Lezione 25 - Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione

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Lezione 25 - Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione
Corso di laurea in Scienze dell’Educazione
A. A. 2015 / 2016
Istituzioni di Linguistica (M-Z)
Dr. Giorgio Francesco Arcodia
([email protected])
1. Il linguaggio nel ritardo mentale
Ritardo mentale: quoziente intellettivo complessivo (QI) inferiore a 70
ritardo lieve: 50-60
ritardo moderato: 50-35
ritardo severo: 35-20
ritardo profondo: < 20
→
cause: sindromi genetiche (Down, sindrome della X-fragile, etc.); in molti casi, la
causa del ritardo è ignota
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Classificazione dei componenti del linguaggio secondo Rondal:
(1) fonologia
(2) lessico
(3) semantica
(4) morfosintassi
(5) pragmatica
(6) analisi del discorso
→
lessico, semantica, pragmatica e analisi del discorso sarebbero strettamente
collegati allo sviluppo intellettivo; fonologia e morfosintassi sarebbero invece
largamente indipendenti dall’intelligenza
→
quindi, nei bambini con ritardo mentale, sono prevedibili difficoltà in lessico etc.,
piuttosto che in fonologia e sintassi
(Cf. Rondal, J., Edwards, S., 1997, Language in Mental Retardation, London, Whurr)
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Sindrome di Down: ritardo frequentemente associato a disturbi del linguaggio; sviluppo
articolatorio e sintattico deficitario
Sindrome della X-fragile: ritardo accompagnato da ritardi nello sviluppo articolatorio e
sintattico, ma di entità minore rispetto alla sindrome di Down
Sindrome di Williams: sviluppo fonologico e sintattico buono (in rapporto all’età
mentale); maggiore compromissione della competenza pragmatica
→
tutti i bambini con ritardo mentale hanno qualche ritardo nello sviluppo del
linguaggio; per alcune sindromi (es. sindrome di Cornelia de Lange, ‘Cri-du-Chat’*),
il deficit lingustico è più significativo del deficit intellettivo
→
importanza del trattamento logopedico; l’opportunità della prosecuzione della
terapia va valutata confrontando lo sviluppo intellettivo e quello linguistico (se > 1
deviazioni standard di differenza)
* Sindrome caratterizzata da uno sviluppo anomalo della laringe, che causa una sorta di
‘grido del gatto’, oltre a numerosi altri sintomi e caratteristiche fisiche
(http://learn.genetics.utah.edu/content/disorders/whataregd/cdc/)
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Punti di forza e punti di debolezza in diversi componenti del linguaggio in sei diverse
sindromi genetiche:
(Da: Zanobini, M., 2015, Principi dell’ICF e studio delle disabilità intellettive: un connubio fecondo, in Zanobini,
M., Viterbori, P., Scopesi, A. [a cura di], Le difficoltà e i disturbi del linguaggio attraverso le lenti dell'ICF,
Milano, Franco Angeli)
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2. Linguaggio e autismo
“L’autismo è una grave malattia cronica che si manifesta durante i primi tre anni di vita e
e che si caratterizza come un «isolamento» del bamino rispetto alle altre persone e al
mondo esterno”
(Aglioti, S.M., Fabbro, F. Neuropsicologia del linguaggio, Bologna, Il Mulino)
→
disturbo della capacità di sviluppare contatto affettivo
→
l’autismo causa gravi disturbi della comunicazione e del linguaggio
→
il 70% dei bambini affetti da autismo ha anche un ritardo mentale; solo il 15% ha
un quoziente intellettivo superiore a 100 (= QI medio dei bambini normodotati)
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Principali sintomi dell’autismo:
(1) “isolamento autistico”, incapacità di avere relazioni sociali normali; assenza di
desiderio di relazione e comunicazione
(2) problemi più o meno gravi nello sviluppo della comunicazione e del linguaggio
(3) assenza di empatia, incapacità “di immaginare e di concepire gli stati mentali delle
altre persone”
(4) ripetizione ossessiva di ‘rituali’
→
sindrome di Kanner (comunicazione verbale molto limitata, molto spesso ritardo
mentale) vs. sindrome di Asperger (intelligenza normale, fonologia e morfosintassi
ben sviluppate)
→
Autism Spectrum Disorders (ASD), disturbi dello spettro autistico (cfr. la quinta
edizione del Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders, DSM-5, 2013)
→
distinzioni di funzionamento (low functioning vs. high functioning)
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Alcuni tratti tipici (ma non necessari!!) del linguaggio nell’autismo:
(1) ecolalia
(2) confusione tra pronomi (vuoi un bicchiere d’acqua per voglio un bicchiere d’acqua)
(3) difficoltà con i termini indicanti stati mentali (conoscere, pensare, fingere...)
(4) lessico ‘pedantesco’, eccessiva precisione
(5) prosodia anomala, tratti peculiari nell’eloquio (tono della voce, etc.)
(6) problemi nella dimensione pragmatica del linguaggio
difficoltà nel riconoscere le intenzioni comunicative degli altri
difficoltà negli usi sociali del linguaggio
difficoltà nel mantenere l’argomento della discussione, e nel contribuire in maniera
pertinente
difficoltà nel rispettare i turni della conversazione
monologhi
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→
talvolta, problemi nella comprensione, legati (anche) a deficit nelle conoscenze
sulle interazioni tra le persone (comprensione di situazioni sociali) e nella lettura
degli indizi non verbali (es. espressioni facciali, tono della voce, etc.), usati invece
dai bambini non autistici per ‘compensare’ le limitazioni linguistiche
Alcuni soggetti con disturbi dello spettro autistico hanno uno sviluppo del linguaggio
normale, altri (spesso con QI non verbale bassissimo, talvolta affetti da aprassia verbale?)
non sviluppano il linguaggio del tutto, e altri ancora presentano anomalie dello sviluppo
del linguaggio che si sovrappongono in larga parte a quelle di altri disturbi (es. DSL)
→ tipicamente, lo sviluppo dell’articolazione dei suoni è abbastanza normale, anche se
una minoranza presenta qualche difficoltà anche nell’età adulta (es. con /r/, /l/ e /s/)
→
nei soggetti affetti da sindrome di Asperger, gravi limitazioni delle competenze
pragmatiche: incapacità di comprendere battute, metafore, doppi sensi; mancato
rispetto delle ‘regole’ della comunicazione; incapacità di usare il linguaggio in
modo appropriato (cfr. anche il Disturbo (sociale) pragmatico della comunicazione)
(Tager-Flusberg, H., Paul, R., & Lord, C. (2005). Language and communication in autism. In F.R. Volmar, R. Paul,
A. Klin, & D. Cohen (Eds.), Handbook of autism and pervasive developmental disorders. Vol. 1: Diagnosis,
development, neurobiology, and behavior [3rd ed]. Hoboken, NJ: John Wiley & Sons)
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3. Sviluppo del linguaggio nel bambino non udente
Paesi occidentali: circa 1 bambino su 1.000 presenta sordità (o ipoacusia) grave (71-91
decibel) o profonda (> 91 decibel)
→
cause: ereditarietà (50% circa dei casi), malattie infantili (meningite, encefalite,
traumi) e complicazioni di gravidanza o parto (rosolia, toxoplasmosi, prematurità,
farmaci, etc.)
→
misurazione dell’udito mediante audiogramma tonale; classificazione sulla base
della gravità (= la soglia di udito) e del “livello di compromissione delle strutture
fisiologiche uditive”
(1) Sordità trasmissive: danno delle strutture dell’orecchio medio (otite, traumi), spesso
sordità reversibili
(2) Sordità neurosensoriale: lesioni dell’orecchio interno o del nervo uditivo
(3) Sordità miste: interessamento sia dell’orecchio medio che dell’orecchio interno
(4) Sordità centrali: più rare, dovute a malattie vascolari (emorragie), tumori, epilessia
(Aglioti, S.M., Fabbro, F. Neuropsicologia del linguaggio, Bologna, Il Mulino)
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Aristotele: i sordi non parlano perché non hanno mai udito le parole e non sono quindi
in grado di riprodurle, non perché hanno impedimenti articolatori
→
mentre la sordità profonda nell’adulto ha conseguenze meno gravi sull’uso del
linguaggio e sulla comunicazione, la mancanza di esposizione al linguaggio nei
primi anni di vita (cf. l’ipotesi del ‘periodo critico’) può avere conseguenze
importanti
→
cf. il caso di E.M. (lezione 20); inoltre, anche l’esposizione alla lingua dei segni
dovrebbe avvenire prima dei 12 anni, o meglio prima dei 4-6 anni, per raggiungere
una competenza ‘nativa’
→
nei bambini sordi figli di genitori udenti si riscontra tipicamente un mancato
sviluppo della lallazione, che resta al livello ‘precanonico’, con diminuzione
progressiva della varietà di consonanti (> 8 mesi; restano soprattutto le labiali),
mancanza della fase di ‘esplosione del vocabolario’, ritardo generale
nell’acquisizione del lessico
→
la diagnosi precoce (< 6 mesi) è associata ad uno sviluppo più rapido, ma comunque
in forte ritardo (almeno un anno) rispetto ai bambini udenti
(Caselli, M.C., Maragna, S., Volterra, V., 2006, Linguaggio e sordità, Bologna, Il Mulino)
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3.1. Lingua dei segni e istruzione dei non udenti
L’Italia dal XIX secolo al secondo dopoguerra: apprendimento domestico vs.
apprendimento scolastico
(1) Bambini udenti o sordi in famiglie con genitori non udenti, apprendimento di una
forma di lingua dei segni nella prima infanzia; se udenti, i bambini imparavano anche la
lingua verbale parlata da altri familiari udenti o da altri conoscenti, o a scuola.
(2) Bambini non udenti (3-6 anni) negli istituti per sordi; apprendimento basato sul
metodo oralista, uso dei segni ignorato o addirittura scoraggiato dagli insegnanti
→ apprendimento di una prima forma di comunuicazione segnata tramite l’interazione
con i compagni di istituto; la minoranza di bambini già segnanti aveva un impatto
emotivo ridotto rispetto ai bambini non educati alla comunicazione segnata
→ l’apprendimento di una lingua dei segni permetteva verosimilmente l’apprendimento
dellla lingua italiana, soprattutto scritta, letta sulle labbra e parlata (con scarsi risultati)
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Istituto Statale per Sordi di Roma
(http://www.issr.it/ISSR.html)
Anni ‘80 del XVIII secolo: l‘abate Tommaso Silvestri si reca in Francia per studiare il
metodo di Charles-Michel de l’Épée; fondazione di un istituto pontificio (in seguito,
regio istituto) per l’educazione dei bambini sordi
1889: collocazione nella sede attuale (via Nomentana)
→ passaggio dal metodo bilingue di de l’Épée al metodo oralista (in seguito al congresso
di Milano); sopravvivenza di forme di comunicazione segnata tra gli alunni (fuori dalla
classe)
→ ruolo di ‘maestri’ di comunicazione segnata dei bambini nati in famiglie segnanti;
utilizzo strumentale dei segni anche da parte degli adulti ‘oralisti’
Bassissima standardizzazione: differenze nella lingua usata da maschi e femmine
(separati nel contesto scolastico), lingue diverse tra l’istituto di via Nomentana e quello di
Monteverde
→ combinazione di istruzione linguistica e professionale (calzoleria, sartoria, ricamo, etc.)
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Repertorio linguistico dei non udenti scolarizzati
Lingua dei segni (contesto familiare, circoli / associazioni per sordi)
Lingua italiana → competenza variabile
→ tendenza dei non udenti a restare nella città dove hanno frequentato la scuola (Roma,
Milano Napoli)
→ importanza della comunità segnante
N.B.: la lingua dei segni non veniva inizialmente percepita come ‘lingua’, ma piuttosto
come pantomima
sordi non scolarizzati: generalmente di famiglia benestante, istruiti da tutori privati,
piuttosto isolati dai coetanei (segnanti e talvolta anche udenti); formazione spontanea di
sistemi di home signs (non ‘evoluti’ come una vera e propria lingua dei segni)
→ frequentemente, contatto con una forma di comunicazione segnata nell’adolescenza o
nell’età adulta → problema dell’età, problema della mancanza di un sistema linguistico
compiuto di riferimento
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Dagli anni ‘60 ai nostri giorni
Fine degli anni ‘60: ‘reazione’ contro gli istituti speciali, primi esperimenti di inserimento
di bambini non udenti in classi speciali all’interno delle scuole ordinarie
→ maggiori contatti con bamini udenti, maggiore vicinanza con le famiglie di origine,
programmi scolastici più simili per tutti i bambini
→ importanza dell’istruzione di base ‘ordinaria’ per il proseguimento del percorso
scolastico
→ segni sempre banditi, ma usati ‘clandestinamente’ dagli alunni fuori dall’aula e anche
da alcuni insegnanti
Legge 517/1977: integrazione dei bambini sordi nelle classi scolastiche ordinarie, con la
presenza di insegnanti di sostegno (numero di alunni limitato per classe)
→ forte limitazione dei contatti con altri bambini sordi, riduzione delle possibilità di
apprendimento ed utilizzo di lingue dei segni
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Modelli correnti di istruzione
(1) Metodo orale
(2) Metodo bimodale
(3) Educazione bilingue
Bambini non udenti in famiglie con genitori (uno o entrambi) sordi: apprendimento
precoce della lingua dei segni
→ maggiore consapevolezza dell’importanza dell’apprendimento della lingua dei segni
da parte dei genitori
→ attenzione anche verso l’acquisizione precoce dell’italiano (lettura labiale,
articolazione orale)
→ utilizzo di protesi, di impianti cocleari, logopedia segnata o bimodale
→ alcune famiglie rimandano l’istruzione esplicita all’inizio della scuola
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Bambini sordi figli di genitori udenti (90-95%): tendenza dei centri diagnostici ad
indirizzare le famiglie verso gli impianti, scarsa attenzione per la dimensione del
counseling e per la comunicazione segnata
→ possibilità di escludere il bambino dall’apprendimento della lingua dei segni (metodo
oralista), con apprendimento precoce di lettura e scrittura
Relativamente poche famiglie entrano in contatto con la comunità sorda e con la
comunicazione segnata
→ richiesta di educatori sordi in contesto domestico e scolastico, interesse dei familiari
per l’apprendimento della LIS
Riabilitazione dei bambini che hanno protesi o impianto con il metodo bimodale,
apprendimento sia della LIS che dell’italiano
→ metodo bimodale (dagli anni ’80 in Europa): utilizzo dell’italiano parlato
accompagnato da segni per le parole ‘piene’ (‘Italiano Segnato’, ≠ LIS) e dalla
dattilologia (o altri evidenziatori manuali) per le parole ‘vuote’ e i morfemi grammaticali
legati (‘Italiano Segnato Esatto’, ISE), secondo le regole della morfologia e della
sintassi dell’italiano (NON della LIS!!)
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Legge 104/1992: ogni famiglia può richiedere un assistente segnante in LIS in contesto
scolastico e prescolastico (assistenti alla comunicazione [figura più ‘interattiva’ e di
mediazione rispetto all’interprete] sordi o udenti; spesa a carico degli enti locali)
→ nelle università, i singoli studenti scelgono se richiedere un interprete di LIS
→ solo alcune scuole in Italia adottano programmaticamente un modello bilingue
italiano-LIS che interessi sia gli alunni sordi che gli udenti
Scuola di Cossato (BI): istituto ordinario aperto anche ai sordi
→ enfasi sulla separazione dei codici: gli insegnanti udenti usano l’italiano, gli insegnanti
sordi la LIS; gli insegnanti sono affiancati da un educatore sordo e da un interprete;
bilanciamento dell’input complessivo nei due sistemi; i bambini udenti usano
indifferentemente l’italiano o la LIS
Contatto precoce dei bambini sordi con l’italiano scritto tramite la lingua dei segni e la
dattilologia (lettura di favole e racconti) già in età prescolare (3-7 anni); i bambini non
udenti possono migliorare l’italiano parlato tramite l’apprendimento precoce della lingua
scritta
(Si veda Teruggi, L.A., 2003, Una scuola, due lingue. L’esperienza del bilinguismo della scuola dell’infanzia ed
elementare di Cossato. Milano: Franco Angeli)
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4. Disturbi di lettura, scrittura e calcolo
“Leggere, scrivere e far di conto, pur essendo fondamentali nelle società moderne, sono
molto recenti sul piano filogenetico [= nello sviluppo dell’uomo]. Si tratta di abilità
complesse per la cui messa in atto sono necessari vari tipi di funzioni cognitive solo in
parte legate al linguaggio. È infatti evidente che l’alterazione della percezione e
cognizione spaziale possono comportare problemi in ciascuna delle tre funzioni
considerate.”
4.1 Disturbi della lettura. La dislessia nell’adulto
Lettura come “traduzione di un codice visivo (ortografico) in uno uditivo (fonologico)
che diventa semanticamente significante se corrisponde a una parola nota”
(Aglioti, S.M., Fabbro, F. Neuropsicologia del linguaggio, Bologna, Il Mulino)
→
associazione di suoni e segni: noi ‘sappiamo’ che maslina, parola non esistente, ‘si
legge’ [ma’zlina], anche se non l’abbiamo mai sentita prima
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Modello della lettura ‘a due vie’:
Via semanticolessicale
(relazione diretta tra
sistema semantico,
accesso ortografico e
uscita fonologica)
Via non
lessicale
(regole di
conversione
grafemafonema)
(adattato da: www.psicologoedolo.altervista.org/joomla/dsa/107-prevenzione-primaria-perche.html; cit. da Sartori,
G., 1984, La lettura. Processi normali e dislessia, Bologna, Il Mulino; cf. Coltheart, M., 1978, Lexical access in
simple reading tasks, in G., Underwood (ed.), Strategies of information processing, London, Academic Press)
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Lettura di parole familiari: via semantico-lessicale
Es.: C A S A →
analizzata in un sistema di rappresentazione astratta delle lettere,
inviata tramite l’accesso ortografico (lessico visivo/ortografico
di input) al sistema semantico, dove la parola è rappresentata; si
passa al lessico fonologico di uscita, dove si organizza
l’articolazione della parola
Lettura di parole nuove, non familiari e di non-parole (maslina): conversione grafemafonema (procedura sublessicale)
→
N.B.: non tutti i sistemi hanno lo stesso grado di corrispondenza grafemafonema; ortografie trasparenti/superficiali (es. italiano) vs. ortografie
opache/profonde (francese, inglese)
→
cf. il fenomeno della spelling pronunciation:
lat. auctore(m) > fr. ant. au(c)tor (auteur) > ingl. medio autor
> ingl. author
pronuncia moderna con <th> ([θ]) basata sull’ortografia (errata!!)
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→
un lettore ‘abile’ utilizza entrambe le vie, a seconda del compito di lettura; possiamo
individuare tre tipi di dislessia centrale, in base alle possibilità di accesso:
(1) Dislessia profonda: errori semantici (albero per arbusto, malato per infermo), nomi
letti più facilmente dei verbi; errori visivi (cane per pane), derivazionali
(divertimento per divertire); incapacità di leggere le non-parole
→
alterazione di entrambe le vie di lettura
(2) Dislessia superficiale: compromissione solo della via lessicale-semantica; capacità
di leggere le parole con ortografia regolare e le non-parole
→ difficoltà maggiori nelle lingue dall’ortografia opaca, soprattutto nella
distinzione degli omofoni non omografi (ingl. nun vs. none); nelle lingue come
l’italiano, gli omofoni sono spessissimo anche omografi (ma lago vs. l’ago), quindi
è difficile diagnosticare questo tipo di dislessia (ma attenzione agli accenti:
mandòrla per màndorla, sabàto per sàbato)
(3) Dislessia fonologica: deficit specifico della via non lessicale, piuttosto rara;
difficoltà con le non-parole e con le parole sconosciute
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Alcune forme di dislessia periferica:
Letter position dyslexia: torta > trota, capra > carpa
→
tipicamente, trasposizione delle lettere centrali, mentre quelle iniziali e finali sono
corrette
Neglect dyslexia: famiglia > miglia, albero > pobero, luna > moluna
→
omissione o errori delle parole sul lato sinistro della pagina o delle lettere iniziali di
singole parole (left neglect dyslexia) o sul lato destro / lettere finali (right neglect
dyslexia)
(Arduino, L.S., Burani, C., Vallar, G., 2002, Lexical effects in left neglect dyslexia. A study in Italian patients,
“Cognitive Neuropsychology”, 19, 421-444)
Attentional dyslexia: win fed > fin fed
→
buona lettura di parole singole, difficoltà nell’associazione delle lettere alle parole
nella lettura di sequenze di parole, ‘migrazione’ di lettere tra le parole, che
mantengono di norma la posizione corretta’
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I deficit di lettura derivano da disturbi di vari sistemi neurali (soprattutto, quelli legati
all’elaborazione fonologica); deficit del sistema parieto-occipitale e occipito-temporale
nell’emisfero sinistro (→ conseguente iperattivazione del giro frontale inferiore e del
lobo temporo-occipitale destro)
→
caso estremo → alessia: “[f]orma di agnosia visiva, che consiste nell’incapacità
di riconoscere visivamente le parole scritte”
(Dizionario di Medicina Treccani, 2010)
(1) alessia pura: “disconnessione delle vie visive-verbali dalla corteccia associativa
occipitale al giro angolare sinistro”; incapacità totale di identificare le lettere e di
leggere ad alta voce; in alcuni casi, è conservata la capacità di riconoscere singole
lettere (e leggere alcune parole con difficoltà)
→
conservata la scrittura; tuttavia, il paziente non può leggere quello che scrive
→
conosciuta anche come alessia occipitale
(Aglioti, S.M., Fabbro, F. Neuropsicologia del linguaggio, Bologna, Il Mulino)
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(2) alessia parieto-temporale: disturbi conseguenti a lesioni parieto-temporali (es. da
piccole embolie del giro angolare); grave dislessia (lettere, parole e numeri),
comprensione della lettura molto ridotta o assente
→
difficoltà anche nella scrittura; il paziente scrive singole lettere, ma
difficilmente le usa per formale parole in modo corretto
→
è possibile che la lesione (del giro angolare) danneggi la capacità di formare
associazioni tra modalità sensoriali
(3) alessia frontale: disturbo tipicamente associato all’afasia di Broca; incapacità di
denominare singole lettere (alessia per lettere), ma i pazienti riescono a capire
parole singole; la comprensione e la lettura ad alta voce sono migliori per i nomi
rispetto alle altre classi lessicali, soprattutto rispetto alle parole grammaticali (parole
funzione)
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4.2 Disturbi della lettura. La dislessia evolutiva
Dislessia evolutiva: “disturbo dell’apprendimento della lettura che colpisce bambini con
intelligenza normale, e frequentemente si associa a difficoltà nella scrittura (disgrafia)”
→
standard diagnostici: bambini due o più deviazioni standard sotto la media nella
correttezza, rapidità e comprensione della lettura; oppure, ritardo nelle abilità di
lettura superiore a due anni scolastici rispetto alla classe frequentata (→ criterio non
utilizzabile prima della terza classe elementare)
(Aglioti, S.M., Fabbro, F. Neuropsicologia del linguaggio, Bologna, Il Mulino; grassetti miei)
Classificazione della dislessia secondo Bakker:
(1) Dislessia linguistica (L): lettura a velocità normale, ma con molti errori di
omissione/sostituzione di lettere/parole
→
circa il 30% dei casi di dislessia; probabilmente connessa con uno sviluppo
deficitario dell’emisfero cerebrale sinistro (compromissione dell’analisi
linguistica alla lettura)
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(2) Dislessia percettiva (P): lettura molto lenta, ma con pochi errori
→
circa il 30% dei casi di dislessia; probabilmente connessa con il funzionamento
anomalo dell’emisfero cerebrale destro (compromissione dell’analisi visiva di
lettere e parole)
(3) Dislessia mista (M): lettura lenta, numerosi errori di omissione/sostituzione di
lettere/parole; forma intermedia tra dislessia L e P
→
circa il 40% dei casi di dislessia; probabilmente connessa con una
compromissione funzionale di entrambi gli emisferi cerebrali
(Bakker, D., 1990, Neuropsychological Treatment of Dyslexia, Oxford, OUP)
→
la diagnosi permette la terapia selettiva: stimolazione con parole di difficoltà
crescente dell’emisfero destro o sinistro
(→
si
veda
il
programma
Flash
Word;
demo
scaricabile
da
http://scientifica.vanninieditrice.it/tecnoscuola_dislessia_apprendimento_software_disles
sia.asp)
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Le cause della dislessia evolutiva non sono ancora comprese a fondo; il disturbo è
associato a deficit nella memoria di lavoro (a breve termine), difficoltà nella
segmentazione fonemica delle parole, difficoltà nell’accesso lessicale (reperimento delle
parole), difficoltà nelle abilità motorie (coordinazione motoria, equilibrio, etc.; anche
disprassia evolutiva), e, in alcuni casi, anche ad ADHD (25-40% dei casi, secondo alcuni
studi)
→
disturbo più comune nei maschi rispetto alle femmine
→
molti bambini con dislessia hanno anche uno o più disturbi del linguaggio
(riscontrabile con i test standardizzati); è possibile che, nella maggior parte dei casi,
la dislessia sia un sintomo di un disturbo specifico pregresso
→
la dislessia evolutiva è frequentemente associata anche a difficoltà nella scrittura; i
soggetti dislessici tendono a scrivere più lentamente e con un ritmo ‘anomalo’
(Nicolson, R.I., Fawcett, A.J., 2011, Dyslexia, dysgraphia, procedural learning and the cerebellum, “Cortex”, 47,
117-127; Pagliarini, E. et al., 2015, Dyslexic children fail to comply with the rhythmic constraints of handwriting,
“Human Movement Science”, 42, 161-182)
→
i bambini dislessici hanno in media un quoziente intellettivo più alto rispetto ai
bambini con disturbi specifici del linguaggio
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4.3 I disturbi della scrittura. La disgrafia e la disortografia
“La scrittura è un’abilità complessa, che non solo richiede la capacità di organizzare in
sequenza una serie di movimenti fini ma anche l’interazione tra controllo motorio,
integrazione visuo-spaziale e cinestetica e il sistema neurofunzionale del linguaggio”
→
abilità che possono essere compromesse in persone con lesioni cerebrali
→
possibile, anche se rara, la disgrafia pura, non motivata da deficit di controllo
motorio, del linguaggio
Disgrafia vs. disortografia
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“Il disturbo specifico di scrittura si definisce disgrafia o disortografia, a seconda che
interessi rispettivamente la grafia o l’ortografia. La disgrafia fa riferimento al controllo
degli aspetti grafici, formali, della scrittura manuale, ed è collegata al momento motorioesecutivo della prestazione; la disortografia riguarda invece l’utilizzo, in fase di scrittura,
del codice linguistico in quanto tale.
La disgrafia si manifesta in una minore fluenza e qualità dell’aspetto grafico della
scrittura, la disortografia è all’origine di una minore correttezza del testo scritto; entrambi,
naturalmente, sono in rapporto all’età anagrafica dell’alunno.
In particolare, la disortografia si può definire come un disordine di codifica del testo
scritto, che viene fatto risalire ad un deficit di funzionamento delle componenti centrali
del processo di scrittura, responsabili della transcodifica del linguaggio orale nel
linguaggio scritto”
(“Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento”,
allegato al D.M. 12 luglio 2011 sui Disturbi Specifici d’Apprendimento)
→
spesso, disgrafia viene usato (erroneamente) anche per indicare la disortografia
(cfr. ingl. dysgraphia per entrambi)
29
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Classificazione della disgrafia (qui = disortografia) parallela a quella della dislessia (cf.
modello della lettura a due vie):
(1) Disgrafia profonda: difficoltà nello scrivere le non-parole, episodi di paragrafia
semantica (sostituzione di parole con altre parole nella stessa area semantica);
difficoltà più notevoli nello scrivere parole astratte (‘effetto concretezza’) e nello
scrivere i verbi e le parole funzione rispetto ai nomi (‘effetto classe grammaticale’)
→ alterazione di entrambe le vie di scrittura(/lettura)
(2) Disgrafia superficiale: compromissione solo della via lessicale-semantica; capacità
di scrivere le parole con ortografia regolare e le non-parole relativamente ben
conservata (conversione grafema-fonema)
→
nelle lingue ad ortografia trasparente, come l’italiano, è difficile dimostrare
questa forma di disgrafia (è quasi sempre possibile convertire i suoni in grafemi
seguendo la via sublessicale)
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(3) Disgrafia fonologica: deficit specifico delle procedure non lessicali di scrittura;
difficoltà con le non-parole e con le parole sconosciute, mentre le parole conosciute
possono essere scritte, quando queste vengono comprese → necessario attivare
la parola nel lessico ortografico di uscita
→
forme di disgrafia/disortografia possono essere associate o meno ad afasie; nei test
standardizzati del linguaggio sono quindi necessarie anche prove di scrittura
(scrittura automatica, capacità di recuperare la forma scritta delle parole, capacità
di scrivere sotto dettatura)
→
il tipo di deficit nella scrittura del paziente afasico tendono a riflettere quelli
dell’eloquio spontaneo
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Disgrafia nei disturbi neuropsicologici (qui = disgrafia)
(1) Disgrafia spaziale: “largo margine vuoto a sinistra del foglio, (...) reiterazione di
tutti gli elementi nello scritto, (...) deviazione della scrittura che non mantiene il
corretto allineamento orizzontale”
→
sintassi, significato e selezione lessicale sono nella norma
→
condizione conseguente a lesioni dell’emisfero destro che causano deficit
visuo-spaziali
(2) Disgrafia disprassica: “perdita di linearità e produzione automatica di elementi
scritti” (inversione di lettere, perseverazioni)
→
disturbo associato a lesioni nell’emisfero cerebrale sinistro
(3) Disgrafia da lesione del corpo calloso: “incapacità di scrivere sotto dettatura con la
mano non dominante”
→
probabilmente causata dalla disconnessione del controllo motorio della mano
(sinistra) dai centri del linguaggio
(Aglioti, S.M., Fabbro, F. Neuropsicologia del linguaggio, Bologna, Il Mulino; corsivi miei)
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4.4 I disturbi del calcolo
Utilizzo di due (sotto-)sistemi simbolici nelle rappresentazioni numeriche:
(1) logografico (1,2,3...)
(2) fonografico (denominazione dei numeri: uno, due, tre...)
→
comprensione vs. produzione dei numeri:
codice verbale e numerico
analisi lessicale e sintattica
Es.: 524 / cinquecentoventiquattro
→
analisi lessicale (comprensione/
produzione dei singoli elementi)
→
analisi sintattica (elaborazione della
relazione tra gli elementi)
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Capacità fondamentali del sistema di calcolo:
(1) comprensione del numero
(2) produzione del numero
(3) elaborazione delle procedure matematiche
→
‘fatti aritmetici’ (es. tabelline) recuperati indipendentemente dalle procedure di
calcolo
→
“le abilità aritmetiche sono associate con e dipendono da abilità linguistiche,
mnestiche, visuo-percettive e visuo-spaziali”
→
le abilità di calcolo variano considerevolmente nella popolazione; le persone prive di
istruzione formale e le donne hanno risultati più bassi
(Aglioti, S.M., Fabbro, F. Neuropsicologia del linguaggio, Bologna, Il Mulino; cf. Ardila, A., Rosselli, M., 2002,
Acalculia and dyscalculia, “Neuropsychology Review”, 12.4)
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Discalculia evolutiva: mancata acquisizione delle abilità necessarie per il calcolo
Acalculia (discalculia acquisita): disturbi del calcolo conseguenti a lesioni cerebrali
→
acalculia primaria (pura): perdita dei concetti numerici, incapacità di comprendere
ed eseguire operazioni aritmetiche; spesso connessa con lesioni del lobo parietale
sinistro/giro angolare
vs.
acalculia secondaria: difetti del calcolo connessi con deficit cognitivi (linguistici,
mnestici, dell’attenzione)
→
classificazione di Hécaen, Angelergues e Houillier:
(1) anaritmetia: acalculia primaria, difficoltà nelle operazioni aritmetiche,
incapacità di capire le quantità e di usare le regole sintattiche della matematica,
deficit nella comprensione dei segni numerici; disturbo presente in modalità
scritta e orale
→
possibile la conservazione delle operazioni automatiche (tabelline)
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(2) alessia/agrafia per i numeri: incapacità di leggere/scrivere numeri (presentati
nell’emicampo sinistro), conservata la scrittura spontanea e sotto dettatura;
calcolo mentale meno compromesso
→
sindrome associata a lesioni della corteccia visiva sinistra / giro angolare
sinistro o dello splenio del corpo calloso
(3) acalculia spaziale: errori nell’allineamento dei numeri; difficoltà
nell’elaborazione della metà sinistra dello stimolo (→ omissione di cifre sulla
sinistra)
→
disturbo derivante da un deficit di analisi visuo-spaziale, associato a
lesioni dell’emisfero destro (regione parietale)
(Cf. Hécaen, H., Angelergues, R., Houllier, S., 1961, The clinical varieties of acalculias during retrorolandic
lesions: Statistical approach to the problem, “Revue Neurologique”, 105)
acalculia frontale: difficoltà nell’organizzare operazioni sequenziali e nei problemi
numerici complessi (spesso connessi con difficoltà attenzionali, alterazioni di
concetti matematici complessi); ma possono essere conservate le abilità aritmetiche
elementari
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acalculia afasica: disturbi di calcolo connessi con sindromi afasiche
→
disturbi normalmente connessi con il tipo di deficit linguistico (sintattico vs.
lessicale)
Es.: pazienti con afasia di Broca → errori sintattici (problemi con la struttura dei
numeri complessi)
pazienti con afasia di Wernicke → errori lessicali (sostituzione di singoli
numeri)
→
possibile mediazione verbale in certe operazioni matematiche (es.
moltiplicazioni); tuttavia, è anche possibile che le difficoltà di calcolo siano
connesse con altri disturbi cognitivi
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