Salviamo i bambini di Kabul - Suore Domenicane di Santa Caterina

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Salviamo i bambini di Kabul - Suore Domenicane di Santa Caterina
LE
OPERE E I GIORNI
Salviamo
i bambini di Kabul
L’appello di Giovanni Paolo II ha dato i suoi frutti. Una
piccola missione composta da suore di tre diverse
congregazioni. La preparazione. I rapporti con le
organizzazioni non governative. L’avvio del progetto
nel 2004, l’arrivo delle religiose. La realtà afgana. La
scelta di dedicarsi ai bimbi con problemi mentali.
L’inaugurazione del Centro nel 2006. Serene nel pericolo, rese forti dall’amore del Padre e dalla preghiera.
“S
alviamo i bambini di
Kabul”: tale grido del
Santo Padre Giovanni Paolo II, nel
corso del messaggio natalizio del
2001, ha richiamato l’attenzione dei
cristiani sul dramma di migliaia di
bambini rimasti orfani, soli e senza
casa in un Paese martoriato da lunghi anni di guerra. Con questo
messaggio Dio ha voluto toccare il
cuore di Don Giancarlo Pravettoni,
dell’Opera Don Guanella, che si è
lasciato interpellare dall’appello
del Papa. Certamente non poteva
farlo da solo; per questo ha invitato
le Congregazioni Religiose maschili e femminili a collaborare per
rispondere insieme a tale chiamata.
Da qui è nato il Progetto PBK (Pro
Bambini di Kabul).
Essendo l’Afghanistan un Paese
estremamente conservatore – in cui
trova largo spazio il fondamentalismo religioso – la comunità che
fosse stata inviata, sarebbe dovuta
entrare come una NGO (Organizzazione Non Governativa) già registrata. A tal fine è stata costituita
una Associazione ONLUS (Organiz-
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zazione Non Lucrativa di Utilità
Sociale). Tre Congregazioni hanno
risposto all’invito di Don Pravettoni,
offrendo la disponibilità di quattro
sorelle per il Progetto PBK: Sr.
Maria Giovanna, delle Suore Marcelline, Sr. Ela Homel, delle Francescane Missionarie di Maria e Sr.
Razia Barkat o.p. e Sr. M. Jamila
Emmanuel o.p. delle Suore Domenicane di S. Caterina da Siena.
Prima di partire per Kabul, le quattro sorelle si sono incontrate a
Roma Montemario, il 2 novembre
2001, in una piccola casa offerta
dalle Suore Domenicane di S. Caterina da Siena, per iniziare un tempo
di preparazione durante il quale
hanno seguito corsi di formazione
linguistica, culturale, sanitaria e
psico-pedagogica. L’Associazione
ha nominato Sr. M. Celina Stangherlin o.p. come referente di
mediazione con la nuova comunità,
e il P. Tony McSweeney come assistente sul piano carismatico e spirituale. Quest’ultimo ha aiutato le
sorelle a estrapolare i fondamenti
carismatici di ogni Congregazione
Donna afgana, in burqa, con il suo bambino
di provenienza per poter dar vita ad
un unico progetto comunitario. In
ciò risiede il senso di una comunità
intercongregazionale, il suo stile di
vita, di preghiera e di servizio: tutto
a favore della popolazione di
Kabul. Sr. M. Giovanna Porru è stata
unanimemente eletta superiora e
Sr. Ela Homel economa. Dopo otto
mesi, prima di partire alla volta di
Kabul, ogni sorella è tornata nella
sua Congregazione per un periodo
di tempo. Nel frattempo, Sr. Celina
e Sr. Ela sono state inviate per alcuni giorni a Kabul, insieme a due
rappresentanti della Caritas italiana: Silvio Tessari e Mario Ragazzi,
allo scopo di prendere un primo
contatto con la realtà locale, di cercare informazioni dirette sui bisogni
dei bambini e di valutare il modo
più efficace per concretizzare una
testimonianza di carità cristiana a
Kabul. Le due sorelle hanno incon-
trato i rappresentanti di diverse
organizzazioni internazionali e
quasi tutte le persone contattate
hanno indicato l’handicap mentale
infantile come il campo ancora
assolutamente privo di assistenza
persino nella capitale. La Caritas
italiana (nella persona di Mario
Ragazzi, rappresentante Caritas italiana in Afghanistan) ha preso in
affitto una casa, per accogliere le
suore all’inizio della loro missione.
L’ARRIVO DELLA COMUNITÀ
INTERCONGRAGAZIONALE
A KABUL
Dopo un’attesa estenuante, dopo
diverse peripezie e posticipazioni
dovute al permesso di soggiorno e
alle elezioni governative, il 9 novembre 2004 è giunto il tempo della partenza per Sr Jamila o.p. e Sr Razia
o.p., mentre le altre due sorelle
sarebbero arrivate successivamente.
Esse hanno iniziato il lungo e tanto
desiderato viaggio accompagnate
da abbondanti benedizioni, da
parte del Santo Padre Giovanni
Paolo II, del Card. Ruini, del P. Giancarlo Pravettoni (Presidente dell’Associazione) e del P. Tony.
Tenendo conto del fondamentalismo musulmano presente nel Paese
e il bene della missione, le due
sorelle domenicane hanno tolto
l’abito religioso per indossare lo
Shalwar Kameez, indumento locale.
Arrivate a Kabul sane e salve, hanno
trovato ad accoglierle Mario Ragazzi e, prima di arrivare nella nuova
casa, hanno incontrato il P. Giuseppe Moretti, Superiore della “missio
sui juris” in Afghanistan, che ha
manifestato il suo compiacimento e
assicurato il suo sostegno materiale
e spirituale. Le due domenicane
hanno notato con gioia la presenza,
nella chiesa, di un dipinto di Santa
Caterina da Siena, missionaria
audace e coraggiosa del suo
tempo. Accanto ad esso si trova un
quadro che rappresenta San Francesco nell’atto di predicare al sultano: le due immagini assumono oggi
un significato ancora più profondo
per la missione in questo luogo,
poiché qui sono rimasti solo
l’ordine domenicano e il francescano. La cappella dell’ambasciata italiana rimane l’unica chiesa cattolica
ufficiale in Afghanistan.
Al loro arrivo nella nuova casa, le
due sorelle sono state accolte calorosamente dallo staff della Caritas
italiana: il cuoco, l’autista, il guardiano e l’interprete.
Il 19 novembre sono giunte a Kabul
anche Sr Maria Giovanna e Sr Ela
Homel e la comunità si è ritrovata al
completo. Con l’aiuto e la guida di
Mario, abbiamo iniziato a muoverci
anche fuori casa. Abbiamo avuto la
possibilità di visitare i Fratelli Luterani, le Piccole Sorelle di Gesù e
l’ospedale pediatrico Indira Ghandi. Nel centro di fisioterapia abbiamo incontrato molti bambini con
ritardo mentale e per alcuni mesi,
prima di avviare il nostro Centro, ci
siamo recate presso l’ANAD (Associazione Nazionale Afgana per i
non udenti), per occuparci di un
gruppo di 11 bambini affetti da
disabilità mentale.
Siccome né l’Associazione PBK, né
la Caritas italiana erano ancora
registrate come ONG in Afghanistan e, secondo la legge afgana, gli
stranieri non possono acquisire
proprietà, non era possibile per noi
comperare una casa, ma abbiamo
iniziato comunque a cercarne una
nella speranza che la Caritas italiana venisse registrata a breve, visto
che la procedura era già stata
avviata.
Contemporaneamente
abbiamo frequentato una scuola
per imparare il Dari (la lingua locale), che oggi si sta rivelando molto
utile per comunicare con gli abitanti del luogo.
Non avendo ancora nessuna attività
specifica e rimanendo di conseguenza per gran parte del tempo in
casa – un locale piccolo e congestionato – ad un certo punto la vita
ha cominciato a diventare difficile.
Per la registrazione non giungeva
nessun segnale di speranza. La fase
iniziale è stata davvero scoraggiante e ci sembrava di trascorrere il
tempo qui inutilmente. Stanche di
essere senza occupazione, ci sentivamo come le Ossa Aride di cui
parla il profeta Ezechiele: “Potranno queste ossa rivivere” (Ez 37,3)?
La nostra sola forza risiedeva nella
certezza che il Signore ci avesse
Bambini disabili mentali nel Centro Diurno aperto dalle suore;
con loro ci sono Sr. M. Jamila Emmanuel o.p. e la Priora generale Sr. M. Viviana Ballarin o.p.
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chiamato qui per la sua missione.
Da una parte vedevamo il buio perché niente sembrava muoversi, dall’altra, sostenute dalla nostra fede
di Religiose, intravedevamo il
mistero. Mario continuava ad adoperarsi per ottenere la registrazione, ma dal governo giungevano
solo promesse e nulla di più. Intanto il suo contratto di impegno
annuale in Afghanistan è scaduto
ed egli è tornato definitivamente in
Italia. Luigi Biondi ha assunto
l’incarico nel 2005 e ha ripreso in
mano l’impegno per la registrazione e per la ricerca di una casa. Un
giorno finalmente è arrivata la
buona notizia della possibilità di
registrarsi e Luigi si è affrettato per
far pervenire tutti i documenti: grazie a Dio, la Caritas italiana è stata
registrata e un segno di grande
speranza si è manifestato per noi.
Abbiamo ricominciato la nostra
ricerca di una casa e, dopo innumerevoli preghiere rivolte ai santi e in
particolare a San Giuseppe, dopo
pianti, fatiche e tentazioni di scoraggiamento, il Signore ha avuto
compassione di noi e ci ha fatto trovare un edificio per il nostro Centro.
Abbastanza areato e luminoso, con
due giardini sufficientemente grandi perché i bambini potessero giocare, lo stabile non aveva tuttavia le
dimensioni per accogliere anche la
comunità; abbiamo continuato pertanto a cercare una abitazione per
noi suore, vicina all’edificio del Centro, sia per questioni di sicurezza,
sia per difenderci dal rigido inverno
che prevede fino a tre mesi di neve.
La Provvidenza divina ci ha sostenuto e, tramite lo stesso proprietario
del primo edificio, abbiamo trovato
una casa a distanza di soli cinque
minuti di cammino dal Centro.
Avendo bisogno di riparazioni,
abbiamo dovuto attendere prima
di entrarvi e, con nostra grande sorpresa, proprio il 29 aprile 2006,
festa di S. Caterina, abbiamo lasciato la struttura della Caritas per la
nostra nuova abitazione. Questa
data, già estremamente significativa per noi, ci ricorderà sempre
anche l’inizio della nostra missione.
Il 10 maggio, P. Moretti, superiore
ecclesiastico in Afghanistan, ci ha
visitato e ha benedetto la casa. Per
quella occasione abbiamo anche
invitato le Piccole Sorelle di Gesù e
La vita quotidiana, i negozi tra le rovine della guerra
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le suore di Madre Teresa a ringraziare insieme a noi il Signore nell’Eucarestia e in un momento di
Agape fraterna.
INAUGURAZIONE
DEL CENTRO
Il 22 maggio 2006 è stato, sotto
diversi aspetti, il giorno più luminoso per la nostra comunità intercongregazionale di Kabul: giorno dell’inaugurazione del Centro per i
bambini con ritardo mentale; primo
giorno in cui abbiamo avuto con
noi un rappresentante dell’Associazione PBK, nella persona del presidente, il Rev. P. Giovanni Guarino;
giorno dell’apertura della missione
tanto desiderata; un giorno infine
per ricordare e ringraziare Don
Giancarlo Pravettoni, ex-presidente
dell’Associazione, il cui sogno è
diventato realtà.
Col cuore colmo di gioia e gratitudine, abbiamo iniziato la giornata
con le Lodi e con la celebrazione
Eucaristica nella nostra cappella,
celebrata dal P. Giovanni, in cui
abbiamo pregato per tutti i membri
dell’Associazione che si sono adoperati fino in fondo per fare di questo sogno una realtà. Per la cerimonia di inaugurazione erano stati
invitati molti amici e conoscenti: il
Rev. P. Moretti, le Piccole Sorelle, i
Fratelli Luterani, le suore di M. Teresa, Isabella dall’ICRC, il sig. Omer
Sarwari, responsabile della zona e
tanti amici afgani. All’inizio di questa giornata è stata affissa la targa,
vicino al grande cancello esterno,
con il nome: CENTRE OF EDUCATION FOR THE CHILDREN WITH
DELAYED MENTAL DEVELOPMENT (Centro di Educazione per
bambini con sviluppo mentale ritardato), scritto in inglese e in dari,
con il logo della Caritas italiana e
quello dell’Associazione PBK.
La cerimonia, semplice ma intensa,
è iniziata alle 11 del mattino: Luigi
Biondi ha presentato il progetto
PBK e il sig. Omer Sarwari ha assicurato la sua cooperazione e manifestato il suo apprezzamento per il
nostro nuovo impegno a favore dei
bambini con ritardo mentale. P.
Giovanni Guarini ha espresso le sue
speranze per il futuro del Centro.
Successivamente le tre autorità
hanno tagliato, insieme, il nastro
augurale,
consentendo
così
l’accesso per la visita all’istituto, già
pronto con tutto il materiale didattico necessario per i bambini.
Il 24 maggio è stato il primo giorno
lavorativo del Centro. I bambini,
accompagnati al mattino dai loro
genitori, dopo la fatica del primo
contatto, hanno fatto presto amicizia fra di loro e hanno cominciato a
divertirsi con giocattoli e cuscini,
donati, per la maggior parte, dall’ISAF italiana (Forze alleate per la
Sicurezza Internazionale) e da
Alberto Cairo dell’ICRC (Comitato
Internazionale della Croce Rossa).
Al Centro i bambini hanno vissuto
anche i momenti del te e del pranzo: dalle 8.00 alle 14.00 sono stati
con noi, senza mai mostrare segni
di stanchezza. I loro genitori ci sono
sembrati contenti di questa nuova
opportunità per i loro figli, perché,
come ci hanno detto loro stessi, nei
dintorni non c’è nessun istituto
simile. La società e le famiglie stesse non accettano i bambini con
handicap mentale; è una realtà
molto triste, perché per le strade
essi sono derisi e addirittura ricevono sassate; nelle famiglie nessuno
trova tempo per loro, né capisce i
loro autentici bisogni. I genitori
stessi soffrono per questa realtà
penosa, ma sono senza speranza.
L’intero Afghanistan risente terribilmente delle conseguenze della
lunga guerra, che ricadono in particolare sulle nuove generazioni:
bambini e giovani. Davanti all’enor-
mità dei bisogni, il nostro Centro è
paragonabile a una goccia d’acqua
nell’oceano, ma per le persone
della zona questa piccola realtà è
come un faro di speranza e di vita
nuova. L’apertura dell’istituto ha
rappresentato l’inizio della nostra
missione di condivisione della
buona notizia: Dio ama le sue creature, senza alcuna discriminazione
di razza, colore, religione, né di
disabilità mentale o fisica. Questo è
il messaggio che predichiamo con
il nostro Centro, in una società lacerata da molte incongruenze e cattiverie. Dopo l’avvio del Centro, la
comunità ha riacquistato vigore e
ritrovato il senso della sua venuta a
Kabul; senso che nei momenti bui
di prova sembrava essersi oscurato.
La profezia di Ezechiele si è avverata: “Ossa inaridite, udite la parola
del Signore. Dice il Signore Dio a
queste ossa: Ecco, io faccio entrare
in voi lo spirito e rivivrete. Metterò
su di voi i nervi e farò crescere su di
voi la carne, su di voi stenderò la
pelle e infonderò in voi lo spirito e
rivivrete: saprete che io sono il
Signore” (Ez. 37, 4-6).
Dopo tre mesi di attività con i bambini, siamo felici di vedere dei piccoli progressi nel loro comportamento sociale. Considerato il ritardo mentale, essi non potranno
imparare tante cose a livello intellettivo, ma potranno gradualmente
diventare indipendenti nella loro
vita quotidiana e le loro famiglie
cominceranno a riconoscere la loro
dignità di creature di Dio: favorire il
giusto riconoscimento da parte
delle famiglie è un obiettivo specifico del progetto PBK.
Oggi desideriamo esprimere la
nostra sentita riconoscenza nei
confronti del compianto Don Giancarlo Pravettoni, ex presidente dell’Associazione PBK. Con il Santo
Padre Giovanni Paolo II egli ha
saputo ascoltare il grido dei bambini, poveri, orfani, soli e vittime della
guerra, e invitarci ad accogliere
l’appello: “Salviamo i bambini di
Kabul”. Ringraziamo anche Sr. M.
Celina Stangherlin o.p., che sin
dalle origini lavora dietro le quinte,
nel silenzio, per la riuscita del progetto. Siamo grate infine anche a
Sr. M. Giovanna Porru, membro
della nostra comunità intercongregazionale delle origini, che amava
molto il nostro istituto, ma con
nostro dispiacere ha lasciato Kabul
per l’eccessiva difficoltà nell’apprendimento della lingua.
RELAZIONI CON LA POPOLAZIONE
Gli Afgani sono generalmente
molto gentili ed ospitali, facilmente
entrano in relazione ed acquistano
familiarità. Amichevoli e cortesi,
sono ugualmente molto fieri e
orgogliosi. Sanno come difendere i
loro diritti e non accettano di essere sottomessi da nessuno: pacifici,
ma anche guerrieri, sono molto
legati alle loro tribù e tradizioni. La
loro concezione religiosa è estremamente conservatrice e la storia
dimostra che non hanno mai accettato il dominio di nessun altro
popolo.
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LA
RELAZIONE CON LE DONNE
Non abbiamo molta esperienza
diretta di incontro con le donne
della città. Non esistono parrocchie
in cui possano costituirsi dei gruppi
e le visite in famiglia sono guardate
con sospetto. Alcuni incontri sono
sorti spontaneamente nell’ospedale Indira Ghandi e nella clinica Bro.
Jacob. Normalmente sono i papà o
i fratelli che accompagnano i bambini al Centro; è raro che siano le
mamme ad portarli, ma quando
accade, esse si aprono facilmente
con noi e non hanno timore di raccontare ciò che vivono; dalla loro
voce abbiamo avuto conferma del
fatto che il matrimonio combinato
e la violenza domestica siano molto
frequenti nel Paese. La povertà, gli
stenti e la disoccupazione stanno
portando molte donne alla prostituzione, dopo la caduta del regime
talebano. Il tasso di mortalità di
madre e bambino è ancora elevato.
Durante la guerra, molte donne
sono rimaste vedove; provvedere
alla famiglia è frustrante e, per
sfuggire alle miserie e alla desolazione, tante ricorrono al suicidio.
L’Afghanistan è uno dei Paesi più
tradizionali e arretrati del mondo, in
cui i diritti delle donne sono sempre stati ignorati ed esse da sempre
sono soggette ad ogni possibile
restrizione e discriminazione sociale. Nella maggior parte dei casi la
donna è considerata come una
macchina per produrre bambini;
non a caso, ancora oggi quasi tutte
le famiglie hanno dagli otto ai dieci
figli se non di più, senza nessuna
considerazione per possibili problemi di salute della madre.
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ALCUNI
CAMBIAMENTI POSITIVI
IN FAVORE DELLE DONNE
A partire dal 2001, anno della caduta dei Talebani, si sono innescati
diversi cambiamenti nella società
afgana: ora nel Paese le donne possono votare, lavorare e andare a
scuola. A Kabul, un numero crescente toglie il burka e diverse
ragazze riescono a conseguire un
diploma in uno dei college gratuiti
americani. Nel 2004 per la prima
volta una donna, Habiba Sorobi, è
diventata governatrice, nella regione di Bamiyan. Si tratta di un grande progresso in una società in cui,
fino a quattro anni fa, alle donne
era tutto proibito: dalla scuola al
rossetto; costrette a coprirsi integralmente con il burka, non potevano uscire nemmeno in compagnia
del marito, di figli o di parenti.
Negli ambienti musulmani integralisti, ancora oggi, dopo la caduta
del regime talebano, i loro diritti
continuano ad essere assolutamente negati. Gli esperti stimano il
tasso di analfabetismo intorno
all’80% o anche di più.
MINACCE
QUOTIDIANE
Da diversi anni il terrorismo si è
affermato come la maggiore sfida
per la comunità internazionale, a
partire dall’attentato dell’11 settembre 2001, inizio di un’ascesa nel
segno della brutalità e della violenza. I terroristi sono sempre più forti,
in Aghanistan, come in Iraq: “se
moriamo, saremo martiri; se viviamo, saremo vittoriosi”, dicono i
Talebani nella provincia di Kandahar. Dopo aver preso il controllo
dell’area in due settimane, essi
hanno continuato la loro riconquista del Paese a partire dal sud
ovest, usando diverse tattiche terroristiche. Forze americane e della
Nato sono state inviate per combatterli. Gli stranieri non possono
circolare nella regione, né a piedi,
né con mezzi di trasporto. I talebani oggi proclamano che una volta
presa Kadahar avanzeranno verso
Kabul fino a controllare tutto il
Paese. Nel frattempo, hanno imposto e affisso sui muri una nuova
legge: non esistono tribunali per
dibattere le condanne; i processi si
faranno per strada, qualora venisse
catturato un infedele, e la condanna sarà eseguita immediatamente.
La punizione per le spie del governo e la collaborazione con gli stranieri è la decapitazione. Nella provincia di Helmand, controllata in
larga parte dai Talebani, nonostante la presenza di truppe britanniche
di 4000 uomini, una donna di 70
anni e suo figlio sono stati impiccati con l’accusa di spionaggio per
conto del governo.
Di questa situazione noi avvertiamo
quotidianamente i pericoli: non
possiamo uscire né sole, né a piedi;
il timore di un sequestro e
l’insicurezza ci provano duramente
a livello psicologico, mantenendoci
in un continuo stato di pressione.
Ci manca la libertà di movimento
che avevamo nei nostri Paesi, ma
abbiamo accettato questa condizione pur di continuare la missione
in questa terra.
La nostra forza risiede interamente
nella preghiera comunitaria e individuale e nell’adorazione eucaristica quotidiana. Ogni mattina la celebrazione delle Lodi ci dona nuova
carica per le attività quotidiane.
Nell’obbedienza alla missione riponiamo la nostra sicurezza: spesso
ripetiamo, in comunità, che Colui
che ci ha condotte fin qui si prenderà cura di noi; ogni giorno, infatti, sperimentiamo la guida e la protezione delle mani di Dio. La nostra
esperienza testimonia: la Sua Provvidenza si leva prima del sole.
Sr. M. Jamila Emmanuel o.p.