La vita doppia di Mehdi un inno alla libertà

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La vita doppia di Mehdi un inno alla libertà
cultura
lunedì 1
giugno
2015
24
SOSPESO TRA DUE IDENTITÀ
di Antonietta Di Vito
ono… sono belle…
Queste scarpe, sono
mio padre… Queste
scarpe sono davvero mio padre,
sono davvero lui. Quando penso
a lui… Era buono… era come Van
Gogh!”
Così un bambino di dieci anni
della provincia marocchina del
1969 si lascia affascinare da una
tela del pittore olandese riprodotta in uno di quei libri d’arte la cui
presenza nelle case testimonia il
successo nell’ascesa sociale.
Mehdi Khatib a casa sua non ha
neppure la televisione e nulla ha
visto dell’allunaggio di quell’estate. Tanto è distante il suo mondo
da quella cultura che ha tentato di
risolvere l’enigma degli scarponi
raffigurati da Van Gogh con gli
strumenti della filosofia e della
critica d’arte. Mehdi nulla sa di
Heidegger, Shapiro e Derrida che
su quegli scarponi hanno dibattuto e fatto dotte conferenze ma degli scarponi coglie e dice al tempo stesso rappresentazione, essenza e verità.
Senza la mediazione dell’educazione scolastica che di lì a poco lo
istruirà a ciò che è bello. Incorporando quel gusto distintivo che
nel gioco sociale include o esclude, come scrisse Bourdieu in
quello che è diventato un caposaldo della sociologia del ventesimo secolo (La distinzione. Critica
sociale del gusto, 1979). Mehdi
Khatib è il protagonista di Un anno con i francesi, di Fouad Laroui, appena pubblicato in Italia da
Del Vecchio, con la traduzione di
Cristina Vezzaro (320 pagine, 16
euro).
È la storia, un po’ romanzo un po’
fiaba per la levità dello stile, di un
bambino marocchino di BéniMellal, nel Medio Atlante, a cui il
maestro fa conseguire una borsa
di studio per il prestigioso liceo
francofono Lyautey di Casablanca. Dal suo ingresso a scuola fino
alle successive vacanze estive
Mehdi si troverà a fare i conti con
la sua cultura d’origine, con quella dei francesi che frequentano la
sua stessa scuola e poi con il suo
senso di doppia estraneità che lo
farà sentire costantemente un
“impostore”, un intruso sempre a
rischio di essere scoperto, malgrado i suoi risultati a scuola.
La scuola del resto non è un’istituzione come le altre. La trasmissione dei saperi (e di quali saperi
poi? quelli che sono già stati oggetto di selezione) è la cosa più
importante solo in apparenza.
Specialmente in quella delicata
età in cui si è ancora in formazione la scuola ha a che fare con il
confronto tra pari, con l’autorità,
con la gerarchia, con le regole del
gioco dello stare al mondo e della propria posizione nel mondo,
con il senso di sé e l’inadeguatezza: in altre parole si ha a che fare
con l’identità ed il potere. La letteratura per l’infanzia (in Italia ne
sono esempi importanti Pinocchio, o Cuore) ha saputo cogliere
in maniera straordinaria la dimensione di rito di passaggio e di
iniziazione della scuola, aspetti
resi espliciti poi dalle analisi sociologiche.
«S
La vita doppia
di Mehdi
un inno
alla libertà
È LA STORIA, UN PO’ ROMANZO UN PO’
FIABA, DI UN BAMBINO MAROCCHINO
DI BÉNI-MELLAL CHE OTTIENE UNA BORSA
DI STUDIO PER IL PRESTIGIOSO LICEO
FRANCOFONO LYAUTEY DI CASABLANCA
Pierre Bourdieu, francese dei Pirenei e poi influente accademico
parigino (1930- 2002), rilevò a più
riprese come il sistema scolastico
francese fosse uno strumento di
riproduzione della vita sociale:
che di fatto porta esattamente laddove si è destinati per condizione
sociale ancor più che economica,
e che il verdetto scolastico non fa
che sancire. Le strategie personali messe in atto per la mobilità so-
ciale non hanno necessariamente
successo perché il sistema dei saperi privilegia quel che per tradizione familiare alcune classi sociali apprendono già nelle mura
di casa.
La scuola può rimanere via d’accesso ai saperi che aprono la strada ad un’efficace azione nel campo sociale, ma a patto che riesca a
farsi carico delle diseguaglianze
di partenza. Solo allora sarà veramente democratica.
Vale la pena aggiungere che Pierre Bourdieu aveva maturato alcune delle sue riflessioni anche attraverso la sua esperienza in Algeria, dove tra il 1955 e il 1958 fu
militare e poi assistente universitario.
Nel 1958, e non troppo lontano, a
Oujda, al confine con l’Algeria,
nasceva Fouad Laroui, l’autore di
Un anno con i francesi: in quel
Marocco che già due anni prima
si era affrancato dal colonialismo
francese. Dopo aver egli stesso
frequentato il Liceo Lyautey, Fouad Laroui si è laureato in ingegneria in Francia, ha lavorato prima in Marocco e poi nel Regno
Unito per poi spostarsi in Olanda,
dove ha incominciato a dedicarsi
anche alla scrittura (giornalismo,
prosa, poesia). Laroui scrive in
francese e in olandese.
Une année chez les Français, questo il titolo originale del romanzo
(Parigi, Julliard, 2010) è stato insignito in Francia di importanti
riconoscimenti: dal Prix Goncourt pour la nouvelle nel 2012,
al Gran Prix de la Francophonie
de l’Académie Française nel 2014
e, nello stesso anno, dal Prix JeanGiono.
Acclamato scrittore della francofonia, Laroui con la delicatezza
che caratterizza il suo stile, riesce
a ben rappresentare anche il cosiddetto problema linguistico del
Marocco, tra un arabo classico
che è lingua ufficiale ma percepita di fatto come imposizione e un
dialetto marocchino parlato ma
non riconosciuto ufficialmente,
oltre all’uso diffuso del francese.
Attraverso lo stupore della scoperta di nuovi termini da parte di
Mehdi, giochi di parole mal compresi e reinterpretati, Laroui evoca in maniera quasi tangibile i
pregiudizi e presupposti sbagliati
che portando a curiose produzioni di significati immaginari.
Va fatta una particolare menzione
per la traduzione, perché i continui giochi di parole e calembours
che intecciano la trama del romanzo possono avvalersi della vicinanza tra francese e italiano.
Cristina Vezzaro gioca a sua volta
con i giochi di parole trasportando il lettore italiano in quella dimensione di continua meraviglia
infantile ed immaginazione davanti a sonorità dal significato
sconosciuto che non solo inducono Mehdi ad evocare talvolta scenari apocalittici ma trasformano
l’incunabolo in un-nano-in-uncuneo ed un proletario in proled’aria facendo naufragare sul nascere un maldestro tentativo di
precoce educazione marxista da
parte di uno dei suoi sorveglianti.