Collaborazione e delazione

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Collaborazione e delazione
Collaborazione e delazione
Il regime liberale non ha incentivato la delazione, mentre il fascismo – intuito il
profitto insito nella collaborazione segreta dei cittadini – l’ha stimolata in vario
modo, anche con circolari che obbligano determinate categorie di lavoratori (anzitutto
i portinai) a rivelare alla questura episodi di dissenso politico riscontrati nell’esercizio
della loro professione. Tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta la
delazione affonda le proprie radici nella società italiana, pervade l’area del dissenso
clandestino, ambiti apolitici e finanche settori schiettamente fascisti. Gli spioni si
ritengono (o comunque si autodefiniscono nelle loro lettere, spesso anonime) buoni
cittadini dell’Italia littoria, collaboratori esemplari delle autorità.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale moltiplica l’incidenza delle denunce
segrete. Il campo d’azione degli informatori si estende a dismisura, in un contesto di
critiche dilaganti alla condotta bellica e nella crescente impopolarità di Mussolini
conseguente alle sconfitte campali italiane e tedesche. Obiettivo preferenziale dei
confidenti sono i «disfattisti», i pacifisti, gli ebrei, gli ascoltatori di Radio Londra. 1
- La delazione antiebraica
La promulgazione della legislazione antisemita non determina uno scollamento
significativo tra popolazione e regime. La stragrande maggioranza degli italiani si
disinteressa della questione, ritenuta ininfluente rispetto alle proprie vicende private.
Alcune coscienze sensibili deprecano le misure discriminatorie, ma si tratta
prevalentemente di persone da tempo avverse alla dittatura. Eppure, chiunque può
1
Cfr. Mimmo Franzinelli, Delatori. Spie e confidenti anonimi: l’arma segreta del regime fascista, Milano, Mondadori,
2001.
1
rendersi conto dell’enormità – giuridica e pratica – dei provvedimenti che cacciano
decine di migliaia di cittadini dalla scuola, dalle forze armate, dalla magistratura,
dall’avvocatura... L’atonia morale si manifesta anche nella cerchia amicale degli
ebrei, i quali s’attendono una solidarietà che riceveranno solo in rari casi. Nel 1941
Emanuele Artom registra nel proprio appunti diario torinese lo sconfortante quadro
«della indulgenza dei non ebrei verso l’antisemitismo» e – fatto ancora più doloroso –
della rivelazione di come nemmeno l’amicizia apra gli occhi a persone con cui egli ha
condiviso aspirazioni e momenti di vita: «Se non posso rimproverare ai miei amici
non ebrei sgarbi o insolenze, fui amareggiato dalla indifferenza, vera o apparente non
so, che molti di essi manifestarono». 2
La grande maggioranza dei fascisti e una parte non trascurabile della popolazione
accettano di buon grado la legislazione razzista e all’occasione segnalato violazioni
delle leggi antigiudaiche, inguaiando sia i «giudei» sia chi manifesta loro solidarietà.
Il delatore spiega il suo comportamento col senso civico e la volontà di contribuire
alla campagna antiebraica. Sin dal 1938 si scatena un’ondata di denunzie da parte di
cittadini che – lamentando la non applicazione delle norme discriminatrici –
forniscono i nominativi di chi, per non essere cancellato dalla vita sociale (come
sancito dalla normativa in vigore), cerca tra mille cautele di tenere il telefono
intestandolo a un prestanome, di nascondere l’apparecchio radiofonico che non ha
consegnato alle autorità, di mantenere in servizio dipendenti “ariani”, e così via.
Prima o poi un premuroso vicino o un sedicente amico denunzia questo o quel
comportamento illegale del “perfido giudeo”.
La legislazione discriminatrice, che col RDL n. 1728 del 17 novembre 1938 caccia i
«non ariani» dal pubblico impiego e proibisce i «matrimoni misti» (oltre a introdurre
una miriade di misure persecutorie di vario genere), prevede all’art. 8 una particolare
classificazione dei «soggetti di razza ebraica», sulla base degli ascendenti e della fede
cattolica. Si concede, in circostanze particolari, di avviare la procedura di
2
Emanuele Artom, Dalle memorie autobiografiche (1941-1942), in Benvenuta Treves (a cura di), Tre vite dall’ultimo
‘800 alla metà del ‘900. Studi e memorie di Emilio, Emanuele, Ennio Artom, Casa Editrice Israel, Roma 1954, p. 62
(nuova edizione: Diario di un partigiano ebreo, cura di Guri Schwarz, Bollati Boringhieri, Torino, 2008).
2
«arianizzazione», mediante dichiarazione – verificata dal Tribunale della razza – di
avere un ascendente ariano non risultante dal certificato di nascita o di essere di
religione cattolica apostolica romana; dai provvedimenti punitivi sono esentati circa
seimilacinquecento cittadini benemeriti «alla Patria e al Regime», contro i quali si
rivolge l’attenzione dei delatori, irritati che qualche «giudeo» la possa fare franca. Gli
spioni sono lesti nel rivelare strumentalità delle conversioni e irregolarità sostanziali
delle pratiche di «arianizzazione» (vendute a caro prezzo da gerarchi e da funzionari
pubblici). Ne deriva uno stillicidio di piccole spiate e di gesti arroganti; l’intervento
poliziesco – per infliggere una multa, per sequestrare beni, per fermare l’ebreo
antifascista e internarlo – rappresenta spesso l’ultimo atto di una trafila originata dalla
delazione e ufficializzata dall’apparato statale.
Dinamiche e conseguenze della delazione si evidenziano mediante l’allineamento dei
percorsi individuali delle vittime, distinti gli uni dagli altri eppure analoghi quanto a
tecniche del tradimento.
L’applicazione delle norme razziste è – a giudizio di tanti delatori – disattesa e
sabotata da funzionari pubblici, filosemiti per convinzione interiore o per corruzione.
La questura di Firenze è allertata, nel febbraio 1940, sul fatto che «alcune famiglie
giudaiche avrebbero già iniziato il tirocinio per la conversione; fra le famiglie
convertite e che già sono state battezzate cito quella del Signor Benno Wolff
(composta di 5 persone), abitante in via E. Repetti di questa città». 3
Da Venezia si avvisa che «Il Barone Gastone T., di Padova, ex squadrista, ha
raccontato a tutti di aver pagato l’arianizzazione un milione e mezzo. Si dice che
visto il buon risultato della sua pratica, stia ora facendo arianizzare i nipoti, facendoli
passare per propri figli, perché egli sostiene che la cognata era la sua amante e quindi
i figli di lei sono pure suoi». 4
La componente più fanaticamente antiebraica è aizzata da personaggi quali Roberto
Farinacci e Giovanni Preziosi. La stampa propaganda tematiche beceramente
3
Relazione del fiduciario n. «489», Firenze, 4 febbraio 1940 (Archivio centrale dello Stato, Roma, Polizia politica,
Materia, b. 219).
4
Rapporto del confidente n. «776», Venezia, 24 agosto 1941 (ivi).
3
antisemite, inducendo l’opinione pubblica a scorgere nel «giudeo» il nemico giurato
dell’italianità. Nel giugno 1940 il quotidiano cremonese “Il Regime Fascista”, organo
personale di Farinacci, inaugura una rubrica programmaticamente titolata Occhio agli
ebrei. Articoli di fondo e corsivi assumono accenti paradelatori nei riguardi degli
ebrei e di quanti ne tollerano la presenza nell’Italia littoria.
Preziosi, teorico e regista della più violenta persecuzione razzista, pubblica articoli di
esplicito indirizzo delatorio: Attenzione agli ebrei di casa nostra e Gli amici degli
ebrei a Trieste (sul mensile «La Vita Italiana» del novembre 1939 e dell’aprile 1940),
propugnando l’antisemitismo attivo quale comportamento politicamente corretto.
Sempre sul giornale “Vita Italiana” egli sostiene nel marzo 1942 che per gli ebrei
l’Italia rappresenta «un’oasi di pace e di prosperità»; esentati dal servizio militare,
essi svolgono in tutta tranquillità speculazioni commerciali e divulgano il disfattismo:
denunziarne le losche manovre è pertanto dovere patriottico.
Per un quinquennio i delatori angariano i perseguitati razziali e talvolta traggono
profitto dalle loro denunce, come dimostra la cospicua documentazione conservata
negli archivi della Polizia.
Accanto alle segnalazioni interessate, ve ne sono altre dovute a squisito spirito di
sopraffazione o a meschino senso di rivalsa: «Giorni fa ebbi occasione di fare una
scappata a Viareggio per vedere un concerto da me organizzato per i feriti ed ebbi
l’occasione di vedere tra gli spettatori ebrei la famiglia Volterra di Firenze al
completo, nonché gli Schlatter svizzeri che stanno al Lido di Camaiore. Non c’era la
legge che imponeva l’allontanamento dalle spiagge per gli stranieri ed ebrei?». 5 In
un’altra occasione, ai bagni “Lido” di Ardenza, l’incontro casuale con la famiglia
livornese Bianchi si traduce in un meticoloso dossier da parte di uno scrittore di libri
per l’infanzia, impegnato nella schedatura metodica dei suoi “amici” ebrei. 6
Persino mentre cena, il solerte spione scruta i commensali e all’occasione li denuncia:
«A Merano, all’Albergo “Parco”, nel ristorante consumano i pasti accanto al mio
5
AA.VV, Razza e fascismo. La persecuzione contro gli ebrei in Toscana, a cura di Enzo Collotti, Roma, Carocci, 2007,
p. 161.
6
Dal memoriale datato Livorno 16 settembre 1940 sulla famiglia Bianchi, trascritto integralmente nell’appendice a
Delatori, cit., p. 351.
4
tavolo l’ing. Oscar Sinigaglia di Roma e la di lui moglie, nata Mayer, entrambi ebrei;
essi, sebbene in floride condizioni di salute, hanno una autorizzazione medica per
ottenere un vitto speciale: carne ogni giorno, pasta bianca, pane bianco, tanto che lo
stesso personale di servizio è sorpreso e commenta sfavorevolmente le cose». 7
All’azione volontaria di cittadini comuni si somma la premura di spie professionali,
che generalmente disprezzano e odiano gli ebrei.
Tra i fiduciari romani della Divisione polizia politica coinvolti nella persecuzione
razzista vi sono il n. «590» (Angelo Aliotta; una sua segnalazione di persona
sospetta: «Sembra che un ebreo, ex ufficiale degli Arditi, abbia ottenuto cambiamento
di cognome e titolo nobiliare; pare sia il noto Pontecorvo») 8 e il n. «382» (l’avvocato
Michele Del Chiaro: «La direzione della Banca Nazionale dell’Agricoltura, a Corso
Umberto, non ha provveduto alla rimozione dell’ebreo Coen, preposto all’Ufficio
Servizi Speciali, dove si svolgono delicate funzioni di lavoro anche con l’estero»). 9
Del Chiaro, scandalizzato dalla presenza di un ebreo nella stazione termale ove egli
trascorre le vacanze estive del 1940, denuncia la violazione del divieto di soggiorno
nelle località turistiche: «Dal momento che circa un mese fa fu intimato agli ebrei di
lasciare le spiaggie, non comprendiamo come ancora malgrado tutto il Maresciallo
dei Reali Carabinieri di Nettunia Porto acconsenta all’ebreo e noto antifascista Carlo
Beninfanti Coen di trattenersi là tutte le sere con la famiglia, in un appartamento
mobiliato che ha preso in affitto, sito a trecento metri dalla stazione». 10
Sotto la copertura del rappresentante di commercio ragioniere Luigi Corsini attinge
informazioni a Milano e a Verona per la polizia politica, la temuta Ovra. 11 Quando
viene imposta ai «fascisti di razza ebraica» la consegna della tessera del PNF a una
commissione d’indagine, con la sostituzione automatica degli ebrei incaricati di ruoli
direttivi, Corsini individua alcuni «giudei» passati indenni attraverso la trafila
7
Relazione del n. «612», Merano, 16 settembre 1941 (ACS, PP Materia, b. 219). L’ingegnere Oscar Sinigaglia rivestirà
negli anni della ricostruzione postbellica un ruolo di primo piano nella ristrutturazione della siderurgia italiana.
8
Rapporto del fiduciario n. «590» (Eduardo Adolfo Drago), Roma, 26 settembre 1939. ACS, cit.
9
Nota del fiduciario n. «382», Roma, 13 aprile 1939, trasmessa sei giorni più tardi da Leto alla Divisione Affari
Riservati (ivi).
10
Informativa del confidente n. «749» (Clotoaldo Rossi), Roma, 20 settembre 1940 (ivi).
11
Cfr. Mimmo Franzinelli, I tentacoli dell’Ovra. Agenti, collaboratori e vittime della polizia politica fascista, Torino,
Bollati Boringhieri, 1999; riferimenti a Corsini a p. 246.
5
dell’epurazione, e che egli segnala insieme agli «ariani» che – a giudizio del
confidente – li avrebbero indebitamente favoriti. 12
Modestino Guerriero, maggiore dei carabinieri e confidente della polizia numero
«489», teorizza, nella relazione del settembre 1940, una soluzione sul modello
nazista, ovvero «la necessità urgente di fare piazza pulita di tutti, senza riguardo e
discriminazioni, senza pietà per una razza che pietà non conosce»; l’eliminazione
degli ebrei si risolverebbe in un benessere generale: «È un’opera di bonifica umana
che s’impone, e anche in questo campo come in chirurgia, il male va estirpato dalla
radice con un taglio inesorabile e deciso, affinché l’organismo nazionale, dopo la
inevitabile scossa, possa riprendersi e rifiorire in pieno». 13 Prosa delirante, costellata
dai nominativi di persone delle quali si auspica l’eliminazione, in rapporti che
fruttano regolari compensi mensili da parte della Divisione polizia politica.
Diversi altri delatori-mercenari stilano relazioni permeate di odio fanatico. Il
confidente n. «646» (Sirio Giacomucci), riferisce nel novembre 1941 di avere notato
in molti cittadini romani sentimenti di «sfiducia nel DUCE che ancora permette agli
ebrei, a questi nemici nostri che abbiamo in casa, di pugnalarci alle spalle colla loro
propaganda nefasta, con il loro spionaggio al nemico»; nella folta casistica di
situazioni
comprovanti
l’antipatriottismo
giudaico,
Giacomucci
segnala
i
festeggiamenti coi quali i fratelli Coen avrebbero salutato a Roma l’affondamento di
un convoglio italiano: «spumante a volontà, brindisi a Roosevelt, a Churchill, alla
vittoria inglese»; e via di questo passo: a Spoleto, nel ristorante “La Ferrovia”,
«quando fu dato notizia del numero forte dei morti a Brindisi, un ebreo, certo Decio
Leoni di Ancona, rappresentante di commercio, scoppiò in una risata di
compiacimento»; infine, «a Falconara Marittima un ebreo, tale Mario Fornari, ha
potuto installare a casa sua un apparecchio telefonico mettendolo a nome della donna
di servizio!». 14
12
Informativa del confidente n. «381» (Luigi Corsini), oggetto: «Ritiro della tessera agli iscritti al PNF di razza
ebraica», Milano, 14 febbraio 1939 (ACS, cit.).
13
Memoriale confidenziale da Firenze, 20 settembre 1940 (ivi).
14
Informativa siglata «646», Roma, 24 novembre 1941 (ivi).
6
- La denuncia durante la Repubblica Sociale Italiana
Un quinquennio di campagna antiebraica produce una miriade di segnalazioni,
sfociate in provvedimenti amministrativi e, nei casi più gravi, nell’arresto e
nell’internamento nei campi allestiti al momento dell’ingresso nella guerra. La
situazione precipitò nell’autunno 1943, quando l’arresto equivale per un ebreo alla
condanna a morte; una miriade di spioni determina la cattura di famiglie e di singoli
fuggiaschi, che difficilmente i tedeschi scoverebbero per loro conto.
Dal dicembre 1943, dopo le grandi retate nelle comunità ebraiche di Roma, di Milano
e di Venezia, i perseguitati si disperdono alla spicciolata, celati in ripari precari che
possono repentinamente rivelarsi trappole. Non esistono angoli defilati, al riparo dal
vento gelido della delazione, né città né in campagne e nemmeno nelle sperdute
montagne. Ogni ebreo, da un momento all’altro, rischia di essere ucciso legalmente
dai militi della RSI o da elementi delle forze armate occupanti. Alle operazioni in
grande stile seguono le irruzioni in rifugi di fortuna, alla ricerca di una famiglia o
anche di un singolo fuggiasco segnalato da una spiata. Itinerari e storie personali si
divaricano nella clandestinità in una miriade di percorsi geografici e di nascondigli
più o meno sicuri, in un’esistenza minacciata da segnalazioni e delazioni alimentate
dal miraggio della taglia: cinquemila lire per un uomo, dalle due alle tremila lire per
una donna o un bambino; per la consegna di un rabbino o di un dirigente della
comunità ebraica si possono guadagnare decine di migliaia di lire, con garanzia di
anonimato.
La frammentazione policentrica dei servizi di polizia della RSI, con la compresenza
di bande armate dotate di ampia autonomia e protette dalle forze d’occupazione,
incrementa il ricorso ai «fiduciari» civili. I gruppi capitanati da Pietro Koch a Roma e
a Milano, da Mario Carità a Firenze e a Padova, da Mario Finizio e da Giuseppe
Bernasconi a Milano si avvalgono di stuoli di informatori, ingaggiati con la promessa
di generose elargizioni, con la forza del ricatto e persino con forme di violenza
7
raffinata. 15 La delazione viene elevata a sistema. Anche in queste circostanze emerge
il tornaconto del segnalatore, interessato alla cattura della persona da lui tradita.
Emblematica la denuncia contro tre milanesi, i fratelli Levi, uno dei quali, Emilio,
arrestato il 7 dicembre 1943 dai fascisti avvisati da una spiata, è deportato il 30
gennaio 1944 ad Auschwitz e vi morirà un mese più tardi. 16 In questo caso il movente
dello spione è una partita di macchine da scrivere.
Un dato generale è la disponibilità di iscritti al Partito fascista repubblicano e di militi
della RSI a rivelare agli occupanti i precari rifugi dei perseguitati razziali. 17 Si tratta
di aspetti trascurati dalla storiografia e ignorati dai volonterosi sostenitori del
«Mussolini buon’uomo». 18
Il 4 gennaio 1944 un decreto legislativo firmato da Mussolini sancisce che i beni
appartenenti a «cittadini di razza ebraica» vengano automaticamente avocati allo
Stato e confiscati. Chiunque sia debitore o creditore di ebrei, o detenga beni ad essi
appartenenti, dovrà notificarlo entro 30 giorni al capo della provincia, specificando
«l’importo dei debiti, il nome del creditore o del proprietario, la natura o l’ammontare
dei titoli e dei valori e la sommaria descrizione dei beni». 19 L’omessa denuncia
comporta tre mesi di carcere e un’ammenda sino a 30.000 lire. Gli ebrei, insomma,
dovrebbero denunziare oltre a se stessi pure i propri beni… in vece loro provvede
spesso qualche «buon cittadino», stimolato dalla speranza di trarre profitto dall’altrui
disgrazia.
La particolare situazione politica favorisce in estesi settori della popolazione la
diffusione di stati d’animo d’insofferenza contro i perseguitati, talvolta insolentiti e
denunziati pubblicamente, con certezza d’impunità. Significativa la testimonianza
della romana Olga Di Veroli, rifugiatasi con la famiglia (dopo la cattura del padre da
15
Cfr. Massimiliano Griner, La «Banda Koch», Torino, Bollati Boringhieri, 2000 e Riccardo Caporale, La Banda
Carità, Lucca, Istituto storico della Resistenza, 2005.
16
Cfr. Liliana Picciotto Fargion, Il libro della memoria, Milano, Mursia, 1991, p. 375.
17
Per questo aspetto cfr. il capitolo IX del volume Delatori, cit., pp. 231-266 e i documenti riprodotti alle pp. 359-365.
18
Spicca, tra i più recenti teorici della moderazione di Mussolini il senatore Marcello Dell’Utri, che sostiene di avere
trovato il diario del dittatore, che tra le varie «rivelazioni» dimostrerebbe il carattere blando del razzismo mussoliniano.
Cfr. Mimmo Franzinelli, Mussolini revisionato e pronto per l’uso, in AA.VV., La storia negata. Il revisionismo e il suo
uso politlico, a cura di Angelo Del Boca, Venezia, Neri Pozza, 2009, pp. 231-32.
19
Articolo 2, comma 1°, del decreto legislativo del Duce n. 2, 4 gennaio 1944 – XXII, «Nuove disposizioni concernenti
i beni posseduti dai cittadini di razza ebraica».
8
parte dei nazisti) in un convento di via Cicerone, poiché il negozio e l’abitazione non
sono più sicuri. Ritornata nella propria casa per ritirare un oggetto dimenticato, vi
trova una donna sfollata:
«Senta, ho bisogno di prendere alcune cose». Lei ha detto di no. «Ma io sono la figlia del proprietario». Allora questa
fa: «Lei è ebrea» e si è messa a urlare: «Fascisti, tedeschi! È ebrea, prendetela!».
Me la sono data a gambe. E sono riuscita a scappare. Quella gente ci ha rubato tutto, la merce, la macchina da scrivere,
tutto. 20
Le segnalazioni anonime, mediante lettera inviata ai Comandi germanici, sono uno
strumento insidioso quant’altri mai, poiché lasciano nell’ombra il delatore e attirano
l’attenzione dei carnefici sulla vittima. Come ha osservato Alexander Stille, nessuna
situazione può ritenersi sicura; talvolta persino chi aveva soccorso i fuggiaschi muta
atteggiamento per motivi venali: «poteva succedere che gli istinti migliori e peggiori
dell’uomo convivessero nel medesimo individuo: alcuni membri della famiglia
Teglio furono nascosti da un poliziotto fascista in pensione, che dapprima offrì loro
ospitalità e quindi minacciò di denunciarli per estorcer loro più soldi». 21
Gli stessi sforzi profusi da qualche cittadino in favore dei profughi sono vanificati
dalle spiate, ritortesi su chi modo si è esposto con comportamenti illegali a pro degli
ebrei. Il 18 dicembre 1943 il ligure Edoardo Versarese (residente a Camogli, in via
Garibaldi 48) scrive al capo della polizia della RSI che a Genova un’impiegata della
Società di Navigazione “Italia” falsifica passaporti per profughi intenzionati a passare
in Svizzera. Come ciò non bastasse, lo spione preannunzia ulteriori rivelazioni: «Sto
cercando di sapere dov’è fuggita una famiglia ebrea, molto ricca, che risiedeva qua e
che con contratti fittizi deve aver figurato di cedere la sua proprietà ad una famiglia
amica che vi abita». 22
La macchina delatoria continua a funzionare anche quando le sorti della guerra sono
oramai compromesse per i nazifascisti. Ecco una nota pervenuta al capo della polizia
della RSI nel febbraio 1945:
20
Testimonianza di Olga Di Veroli, in Alexander Stille, Uno su mille. Cinque famiglie ebraiche durante il fascismo,
Mondadori, Milano 1991, pp. 247-48.
21
Stille, Uno su mille, cit., p. 8.
22
La lettera di Edoardo Versarese al capo della polizia Tullio Tamburini e il messaggio di Tamburini al ministero
dell’Interno sono integralmente trascritti nell’appendice a Delatori, cit., p. 360.
9
L’ebreo Gino Riva ed una Signora misteriosa sono stati per qualche tempo a Firenze (sembra dal 24 al 27 gennaio) ed
hanno abitato al 2° piano di via della Robbia 16. Il loro fare ha destato sospetti come se fossero ricercati dalla Polizia od
agissero in loschi affari. Una persona che, se pedinata, potrebbe far luce è la Signora Carla Allegri, alla pensione
Gozzoli, in Piazza Indipendenza, la quale ha fatto molti viaggi in città del Nord, tra cui Bologna; essa è cugina
dell’ebreo Riva del Pellerano. 23
In poche righe sono segnalate quattro persone e indicati due indirizzi.
- I delatori filonazisti
Durante la Repubblica sociale italiana aumenta la propensione degli informatori a
giocare in proprio, ovvero a ricercare vantaggi individuali servendo alternativamente
fascisti o tedeschi. Il bersaglio principale consiste negli ebrei e nei partigiani; per
ogni arresto, l’autore della spiata riceve laute ricompense, in denaro o in beni in
natura (in particolare chili di sale). Una fitta rete di delazioni accompagna la lotta di
liberazione nazionale e le stragi di civili, in una forma particolarmente vile ed
efficace di collaborazionismo, perché sotterranea e con pochi rischi.
Durante la RSI, sul totale delle 43.000 persone registrate quali appartenenti alla
«razza ebraica», circa settemila italiani sono internati in campi germanici e in 5.896
vi persero la vita; altri 299 muoiono in patria. In termini percentuali arresti e uccisioni
incidono maggiormente tra i membri più attivi della comunità: il 43% dei rabbini capi
italiani è sterminato nei lager. 24 In quanti e quali casi la delazione è all’origine della
cattura? Senz’altro nella parte maggioritaria, considerato che la forza occupante si
muove autonomamente in un limitato numero di situazioni, gli ebrei si sparpagliano
in piccoli gruppi familiari in località periferiche e decentrate. Il sistema più redditizio
per scovarli è quello di interventi mirati, di matrice delatoria. Sono proprio le spie a
consentire ai nazisti di colpire in profondità, laddove mai i tedeschi potrebbero
individuarli col solo apparato militare.
23
Delazione pervenuta al capo della polizia nel febbraio 1945 (ACS, Segreteria del Capo della Polizia RSI 1943-45, b.
30, f. Firenze).
24
I dati sono tratti da Michele Sarfatti, Le persecuzioni degli ebrei in Italia dalle leggi razziali alla deportazione, in
AA.VV., La persecuzione degli ebrei durante il fascismo. Le leggi del 1938, Roma, Camera dei deputati, 1998, p. 103.
10
Un gruppo di ricercatori piemontesi, impegnati nello studio della deportazione, nel
1982 ha intervistato dodici ebrei sopravvissuti al lager: ognuno di essi ha riferito di
essere stato catturato per una soffiata di persona venuta a conoscenza del
nascondiglio. 25
Nei venti mesi di vita della Repubblica sociale italiana la caccia all’ebreo rappresenta
un aspetto di normalità quotidiana: i profughi, spiati da ogni dove, s’isolano gli uni
dagli altri per ridurre al minimo i danni o al più mantengono rapporti coi propri
familiari, onde evitare che la cattura di una sola persona inneschi una catena di
arresti.
Il clima delle grandi città è infido, inquinato dall’avidità di guadagno. Le taglie
esercitano un fascino sinistro sugli avventurieri, che trovano nella guerra civile
l’ambiente proficuo per muoversi con sfoggio di violenza e prepotenza:
Circolano per le strade di Milano gli sgherri della repubblica fascista in automobili, con armi spianate, alla ricerca di
ebrei. È stato fissato un premio di novemila lire per ogni ebreo che viene consegnato, anche per i bimbi…
Salgono su tutti i treni, entrano in tutte le portinerie, dove contrattano per dividersi i guadagni, ma sono ancora molti i
posteri delle «cinque giornate». 26
Con l’emanazione delle leggi razziste il romano Giacomo Citoni ha intestato il
negozio di tessuti alla moglie «ariana», ma ciò non lo salverà dalla rovina. Il 22
novembre 1943, verso mezzogiorno, si presentano nella bottega due funzionari
fascisti che, esibiti i tesserini di riconoscimento, preannunziano l’arrivo dei tedeschi e
il sequestro della merce, «lasciando intendere di voler essere ricompensati con un
vistoso premio per la segnalazione fatta» e intascando diecimila lire. Citoni è
nascosto in luogo sicuro ma, informato dalla moglie della minaccia sopravvenuta, nel
pomeriggio trasloca in fretta la mercanzia in un deposito poco distante.
Evidentemente i suoi movimenti sono spiati, poiché «non appena effettuato il
trasporto giungevano sul posto militari tedeschi armati e montati su un autocarro, i
25
Cfr. Federico Cereja e Brunello Mantelli (a cura di), La deportazione nei campi di sterminio nazisti. Studi e
testimonianze, Angeli, Milano 1986.
26
Annotazione d’inizio dicembre 1943 dal diario di Michela Fernanda Momigliano (dattiloscritto inedito, Archivio
della Fondazione centro di Documentazione Ebraica contemporanea, Milano).
11
quali penetravano nel negozio e nel deposito asportando la merce». 27 I due poliziottiestorsori hanno dunque montato una trappola d’intesa coi tedeschi, inducendo Citoni
a lasciare il nascondiglio per il negozio, onde arrestarlo.
Sempre a Roma, nel novembre 1943, un tenente della polizia e «un borghese dalla
fronte sfregiata il quale esibì la tessera di un comando politico di Piazza Colonna»
ordinano al portinaio dello stabile di viale Mazzini 25 «di accompagnarli
nell’appartamento della famiglia mista di Coen Gastone fu Abramo; quivi giunti,
parve che cercassero dei documenti che non trovarono, ma asportarono un
apparecchio radio, alcuni fiaschi di vino, due paia di scarpe, delle bottiglie ed una
valigia piena di scatolame. Nell’allontanarsi imposero al portinaio di telefonare
all’Ufficio politico di Piazza Colonna nel caso che i Coen ritornassero. L’auto dei
predetti era guidata da un giovane vestito con tenuta color kaki e berretto con fascio
littorio». 28 Quanti altri casi di questo genere sono accaduti, senza che se ne sia
trasmessa la memoria?
- Alla ricerca di una via di salvezza
Per molti ebrei nascosti in Italia settentrionale l’espatrio nella Repubblica Federale
Elvetica rappresenta un miraggio, la meta salvifica dopo l’abbandono dell’ennesimo
rifugio precario. Nei giorni a ridosso dell’armistizio strade, sentieri e boschi sono
percorsi da militari del regio esercito che hanno gettato la divisa, da ex prigionieri
Alleati fuggiti dai campi d’internamento e da ricercati politici incamminatisi verso la
frontiera, spesso ignari delle vie d’accesso clandestine attraverso i monti delle
province di Varese, Como, Sondrio e Brescia. Nella seconda settimana del settembre
1943 oltre un migliaio di profughi varca la linea di demarcazione tra i due Stati.
L’esodo in massa, cui succedono nei mesi successivi innumerevoli passaggi alla
spicciolata, è agevolato da una catena solidaristica che «non può essere pienamente
27
Fonogramma n. 238354/01500 Gabinetto della Questura di Roma alla Direzione generale della P.S. e al Comando
polizia città aperta Roma, 22 novembre 1943 (ACS, II guerra mondiale, A5G, b. 151, f. Ebrei).
28
Nota del questore di Roma alla Direzione generale della P.S., 15 novembre 1943, «oggetto: Coen Gastone» (ivi).
12
compresa senza tenere conto del clima di minaccia diffusa e, viceversa, di incertezza
e di paura al quale essi cercavano di sopravvivere». 29
Dall’armistizio sino alla cessazione dei combattimenti trovano asilo in Svizzera circa
seimila ebrei (per due terzi di nazionalità italiana); maggiore il numero dei respinti:
3.334 nel 1943, 1.365 nel 1944 e 1.365 nei primi quattro mesi del 1945, per un totale
di 8.695 fuggiaschi. 30 Difficile stabilire, di contro, il numero degli arrestati, stante la
pluralità degli organismi repressivi e la dispersione territoriale degli arresti. Nel solo
mese di dicembre 1943 la guardia di frontiera nazista cattura nel distretto di Varese,
tra i laghi Maggiore e di Lugano, una quarantina di ebrei. Tra metà ottobre e metà
dicembre 1943 i militi della II legione “Monte Rosa” della Guardia nazionale
repubblicana effettuano una sessantina di arresti agli estremi confini della provincia
di Como; analoghe operazioni compie la Guardia di finanza; anche la polizia
ordinaria reprime gli espatri clandestini.
Il rischio insito nel passaggio in Svizzera è elevatissimo. L’ingaggio del «passatore»
ammonta a migliaia di lire per ogni viaggio, e chi espatria porta appresso beni di
notevole valore, sottoponendo a dura prova l’onestà di guide che fanno quel mestiere
non per ragioni ideali ma per ricavarne un guadagno. Ciò è talmente risaputo da
indurre alcune strutture partigiane specializzatesi nel trasferimento oltre confine di ex
prigionieri Alleati ad evitare interventi in favore dei perseguitati razziali, «per
mantenere ottimali condizioni di sicurezza». 31
Le testimonianze su questo «commercio» di persone sono orrende:
Il miraggio del denaro spinge molti a improvvisarsi guide senza averne l’esperienza: un dramma per chi è costretto a
fidarsi. Bruno Acht scrive sull’espatrio della moglie Maria Luisa Verney e dei figli Amalia, Ermanno, Paola: «Le guide
l’abbandonarono, e dovette passare parecchie volte la rete, una volta ocn i figli, un’altra con pacchi e valigie: una cosa
tremenda». Ada Camerini Segre: «Gli amici antifascisti di Parma avevano detto: “Mandiamo persone”. Hanno
organizzato tutto loro, ma hanno detto di non portare soldi o gioielli, “Se no, i passatori rubano e tradiscono. I Valobra,
Sacerdoti, il Bruno De Benedetti… le guide si sono accorte che avevano dei gioielli, li hanno presi»; Maurizia
Pasqualini Jesi: «Abbiamo pagato molto, nel tragitto aumentavano ogni tanto il prezzo, ci hanno rubato le valigie». […]
29
Fabio Levi (a cura di), Le case e le cose. La persecuzione degli ebrei torinesi nelle carte dell’EGELI, Compagnia di
San Paolo, Torino 1998, p. 34.
30
Renata Broggini, La frontiera della speranza. Gli ebrei dall’Italia verso la Svizzera 1943-1945, Mondadori, Milano
19992, p. 109.
31
Cfr. il memoriale dell’ing. Giuseppe Bacciagaluppi (delegato militare del CLNAI a Lugano e responsabile
dell’omonima rete che conduce in Svizzera oltre un migliaio di ex prigionieri di guerra), in AA.VV., Testimonianze sul
movimento di liberazione nel luinese, Biblioteca civica di Luino, 1975, p. 31.
13
Olga Fiorentino Lombroso: «Vittoria aveva reclamato dal contrabbandiere la sua cintura, ma egli insisté per avere il
compenso e chiuse Vittoria nel pollaio, “Mi paghi subito o la denuncio”; di simili vigliacchi non conveniva fidarsi,
Vittoria pagò e se ne andò il più presto possibile». […]
Franco Levi: «C’erano bande che offrivano, ad alto prezzo, un passaggio per abbandonare poi le loro vittime,
naturalmente senza bagagli. Alcuni arrivavano al punto di costruire in un bosco, con un pezzo di rete metallica, una
falsa rete di confine, dietro la quale era facile, poi, fare arrestare i disgraziati clienti, ricavandone così altri vantaggi». 32
Collaboratori oscuri dei «cacciatori di ebrei» sono quei civili che ne tradiscono la
presenza per ricavarne vantaggi o semplicemente per crudeltà d’animo. Di norma tali
azioni scellerate non lasciano traccia: la segnalazione è il più delle volte di natura
diretta, affidata alla viva voce della spia. Chi rimane intrappolato non potrà
denunziato i traditori: all’arresto seguono di norma l’internamento e la morte.
L’intenso lavorio delle guide infedeli si deduce tuttavia da riferimenti disseminati
nelle carte di polizia e dai pochi processi celebrati nell’immediato dopoguerra.
Prima di tentare la fuga all’estero molte famiglie cedono o affidano in custodia a
persone fidate i loro beni, quasi sempre a condizioni rovinose per i fuggiaschi, che
con la polizia sulle loro tracce non hanno alternative alla svendita. I primi a
denunziarli sono quelli che hanno ricevuto in deposito le sostanze delle persone
risoltisi all’espatrio: una soffiata dà la certezza che nessuno tornerà a riprendersi gli
oggetti lasciati in custodia. Chi passa in Svizzera porta con sé, in pacchetti o in
piccole valigie, risparmi e monili che costituiscono il frutto di una vita di lavoro,
senza immaginare che quelle ricchezze lusinghino la cupidigia di spioni o di
accompagnatori malfidi, disposti addirittura a spingere gli incauti fuggiaschi verso un
burrone o un posto di polizia pur di arraffare denaro e oggetti preziosi. Si può
ricavare un’idea del contenuto di quei pacchi scorrendo le lunghe liste di beni
sequestrati dalla Milizia confinaria agli sventurati fermati in prossimità della
Svizzera: spogliati di ogni oggetto, essi saranno presto privati anche della vita. Un
ritrovamento particolarmente sostanzioso è ad esempio effettuato dai funzionari della
Pubblica sicurezza nel nascondiglio del quarantottenne anconitano Oscar Morpurgo,
arrestato su segnalazione il 1° dicembre 1943 nella “Villa Fiore” di Casina Morpurgo
(Como), alla vigilia dell’espatrio. Il pacco sequestratogli è consegnato dal
commissario Gullotti al ragionere capo della prefettura di Como, che un paio di
32
Broggini, La frontiera della speranza, cit., pp. 45-48.
14
settimane più tardi stila l’inventario: 63 sterline d’oro, 334 monete d’oro, un anello
d’oro, un anello di platino, un bracciale d’oro, una catenina da polso d’oro, una
scatola portagioie in legno con coperchio rivestito d’argento cesellato… 33 Incarcerato
a Como, Morpurgo è poi trasferito alla prigione milanese di S. Vittore e il 30 gennaio
1944 deportato ad Auschwitz, dove morirà qualche settimana più tardi.
Le segnalazioni segrete consentono l’arresto in un sol colpo anche di una decina di
persone. L’11 dicembre 1943 – informa un rapporto del capo della provincia di
Sondrio, Rino Parenti – undici fuggiaschi sono «fermati in questa Provincia ove
erano venuti presumibilmente per trasferirsi clandestinamente in Svizzera allo scopo
di sottrarsi all’applicazione delle recenti disposizioni di internamento. In data odierna
è stato disposto che i detti israeliti siano tradotti a Milano ove quella Questura,
opportunamente interessata, provvederà ad internarli». 34 È falso che i prigionieri
vengano affidati alla questura di Milano: anch’essi, come tanti loro compagni di
sventura, sono difatti «associati alle locali Carceri Giudiziarie a disposizione del
Comando Germanico». 35 Inoltre, sempre riguardo al rapporto di Rino Parenti, sfugge
al gerarca che «sottrarsi all’applicazione delle recenti disposizioni di internamento»
significhi per quelle undici persone difendere la propria vita. L’arido frasario
burocratico del prefetto di Sondrio ragguaglia le autorità sull’arresto di Valentina
Benedetti (63 anni), Elio Camponore (53 anni), Turno Cotignoli (35 anni), Cesare
Fano (75 anni), Regina Pinsk (50 anni), Odorico Piperno (42 anni), Aldrado Piperno
(33 anni), Rambaldo Piperno (13 anni), Renzo Piperno (11 anni), Lucia Ragendorfer
(23 anni), Livia Sinigaglia (37 anni), Silvia Usigli (64 anni). Si tratta di un gruppo a
base familiare, considerato che Cesare Fano e Silvia Usigli sono sposati; che
Valentina Benedetti è madre di Odorico e di Aldrado Piperno; che Odorico Piperno e
Livia Sinigaglia sono i genitori di Rambaldo e di Renzo Piperno; che Lucia
Ragendorfer è figlia di Regina Pinsk (suo marito Benno Ragendorfer, sfuggito
33
Verbale degli «oggetti valori» sequestrati a Morpurgo Oscar, Como, 13 dicembre 1943 (ACS, II Guerra mondiale,
cat. A5G, b. 151, f. 230).
34
Nota di Rino Parenti, capo della provincia di Sondrio, alla Direzione generale della P.S., 14 dicembre 1943 (ACS, II
GM, Fondo Ebrei internati, b. 4, f. Camponore Elio).
35
Dal rapporto del questore di Milano su «Camponore Elio fu Giuseppe nato nel 1890 già residente a Milano», 6
ottobre 1944 (ivi).
15
casualmente alla cattura, verrà imprigionato di lì a un paio di giorni). Da Milano i
prigionieri sono internati a Fossoli, per essere infine inviati ad Auschwitz. Valentina
Benedetti, Cesare Fano, Regina Pinsk, Renzo Piperno e Benno Ragendorfer verranno
uccisi il 6 febbraio 1944 all’arrivo nel lager; Lucia Ragendorfer il 24 aprile 1944;
Elio Camponore ad inizio 1945; Livia Sinigaglia morirà a Dachau il 30 dicembre
1944; di Aldrado, Odorico e Rambaldo Piperno non si conosce la data esatta del
decesso. 36 Un solo arresto ha dunque causato la distruzione di tre nuclei familiari. Per
determinare la rovina dei fuggiaschi basta una sola segnalazione, da parte di un
qualsiasi cittadino, mentre per l’azione di soccorso serve l’impegno concorde e
continuativo di più persone, oltre al silenzio complice di tanti altri cittadini.
Alla cupidigia dei «cacciatori di taglie» si somma, con esiti altrettanto letali,
l’irresponsabilità di persone pronte al tradimento per momentanei sentimenti
d’irritazione. Una discussione animata, in ufficio o al bar, può trascendere in velate
minacce, sul genere di quelle rivolte a un impiegato «ariano» maritato con
un’«ebrea» che nel dopoguerra ricorderà: «Nel 1942 avevo sposato un cattolico: il
vescovo di Como si era prestato a farlo, naturalmente in grande clandestinità. Mio
marito ha rischiato moltissimo sposandomi. Un collega di lavoro (era impiegato alla
Feltrinelli legnami), in seguito a un diverbio un giorno l’ha minacciato: “Io potrei
denunciarla!”». I coniugi, vista la malparata, si trasferiscono dalla Lombardia alle
Marche, alla ricerca di un anonimato che in quei tempi significa una provvisoria
salvezza. 37
Ogni circostanza, anche la più innocente, rischia di trasformarsi in una trappola.
Nell’agosto 1944 Luciano Finzi è un ragazzino milanese inconsapevole della
macchina omicida gravante sulla sua famiglia. Scoperto in quanto ebreo durante un
gioco tra coetanei scampa casualmente alla cattura, ma nella rete resta impigliato suo
papà: «Delle voci dissero che eravamo stati denunciati da qualcuno che mi aveva
visto giocare in viale Brianza: mi aveva sentito nominare e allora si era informato.
36
I dati sui decessi sono ricavati da Picciotto Fargion, Il libro della memoria, cit., ad nomen.
Testimonianza di Igina Marini Santambrogio, in AA.VV., Salvare la memoria, a cura di Alessandro Ceresatto e
Marco Fossati, Anabasi, Milano, 1995, p. 51).
37
16
Sono tutti bla-bla. Di sicuro non c’è niente. L’unica cosa certa è che hanno portato
via mio padre». 38 Edgardo Finzi, genitore del piccolo Luciano, il 24 ottobre parte dal
campo di Gries (Bolzano) su di una tradotta ferroviaria diretta ad Auschwitz, e non
ritornerà.
Chiacchiere imprudenti, pronunziate per vanteria e giunte all’orecchio dei delatori,
sono riferite ai fascisti o ai tedeschi, con gli esiti immaginabili. Un confidente della
polizia politica della RSI, residente a Venezia, informa ad esempio che una doppia
parete dell’abitazione di un ingegnere «ariano» cela «l’argenteria di proprietà
dell’ebreo Giorgio Sonnino fu Vito, di valore ingente» e fornisce indicazioni sul
modo migliore di sequestrare quelle ricchezze. 39
Alcuni beni tolti agli ebrei vengono consegnati agli «italiani ariani» che li hanno
rivendicati: dal 1940 le case espropriate sono assegnate a famiglie di senza-tetto,
come riparazione alle vittime dei bombardamenti voluti dai nemici dell’Italia.
Significativo, nel gennaio 1945, il caso della madre di un volontario italiano delle SS
(Mario Masserasco), mutilato a un braccio per una ferita in combattimento, che
ottiene i mobili sequestrati ad ebrei triestini. 40
L’anconitana Frida Morpurgo ricorda il cugino Giorgio Montecorboli e suo padre
Arturo, rifugiatisi in una villetta fiorentina dell’Impruneta, venduti ai tedeschi dalla
loro domestica nel febbraio 1944 e condotti a Fossoli, il 5 aprile sono deportati ad
Auschwitz e vi muoiono. 41
Monografie su singole realtà dimostrano che una parte, minoritaria ma non
irrilevante, degli abitanti di una determinata città o di una particolare area periferica
ha intrattenuto con l’occupante rapporti collaborazionistici basati sull’apprezzamento
dell’organizzazione militar-burocratica germanica, della quale si sono ignorati gli
aspetti brutali. L’ex custode del tempio israelitico di Fiume, certo Plech, si vale ad
esempio delle sue conoscenze per condurre i poliziotti nelle abitazioni e nei
38
Testimonianza di Luciano Finzi (ivi, p. 57).
La trascrizione dell’informativa del confidente veneziano della polizia fascista figura nell’appendice di Delatori, cit.,
p. 365.
40
Cfr. Silva Gherardi Bon, La persecuzione antiebraica a Trieste (1938-1945), Del Bianco, Udine 1972, p. 232.
41
Memoriale di Frida Morpurgo, in ACDEC.
39
17
nascondigli dei ricercati. 42 L’uomo è peraltro in buona compagnia, considerato –
secondo le risultanze di un saggio sulla persecuzione razzista a Fiume – l’attivismo
«degli organi speciali della polizia politica, l’Ovra e l’ufficio politico: le insidie di
codesti organi contro gli ebrei erano grandi, perché alimentate dalle confidenze e
dalle delazioni che ricevevano sia attraverso i loro canali, sia attraverso lo speciale
ufficio informazioni della federazione locale del partito fascista». 43
L’ideologia dei quadri delle forze armate della RSI è permeata dal razzismo, inserito
dall’inverno 1938-39 quale disciplina di studio nell’addestramento «premilitare». Nel
corso del 1944 gli ufficiali dell’esercito repubblicano assistono a conferenze tenute da
propagandisti legati ai centri regionali diretti da Giovanni Preziosi. Non si tratta
d’iniziative estemporanee, dal momento che le scuole d’istruzione militare educano
programmaticamente i quadri della GNR a una «sana concezione razziale». Le
considerazioni sviluppate dagli allievi ufficiali della scuola di Fontanellato, 44 ad
esempio, evidenziano una mentalità fanatica che teorizza le più varie forme di lotta
nell’«azione estrema» contro gli ebrei, delazione inclusa:
Evidentemente l’azione estrema è la migliore perché è più radicale e scevra di compromessi.
Siamo proprio noi, fascisti repubblicani, a trarre l’argomento in questione per prevenire qualunque mena in merito. Se
noi siamo uomini di parte e come tali vogliamo agire, improntando cioè la nostra azione ad un fanatismo estremo anche
nel campo della razza, bisogna riconoscere che l’opera nostra non è fine a se stessa, non persegue scopi di tornaconto
politico immediati, bensì vuole garantire una migliore continuità della stirpe per l’avvenire, ricollegandosi a quel mito
di potenza e di grandezza che urge nel sangue dei più puri e vuol aver ragione delle forze che ne soffocano l’impeto di
determinarsi ancora una volta nel mondo. 45
La prosa dell’allievo ufficiale Giovanni Marconi appare sconnessa, ma i concetti da
lui sviluppati sono i medesimi proposti in tutte le salse dalla propaganda fascista. Il
dato forse più significativo che emerge dalle relazioni conclusive al corso sulla razza
42
Testimonianza di Giovanni Heimi, arrestato il 15 aprile con la madre per delazione di Plech («peraltro non ebreo»).
Cfr. Adolfo Scalpelli (a cura di), San Sabba. Istruttoria e processo per il Lager della Risiera. Vol. II. I documenti,
Mondadori, Milano 1988, p. 76.
43
Antonio Luksich Jamini, Il salvataggio degli ebrei a Fiume durante la persecuzione nazi-fascista, in “Il Movimento
di liberazione in Italia”, luglio 1955, n. 37, p. 45.
44
Cfr. Paolo Ferrari e Mimmo Franzinelli, A scuola di razzismo. Il corso allievi ufficiali della GNR di Fontanellato, in
“Italia contemporanea”, n. 211, giugno 1998, pp. 417-44.
45
Trattazione dell’allievo ufficiale Giovanni Marconi, della IV Compagnia (ACS, Segreteria particolare del duce,
Carteggio riservato, b. 47, f. GNR).
18
concerne la propensione dell’ufficiale-tipo educato nelle scuole militari della RSI ad
agire volontariamente contro gli ebrei, coadiuvando i nazisti nella “soluzione finale”.
Lo zelo profuso da diversi militi nella «caccia al giudeo» è dovuto anche al fatto che
tale attività risulta oltremodo redditizia. Avuta segnalazione del nascondiglio del
fuggiasco, un paio di uomini della GNR o di camicie nere irrompono nel rifugio,
arrestano i reietti e fanno sparire il «tesoro», ricompensando il delatore con qualche
oggetto prezioso e intascandosi il grosso del bottino. L’operazione si ripete spesso,
ma solo in rari casi le ruberie vengono smascherate. Vittima di una simile angheria è
nell’agosto 1944 il settantunenne Cesare Kohn, d’origine ungherese, nascosto con un
nome di copertura in un appartamentino di Genova. Individuato da uno spione, è
venduto a un paio di squadristi della XXXI Brigata nera “Generale Silvio Parodi”. Il
vecchio profugo, incarcerato a Genova, denunzia di essere stato derubato al momento
dell’irruzione dei militi; l’episodio figurerà tre mesi più tardi nel rapporto a Mussolini
sulle malversazioni della Brigata nera ligure, composta in larga parte da avventurieri
arricchitisi all’ombra dei tedeschi: «Genova - Elementi della Brigata nera procedono
all’arresto dell’ebreo Kohn che si era camuffato in Conti. Durante la perquisizione in
casa scompaiono molte azioni “Monte Amiata” ed oggetti preziosi, fra i quali un
pesante portasigarette d’oro». 46 La segnalazione rimane priva d’effetto: gli squadristi
continuano indisturbati le loro operazioni brillanti e lucrose, l’ebreo è avviato alla
morte. Cesare Kohn, trasferito a S. Vittore e quindi internato nel campo di Bolzano, il
24 ottobre 1944 viene caricato su di un convoglio ferroviario diretto ad Auschwitz;
quattro giorni più tardi, all’arrivo al lager, è «eliminato» in quanto inadatto al lavoro
coatto. 47
Degrado morale e sottobosco affaristico innescati nell’Italia centro-settentrionale
dalla persecuzione razzista sono compendiati da un’annotazione diaristica di Michela
Momigliano, con la trascrizione del dialogo da lei ascoltato casualmente a Milano il
21 dicembre 1943:
46
«Notizie inerenti all’attività della Brigata Nera di Genova», 20 novembre 1944, foglio 4 (ACS, SPD CR RSI, b. 31,
sf. 5).
47
Picciotto Fargion, Il libro della memoria, cit., p. 349.
19
Conversazione udita nel tram della linea numero 4 fra due donne del popolo.
In dialetto milanese: «Tel sé ho incuntrà la Virginia, la ma dit che la so tusa l’è turnada da lé in campagna, la ciapà un
po’ de dané a fa fora de la roba di ebrei con quei de la questura de la republica e ades ciau! La po fa la borsanera e la va
pu’ al Bottonuto».
Traduzione: «Lo sai che ho incontrato Virginia, mi ha detto che sua figlia è tornata da lei in campagna. Ha guadagnato
un po’ di soldi a vendere oggetti di ebrei insieme a quelli della questura repubblicana e adesso è a posto, può fare la
borsa nera e non ha più bisogno di andare al Bottonuto».
Al che l’altra donna ha risposto che secondo lei era meglio il Bottonuto.
Compito difficile estrarne la morale! 48
Al «Bottonuto» convengono prostitute e clienti d’estrazione popolare. La ricettazione
dei beni tolti agli ebrei diviene dunque un’alternativa vantaggiosa al marciapiede, con
maggiori prospettive di guadagno. Questi loschi traffici prosperano sulla connivenza
tra delatori e militi incaricatisi dell’arresto, con accordi preventivi sulla spartizione
dei beni rinvenuto nei rifugi violati.
A speculare sono, oltre a cittadini disonesti, agenti e ufficiali delle forze di polizia
della RSI, i quali approfittano della caccia alle persone per depredarne le ricchezze.
Casi del genere risultano anche alle questure, che tuttavia nulla fanno per impedirli o
reprimerli.
- Le amnesie del dopoguerra
Cessati i combattimenti, i pochi delatori che vengono fucilati dai partigiani la pagano
per tutti quelli – ovvero per la stragrande maggioranza – di chi la passa liscia,
valutato che nei rari casi in cui gli spioni sono stati querelati dalle loro vittime (le
quali il più delle volte ignorano l’identità di chi li ha traditi), verrano assolti per
insufficienza di prove oppure beneficieranno dell’amnistia Togliatti, emanata il 22
giugno 1946 e applicata dalla magistratura con criteri straordinariamente
«generosi». 49
Tra le numerose situazioni di impunità vi è quella di Varese, una delle provincie ove,
a ragione dell’afflusso di persone alla ricerca dell’espatrio, affaristi e traditori hanno
48
Dal diario inedito di Michela Fernanda Momigliano, in ACDEC.
Cfr. Mimmo Franzinelli, L’amnistia Togliatti. 22 giugno 1946 colpo di spugna sui crimini fascisti, Milano,
Mondadori, 2006.
49
20
prosperato. 50 Il prefetto segnala nel settembre 1946 al ministero di Grazia e Giustizia
le proteste popolari per l’applicazione dell’amnistia a 17 delatori, alcuni dei quali
avevano venduto dei fuggiaschi alla disperata ricerca del confine italo-elvetico. Un
coacervo di delazioni e di tradimenti a fine di lucro, come si comprende da una
schedina biografica, sfocia in un nulla di fatto sul piano giudiziario, nonostante le
tante vite colpevolmente stroncate:
Cattani Giacomo, nato a Castel di Cascio nel 1881, residente a Luino e Ferragutti Carlo, nato a Jerago nel 1914,
residente a Luino. Il Cattani ed il Ferragutti, d'accordo con il Capitano della confinaria Grimaldi Giulio ed il
Maresciallo confinario Rossi, dopo aver promesso ad ebrei e ricercati di aiutarli a sconfinare in Svizzera, e dopo essersi
fatti lautamente pagare, gettavano i disgraziati, che di loro si erano fidati, nelle braccia della milizia confinaria che li
arrestava. Parecchi, fatti arrestare da loro e deportati in Germania, pare non siano tornati. Esiste circostanziata denuncia
dell’ebreo Segre presso la Corte d'assise Straordinaria di Varese. 51
D’altronde l’esempio viene dall’alto, ancora prima dell’emanazione dell’amnistia, col
proscioglimento in istruttoria – da parte del Tribunale di Roma – dei responsabili
della deriva razzista: dal giornalista Telesio Interlandi, direttore della rivista «La
Difesa della Razza» e alfiere della campagna antisemita, 52 al senatore Nicola Pende,
direttore dell’Istituto biotipologico ortogenico, padre dell’eugenica razziale italiana e
firmatario del Manifesto degli scienziati razzisti (14 luglio 1938); 53 da Mario
Appelius, che aveva declinato l'odio antisemita in romanzi, articoli giornalistici e
commenti radiofonici 54 e torna libero il 25 giugno 1946, sino agli fanatici membri dei
sodalizi fondati dal regime per finalità persecutorie con la dizione di Centri di studio
sui problemi ebraici. Le formule delle assoluzioni sono allucinanti: a seconda dei
casi, «per non aver commesso il fatto» o «perché il fatto non costituisce reato».
L'amnistia Togliatti, con l'archiviazione dei fascicoli in luogo dell'accertamento dei
50
Cfr. Francesco Scomazzon, «Maledetti figli di Giuda, vi prenderemo!». La caccia nazifascista agli ebrei in una terra
di confine. Varese 1943-45, Varese, Ed. Arterigere, 2005.
51
Relazione del prefetto di Varese, 24 settembre 1946, ACS, Ministero dell’Interno, PS, Confino politico 1944-47 – 2°
versamento.
52
L'impegno antisemita di Interlandi è attestato dalla sua monografia Contra Judaeos (Roma-Milano, Tumminelli,
1938) e dal materiale conservato in ACS, Ministero della Cultura Popolare, Gabinetto, II versamento, b. 7, f. «Interlandi
Telesio». Su di lui cfr. Giampiero Mughini, A via della Mercede c'era un razzista, Milano, Mondadori, 1991 e Manfredi
Martelli, La propaganda razziale in Italia 1938-43, Rimini, Il Cerchio, 2005.
53
Su Pende cfr. Giorgio Israel e Pietro Nastasi, Scienza e razza nell'Italia fascista, Bologna, il Mulino, 1998, pp. 27489 e 369-93.
54
Tra la fluviale produzione di Mario Appelius, caratterizzata da reiterati sfoghi antiebraici, cfr. La guerra dell'Asse e il
mondo di domani, Roma, Quaderni della Vittoria, 1941; Lotta sacra e inesorabile, Roma, Sansaini, 1941 e Parole dure
e chiare, Verona, Mondadori, 1941.
21
reati, determina una grande amnesia, con esiti autoassolutori per le responsabilità
italiane nella Shoah. I proscioglimenti indiscriminati sono agevolati dalle carenze del
decreto: «Non venne assolutamente contemplata alcuna sanzione o aggravante per chi
avesse agito con motivazioni razziste. Denunciare un ebreo, e quindi condannarlo alla
deportazione e, presumibilmente, a morte, non veniva considerato in alcun modo un
delitto in sé e per sé. Anzi, [...] aver denunciato "solo" degli ebrei poteva diventare un
modo per godere dei benefici dell'amnistia». 55
I giudici romani scagionano sia gli ideatori della campagna antisemita sia gli zelanti
esecutori di ordini iniqui. Emblematica la sorte del prefetto di 1a classe Antonio Le
Pera, dal luglio 1938 titolare della Direzione generale per la demografia e la razza
presso il ministero dell'Interno, 56 l'organismo che censì tutti gli ebrei presenti nel
Regno e «per oltre cinque anni avrebbe disposto delle sorti di decine di migliaia di
ebrei italiani e stranieri»; 57 Le Pera aveva contribuito come pochi altri
all’elaborazione delle leggi razziste; arrestato il 27 luglio 1943 e imprigionato a
Regina Coeli, viene liberato il 13 settembre: torna al servizio di Mussolini, diviene
prefetto e, d'intesa col ministro dell'Interno Buffarini Guidi, riprende con la RSI la
persecuzione dei «giudei». Le sue gravissime responsabilità sono cancellate
nell'ottobre 1946 con l’applicazione dell'amnistia da parte della Sezione istruttoria
della Corte d'Appello di Roma.
Il colpo di spugna in favore dei persecutori degli ebrei non è ovviamente un’esclusiva
della magistratura della capitale. Il milite Alberto Santello, responsabile il 5 gennaio
1945 della cattura di Giorgio Sinigaglia, da lui imprigionato per una settimana nella
caserma di Mira (Venezia) e percosso ogni notte con zelo sadico, è condannato il 28
agosto 1945 dalla CAS di Venezia a 8 anni di reclusione «per avere, nella sua qualità
di appartenente alle brigate nere, partecipato a pattugliamenti in Mira e provveduto
all'arresto e alla consegna alle SS germaniche del cittadino ebraico Sinigaglia Giorgio
55
Amedeo Osti Guerrazzi, Caino a Roma, Roma, Cooper, 2005, p. 138.
Archivio di Stato di Roma, Fondo Corte d’Assise straordinaria - Sezione istruttoria, f. 51.
57
Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Milano, Mondadori, 1977, p. 338.
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collaborando col tedesco invasore»; il 23 agosto 1946 la Cassazione ordina la
liberazione di Santello, essendo «estinto il reato per amnistia». 58
L'ex capitano degli arditi Giovanni Cialli Mezzaroma, squadrista della prima ora,
noto nella capitale come il Mastino, nel ventennio è stato informatore della polizia
politica (numero in codice 665, nome di copertura «Gini») 59 e durante la RSI ha
coadiuvato le SS nella caccia ad antifascisti e ebrei. La sua specialità è
l’individuazione dei magazzini dei commercianti ricercati e/o arrestati; un rapporto
della Questura (30 maggio 1945) lo definisce «ferocissimo persecutore di ebrei».
Condannato per il collaborazionismo con un nucleo di spionaggio filotedesco a
Milano, viene amnistiata il 6 agosto 1946. Gli restano da scontare i 18 anni di
reclusione
(«sentenza
incredibilmente
mite»,
secondo
il
commento
del
«Messaggero», considerato che il Mastino aveva svolto lavori sporchi per il questore
Caruso) inflittigli il 9 giugno 1947 dalla CAS di Roma: condoni di pena, amnistia e
derubricazione del reato di saccheggio in furto plurimo (poiché Cialli Mezzaroma
aveva consegnato una parte dei beni da lui sequestrati alla Federazione fascista
repubblicana dell'urbe) gli restituiscono presto la libertà. 60
Altro denunziatore di ebrei che se la cava con poco è Giuseppe Bonesio, segretario
del fascio repubblicano di Andorno-Micca (Biella): dedito allo spionaggio metodico,
ha provocato la fucilazione e la deportazione di alcuni concittadini. Condannato a
trent’anni dalla CAS di Biella, lo spione ricorre in Cassazione – «in quanto le
delazioni ai ribelli vennero fatte unicamente col proposito di colpire comunisti in un
momento in cui le formazioni partigiane non erano peranco costituite» – e viene lui
pure amnistiato. 61
In definitiva, i responsabili della persecuzione antiebraica beneficiano nel dopoguerra
di una generalizzata clemenza, che non si può spiegare solamente con la benevolenza
della magistratura e nemmeno con l’amnistia decretata dal governo di unità
58
Cfr. Marco Borghi e Alessandro Reberschegg, Fascisti alla sbarra. L’attività della Corte d’Assise straordinaria di
Venezia 1945-47, Venezia, Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea, 1999, pp.
157-58.
59
Cfr. L'elenco dei confidenti della polizia politica fascista, a cura di Mimmo Franzinelli, Torino, Bollati Boringhieri,
s.d., p. 11.
60
Renato Perrone Capano, Delitti di fascisti pseudorepubblicani (Roma 1943-1944), Napoli, Berisio, 1972, pp. 99-112.
61
Cfr. Anello Poma e Gianni Perona, La Resistenza nel biellese, Biella, Libreria Giovannacci, 1978, p. 155.
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antifascista, ma che risponde evidentemente alla diffusa insensibilità della
cittadinanza per l’entità dei crimini perpetrati contro i perseguitati razziali. Un popolo
di smemorati, seguaci del proverbiale adagio «chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha
dato ...scordiamoci il passato».
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