla volta si apre sulla val di Rezzalo
e sulle prime baite in località Pontela
1 - Limite per il traffico veicolare.
Le Montagne Divertenti (m 1600), dall’altra parte del torrente
Rezzalasco.
Una caratteristica della val di
Rezzalo fino alla località San Bernardo
è la localizzazione sulla sx orografica
dei principali gruppi di baite, che
rimangono collegate alla strada principale tramite una serie di graziosi ponti
in legno. Questi insediamenti sono,
nei primi due terzi della vallata, di
pertinenza degli abitanti di Frontale
e Fumero, mentre nel terzo superiore
vi monticano gli abitanti di Sondalo e
delle altre frazioni.
Poco prima di giungere in località
Le Gande (Li Ghènda, m 1674)2, la
pineta si fa meno fitta e davanti a noi
verso dx compare il ripido vallone
O del monte dei Poltron. Qui è
anche presente e in parte visibile
l’acquedotto (i cui lavori iniziarono
nel 1938) dell’ospedale Morelli di
Sondalo che, assieme al più recente
acquedotto comunale in località La
Fontanàscia, sfrutta la ricchezza d’acqua della vallata3.
La strada effettua una doppia coppia
2 - La segnaletica in loco differisce dalla Kompass e
attesta una quota di m 1733.
3 - Recentemente sono state anche realizzate
un’opera di captazione in località La Préśa, a valle
di Fumero, e una contestata centrale idroelettrica
ubicata in frazione Le Prese.
di tornanti, oltrepassando le baite de
Le Gande, ed esce definitivamente
dalla pineta addentrandosi sempre
più nella valle. Dall'altra parte del
torrente si notano la baite di Teat (m
1831). Non visibili perché nascoste
nel bosco, vi sono anche le baite de Le
Saline. Oltrepassato Teat la valle tende
ad aprirsi sempre di più e la salita si fa
molto dolce, fiancheggiando a sinistra
un’area picnic attrezzata e a destra le
baite Scalota. Poco più avanti la strada
spiana ulteriormente e sulla dx, oltre
il torrente, ecco le baite di Macoggia
che occupano la piana innevata in cui
termina il vallone del monte Poltron.
In lontananza diventa anche visibile
la chiesa di San Bernardo (m 1870).
Consacrata nel 1672 è dedicata al
monaco Bernardo di Chiaravalle,
fondatore nel XII secolo dell’ordine
dei Cistercensi, che esortava a fuggire
dalle città per trovare la salvezza nelle
foreste e nei luoghi solitari, fra alberi
e pietre. Una targa, nei pressi della
chiesa, ci riporta, invece, a tempi
molto più vicini ai nostri, in quanto
ricorda il contributo della valle alla
lotta della Resistenza durante la
Seconda Guerra Mondiale.
Alla fine degli anni ’30, durante
la cura di don Camillo Valota, per
Val di Rezzalo: Monte dei Poltron (m 2698)
67
Alta Valle
Alpinismo
Rezzalo dominata dal corno di Boero
(m 2878). Mentre, spingendo più in
là lo sguardo, si riconoscono alcune
delle cime Retiche tra cui il monte
Storile e il monte Masuccio.
Sul fianco O del monte dei Poltron si
snoda la ripida ed emozionante discesa
lungo il vallone che conduce velocemente al fondovalle6. Tale discesa è da
affrontarsi solo con neve buona e ben
assestata, dato il pericolo di slavine
legato all’esposizione ed alla pendenza
elevata: 40° nella prima parte7.
La discesa dal versante O si effettua
tenendosi quanto possibile verso dx.
Le pendenze, sostenute nella prima
parte, diminuiscono man mano si
perde quota lungo il vallone.
iunti alle pendici del monte
si torna verso la chiesa di San
Bernardo, raggiungibile oltrepassando un ponticello di legno. Per chi
avesse dimenticato in macchina le
vettovaglie o chi avesse voluto viaggiar leggero è possibile raggiungere
in pochi minuti il rifugio La Baita8,
ben visibile in alto a dx, per un lauto e
meritato pranzo.
Il ritorno dalla val di Rezzalo
avviene lungo la strada dell'andata,
facendo attenzione a non investire gli
altri escursionisti che stanno salendo.
G
Le cime della val Sobretta e il tracciato di discesa dal monte dei Poltron visti dalle pendici del monte Pollore (21 gennaio 2010, foto G. Meneghello).
4 - Cfr. G. Schena, Frontale fra Otto e Novecento, in
Bsav n. 12/2009, pp. 249-250.
5 - Questo tratto è soggetto a slavine in caso di
neve particolarmente instabile, per cui è
consigliabile salire seguendo il percorso estivo,
spesso in parte visibile, rimanendo vicino al fiume
e discosti dalle pendici della cima delle Pozze.
6 - Questa discesa è parte del tracciato del rally
scialpinistico della val di Rezzalo che si effettua
ogni anno a fine gennaio.
7 - Qualora le condizioni della neve non siano
ottimali è vivamente consigliabile il rientro dalla
stessa via dell’andata. Sebbene le pendenze siano
minori del versante opposto le emozioni non
mancheranno data la bellezza del luogo e la neve
spesso “polverosa” e ben sciabile della val Savoretta.
8 - Tel. 0342 1895516 - www.rezzalovacanze.com.
Prima di volger le punte
degli sci a valle, lasciamo
andare i nostri pensieri,
lasciamo che cullati da
un candido e soffice mare
bianco si prendano il loro
tempo. Come i vecchi
pastori qui solevano
fare, come forse talvolta
abbiamo disimparato a
fare.
D
Vol. 1
o
di Com
laghi
ina ai
ore:
ia,
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alla cima il paesaggio è vasto:
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lontananza l’inconfondibile sagoma
del Gran Zebrù e la punta del pizzo
Tresero, mentre in primo piano
vi è l’immensa distesa di neve che
ricopre la vallata. Dal lato opposto ecco la prima parte della val di
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(m 2646) e su pendenze moderate si
risale (S) sulla sx orografica. Dopo un
primo tratto (m 2450 ca.) ecco sulla
sx la ripida gola che porta alla vedretta
del Savoretta e alla cima Savoretta.
Ci si tiene invece sulla dx e si serpeggia sul fianco orientale del monte dei
Poltron verso la sella a S della vetta
(m 2666). Dal valico si sale a N e in
pochi minuti si guadagna il monte
dei Poltron (m 2698, ore 1:20).
ardia
Poco prima della chiesa di San
Bernardo (m 1815, ore 0:50) si
trovano (sx) le indicazioni per il rifugio
La Baita, unico punto di appoggio e
ristoro della valle, raggiungibile agevolmente in pochi minuti e aperto tutti i
week end invernali e su prenotazione
anche nei giorni infrasettimanali.
iamo al centro della valle,
immersi nella natura del Parco
Nazionale dello Stelvio, tra luoghi
ancora selvaggi, distese di neve immacolate interrotte da alcuni gruppi di
baite che in gran parte hanno mantenuto gli aspetti originali e caratteristici
grazie a restauri coerenti con lo stile
tradizionale. La baita tipica della valle
è quella cosiddetta a blockbau, ossia
a tronchi incastrati sopra una base in
muratura. I tetti sono ricoperti con
embrici in legno, localmente dette
sc’chèndola, oppure con lastre di pietra
(préda). Alcune baite sono costruite
interamente in muratura con sasso a
vista e poca calce. La struttura archi-
tettonica è essenziale: al piano interrato la stalla per i bovini, con talvolta
a fianco quella per gli ovini e i caprini,
sopra il fienile attiguo al locale destinato all’uso abitativo detto la téghia.
Oltre la chiesa la strada non è quasi
mai battuta dai mezzi meccanici.
Il percorso, quasi in piano e senza
difficoltà, costeggia le varie baite del
fondovalle. Giunti a Ronzone (m
1900) si oltrepassa il ponte in località Il Merlo. A questo punto la val di
Rezzalo si impenna e ha inizio la salita
scialpinistica vera e propria.
L'inclinazione costringe a procedere a tornanti fino superare il dosso
oltre cui si trova Clevaccio (m 2127,
ore 0:50)5.
La strada spiana all'imbocco della
piana innevata di Clevio. La punta del
pizzo Tresero fa capolino all’orizzonte.
Prima in piano, poi in leggera
discesa si piega a dx e si abbandona la
val di Rezzalo per entrare nella valle
di Savoretta, dominata dalla cima
di Valmalza (m 3094) e dalla cima
Savoretta (m 3053). Si contornano le
pendici orientali della cima delle Pozze
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finanziare la manutenzione della
chiesa, ci fu un periodo di produzione e vendita di formaggi, localmente detti Sciumudìn, chiamati
per l’occasione “di San Bernardo”4.
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Scialpinisti scendono dal versante O del monte dei Poltron (11 aprile 2010, foto G. Meneghello).
A piedi in Lombardia vol. 1
Una guida ai sentieri più belli delle Alpi e Prealpi lombarde
74 passeggiate, escursioni e trekking alla scoperta della natura
E' da poco in libreria la terza edizione completamente rinnovata della guida “A piedi in
Lombardia” (Iter Edizioni, 264 pagg., € 14), curata da un team di autori – escursionisti,
alpinisti, giornalisti e accompagnatori di media montagna – esperti frequentatori delle
montagne lombarde, coordinati da Beno e Giorgio Orsucci.
Dalle nevi perenni del pizzo Bernina ai laghi di Como e della Brianza, dal pizzo Coca
al lago Maggiore, con passeggiate classiche e frequentate, ma anche con una moltitudine
di itinerari insoliti e sorprendenti che per la priva volta han voce in una guida.
E così, scarpinando dai vigneti alle immani torri di granito della Valmasino, dalle
riviere fiorite fino alle guglie di calcare del lecchese, escursionisti ed amanti della natura
- di ogni gamba e preparezione - troveranno in questo volume una ineguagliabile fonte
di ispirazione per il proprio tempo libero.
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Le Montagne Divertenti Inverno 2010
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Le Montagne Divertenti Val di Rezzalo: Monte dei Poltron (m 2698)
69
La val di Rezzalo - tradizioni
La val di Rezzalo è una tipica valle
alpestre disseminata di gruppi di baite
destinate alla monticazione, di praterie, pascoli, boschi di abeti nella parte
più bassa e infine di larici nella parte
medio-alta.
Nel passato la val di Rezzalo fu
descritta
solamente
nell’aspetto
geografico. Fortunat Sprecher, per
esempio, nel suo volume Pallas Retica
del 1671, così ne dà menzione: “Valle
di Rezzalo, dalla quale scende il torrente
Rezzalasco che si getta poi nell’Adda,
come fanno tutti i corsi d’acqua della
Valtellina. Qui si trovano Frontale e
Fumero”. Altri cenni vengono fatti
dalle guide alpinistiche edite dalla
seconda metà dell’Ottocento in poi.
Riguardo alla mineralogia, nello
Spione chinese, Ignazio Bardea
menziona la presenza di scagliola: “la
più diaffana e bella si trova per andare
a Frontale da Santa Caterina per la via
di Plaghera”.
La valle fu sicuramente via di
passaggio dei pastori bergamaschi,
che transumavano nei ricchi pascoli
di Valfurva con le loro greggi. Forse
non è da escludere che fruissero anche
delle pasture sondaline visto che
nel dialetto di Frontale è in uso una
manciata di parole di quasi sicura
origine bergamasca, quali ad esempio
śg’gàlbera “zoccolo” (altrove in Valtellina si dice ciupèl), gambìsc “collare
per ovini e caprini” (altrove prevale il
termine canàula).
Durante il periodo della monticazione, dopo le faticose giornate
di lavori agricoli, raccolta di legna,
strame e fieno selvatico, i valligiani
Dario Cossi
Le baite in località Macoggia e il torrente Rezzalasco (foto Giacomo Meneghello).
erano soliti ritrovarsi di sera in compagnia per il rosario e le preghiere a
Sant’Antonio affinché proteggesse e
mantenesse sano il bestiame. Questa
era anche l’occasione per conversare
e raccontare storie, spesso di sapore
misterioso, demoniaco o terrifico,
tanto per inquietare i più giovani e
i più impressionabili. Purtroppo la
tradizione orale si è inesorabilmente
interrotta e la maggior parte delle
storielle è caduta nel dimenticatoio.
Tra le poche sopravvissute vi è quella
della contadina che, un giorno, mentre
era all’interno della sua baita a Ronźón,
udì provenire dall’esterno i vagiti di
un neonato. Aperta la porta si guardò
attorno per vedere dove si trovasse il
pargoletto che gemeva in modo così
straziante. Lo vide proprio deposto,
apparentemente abbandonato, sulla
soglia della propria baita. Lo raccolse,
lo coccolò e lo nutrì con la pappa che
preparò all’istante per sfamarlo. Ma
tutto a un tratto la donna si ritrovò tra
le mani soltanto le fasce e subito sentì
provenire dall’esterno la voce cavernosa dell’orco che rideva a crepapelle
«hu hu… che sónt plén de pólt!» (hu hu,
che sono pieno di pappa!).
Pare anche che il crocifisso in località Malnìo venne posato a protezione
dei viandanti, perché in quella zona
se vedéva e se sentiva, si “vedevano”
(cose misteriose e inquietanti) e si
“sentivano” (voci e rumori ugualmente misteriosi e inquietanti). Poco
distante, nella zona alla base del Sàsc
de Ronźón pare fosse stato “confinata” l’anima di un eretico chiamato
al Cuertùr, altro motivo di spavento
soprattutto nelle ore del crepuscolo e
della notte.
Una tradizione popolare oramai
desueta, consiste nella sc’pórscia, cioè
l’offerta a viandanti, parenti, vicini
e amici, di un pezzetto di focaccia
(cornàt) preparata in occasione del
ritorno a fine estate dell’alpigiano in
paese.1 La consuetudine non appartiene soltanto alla val di Rezzalo, ma
più in generale a tutti gli alpeggi del
Comune di Sondalo, di cui l’usanza
sembra essere esclusiva. I comuni
circostanti non sembrano infatti conoscere questa particolare usanza.
1 - Cfr. D. Cossi, Monticazione e discesa dall’alpeggio
a Frontale, in Bsav n. 11/2008, pp. 203 ss.
Luciano Bruseghini
70
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Disgrazia, Cassandra e valle del Giumellino visti da Caspoggio. Indicato il tracciato per
la bocchetta del Giumellino (31 gennaio 2009, foto Luciano Bruseghini).
Le Montagne Divertenti La valle dei Giumellini
71
Valmalenco
Alpinismo
Alpe Giumellino, pizzo Scalino e Corni Bruciati visti dalla bocchetta alta di valle del Giumellino (31 gennaio 2009, foto Luciano Bruseghini).
Bellezza
Partenza: Primo tornante destrorso dela strada
Chiesa-Primolo (m 1100 ca.).
Itinerario
Fatica
automobilistico: Da Sondrio prendere
la SP13 della Valmalenco. Superati gli abitati di Mossini
e Torre S. Maria, dopo circa 15 Km si giunge a Chiesa
Valmalenco. Si prosegue lungo la strada comunale per la
frazione di Primolo fino al primo tornante verso dx.
Pericolosità
Itinerario sintetico: Primo tornante destrorso della
strada Chiesa Valmalenco / Primolo (m 1100 ca.) - alpe
Giumellino (m 1756) - valle del Giumellino - bocchetta
alta di val Giumellino (m 2860).
Tempo previsto: 4 ore per la salita.
Attrezzatura richiesta: da scialpinismo o ciaspole.
Kit antivalanga.
Difficoltà/dislivello: 3- su 6 / 1750 m.
Dettagli: MSA.
Mappe: Kompass foglio 93 - Bernina-Sondrio 1:50000.
Itinerario scarsamente
frequentato nel periodo
estivo, viene rivalutato
in inverno dai pochi sci
alpinisti locali in cerca di
nuove emozioni! Infatti la
valle del Giumellino, che
si sviluppa sopra l’abitato
di Chiesa in Valmalenco, è
tanto dolce e bucolica nella
parte bassa, quanto aspra e
sassosa in quella alta.
Il nome Giumellino è attribuito
anche a un alpeggio, a una cima e a
un corso d’acqua che nei periodi di
grande piovosità scende da pareti
scoscese con energia dirompente per
immettersi nel torrente Mallero.
Riguardo al toponimo1 esiste una
leggenda che racconta di due fratelli
invaghiti di una bella giovane. Per
scegliere chi sposare, ella li mise alla
prova invitandoli a scalare un’alta vetta
rocciosa ricoperta di ghiaccio, probabilmente il pizzo Cassandra. Non
vedendoli tornare, andò loro incontro
lungo la valle di Sassersa e, pentendosi
della sfida lanciata, iniziò a piangere
(qui si formò il primo laghetto di
Sassersa). Continuato il cammino, si
fermò oltre un dosso roccioso e anche
qui versò parecchie lacrime (secondo
laghetto). Salita un’ulteriore balza,
stremata dallo sforzo, singhiozzò e si
1 - Il toponimo è legato alla caratteristica cima
bifida del pizzo Giumellino.
72
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Le Montagne Divertenti Nella mappa sono indicati 3 siti estrattivi della valle del Giumellino: A - cava di pietra ollare della
valletta dell'Aquilone (m 2450), B- cavadi pietra ollare della Trona del Vendul (m 1900), C- cava
d'amianto del Ciàn Camùsc' (m 1800).
La valle del Giumellino nella sua parte alta (qui vista da quota 1900 ca) si divide in due valli.
Entrambe comunicano con la valle Airale attraverso delle bocchette. Quella della diramazione
settentrionale è nota come bocchetta alta di val Giumellino, l'atra come bocchetta bassa di val
Giumellino. A fianco: in vetta al pizzo Giumellini (6 gennaio 2010, foto Beno).
lasciò morire (terzo laghetto). Davanti
al pizzo Cassandra, dove perirono
i due fratelli, sorse una cima a due
punte, detta dai contadini del luogo i
Gemellini, oggi pizzo Giumellino.
itinerario
uesta valle, incassata tra le
pendici meridionali del pizzo
Cassandra e la cresta settentrionale
che dai Corni di Airale degrada fino
all’alpe Giumellino, va affrontata
solamente con neve sicura, perché i
ripidi contrafforti che la circondano
scaricano enormi valanghe. La scarsa
Q
frequentazione della zona permette
un’incredibile sciata su neve sempre
immacolata e farinosa, in quanto il
pendio è completamente rivolto a E.
L’itinerario parte dalla strada che
collega l’abitato di Chiesa Valmalenco
con la piccola e graziosa frazione
di Primolo. Nei pressi del primo
tornante verso dx, si stacca una stretta
pista che conduce all’alpe Giumellino
e all’alpe Lago (cartello indicatore per
il rifugio Bosio). Questo passaggio
non viene sgomberato dalla neve per
cui è possibile partire direttamente
da qui con gli sci ai piedi (m 1100
La valle dei Giumellini
73
Valmalenco
Alpinismo
ca.). Nel caso di scarse precipitazioni,
oppure se si è a stagione inoltrata, si
può proseguire con l’auto per circa un
chilometro, poi una sbarra preclude
l’accesso ai non autorizzati.
Si segue il tracciato che si snoda
inizialmente in un fitto bosco di pini
e teck, prendendo quota regolarmente
senza tratti ripidi aiutato da diversi
tornanti. Bisogna prestare attenzione
alle rare motoslitte che gli abitanti
del luogo utilizzano per salire agli
alpeggi nel periodo invernale. Man
mano si guadagna quota, la vista sui
paesi dell’alta Valmalenco si fa sempre
più chiara. Dopo circa 5 chilometri si
raggiunge un bivio (m 1550 ca., ore
1:00), la carrareccia prosegue in due
sensi differenti: verso S va avanti per
l’alpe Lago, verso O si collega all’alpe
Giumellino. Noi ovviamente optiamo
per quest’ultima direzione e continuiamo per circa due chilometri lungo
tale percorso fino a toccare le casette
dell’alpe Giumellino (m 1756, ore
0:30). Questo grazioso alpeggio ha
delle baite spettacolari, ristrutturate
utilizzando solamente il materiale
locale: pietra, legno e ciöde (lastre di
serpentino scisto per la copertura dei
tetti). I suoi ampi pascoli si arrampicano fin sotto i bastioni della parete
E del pizzo Cassandra. Dalle malghe
ci si alza verso il limitare del bosco in
direzione ESE: non ci si può sbagliare
perché i pascoli sono delimitati da
piccoli muri in sasso e solo qui vi è
un passaggio libero. Ora il cammino
si sviluppa tra radi larici, pini mughi
ed enormi massi; si costeggia sulla dx
un’ampia distesa disseminata di grosse
pietre che, quando sono ricoperte di
neve, sembrano tanti bianchi “Pet del
luf ” (i funghi vescia). Superato un
piccolo dosso ci troviamo in una vasta
piana da dove si vedono chiaramente
i due rami in cui si divide la valle.
Quello di sinistra (S) è più breve, ma
anche più ripido, quello di destra ha
maggior sviluppo ma un andamento
più soffice, esclusa il muro terminale
che conduce alla bocchetta di val
Giumellino. Entrambi i tragitti sono
interessanti, ma io preferisco quello di
dx, visto che offre una sciata più lunga
e divertente.
Per il primo tratto non si ha un
percorso obbligato di salita, bisogna
compiere diversi andirivieni lungo
74
Le Montagne Divertenti il pendio, solitamente nella parte
centrale, dove vi sono meno piante.
Approdati al pianoro di quota 2000
metri circa (ore 0:45), si incontra
l’ultimo e unico larice supersite. Le
cause della mancanza di ulteriori
alberi oltre questa quota sono due:
il terreno completamente sassoso e
le valanghe che scendono a valle dai
ripidi costoni circostanti e fanno
piazza pulita di tutto quello che
incontrano sulla loro strada!
Alzando gli occhi verso dx si distingue la cima del Pizzo Cassandra che,
d’ora in avanti, ci scorterà per tutto il
viaggio fino alla meta finale. Il percorso
è discontinuo e si sviluppa tra dossi e
brevi tratti pianeggianti, ma comunque bisogna tenersi sempre nella parte
centrale della valle, anche se la neve
candida invoglierebbe a percorrerne
i bordi. Rivolgendosi all’indietro si
possono avvistare i fantastici pendii
che più tardi verranno incisi dalle
nostre serpentine! Arrivati ai piedi
dello strappo finale, non bisogna farsi
attrarre dal ripido costone che si para
proprio davanti a noi, perché la parte
alta è molto ardua e stretta e creerebbe
diversi problemi di manovra con gli
sci. La soluzione migliore è risalire il
versante a sx (SE) per poi piegare a dx
raggiungendo in breve la bocchetta
alta di val Giumellino (m 2860,
ore 2:30 dall’alpeggio). Questo
aspro passo, segnato raramente sulle
mappe, mette in comunicazione la
val Giumellino con la parte alta della
valle Airale, il vallone che dal rifugio
Bosio sale al passo di Corna Rossa.
Guardando verso il basso in dire-
zione SE si possono scorgere delle
dolci pianure incastonate tra pendii
rocciosi: in realtà si tratta di alcuni
piccoli specchi d’acqua gelati ricoperti di neve: i laghetti di Cassandra.
E’ possibile tuffarsi con gli sci anche
lungo questo versante, però poi si
andrebbe incontro ad una lunga
traversata con le pelli per poter recuperare l’auto. Alzando lo sguardo
verso N, in primo piano appare la
cresta rocciosa che conduce al pizzo
Cassandra che, anche se ricoperta di
neve, è possibile cavalcare nel periodo
invernale. Più a N, troneggia l’imponente mole del Monte Disgrazia.
In fondo alla valle Airale, a SO,
spiccano i corni Bruciati, due guglie
solitarie che si ergono come vigili
controllori di ogni transito verso il
passo di Corna Rossa. In lontananza,
in direzione E, è invece la costiera
pizzo Scalino - pizzo Painale - vetta di
Ron - Corna Mara a chiudere l’orizzonte.
Dopo esserci lucidati gli occhi con
lo splendido paesaggio e aver recuperato un po’ di energie, si è pronti ad
affrontare la magnifica discesa lungo
i pendii immacolati di questo splendido vallone. Si vorrebbe divorare il
percorso in un sol boccone fino all’alpeggio, ma la cosa risulta impossibile
a causa dell’acido lattico che brucia
nei quadricipiti! Comunque, con
l’aiuto di qualche breve sosta “ossigenatrice”, si compie una splendida
volata. Il rientro dall’alpeggio avviene
utilizzando sempre la carrareccia transitata all’andata.
Inverno 2010
Le cave della valle del Giumellino
Beno e Luciano Bruseghini
T
ra i minerali della provincia
di Sondrio, uno dei più noti
e sfruttati da epoca immemorabile,
è la “pietra ollare”. Questo termine
sta a indicare comunemente una
formazione rocciosa facilmente lavorabile, specie al tornio, per ricavarne
contenitori e pentole di vario genere.
Infatti il termine deriva dal latino
“olla”: pentola, contenitore di olio.
Ne parlava già Plinio il Vecchio
nella sua opera “Naturalis Historia”
(23-79 d.C.) riferendosi ai giacimenti
della Valchiavenna e della Valmalenco. In gergo tecnico, la pietra ollare
è costituita da rocce metamoforfiche,
generate da effusioni sottomarine
di lave basiche. E’ costituita da due
gruppi principali: il talcoscisto,
con abbondanza di talco ed è la più
diffusa, e il cloritoscisto, dove predomina la clorite ed è la varietà più
rara e pregiata. A grandi linee si può
affermare che quest’ultima prevale
nel territorio di Chiesa, mentre il
talcoscisto veniva estratto da depositi
nel comune di Lanzada, in val Brutta
(cave ormai abbandonate). Le cave di
Chiesa sono per lo più concentrate
nella zona compresa fra la val Sassersa
e l’alpe Lago, passando per il Pirlo e
l’alpe Giumellino.
L'Aquilone. Sullo sfondo l'alpe Lago (8 settembre 2008, foto Sergio Guerra).
L
a costiera che va dal pizzo
Rachele ai Corni d'Airale, coi
suoi contrafforti che si protraggono
verso E, è costituita da serpentiniti
con ottimi siti per l'estrazione di
pietra ollare. Si tramandava che nella
valle del Giumellino si cavasse una
pietra ollare sopraffina, senza eguali in
Valmalenco, ma più nessuno nel '900
ricordava dove fosse tale giacimento.
Così Guerino Gaggi, cavatore all'alpe
Pirlo, uomo solitario e grandissimo
conoscitore delle arti delle rocce,
decise negli anni '50 di andare alla
ricerca di queste antiche cave.
Gaggi individuò dapprima la discarica poi il sito a m 2540/2550 nella
valletta dell'Aquilone, solco che incide
il versante E dei contrafforti tra il pizzo
Pradaccio e il monte dell'Amianto,
così chiamato per la presenza di un
grosso masso sospeso morfologicamente simile a un aquilone.
Le Montagne Divertenti Guerino Gaggi in cava (13 settembre 1958, foto archivio Silvio Gaggi).
In questa cava, Silvio
Gaggi, uno dei principali
artigiani malenchi della
pietra ollare e nipote
di Guerino, ha trovato
un’incisione riportante la
data 1560: ciò indica con
certezza che già in quel
periodo gli abitanti della
Valmalenco sfruttavano
tale giacimento, poiché
rappresentava la varietà più
pregiata delle pietre verdi.
Silvio Gaggi, da noi intervistato,
conferma di aver prelevato e scolpito assieme a zio Guerino e al padre
alcuni pezzi di scarto della cava e,
guardando la statua di Gesù bambino
che ha appena creato da uno di quei
blocchi, aggiunge:
«E' un materiale eccezionale, ottimo
da lavorare perchè estremamente
omogeneo. Mi fa risparmiare fino
al 30% di tempo rispetto alla pietra
ollare degli altri giacimenti, dando
oltretutto risultati migliori.»
La valle dei Giumellini
75
Le cave della valle del Giumellino
I lavégèe
«Perchè nella discarica c'erano
ancora pezzi buoni da lavorare?»
«Ai tempi la pietra ollare veniva
cavata solo per fare lavecc'. I pezzi
troppo piccoli venivano scartati.
Quella taglia di rocce, tuttavia, è
adatta alle sculture, così abbiamo
portato i pezzi a valle.»
testo di Silvio Gaggi armonizzato da Francesco Sacchi
'l ciapùn söl turn 'l gira,
'l gira cu l'acqua 'l par ch'el canta
cula verga 'nt el manéch
grich gruch - grich gruch
fin che l'è giò giò rudùnt
«Avete anche ripreso l'estrazione
in quella cava?»
«Assolutamente no. La cava, tra
l'altro poco profonda, è raggiungibile
solo con passaggi di roccia e troppo
lontana, per cui ci siamo limitati a
portare a valle gli scarti della discarica
che sta ai piedi della cava”.
«Avete portato a valle i massi da
quei posti impervi?»
«Sì, circa 2000 pezzi. Li facevamo
rotolar giù dall'alto per i pendii,
poi giungevano a m 1800 grazie a
una funicolare, quindi - alleggeriti
e già preparati per la lavorazione col
tornio - li trasportavamo a spalle col
campàcc' fino all'alpe Pirlo.»
Mes i scérsc de rinfòrs
i turnìs giò la spùnda
cul sudùn e sciüscepet
gira gira guich - gira gira guich
i tàia int 'l funt
L'interno della cava della valletta dell'Aquilone (8 settembre 2008, foto Sergio Guerra).
In cö l'è scià 'l pan
«Come pensi venivano trasportati
i blocchi nei secoli prima?»
«Nelle nostre indagini non
abbiamo mai trovato tracce di ricoveri, per cui lassù si cavava d'estate,
dormendo all'aperto o direttamente
in cava. Credo poi i pezzi venissero
fatti scivolare a valle sulla dura neve
primaverile: l'unico modo di passare
facilmente attraverso le grandi gande
della valle del Giumellino.
«Era questa l'unica cava di pietra
ollare della valle del Giumellino?»
«No. C'è n'è ad esempio una molto
più conosciuta alla Trona del Vendül,
a circa m 1900 a picco sotto il pizzo
Pradaccio. Fu sfruttata dai Ferrari di
Mascìz1 fino all'inizio della Prima
Guerra Mondiale. La roccia tuttavia
non è così bella come quella della
valletta dell'Aquilone.»
«Oltre all'iscrizione "1560", hai
trovato altre testimonianze sulle
rocce della valle del Giumellino?»
«Così antiche no, ma più recenti
(tutte posteriori alla metà dell'Ottocento) ce ne sono e ben leggibili.»
1 - Per l'esattezza il clan della famiglia dedito alle
attività estrattive era detto Trainìñ.
76
Le Montagne Divertenti L'è 'l mumént pusé bröt
'l va inànz piàn piàn
'l gira 'l lima 'l fa sudà frécc'
fin che l'è fö 'l levécc'
cuntént 'l canta, 'l canta
Ruttico
gomme
Silvio Gaggi sceglie i blocchi nella discarica della cava della valletta dell'Aquilone (8 settembre
2008, foto Sergio Guerra).
«Si estraeva anche altro?»
«Certamente: l'amianto. Due erano
i siti principali nella valle del Giumellino. Quello più "eroico" si trovava
a m 2200 sulla costiera tra il pizzo
Pradaccio e il monte dell'Amianto.
L'amianto lì era speciale quanto
quello di Franscia, con anche fibre
lunghe 1,5-2 metri. Fu sfruttata
molto negli anni '30, quando, dopo il
crollo di Wall Street, venne la grande
crisi economica. A quel tempo le
cave erano dirette da Ottorino Parolini di Lanzada. Lassù lavorò anche
mio zio Guerino che, pensa, faceva
avanti e indietro dal Pirlo a piedi tutti
i giorni... diciamo un'ora e mezza
abbondante dal Pirlo ad arrivar sù per
uno col passo svelto! Quando qualche
anno dopo si decise di fare una
baracca per gli operai, le cave furon
chiuse.
«Non parlavi di due cave di
amianto?»
«Sì, l'altra stava sotto la cresta del
Ciàn Camùsc', sull'orografica dx della
valle del Giumellino. Fu sfruttata fino
alla stagione 1950/1951 da Longhini
Alessandro.»
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Le Montagne Divertenti La valle dei Giumellini
77
Passo dopo passo
Escursionismo
Diario di Viaggio di Antonio Boscacci
PRA’ DU GHEGÈLA
(Prati Quaini)
Hanno cambiato l’ora legale e
quindi si dovrebbe dormire un’ora in
più. Mi alzo come faccio da mesi alla
stessa ora e parto da Sondrio che sono
quasi le 7. Attraverso una città ancora
addormentata, con una pioggerellina sottile sottile che mi costringe
ad aprire quasi subito l’ombrello. Le
montagne intorno, in un cielo che si
sta lentamente schiarendo, appaiono
avvolte da dense cortine di nuvole.
Mentre mi dirigo verso i Trippi,
camminando lungo la pista ciclabile
al bordo della strada, osservo, ancora
distesa sui prati, una spessa coltre di
nebbia. L’umidità del mattino che si
sta aprendo al giorno sembra per un
momento sollevarsi e svanire. Attraverso la statale 38 ai Trippi e imbocco
Prati Consiglio (15 ottobre 2010, foto Vittorio Vaninetti).
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: Traona (m 252).
Itinerario automobilistico: da Morbegno
seguire la SS 38 verso Colico fino a Cosio. Dopo 4,5
km prendere a dx la SP4 con indicazioni per Traona,
che viene raggiunta dopo 1,5 km. Si consiglia di
parcheggiare l'auto nei pressi del cimitero o della
chiesa parrocchiale.
Itinerario sintetico: Traona (m 252) - Pianezzo
(m 474) - S. Giovanni di Bioggio (m 697) - vallone
di S. Giovanni - S. Antonio (m 650) - Poira di
Fuori - Poncio (m 1263) - I Colli (m 1656) - [Pra’
du Ghegèla (m 1596 - difficile da raggiungere)]
- vallone di S. Giovanni - Prati Consiglio (Prati di
Sopra) (m 1324) - Prati Bioggio - Prati Aragno (m
1146) - S. Giovanni di Bioggio (m 697) - Traona
Tempo
78
per l'intero giro: 6 ore.
Le Montagne Divertenti Bassa Valle
la strada per Piateda, osservato,
mentre attraverso il ponte sull’Adda,
da un grosso corvo nero appollaiato
su un grande albero. Leggo gli avvisi
di una pesa pubblica e, poco dopo,
mi infilo a sinistra lungo una strada
sterrata che mi porterà a Piateda.
Chiedo conferma ad un contadino
mattiniero, intento a spargere letame
sull’argine di un fosso e lui annuisce.
La pioggia cessa e posso infilare
l’ombrello dentro lo zaino. Ma è
una tregua di brevissima durata
perché, fatti duecento metri, la pioggia riprende più vigorosa di prima.
E’ una pioggia fastidiosa e, quando
passo davanti al centro sportivo e al
municipio di Piateda, mi accorgo di
avere le scarpe già per metà bagnate.
Prati Ovest (15 ottobre 2010, foto Vittorio Vaninetti).
Attrezzatura
richiesta: da escursionismo -
ghette in caso di neve.
Difficoltà: 3- su 6.
Dislivello in salita: 1450 m ca.
Dettagli: EE. L'itinerario a cui si riferisce questa
scheda è quello descritto nel box a fine articolo e
differisce da quello raccontato (1999) che non è più
percorribile date le condizioni mutate di strade e
sentieri. L'attraversamento in alto del vallone di San
Giovanni può essere difficoltoso.
Carte: Fogli Morbegno e Verceia dell’Istituto
Geografico Militare 1:25000;
La Costiera dei Cèch - Buglio, Comunità Montana di
Morbegno 1: 25000;
Carta Tecnica Regionale, Mello, 1:10000.
Inverno 2010
6 gennaio 1999
una splendida giornata,
annunciata da una notte
piena di stelle e da un’alba senza una
nuvola.
Attraversiamo le case di Traona alle
9 e saliamo verso la grande chiesa
di S. Alessandro. Proprio dietro
la chiesa, un cartello, che indica
Pianezza (e non Pianezzo, come
invece dovrebbe essere) ci fa sorridere.
Saliamo lungo una bella strada
acciottolata in mezzo alle vigne. Il
pendio è stato terrazzato nei secoli
passati in modo incredibile, con
E’
Le Montagne Divertenti grossi muri di sassi squadrati. Certamente erano vigne di signori quelle
che stiamo attraversando e non di
poveri diavoli. I poveri diavoli se mai
le lavoravano. Ancora adesso sono
ben tenute e le viti sono ben lavorate.
Passiamo accanto ad una cappelletta
costruita nel 1769 grazie al contributo di un gruppo di benefattori di
Roma (come dice una scritta scolpita
nel granito). Di fronte, si stacca una
stradicciola pianeggiante che, dopo
aver attraversato il torrente Bombolasca, arriva alle case di Vanèl.
Continuiamo lungo la stradic-
ciola acciottolata che passa accanto a
un’altra cappelletta (li vicino ci sono
alcune baite e la zona è chiamata
Gandée) e poi giunge a Pianezzo
(m 474). Pianezzo è una contrada
con un buon numero di case, molte
delle quale sono state ristrutturate.
Un tempo ci viveva una nutrita
comunità, ora sono pochissime le
persone che ci abitano tutto l’anno.
Saliamo tra le case, fino a quelle più
alte, e imbocchiamo una mulattiera
che, dopo essere passata accanto ad
una vasca di carico dell’acquedotto,
entra in un bel bosco di castagni.
Pra' du Ghegèla
79
Escursionismo
Come in tutte le gite fatte in questa
stagione, il sentiero è ricoperto da un
grande ammasso di foglie. In alcuni
punti, a causa della loro quantità e
della loro distribuzione uniforme,
non è semplice individuare la strada.
Con un po’ di attenzione riusciamo
comunque a seguire il sentiero
che sale con larghi zigzag verso la
sommità di un dosso. Quando stiamo
per arrivare in cima al dosso, incontriamo un muro possente. Non è uno
dei soliti muri e sicuramente faceva
parte di un’opera di difesa della zona
(non è infatti difficile ipotizzare qui la
presenza di un luogo fortificato).
Fatti pochi metri, siamo comunque
davanti alla chiesa di S. Giovanni di
Bioggio (m 697). E’ un posto incantevole, e il sole, che splende e scalda,
lo rende ancora più suggestivo. La
chiesa e il poggio su cui sorge hanno
una storia molto antica e legata strettamente alle vicende valtellinesi,
soprattutto della prima metà del
secolo XVII (quando si racconta che
qui c’era una guarnigione spagnola).
Colpita dai raggi del sole e dalle
ombre dei castagni, l'edificio sembra
ancora più grande e bello.
Un tale, che sta pascolando le sue
pecore, dopo un primo momento di
incertezza, ci fornisce delle esaurienti
indicazioni sulla nostra meta e su
come fare per raggiungerla. Ha fatto
il pastore proprio nella zona dove noi
vorremmo andare, e quindi i posti
li conosce molto bene. Purtroppo,
come impareremo anche stavolta,
non basta conoscere i posti, occorre
anche che le indicazioni non si
prestino a equivoci, sempre possibili
quando si parla di destra e di sinistra,
di bivi, di sentieri e di scorciatoie.
cendiamo lungo la strada
che attraversa il vallone di
S. Giovanni e, dopo essere passati
davanti a una cappelletta moderna,
ma con un affresco antico, che
ricorda l’apparizione della Madonna
a Tirano, arriviamo alla chiesetta di S.
Antonio. E’ stata costruita nel 1923
e continene una statua di S. Antonio
abate; sulla sua facciata si trova una
lapide con una lunga lista di partigiani che morirono nella zona nel
1945.
S
80
Le Montagne Divertenti Passo dopo passo
Diario di Viaggio di Antonio Boscacci
La chiesa di San Giovanni di Bioggio (1 maggio 2008, foto Marino Amonini).
In viola il tracciato del 1999, in arancione la variante consigliata (2010).
A fianco della chiesa parte un
sentiero che sale nel bosco di castagni,
passa accanto alle baite della località Masùn (m 795) ed arriva a un
piccolo bacino di captazione dell’acqua di un torrentello. Poco sopra
sbuchiamo tra i prati della Masùn
du Ghegèla (m 950). Ci sono alcuni
gruppetti di baite, alcune ristrutturate o ricostruite ex novo.
Prendiamo come punto di riferimento una baita che sta accanto ad
un grosso masso e saliamo i prati in
direzione di Poira di Fuori.
Raggiungiamo la sommità del
pendio e imbocchiamo sulla sinistra un marcato sentiero che si inoltra dentro una vegetazione fitta e
ricca di felci. Ci fermiamo qualche
minuto per controllare che il sentiero
imboccato sia quello giusto, poi
proseguiamo.
Le indicazioni che avevamo erano
quelle di andare a sinistra al primo
bivio. Al primo bivio andiamo a sinistra, ma ci accorgiamo subito che il
sentiero preso scende e quindi non
può essere il nostro.
Ritorniamo sui nostri passi e poco
sopra ecco un nuovo bivio.
Questa volta il sentiero di sinistra è
pianeggiante e molto marcato. Così
lo seguiamo convinti di essere sulla
strada giusta.
Per fortuna, ci diciamo, che c’è il
sentiero, altrimenti sarebbe proprio
un bel guaio. La vegetazione è così
fitta e confusa che preferiamo non
pensare a quello che succederebbe se
perdessimo la strada.
E infatti, superato un piccolo
dosso roccioso, tutto ad un tratto, il
sentiero sparisce.
Assennatezza avrebbe voluto che
Inverno 2010
ritornassimo sui nostri passi ma…
così non è stato e, tanto per provare
un nuovo itinerario, iniziamo a salire
il ripido pendio che abbiamo davanti.
Nella valle una bella cascata
spumeggia con un gran rompersi di
acque sulle rocce.
Finché saliamo tra gli alberi (sono
soprattutto Pini silvestri), riusciamo
in qualche modo a procedere, ma
appena gli alberi d’alto fusto terminano, ci troviamo circondati da un
ripidissimo mare di ginestre. Ora, le
ginestre sono dei fiori bellissimi, ma
quanto ad attraversare i loro ciuffi
… è tutta un’altra cosa. Le ginestre
formano delle piante alte anche 3
metri, che si intrecciano le une alle
altre in un groviglio tale che passarci
in mezzo è davvero una faccenda
faticosissima.
La tecnica è quella di strisciare in
basso, tra una ginestra e l’altra, infilandosi a forza con la testa. La testa si
riempie di frutti secchi e rametti.
Il pendio è ripido e ci sono molte
piante cadute e marce. Quando ci si
aggrappa ad un ramo, anche grosso,
questo cede di schianto.
Ogni tanto mi arrampico su qualche roccia per cercare di capire
almeno dove siamo.
Prima o poi dovremo pur raggiun-
Le Montagne Divertenti gere il sentiero che attraversa la valle.
E infatti, finalmente, raggiungiamo
un piccolo sentiero che però ci porta
a una presa per l’acquedotto e poi
sparisce. Fortunatamente, poco sopra,
accanto a un’altra vasca, riusciamo ad
agguantare un altro sentiero e questo
ci sembra proprio quello giusto.
Fa un caldo incredibile e siamo in
Bassa Valle
maglietta. Per essere il 6 di gennaio,
non c’è male. Sembra una bella e
calda giornata di maggio.
Ci dissetiamo con l’acqua che
esce dalla presa dell’acquedotto, poi
riprendiamo a salire.
Quello che credevamo un bel
sentiero, si dimostra subito un
tracciolino ripido, stretto e molto
sconnesso. Comunque, dopo aver
scavalcato un gran numero di alberi
caduti, dopo aver superato due
profonde vallecole, arriviamo su un
piccolo poggio, dove si trovano i resti
delle baite del Pra’ du Ghegèla (m
1596), località indicata sulle carte
come Prati Quaini.
E’ un piccolo pendio ripido, al
centro del vallone di S. Giovanni e
le baite sono state abbandonate da
decenni e sono tutte crollate.
E’, come al solito, molto difficile
pensare che qui un tempo ci abitavano per i mesi estivi con delle capre
o delle mucche.
Il maggengo è circondato dalle
ginestre che lentamente se lo stanno
mangiando e lo stanno facendo
sparire. Tra non molti anni ritornerà ad essere un pendio come quelli
intorno.
Parlare di tutela di queste testimonianze fa un po’ ridere però mi
Località Poncio (15 ottobre 2010, foto Vittorio Vaninetti).
Pra' du Ghegèla
81
Escursionismo
sembra una delle cose che un popolo
assennato dovrebbe fare.
Da questo piccolo poggio, abbandonato dagli uomini, ma non dagli
animali selvatici (come dimostrano
le numerose tracce ben visibili), si
apre una vista splendida sulla valle
dell’Adda.
Sono le 13.45 e, seduti sull’erba
secca del maggengo, con le ginestre
che ci proteggono le spalle, decidiamo che è giunta l’ora del pranzo.
E’ un pasto molto breve e, dopo
una ventina di minuti, ritorniamo sui
nostri passi, per la discesa.
L’idea iniziale era quella di scendere
lungo un vecchio sentiero segnato
sulla carte, ma l’assenza assoluta di
tracce e l’esperienza della salita tra
le ginestre, ci sconsigliano assolutamente di provarci.
Scendiamo quindi lungo il sentiero
di salita e, dopo la vasca dell’acquedotto, scopriamo che del vecchio
sentiero quasi non c’è più traccia.
In pratica il nuovo sentiero coincide con la traccia fatta nella posa
del tubo dell’acquedotto (che ogni
tanto affiora) ed è ripido, stretto e
sgangherato.
Alla fine comunque le ginestre
si aprono e troviamo una baita e
una fontana con un piccolo pascolo
intorno.
I cavalli che lo hanno abitato sono
riusciti a mantenere a distanza le
ginestre, che sembrano ansiose di
conquistare anche quella piccola oasi.
In fondo al pascolo scopriamo di
essere ritornati al bivio del mattino
82
Le Montagne Divertenti Passo dopo passo
e incontriamo una famigliola che sta
salendo proprio a quella baita (che è
di loro proprietà). Parlando con loro
comprendiamo l’errore nel quale
siamo incorsi salendo: al bivio, anziché a sinistra, saremmo dovuti andare
a destra.
Al termine del sentiero pianeggiante che abbiamo percorso al
mattino, se anziché salire, fossimo
scesi, avremmo potuto incontrare le
tracce di un sentierino che attraversa
il vallone di S. Giovanni.
I nostri interlocutori ci dicono che
quel sentierino, anche se noi non
l’abbiamo visto, c’è. Le loro parole ci
convincono e così decidiamo di ripercorrere il sentiero del mattino.
Al suo termine, quando lo vediamo
sparire, scendiamo un ripido pendio
e, meraviglia, il sentiero riappare.
Chiamarlo sentiero è forse eccessivo; lo potremmo chiamare fantasma
di sentiero. Comunque seguendo la
sua inafferrabile presenza, arriviamo
sul torrente. Questo scorre incassato
dentro le rocce e non ci pare proprio
di scorgere dall’altra parte alcuna
traccia. Ma, appena saltiamo sull’altra
riva (bagnandoci), il sentiero fantasma riappare e si inerpica per una
decina di metri. Guardandoci indietro scopriamo che quello dove siamo
passati era l’unico posto per passare,
perché, sia sopra che sotto, le rocce
occupano tutta la valle.
Sparendo e riapparendo almeno
una dozzina di volte, il sentiero ci fa
attraversare una nuova ripida valle
Poi le cose si fanno più normali,
il tracciato riacquista l’aria di un
sentiero e ci troviamo accanto alla
lunga baita dei Prati di Sopra
(m 1324), che sulla carta sono indicati come Prati Consiglio.
Attraversiamo scendendo una intri-
Pra' du Ghegéla (15 ottobre 2010, foto Vittorio Vaninetti).
Inverno 2010
Diario di Viaggio di Antonio Boscacci
cata macchia di ginestre e incontriamo un piccolo parcheggio sulla
strada che sale da S. Giovanni di
Bioggio.
Scendiamo lungo la strada,
passiamo per i Prati Aragno e, al bivio
per Bioggio, prendiamo a sinistra e
torniamo alla chiesa di S. Giovanni di
Bioggio.
Sono le 17 e le corte giornate di
gennaio allungano le prime ombre.
Ritroviamo il sentiero percorso
al mattino e, quando il buio ci
sorprende, stiamo scendendo tra le
case di Pianezzo.
Un vecchio, che sta scaldandosi
davanti a un fuoco acceso in un
sottoscala, ci saluta e ci augura buon
viaggio.
Ripercorriamo al buio la bella
mulattiera selciata.
E’ un grande spettacolo.
Sotto di noi, sono accese le luci di
Traona e tutta la valle dell’Adda è un
luccichio.
Sui monti di fronte, una grande
cometa, costruita per le feste di
Natale, disegna la notte del pendio
con una luce intensa.
Ci affacciamo dal piazzale della
chiesa di S. Alessandro per riempire i
nostri occhi delle ultime immagini di
quel buio incantato e poi scendiamo
per la bella scala e la via selciata
sottostante.
Il rumore dei nostri passi e dei
nostri bastoncini ha svegliato due
grossi cani che, dall’alto, ma per
fortuna all’interno di un recinto, ci
seguono abbaiando.
- Non fanno niente - ci dice un
vecchio contadino che sbuca dal
portone di un’antica casa, anche lui
curioso di vedere chi fossimo.
- Da dove venite – ci dice un po’
dopo, mentre attraversiamo la piazza
del comune, una vecchia signora con
un cappotto rosso ed uno stranissimo
cappellino, che sta aprendo la porta
di casa.
- Da S. Giovanni? – ribatte tutta
stupita.
La salutiamo e il suo forte profumo
di gelsomino ci accompagna fino
all'auto.
Sono le 18.
Le Montagne Divertenti Bassa Valle
Vista notturna della chiesa di Sant'Alessandro a Traona (4 novembre 2010, foto V. Vaninetti).
Consigliano i locali
Viste le mutate condizioni di sentieri e boschi, suggeriamo a chi volesse
compiere l'anello di attenersi all'itinerario che segue.
alla chiesa di S. Alessandro a Traona
D
si sale per comoda mulattiera fino
a Pianezzo (m 474, ore 0:20). Superato
l’antico borgo, si guadagna quota velocemente nel fitto sottobosco di castagni fino a
giungere nello spiazzo antistante la chiesa
di San Giovanni (m 697. ore 0:25). Girando verso E (dx) si prende la strada prima
botumata e poi sterrata che porta alla piccola chiesetta di Sant'Antonio, dove si trova
una targhetta che ricorda la traversata dei
partigiani. Sulla sx della chiesetta parte un
ripido sentiero non segnalato fra i boschi
che in breve raggiunge i prati e le baite di
Poira di Fuori (m 950, ore 0:40)1.
isto che gli antichi sentieri non sono
minimamente segnati, e quindi
conosciuti solo dalla gente del posto, per
proseguire il cammino è consigliabile risalire
la sponda erbosa in direzione NE per 15
minuti e raggiungere la tagliafuoco che sale
verso i Prati Ovest (m 1468). Dopo alcuni
tornanti piuttosto ripidi, quando la strada
comincia a spianare e si incontra una piccola piazzola di scambio, bisogna abbandona-
V
1 - Itinerario non segnato, ma solo intuibile e facile da
perdere: il consiglio che diamo è di continuare a puntare
verso l’alto per circa mezz’oretta. Non farsi ingannare dai
tagli laterali che portano verso la captazione d’acqua del
torrente Vallone.
Maurizio Torri e Roberto Fumelli
re la strada battuta per risalire i prati lungo il
sentiero, tenendo d’occhio il grosso ripetitore. L’obiettivo da raggiungere è località Colli
(m 1656, ore 2) dove un gruppo di cacciatori di Traona, alcuni anni orsono ha ripulito
una delle poche vie di attraversamento del
torrente Vallone2.
aggiunta la sommità dei prati si
passa il ripetitore superando il bosco
successivo ove il sentiero si fa ripido (porre
attenzione ai salti di roccia verso valle). Si
incontreranno un gruppo di baite. Proseguendo in direzione NO, si raggiungerà una
postazione di caccia. Qui la salita è davvero finita. Ridisceso il canale in direzione
O si imboccherà il sentiero che con alcuni
saliscendi arriva sino alla sommità dei Prati
di Bioggio. Giunti sull’altra sponda e ridiscesi sino ai Prati di Bioggio (m 1348, ore
0:30) comincerà la lunga discesa AragnoSan Giovanni. Visto che i sentieri anche
in questo caso hanno lasciato il passo alla
ricrescita del bosco non è disonorevole
seguire la strada silvo pastorale che in
50 minuti arriva a Bioggio, proprio sotto il
piazzale della chiesa, da dove si riprenderà
la mulattiera per la chiesa di San Giovanni.
Dalla chiesa di San Giovanni, lungo la via
dell'andata, si arriverà a Pianezzo e alla
chiesa parrocchiale di Traona (ore 2 dai
Prati Bioggio).
R
2 - La vegetazione ha già invaso il percorso, ritenuto
arduo pure dagli abitanti della zona. Chi volesse azzardare
l’attraversamento sappia che perdere la via è molto facile.
Se non si è sicuri, meglio tornare per la via dell'andata.
Pra' du Ghegèla
83
La piccola Maginot di Grosio
Eliana e Nemo Caneta
La conca di Grosio offre molteplici
spunti d’interesse: castelli, chiese,
palazzi, incisioni rupestri.
Gli escursionisti, in questi
ultimi anni, hanno iniziato
ad apprezzare tutto ciò
ma molto altro resta da
“scoprire”.
Ecco un nuovo spunto:
l’archeologia militare.
A Grosio infatti
possiamo toccare
con mano una solida
e importante linea
fortificata, eretta
negli anni dal 1916
all’autunno del 1918,
il cui compito era di
bloccare eventuali
irruzioni asburgiche
provenienti dallo
Stelvio e dall’Alta
Valtellina.
Lo sbarramento di
Grosio, vera linea
difensiva arretrata,
doveva quindi proteggere
l’importante centro logistico,
stradale e ferroviario di Tirano,
nonché gli impianti idroelettrici della
zona, che già allora erano fondamentali per le
industrie padane.
Archivi del
oveniente dagli
pr
ito
ed
in
to
en
Arzuga.Docum
Cannoniera di io - Roma.
en
G
l
Museo de
Vernuga dai fori della cannoniera di Arzuga (24 ottobre 2010, foto Giacomo Meneghello).
84
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Le Montagne Divertenti La piccola Maginot di Grosio
85
Escursionismo
Alta Valle
Il 24 maggio 1915 l’Italia
entra in guerra al fianco
dell’Intesa (Francia, Gran
Bretagna, Russia, Belgio,
Serbia e Giappone) e
molti credono che il nostro
intervento sarà decisivo.
Conrad, Capo di Stato
Maggiore di Vienna,
già prima del conflitto
affermava che era possibile
fermare la Russia, ma
difficile battere sia Mosca
che Belgrado.
Ma se pure l’Italia fosse stata della
partita ... No, nulla da fare: spettava
alla diplomazia sventare il rischio; in
fondo Conrad aveva ragione.
Anche Berlino è convinta che se
Roma entra in guerra per gli Asburgo
saranno guai; infatti farà di tutto per
convincere Vienna a “cedere” all’Italia
le terre irredente. Ma Roma chiede
parecchio (l’annessione di Trento e
Trieste città libera) mentre l’Austria ci
sente poco da questo orecchio: ci darà
il Trentino (e neppure tutto).
D
unque nelle radiose giornate
di maggio, l’esercito varca la
frontiera. Se Cadorna avesse voluto, i
nostri avrebbero avuto la capacità di
conquistare in breve il Trentino-Alto
Adige. I coraggiosi volontari tirolesi,
pochi e mal armati, nulla avrebbero
potuto opporci, salvo qualche area
fortificata. L’opinione non è solo
italiana, pure i tedeschi lo credono.
Ma Cadorna deciderà diversamente
e i suoi detrattori non hanno mai
dimostrato avesse torto.
L’Italia entra in guerra avendo chiesto parecchio agli Alleati: deve quindi
offrire un contributo sostanziale.
Conquistare la val d’Adige sarebbe
importante sul piano propagandistico: “Siamo a Trento, occupiamo
Bolzano!”. Ma Cadorna nota che
tutto ciò non abbrevierebbe la guerra
europea di un giorno. Decide allora di
attaccare ad est, per collaborare, nel
bacino danubiano, con russi e serbi,
che dovranno anch’essi agire contro
l’armata austro-ungarica.
In quest’ottica il fronte alpino,
86
Le Montagne Divertenti Itinerario "Strada dello Storile" in rosso (1 - viadotto, 2 - arrivo sulla cresta e congiunzione
con la strada che viene da Fusino). Itinerario "Cannoniera di Arzuga" in blu (3 - cannoniera).
Itinerario "Fortificazioni dal fondovalle a Ron" in arancione (4 - parcheggio, 5 - prime
trincee blindate, 6 - trincea e galleria, 7 - Alvior [inizio serie trincee blindate], 8 - serie di
trincee blindate, 9 - antica mulattiera del Mortirolo).
Partenza: si consideri Grosio come
Difficoltà: 1
Itinerario automobilistico: da
Tirano prendere la SS 38 in direzione
Bormio. Al km 14 (viadotto) si prende
l'uscita per Grosio.
Dislivello in
salita: 1- 500
"campo base" per i 3 itinerari.
Itinerario
sintetico:
1- Gromo - costruzione isolata a m
1480 ca.;
2- Gromo - cannoniera d'Arzuga;
3- vecchia centrale elettrica (m 677) Alvior - I Ron (m 960).
Tempo
di percorrenza:
1- 1 ora e 45';
2- 1 ora;
3- 1 ora/1 ora e mezza.
Attrezzatura
escursionismo.
richiesta: da
Bellezza
su 6.
Fatica
metri;
2- trascurabile;
3- 300 m ciirca.
Dettagli:
Pericolosità
T/E itinerari
semplici e per lo
più supportati da
segnaletica.
I sentieri presentano ricrescita vegetativa
e alberi caduti lungo il percorso. Il
Sindaco di Grosio, contattato da
Montagne Divertenti, assicura che è già
in corso un vasto piano di pulizia dei
sentieri, azione che proseguirà nel 2011.
Per ulteriori informazioni, rivolgersi al
Comune di Grosio.
Mappa: consigliati i fogli IGM 1:25000 .
quello lombardo in particolare, non
conta molto: se gli Imperiali conquistano qualche vetta o valico, poco
male, chi vince si deciderà altrove.
Unica previdenza: evitare che dalle
Retiche l’avversario si affacci alla
Padania. Così nessuno si preoccupa
quando il nemico nel ‘15 ci precede
allo Stelvio e controlla il Tonale.
Ma l’offensiva italo-russo-serba non
decolla: noi c’impantaniamo (pure
causa l’inazione serba) sul Carso e
sull’Isonzo. I russi, pur valorosamente
combattendo, sono battuti dai tede-
schi, accorsi a cavare le castagne dal
fuoco (lo faranno altre volte, Caporetto compresa) all’esercito imperialregio. I serbi non muovono un passo,
non sparano un colpo, altro che attaccare! Si dice che tra Belgrado e Vienna
ci fosse un tacito accordo: voi austriaci
togliete ogni uomo dal nostro fronte
per opporvi agli italiani e noi serbi
eviteremo il disonore che quegli
stessi italiani (mai simpatici agli slavi
meridionali) giungano a Lubiana e in
Dalmazia.
Inverno 2010
I tracciati per la strada dello Storile e la cannoniera di Arzuga. In rosso "la strada dello Sotile", in magenta "la cannoniera di Arzuga", in giallo la
carrozzabile per la val Grosina (foto e grafica Canetta).
Le alpi e la valtellina
così i nostri comandi nel ‘16
si trovano sulle Alpi spesso in
posizioni difficili. E se gli austro-ungarici attaccassero? Difatti lo faranno
sugli altipiani Veneto-Trentini, giungendo ad un soffio dalla pianura. E
se forzassero Stelvio e Tonale? Potrebbero dirigere verso Brescia ed il Lario,
persino puntare a Milano. Sarebbero
dolori!
Bisognava allora parare una simile
eventualità. Ecco quindi la genesi
politico-militare delle fortificazioni
nella conca di Grosio-Grosotto.
Fortificazioni che costituiscono una
piccola Maginot di grande interesse
storico e che – a torto – sono poco
note ai tellini stessi.
Quindi nel ‘16 si inizia, in Valtellina ma in realtà un po’ ovunque, a
costruire linee arretrate ove attestarsi
nel caso di sfondamento nemico.
E
N
ella valle dell’Adda la posizione storica è al ponte del
Diavolo, tradizionale limite del
Contado di Bormio, ove ci si era
Le Montagne Divertenti battuti pure in epoca risorgimentale.
Posizione scelta e definita, dunque?
Mica tanto poiché già nelle Guerre
d’Indipendenza era stato notato come
la Stretta del Diavolo, pur angusta ed
apparentemente di facile difesa, avesse
un limitato campo di tiro per le armi
da fuoco (oggi, con la frana di val Pola,
tutto è mutato). Già nel 1859 non si
usavano più alabarde ed archibugi,
figuriamoci nel 1916, con mitragliatrici e fucili che sparavano oltre i 2000
metri! Non basta: la stretta è facile da
evitare. Dalla Valfurva, attraverso il
passo dell’Alpe e la val di Rezzalo, e
da Valdidentro, attraverso il passo di
Verva e la val Grosina. Era necessario
allora cercare una posizione con un
buon campo di tiro e non aggirabile.
Essenziale era poi coprire le centrali
elettriche di Grosio e Grosotto, già
allora d’importanza strategica.
questo punto la scelta fu obbligata: uno sbarramento tra le
pendici del monte Varadega e dello
Storile. Da qui un secondo sbarramento chiudeva la val Grosina a S.
Giacomo, appoggiandosi al rio Arte-
A
gione, sotto il dosso Cornin. Questa
linea aveva il grande vantaggio di
collegarsi con le difese del Mortirolo
e con quelle dell’alta Valcamonica,
presso Vezza.
C
i si potrebbe immaginare lungo
questi sbarramenti di scoprire
solo trincee a secco, camminamenti
scavati nel terreno, qualche sentiero
d’arroccamento. Nulla di tutto ciò: gli
apprestamenti campali sono nelle aree
a quota maggiore, oltre i 1300/1400
metri.
A quote inferiori (ove si può
arrivare anche d’inverno)
la Seconda Linea di Difesa
appare, pur se danneggiata,
come una vera e propria
barriera stabile, una piccola
Maginot1 appunto nella
1 - Imponente complesso di fortificazioni, ostacoli
anti-carro, postazioni mitragliatrici, caserme e
depositi di munizioni realizzati dal 1928 al 1940 a
protezione dei confini che la Francia aveva in
comune con Germania e Italia. Trae il suo nome da
André Maginot, all'epoca Ministro della Guerra
francese.
La piccola Maginot di Grosio
87
Escursionismo
Alta Valle
Valtellina: bunker, trincee
blindate in cemento armato,
postazioni per mitragliatrici,
cannoniere ed osservatori
in roccia (spesso annidati in
posizioni incredibili).
3 – Le trincee blindate dal
fondovalle a Ron
il tracciato che discende, con qualche
curva, sino ad affacciarsi al grande
burrone sopra Vernuga. Ora iniziamo
a scendere una sorta di stretto canale
che incide la parete e che da lontano è
quasi invisibile. Poco oltre, abbandonato il sentiero principale, pieghiamo
a dx raggiungendo subito l’ingresso
(segnalato) della cannoniera d’Arzuga3 (m 950 ca., ore 1). Il manufatto
è stato messo in sicurezza ma richiede
prudenza. Il vasto interno (portarsi
una pila per illuminare) comprende
alcuni vani previsti per polveriere e
depositi, mentre l’ampio camerone
terminale è illuminato da due feritoie
per artiglierie che dominano il corso
dell’Adda e si aprono su di una strapiombante parete alta 200 metri.
l ritorno si può percorrere lo
stesso itinerario, oppure scendere sul sentiero militare tutto il
valloncello per continuare, con panoramico percorso sopra Grosio, sino alle
sue case più elevate (tracciato talora
danneggiato: informarsi in paese).
Da Grosio, in direzione di Bormio,
si va a valicare il ponte sull’Adda e si
parcheggia a dx, alla vecchia centrale
elettrica (m 677)4. Dirigendosi a NE,
si incrocia l’antica mulattiera, in realtà
una stradella acciottolata, che saliva al
Mortirolo. L’imbocco è difeso da una
trincea blindata in cemento (cartello,
visitabile). Proseguendo si transita
dai resti di un bunker, parzialmente
sotterraneo e oggi riutilizzato. A dx,
al limite del bosco, si scorge il profilo
di una trincea che domina i prati
sottostanti. Ecco una cappelletta,
ove la stradella piega a dx e inizia
a salire; nei pressi una caverna in
roccia. Superata la vecchia condotta
forzata, ci si porta su un cucuzzolo,
a dx, ove è una trincea blindata cui
segue una caverna in roccia, a picco
su Grosio. Poche decine di metri e si
è alla carrozzabile (non esistente nel
‘15/’18) che collega Grosio al Mortirolo (possibilità di parcheggio); nei
pressi trincea in cemento (cartello,
visitabile). Continuando a monte, in
breve alle case di Alvior (m 821), in
parte realizzate su altre opere. Sempre
sull’acciottolato della stradella proseguiamo sino ad un bivio e prendiamo
a sx, lungo il sentiero delle trincee.
Poco dopo una traccia a sx, un po’
infrascata, porta a una delle trincee
più interessanti: un possente manufatto, in cemento, a dominio dei prati
di Alvior, che termina con un ampio
bunker per mitragliatrici (cartello).
Abbiamo ora due possibilità: interessante è proseguire lungo il crestone,
fitto di trincee (in parte visitabili),
ma la traccia è sovente seminascosta
dalla vegetazione. O, più facilmente,
tornare sul sentiero (già mulattiera
d’arroccamento alle trincee), per
sbucare nuovamente sulla stradella
del Mortirolo. Più avanti a sx è l’ingresso di una caverna in roccia. Subito
oltre un bivio: a dx prosegue il tracciato principale. Noi imbocchiamo
il percorso a sx che in breve porta a
I Ron (m 960, ore 1/1:30 a seconda
del percorso scelto), nei cui prati
erano varie trincee (ora quasi tutte
nascoste). Ampio panorama sull’anti-
3 - Questo è il nome ufficiale militare, anche se
localmente è nota come Cannoniera della Vernuga.
4 - La centrale esisteva già nel 1915.
C
annoniere sono presenti pure
nel territorio grosottino: ad
esempio a Pughien, ove erano i pezzi
per la difesa contraerea delle centrali
elettriche. Il tutto servito da stradelle
e mulattiere che dimostrano l’accurato studio per realizzare tracciati
agevoli e ben coperti.
Naturalmente non tutto è restato;
sono sparite le profonde siepi di filo
spinato e le opere che sbarravano il
fondovalle dell’Adda, a NE di Grosio
sono state travolte da nuove abitazioni. Allora prati, oggi villettopoli,
pure se in un paio di punti le vecchie
trincee in cemento affiorano.
Il naturale prezzo da pagare al
progresso ... non disgiunto da una
scarsa attenzione, almeno sino a qualche anno orsono, a questi reperti,
che in altre zone e regioni turistiche,
restaurati e valorizzati, favoriscono
un notevole afflusso di appassionati e
visitatori.
ITINERARI
1 – la Strada dello Storile
D
a Grosio si imbocca la carrozzabile verso la val Grosina.
Subito dopo il tornante quota 900
ca., a dx è la sterrata che porta a
Gromo (m 938). Conviene parcheggiare e prendere quota sulla stradella
con percorso panoramico. Verso i m
1100 è un bivio: a dx si prosegue per
Arzuga (itinerario 2); noi prendiamo
a sx il vecchio tracciato militare di
recente ripulito, di cui ammiriamo
gli ampi e comodi tornanti, sorretti
da massicci muri a secco. Intorno
a quota 1200 il tracciato originario
spariva sotto una frana di blocchi: si è
recentemente provveduto ad aprire un
nuovo percorso (corrisponde solo in
parte all’originale). Un breve tratto a
sentiero, verso i m 1350, e tra i massi
si ritrova la vecchia strada che non
si lascia più. Continuiamo a mezza
costa, con andamento a SO, lungo
una balconata naturale con vista a
88
Le Montagne Divertenti L'imponente viadotto poco prima di Pra del Poda (24 aprile 2010, foto Nemo Canetta).
All'ingresso della cannoniera di Arzuga e in discesa da Prà del Poda lungo la strada della val
Grosina (4 novembre 2010. foto Giacomo Meneghello).
picco su Grosio. A quota 1420 ca. si
valica un’incassata gola con un incredibile viadotto, uno dei manufatti più
impressionanti ed interessanti della
zona. La stradella prosegue nel bosco
e con alcuni tornanti sbuca a Pra del
Poda (m 1480 ca, ore 1.45). La vista
è amplissima sullo sbocco della val
Grosina, i monti circostanti e in direzione della costiera del Mortirolo. Qui
si incontra una sterrata recente che
collega Fusino con le baite di Cigozzo,
sotto la vetta del monte Storile2.
In discesa si può prendere verso
Fusino, oppure ripercorrere a ritroso
l’itinerario di salita.
2 – La Cannoniera di Arzuga
L
ungo l’itinerario 1, al bivio oltre
Gromo si prende a dx, valicando alcuni ripidi valloncelli. Giunti
al verde ripiano di Arzuga si imbocca
2 - La Strada dello Storile continua, quasi sempre
ben percorribile, sino alla vetta dell’omonimo
monte, toccando punti ben fortificati, ambienti
suggestivi ed offrendo, alla fine, un panorama
circolare eccezionale. Ma non è certo un percorso
eswcursionistico invernale.
A
Inverno 2010
Le Montagne Divertenti Ron
8
9
7
6
bunker
5
4
L'itinerario 3 visto dalle pendici del monte Storile. Indicati: 4 - parcheggio, 5 - prime trincee
blindate, 6 - trincea e galleria, 7 - Alvior [inizio serie trincee blindate], 8 - serie di trincee
blindate, 9 - antica mulattiera del Mortirolo (4 novembre 2010, foto G. Meneghello).
stante Monte Storile, fortificato sino
alla sommità.
er rientrare alla ex Centrale è
senz’altro consigliabile seguire la
stradella del Mortirolo.
Come per l’itinerario della Strada
dello Storile, si può continuare, sia
pure con qualche maggiore complicazione, sino alla vetta del monte Varadega che, sull’opposto versante dello
Storile, costituiva il pilastro meridionale dello sbarramento di Grosio. Ma
anche questo percorso è da effettuarsi
in estate.
P
L'interno della trincea blindata di Alvior (4 novembre 2010, foto Giacomo Meneghello).
La piccola Maginot di Grosio
89
Escursionismo
Giro dei monti
a Samolaco
Sergio Scuffi
Da San Pietro a Santa Teresa e ritorno per Pièza Cavrée,
passando per deliziosi alpeggi e terrazzi morenici: questo
il nostro suggerimento per scoprire i monti di Samolaco.
Lo splendido panorama dall'inizio dei prati
di Santa Teresa verso il fondovalle della
Valchiavenna (3 novembre 2010, foto Beno).
90
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Le Montagne Divertenti Giro dei monti a Samolaco
91
Escursionismo
Valchiavenna
Il tracciato dell'itinerario osservato da Somaggia. Riferimenti: 1- cappella dei Crestóon, 2- Sass dàla Štrìa (foto e grafica Sergio Scuffi).
Bellezza
Fatica
Pericolosità
-
Partenza: San Pietro (m 254).
Itinerario automobilistico: da Piantedo
si percorre la SS 36 fino a Somaggia. Alla
rotonda si segue la seconda uscita (San Pietro/
Era) e si attraversa il passaggio a livello (km
17). Percorsa la SP52 (800 metri), all'incrocio
si va a dx sulla SP2. Superato Era si arriva a
San Pietro. Si sale in paese per via Tonaia e,
in corrispondenza di una piazzetta (negozio,
bar) si svolta a sx; al bivio successivo si va a sx
in leggera discesa; lasciando a sx la torre del
Culumbée. A pochi metri c'è la chiesa e , a sx, il
parcheggio (circa 22 km da Piantedo).
Itinerario
sintetico: San Pietro (m 254) -
e segnalati. Prestare attenzione in caso di neve
o ghiaccio.
Mappa: Kompass foglio n.92, Valchiavenna e
Val Bregaglia, 1:50000.
Mott di Damìin
Monastero (m 400) - Mott di Damíin (m 700)
- Santa Teresa (m 947) - Pièza Cavrée (m 795)
- Sassello (m 250 ca.) - San Pietro.
Tempo
giro.
di percorrenza: 4 ore per l'intero
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà: 2 su 6.
Dislivello in salita: 700 metri circa.
Dettagli: EE. Sentieri non sempre ben tenuti
92
Le Montagne Divertenti La torre del Culumbée (museo) e il campanile della chiesa di San Pietro (3 novembre 2010, foto Beno).
947
Salita al maggengo
di Santa Teresa,
P
artiamo da San Pietro, dal
parcheggio nei pressi della
chiesa, salendo la breve rampa che
parte a S dell'edificio; pochi metri e
incrociamo via Alle Fontane1. Pianeggiamo a dx lungo la strada, quindi su
a sx e successivamente curviamo sx.
La strada inizia a salire ripida verso
Monastero passando per I Crotti.
Il sentiero segnalato (bolli biancorossi), praticabile anche se non curato,
incrocia ogni tanto la strada asfaltata e taglia i tornanti accorciando il
tragitto2.
In pochi minuti ci si affaccia alla
bella spianata di Monastero, subito
1 - Il sentiero si districa fra le abitazioni. Per non
perdersi o ritrovarsi in casa di qualcuno è meglio
seguire la rotabile.
2 - Nella parte altra, dopo esser sbucato sulla strada
tra il 5° e il 6° tornante sopra I Crotti, ricomincia
qualche metro più in basso a dx.
Inverno 2010
Le Montagne Divertenti salutati da alcuni rustici (uno con
un dipinto votivo, forse in onore
della Madonna di Gallivaggio). Altri
dipinti mal conservati si trovano
più avanti. Siamo su un bel ripiano
di origine morenica, a ricordo delle
glaciazioni che interessarono anche
questa vallata. La linea dei terrazzamenti morenici è chiara su tutto il
tratto che va dalla Torre di Segname
fino a Casenda, con andamento
degradante da N a S, e nettamente
incisa in più punti dai corsi d’acqua
che scendono dalla montagna. Siamo
nella parte terminale, verso E, delle
Alpi Lepontine: dall'altro lato della
valle iniziano le Retiche, annunciate
dall’imponente pizzo Prata, localmente noto come Pizóon.
Sulla presenza nel passato di un
monastero non ci sono dubbi, come
si deduce dai ruderi che ancora testimoniano gli antichi insediamenti, e
soprattutto dal vasto terreno recin-
Dipinto votivo a Monastero (3 novembre
2010, foto Beno).
Giro dei monti a Samolaco
93
Escursionismo
Valchiavenna
Il pianoro di Monastero e il pizzo di Prata (3 novembre 2010, foto Beno).
tato che conserva ancora un vecchio
cancello di ingresso. Lo conferma
anche l’estrema parcellizzazione dei
terreni, un tempo intensamente coltivati, che occupano il pianoro3. Tuttavia non si è ancora trovata alcuna
documentazione, se si esclude una
nota di consegna del 1772 di arredi
per un “oratorio” alla chiesa di San
Pietro.
Un po’ staccati verso S (a sx per chi
sale), ci sono i casolari di un secondo
nucleo; oggi Monastero non è più
abitato, anche se diversi rustici sono
stati recuperati come seconde case
(fenomeno favorito negli ultimi anni
anche dal completamento della strada
carrozzabile).
Lasciato il nucleo di Monastero e,
seguendo il segnavia posto poco oltre
la cappelletta bianca4, si prende a dx.
Dopo circa 80 metri si imbocca (sx)
un comodo e largo sentiero bollato.
In una decina di minuti si raggiunge
il sovrastante terrazzamento morenico di Pianezza, con un gran muro
a circondare quello che doveva essere
3 - Il fenomeno è tipico degli insediamenti più
antichi.
4 - La cappelletta era un tempo meta di rogazioni.
94
Le Montagne Divertenti un tempo terreno coltivato, e i ruderi
di un’antica costruzione con semplice
portale in pietra e finestra trilitica.
Poco sopra altri rustici, ormai in decadimento: siamo alla località Cè dàla
Blása, un tempo utilizzata da alcune
famiglie che ne coltivavano i terreni
con piccoli orti e campicelli di patate,
portandovi le mucche al pascolo e
sfalciando i pochi prati disponibili.
Qui il sentiero, con andamento
quasi pianeggiante, compie una lunga
traversa verso dx (N) fino al dosso che
sovrasta le forre del torrente Mengasca. A pochi passi, in piano sulla dx,
merita una visita un altro maggengo,
il Mott di Damíin (m 700,
ore 1:20): qualche casolare ed un
vasto prato con una pendenza incredibile, precipite sul torrente.
ornati al bivio seguiamo il
sentiero principale, che compie
una decisa svolta a sx e sale, con
pendenza regolare, attraverso fitti
boschi di faggio fino ai prati di Santa
Teresa (m 947, ore 0:40).
I rustici di questo antico maggengo,
qui conosciuto come il Móont (ovvero
il monte per eccellenza) sono per lo
più allineati sul bel declivio lungo
T
Il sorprendente alpeggio di Mott di Damìin si presenta con qualche baita e un prato ripidissimo che si getta nelle gole del torrente Mengasca.
Di fronte a Mott di Damìin (N), sulla sx idrografica, si trova, ben visibile, l'alpe Caurghetto (3 novembre 2010, foto Beno).
l’asta del piccolo torrente: la val
Màrscia o val di Becc'5. Sulla dx,
sola e affacciata verso la valle, si
staglia contro il cielo la sagoma della
semplice chiesetta, che è un po’ il
biglietto da visita di questo luogo da
incanto6.
lla chiesa possiamo appoggiare
lo zaino su uno dei muretti di
recente risistemati da alcuni assidui
frequentatori del luogo, e finalmente
goderci il bellissimo panorama.
A
Tutta la valle è in mostra,
da Chiavenna a N fino
a Novate Mezzola, dove
si stendono i colori di
due specchi d’acqua: il
blu intenso del Pozzo di
Riva, il verde del lago
di Mezzola, che chiude
la piana della bassa
Valchiavenna poco più giù.
5 - Trad: valle dei Caproni.
6 - Per chi vuole saperne di più:
- A. Del Giorgio, A. Paggi, Inventario dei toponimi
valtellinesi e valchiavennaschi, n. 22, Territorio
comunale di Samolaco, Villa di Tirano 1966.
- A. Del Giorgio, Samolaco ieri e oggi, Sondrio
1997.
- S. Scuffi, Nü ‘n cuštümàva, vocabolario dialettale
di Samolaco, Sondrio 2005
Inverno 2010
Di fronte l’imponente mole del
Pizzo Prata (m 2727), dietro il quale
si intuisce la val Codera, mentre verso
N chiude l’orizzonte la corona di cime
con incastonato il pizzo Stella (m
3163). Anche le valli Spluga e Bregaglia sono bene individuabili, mentre
sulla sx si nota il passo della Forcola.
A monte dei prati vi è il bel bosco
del Röan: un magnifico faggeto dove
corre il sentiero per il piccolo alpeggio
di Sambusina, ormai al limite inferiore della pineta.
Guardando verso valle, ad una
quota leggermente inferiore, si
intravedono altri maggenghi: Pièza
Cavrée, che vedremo nel ritorno, e il
più importante Paiedo, di cui diremo
un’altra volta.
Più in alto, la sagoma del monte
Berlinghera, con l’ampia sella della
bocchetta di Chiaro sulla dx.
poi scendere lungo un dosso percorrendo un sentiero zigzagante che ci
porta alla Bolgadregna, torrente incassato nella roccia e abbellito da diverse
cascatelle7. Lo attraversiamo su un
ponticello in legno e siamo subito
a Pièza Cavrée (m 795, ore 0:20).
7 - Curiosità: in questa zona c’è una piccola
colonia di maggiociondoli che, a maggio durante il
periodo della fioritura, spiccano con il loro
caratteristico colore giallo vivo.
Qui si incontra un primo minuscolo
nucleo di baite, in parte ristrutturate;
più avanti ce ne sono altre. Anche in
questo maggengo non si portano più
bestie da anni, tuttavia capre e pecore
vi sostano ancora numerose, ben
decise a fare onore al nome di questo
luogo.
In basso, sulla sinistra del piccolo
pianoro, ha inizio il sentiero che ci
riporterà a valle, fino al piccolo nucleo
ritorno per Pièza Cavrée
Ci incamminiamo verso S, superando il ponticello nei pressi della
terza baita dal basso (rudere). Con
una breve traversata raggiungiamo ciò
che rimane dei prati del Pianèl, per
Le Montagne Divertenti Giro dei monti a Samolaco
95
Escursionismo
Valchiavenna
Dalla chiesetta di Santa Teresa si gode un bellissimo paesaggio sulla Valchiavenna, da Chiavenna (non ripresa in foto) al lago di Novate. Svettano
il pizzo di Prata, il Ligoncio, il Sasso Manduino e le altre cime della val dei Ratti (3 novembre 2010, foto Beno).
del Sassello. Visto che le persone
preferiscono salire in auto fino in
quota, dopo la realizzazione delle
piste rotabili, questo è divenuto un
percorso poco frequentato e quindi
non più curato8, anche se abbastanza
ben segnalato (strisce bianche e rosse).
Poco sotto Pièza Cavrée troviamo
la fatiscente cappella dei Crestóon,
a cui occorrerebbero urgenti interventi di restauro. Serpeggiando per
il bosco di castagni in una decina di
minuti siamo al Sass dàla Štría, grosso
macigno oggetto di una leggenda
locale. Più giù giungiamo al Mott
de Mugnìna, piccola protuberanza
di origine morenica che si discende
con un percorso piuttosto ripido e
tortuoso per giungere ai crotti della
Piazza e, poco sotto, ad un altro
pianello, denominato pure Piazza9.
Da qui scendiamo al Sassello
(m 250 ca., ore 1), minuscolo nucleo
non più abitato (una casa ristrutturata
per le vacanze) e abbellito da un bel
8 - Consigliabile solo a escursionisti esperti, specie
in caso di neve. In alternativa si può seguire la
recente pista rotabile che scende a valle.
9 - Entrambi i nuclei sono fatiscenti e abbandonati.
A Piazza si noteranno grosse cataste di legna.
96
Le Montagne Divertenti Sopra: Pièza Cavrée (3 novembre 2010, foto Beno),.
Sotto: l'affresco in località Sassello (21 febbraio 2007, foto Sergio Scuffi).
Sass dàla Štría
l macigno collocato sul
poco sopra il sentiero
I
Sassello - Pièza Cavrée si
trova in un punto che sovrasta
quasi a strapiombo il torrente
Bolgadregna, ed è attraversato, diagonalmente, da una
venatura di roccia di diversa
conformazione, più morbida
e friabile, cosicchè risulta
incavata in forma tale che la
fantasia popolare vi ha intravisto le tracce di una grossa
catena.
a qui la leggenda
secondo la quale, in
quei luoghi, sarebbe vissuta
una strega; costei, offesa
per qualche motivo dagli
abitanti dei villaggi sottostanti,
Nogaredo e Schenone, situati
ai lati del torrente Bolgadregna, avrebbe pensato di
vendicarsi rotolando il masso
fin dentro al corso d’acqua, in
modo da impedire che esso
potesse scorrere regolarmente e fornire l’acqua per tutti i
bisogni della gente: lavarsi,
preparare i cibi, abbeverare il
bestiame (gli acquedotti non
c’erano, ma fortunatamente
allora i corsi d’acqua non
erano inquinati).
etto fatto, la strega lega
il macigno con una
Il Sass dala Štría (19 ottobre 2010, foto Sergio Scuffi).
grossa catena, tira e tira con
tutte le sue forze: tale è la
pressione che la catena lascia l’impronta sulla roccia, ma il macigno di lì non si smuove. La strega, come si può immaginare, rimane
delusa e probabilmente pensa a qualche altra forma di vendetta: intanto il masso è ancora lì a testimoniare, con quei segni, ciò che
allora succedeva… così, almeno, pensano quelli che oggi ci raccontano la storia.
D
Santa Teresa dal fondo dei prati. Quella che si vede è la prima baita dell'alpeggio che si incontra
salendo da Monastero (3 novembre 2010, foto Beno).
dipinto sulla facciata di una edificio
isolato10.
Qui si incrocia la Via Francisca,
percorso storico che giunge a S fino
a San Fedelino, per poi collegarsi con
la via Regina, mentre a N conduce
10 - Dal Sassello, con una piccola deviazione verso
S, in cinque minuti può raggiungere il caratteristico villaggio denominato Lööch, di cui si è detto in
Sergio Scuffi, Lööch , Le Montagne Divertenti, n. 6
- autunno 2008, pgg. 40-41.
a Chiavenna. Prendiamo a N (sx)
seguendo i segnavia gialli. Guadiamo
il torrente e raggiungiamo Schenone.
Snodandosi fra le abitazioni il tracciato arriva fino alla strada asfaltata
(cartello segnavia). Il campanile di
San Pietro è ben visibile lassù in alto,
al che, senza problemi e senza via
obbligata, torniamo all’auto.
Inverno 2010
D
Le Montagne Divertenti Giro dei monti a Samolaco
97
Rubriche
valtellinesi
nel mondo
Il tardo pomeriggio esalta luci e volumi della straordinaria geologia della Cappadocia; appena fuori Goreme, verso Avanos (29 maggio 2010).
Sognando
Ritratto
a Mustafapasa
(3 giugno
2010).
Montagne
Divertenti
98 diLefamiglia
Inverno 2010
Sulla pista per Kavak; nei volti dei bimbi la quieta curiosità per i "forestieri" (3 giugno 2010).
Cappadocia
IlLesuggestivo
spettacolo
dei "ballon"
che si levano all'alba colorando il cielo sopra Goreme (30 maggio 2010).
Montagne
Divertenti
Testi e foto Marino Amonini
Sognando Cappadocia
99
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
L
S
a giornata è molto lunga a Göreme; già alle 4:30 gli altoparlanti dei minareti
diffondono l’assordante salmodiare delle invocazioni alla preghiera da parte
del muezzin. Poi inizia il carosello di gipponi, trattori e pulmini che portano
nelle radure il businnes delle mongolfiere.
e questa sveglia anticipata induce in qualcuno il cattivo umore, ben presto
lo spettacolo del sorgere del sole ed il levarsi nel cielo di decine e decine di
palloni colorati riempie d'emozione anche lo spettatore più assonnato: sono
le prime meraviglie di Cappadocia, una delle più belle regioni della Turchia.
S
e poi il programma di giornata
prevede, nella formula condivisa
con altri 12 nordic walkers nostrani,
quindici chilometri di scarpinata in
una valle ogni giorno diversa fra le
tante che costellano questo lembo di
antica Anatolia, il bottino di stupori è
davvero ricco.
Un cammino nel tempo, un riportare indietro le lancette di molti
secoli, un tuffo in un mondo tanto
antico quanto affascinante: questa è la
Cappadocia.
A cominciare dalla straordinaria
geologia che l’ha disegnata: un ricamo
durato milioni di anni ne fa ora un
sito irripetibile tanto da essere inserito
- con pieno merito - già dal 1985 nel
patrimonio dell'Umanità.
I famosi “camini delle
fate”, i pinnacoli, le guglie
ora ardite e solide - frutto
dell’erosione operata da
pioggia, corsi d’acqua
e vento, durata milioni
di anni- , oltre che farsi
ammirare per l'originale
architettura di forme
e volumi, seducono lo
sguardo per la varietà di
colori che assumono a
seconda dell'ora o del cielo
in cui svettano.
Ma se la natura ha fatto di questa
regione di 9576 ettari un luogo straordinario, occorre aggiungere che le
popolazioni che vi si sono insediate
l’hanno colonizzata e conservata con
eccezionale maestria.
Si parla di insediamenti rupestri,
di villaggi trogloditi, di città sotterranee che ci raccontano il passato.
Ogni lembo di territorio scarpinato
Emozionanti
dalle mongolfiere
Montagne
Divertentiche
si levano ogni mattina di bel tempo da Goreme (30 maggio 2010, foto Maristella Scieresini).
100 Le vedute
Inverno 2010
Le Montagne Divertenti ci ha offerto scorci e scenari, colture
e culture, incontri e scoperte, volti e
storie di grande interesse.
La preparata e paziente guida turca
Gurcan, che ci ha "acchiappati" ad
Ankara per poi condividerei 7 giorni
di chilometri a piedi e in bus e infine
mollarci di nuovo alla stazione ferroviaria della capitale, ha saputo colmare
con grande professionalità ogni nostra
sete di conoscere e capirepersone,
luoghi e situazioni.
Gurcan ha saputo saziare ogni
nostra curiosità sulla storia, l'arte, il
costume e la vita di oggi come di ieri,
dagli oscuri e profondi meandri della
città troglodita di Kaymakli fino allo
spazioso orizzonte che si gode in cima
alla rocca di Uçhisar.
La formula, sapientemente messa
a punto dai nostri istruttori Nicola
e Stellina, di coniugare spettacolari
camminate su sentieri e soste culturali, pit stop gastronomici e visite a
eccellenze produttive ci ha consentito
una efficace full immersion nella realtà
turca in generale e della Cappadocia in
particolare.
Sostenuti da un clima favorevole,
quel pizzico di stanchezza, che accumulavamo per le lunghe camminate,
è stato ampiamente ripagato dall'osservazione dei luoghi, dall'interesse dei
manufatti e dalla spontanea cordialità delle genti incontrate.Incontri
improvvisi, rapidi, di passaggio.
Incontri con culture, linguaggi,
costumi, realtà diverse.
Incontri con un lembo di mondo
musulmano, entro il loro spazio vitale.
Siamo tornati arricchiti da questa
umanità, ora che, allontanati i pregiudizi, ci è meno sconosciuta e più
vicina. Dalle madri che vendono
centrini e bamboline di pezza ai venditori di frutta secca (viagra ottomano!),
dagli scolaretti che vogliono farsi fotografare agli sveltissimi camerieri, dai
rugosi volti dei vecchi contadini agli
scaltri affaristi da bazar, in ognuno di
loro si leggono sentimenti e sofferenze
comuni a tutti i popoli del mondo.
Camminare è il modo migliore
per “vedere” la bellezza dei luoghi e
le testimonianze storiche. L'"effetto
sorpresa", inoltre, ha reso tutto ancor
più piacevole; infatti ad ogni piega
del sentiero si aprono vedute diverse,
prospettive nuove.
In punti sperduti, in forre profonde
s’incontra l’ometto che vende spremute o il tè (çay), in campetti delimitati dai “camini delle fate” ci si imbatte
in famigliole di contadini curiose e
liete dell'incontro, attraversando i
paesi incuriosisce la convivenza pacifica tra l'internet point e retaggi di
vita ottocenteschi, nelle cittadine più
vocate all'offerta turistica i più esercitano il commercio con una miriade di
proposte d'acquisto moderatamente
insistite, ma mai petulanti.
La visita ad alcune aziende tipichecome tappeti, ceramiche, produzione
dell'onice e turchese - ci ha mostrato
accoglienza, elevata maestria produttiva, abilità e serietà commerciale.
Nell’insieme si coglie una popolazione attiva, carica di bella energia,
di voglia di sviluppo in un paese che
cresce in fretta, con le vistose contraddizioni che non possiamo certo criticare in quanto viviamo in un paese
che è espressione alta del tutto e del
suo contrario.
Göreme, Avanos, Aksaray, Uçhisar, Çavusin, Kavak, Bahçeli, Ayvali,
Mustafapasa, Sognali, Pasabag, Zelve
sono alcune delle località visitate
ricche di testimonianze storiche ed
artistiche ma indubbiamente le suggestioni scaturite nel percorrere la città
troglodita di Kaymakli, la Valle delle
Rose, il Museo all’aperto del villaggio di Zelve, il Caravanserraglio di
Sarihan, la Valle Rossa, l’Ihlara Valsisi
Turistik Tesisleri, la Valle Bianca, la
Valle dei Piccioni ci riportano indietro
Sognando Cappadocia
101
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
nella storia, in spazi senza tempo.
Pensate che nel villaggio troglodita di Zelve viveva una comunità di
oltre 2300 anime, poi il terremoto del
1952 disseminò crolli, spacchi e sconquassi che determinarono un totale
abbandono della valle per dar vita ad
un nuovo paese. Ciò che è rimasto
è diventato area museale all’aperto.
Quando si pensa a quelle cavità scavate
nel tufo calcareo hanno vissuto nostri
coetanei e molti di loro possono essere
testimoni di una vita da trogloditi, si è
presi da una sorta di confuso smarrimento: la preistoria pare sfiorarci!
Anche questo è Cappadocia!
Quando il sole tramonta i
camini delle fate allungano
le ombre, i colori si
ambrano, il crepuscolo
è esaltante momento
fotografico, poi giunge la
sera, cala la notte.
La luna piena - che fortunati siamo
stati - rende Göreme ancora più
lunare; il fresco stempera il caldo, dai
luoghi da sogno percorsi e visitati si
scivola in quelli che si annunciano per
il giorno dopo.
Il sonno tarda ed è bene addormentarsi dopo l’ultimo contrappello delle
23 del muezzin e dei suoi benedetti
altoparlanti, o si passa dalle fantasie
agli incubi!
Invece la Cappadocia è un infinito
sogno: tutto da scarpinare.
Le nostre rotte di Nordic Walking in Cappadocia
28 maggio
Partenza da Sondrio per Milano
Malpensa, volo per Istambul quindi
per Ankara. Visita Museo delle Civiltà
Anatoliche e Cittadella poi passeggiata al Parco con lago e giochi di luce.
29 maggio
Ankara Trasferimento con minibus a Göreme, sosta al lago Tuz Golü,
Aksaray visita alla città troglodita di
Kaymakli, Göreme.
30 maggio
Göreme visita Museo allAaperto,
trasferimento alla rocca di Uçhisar,
visita alla rocca, trasferimento per la
Valle delle Rose e ritorno a Göreme.
31 maggio
Göreme Çavusin - Pasabag, camini
delle fate - Zelve, Museo allaaperto
del villaggio troglodita, Avanos, visita
al centro di produzione dei tappeti
aSentez Avanos HaliS, Caravanserraglio di Sarihan, ritorno a Çavusin,
escursione nella valle Rossa.
1 giugno
Ihlara valley - trasferimento a Ihlara
Valsisi Turistik Tesisleri - discesa
nella valle tramite scalone, visita
chiese: Chiesa sotto l’albero - Chiesa
del serpente - Belisirma: Chiesa
del granaio, Bahattini, Chiesa del
colonnato; discesa a Selime e visita
al complesso monastico. Ritorno a
Goreme in minibus.
2 giugno
Göreme Valle Bianca - Uçhisar, visita al centro di lavorazione
dell,onice e del turchese, ritorno
a Göreme per la Valle dei Piccioni
– Avanos, spettacolo dei Dervisci
rotanti.
3 giugno
Göreme Trasferimento a Kavak
- Bahçeli - Ayvali - Mustafapasa Trasferimento a Sognali, visita alle
chiese all’imbocco delle valli gemelle.
4 giugno
Göreme mattino volo con mongolfiera - Avanos, visita fabbrica di
ceramiche Güray SeramikG, Uçhisar,
trasferimento ad Ankara, partenza
per Istambul con treno cuccetta
(notte).
5 giugno
Istambul inizio visita alle principali attrattive: Moschea Blu; Küçük
Aya Sofia (piccola); moschea Sokollu
Mehemet, Pasa Camii, Aya Sofya,
Cisterna Basilica, Gran Bazar e Bazar
delle spezie, moschea Rüstem Pasa,
Camii, passeggiata notturna sino al
Ponte di Galata.
6 giugno
Istambul mattino visita al Palazzo
Topkapi, ultimo sguardo al Galata
Bridge e panino con pesce, rientro in
Italia e in valle.
Marino Amonini
Marino Amonini, 61 anni, di Piateda
con ascendente valdambrino, professione nonno, nel tempo libero fotografo, coltivatore d’orto, scarpinatore
di nordic walking e, quando i turni
della moglie Adriana lo consentono
anche, fondista.
Perennemente affamato di letture,
non disdegno scrivere; collaboro da
oltre trentacinque anni con varie
testate, da cui la fama di avere una
grossa zucca, tanto che anche il mio
cappello alpino è stato prodotto con
lo stampo delle culderi.
Ho fondato nel 1983 All’ombra
del Rodes, dirigo dal 1988 Valtellina Alpina e dal 2003 Il Gazzettino
dell’Unione dei Comuni Albosaggia
All'imbocco della valle di Zelve, trasformata in Museo all'aperto per
il villaggio troglodita abitato fino al 1952, poi abbandonato a causa
dei
crolli diLeunMontagne
catastroficoDivertenti
terremoto (31
maggio 2010).
102
Inverno 2010
Le Montagne Divertenti - Caiolo- Cedrasco – Fusine; una vera
e propria scalata editoriale al regno
della brina!
Inguaribile curiosone, amo ravanare
in archivi e robe vecchie, contrade
abbandonate per leggervi i segni di
storie minime nelle pietre, tra i documenti, le vecchie foto che poi restauro
con ore di computer.
Ho curato varie pubblicazioni sia
come autore, che coordinatore applicandomi con passione in ognuna per
la qualità dei testi, la cura della grafica
e delle immagini.
Collaboro con Le montagne divertenti
fin dalla sua nascita con testi e foto,
oltre che distribuendo la rivista nelle
zone “all'ombra del Rodes”.
Marino Amonini e nipotino (2010).
Sognando Cappadocia
103
Il mondo in miniatura
Speciali d'Inverno
LE FARFALLE
DEL
FREDDO
Alessandra Morgillo
104
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Le Montagne Divertenti Venessa atalanta a Carona
Le farfalle
(maggio
2010,del
fotofreddo
Paolo Rossi).105
Speciali d'Inverno
insetti
Il mondo in miniatura
).
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Inverno 2010
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Le Montagne Divertenti Vanessa atalanta (30 gennaio 2009, foto
Alessandra Morgillo).
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20
106
Quando l’insetto si posa ad ali chiuse è poco
appariscente per non suscitare l’attenzione
di potenziali predatori: la pagina inferiore
delle ali è in forte contrasto con la vivacità
della parte superiore, poiché si presenta
di colore scuro e omogeneo, fortemente
mimetico. Questo esemplare, tuttavia,
presenta ali parzialmente logore, a prova del
lungo inverno che ha appena superato. Le
zampe anteriori sono tipicamente più corte
e tenute all’insù accanto al capo svolgono
una funzione sensoriale oppure vengono
utilizzate per ripulire le antenne.
no
cricchiolano al sole gli infissi
della finestra e Carletto solleva
lo sguardo sonnecchiante dal libro
di storia. È un bel pomeriggio di
gennaio. Dell’ultima nevicata è
rimasta solo qualche traccia sui prati
brulli, ma l’aria è ancora fredda e
pungente. Di questi tempi non vi
è praticamente traccia di insetti e
Carletto attende con ansia la primavera per ricominciare a investigare
l’affascinate mondo in miniatura con
l’aiuto del saggio nonno naturalista.
Quante scoperte fanno durante le
loro passeggiate, armati solo di lente
d’ingrandimento e tanta voglia di
scoprire i segreti della natura!
Con lo sguardo fisso alla finestra e
immerso nei suoi pensieri, il bimbo
immagina ad un certo punto una
farfalla scura che si avvicina leggera..
sempre più grande… sembra proprio
vera! Stropicciandosi gli occhi ripete
tra sé e sé ciò che gli aveva detto il
nonno: in inverno non ci sono insetti,
e quelli che riescono a sopravvivere
lo trascorrono dormendo, nasco-
sti in luoghi
protetti. Riapre
gli occhi: la farfalla
è ancora lì, volteggia davanti al vetro e
poi si posa sul davanzale. Non passa
neanche un minuto e il nonno,
pocanzi intento a leggere il giornale
sulla poltrona della stanza accanto,
si ritrova davanti a quella finestra,
condotto con foga dal nipotino che
farfuglia concitato: “una farfalla,
una farfalla del freddo!”
Inforcati gli occhiali il nonno
osserva silenzioso il grande lepidottero, fermo ad ali chiuse, dal
profilo scuro e dimesso, che quasi si
confonde col davanzale. “È venuta
a farti visita una Vanessa!” esclama
finalmente, ancora ansimando per
quella corsa inaspettata.
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S
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l
de
ne
Va
cione, nera e con pois bianchi… non
sono questi i colori della squadra di
calcio… nonno, si chiama così perché
è bergamasca?”
“Oh no Carletto, Atalanta era una
ninfa greca e forte guerriera; i nomi
dei personaggi mitologici vengono
spesso riproposti in diversi ambiti, in
particolar modo nella classificazione
degli insetti”.
“Ma cosa ci fa in giro in pieno
inverno, non ha freddo?”
“Certo che sente freddo, in questo
momento, infatti, sta cercando di
ssa
ca
ti
'or
ell
ol
Pa
o
t
(fo
“Ma nonno” ribatte impaziente
Carletto “forse ti sbagli, Vanessa è
una mia compagna di scuola!”. Poi si
stropiccia nuovamente gli occhi. Che
sia quella farfalla davvero frutto della
sua immaginazione?
Il nonno sorridendo: “Molte
persone hanno questo nome, ma
anche alcune grandi e vistose farfalle”.
“È tutta scura, non mi sembra
tanto vistosa” lo interrompe il bimbo,
ma un attimo dopo realizza: “Ah, è la
mimez… cioè, è il trucco per nascondersi, non è vero nonno?”
“Esatto Carletto, hai imparato a
riconoscere la mimetizzazione, cioè
la strategia che molti insetti sfruttano per confondersi con l’ambiente
e non farsi vedere dai predatori. Ma
vediamo di quale Vanessa si tratta”
asserisce il nonno mentre apre la
finestra molto lentamente. La farfalla
allora si muove un po’, compiendo,
senza sollevarsi in volo, rapidi battiti
d’ali che infine distende dopo averle
rivolte al pallido al sole.
Il bimbo non riesce a trattenere lo
stupore: “Com’è bella! E che colori
vivaci!”
“Ecco, adesso non ho alcun dubbio:
si chiama Vanessa atalanta, a volte
detta anche Vulcano”.
“Atalanta? Ma è marrone, aran-
ne
Va
i).
oss
R
o
A differenza di quasi
tutte le altre farfalle, che
vivono al massimo qualche settimana, le Vanesse
hanno una vita lunga,
che può durare fino a
undici mesi.
riscaldarsi crogiolandosi al sole; si
serve delle sue grandi ali scure che
orienta al sole come fossero ampi
pannelli in grado di assorbirne il
tepore.
In inverno, quindi, esse cadono in
uno stato di quiescenza, una sorta
di letargo degli insetti, e dormono
riparate all’interno delle fessure delle
rocce, in protetti anfratti sotto la
corteccia nei tronchi, o nelle cavità
di vecchie mura in pietra. Di tanto
in tanto però, quando si presentano belle giornate e la temperatura
aumenta, si destano e approfittano
di qualche ora di sole per andare alla
ricerca di qualcosa da mangiare”.
Carletto ha solo otto anni, ma è un
bimbo sveglio e sa che le farfalle si
cibano di nettare, ma in inverno non
ci sono tanti fiori, perciò si rivolge
al nonno incuriosito: “E di cosa si
nutre?”.
“Per sopravvivere a questa stagione
- è una delle pochissime in grado
di farlo - è costretta a variare la sua
dieta, spaziando dal nettare dei fiori,
a sostanze organiche di vario tipo,
come ad esempio la frutta marcescente o la linfa che sgorga dalle ferite
degli alberi”.
Il bimbo è entusiasta: “Allora è una
farfalla speciale! Prendiamola, così la
guardiamo meglio!”.
Ma il nonno con fermezza: “È
sempre meglio non toccare le
Le Montagne Divertenti Vanessa
atalanta non
è l’unica in
grado di svernare,
altre farfalle
appartenenti alla
famiglia delle Ninfalidi
possono farlo come ad esempio
la bella vanessa del cardo (Vanessa
cardui), uno dei lepidotteri più comuni
con capacità migratorie o la vanessa
dell’ortica (Aglais urticae), i cui bruchi,
proprio come quelli della Vanessa
atalanta, si nutrono preferibilmente
delle foglie di questa pianta.
farfalle, si rischia di rovinar loro le
ali e comprometterne la capacità di
volare”.
“Sarà a causa di quella strana polverina che rimane sulle dita quando le
tocchi, giusto nonno?”.
“Innanzitutto sono molto delicate
ed è facile danneggiarle, inoltre le
nostre dita rimuovono quelle minuscole squamette che, embricate come
le tegole di un tetto, ricoprono la
superficie delle ali. Non si tratta di
polverina magica, ma costituiscono
il caratteristico mosaico di colori e
soprattutto sono elementi indispensabili per ridurre la turbolenza durante
il volo”.
Anche se per Carletto quelle squamette continuano a emanare un po’
di magia, ha imparato la lezione e
non toccherà più le farfalle. Ma la
curiosità è ancora forte, perciò insiste: “Non c’è un modo per prenderla
senza rischiare di farle del male?”.
“Possiamo convincerla a salire
spontaneamente sulla mano. Offriamole un po’ di marmellata, di questi
tempi non si lascerà sfuggire una tale
leccornia”.
Detto fatto, Carletto appoggia il
dito davanti alla Vanessa che prima
assaggia con le zampette anteriori, che
sono organi del gusto nelle farfalle, e
poi srotola la lunga proboscide (che
si chiama spiritromba) per suggere la
sostanza zuccherina. Per nulla intimorita fa poi una bella passeggiata
sulla mano del bimbo che stupito e
divertito ne osserva da vicino ogni
dettaglio. Infine spicca il volo allontanandosi con sorprendente rapidità,
forse alla ricerca di un nuovo rifugio
per proteggersi dal freddo e colorare
nuove giornate invernali.
Le farfalle del freddo
107
Rubriche
fauna alpina
gli inquilini
dell'abete rosso
Alessandra Morgillo
Proprio come gli inquilini di
un edificio a più piani, insetti,
mammiferi e perlopiù uccelli si
sistemano sui rami dell'abete rosso
che meglio rispondono alle proprie
esigenze, usufruendo così di tutte le
risorse che l’albero, direttamente o
indirettamente, offre loro.
108
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Le Montagne Divertenti Cincia bigia (inverno 2006, foto Franco Benetti) e abete rosso
(7 febbraio 2010, foto Giacomo Meneghello).
Vita negli specchi d'acqua montani
109
Rubriche
Fauna
Gli inquilini dell’abete rosso
L’
Pettirosso (15 dicembre 2008, foto Franco Benetti).
abete rosso (Picea abies L.), detto anche peccio
(pèsc), è la più importante conifera forestale dei
boschi montani delle Alpi. Costituisce foreste pure, chiamate peccete, oppure miste in consorzio con abete bianco
(Abies alba Mill.) e faggio (Fagus sylvatica L.) o, a maggiore
altitudine, con larice (Larix decidua Miller) e pino cembro
(Pinus cembra L.); in quota può formare il limite degli
alberi. Imponente e maestoso, raggiunge i 50 metri di
altezza, ha un tronco colonnare rivestito da una ruvida
corteccia bruno-rossastra, che ne ha suggerito il nome, e
piccole foglie aghiformi di color verde cupo inserite singolarmente tutt’intorno ai rametti a formare una chioma
conica e regolare. In inverno esse non abbandonano i rami,
ben tollerando gelo e vento grazie alla consistenza coriacea e alla resina oleosa che le ricopre. Come suggerisce il
termine conifera1 , possiede coni legnosi (le pigne) penduli,
provvisti di squame strettamente embricate a protezione
dei semi. Solo quando quest’ultimi sono maturi, le pigne si
aprono e cadono a terra, ancora tutte intere.
Queste caratteristiche conferiscono al peccio resistenza e
tenacia in condizioni climatiche proibitive, ma lo rendono,
tuttavia, ben poco sfruttabile come fonte di cibo per gli
animali che popolano il bosco invernale.
Ciò nonostante, ogni singolo albero rappresenta un
complesso e diversificato sistema di nicchie ecologiche,
ospitando svariate specie di animali che convivono in
completa armonia.
Proprio come gli inquilini di un edificio a più piani,
insetti, mammiferi e perlopiù uccelli si sistemano sui rami
che meglio rispondono alle proprie esigenze, usufruendo
così di tutte le risorse che l’albero, direttamente o indirettamente, offre loro.
All’ombra di un peccio
A
Nocciolaia a Pontresina (6 gennaio 2008, foto Franco Benetti).
i piedi dell’albero, tra le sue robuste radici, il pettirosso (Erithacus rubecola) saltella sul terreno coperto
di aghi e rametti secchi, alla ricerca di invertebrati o di
qualche semino. L’aria dolce e indifesa di questo uccellino
cela un’indole solitaria e territoriale, per cui non dividerà
la propria area di alimentazione con inquilini della stessa
specie, anzi la difenderà gelosamente mostrando, fiero, l’inconfondibile macchia arancione.
iù difficile da avvistare, a causa della livrea mimetica
e per le dimensioni ridotte è lo scricciolo (Troglodytes
troglodytes), passeriforme lungo appena 10 centimetri e
riconoscibile per la coda corta tenuta sempre ben alzata.
Insettivoro dinamico e scattante è solito ispezionare il suolo
boschivo, intrufolandosi anche nei posti più intricati per
scovare gli insetti e i ragni di cui si nutre, accontentandosi,
in caso di necessità, anche di qualche bacca.
La base dell’albero offre alla nocciolaia (Nucifraga caryocatactes) un buon punto di riferimento per ritrovare le
provviste, semi di pino, nocciole, ghiande e bacche, accumulate e interrate durante la bella stagione. Questo intelli-
P
Scoiattolo in val Roseg (16 novembre 2008, foto Roberto Moiola).
110
Le Montagne Divertenti 1 - Dal greco fero = portare.
Inverno 2010
gentissimo corvide ha la capacità di ricordare centinaia di
nascondigli diversi, orientandosi anche con la neve, poiché
in grado di fissare nella prodigiosa memoria numerosi e
validi elementi identificativi di un territorio. Quando, per
vari motivi, qualche dispensa non viene visitata, in primavera i semi germinano; la nocciolaia, perciò, contribuisce
indirettamente al rinnovo forestale e in particolare riveste
un ruolo fondamentale nella dispersione del pino cembro,
i cui semi troppo pesanti non potrebbero altrimenti allontanarsi molto dalla pianta madre.
Spesso al suolo si rinvengono pigne incastrate tra le
pietre o tra le ceppaie, sapientemente posizionate dalla
nocciolaia per agevolare la complicata operazione di apertura. Se invece sono rosicchiate, con un solo ciuffo di
squame al vertice e tutt’intorno diversi frammenti, è opera
dello scoiattolo (Sciurus vulgaris) che mastica la pigna
immatura quando è ancora sospesa ai rami, ne ingerisce i
semi e scarta il resto. In inverno, per la scarsità di cibo, non
sono rare le incursioni a livello del suolo di questo abituale
abitante dei rami.
Una vita in verticale
I
l ritmico tamburellare contro la solida corteccia è
udibile anche a diverse centinaia di metri di distanza;
è il richiamo del picchio, creatura alquanto bizzarra, i cui
straordinari adattamenti anatomici e comportamentali ne
fanno uno degli animali maggiormente specializzati nel
muoversi e nutrirsi lungo il fusto degli alberi. Le sue zampe
sono diverse da quelle degli altri uccelli: le dita, munite di
forti artigli, sono disposte due in avanti e due all’indietro e
consentono al picchio di ancorarsi in verticale, stabile sulla
coda dalle penne insolitamente robuste per garantire sostegno contro il tronco. In questa posizione l’animale può
scalpellare energicamente la corteccia con il becco diritto e
appuntito per estrarre coleotteri xilofagi (che si nutrono del
legno) che preleva afferrandoli con la lunga lingua appiccicosa e dotata di setole all’apice. Nella stagione invernale,
quando gli insetti scarseggiano, il robusto becco risulta efficace per scalfire pigne, noci e ghiande fino ad aprirle, dopo
averle ingegnosamente incastrate tra i rami o nella corteccia. Il suo nido è una cavità scavata nei tronchi maturi,
profonda anche mezzo metro. La parte basale dei grossi
fusti è solitamente frequentata dal più grande picchio
europeo, il picchio nero (Dryocopus martius), i cui nidi
abbandonati vengono solitamente utilizzati dalla civetta
capogrosso (Aegolius funereus), piccolo rapace notturno,
oppure divengono rifugio del ghiro (Glis glis) durante il
suo lungo letargo invernale.
Nella parte più alta del tronco o sulle sue principali
diramazioni, si aggirano, spesso celati dalla chioma, l’elegante picchio rosso maggiore (Dendrocopos major) e il
piccolo picchio muratore (Sitta europaea). Quest’ultimo,
a dispetto del suo nome, non è un picchio vero e proprio,
ma un passeriforme capace di spostarsi a piccoli balzi sia
verso l’alto che a testa in giù. L’appellativo “muratore”
giustifica la singolare abitudine di murare i fori d’ingresso
di cavità preesistenti sul tronco, applicando un impasto di
fango e saliva per adattarli, così, alla propria nidificazione.
Le Montagne Divertenti Picchio nero in val Gerola (11 giugno 2008, foto Roberto Moiola).
Picchio muratore a Pontresina (foto Franco Benetti).
Vita negli specchi d'acqua montani
111
arte e montagna
Rubriche
S
i accontenta, invece, solo di un intreccio di muschio
e rametti, appoggiato su un lembo di corteccia sollevato, il rampichino alpestre (Certhia familiaris), tra i più
specializzati inquilini del tronco: la livrea bruna screziata lo
rende quasi impossibile da scorgere tra le placche legnose,
mentre saltella con disinvoltura spesso girando a spirale
intorno al fusto.
molteplici strategie ed evoluto sofisticati adattamenti per
spartirsi le risorse disponibili lungo tutta la sua altezza. Una
varietà e una ricchezza di grande valore, ma custodita con
modestia dal nostro albero di Natale, che l’uomo, invece,
pretende di impreziosire con lo sfarzo dei suoi addobbi.
icone di santi e martiri
La chioma
Beno e Gioia Zenoni
Q
uando al suolo c’è la neve non è insolito vedere
appollaiato sui robusti rami bassi di un abete rosso
il gallo cedrone (Tetrao urogallus). In inverno si ciba degli
aghi dell’albero, è infatti tra i pochi animali in grado di
digerirle, e grazie a questa risorsa può sopravvivere alla
stagione rigida.
l più piccolo uccello che può vivere su un peccio è il
regolo (Regulus regulus). Non raggiunge il decimetro
di lunghezza e si riconosce per la sottile fascia gialla contornata di nero al vertice del capo. Emette acuti zii…ziii
mentre con il becco minuto ricerca freneticamente invertebrati sui rametti e tra gli aghi.
e fronde, invece, sono l’ambiente preferito dalle
cince. Esistono diverse specie di questi acrobatici
passeriformi, ma nei boschi di conifere è facile incontrare
oltre alla cincia dal ciuffo (Parus cristatus), la più elegante,
adorna, come suggerisce il nome, di una cresta di penne
particolarmente allungate erette sul capo, anche la cincia
bigia alpestre (Parus montanus), dalle ampie guance
candide e un cappuccio tutto nero sul capo, la cincia mora
(Parus ater), con la tipica macchia bianca sulla nuca e la
cinciallegra (Parus major), più grande delle altre e d’abito
vivacemente colorato. A proprio agio sui rami esterni
fittamente coperti di aghi e flessibili, le cince ispezionano
minuziosamente gli interstizi tra i licheni, tra gli aghi e
tra le squame delle pigne alla ricerca di piccoli artropodi.
Il loro piccolo becco appuntito è abbastanza robusto per
scalfire diversi semi che in inverno integrano la loro dieta.
Sono molto intelligenti e sanno accumulare in siti protetti
i semi in eccesso, sfruttando questa preziosa risorsa nei
momenti di maggiore difficoltà.
Cipriano Valorsa
I
L
Fringuello a Pontresina (18 maggio 2009, foto Franco Benetti).
In cima
G
ruppetti di fringillidi vagabondano di chioma in
chioma spostandosi di continuo e interagendo con
animato chiacchiericcio. Il fringuello alpino (Montifringilla nivalis), specie d’alta quota onnivora e versatile, adatta
la propria alimentazione alle risorse disponibili, al contrario del crociere (Loxia curvirostra), specializzato, invece, nel
cibarsi esclusivamente dei semi delle conifere. Questo colorato uccellino si appende a testa in giù sui coni della parte
più alta della chioma e ne estrae i semi con facilità grazie
al becco dall’insolita conformazione: le estremità incrociate
l’una sull’altra lo rendono uno strumento perfettamente
funzionale per divaricare le robuste squame legnose delle
pigne.
Questi e molti altri sono gli inquilini invernali di un
abete rosso, ospiti selezionati che hanno perfezionato
112
Le Montagne Divertenti Gallo cedrone all'Aprica (8 maggio 2009, foto Franco Benetti).
Cincia mora (2 marzo 2009, foto Alessandra Morgillo).
Inverno 2010
Scriveva papa Gregorio Magno:
"la pittura serve agli analfabeti come la scrittura per chi sa leggere”.
Oggi questa regola si è ribaltata, spesso ci mancano gli
strumenti per comprendere alcune rappresentazioni sacre che
ci appaiono bizzarre, come talvolta l'iconografia dei santi.
Cipriano
LaMontagne
lunetta raffigurante
San Pietro
Martire nell'oratorio dei SS. Rocco e Sebastano (28 settembre2010, foto
Beno). Valorsa - parte II
Le
Divertenti
113
Arte e montagna
V
114
Le Montagne Divertenti la fece torturare a morte, con mutilazione dei seni. Si dice che il velo
caduto dal suo capo dopo la morte
deviò il corso della lava dell’Etna.
E' invocata contro gli incendi, le
eruzioni e i terremoti.
Tutt’oggi a Catania in occasione
della sua festa viene portato in
processione il suo velo.
Protegge dalle malattie al seno, le
nutrici e le madri che allattano .
L'oratorio dei SS. Rocco e Sebastiano a Grosio (3 ottobre 2010, foto Beno).
Cerchiamo di spiegare alcune delle
figure dipinte dal Valorsa nell'oratorio
dei SS. Rocco e Sebastiano:
S. Agata
E' raffigurata coi seni su un vassoio
e la palma della vittoria in mano.
Della sua vita non si conosce niente
che possa essere definito storico, ma
esiste prova di culto antico e vi sono
molte versioni della sua leggenda a
partire dal IV sec. d.c..
Giovane donna siciliana benestante, aveva consacrato la propria
verginità a Cristo. Fu oggetto delle
mire del console Quinziano che,
appellandosi a un editto imperiale
contro i cristiani, la fece rinchiu-
dere in un bordello e tentò mille
espedienti per farla rinunciare al suo
proposito. Falliti i malefici intenti,
Inverno 2010
S. Lucia - oratorio dei SS. Rocco e Sebastiano.
S. Lucia
Martire nel 304, viene rappresentata con gli occhi su un vassoio e
nell'altra mano il coltello con cui se
li è cavati.
Nata a Siracusa da nobile e ricca
famiglia cristiana, dedicò la sua vita
a Dio e donò ricchezze ai poveri.
Come Sant’Agata, fu rapita da un
soldato romano e, poiché oppose
resistenza, fu denunciata, torturata e
uccisa. E' tra le prime vergini martiri
celebrate dalla chiesa.
Quella degli occhi è solo leggenda:
si sarebbe strappata gli occhi piuttosto che cedere all'assalitore.
Secondo la tradizione, va invocata
per curare le malattie degli occhi.
S. Agata - oratorio dei SS. Rocco e Sebastiano .
isto che la maggior parte
degli affreschi del Valorsa in
alta Valtellina non sono visionabili
perchè le chiese sono tutte chiuse,
concludiamo il nostro viaggio sulle
orme del Valorsa a Grosio dove, sul
lato sinistro della chiesa di San Giorgio si trova ed è visitabile, sul fondo
di un prato recintato che anticamente era il cimitero, l'oratorio dei
SS. Rocco e Sebastiano. Valorsa ne
affrescò le pareti esterne, l'intradosso
delle tre arcate e le vele della volta.
L'oratorio è una cappella datata
1480 che, dopo la peste del 1630,
venne trasformato in ossario. Sulla
fronte principale si distinguono,
seppur rovinate, le figure di S.Rocco
a sinistra e di S. Sebastiano a destra.
Fu dipinto dal Valorsa presumibilmente nel 1565 e offre una vasta
campionaria di scene dall'iconografia cruenta, come spesso venivano
commissionate ai pittori del '500.
Scriveva papa Gregorio Magno
nell’VIII sec. d.C.: “la pittura serve
agli analfabeti come la scrittura per
chi sa leggere”. Oggi questa regola
si è ribaltata, spesso ci mancano
gli strumenti per comprendere le
rappresentazioni che spesso ci appaiono bizzarre. Un esempio è l'iconografia dei santi e dei martiri, cioè il
modo in cui venivano rappresentati,
che ha costituito la base della catechesi dei nostri avi e per secoli ha
racchiuso, attraverso un patrimonio
d’immagini d’impatto immediato,
la controparte visiva della tradizione
orale che ha conservato e rielaborato
la storia e le leggende relative alla
vita dei protettori delle comunità
cristiane.
Simboli, feste e riti ad essi legati
hanno un’origine antichissima,
talvolta perfino derivata dalla spiritualità pagana di cui la religione
cristiana raccoglie in eredità, adattandole, certe espressioni popolari
del culto.
Gli attributi con cui i santi sono
rappresentati richiamano alla mente
le modalità del martirio, i miracoli
o peculiari episodi che ne marcano
l’identità: spesso si tratta di oggetti
che ancora oggi, seppur sia andato
perso il valore didattico delle raffigurazioni, solleticano l' immaginazione
e ci colpiscono per la cruenza.
S. Caterina d’Alessandria
Era una giovane molto bella e
devota, voluta in sposa dall’imperatore Massenzio (IV sec.), che provò
a convincerla facendola confrontare
con 50 filosofi e oratori. Di fronte
ad essi Caterina parlò così bene da
convertirli al cristianesimo. L'imperatore, inferocito, fece bruciare i
filosofi sul rogo e, vedendosi ancora
respinto dalla giovane, la condannò
alla prigione senza cibo. Fu però
nutrita da una colomba mandata da
Le Montagne Divertenti Dio, al che l'imperatore, inferocito,
decise di giustiziarla col supplizio
della ruota dentata. Ma anche la
ruota si ruppe salvandola. Fu perciò
decapitata e si narra che dalla sua
testa sgorgasse latte.
E' protettrice di oratori, filosofi,
notai e balie.
S. Caterina - oratorio dei SS. Rocco e Sebastiano.
S. Pietro Martire
E' rappresentato (vedi copertina
di questo articolo) come membro
del’ordine dei domenicani, con
tonaca bianca, mantello nero, una
mannaia conficcata in testa e palma
della vittoria.
Nato a Verona a fine XII sec.,
entrò nell’ordine dei predicatori
affascinato da San Domenico.
Nominato priore, fece prediche e
svolse attività taumaturgiche. Nominato inquisitore da papa Gregorio
IX per combattere l’eresia catara, fu
ucciso nel 1252 dagli stessi catari in
un agguato sulla strada da Como a
Milano. Secondo tradizione col suo
sangue scrisse "credo in deum".
Viene invocato contro il mal di
testa quando la mannaia da sola non
basta a farlo passare.
S. sebastiano
E' raffigurato trafitto da frecce,
simbolo del suo martirio. Secondo la
leggenda il santo visse sotto l'impero
di Diocleziano. Era alto ufficiale
dell'esercito imperiale, ma quando
Diocleziano, che nutriva profondo
odio verso i cristiani, scoprì che
Sebastiano era cristiano lo condannò
a morte trafitto da frecce. Dopo
questo martirio, creduto erroneamente morto, fu abbandonato dai
carnefici. Soccorso e amorevolmente
curato riuscì a guarire, ma tornò
da Diocleziano per rimproverarlo e
questi lo fece flagellare a morte e ne
gettò il corpo nella Cloaca Maxima.
Assieme a S. Rocco è protettore
contro le epidemie, ed è per questa
ragione che l'oratorio fu loro dedicato dopo la tremenda epidemia di
peste del 1630.
S. Stefano
E' raffigurato con dei sassi in testa
e la palma della vittoria in mano.
E' il primo martire cristiano e la
sua festività viene perciò festeggiata
il giorno successivo alla natività di
Cristo.
La sua vita e la sua morte sono
documentate negli Atti degli
Apostoli, il libro canonico redatto
dall'evangelista Luca. Stefano fu il
primo diacono, scelto per le opere di
carità come l'assistenza alle vedove e
agli orfani. Fu lapidato nel periodo
di persecuzione religiosa e di vuoto
amministrativo seguito alla deposizione di Ponzio Pilato.
S. francesco
E' raffigurato mentre riceve le
stigmate dal crocifisso che sembra
emanare raggi laser.
S. Francesco- oratorio dei SS. Rocco e Sebastiano.
Rubriche
Cipriano Valorsa - autoritratto - particolare
della deposizione della chiesa di San Giorgio
a Grosio (3 ottobre 2010, foto Beno).
Cipriano Valorsa - parte II
115
Rubriche
FOTOGRAFIA
INVERNALE
IN MOVIMENTO
Testi e foto Roberto Moiola
116
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Freeride
in Valgerola
Le Montagne
Divertenti
(28 febbraio 2010, foto Roberto Moiola).
L'arte della fotografia
117
Rubriche
Giochi di neve sul monte Rolla (27 gennaio 2008, foto Roberto Moiola).
Ciaspolatori in Valfurvaverso le baite dell'Ables (2 dicembre 2009, foto Roberto Moiola).
O
rmai le lunghe e assolate
giornate estive sono solo
un ricordo, i colori brillanti delle
fioriture e dei bei laghetti alpini
sono solo un sogno e un arrivederci all'anno prossimo.
L'inverno, col suo freddo
pungente e il clima nebbioso,
può invogliarci a riporre nel
cassetto l'attrezzatura fotografica, troppo ingombrante quando
andiamo a sciare sulle piste,
troppo pesante da aggiungere
allo zaino, già colmo di vestiti,
quando ci avviamo per una faticosa ciaspolata in neve fresca.
Eppure, se vinciamo questi ostacoli, scopriamo che d'inverno
fotografare è più facile che nelle
altre stagioni.
Prima di tutto consideriamo a
nostro favore l'abbondante luminosità riverberata dalla neve, un
fattore molto importante quando
pensiamo ad uno dei classici
118
Le Montagne Divertenti errori dei fotografi dilettanti:
la foto mossa. Più luce significa infatti un tempo di scatto
più breve: uno scatto rapido è
sinonimo di foto stabile. Grazie
all'abbondanza di luce non siamo
obbligati nemmeno ad intervenire crescendo il fattore ISO, che
pare venirci in aiuto nelle situazioni più buie ma che in realtà
ha come risvolto della medaglia
maggior rumore e minor qualità.
Pensiamo poi alla tipologia
della luce. La luce radente, tipica
delle prime ore del mattino o
del tramonto, ci permette di
mostrare le trame migliori e più
brillanti che si formano tra le
curve della neve, ogni volta ci
stupiamo della semplice bellezza
che può assumere il magico
manto nevoso.
Anche per la fotografia
notturna l'inverno è il momento
migliore: di notte la neve si
illumina in presenza della
luna, restituendo immagini di
grande fascino, anche grazie alla
presenza incantata delle stelle nel
cielo.
N
elle fotografie di paesaggi
invernali è sempre buona
norma includere soggetti umani,
meglio se abbigliati con colori sgargianti quali il rosso o l'arancione. E'
essenziale posizionare correttamente
il soggetto nel panorama, anche a
parecchia distanza da noi se necessario.
Facciamo attenzione al senso con
il quale si muovono i nostri amici
ciaspolatori; meglio dare respiro al
loro movimento, posizionandoli
ad esempio a sinistra e lasciando
libero il centro del fotogramma per
rendere intuibile la direzione del
loro spostamento. Ricordiamoci che
una fotografia deve raccontare un
momento, solo così si potrà rivivere
Inverno 2010
al meglio un ricordo e si potranno
emozionare i futuri osservatori.
Per quanto riguarda l'aspetto tecnico,
verifichiamo di avere un tempo di
scatto di almeno 1/200s e una apertura che non scenda troppo sotto
al di sotto del valore f/10. La messa
a fuoco ovviamente andrà fatta sui
soggetti.
Se vogliamo invece una foto ricordo
dei partecipanti, l'inquadratura dovrà
essere più stretta e si dovrà porre
particolare attenzione alle ombre sui
visi. La luce migliore per i ritratti la
si ha in giornate velate o nuvolose,
purtroppo troppo fredde durante la
stagione invernale e dunque poco
invitanti per fare un'escursione sulla
neve. Nelle giornate di sole, più calde
ma più ostiche per i ritratti, occorre
evitare di porre il soggetto con il
viso rivolto al sole. Può stupire, ma
è meglio tenere i soggetti con il viso
in ombra, per poi andare ad illuminarmi con l'aiuto del flash al fine di
Le Montagne Divertenti Ciaspolatori in val Febbraro (14 marzo 2010, foto Roberto Moiola).
raggiungere un miglior equilibrio
tra luminosità e contrasto. Il "riempimento flash" sarà migliore se ci
affidiamo ad un lampo regolabile e
direzionabile. E' così per qualsiasi
flash esterno che viene montato sulla
slitta del pentaprisma della foto-
camera dove sono posti i contatti.
Andrebbe anche valutata la direzione
del flash, la classica luce sparata frontalmente non sempre aggiunge dettagli ai lineamenti del viso, anzi talvolta
si avrà l'effetto contrario e controproducente di locali sovraesposizioni.
L'arte della fotografia
119
Rubriche
Freeride in Valgerola (28 febbraio 2010, foto Roberto Moiola).
V
ediamo invece qualche dritta
per chi si muove in rapidità tra
le piste da sci. Senz'altro è necessario
avere qualche nozione circa la foto
in movimento e la giusta valutazione
della messa a fuoco: il mosso e lo
sfocato sono sempre in agguato!
Un'innata capacità di cogliere l'attimo è senza dubbio importante,
ma una buona impostazione iniziale
della fotocamera può aiutare molto.
Partiamo stabilendo un ISO pari a
400; evitiamo poi le impostazioni
completamente automatiche e disponiamoci in modalità semiautomatica
con priorità di tempo. Chiunque sia
il nostro soggetto sicuramente sulla
neve non avrà la velocità da bradipo
di un ciaspolatore in mezzo metro
120
Le Montagne Divertenti di neve fresca: ci occorre quindi
un tempo di scatto molto breve, al
più di 1/1000s, o anche meno se le
condizioni di luce lo consentono.
In presenza di buona luminosità,
possiamo valutare che la macchina si
assesterà su un valore medio di f/10.
Meglio comunque non stare troppo
tempo a pensare: la cosa migliore
è realizzare una prima serie di scatti
di prova, per poi valutarne la nitidezza, facendo uso dello zoom all'interno del display di visualizzazione
delle foto. Se con questo tempo di
scatto abbiamo ottenuto foto mosse,
possiamo ridurre il tempo di scatto
in due modi: aumentando ulteriormente il parametro ISO, oppure
agendo direttamente sul tempo di
scatto, questo se la nostra apertura
non è già al livello massimo (tra f/2,8
e f/5,6 a seconda dell'obbiettivo).
Risolto il rilevante problema del
mosso, vediamo ora come comportarci contro eventuali sfocature.
Evitiamo di impostare manualmente
il fuoco sul bottone apposito presente
sull'obbiettivo, e concentriamoci
sulle varie opzioni in macchina.
Prima differenza è tra fuoco singolo
e fuoco continuo. Sappiamo bene
che la messa a fuoco si ha quando si
preme a metà il pulsante di scatto.
Questa però non continuerà "a
seguire il soggetto", che è evidentemente in movimento, verso o oltre
di noi, se siamo sull'opzione di messa
a fuoco singola (SINGLE SHOT).
Inverno 2010
Quindi meglio impostare la fotocamera con messa a fuoco continua
(AI SHOT o AI SERVO). Il punto
di messa a fuoco è altresì di cruciale
importanza. Tutte le fotocamere di
moderna concezione ci permettono
di impostare l'area di messa a fuoco,
solitamente scelta tra 9 o addirittura
16 diversi punti del fotogramma.
Ovviamente un punto di messa a
fuoco fisso è adatto se siamo pronti
a fotografare un soggetto che passa
per forza in un punto ad una certa
distanza da noi, come ad esempio
ad uno sciatore che durante uno
slalom è, per così dire, obbligato a
passare da un certo paletto. Per noi
sarà semplice perché dobbiamo solo
scattare nel momento esatto, con il
Le Montagne Divertenti Snowboard freeride in Valgerola (28 febbraio 2010, foto Roberto Moiola).
fuoco ovviamente già in posizione.
In questo caso meglio impostare lo
scatto multiplo: in una raffica di foto
realizzeremo senz'altro il fotogramma
perfetto!
Se il nostro soggetto è invece
imprevedibile nel suo movimento è
preferibile utilizzare la modalità di
messa a fuoco con punto automatico:
sarà cioè la nostra macchina a rincorrere e cercare di congelare il soggetto
con una messa a fuoco opportuna.
Una situazione sicuramente più difficile, che ci vedrà sbagliare un numero
elevato di volte. Ma non perdiamoci
d'animo perché è essenziale provare
e riprovare per poter acquisire la
giusta domestichezza e tecnica. Da
questo punto di vista, un contributo
di fondamentale importanza ci è dato
dall'avvento del digitale, che ci rende
più agevole ed economico imparare
dai nostri stessi errori.
Buone foto a tutti!
L'arte della fotografia
121
le
foto dei lettori
Rubriche
Motta di Olano (m.1700) in Valgerola dopo una copiosa nevicata (10 gennaio 2010, foto Luca Picillo).
Attrezzatura utilizzata: NIKON D90. Parametri foto: 1/500s f/11 ISO 200 25mm di focale.
VALMALENCO
Alessandro con il nonno “Pagnota” e il cavallo Luna all’Alpe Zana (18 luglio 2010, foto Pando).
D
ue sezioni dedicate ai nostri lettori: una che premia il fotografo più bravo, l’altra che mostra
la fantasia di chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo (la foto deve
avere anche un soggetto umano, la rivista e uno scorcio del luogo!).
Le foto giunte a [email protected] sono state tantissime, per cui, nonostante sia stata ampliata
la sezione, qualcuno vedrà la propria pubblicata solo sul prossimo numero.
BERNINA
Corrado e Ornella Tavelli in vetta al Bernina (agosto 2010).
P
er ogni numero de “Le Montagne Divertenti” sceglieremo e premieremo la foto migliore
fra quelle ambientate sulle nostre montagne (inviare il materiale a [email protected]) e la
pubblicheremo con una recensione dettagliata e la scheda di presentazione del fotografo.
Se questa sarà a taglio verticale e con soggetto primaverile potrà essere scelta con l'ultima di
copertina del prossimo numero! Lo scatto migliore fra quelli giunti negli ultimi 3 mesi è quello di:
i chiamo Luca Picillo, sono un
medico veterinario. Ho 32 anni,
vivo a Milano, ma frequento la montagna,
posso dirlo, fin dalla nascita.
Sono un grande frequentatore della
Valtellina e ancor più specificamente della
mia amata Valgerola. Proprio su queste
montagne ho recentemente scoperto la
passione per la fotografia, paesaggistica
e naturalistica in particolare. Compatibilmente con il mio tempo libero cerco
comunque di spaziare su tutte le Alpi, in
ogni stagione dell'anno, per godermi gli
straordinari scenari che offrono e migliorare le mie qualità di fotografo dilettante.
122
Le Montagne Divertenti L
a foto di Luca è uno scatto molto suggestivo che ci racconta una delle
magie dell'inverno: il panorama dopo una fitta nevicata.
Ci troviamo chiaramente in una situazione tra le migliori per realizzare
fotografie al paesaggio innevato. Il maltempo sta lasciando lo spazio a
giornate assolate, le ultime nubi in cielo si spezzano lasciandoci scorgere le
tanto amate tonalità di blu.
Grazie a questa situazione la luce non è troppo forte, l'esposizione è omogenea e senza ombre (talvolta i forti contrasti tra sole ed ombra distolgono
l'attenzione dai veri elementi di interesse presenti nel quadro).
Questa velatura ci permette altresì di rendere al meglio le tonalità chiare
presenti nel paesaggio: si leggono molto bene sia le sfumature all'interno
delle nuvole che i dettagli nella neve in primo piano. Le aree sovraesposte
sono uno dei classici errori quando scattiamo immagini in situazioni
come questa. E' azzeccato anche il taglio degli alberi in primo piano. Una
lettura da sinistra a destra che pare invitare l'osservatore a scrutare verso il
fondovalle e le vette delle Alpi Retiche.
Inverno 2010
NORVEGIA
Manuel e Maria Anna Nonini ai piedi del ghiacciaio
Svartisen (19 agosto 2010).
Le Montagne Divertenti TIBET
M
recensione di sysa
Tenda nomade al Campo Base dell'Everest
(15 agosto 2010, foto Claudia Schenatti).
il fotografo
Le foto dei lettori
123
le
foto dei lettori
Rubriche
Rubriche
IRLANDA DEL NORD
Filippo Chistolini, Stefano Alberti e Martino
Fumagalli al "Giant's Causeway" (4 agosto 2010).
OROBIE VALTELLINESI
Il gruppo ViviOrobie a Tartano (4 luglio 2010).
SCOZIA
Andrea Toffaletti e Giuditta Lojacono
(10 agosto 2010).
VALMALENCO
Bimbi sul Tremogge (22 agosto 2010).
EUROPEAN TOUR
124
Le Montagne Divertenti Andrea Mazzoni e Katia Bertolini all'isola
d'Elba (31 luglio 2010).
13 CIME
Carlo,Dorico,Mirko e Giorgio sul Tresero dopo aver
fatto il giro delle 13 Cime (foto Luciano Bruseghini).
ISOLA D'ELBA
CRETA
Sara, papà Stefano Molatore e mamma Sonia
Vallan, sul mare di Malia (luglio 2010).
Ciclisti valtellinesi lungo i 700km da Berlino a Copenaghen (luglio 2010).
ISLANDA
Sergio Cadregari e Patrizia Oregioni
al parco Landmannalaugar.
Inverno 2010
Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori
125
le
foto dei lettori
Rubriche
Rubriche
ALTA VALTELLINA
OROBIE
Gruppo del CAI Valmalenco sul Gran Zebrù (11 luglio 2010, foto Luciano Bruseghini).
Roberto Guerra sul pizzo del Diavolo
della Malgina (11 settembre 2010).
UMBRIA
Adriano Marini in volo col parapendio sopra il lago
Trasimeno (25 agosto 2010).
ZIMBABWE
Laura e Michele alle cascate Vittoria
(27 agosto 2010).
AUSTRALIA
Gianmarco Vola e Marco Maffezzini, Ponte Top
Tree Walk, Valle dei Giganti, Walpole.
CANTON TICINO
Il GRUPPO CANYONING RANCIGA di Morbegno & Dintorni prima di iniziare la discesa
della forra del Cresciano superiore in Canton Ticino (22 agosto 2010).
126
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori
127
14
n.
de
Ma ch'el?
so
lu
zi
on
i
vinti
Giochi
l
Rubriche
Vincitori e
ma ch'el?
ma che scimma i-è?
L’utensile misterioso, fotografato da Antonio Stefanini, è il
capilì della rocca (o conocchia). Serviva per tenere fermo il
lino da filare sulla rocca nella fase della filatura. Viceversa,
la lana cardata era più docile del lino e necessitava meno di
un tale fermo.
Purtroppo nessuno è stato in grado di dare la risposta
esatta...
La foto di Beno, scattata il 18 luglio 2010 dalla cima di
Rosso (m 3366) utilizzando un teleobiettivo da 250mm,
ritrae in primo piano la cima del Ferro Centrale, chiamata
anche cima della Bondasca, e in secondo piano il lontanissimo monte Rosa, in cui si distingue la punta Gnifetti (m
4554) dove si trova (ovviamente non visibile!) la capanna
Margherita, il rifugio più alto d'Europa.
Sei pratico di cose strane?
Eccoti un oggetto misterioso.
Dimmi di che cosa si tratta e come
veniva utilizzato.
I 2 più veloci dalle ore 20:00 del
25 dicembre 2010 vinceranno
l’esclusiva maglietta de “Le
Montagne Divertenti / Waltellina”,
il 3° classificato ricevera'
una fascetta de "Le Montagne
Divertenti", il 4° e il 5° un libro a
I vincitori sono stati:
1) Sara Mossini di Mossini
2) Elena Lungoma di San Remo
3) Sergio Proh
4) Lucia e Andrea Fiorelli di San Martino Valmasino
5) Alessandro Gusmeroli di Talamona
sua scelta tra quelli disponibili su
www.lemontagnedivertenti.com/libri
Manda
le tue risposte a:
[email protected]
oggetto della mail: “ma ch'el?”
Hanno inoltre indovinato la soluzione: Oreste Ciapessoni,e
Valentino Grossi.
Ma che scimma i-è?
Se
sei un attento osservatore, indovina quali sono le 3 cime indicate
col pallino e il lago ritratto in questa immagine.
Il più veloce dalle ore 20:00 del 25 dicembre 2010 vincerà la
foto stampata su tela 30x76cm (con pregevole cornice di legno
artigianale). Il 2° e il 3° classificato avranno la fascetta de “Le
Montagne Divertenti”, il 4° e il 5° un libro tra quelli disponibili su www.
lemontagnedivertenti.com/libri
Manda
le tue risposte a
[email protected]
oggetto della mail:
“Ma
che scimma i-è?”.
.
.
.
ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO O ALL'INDIRIZZO SBAGLIATO VERRANNO RITENUTE NULLE
128
Le Montagne Divertenti Inverno 2010
Le Montagne Divertenti Giochi
129
Rubriche
lE RICETTE
DELLA NONNA
Con le castagne
ricette col botto ...
Laura Terraneo
V
ZUPPA DI CASTAGNE
Ingredienti (per 3 persone):
- 500 gr. di castagne;
- ½ litro di brodo vegetale;
- sale;
- 1 bicchierino di marsala;
- 40 gr di burro;
- 2 mele.
zucchero (peso pari alla metà scarsa della polpa ottenuta), una bustina di vanillina e latte freddo (coprire
a filo e poi regolarsi secondo la consistenza). Mescolare e cuocere fino a fare asciugare la purea, ma non
del tutto. Aggiungere un bicchierino di rum o di
cognac. Frullare di nuovo, se necessario, la purea
con il mixer.
Mettere le coppette in frigo.
Lessare le castagne in pentola a pressione per 40
minuti, pelarle togliendo anche la pellicina e unire
al brodo vegetale, sale e a 1 bicchierino di marsala.
Portare il tutto a ebollizione e frullare. Rimettere sul fuoco per altri 15 minuti.
Si fanno intanto soffriggere in 40 g di burro 2
mele sbucciate e tagliate a fettine e si uniscono al
passato di castagne.
Si serve su crostini di pane tostati o fritti nel
burro.
BUDINO DI CASTAGNE
Dosi per 4 persone.
Lessare 1 kg di castagne in pentola a pressione
per 40 minuti, pelarle togliendo anche la pellicina
e schiacciarle bene con una forchetta. Mettere la
polpa così ottenuta in una casseruola unendo lo
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Le Montagne Divertenti Inverno 2010
“La montagna può davvero cambiare il destino delle persone
ampliando gli orizzonti dell'anima e abbattendo quelle barriere della mente
che per motivi genetici e sociali ci portiamo dentro”.
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Le Montagne Divertenti Andrea Panighetti
Inverno 2010
Le Montagne Divertenti Ricette
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