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Foglio di
informazione
professionale
Nr. 177
28/04/08
Morsi di animali
Le persone che ogni anno si rivolgono ad una struttura sanitaria per il morso di un animale sono numerose. La gravità
è legata al trauma in sé e alla possibilità che la ferita si infetti. Se non trattata, l’infezione può progredire sino alla
formazione di ascessi, osteomielite, artrite settica, meningite o sepsi generalizzata. I pazienti immunocompromessi
sono a rischio di sviluppare infezioni molto gravi.
I cani sono responsabili della maggior parte delle lesioni (80-90%), seguiti dai gatti; più raramente sono implicati altri
animali (es. roditori). Le vittime principali sono gli adolescenti. Negli USA, ogni anno giungono all’osservazione
medica 750.000 morsi di cane. I numeri del servizio sanitario inglese parlano di 200.000 visite presso i dipartimenti
di emergenza e più di 4.000 ricoveri ospedalieri per morsi di cane, per oltre un quinto rappresentati da bambini sotto i
9 anni. In Italia, in assenza di dati ufficiali sul numero dei casi, delle visite e dei ricoveri, le poche aggressioni con
esito fatale o devastante riportate dalla cronaca inducono a sovrastimare il problema che, almeno in termini di
incidenza, sembra meno preoccupante che altrove. Proiettando su base nazionale i dati di accesso rilevati nei reparti
di pronto soccorso di una regione (Piemonte) e di una città di dimensioni medio-grandi (Bologna), si può ipotizzare
intorno a 45-50.000 il numero annuo di morsi di animali.
Agenti infettanti
Nelle ferite da morso vengono isolati microrganismi patogeni presenti come flora abituale del cavo orale del cane o
del gatto. Di solito, le infezioni da morso di animale sono polimicrobiche, spesso con una rilevante componente
anaerobica (Bacteroides). I germi più frequentemente implicati sono ceppi di Pasteurella (soprattutto P. multocida),
stafilococchi, streptococchi, Moraxella e Corynebacterium. Le infezioni da Pasteurella multocida (>50% dei casi)
sono caratterizzate da una rapidissima comparsa dei segni di infiammazione (75% dei casi già entro 24 ore). Il
Capnocytophaga canimorsus è un bacillo Gram-negativo che infetta raramente i morsi dei cani (o dei gatti), ma può
causare una sindrome settica rapidamente progressiva e potenzialmente fatale nei soggetti immunocompromessi.
Rischio infettivo
Lo sviluppo di una infezione in una lesione da morso dipende da svariati fattori, quali il tipo di ferita, il tempo
trascorso dall’evento traumatico alla valutazione medica, la sede anatomica interessata, l’animale coinvolto, la
presenza di materiale estraneo e l’esistenza di fattori locali o generali che compromettano la risposta immunitaria.
- Tipo di ferita: il rischio di infezione è elevato per le ferite puntiformi profonde che si chiudono rapidamente
imprigionando al proprio interno numerosi microrganismi. Le lesioni più estese tendono, infatti, a guarire più
facilmente senza complicanze infettive.
- Tempo trascorso: più tempo passa tra il momento del morso e il suo trattamento, più aumenta il rischio.
- Sede anatomica: le ferite a carico delle articolazioni metacarpofalangee della mano, apparentemente lievi, sono
gravate da un alto rischio infettivo per il frequente coinvolgimento delle capsule articolari, delle ossa e dei tendini in
uno spazio ristretto e scarsamente vascolarizzato quale quello della mano.
- Animale coinvolto: a parità di altre condizioni, i morsi di gatto presentano un rischio di infezione doppio rispetto a
quelli di cane.
- Condizioni delle vittime: il rischio di infezioni aumenta nelle persone immunocompromesse a livello generale come
nei diabetici, cirrotici, splenectomizzati, pazienti in trattamento con farmaci immunosop-pressivi (es. corticosteroidi
orali, inibitori delle citochine come etanercept, infliximab) o a livello locale (per arteriopatie, insufficienza venosa
cronica o alterato drenaggio linfatico come ad esempio nelle donne mastectomizzate).
Trattamento della ferita
Tralasciando i possibili, successivi interventi di tipo chirurgico (es. esplorazione profonda, pulizia e rimozione dei
tessuti devitalizzati, sutura), il trattamento iniziale di una ferita da morso consiste in una energica e abbondante
irrigazione con soluzione fisiologica o con un antisettico a base di cloro (es. Amuchina); l’acqua ossigenata e il
povidone iodio (es. Betadine) rappresentano una alternativa in caso di ferite poco profonde o di piccole dimensioni.
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Se al momento non sono disponibili né la soluzione fisiologica né l’antisettico, la ferita può essere lavata con l’acqua
corrente del rubinetto dal momento che scopo principale dell’intervento è quello di asportare la saliva dell’animale
dalla sede del morso. L’elevazione dell’arto colpito risulta determinante per ridurre il rischio di infezione, soprattutto
per le ferite alla mano; l’immobilizzazione e il sollevamento vengono proseguiti sino a completa risoluzione
dell’edema locale.
Profilassi antibiotica
Le ferite “minori” non richiedono un trattamento antibiotico profilattico. Le indicazioni per una profilassi antibiotica
sono costituite dai morsi a maggior rischio di infezione come quelli al carico delle mani, se vi è il dubbio di un
interessamento dell’osso o dell’articolazione, quando la lesione è vicina ad una protesi articolare, per i morsi di gatto,
per le ferite a carico del volto e dei genitali, per quelle che richiedono la riparazione chirurgica e quando il paziente è
immunocompromesso o portatore di valvole cardiache. L’associazione amoxicillina+acido clavulanico (es.
Augmentin, Clavulin) rappresenta l’antibiotico di scelta sia nella profilassi iniziale (1g ogni 8 ore per 3-5 giorni), sia
nel trattamento di una lesione con chiari segni di infezione. Nei pazienti allergici alla penicillina, le possibili opzioni
terapeutiche includono il metronidazolo (es. Flagyl) più la doxiciclina (es. Bassado), una cefalosporina (es. cefixima,
ceftriaxone) o un chinolonico (es. ciprofloxacina). In caso di infezioni gravi o di ferite puntiformi sopra o vicino ad
una articolazione, la terapia antibiotica deve essere inizialmente somministrata per via endovenosa (per assicurare
adeguati livelli tessutali di farmaco); la durata del trattamento va dai 10-14 giorni se l’infezione è limitata al tessuto
sottocutaneo/connettivo (cellulite) alle 4 e 6 settimane quando coinvolge rispettivamente l’articolazione (artrite
settica) e l’osso (osteomielite).
Profilassi antitetanica
Cinque dosi totali di vaccino antitetanico, somministrate ad intervalli adeguati (le prime tre a distanza di un mese
l’una dall’altra; la quarta dose dopo 3 anni nei bambini o 10 anni negli adulti; la quinta dopo circa 10 anni) sono
sufficienti per assicurare una immunità permanente. Nelle persone che hanno completato con certezza il ciclo
vaccinale non sono raccomandate altre dosi, anche se la ferita comporta un aumentato rischio di tetano. Laddove,
però, il rischio dovesse risultare particolarmente elevato (es. la ferita è contaminata con letame), per aumentare la
protezione si somministrano delle immunoglobuline antitetaniche. Nelle persone che non hanno completato il ciclo
vaccinale o delle quali non si conosce lo stato immunitario viene somministrata una dose di vaccino antidiftericotetanico, associata alle immunoglobuline antitetaniche, somministrando le altre dosi previste per completare la
sequenza di 5 totali, se la lesione è a rischio di tetano [è profonda (>1cm), non recente (>6ore), infetta, ischemica].
Profilassi antirabbica
La rabbia è una malattia virale che provoca una encefalite ad esito invariabilmente mortale, che si può trasmettere
all’uomo per contatto con la saliva di animali infetti, quindi attraverso morsi, ferite, graffi o contatto con mucose.
Sotto il profilo epidemiologico, il cane, per il ciclo urbano e la volpe, per il ciclo silvestre, sono gli animali
maggiormente coinvolti. In Italia, grazie ai programmi veterinari di sorveglianza della rabbia animale, il fenomeno è
sotto controllo. Dal 1973 il nostro paese è indenne da rabbia urbana; in Europa, negli ultimi 30 anni, sono stati
segnalati sporadici casi di rabbia in animali domestici provenienti dall’estero (l’ultimo nel 2004 in Francia,
diagnosticato in un cane importato illegalmente dal Marocco). In passato, le regioni dell’arco alpino sono state
interessate da piccoli focolai di rabbia silvestre (il Friuli Venezia Giulia nel 1989 e 1991, la provincia di Bolzano nel
1993), ma dal 1995 non si registrano casi di rabbia in animali selvatici. Pertanto, per un morso avvenuto sul territorio
nazionale, le condizioni che richiedono un trattamento vaccinale post esposizione sono molto limitate [il vaccino
viene utilizzato in profilassi nelle persone che svolgono una attività a rischio specifico (es. veterinari, guardie
forestali, personale dei canili), ma è efficace anche quando viene somministrato dopo un morso]. Se non vi è una
prova diretta di rabbia nell’animale, la vaccinazione post esposizione dovrebbe essere presa in considerazione solo se
si tratta di un animale domestico non vaccinato, con evidenti turbe del comportamento (aggressivo quando
normalmente mansueto o viceversa), che ha morso senza ragione e non è reperibile per l’osservazione veterinaria di
10 giorni e se a mordere è stato un animale selvatico (es. volpe, cane randagio) in una zona alpina del confine
orientale. In Austria, Slovenia e, soprattutto in Croazia, la rabbia silvestre è infatti ancora presente e non si può
escludere l’eventualità (pur se remota) che l’animale provenga da uno dei paesi vicini e sia malato.
A cura del dott. Mauro Miselli
Bibliografia
Morgan M and Palmer J. Dog bites. BMJ 2007; 334:413-17. Human and animal bites. DTB 2004; 42:67-71. Management of animal
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n.2. Ostanello F et al. Incidence of injuries caused by dogs and cats treated in emergency departments in a major italian city. Emerg Med
J 2005; 22:260-2. La rabbia. ISS www.epicentro.iss.it/problemi/rabbia/rabbia.asp.
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