Capitoli 1

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Capitoli 1
ANALISI MATEMATICA
Ottavio Caligaris - Pietro Oliva
CAPITOLO 1
SPAZI EUCLIDEI n-DIMENSIONALI.
Per lo studio delle funzioni di più variabili reali occorre aver presenti
alcune proprietà degli spazi euclidei ad n dimensioni.
È inoltre indispensabile conoscere qualche proprietà delle applicazioni
lineari in Rn e delle forme bilineari e quadratiche.
1. Norma e Prodotto scalare
D EFINIZIONE 1.1. Indichiamo con Rn lo spazio vettoriale costituito
dalle n − ple ordinate di numeri reali; in altre parole
x ∈ Rn ⇔ x = (x1 , x2 , ...., xn ) con xk ∈ R.
In Rn si definiscono le operazioni di somma e di prodotto per uno
scalare mediante le
x + y = (x1 + y1 , x2 + y2 , ...., xn + yn ) , x, y ∈ Rn
e
αx = (αx1 , αx2 , ...., αxn ) , α ∈ R , x ∈ Rn .
L’insieme dei vettori
e1 = (1, 0, 0, ...., 0)
e2 = (0, 1, 0, ...., 0)
............
en = (0, 0, 0, ...., 1)
costituisce una base di Rn ; si avrà pertanto che, se x ∈ Rn
n
X
x=
xi ei .
i=1
D EFINIZIONE 1.2. Si definisce norma in Rn una funzione che si indica
con
k · k : Rn → R
che verifica le seguenti proprietà:
(1) kxk ≥ 0
∀x ∈ Rn
(2) kxk = 0 ⇔ x = 0
(3) kαxk = |α|kxk
∀α ∈ R , ∀x ∈ Rn
(4) kx + yk ≤ kxk + kyk
∀x, y ∈ Rn .
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1. SPAZI EUCLIDEI N-DIMENSIONALI.
D EFINIZIONE 1.3. Si definisce prodotto scalare in Rn una funzione
h·, ·i : Rn × Rn −→ R
tale che
(1)
(2)
(3)
(4)
hx, xi ≥ 0
∀x ∈ Rn
hx, yi = hy, xi
∀x, y ∈ Rn
hx, xi = 0 ⇔ x = 0
hαx + βy, zi = αhx, zi + βhy, zi
∀x, y, z ∈ Rn , ∀α, β ∈ R.
Come nel caso del valore assoluto per i numeri reali, si ha
|kxk − kyk| ≤ kx − yk
L EMMA 1.1. Siano x, y ∈ Rn , allora
• -Disuguaglianza di Schwarz-Holder- se 1/p + 1/q = 1 , p, q ≥ 1
,
X
X
X
X
xi yi ≤
|xi ||yi | ≤ (
|xi |p )1/p (
|yi |q )1/q
• -Disuguaglianza di MinkowskiX
1/p
X
X
|xi + yi |p
≤(
|xi |p )1/p + (
|yi |p )1/p
La disuguaglianza di Holder si riduce alla più nota disuguaglianza di
Schwarz per p = q = 2.
Per p = q = 2 la disuguaglianza di Schwarz può essere riscritta come
|hx, yi| ≤ kxkkyk
e può essere dedotta osservando che, ∀t ∈ R
0 ≤ kx + tyk2 = hx + ty, x + tyi = t2 kyk2 + 2thx, yi + kxk2
Ciò implica infatti
hx, yi2 − kxk2 kyk2 ≤ 0
La corrispondente disuguaglianza triangolare segue da
kx + yk2 = kxk2 + kyk2 + 2hx, yi ≤ kxk2 + kyk2 + 2kxkkyk
Osserviamo che
|hx, yi| = kxkkyk
se e solo se esiste t ∈ R tale che x + ty = 0, ovvero x e y sono paralleli.
Pertanto
kxk = sup{hx, yi : kyk ≤ 1} = max{|hx, yi| : kyk ≤ 1}.
1. NORMA E PRODOTTO SCALARE
Sono esempi di norme in Rn le seguenti
n
X
kxkp = (
|xi |p )1/p
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p≥1
k=1
kxk∞ = max{|xi | : i = 1, .., n }.
Mentre un esempio di prodotto scalare è dato da
n
X
hx, yi = (
xi yi
k=1
kxk22 .
Ovviamente si ha hx, xi =
In Rn useremo abitualmente la k·k2 che è detta norma euclidea in quanto
kxk2 coincide con la distanza euclidea del vettore x dall’origine.
Nel seguito faremo riferimento, a meno di espliciti avvisi contrari, a tale
norma e scriveremo k · k in luogo di k · k2 .
Osserviamo altresı̀ che il prodotto scalare sopra definito, pur non essendo l’unico possibile, sarà l’unico da noi considerato.
Si vede subito che
hP1 , P2 i = |P1 ||P2 | cos(θ2 − θ1 )
Infatti, facendo riferimento ad R2 e alla figura 4.5, si ha
hP1 , P2 i =
= x1 x2 + y1 y2 = |P1 ||P2 | cos(θ2 ) cos(θ1 ) + |P1 ||P2 | sin(θ2 ) sin(θ1 ) =
= |P1 ||P2 | cos(θ2 − θ1 )
L’osservazione appena fatta giustifica il fatto che
Diciamo che due vettori x, y ∈ Rn sono ortogonali se hx, yi = 0.
Diciamo che sono paralleli se esiste λ ∈ R tale che x = λy. Se x ed y
sono paralleli hx, yi = kxkkyk
Se k · ka e k · kb sono due norme in Rn si dice che sono equivalenti se
esistono due costanti reali H e K tali che
Hkxkb ≤ kxka ≤ Kkxkb .
Si può dimostrare che
In Rn tutte le norme sono equivalenti.
È anche interessante osservare che
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1. SPAZI EUCLIDEI N-DIMENSIONALI.
F IGURA 1.1.
La funzione p −→ kxkp è decrescente ∀x ∈ Rn e si ha
kxk∞ = lim kxkp = inf{kxkp : p ≥ 1 }
p
inoltre
kxk∞ ≤ kxkp ≤ kxk1 ≤ nkxk∞ ≤ nkxkq ≤ nkxk1
∀p, q ≥ 1
e pertanto le norme k · kp sono tutte equivalenti.
Le notazioni vettoriali introdotte consentono di esprimere facilmente
condizioni che individuano rette piani e sfere.
Possiamo individuare i punti di una retta che passa per il punto (x0 , y0 , z0 )
ed è parallela alla direzione (a, b, c) semplicemente sommando (x, y, z) con
il vettore t(a, b, c) al variare di t ∈ R.
Otterremo in tal caso che
(x, y, z) = (x0 , y0 , z0 ) + t(a, b, c)
2. APPLICAZIONI LINEARI
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che scritta componente per componente


x = x0 + ta
y = y0 + tb

z = z + tc
0
fornisce le equazioni parametriche della retta.
Se t ∈ R+ avremo una delle due semirette in cui (x0 , y0 , z0 ) divide la
retta intera, mentre se t ∈ [a, b] ci limitiamo ad un segmento della retta
stessa.
Un piano passante per l’origine può essere individuato dai vettori perpendicolari ad un vettore assegnato; l’equazione del piano si potrà quindi
scrivere come
h(x, y, z), (a, b, c)i = 0
mentre il piano parallelo che passa per (x0 , y0 , z0 ) è dato da
h(x − x0 , y − y0 , z − z0 ), (a, b, c)i = 0
come abbiamo già visto una sfera può essere individuata come l’insieme
dei punti che hanno distanza dal centro (x0 , y0 , z0 ) minore del raggio R;
Una sfera sarà pertanto individuata dalla condizione
k(x − x0 , y − y0 , z − z0 )k ≤ R
2. Applicazioni Lineari
D EFINIZIONE 1.4. Si chiama applicazione lineare una funzione
f : R n → Rm
tale che
f (αx + βy) = αf (x) + βf (y) ∀x, y ∈ Rn , ∀α, β ∈ R
L(Rn , Rm ) è l’insieme delle applicazioni lineari su Rn a valori in Rm .
L(Rn , R) si chiama anche spazio duale di Rn .
Gli elementi di L(Rn , Rm ) possono essere messi in corrispondenza biunivoca con le matrici aventi m righe ed n colonne, Mm×n .
Più precisamente L(Rn , Rm ) ed Mm×n sono isomorfi in quanto ogni
applicazione lineare f può essere scritta nella forma
f (x) = Ax con A ∈ Mm×n .
e d’altro canto f (x) = Ax è lineare.
In particolare
Le applicazioni lineari da Rn in R sono tutte e sole quelle della forma
f (x) = hx∗ , xi
con x∗ ∈ Rn .
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1. SPAZI EUCLIDEI N-DIMENSIONALI.
D EFINIZIONE 1.5. Se f ∈ L(Rn , Rm ) definiamo norma di f ,
kf k0 = sup{kf (x)k : kxk ≤ 1}.
Possiamo identificare f con la matrice A per la quale risulta f (x) = Ax,
per cui possiamo anche definire
kAk0 = sup{kAxk : kxk ≤ 1}.
D’altro canto si può definire
X
kAkp = (
|aij |p )1/p
p≥1
ij
e
kAk∞ = max{|aij | : i = 1, .., m , j = 1, .., n }
esattamente come negli spazi euclidei e si può osservare che
kAk0 ≤ kAk2 = kAk
la disuguaglianza essendo stretta ad esempio se A = I .
Possiamo anche provare che
Si ha che
kAk0 = sup{|hAx, yi| : kxk ≤ 1 , kyk ≤ 1 }
ed inoltre, se A ∈ Mn×n = Mn è simmetrica
kAk0 = sup{|hAx, xi| : kxk ≤ 1 = Λ
dove
Λ = max{λi : i = 1, 2, ..n} = λi0
3. Forme Bilineari e Quadratiche
D EFINIZIONE 1.6. Si chiama forma bilineare in Rn una funzione
f : R n × Rn → R
tale che f (·, y) e f (x, ·) siano funzioni lineari su Rn .
Le funzioni bilineari su Rn sono tutte e sole quelle definite da
f (x, y) = hx, Ayi = hBx, yi con A, B ∈ Mn
dove B è la matrice trasposta di A. (si ottiene da A scambiando le righe con
le colonne. Solitamente si denota B = A∗ ).
D EFINIZIONE 1.7. Se f è una forma bilineare in Rn ; la funzione
g : Rn −→ R
definita da
g(x) = f (x, x)
3. FORME BILINEARI E QUADRATICHE
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si chiama forma quadratica in Rn .
Si può sempre trovare una matrice A ∈ Mn , non unica, tale che
g(x) = hx, Axi
possiamo inoltre sempre scegliere A in modo che sia una matrice simmetrica; in tal caso A si dice matrice associata alla forma quadratica e risulta
univocamente determinata.
Se g è una forma quadratica; g si dice semidefinita positiva (negativa)
se
( ≤ 0 ) ∀x ∈ Rn
g(x) ≥ 0
g si dice definita positiva (negativa) se
g(x) > 0
( < 0 ) ∀x ∈ Rn {0}.
Si possono provare i seguenti:
T EOREMA 1.1. Sia g una forma quadratica e sia A la matrice ad essa
associata; allora
• g è definita positiva se e solo se, detto Ak il minore principale di
ordine k di A , si ha
det Ak > 0 ∀k ;
• g è definita negativa se solo se
(−1)k det Ak > 0 ∀k.
T EOREMA 1.2. Sia g una forma quadratica e sia A la matrice ad essa
associata; allora
• g è definita positiva (negativa) se e solo se, detti λk i suoi autovalori, si ha
λk > 0
( < 0 ) ∀k ;
• g è semidefinita positiva (negativa) se e solo se
λk ≥ 0
( ≤ 0 ) ∀k.
Il prodotto scalare in Rn
f (x, y) = hx, yi
è il più semplice esempio di funzione bilineare; la forma quadratica
g(x) = f (x, x) = hx, xi = kxk
si riduce alla norma euclidea in Rn La matrice di rappresentazione della
forma bilineare associata al prodotto scalare è la matrice identica.
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1. SPAZI EUCLIDEI N-DIMENSIONALI.
4. Proprietà Topologiche
Una successione in Rn è una applicazione
x : N −→ Rn
N 3 k 7→ xk ∈ Rn
Le proprietà di una successione in Rn possono essere studiate
componente per componente.
D EFINIZIONE 1.8. Chiamiamo sfera aperta di centro x0 e raggio r,
l’insieme
S(x0 , r) = {x ∈ Rn : kx − x0 k < r}
Se A ⊂ Rn
• x0 ∈ A si dice interno ad A se esiste r > 0 tale che S(x0 , r) ⊂ A.
• x0 è punto di frontiera per A ⊂ Rn se
∀δ > 0 S(x0 , δ) ∩ A 6= ∅ e S(x0 , δ) ∩ Ac 6= ∅
L’insieme dei punti di A che sono interni si indica con int A.
A ⊂ Rn si dice aperto se tutti i suoi punti sono interni, cioè se A =
int A.
A ⊂ Rn si dice chiuso se il suo complementare è aperto.
∂A è l’insieme dei punti di frontiera di A .
La chiusura di A è l’insieme
cl A = {x ∈ Rn : ∃xk ∈ A, xk → x}.
Si può verificare che
Se A ⊂ Rn
• cl A = ∂A ∪ A
• A è aperto se e solo se ∀x ∈ A, ∀xk , xk → x, si ha xk ∈ A
definitivamente;
• A è chiuso se e solo se ∀xk ∈ A, xk → x, si ha x ∈ A .
D EFINIZIONE 1.9. Un insieme A ⊂ Rn si dice
• limitato, se esiste r > 0 tale che A ⊂ S(0, r);
• convesso, se ∀x, y ∈ A, ∀λ ∈ [0, 1], λx + (1 − λ)y ∈ A;
• compatto, se ∀xk ∈ A, esiste un’estratta xkh → x ∈ A;
• connesso, se non esistono due insiemi aperti, A1 ,A2 tali che A1 ∩
A 6= ∅ , A2 ∩ A 6= ∅, A ∩ (A1 ∩ A2 ) = ∅ , A ⊂ A1 ∪ A2 .
4. PROPRIETÀ TOPOLOGICHE
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Si può dimostrare che
• A è compatto se e solo se A è chiuso e limitato.
• In R gli insiemi connessi sono tutti e soli gli intervalli.
• Gli insiemi connessi ed aperti di Rn possono essere caratterizzati dalla seguente condizione
∀x, y ∈ A esiste una funzione
φ : [a, b] −→ A
continua, lineare a tratti (il cui grafico è costituito da segmenti
paralleli agli assi) tale che φ(a) = x e φ(b) = y.
• Se A è convesso, allora A è connesso.
CAPITOLO 2
LE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI
Questo capitolo è dedicato allo studio delle proprietà di continuità e
differenziabilità delle funzioni
f : R n → Rm
con n, m ≥ 1,
D EFINIZIONE 2.1. È data una funzione
f : Rn −→ Rm
se sono assegnati
• un insieme A ⊂ Rn
• una corrispondenza
x ∈ A 7→ f (x) ∈ Rm
che ad ogni x ∈ A associa uno ed un solo vettore f (x) ∈ Rm .
Si dice che A è il dominio di f e si scrive D(f ) = A e, nel caso che
tale dominio non sia esplicitamente indicato, si suppone la corrispondenza
f definita per tutti gli x ∈ Rn per cui è possibile considerare f (x).
Si definisce rango di f
R(f ) = {y ∈ Rm : ∃x ∈ A, y = f (x)}
e grafico di f .
G(f ) = {(x, y) ∈ Rn × Rm : y = f (x)}
Restrizione e composizione di funzioni sono definite come nel caso reale e parimenti simile è la definizione di iniettività, surgettività, bigettività.
1. Limiti
Lo studio dei limiti di una funzione di più può essere condotto semplicemente ripercorrendo i risultati ottenuti nel caso di una funzione reale di
una variabile reale, avendo cura di puntualizzare solo qualche particolare
sui valori infiniti.
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2. LE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI
Quando n = 1, si estende R mediante due punti all’infinito che vengono
denominati +∞ e −∞, in quanto è ben chiaro che due punti di R possono sempre essere confrontati nella relazione d’ordine (R è totalmente
ordinato). Se n > 1 cade la possibilità di ordinare totalmente Rn e pertanto si preferisce estendere Rn , n > 1, con un solo punto all’infinito
che viene denominato semplicemente ∞. Ricordiamo che, anche se meno
utile, questa possibilità esiste anche in R
D EFINIZIONE 2.2. Se n = 1 e x0 ∈ R ∪ {±∞}, definiamo, per ρ > 0


se x = +∞
(ρ, +∞)
I(x0 , ρ) = (x0 − ρ, x0 + ρ) se x ∈ R

(−∞, −ρ)
se x = −∞
Definiamo inoltre I 0 (x0 , ρ) = I(x0 , ρ) \ {x0 }.
Se n > 1, x0 ∈ Rn ∪ {∞}, definiamo per ρ > 0
(
{x0 ∈ Rn : kx0 k < ρ} = S(x0 , ρ) x0 ∈ Rn
I(x0 , ρ) =
{x0 ∈ Rn : kx0 k > ρ}
x0 = ∞
anche qui poniamo I 0 (x0 , ρ) = I(x0 , ρ) \ {x0 }
D EFINIZIONE 2.3. Sia A ⊂ Rn , si dice che x0 ∈ Rn ∪ {∞} è un punto
di accumulazione per A se ∀r > 0 I 0 (x0 , r) ∩ A 6= ∅.
Indichiamo con D(A) l’insieme dei punti di accumulazione di A.
Sia A ⊂ Rn , x0 ∈ Rn ∪ {∞}; x0 ∈ D(A) se e solo se ∃xk ∈ A, xk 6= x0 ,
xk → x0 .
D EFINIZIONE 2.4. Sia f : A → Rn , A ⊂ Rn e sia x0 ∈ D(A); diciamo
che
lim f (x) = `
x→x0
se
∀ε > 0 ∃δ(ε) > 0 tale che se x ∈ I 0 (x0 , δ(ε)) ∩ A si ha f (x) ∈ I(`, ε)
2. CONTINUITÀ
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Si può facilmente provare che:
•
•
•
•
•
•
•
•
ogni funzione che ammette limite finito è localmente limitata;
il limite di una funzione, se esiste, è unico;
se m = 1 vale il teorema della permanenza del segno;
il limite di una somma è uguale alla somma dei limiti, ove
questi esistono finiti;
il limite del prodotto di una funzione a valori reali per una
funzione a valori vettoriali è uguale al prodotto dei limiti, ove
questi esistono finiti;
se m = 1 il limite del reciproco di una funzione è uguale al
reciproco del limite della funzione stessa, ammesso che non sia
nullo.
se m = 1 valgono i risultati sul confronto dei limiti del tipo
considerato per le funzioni reali di una variabile;
il limite di una funzione può essere caratterizzato per
successioni come per le funzioni di una variabile.
Ricordiamo anche l’enunciato che permette di calcolare il limite di una
funzione composta
Sia f : A −→ Rm , A ⊂ Rn , x0 ∈ D(A) e sia g : B −→ A, B ⊂ Rp ,
y0 ∈ D(B), g(B) ⊂ A; supponiamo che
lim f (x) =
x→x0
e
lim g(y) = x0
y→y0
Allora, se una delle due seguenti condizioni è verificata
• x0 6∈ dom f
• f (x0 ) = `
si ha
lim f (g(y)) = `.
y→y0
2. Continuità
D EFINIZIONE 2.5. Sia f : A −→ Rm , x0 ∈ A ⊂ Rn , diciamo che f è
una funzione continua in x0 se ∀ε > 0 ∃δ(ε) > 0 tale che
se x ∈ A, kx − x0 k < δ(ε) si ha kf (x) − f (x0 )k < ε.
Nel caso in cui x0 ∈ A ∩ D(A), la condizione sopra espressa è equivalente alla
lim f (x) = f (x0 )
x→x0
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2. LE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI
f si dice continua in A se è continua in ogni punto di A.
Come nel caso delle funzioni reali di una variabile reale si prova che:
• la somma di funzioni continue è continua;
• il prodotto di una funzione a valori vettoriali per una funzione
a valori scalari, entrambe continue, è continua;
• se m = 1, il reciproco di una funzione continua è continuo dove
ha senso definirlo;
• vale la caratterizzazione della continuità per successioni data,
nel caso reale;
• la composta di funzioni continue è una funzione continua.
• se limx→x0 f (x) = λ e limx→x0 g(x) = µ, con λ, µ ∈ Rm si ha
lim hf (x), g(x)i = hλ, µi
x→x0
• In particolare la funzione h·, ·i : Rm × Rm → R è continua
Valgono per le funzioni continue i soliti teoremi
T EOREMA 2.1. -degli zeri - Sia f : A −→ R, A ⊂ Rn , A aperto e
connesso e supponiamo che f sia una funzione continua; allora se esistono
x1 , x2 ∈ A tali che f (x1 )f (x2 ) < 0 esiste anche x0 ∈ A tale che f (x0 ) = 0.
D IMOSTRAZIONE . Poichè A è connesso è possibile congiungere x1 ed
x2 con una linea spezzata costituita di segmenti paralleli agli assi coordinati.
Siano xj gli estremi di ciascuno dei segmenti, nel caso in cui f (xj ) = 0
per qualche j, il teorema è dimostrato, in caso contrario esisteranno xk , xk+1
tali che f (xk )f (xk+1 ) < 0.
Allora la funzione [0, 1] 3 t 7→ ϕ(t) = f (xk + t(xk+1 − xk ) ∈ R è
continua e si può applicare a ϕ il teorema degli zeri.
2
T EOREMA 2.2. - Weierstraß- Sia f : A −→ R una funzione continua
e supponiamo che A sia un insieme compatto; allora esistono x1 , x2 ∈ A
tali che
f (x1 ) = min{f (x) : x ∈ A}
f (x2 ) = max{f (x) : x ∈ A}
D IMOSTRAZIONE . Sia, ad esempio λ = inf{f (x) : x ∈ A}; allora
esiste una successione xk ∈ A tale che f (xk ) → λ e, dal momento che
A è compatto, è possibile trovare una successione xkh → x1 ∈ A. Si ha
pertanto f (xkh ) → λ e, per la continuità di f , f (xkh ) → f (x1 ). Ne segue
che λ = f (x1 ) e la tesi.
2
T EOREMA 2.3. - Weiertsraß generalizzato - Sia f : Rn −→ R una
funzione continua e supponiamo che esista x̂ ∈ Rn tale che
lim f (x) > f (x̂)
x→∞
2. CONTINUITÀ
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F IGURA 2.1. Il teorema degli zeri
allora esiste x1 ∈ Rn tale che
f (x1 ) = min{f (x) : x ∈ Rn }
D IMOSTRAZIONE . Sia
λ = inf{f (x) : x ∈ Rn }
si ha f (x̂) ≥ λ.
Sia poi δ > 0 tale che se kxk > δ si abbia f (x) ≤ f (x̂) + ε, con ε > 0.
Sia ancora xk ∈ Rn tale che f (xk ) → λ.
Allora, per k abbastanza grande, si ha f (xk ) < f (x̂)+ε e quindi kxk k ≤
δ.
Si può pertanto estrarre da xk una successione xkh tale che xkh →
x1 e si può concludere utilizzando le stesse argomentazioni del teorema
precedente.
2
D EFINIZIONE 2.6. Sia f : A −→ Rm , A ⊂ Rn ; f si dice uniformemente continua in A se
∀ε > 0 ∃δ(ε) > 0 tale che se x, y ∈ A e kx − yk < δ(ε), si ha
kf (x) − f (y)k < ε.
T EOREMA 2.4. - Heine-Cantor - Sia f : A −→ Rm , A ⊂ Rn ; se
f è una funzione continua su A ed A è un insieme compatto allora f è
uniformemente continua su A.
C OROLLARIO 2.1. Sia f : Rn → Rm , lineare; allora
18
2. LE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI
• f è uniformemente continua su Rn ;
• f trasforma insiemi limitati di Rn in insiemi limitati di Rm .
3. Differenziabilità e Derivabilità
D EFINIZIONE 2.7. - Sia f : A −→ Rm , A ⊂ Rn , A aperto, x0 ∈ A;
diciamo che f è differenziabile in x0 se esiste una applicazione lineare
L : Rn −→ Rm
tale che
kf (x0 + h) − f (x0 ) − L(h)k
=0
h→0
khk
L’applicazione lineare L si chiama differenziale di f in x0 e si indica
solitamente con df (x0 ).
La matrice che la rappresenta si chiama matrice jacobiana di f in x0 e
verrà indicata con ∇f (x0 ). Si ha perciò
lim
L(h) = df (x0 )(h) = ∇f (x0 )h
Quando m = 1, ∇f (x0 ) si riduce ad un vettore di Rn e si indica col
nome di gradiente di f in x0 ; faremo uso del nome gradiente anche se
m > 1.
Osserviamo infine che ∇f : A −→ Rm×n = Mm×n
Sia f : A −→ Rm , posto
kf (x0 + h) − f (x0 ) − df (x0 )(h)k
khk
per la definizione di differenziabilità si ha
ω(h) =
lim ω(h) = 0
h→0
per cui
f (x0 + h) − f (x0 ) − df (x0 )(h) = khkω(h)
Se viceversa vale l’uguaglianza precedente si può verificare che f è
differenziabile.
Naturalmente
kf (x0 + h) − f (x0 )k ≤ [ω(h) + kdf (x0 )k] khk
3. DIFFERENZIABILITÀ E DERIVABILITÀ
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e si ha
lim f (x0 + h) = f (x0 )
h→0
per cui
Ogni funzione differenziabile è continua.
D EFINIZIONE 2.8. Sia f : A −→ R, A ⊂ Rn , A aperto, x0 ∈ A;
diciamo che f è parzialmente derivabile in x0 rispetto alla variabile xi se
f (x0 + tei ) − f (x0 )
lim
t→0
t
esiste finito.
In tal caso denotiamo il valore di tale limite con il simbolo
∂f
(x0 ) oppure con fxi (x0 )
∂xi
e lo chiamiamo derivata parziale di f rispetto ad xi calcolata in x0 .
(Osserviamo che tei = (0, 0, .., t, .., 0, 0) ).
Se y ∈ Rn , diciamo che f è derivabile in x0 rispetto al vettore y se
f (x0 + ty) − f (x0 )
lim+
t→0
t
esiste finito.
In tal caso denotiamo il valore di tale limite con f 0 (x0 , y).
E’ facile vedere che f è derivabile rispetto alla i-esima variabile se e
solo se f 0 (x0 , ei ) ed f 0 (x0 , −ei ) esistono e
f 0 (xo , ei ) = −f 0 (x0 , −ei )
In tal caso si ha
f 0 (x0 , ei ) = −f 0 (x0 , −ei ) = fxi (x0 ).
T EOREMA 2.5. Sia f : A −→ R, x0 ∈ A ⊂ Rn , A aperto e supponiamo che f sia differenziabile in x0 ; allora f è derivabile in x0 lungo ogni
direzione e si ha
f 0 (x0 , y) = df (x0 )(y) = h∇f (x0 ), yi
Se ne deduce in particolare, scegliendo y = ei ed y = −ei che f è
derivabile in x0 rispetto ad xi e che
(∇f (x0 ))i = fxi (x0 ).
D IMOSTRAZIONE . Dal momento che f è differenziabile,
|f (x0 + h) − f (x0 ) − h∇f (x0 ), hi|
= ω(h)
khk
con limh→0 ω(h) = 0.
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2. LE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI
Per h = ty con t > 0 si ha
|f (x0 + ty) − f (x0 ) − h∇f (x0 ), tyi| = tkykω(ty)
e
f (x0 + ty) − f (x0 )
= kykω(ty)
−
h∇f
(x
),
yi
0
t
Quindi
f 0 (x0 , y) = h∇f (x0 ), yi = df (x0 )(y).
Osserviamo che, se f è differenziabile in x0 , allora si ha
f 0 (x0 , y) = −f 0 (x0 , −y)
e pertanto
lim+
t→0
f (x0 + ty) − f (x0 )
f (x0 + ty) − f (x0 )
= lim−
t→0
t
t
2
T EOREMA 2.6. Sia f : A −→ Rm , x0 ∈ A ⊂ Rn , A aperto e sia
f = (f1 , f2 , ....., fm ) con fj : A −→ R, j = 1, 2, ..., m.
Allora f è differenziabile in x0 se e solo se fj è differenziabile in x0 per
ogni j = 1, 2, ..., m.
Inoltre si ha

∇f1 (x0 )
 ∇f2 (x0 ) 


·


∇f (x0 ) = 

·




·
∇fm (x0 )

T EOREMA 2.7. -Derivazione delle Funzioni Composte - Sia f : A −→
Rm , A ⊂ Rn , e sia g : B −→ A, B ⊂ Rp .
Possiamo allora considerare f (g(·)) : B → Rm .
Siano x0 ∈ A, y0 ∈ B tali che g(y0 ) = x0 , f e g siano differenziabili in
x0 ed y0 , rispettivamente.
Allora f (g(·)) è differenziabile in y0 e si ha
∇f (g(y0 )) = ∇f (x0 ) · ∇g(y0 ) = ∇f (g(y0 )) · ∇g(y0 ),
essendo il prodotto tra matrici inteso righe per colonne.
D IMOSTRAZIONE . Si ha
f (x0 + h) − f (x0 ) − ∇f (x0 )h = khkω1 (h) con lim ω1 (h) = 0
h→0
ed anche
g(y0 + k) − g(y0 ) − ∇g(y0 )k = kkkω2 (k) con lim ω2 (k) = 0
k→0
Pertanto posto
h(k) = g(y0 + k) − g(y0 )
3. DIFFERENZIABILITÀ E DERIVABILITÀ
21
si ha
lim h(k) = 0
k→0
e quindi
f (g(y0 + k)) − f (g(y0 )) − ∇f (x0 )∇g(y0 )k
=
kkk
∇f (x0 )[g(y0 + k) − g(y0 ) − ∇g(y0 )k] + kh(k)kω1 (h(k))
=
=
kkk
kh(k)kω1 (h(k))
= ∇f (x0 )ω2 (k) +
−→ 0
kkk
dal momento che
kh(k)k ≤ kkk(ω2 (k) + cost)
2
Esplicitiamo in caso semplice il teorema di derivazione delle funzioni
composte con lo scopo di illustrarne l’uso.
Sia
f : R2 → R
(x, y) 7→ f (x, y)
g : R2 7→ R2
,
(t, s) 7→ (x(t, s), y(t, s))
,
e consideriamo la funzione
φ(t, s) = f (x(t, s), y(t, s)) = f (g(t, s))
Utilizzando il teorema possiamo affermare che
(φt (t, s), φs (t, s)) = ∇φ(t, s) = ∇f (g(t, s)) · ∇g(t, s)
Ma
∇f (x, y) = (fx (x, y), fy (x, y)) ,
,
∇g(t, s) =
xt (t, s) xs (t, s)
yt (t, s) ys (t, s)
per cui
(φt (t, s), φs (t, s)) =
xt (t, s) xs (t, s)
(fx (x, y), fy (x, y))
=
yt (t, s) ys (t, s)
(fx (x, y)xt + fy (x, y)yt , fx (x, y)xs + fy (x, y)ys )
22
2. LE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI
Se f : A −→ Rm , A ⊂ Rn , A aperto, è differenziabile in A e se
definiamo
φ(t) = f (x + th)
si ha che φ è derivabile per i valori di t tali che x + th ∈ A (cioè almeno
in un intorno (−δ, δ) di 0) e si ha
φ0 (t) = ∇f (x + th)h
Nel caso in cui f assuma valori reali si ha
φ0 (t) = h∇f (x + th), hi
Il teorema di Lagrange applicato alla funzione ϕ appena introdotta permette di affermare che
Se f assume valori reali ed è differenziabile in A; allora, allora
f (x + h) − f (x) = h∇f (x + τ h), hi τ ∈ (0, 1)
di conseguenza
|f (x + h) − f (x)| ≤ khk sup k∇f (x + th)k
t∈(0,1)
Tenendo conto che se f assume valori in Rm allora f = (f1 , .., fm ), con
fj a valori reali, si può concludere che
Se f : A −→ Rm , A ⊂ Rn , è differenziabile in A; allora,
kf (x + h) − f (x)k ≤ khk sup k∇f (x + th)k0 .
t∈(0,1)
infatti poichè esiste ph ∈ Rm , di norma 1, tale che
(2.1) kf (x + h) − f (x)k = hph , f (x + h) − f (x)i =
= hph , ∇f (x + τ h)hi ≤
≤ khk sup k∇f (x + th)k0
t∈(0,1)
Quando la funzione f assume valori in Rm , m > 1, il precedente
risultato può non essere vero.
3. DIFFERENZIABILITÀ E DERIVABILITÀ
23
Sia infatti f : R −→ R2 definita da f (t) = (cos t, sin t); si ha
(0, 0) = f (2π) − f (0) 6= 2π(−sin t, cos t) = 2π∇f (t) ∀t ∈ (0, 2π)
Poichè la definizione non è di immediata verifica, è utile avere condizioni sufficienti che assicurino la differenziabilità di una funzione.
Se f : A −→ R, A ⊂ Rn , A aperto, ammette derivate parziali prime continue in A (indicheremo questo dicendo che f ∈ C 1 ); allora f è
differenziabile in A.
Infatti: se ad esempio consideriamo il caso n = 2, indichiamo con (x, y)
un punto di A e supponiamo che le derivate parziali prime fx ed fy siano
continue in A; avremo
f (x + h, y + k) − f (x, y) − fx (x, y)h − fy (x, y)k
=
(h2 + k 2 )
f (x + h, y + k) − f (x + h, y) + f (x + h, y)
√
=
−
h2 + k 2
−f (x, y) − fx (x, y)h − fy (x, y)k
√
=
h2 + k 2
per il teorema di Lagrange applicato alle funzioni f (x + h, ·) e f (·, y)
=
(fx (ξ, y) − fx (x, y))h + (fy (x + h, η) − fy (x, y))k
(h2 + k 2 )
con |x − ξ| < h e |y − η| < k.
Pertanto, osservando che
h h2 + k 2 ≤ 1
e
k h2 + k 2 ≤ 1
per la continuità di fx ed fy l’ultimo membro tende a 0 quando (h, k) →
(0, 0).
Possiamo affermare in maniera simile che
Se f : A −→ Rm , A ⊂ Rn , A aperto, ammette derivate parziali prime
continue in A (cioè se ognuna delle m componenti fj è di classe C 1 : fj ∈
C 1 ); allora f è differenziabile in A.
Se f : A −→ R, A ⊂ Rn , A aperto, e chiamiamo derivata parziale
seconda di f rispetto alle variabili xi ed xj , calcolata in x, e scriviamo
fxi xj (x) la derivata rispetto a xj della Funzione fxi , calcolata in x.
24
2. LE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI
Nel caso in cui n = 2 e le variabili in A si indichino con (x, y) possiamo
calcolare 4 derivate parziali seconde:
fxx , fxy , fyx , fyy
Si può dimostrare che
T EOREMA 2.8. -Schwartz - Sia f : A −→ R, A ⊂ Rn , A aperto, e
supponiamo che f sia parzialmente derivabile due volte in A e che almeno
una tra fxy e fyx sia continua; allora
fxy (x, y) = fyx (x, y)
Infatti se ad esempio supponiamo che fxy sia continua, posto
ω(h, k) =
f (x + h, y + k) − f (x + h, y) − f (x, y + k) + f (x, y)
hk
si ha
fxy (x) = lim lim ω(h, k)
k→0 h→0
e
fyx (x) = lim lim ω(h, k)
h→0 k→0
Pertanto se proviamo, che
lim
ω(h, k)
(h,k)→(0,0)
esiste finito, avremo che
lim
h,k)→(0,0)
ω(h, k) = lim lim ω(h, k) = lim lim ω(h, k)
k→0 h→0
h→0 k→0
e l’uguaglianza delle due derivate seconde
Applicando il teorema di Lagrange alla funzione
h 7→ f (x + h, y + k) − f (x + h, y)
si ha
fx (x + ξ, y + k) − fx (x + ξ, y)
, −h < ξ < h
k
ed applicando ancora Lagrange alla funzione
ω(h, k) =
k −→ fx (x + ξ, y + k)
si ottiene
ω(h, k) = fxy (x + ξ, y + η), −k < η < k
Ora
lim
(h,k)→(0,0)
(ξ, η) = (0, 0)
3. DIFFERENZIABILITÀ E DERIVABILITÀ
25
e pertanto, per la continuità di fxy
lim
(h,k)→(0,0)
ω(h, k) = fxy (x, y).
In generale possiamo enunciare il seguente teorema
T EOREMA 2.9. Sia f : A −→ Rm , A ⊂ Rn , A aperto, e supponiamo
che f sia parzialmente derivabile due volte in A; allora
fxi xj (x) = fxj xi (x)
per tutti gli x ∈ A ove almeno una tra fxi xj e fxj xi è continua.
Le derivate parziali di ordine superiore si definiscono in maniera del
tutto simile.
Le derivate parziali seconde caratterizzano il gradiente della funzione
∇f infatti, se f : A −→ R, A ⊂ Rn , A aperto, è differenziabile in A,
possiamo considerare la funzione
∇f : A −→ Rn
Se ∇f è a sua volta differenziabile (ricordiamo che basta che le derivate
parziali prime di ∇f siano continue), possiamo considerare ∇(∇f )(x) e si
vede che

 

∇fx1 (x)
fx1 x1 (x) · · · fx1 xn (x)
···
··· 
∇(∇f )(x) =  · · ·  =  · · ·
∇fxn (x)
fxn x1 (x) · · · fxn xn (x)
La matrice ∇(∇f )(x) si indica solitamente con Hf (x) e si chiama
matrice Hessiana di f in x.
La funzione quadratica g(h) = hh, Hf (x)hi viene di solito indicata con
il nome di forma quadratica hessiana di f in x.
Qualora f ammetta derivate parziali seconde continue in A (f ∈ C 2 (A)),
per il teorema di Schwarz, la matrice Hf (x) è simmetrica.
Per fissare le idee ricordiamo che nel caso di una funzione di due variabili a valori reali
Hf (x, y) = ∇(∇f )(x, y) =
∇fx (x, y)
fxx (x, y) fxy (x, y)
=
∇fy (x, y)
fyx (x, y) fyy (x, y)
26
2. LE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI
4. Formula di Taylor
Consideriamo una funzione f : A −→ R, A ⊂ Rn , A aperto, x0 ∈ A, e
sia h ∈ S(0, r) dove r > 0 è scelto in modo che x0 + S(0, r) ⊂ A.
Definiamo φ : (−1, 1) −→ R mediante la
ϕ(t) = f (x0 + th)
se supponiamo f ∈ C k (cioè se è derivabile k volte in A), avremo che ϕ è
derivabile k volte in (−1, 1) e si ha
ϕ0 (t) = df (x0 + th)h = hh, ∇f (x0 + th)i
n
d X
00
ϕ (t) =
hi fxi (x0 + th) =
dt i=1
=
n
X
hi h∇fxi (x0 + th), hi = hh, Hf (x0 + th)hi
i=1
Possiamo pertanto ottenere una formula di Taylor anche per funzioni di
più variabili, sviluppando la funzione ϕ. Ci limitiamo al secondo ordine
in quanto è l’unico di cui abbiamo necessità ed in ogni caso è l’ultimo che
possa essere enunciato senza eccessive difficoltà formali.
T EOREMA 2.10. Se f : A −→ R, A ⊂ Rn , A aperto, x ∈ A e se
f ∈ C 2 (A), (e quindi è differenziabile due volte).
Allora per h abbastanza piccolo si ha
•
f (x + h) = f (x) + hh, ∇f (x)i + hh, Hf (x + ξh)hi/2, ξ ∈ (0, 1)
(formula di Taylor con il resto di Lagrange)
•
f (x + h) = f (x) + hh, ∇f (x)i + hh, Hf (x)hi/2 + khk2 ω(h)
con limh→0 ω(h) = 0 e ω(0) = 0
(formula di Taylor con resto di Peano).
D IMOSTRAZIONE .
Applicando a ϕ la formula di McLaurin otteniamo
φ(1) = φ(0) + φ0 (0) + φ00 (ξ)/2 0 < ξ < 1
da cui tenuto conto che
φ0 (t) = hh, ∇f (x + th)i
φ00 (t) = hh, Hf (x + th)hi
si ricava la prima affermazione
5. MASSIMI E MINIMI RELATIVI
27
Inoltre
f (x + h) = f (x) + h∇f (x), hi + hh, Hf (x)hi/2 + khk2 ω(h)
non appena si definisca
ω(h) =
hh, (Hf (x + ξh h) − Hf (x))hi
2khk2
dove limh→0 ω(h) = 0 in quanto Hf è continuo e
|ω(h)| ≤ kHf (x + ξh h) − Hf (x)k/2, kξh hk ≤ khk.
2
5. Massimi e Minimi Relativi
D EFINIZIONE 2.9. Diciamo che x è un punto di minimo (massimo)
relativo per f se esiste una sfera S(x, r), r > 0, tale che
f (y) ≥ f (x)
( f (y) ≤ f (x) ) ∀y ∈ S(x, r) ∩ A
T EOREMA 2.11. Se x è un punto di minimo (massimo) relativo per f
interno al suo dominio, allora
• se f è differenziabile in x si ha ∇f (x) = 0;
• se f ammette derivate seconde continue in x, Hf (x) è semidefinita
positiva (negativa).
D IMOSTRAZIONE . Basta osservare che ϕ(t) = f (x + th) ammette un
punto di minimo relativo in 0 e che ∀h ∈ S(0, r)
0 = φ0 (0) = h∇f (x), hi
ed anche
0 ≤ φ”(0) = hh, Hf (x)hi
La prima condizione assicura che ∇f (x) = 0, mentre la seconda è, per
definizione, la semidefinitezza di Hf (x).
2
Se ∇f (x) = 0 e Hf (x) è una forma quadratica non definita, allora x
non è né punto di massimo relativo, né punto di minimo relativo per f ; un
punto siffatto viene solitamente indicato con il nome di ’punto sella’.
T EOREMA 2.12. Se f ∈ C 2 (A),
• ∇f (x) = 0
• Hf (x) è definita positiva (negativa)
allora x è punto di minimo (massimo) relativo per f .
D IMOSTRAZIONE . Si ha
f (x + h) − f (x) = hh, Hf (x)hi/2 + khk2 ω(h)
con limh→0 ω(h) = 0 = ω(0).
28
2. LE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI
Se ne deduce che
1
h
f (x + h) − f (x)
h
=
, Hf (x)
+ ω(h) ≥
khk2
2 khk
khk
M
1
≥ min
hu, Hf (x)ui : kuk = 1 + ω(h) =
+ ω(h)
2
2
dove
M = min{hu, Hf (x)ui : kuk = 1} = hu0 , Hf (x)u0 i > 0
in quanto ku0 k = 1
(Il minimo esiste per il teorema di Weierstraßed M > 0 perché Hf(x) è
definita positiva e u0 6= 0.)
Pertanto, per il teorema della permanenza del segno, si può scegliere
ρ > 0 in modo che, se h ∈ S(0, ρ), si abbia
f (x + h) − f (x)
>0
khk2
e la tesi.
2
6. Convessità
D EFINIZIONE 2.10. Sia f : A −→ R, A ⊂ Rn convesso; diciamo che
f è convessa se
f (λx + (1 − λ)y) ≤ λf (x) + (1 − λ)f (y) ∀x, y ∈ A, ∀λ ∈ (0, 1)
Inoltre f si dice strettamente convessa se vale la disuguaglianza stretta.
Si prova facilmente che Se f è convessa allora
n
L−
α = {(x ∈ R : f (x) ≤ α}
è un insieme convesso.
Con qualche difficoltà in più si prova che una funzione f convessa su
un aperto A è continua.
Inoltre applicando i risultati noti per le funzioni convesse di una variabile alla funzione
ϕ(t) = f (x + ty)
possiamo dimostrare che
7. FUNZIONI IMPLICITE
29
• Se f è convessa su un aperto A, f 0 (x, y) esiste ∀x ∈ A, ∀y ∈ Rn .
• se f ∈ C 2 (A), allora sono fatti equivalenti:
– f è convessa
f (y) ≥ f (x) + h∇f (x), y − xi
∀x, y ∈ A
– Hf (x) è semidefinita positiva.
• le seguenti condizioni sono ciascuna sufficiente per la
successiva:
– Hf (x) è definita positiva ∀x ∈ A;
– f (y) > f (x) + h∇f (x), y − xi ∀x, y ∈ A, y 6= x ;
– f è strettamente convessa.
7. Funzioni Implicite
Se
f : A −→ R
A ⊂ R2
è una funzione reale di due variabili reali possiamo considerare l’insieme
definito in R2 da
G = {(x, y) ∈ A : f (x, y) = 0 }
È naturale, per studiare tale insieme, cercare una funzione φ il cui grafico coincida localmente con G.
Ciò è equivalente a risolvere rispetto ad y l’equazione f (x, y) = 0, ed
è il procedimento che si segue quando, per studiare il luogo dei punti del
piano in cui
x2 + y 2 = 1
si ricava, ad esempio,
√
√
y = 1 − x2
oppure
y = − 1 − x2
Nel caso in cui non sia facile esplicitare una delle due variabili in funzione della seconda, siamo interessati a sapere se è possibile definire una
delle due variabili in funzione dell’altra e a studiare qualche proprietà della funzione che evidentemente non è possibile scrivere esplicitamente in
termini di funzioni elementari.
T EOREMA 2.13. - Dini - Sia A = (x0 − a, x0 + a) × (y0 − b, y0 + b),
f : A −→ R e supponiamo che le seguenti condizioni siano verificate:
f ∈ C 1 (A)
f (x0 , y0 ) = 0
fy (x0 , y0 ) 6= 0
Allora esiste δ > 0 ed esiste φ : (x0 − δ, x0 + δ) −→ (y0 − b, y0 + b) tale
che
φ(x0 ) = y0
30
2. LE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI
f (x, y) = 0 ⇔ y = φ(x), ∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ)
φ è derivabile in (x0 − δ, x0 + δ) e
fx (x, φ(x))
.
φ0 (x) = −
fy (x, φ(x))
F IGURA 2.2. Il teorema delle funzioni implicite
D IMOSTRAZIONE . Sia fy (x0 , y0 ) > 0 e siano α, β scelti in modo che
0 < α < a, 0 < β < b e fy (x, y) > M > 0 se |x − x0 | ≤ α e |y − y0 | ≤ β
(ciò è possibile per la continuità di fy e per il teorema della permanenza del
segno).
Ora, evidentemente, f (x0 , ·) è una funzione strettamente crescente in
[y0 − β, y0 + β] e pertanto
f (x0 , y0 − β) < f (x0 , y0 ) = 0 < f (x0 , y0 + β)
Ancora per il teorema della permanenza del segno, applicato ad f (·, y0 −
β) e ad f (·, y0 + β), si può scegliere 0 < δ ≤ α, in modo che se
|x − x0 | < δ
si abbia
f (x, y0 − β) < 0, f (x, y0 + β) > 0
Pertanto se |x − x0 | < δ, |y − y0 | < β, si ha
fy (x, y) > 0, f (x, y0 − β) < 0, f (x, y0 + β) > 0
e per ogni x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) si può affermare che esiste uno ed un solo
valore y ∈ (y0 − β, y0 + β) tale che f (x, y) = 0 (teorema degli zeri e stretta
crescenza di f (x, ·)).
Possiamo pertanto definire φ : (x0 − δ, x0 + δ) −→ (y0 − β, y0 + β)
mediante la φ(x) = y.
7. FUNZIONI IMPLICITE
31
F IGURA 2.3. Il teorema delle funzioni implicite
Vediamo ora di provare che φ è continua e derivabile in (x0 − δ, x0 + δ).
Siano x, x + h ∈ (x0 − δ, x0 + δ), allora
f (x + h, φ(x + h)) − f (x, φ(x)) = 0
e pertanto, se definiamo k(h) = φ(x + h) − φ(x), avremo
f (x + h, φ(x) + k(h)) − f (x, φ(x)) = 0
Per il teorema di Lagrange si ha
fx (x + τ h, φ(x) + τ k(h))h + fy (x + τ h, φ(x) + τ k(h))k(h) = 0
con 0 < τ < 1, x + τ h ∈ (x0 − δ, x0 + δ) e φ(x) + τ k(h) ∈ (y0 − β, y0 + β),
per cui
fx (x + τ h, φ(x) + τ k(h))
φ(x + h) − φ(x) = −h
fy (x + τ h, φ(x) + τ k(h))
e dal momento che fx ed fy sono continue e
fy ≥ M > 0
se
(x, y) ∈ [x0 − α, x0 + α] × [y0 − β, y0 + β]
si ha
lim φ(x + h) − φ(x) = lim k(h) = 0
h→0
h→0
Inoltre
φ(x + h) − φ(x)
fx (x + τ h, φ(x) + τ k(h))
=−
h
fy (x + τ h, φ(x) + τ k(h))
32
2. LE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI
e tenuto conto che (h, k(h)) → 0 per h → 0 si può concludere che φ è
derivabile in x e
fx (x, φ(x))
φ0 (x) = −
.
fy (x, φ(x))
2
La dimostrazione fatta è evidentemente valida solo nel caso in cui A ⊂
R2 ed f assuma valori reali, ma l’enunciato, con le dovute modifiche, sussiste anche se A ⊂ Rn × Rm ed f assume valori in Rm .
T EOREMA 2.14. - funzioni implicite - Sia f : A × B −→ Rm ,
A = {x ∈ Rn : kx − x0 k < a}
,
B = {y ∈ Rm : ky − y0 k < b}
e supponiamo che:
• f ∈ C 1 (A × B)
• f (x0 , y0 ) = 0
• ∇y f (x0 , y0 ) sia invertibile.
Allora esistono ρ, δ > 0 ed esiste una funzione
φ : D −→ E
ove
D = {x ∈ Rn : kx − x0 k < ρ}
edE = {y ∈ Rm : ky − y0 k < δ}
tali che
• φ(x0 ) = y0
• f (x, y) = 0 ⇔ y = φ(x), ∀x ∈ D
• φ è differenziabile in D e si ha
∇φ(x) = −[∇y f (x, φ(x))]−1 ∇x f (x, φ(x)) ∀x ∈ D.
8. Massimi e Minimi Vincolati
Moltiplicatori di Lagrange
D EFINIZIONE 2.11. Sia f : A −→ R e sia g : A −→ Rm , A ⊂ Rn ;
diciamo che x0 ∈ A è un punto di massimo (o di minimo) relativo per f
vincolato a g se g(x0 ) = 0 e se esiste δ > 0 tale che
f (x) ≤ f (x0 ) ( f (x) ≥ f (x0 ) ) ∀x ∈ {x ∈ A : g(x) = 0} ∩ S(x0 , δ).
A tale proposito possiamo provare il seguente risultato.
T EOREMA 2.15. - dei moltiplicatori di Lagrange - Siano f : A −→ R
e g : A −→ Rm , A ⊂ Rn , m < n, A aperto, f, g ∈ C 1 (A); supponiamo
inoltre che f abbia in x0 ∈ A un punto di minimo (o di massimo) relativo
vincolato a g.
Allora esistono λ ∈ Rm e µ ∈ R non contemporaneamente nulli e tali
che
m
X
µ∇f (x0 ) +
λi ∇gi (x0 ) = 0.
i=1
8. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI MOLTIPLICATORI DI LAGRANGE
33
Inoltre, se ∇g(x0 ) ha caratteristica massima (= m), allora µ 6= 0 e si può
supporre µ = 1.
T EOREMA 2.16. Siano f : A −→ R e g : A −→ Rm , A ⊂ Rn aperto,
m < n, f, g ∈ C 1 (A), x0 ∈ A; supponiamo che esista δ > 0 tale che
f (x0 ) ≤ f (x), ∀x ∈ {x ∈ A : gi (x) ≤ 0, i = 1, .., m } ∩ S(x0 , δ)
Allora, esistono µ ∈ R, λ ∈ Rm tali che
m
X
µ∇f (x0 ) +
λi ∇gi (x0 ) = 0
i=1
essendo λi = 0 se gi (x0 ) < 0.
Se inoltre ∇g(x0 ) ha caratteristica massima, si può supporre µ = 1 e
si ha
λi ≥ 0 se gi (x0 ) = 0.
T EOREMA 2.17. - Kuhn-Tucker - Sia A ⊂ Rn aperto, convesso e
siano f, gi : A −→ R, i = 1, 2, ..., m funzioni convesse; supponiamo che
f, gi ∈ C 1 (A) e che x0 ∈ A sia scelto in modo che
gi (x0 ) = 0 per i = 1, 2, ..., k < m
gi (x0 ) < 0 per i = k + 1, ..., m
Supponiamo inoltre che x0 sia estremale per la funzione
F (x) = f (x) +
k
X
λi gi (x)
i=1
essendo λi ≥ 0 per i = 1, 2, ..., k ; allora
f (x0 ) ≤ f (x) ∀x ∈ A tali che gi (x) ≤ 0.
T EOREMA 2.18. Sia f : A −→ R, A ⊂ Rn convesso, chiuso e limitato,
f convessa e continua; allora il massimo di f in A è assunto anche in punti
che sono sulla frontiera di A.
D IMOSTRAZIONE . Sia
f (x) = max{f (y) : y ∈ A}
allora, se x è interno ad A, detti y, z ∈ A gli estremi del segmento ottenuto
intersecando A con una qualunque retta passante per x, si ha
x = λy + (1 − λ)z
e
f (x) ≤ λf (y) + (1 − λ)f (z) ≤ max{f (y), f (z)}
2
Osservazione.Nel caso in cui A sia poliedrale, cioè se
A = {x ∈ Rn : gi (x) ≤ 0, gi lineare, i = 1, .., m }
il massimo si può cercare solo tra i vertici della frontiera.
CAPITOLO 3
INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’
VARIABILI.
* La teoria dell’integrazione per le funzioni reali di più variabili
deve tenere conto che si può integrare su sottoinsiemi di dimensione
non necessariamente uguale al numero delle variabili.
Ad esempio
se f dipende da 3 variabili reali avremo bisogno di definire cosa si intende
per integrale di f su un sottoinsieme di R3 , che possiamo intuitivamente
definire come un solido (dimensione=3), una superficie (dimensione=2) o
una linea (dimensione=1).
Ricordiamo esplicitamente che il concetto di dimensione non è semplice nè univocamente individuato: possiamo parlare di dimensione vettoriale,
di dimensione topologica, di dimensione frattale; qui abbiamo fatto semplicemente ricorso ad un concetto intuitivo che si potrebbe precisare, ed in
parte si preciserà, parlando di dimensione topologica.
Per semplificare le notazioni e per facilitare la comprensione descriveremo il caso delle funzioni di 3 variabili, essendo facile estendere i concetti
al caso delle funzioni con più variabili, a prezzo di una certa complicazione
delle notazioni.
1. Integrali Multipli
Cominciamo con il dare la definizione di integrale di una funzione limitata su una classe particolare di sottoinsiemi di R3 gli intervalli; successivamente estenderemo la definizione ad una più generale classe di insiemi.
1.1. Definizione di Integrale.
D EFINIZIONE 3.1. Siano I1 , I2 , I3 intervalli chiusi e limitati, Ii = [ai , bi ],
della retta reale.
Diciamo che
R = I1 × I2 × I3
è un intervallo chiuso e limitato in R3 .
Nel seguito intenderemo riferirci sempre ad un intervallo chiuso e limitato, anche se queste due proprietà non saranno esplicitamente menzionate.
L’interno di R risulta essere
int R = (a1 , b1 ) × (a2 , b2 ) × (a3 , b3 )
35
36
3. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’ VARIABILI.
D EFINIZIONE 3.2. Sia R un intervallo in R3 ; chiamiamo partizione
di R il prodotto cartesiano P = P1 × P2 × P3 dove Pi è una partizione
dell’intervallo Ii
Denoteremo con P(R) l’insieme di tutte le partizioni dell’intervallo R.
Se P ∈ P(R), i punti di P dividono R in un numero N di intervalli
chiusi la cui unione è R. Tali intervalli saranno indicati con
{Rk : k = 1, 2, ..., N }
D EFINIZIONE 3.3. Sia R un intervallo in R3 e siano P, Q ∈ P(R);
diciamo che P è una partizione più fine di Q e scriviamo P < Q se P ⊃ Q.
In altre parole P è più fine di Q se e solo se ognuno degli intervalli in
cui P suddivide R è contenuto in uno degli intervalli in cui Q suddivide R.
D EFINIZIONE 3.4. Sia R un intervallo in R3 , definiamo misura di R il
numero
mis R = (b1 − a1 )(b2 − a2 )(b3 − a3 )
F IGURA 3.1.
F IGURA 3.2.
D EFINIZIONE 3.5. Sia R un intervallo e sia P ∈ P(R); siano Rk ,
k = 1, 2, .., N , gli intervalli in cui la partizione P suddivide R.
Sia f : R −→ R una funzione limitata e supponiamo che
m ≤ f (x) ≤ M
∀x ∈ R
Definiamo
mk = inf{f (x) : x ∈ Rk }
1. INTEGRALI MULTIPLI
37
Mk = sup{f (x) : x ∈ Rk }
definiamo inoltre
L(f, P ) =
U (f, P ) =
N
X
k=1
N
X
mk mis Rk
Mk mis Rk
k=1
R(f, P, Ξ) =
N
X
f (ξk ) mis Rk
,
ξk ∈ Rk
k=1
essendo Ξ una funzione di scelta che assegna ad ogni intervallo Rk un punto
ξk .
L(f, P ) ed U (f, P ) si dicono rispettivamente somme inferiori e somme superiori di f rispetto alla partizione P . R(f, P, Ξ) si dice somma di
Riemann di f rispetto alla partizione P e dipende, come è espressamente
indicato, anche dalla scelta dei punti ξk in Rk .
Esattamente come nel caso di una funzione reale di una variabile reale
si può provare che
T EOREMA 3.1. Siano R un intervallo di R3 , f : R −→ R limitata,
allora, se P, Q ∈ P(R) e se P < Q
m mis R ≤ L(f, Q) ≤ L(f, P ) ≤ R(f, P, Ξ) ≤ U (f, P ) ≤ U (f, Q) ≤ M mis R
e per ogni P, Q ∈ P(R)
m mis R ≤ L(f, Q) ≤ U (f, P ) ≤ M mis R
D EFINIZIONE 3.6. Sia R un intervallo in R3 e sia f : R −→ R una
funzione limitata, definiamo
Z–
f (x)dx = inf{U (f, P ) : P ∈ P(R)}
R
Z
f (x)dx = sup{L(f, P ) : P ∈ P(R)}
R
–
essi si dicono rispettivamente, integrale superiore ed integrale inferiore
della funzione f sull’ intervallo R.
E’ immediato provare che
Z–
Z
m mis R ≤
f (x)dx ≤
–R
f (x)dx ≤ M mis R
R
38
3. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’ VARIABILI.
1.2. Condizioni di Integrabilità - Proprietà degli Integrali.
D EFINIZIONE 3.7. Sia R un intervallo in R3 e sia f : R −→ R una
funzione limitata; diciamo che:
• f è integrabile se
Z
Z–
f (x)dx =
f (x)dx
R
R
–
ed il valore comune ai due integrali superiore ed inferiore si chiama semplicemente integrale di f su R e si denota
Z
f (x)dx
R
• f soddisfa la condizione di integrabilità se ∀ε > 0 ∃Pε ∈ P(R)
tale che 0 ≤ U (f, Pε ) − L(f, Pε ) < ε;
• f è integrabile secondo Cauchy-Riemann se ∃I ∈ R tale che ∀ε >
0 ∃Pε ∈ P(R) tale che se P ∈ P(R), P < Pε si ha |R(f, P, Ξ) −
I| < ε ∀Ξ ; il valore I si chiama anche questa volta integrale di f
su R.
Osserviamo che se la condizione di integrabilità è soddisfatta se e solo
se
comunque si scelga P ∈ P(R), P < Pε si ha
0 ≤ U (f, P ) − L(f, P ) ≤ U (f, Pε ) − L(f, Pε ) < ε.
Come per una sola variabile, si enuncia e si prova che
T EOREMA 3.2. Sia R un intervallo in R3 e sia f : R −→ R una
funzione limitata; sono fatti equivalenti:
• f è integrabile
• f soddisfa la condizione di integrabilità
• f è integrabile secondo Cauchy-Riemann.
T EOREMA 3.3. Sia R un intervallo in R3 e siano f, g : R −→ R
funzioni limitate ed integrabili su R; allora
• ∀α, β > 0, αf + βg è integrabile su R e
Z
Z
Z
[αf (x) + βg(x)]dx = α f (x)dx + β
g(x)dx
R
R
R
• f g è integrabile su R;
• se S e T sono intervalli in R3 tali che R = S ∪T e mis(S ∩T ) = 0,
Z
Z
Z
f (x)dx =
f (x)dx + f (x)dx
R
S
T
1. INTEGRALI MULTIPLI
39
• se f ≥ 0
Z
f (x)dx ≥ 0
R
• se f ≥ g
Z
Z
f (x)dx ≥
R
g(x)dx
R
• se f è continua, f ≥ 0,
Z
f (x)dx = 0 ⇒ f ≡ 0
R
• |f | è integrabile su R e
Z
Z
f (x)dx ≤
|f (x)|dx
R
R
se S e T sono intervalli, S ⊂ T ⊂ R e se f ≥ 0,
Z
Z
f (x)dx ≤
f (x)dx
S
T
T EOREMA 3.4. Se f : R −→ R, R ⊂ R3 intervallo, è continua, allora f è
integrabile.
1.3. Formule di Riduzione. L’integrale che abbiamo definito non può
tuttavia essere calcolato, come per il caso delle funzioni di una variabile
reale, facendo uso del concetto di primitiva in R3 ; il concetto di primitiva
ed il teorema fondamentale del calcolo integrale trovano la loro naturale
estensione nell’ambito delle forme differenziali e del teorema di Stokes, di
cui parleremo più avanti.
Il calcolo di integrali multipli si può però ricondurre al calcolo di più
integrali semplici mediante quelle che si chiamano formule di riduzione.
Se A ⊂ R3 , la funzione
definita da
χA : R3 −→ R
(
1 x∈A
χA (x) =
0 x∈
6 A
si chiama funzione caratteristica di A.
40
3. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’ VARIABILI.
T EOREMA 3.5. Sia R un intervallo in R3 e sia f : R −→ R integrabile.
Allora si ha
Z
Z
b1
Z
b2
Z
b3
f (x)dx =
f (x1 , x2 , x3 )dx3 dx2 dx1
R
a1
a2
a3
ogniqualvolta esiste il secondo membro.
D IMOSTRAZIONE . Se P ∈ P(R), Rk = ×[aki , bki ], allora si ha
mk χRk (x) ≤ f (x) ≤ Mk χRk (x) ∀x ∈ Rk
integrando n volte su [aki , bki ] e sommando su k si ottiene
X
Z
b1
Z
mk mis Rk ≤
bn
f (x1 , .., xn )dxn ..dx1 ≤
...
a1
X
Mk mis Rk
an
Poiché f è integrabile, soddisfa il criterio di integrabilità, e si ha la tesi. 2
E’ necessario estendere la nozione di integrabilità su insiemi che siano
più generali di un intervallo in R3 .
A questo scopo occorre precisare la classe dei sottoinsiemi di R3 sui
quali è possibile integrare una funzione.
1.4. Misura di sottoinsiemi di R3 .
D EFINIZIONE 3.8. Sia A ⊂ R3 un insieme limitato e sia R un intervallo
che contiene A. Definiamo
−
Z
mis (A) =
+
Z–
χA (x)dx , mis (A) =
–
R
χA (x)dx
R
mis− (A) e mis+ (A) si dicono, rispettivamente misura interna e misura
esterna di A.
Diciamo che A è un sottoinsieme misurabile di R3 se mis− (A) = mis+ (A);
in tal caso definiamo mis(A), misura di A, il loro comune valore.
1. INTEGRALI MULTIPLI
41
F IGURA 3.3.
E’ immediato verificare che la precedente definizione non dipende dalla
scelta dell’ intervallo R tra tutti quelli che contengono A.
Si può inoltre verificare che
mis− (A) = sup L(χA , P )
P ∈P(R)
mis+ (A) =
inf U (χA , P )
P ∈P(R)
In altre parole
• mis− (A) è l’estremo superiore delle somme delle misure degli
intervalli chiusi che sono contenute in A
• mis+ (A) è l’estremo inferiore delle somme delle misure degli
intervalli chiusi che contengono punti di A
Infine si può vedere con qualche attenzione che l’estremo superiore e
l’estremo inferiore non cambiano se si considerano intervalli aperti in
luogo degli intervalli chiusi.
È intuitivamente evidente, si veda la figura 3.3, anche se non immediato
da dimostrare che
T EOREMA 3.6. Sia A ⊂ R3 un sottoinsieme limitato, allora
mis+ (∂A) = mis+ (A) − mis− (A).
Inoltre A è misurabile se e solo se ∂A è misurabile ed ha misura nulla.
42
3. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’ VARIABILI.
Osserviamo anche che
mis A = 0 ⇔ ∀ε > 0 ∃Pε ∈ P(R) : U 0 (χA , Pε ) < ε
Inoltre, tenuto conto che, se mis A = mis B = 0 allora mis A ∪ B = 0,
dal precedente teorema e dal fatto che
∂(A ∪ B) ⊂ ∂A ∪ ∂B
∂(A ∩ B) ⊂ ∂A ∪ ∂B
∂(A \ B) ⊂ ∂A ∪ ∂B
si ottiene che, se A e B sono misurabili, allora A ∪ B, A ∩ B, A \ B sono
misurabili.
Infine, tenendo conto che
χA∪B = χA + χB − χA∩B
si ottiene
mis A ∪ B = mis A + mis B − mis A ∩ B
Abbiamo con ciò che, se A, B ⊂ R3 sono misurabili e disgiunti, e se
x ∈ R3 , si ha
• mis A ≥ 0
• mis A ∪ B = mis A + mis B
• mis(x + A) = mis A
• mis(×ni=1 [0, 1]) = 1
Si potrebbe anche vedere che tali proprietà sono, da sole, in grado di
caratterizzare la misura sui sottoinsiemi di R3
T EOREMA 3.7. Sia R ⊂ R3 un intervallo e sia f : R −→ R limitata;
supponiamo inoltre f continua in R \ D, mis D = 0, allora f è integrabile
in R.
T EOREMA 3.8. Sia f : A −→ Rm continua, A ⊂ R3 chiuso e limitato,
allora
mis(gph(f )) = 0.
C OROLLARIO 3.1. Siano g,f: A −→ R, A ⊂ R3 chiuso e limitato;
allora, se f e g sono continue
{(x, y) ∈ Rn+1 : g(x) ≤ y ≤ f (x)}
è misurabile.
1.5. Integrazione su Domini Normali. Definiamo ora l’integrale di
una funzione limitata su un insieme misurabile.
1. INTEGRALI MULTIPLI
43
D EFINIZIONE 3.9. Sia f : R −→ R, A ⊂ R ⊂ R3 , A limitato e
misurabile, R intervallo in R3 ; si definisce
Z
Z
f (x)dx =
χA (x)f (x)dx.
A
R
E’ banale verificare che la definizione non dipende dalla scelta dell’intervallo R che contiene A.
Possiamo dare il seguente criterio di integrabilità.
T EOREMA 3.9. Sia f : A −→ R, A ⊂ R3 chiuso, limitato e misurabile;
f continua in A \ D, mis D = 0. Allora f è integrabile su A.
D EFINIZIONE 3.10. Diciamo che A ⊂ Rn+1 è un dominio normale in
R
se esistono un insieme D ⊂ Rn chiuso e limitato, e due funzioni
continue g, h : D −→ R tali che
n+1
A = {(x, y) ∈ Rn × R : x ∈ D , g(x) ≤ y ≤ h(x)}
oppure se
A = {(x, y) ∈ Rn × R : a ≤ y ≤ b , x ∈ Dy }
dove Dy è un insieme misurabile in Rn .
e si può verificare che
Ogni dominio normale in Rn+1 è un insieme misurabile.
Pertanto è lecito integrare funzioni continue, a meno di insiemi di misura nulla, su domini normali e si ha il seguente
T EOREMA 3.10. Sia A un dominio normale in R3 e sia f : A −→ R
una funzione continua in A \ D con mis D = 0.
Allora f è integrabile su A e si ha
Z
Z
f (x)dx =
Z b1 Z b2 Z b3
(3.1)
A
=
χA (x)f (x)dx =
R
χA (x1 , x2 , x3 , y)f (x1 , x2 , x3 , y)dydx3 dx2 dx1 =
a1
a2
a3
Z Z
h(x1 ,x2 ,x3 )
=
f (x1 , x2 , ..., xn , y)dydx3 dx2 dx1
D
g(x1 ,x2 ,x3 )
44
3. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’ VARIABILI.
oppure
Z
Z
f (x)dx =
Z b1 Z b2 Z b3
(3.2)
A
=
χA (x)f (x)dx =
R
χA (x1 , x2 , x3 , y)f (x1 , x2 , x3 , y)dydx3 dx2 dx1 =
a1
a2
a3
Z bZ
f (x1 , x2 , ..., xn , y)dx3 dx2 dx1 dy
=
a
Dy
1.6. Trasformazione di coordinate in R3 . È spesso utile, per tenere
conto delle caratteristiche di un insieme, considerare un cambiamento di
variabili in R3 .
Per cambiamento di variabili intendiamo una applicazione
V : R 3 → R3
definita da
R3 3 (t, s, r) 7→ V (t, s, r) = (x(t, s, r), y(t, s, r), z(t, s, r)) ∈ R3
che risulti di classe C 1 sia invertibile e sia tale che


xt yt zt
∂(x, y, z)
= det xs ys zs  6= 0
∂(t, s, r)
x y z
r
r
r
Sono esempi di trasformazioni di coordinate
• Il cambiamento di variabili lineari


x = a1 u + b1 v + c1 w
, u, v, w ∈ R , z ∈ R
y = a2 u + b 2 v + c 2 w

z = a u + b v + c w
3
3
3
cioè
  
 
x
a1 b 1 c 1
u
 y  =  a2 b 2 c 2   v 
z
a3 b 3 c 3
w
• Le coordinate cilindriche definite da


x
y

z
= ρ cos θ
= ρ sin θ
=z
,
ρ ∈ [0, +∞) , θ ∈ [0, 2π] , z ∈ R
• Le coordinate sferiche definite da


x
y

z
= ρ cos θ cos φ
= ρ sin θ cos φ
= ρ sin φ
,
ρ ∈ [0, +∞) , θ ∈ [0, 2π] , φ ∈ [−π/2, π/2]
1. INTEGRALI MULTIPLI
45
Si verifica in tali casi che
• Per il cambiamento lineare


a1 b 1 c 1
∂(x, y, z)
= det a2 b2 c2 
∂(u, v, w)
a3 b 3 c 3
• Per le coordinate cilindriche
∂(x, y, z)
=ρ
∂(ρ, θ, z)
• Per le coordinate sferiche
∂(x, y, z)
= ρ cos φ
∂(ρ, θ, φ)
T EOREMA 3.11. - Cambiamento di variabili per integrali multipli Sia
φ : B −→ R3
dove B ⊂ R3 aperto e φ ∈ C 1 (B).
Supponiamo che A sia un insieme misurabile con cl A ⊂ B, tale che φ
è una funzione invertibile e ∇φ è una matrice invertibile su int A;
allora se f è limitata su φ(A) e continua su intφ(A), si ha
Z
Z
f (x)dx =
f (φ(x))|det(∇φ(x))|dx.
φ(A)
A
1.7. Integrali Impropri in R3 . Illustriamo ora per sommi capi il problema di definire l’integrale di una funzione non limitata su un insieme
limitato o non limitato.
D EFINIZIONE 3.11. Sia f : A −→ R+ , A ⊂ R3 , f limitata ed integrabile in ogni compatto misurabile K ⊂ A. Definiamo
Z
Z
f (x)dx = sup
f (x)dx : K ⊂ A , K compatto e misurabile
A
K
La definizione si può facilmente estendere a funzioni di segno qualunque, non appena si ricordi che f = f+ + f− .
R
Per il calcolo di A f (x)dx è opportuno dare la seguente definizione.
D EFINIZIONE 3.12. Sia A ⊂ R3 diciamo che Ki è una successione di
domini invadenti A se
• Ki sono insiemi compatti, misurabili, Ki ⊂ A
• Ki+1 ⊃ Ki
• ∀K ⊂ A, K compatto, misurabile, ∃i tale che Ki ⊃ K.
T EOREMA 3.12. Sia A ⊂ R3 misurabile e sia f : A −→ R+ una
funzione integrabile in ogni insieme K ⊂ A, compatto e misurabile.
46
3. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’ VARIABILI.
Allora se Ki è una successione di domini invadenti A, si ha
Z
Z
f (x)dx = lim
f (x)dx
i
A
Ki
D IMOSTRAZIONE . Si ha
Z
Z
f (x)dx ≤
f (x)dx
Ki
e
R
Ki
A
f (x)dx è una successione crescente per cui
Z
Z
Z
lim
f (x)dx = sup
f (x)dx ≤
f (x)dx
i
Ki
Ki
A
D’altra parte, dal momento che, ∀K ⊂ A esiste Ki ⊃ K, si ha
Z
Z
Z
sup
f (x)dx ≥ sup
f (x)dx : K ⊂ A =
f (x)dx
Ki
K
A
2
T EOREMA 3.13. Sia f : A −→ R, A ⊂ R2 misurabile, chiuso e
limitato; sia x0 ∈ A, sia f continua in A \ {x0 } e
lim f (x) = +∞
x→x0
Allora se
H
, H ≥0, α<2
kx − x0 kα
f è integrabile in senso improprio su A.
Se invece
H
, H >0, α≥2
f (x) ≥
kx − x0 kα
e se A contiene un cono di vertice x0 e ampiezza positiva, allora
Z
f (x)dx = +∞.
f (x) ≤
A
D IMOSTRAZIONE . Sia Ak = cl(A \ S(x0 , 1/k)), Ak è una successione
di domini invadenti A; sia h ∈ N, si ha, se k > h
Z
Z
Z
f (x)dx =
f (x)dx −
f (x)dx
Ak
Ah \Ak
Ah
inoltre
Z
Z
2π
Z
1/h
H
ρdρ
ρα
Ah \Ak
0
1/k
non appena si sia convenuto di indicare con ρ e θ le coordinate polari nel
piano, centrate in x0 .
Per quel che riguarda il secondo enunciato, detti θ0 e θ1 gli angoli che
le semirette delimitanti il settore formano con l’asse x, si ha
Z
Z θ1 Z 1/h
H
f (x)dx ≥
dθ
ρdρ
ρα
Ah \Ak
θ0
1/k
f (x)dx ≤
dθ
2. INTEGRALI DIPENDENTI DA UN PARAMETRO.
47
2
In maniera analoga si può provare il seguente
T EOREMA 3.14. Sia f : A −→ R, A ⊂ R3 non limitato; sia f continua.
Se
H
|f (x)| ≤
, H ≥0, α>2
kxkα
allora f è integrabile in senso improprio su A.
Se invece
H
f (x) ≥
, H >0, α≤2
kxkα
e se A contiene un cono di ampiezza positiva, allora
Z
f (x)dx = +∞.
A
2. Integrali dipendenti da un parametro.
Passiamo infine a illustrare brevemente il comportamento di un integrale
rispetto a parametri contenuti nella funzione da integrare.
Questo tipo di problematiche si incontra, ad esempio, quando si studiano le trasformazioni integrali (Fourier, Laplace) o nella definizione di
funzioni notevoli (come,ad esempio, la funzione Γ).
T EOREMA 3.15. Sia f : A × I −→ R, A ⊂ R3 chiuso e limitato,
I = [a, b]. Supponiamo f ∈ C 0 (A × I), allora F : A × I × I −→ R definita
da
Z z
F (x, y, z) =
f (x, t)dt
y
è continua in A×I×I; inoltre Fy ed Fz esistono e sono continue in A×I×I.
Se ∇x f ∈ C 0 (A × I × I), allora F è differenziabile rispetto ad x,
Z z
∇x F (x, y, z) =
∇x f (x, t)dt
y
e quindi risulta ∇x F è continuo in A × I × I e F ∈ C 1 (A × I × I) .
T EOREMA 3.16. Sia f : A × I −→ R, A ⊂ R3 chiuso e limitato,
I = [a, +∞), una funzione continua. Consideriamo
Z +∞
F (x) =
f (x, t)dt
a
Se esiste φ : I −→ R tale che
Z
+∞
|f (x, t)| ≤ φ(t) ∀x ∈ A ;
φ(t)dt < +∞
a
allora F è definita e continua in A.
Se inoltre ∇x f esiste, è continuo in A × I, e se esiste ψ : I −→ R tale
che
Z +∞
k∇x f (x, t)k ≤ ψ(t) ∀x ∈ A ;
ψ(t)dt < +∞
a
48
3. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’ VARIABILI.
allora F ∈ C 1 (A) e
Z
∇F (x) =
+∞
∇x f (x, t)dt .
a
CAPITOLO 4
ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.
In questa parte definiamo i concetti di arco, di superficie, di lunghezza
di un arco e di area di una superficie nello spazio euclideo a tre dimensioni
R3 .
La generalizzazione dei concetti esposti al caso di Rn , n > 3, è immediata, come del resto è ovvio che per ottenere una trattazione delle curve in
R2 è sufficiente porre z = 0.
1. Linee ed integrali di linea
D EFINIZIONE 4.1. Chiamiamo curva in R3 una funzione
γ : [a, b] −→ R3 , γ(t) = (x(t), y(t), z(t)).
Chiamiamo traccia di γ, o più raramente supporto di γ, l’insieme
Γ = R(γ) = {(x, y, z) ∈ R3 : ∃t ∈ [a, b] , (x, y, z) = (x(t), y(t), z(t))}
Indichiamo con γ̇ = (ẋ(t), ẏ(t), ż(t)) la derivata di γ.
Una curva γ si dice:
• semplice, se è iniettiva,
• chiusa, se γ(a) = γ(b),
• regolare, se γ ∈ C 1 ([a, b]) e kγ̇k =
6 0.
Osserviamo che la condizione γ̇ 6= 0 significa che le tre derivate ẋ, ẏ, ż
non sono mai contemporaneamente nulle ed è spesso espressa nella forma
ẋ2 + ẏ 2 + ż 2 > 0
D EFINIZIONE 4.2. Sia γ una curva regolare in R3 definiamo versore
tangente alla curva γ nel punto (x(t), y(t), z(t)) il versore
γ̇(t)
ẋ(t)
ẏ(t)
ż(t)
Tγ (t) =
=
,
,
kγ̇(t)k
kγ̇(t)k kγ̇(t)k kγ̇(t)k
dove
kγ̇(t)k =
p
ẋ2 (t) + ẏ 2 (t) + ż 2 (t).
1.1. Lunghezza di una Linea. Passiamo ora a definire la lunghezza di
una curva γ.
Sia γ una curva regolare in R3 .
Definiamo poligonale inscritta in Γ, associata alla partizione P = {t0 <
t1 < t2 < ....tn }, la spezzata poligonale Λ(Γ, P ) avente per vertici i punti
γ(ti ).
49
50
4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.
F IGURA 4.1.
Possiamo calcolare la lunghezza della poligonale Λ(Γ, P ) mediante la
`(Λ(Γ, P )) =
n
X
kγ(ti ) − γ(ti−1 )k =
i=1
=
n
X
p
(x(ti ) − x(ti−1 ))2 + (y(ti ) − y(ti−1 ))2 + (z(ti ) − z(ti−1 ))2
i=1
Usando il teorema di Lagrange, se P ∈ P(a, b), si ha
n q
X
`(Λ(Γ, P )) =
x2 (t1i ) + y 2 (t2i ) + z 2 (t3i )(ti − ti−1 )
i=1
essendo t1i , t2i , t3i ∈ (ti−1 , ti ), mentre d’altro canto, le somme di Riemann di
kγ̇k sono date da
n
X
p
R(kγ̇k, P, Ξ) =
ẋ2 (τi ) + ẏ 2 (τi ) + ż 2 (τi )(ti − ti−1 )
i=1
`(Λ(Γ, P )) = R(kγ̇k, P, Ξ) − R(kγ̇k, P, Ξ) + `(Λ(Γ, P )) =
n
X
= R(kγ̇k, P, Ξ) +
|F (t1i , t2i , t3i ) − F (τi , τi , τi )|(ti − ti−1 )
i=1
non appena si sia definita F : [a, b]3 −→ R mediante la
p
F (r, s, t) = ẋ2 (r) + ẏ 2 (s) + ż 2 (t)
Dal momento che F è continua sul cubo [a, b]3 ,si può dimostrare ricorrendo al concetto, non banale, di uniforme continuità che pur di scegliere la
partizione P sufficientemente fine si può supporre che
ε
|F (t1i , t2i , t3i ) − F (τi , τi , τi )| <
b−a
poichè al raffinarsi della partizione P si ha
Z
R(kγ̇k, P, Ξ) →
b
|γ̇(t)|dt
a
1. LINEE ED INTEGRALI DI LINEA
51
e
`(Λ(Γ, P )) − R(kγ̇k, P, Ξ) → 0
possiamo concludere che se |γ̇| è integrabile, allora
Z b
`(Λ(Γ, P )) →
|γ̇(t)|dt
a
D EFINIZIONE 4.3. Diciamo che due curve γ1 , γ2 regolari in R3 sono
equivalenti se, essendo
γ1 : [a, b] −→ R3 , γ1 (t) = (x1 (t), y1 (t), z1 (t))
γ2 : [c, d] −→ R3 , γ2 (t) = (x2 (t), y2 (t), z2 (t)),
esiste una funzione φ : [a, b] −→ [c, d] tale che
• γ1 (t) = γ2 (φ(t)),
• φ ∈ C 1 ([a, b]),
• φ(a) = c , φ(b) = d , φ(t) > 0 ∀t ∈ (a, b).
Ci riferiremo alla funzione φ come ad un cambiamento regolare di
parametrizzazione relativo alle curve γ1 , γ2 .
Ovviamente, dal momento che φ è invertibile, anche φ−1 è un cambiamento regolare di parametrizzazione. Più precisamente mentre φ trasforma
γ2 in γ1 , φ−1 opera la trasformazione di γ1 in γ2 .
1.2. Lunghezza d’Arco.
T EOREMA 4.1. Sia γ una curva regolare in R3 e sia γ ∗ una curva
regolare in R3 ad essa equivalente; si ha
`(γ) = `(γ ∗ )
D IMOSTRAZIONE . Sia φ un cambiamento regolare di parametrizzazione relativo alle curve γ e γ ∗ , φ : [a, b] −→ [c, d] e sia
γ(t) = γ ∗ (φ(t)).
Dal momento che φ > 0,
Z
b
Z
b
k(d/dt)γ ∗ (φ(t))kdt =
a
Z b
Z b
∗
=
kγ̇ (φ(t))φ̇(t)kdt =
kγ̇ ∗ (φ(t))kφ̇(t)dt
kγ̇(t)kdt =
`(γ) =
a
a
a
e applicando il teorema di integrazione per sostituzione
Z
φ−1 (d)
∗
Z
kγ̇ (φ̇(t))kφ(t)dt =
`(γ) =
φ−1 (c)
d
kγ̇ ∗ (t)kdt = `(γ ∗ )
c
2
52
4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.
Se γ è una curva regolare in R3 , la funzione
s : [a, b] −→ R
definita da
Z
t
kγ(τ )kdτ
s(t) =
a
si chiama lunghezza d’arco della curva γ.
Per le ipotesi fatte, s è una funzione di classe C 1 ([a, b]) strettamente
crescente e s(t) misura la lunghezza del percorso compiuto da un punto
che si muova, a partire da γ(a), lungo la traccia della curva γ fino al
punto γ(t).
Inoltre s è una funzione invertibile e detta t = s−1 la sua inversa essa
pure risulta strettamente crescente e di classe C 1 ([0, `(γ)]).
Pertanto è possibile considerare t come un cambiamento regolare di
parametrizzazione e, detta γ ∗ la curva che si ottiene da γ mediante tale
cambiamento si ha
γ ∗ (s) = γ(t(s)).
Poichè
dt
1
(s0 ) =
ds
ds
(t(s0 ))
dt
si ottiene
γ̇(t(s))
= Tγ (t(s)).
γ̇ ∗ (s) =
kγ̇(t(s))k
D EFINIZIONE 4.4. Sia f : A −→ R, A ⊂ R3 e supponiamo che γ sia
una curva regolare in R3 con traccia contenuta in A (o più brevemente sia
γ una curva regolare in A).
Definiamo integrale di linea di f su γ
Z
Z b
Z b
f ds =
f (γ(t))ds(t) =
f (γ(t))kγ̇(t)kdt
γ
a
a
qualora l’ultimo integrale esista.
E’ immediato verificare che se f è una funzione continua su A e γ è una
curva regolare in A allora f è integrabile su γ.
1.3. Curvatura - Terna Intrinseca. Ricordiamo infine brevemente le
definizioni di alcuni utili elementi di una curva.
1. LINEE ED INTEGRALI DI LINEA
53
Abbiamo già definito il vettore tangente ad una curva semplice regolare
in R3 mediante la
γ̇(t)
Tγ (t) =
kγ̇(t)k
e abbiamo già provato che
d
d
d
Tγ ∗ (s) =
x(t(s)), y(t(s)), z(t(s))
ds
ds
ds
è un versore.
Definiamo curvatura di γ nel punto (x(t), y(t), z(t)) il valore
Kγ (t) =
kγ̇(t) ∧ γ̈(t)k
kγ̇(t)k3
(ove con il simbolo ∧ si sia indicato il prodotto vettoriale in R3 ).
Definiamo altresı̀ raggio di curvatura di γ nel punto (x(t), y(t), z(t)) il
valore
1
Rγ (t) =
.
Kγ (t)
La definizione può giustificarsi nella seguente maniera:
Indichiamo con α l’angolo formato dai vettori γ(t) e γ(t + ∆t).
E’ naturale definire come curvatura media di γ nell’intervallo [t, t + ∆t]
il rapporto
α
|∆s|
essendo ∆s = s(t + ∆t) − s(t).
Posto ∆γ(t) = γ(t + ∆t) − γ(t), dal momento che si ha
sin α =
kγ̇(t) ∧ γ̇(t + ∆t)k
kγ̇(t)kkγ̇(t + ∆t)k
si ottiene
kγ̇(t) ∧ ∆γ̇(t)k
kγ̇(t)kkγ̇(t + ∆t)k
non appena si tenga conto del fatto che
sin α =
γ̇(t + ∆t) = γ̇(t) + ∆γ̇(t)
e
γ̇(t) ∧ γ̇(t) = 0
Ma allora
α
α sin α
=
|∆s|
sin α |∆s|
e, poiché α → 0 quando ∆t → 0 per quanto abbiamo visto sopra, si ha
α
kγ̇(t) ∧ ∆γ̇(t)/∆tk
kγ̇(t) ∧ γ̈(t)k
= lim
=
∆t→0 |∆s|
∆t→0 kγ̇(t)kkγ̇(t + ∆t)k|∆s/∆t|
kγ̇(t)k3
lim
54
4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.
Chiamiamo piano osculatore a γ nel punto (x(t), y(t), z(t)) il piano
definito dall’equazione
h(x, y, z), γ̇(t) ∧ γ̈(t)i = 0
La definizione di piano osculatore si può interpretare geometricamente
come segue.
Consideriamo il piano che è individuato dai vettori γ̇(t) e γ̇(t + ∆t);
una normale a tale piano sarà data da
γ̇(t) ∧
γ̇(t + ∆t)
∆γ̇(t)
= γ̇(t) ∧
∆t
∆t
e, se ∆t → 0 essa tende a
γ̇(t) ∧ γ̈(t)
Pertanto γ̇(t) ∧ γ̈(t) è normale al piano che si ottiene come limite del piano
considerato.
F IGURA 4.2.
In altri termini il piano osculatore alla curva γ nel punto (x(t), y(t), z(t))
contiene i vettori γ̇(t) e γ̈(t).
Nel caso in cui la curva sia parametrizzata secondo la lunghezza d’arco,
dal momento che kγ̇k = 1 si ha
d
kγ̇(s)k2 /2 = 0
ds
γ̇(s) si dice vettore tangente a γ in γ(s)
γ̈(s) si dice vettore normale principale a γ in γ(s)
γ̇(s) ∧ γ̈(s) si dice vettore binormale a γ in γ(s) .
I vettori γ̇(s) , γ̈(s) , γ̇(s) ∧ γ̈(s) costituiscono il triedro principale, o
naturale, della curva γ nel punto (x(s), y(s), z(s)); il triedro principale è
anche noto come terna intrinseca della curva.
Ricordiamo infine alcune classiche definizioni senza però entrare nei
dettagli.
Se γ : [a, b] −→ R3 è una curva tale che z(t) ≡ 0, diremo che γ è una
curva piana.
Il vettore (−ẏ, ẋ) si dice vettore normale alla curva γ.
hγ̇, γ̈i =
2. SUPERFICI ED INTEGRALI DI SUPERFICIE
55
Sia Rγ (t) il raggio di curvatura di γ; diciamo centro di curvatura di γ il
punto cγ (t) centro del cerchio che ha per raggio Rγ (t) ed è tangente a γ.
cγ (t) descrive, al variare di t, una curva γ # che si definisce evoluta della
curva γ; γ, a sua volta, si dice involuta della curva γ # .
Se γ(t) = (x(t), y(t)) , le equazioni della evoluta di γ sono date da
ẋ2 (t) + ẏ 2 (t)
ẋ(t)ÿ(t) − ẏ(t)ẍ(t)
ẋ2 (t) + ẏ 2 (t)
y # (t) = y(t) + ẋ(t)
ẋ(t)ÿ(t) − ẏ(t)x(t)
x# (t) = x(t) − ẏ(t)
2. Superfici ed Integrali di Superficie
In analogia con quanto fatto per la lunghezza di una linea definiamo
D EFINIZIONE 4.5. Sia R = [a, b] × [c, d], chiamiamo superficie parametrica in R3 una funzione
S : R −→ R3 , S(u, v) = (x(u, v), y(u, v), z(u, v)).
Chiamiamo traccia o supporto di S l’insieme
Σ = {(x, y, z) ∈ R3 : ∃(u, v) ∈ R , (x, y, z) = (x(u, v), y(u, v), z(u, v)}
F IGURA 4.3.
Osserviamo che Σ = R(S) è il rango della funzione S. Una superficie
parametrica S in R3 si dice
• semplice, se è iniettiva,
• regolare, se S ∈ C 1 (R) e
Su
∇u S
∇S =
=
Sv
∇v S
ha caratteristica massima (= 2).
Chiamiamo vettore normale ad S in (x(u, v), y(u, v), z(u, v)) il vettore
56
4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.
N (u, v) = Su (u, v) ∧ Sv (u, v) =
yu zu
xu zu
xu yu
= det
, − det
, det
=
yv zv
xu zv
xv yv
∂(y, z) ∂(z, x) ∂(x, y)
=
∂(u, v) ∂(u, v) ∂(u, v)
F IGURA 4.4.
e
E’ d’uso indicare con A, B, C le componenti del vettore N . Pertanto
∂(y, z) ∂(z, x) ∂(x, y)
N (u, v) =
= (A, B, C)
∂(u, v) ∂(u, v) ∂(u, v)
√
kN k = A2 + B 2 + C 2
Per definire l’area di una porzione di superficie possiamo utilizzare le
approssimazioni lineari della funzione S che definisce la superficie stessa.
Sia Ω = P × Q una partizione dell’intervallo R , P ∈ P(a, b) , Q ∈
P(c, d), e siano {Rk , k = 0..n} i rettangoli in cui P divide R.
Sia S : R −→ R3 una superficie semplice, regolare; chiamiamo approssimazione lineare della superficie S relativa alla partizione Ω ed alla scelta
Ξ, Π(S, Ω, Ξ) la superficie
Π(S, Ω, Ξ)(u, v) = S(ξi , ηj ) + h∇S(ξi , ηj ), (u − ξi , v − ηi )i, (u, v) ∈ Rij
Definiamo approssimazione lineare dell’area della superficie S, relativa
alla partizione Ω ed alla scelta Ξ,
X
La(S, Ω, Ξ) =
mis(Π(S, Ω, Ξ)(Rij )).
ij
Diciamo infine che la superficie S ha area A(S) se ∀ε > 0 esiste Ωε ∈ P(R)
tale che ∀Ω < Ωε , ∀Ξ si ha
|La(S, Ω, Ξ) − A(S)| < ε
2. SUPERFICI ED INTEGRALI DI SUPERFICIE
57
ne segue che se S è una superficie parametrica semplice e regolare in R3 ;
allora
Z
A(S) =
kn(u, v)kdudv
R
infatti si ha
mis(Π(S, Ω, Ξ)(Rij )) = kSu (ξi , ηj ) ∧ Sv (ξi , ηj )k(ui − ui−1 )(vj − vj−1 )
da cui
(4.1) Λ(S, Ω, Ξ) =
m
n X
X
kn(ξi , ηj )k(ui − ui−1 )(vj − vj−1 ) =
i=1 j=1
= R(knk, Ω, Ξ)
Ricordando la definizione di integrabilità secondo Cauchy-Riemann si
ha che
ZZ
R(knk, Ω, Ξ) →
knkdudv
R
e quindi
Z
kn(u, v)kdudv
A(S) =
R
ed indichiamo
Z
A(S) =
dσ
S
F IGURA 4.5.
Si può provare, usando il teorema di cambiamento di variabili negli
integrali multipli, che se
S : R −→ R3
S1 : R1 −→ R3
ed
sono due rappresentazioni equivalenti della stessa superficie, cioè se
S(u, v) = S1 (φ(u, v))
con
φ : R −→ R1
1
, invertibile, φ ∈ C (R), allora
Z
Z
kn(u, v)kdudv =
R
R1
kn1 (u, v)kdudv.
58
4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.
Ciò consente di affermare che la definizione di area di una superficie
non dipende dalla parametrizzazione scelta.
D EFINIZIONE 4.6. Sia S una superficie parametrica semplice e regolare in R3 e sia Σ ⊂ A ⊂ R3 ; sia inoltre f : A −→ R; definiamo
Z
Z
f dσ =
S
f (S(u, v))kn(u, v)kdudv.
R
3. Forme Differenziali in R3
Il linguaggio delle forme differenziali è abbastanza complesso ed astratto nonostante ciò le applicazioni della relativa teoria sono numerose e la
teoria stessa consente di formulare l’estensione del teorema fondamentale
del calcolo integrale alle funzioni di più variabili.
Ci limitiamo ad illustrare le definizioni ed i risultati fondamentali, senza
formalizzare le prime e senza dimostrare i secondi, nel caso di R3 .
In R3 possiamo considerare
• forme differenziali di ordine 0 o 0−forme
ω0 = f (x, y, z)
• forme differenziali di ordine 1 o 1−forme
ω1 = f (x, y, z)dx + g(x, y, z)dy + h(x, y, z)dz
• forme differenziali di ordine 2 o 2−forme
ω2 = f (x, y, z)dy ∧ dz + g(x, y, z)dz ∧ dx + h(x, y, z)dx ∧ dy
• forme differenziali di ordine 3 o 3−forme
ω3 = f (x, y, z)dx ∧ dy ∧ dz
essendo f, g, h funzioni definite in R3 a valori in R.
Non precisiamo la natura dei simboli dx dy e dz e dell’operazione di
prodotto esterno ∧.
Diciamo soltanto che i simboli dx dy e dz ci daranno indicazioni su
come trattare ciascuna delle forme mentre il prodotto esterno soddisfa la
seguente tabellina
∧
dx
dy
Simmetricamente
dx
dy
0
dx ∧ dy
−dx ∧ dy
0
3. FORME DIFFERENZIALI IN R3
59
Possiamo considerare in R3
• varietà Ω0 di dimensione 0 o 0−varietà
cioè unione finita di punti a ciascuno dei quali è associato
un segno (+ o −)
• varietà Ω1 di dimensione 1 o 1−varietà
cioè unione finita di linee a ciascuna delle quali è associato
un segno (+ o −)
• varietà Ω2 di dimensione 2 o 2−varietà
cioè unione finita di superfici a ciascuna delle quali è
associato un segno (+ o −)
• varietà Ω3 di dimensione 3 o 3−varietà
cioè unione finita di volumi a ciascuno dei quali è associato
un segno (+ o −)
Possiamo poi considerare due operazioni:
• Un’operazione che indichiamo con d che trasforma una k−forma
in una (k + 1)−forma
• Un’operazione che indichiamo con ∂ che trasforma una k−varietà
in una (k − 1)−verietà
L’operazione d si definisce mediante le seguenti regole che riportiamo omettendo di scrivere esplicitamente la dipendenza da (x, y, z) delle
funzioni f , g, h e delle loro derivate.
dω0 = fx (x, y, z)dx + fy (x, y, z)dy + fz (x, y, z)dz = fx dx + fy dy + fz dz
dω1 = (fx dx + fy dy + fz dz) ∧ dx+
+ (gx dx + gy dy + gz dz) ∧ dy+
+ (hx dx + hy dy + hz dz) ∧ dz =
= fx dx ∧ dx + fy dy ∧ dx + fz dz ∧ dx+
+ gx dx ∧ dy + gy dy ∧ dy + gz dz ∧ dy+
+ hx dx ∧ dz + hy dy ∧ dz + hz dz ∧ dz =
= (fy − gx )dy ∧ dx + (fz − hx )dz ∧ dx+
+ (hy − gz )dy ∧ dz
60
4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.
dω2 = (fx dx + fy dy + fz dz) ∧ dy ∧ dz+
+ (gx dx + gy dy + gz dz) ∧ dz ∧ dx+
+ (hx dx + hy dy + hz dz) ∧ dx ∧ dy =
= (fx + gy + hz )dx ∧ dy ∧ dz
Si ha inoltre che
dω3 = fx dx ∧ dx ∧ dy ∧ dz + fy dy ∧ dx ∧ dy ∧ dz+
+ fz dz ∧ dx ∧ dy ∧ dz = 0
Per quanto riguarda l’operazione ∂ usiamo le seguenti definizioni
Se V = V (t, s, r) è una 3−varietà , cioè se
V : [a, b] × [c, d] × [α, β] → R3
Chiamiamo frontiera di V e scriviamo ∂V la 2−varietà che si ottiene
considerando l’unione delle superfici definite dalle seguenti parametrizzazioni a ciascuna delle quali attribuiamo un segno che chiamiamo orientamento della superficie secondo la seguente regola:
Attribuiamo l’indice 0 al primo estremo e l’indice 1 al secondo estremo di ciascuno dei segmenti [a, b], [c, d], [α, β] e assegnamo ad ogni
parametrizzazione il segno
(−1)posto della variabile+indice dell’estremo
V (a, s, r)
con il segno−
V (b, s, r)
con il segno+
V (t, c, r)
con il segno+
V (t, d, r)
con il segno−
V (t, s, α)
con il segno−
V (t, s, β)
con il segno+
(−1)1+0
(−1)1+1
(−1)2+0
(−1)2+1
− 1)3+0
(−1)3+1
Se S = S(u, v) è una 2−varietà , cioè se
S : [a, b] × [c, d] → R3
Chiamiamo frontiera di S e scriviamo ∂S la 1−varietà che si ottiene
considerando l’unione delle linee definite dalle seguenti trasformazioni a
ciascuna delle quali attribuiamo il segno indicato
3. FORME DIFFERENZIALI IN R3
S(a, v)
con il segno−
S(b, v)
con il segno+
S(u, c)
con il segno−
S(u, d)
con il segno+
61
(−1)1+0
(−1)1+1
(−1)2+0
(−1)2+1
Se γ = γ(t) è una 1−varietà , cioè se
γ : [a, b] → R3
Chiamiamo frontiera di γ e scriviamo ∂γ la 0−varietà che si ottiene considerando l’unione dei punti definiti dalle seguenti trasformazioni a
ciascuna delle quali attribuiamo il segno indicato
γ(a)
con il segno−
γ(b)
con il segno+
(−1)1+0
(−1)1+1
Per comprendere il significato dei segni occorre prima chiarire come
una k−forma può essere integrata su una k−varietà occorre cioè definire il
simbolo
Z
ωk
Ck
• Se ω0 = f (x, y, z) e C0 = ±P (cioè è la zero varietà costituita dal
punto P = (x, y, z) con il segno ±)
Z
ω0 = ±f (P )
C0
• Se ω1 = f (x, y, z)dx + g(x, y, z)dy + h(x, y, z)dz e C1 = ±γ
(cioè è la 1−varietà costituita dalla curva γ = γ(t) con il segno ±)
Z
Z b
ω1 = ±
f (γ(t))ẋ(t) + g(γ(t))ẏ(t) + h(γ(t))ż(t)dt
C1
a
• Se ω2 = f (x, y, z)dy ∧ dz + g(x, y, z)dz ∧ dx + h(x, y, z)dx ∧ dy
e C1 = ±S (cioè è la 2−varietà costituita dalla superficie S =
S(u, v) con il segno ±
Z
Z bZ d
∂(y, z)
∂(z, x)
ω2 = ±
f (S(u, v))
+ +g(S(u, v))
+
∂(u, v)
∂(u, v)
C2
a
c
∂(x, y)
+ h(S(u, v))
dudv
∂(u, v)
• Se ω3 = f (x, y, z)dx ∧ dy ∧ dz e C3 = ±V = V (t, s, r) (cioè è la
3−varietà costituita dal volume V con il segno ±)
Z bZ
Z
d
Z
β
ω0 = ±
C0
f (V (t, s, r))
a
c
α
∂(x, y, z)
dtdsdr
∂(t, s, r)
62
4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.
A questo punto possiamo anche chiarire il significato del segno che
abbiamo attribuito a i vari pezzi di frontiera di una varietà.
3.0.1. Un’idea per rendersi conto dei segni. Consideriamo una 1 −
f orma
ω2 = f (x, y, z)dx + g(x, y, z)dy + h(x, y, z)dz
ed la 2− varietà S2 costituita dal quadrato [0, 1] × [0, 1] nel piano z = 0.
Possiamo parametrizzare S2 = S2 (u, v) nella seguente maniera


x = u
S2 y = v
,
(u, v) ∈ [0, 1] × [0, 1]

z = 0
∂S2 , la frontiera di S2 , è una curva costituita dalle linee γ1 (u) = S2 (u, 0),
γ2 (v) = S2 (0, v), γ3 (u) = S2 (u, 1), γ4 (v) = S2 (1, v),




x
=
u
x = 1

, u ∈ [0, 1] γ2 y = v
, v ∈ [0, 1]
γ1 y = 0


z = 0
z = 0




x = u
x = 0
γ3 y = 1
, u ∈ [0, 1] γ4 y = v
, v ∈ [0, 1]


z = 0
z = 0
Con le regole prima descritte attribuiamo il segno + a γ1 e γ2 ed il segno
− a γ3 e γ4 .
Pertanto
Z
Z
Z
Z
Z
ω2 = +
ω2 +
ω2 −
ω2 −
ω2
∂S2
γ1
γ2
γ3
γ4
Se conveniamo che attribuire il segno + ad un lato significa che quel
lato è percorso nella direzione positiva dell’asse cui è parallelo mentre il
segno − indica che è percorso in direzione opposta, è immediato verificare
che con tali scelte di segno si vede che il perimetro del quadrato S2 , che
costituisce la frontiera ∂S2 , è percorso in senso antiorario, se visto dall’alto
(cioè da un punto di vista che giace nel semipiano z > 0).
Se non avessimo fatto uso dei segni avremmo percorso i tratti γ1 e γ2
in senso antiorario, mentre i tratti γ3 e γ4 sarebbero stati percorsi in senso
orario.
Ancora se S1 è la varietà definita da


x = t
, t ∈ [0, 1]
γ(t) y = 0

z = 0
avremo che la frontiera ∂γ è costituita dai due punti
3. FORME DIFFERENZIALI IN R3
63
P0 = γ(0) con il segno −
P1 = γ(1) con il segno +
Se ω0 = f (x, y, z) è una 0−forma
Z
Z
ω0 = −
(4.2)
∂S1
Z
ω0 = f (P1 ) − f (P0 )
ω0 +
P0
P1
Si può provare che
T EOREMA 4.2. Sia ωn una n − f orma in A, allora
d(dωk ) = 0.
D IMOSTRAZIONE . Dimostriamo il risultato nel caso in cui ω1 è una
1-forma in R3
ω1 = f1 dx1 + f2 dx2 + f3 dx3
si ha
∂f1
∂f1
dx2 ∧ dx1 +
dx3 ∧ dx1 +
∂x2
∂x3
∂f2
∂f2
+
dx1 ∧ dx2 +
dx3 ∧ dx2 +
∂x1
∂x3
∂f3
∂f3
dx1 ∧ dx3 +
dx2 ∧ dx3
+
∂x1
∂x2
e tenendo conto che dxi ∧ dxj = −dxj ∧ dxi ,
dω1 =
∂ 2 f1
dx3 ∧ dx2 ∧ dx1 +
∂x3 ∂x2
∂ 2 f2
+
dx3 ∧ dx1 ∧ dx2 +
∂x3 ∂x1
∂ 2 f3
+
dx2 ∧ dx1 ∧ dx3 +
∂x2 ∂x1
e ogni termine elide il successivo.
d(dω1 ) =
∂ 2 f1
dx2 ∧ dx3 ∧ dx1 +
∂x2 ∂x3
∂ 2 f2
dx1 ∧ dx3 ∧ dx2 +
∂x1 ∂x3
∂ 2 f3
dx1 ∧ dx2 ∧ dx3
∂x1 ∂x2
2
D EFINIZIONE 4.7. Sia ωn una n − f orma differenziale in A, diciamo
che ωn è esatta se esiste una (n − 1) − f orma su A, ηn−1 tale che
dηn−1 = ωn
ηn−1 si chiama primitiva di ωn .
Diciamo che ωn è chiusa se
dωn = 0.
E’ immediata conseguenza del precedente teorema il seguente risultato.
T EOREMA 4.3. Sia ωn una n − f orma su A. Se ωn è esatta, allora ωn
è chiusa.
64
4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.
D IMOSTRAZIONE . Se ωn è esatta, ωn = dηn−1 e
dωn = d(dηn−1 ) = 0.
2
Inoltre
Ogni 3 − f orma in R3 è chiusa
A questo punto è importante riconoscere tra le n − f orme su R3 quelle esatte e determinarne le primitive. Questo problema infatti ha notevoli
riscontri sia dal punto di vista matematico che dal punto di vista fisico.
T EOREMA 4.4. Sia ωn una n−forma differenziale su un insieme A
aperto e stellato; allora se ωn è chiusa si ha che ωn è esatta.
Poichè ci limitiamo a considerare soltanto forme differenziali in R3 ,
possiamo discutere l’enunciato precedente in ognuno dei tre casi che si presentano e dal momento che i risultati che riguardano le forme differenziali
sono strettamente collegati alla teoria dei campi vettoriali, ricordiamo che
è assegnato un campo vettoriale in R3 se è data una funzione
F : A −→ R3 , A ⊂ R3
F (x, y, z) = (f (x, y, z), g(x, y, z), h(x, y, z))
f, g, h : A −→ R
Ad un campo vettoriale F si può associare tanto una 1−forma
ω1 = f dx + gdy + hdz
che una 2−forma
ω2 = f dy ∧ dz + gdz ∧ dx + hdx ∧ dy
e gli integrali di linea di ω1 e di superficie di ω2 rappresentano, rispettivamente il lavoro lungo una linea ed il flusso attraverso una superficie
del campo vettoriale F .
Una 0 − f orma ed una 3−forma sono semplicemente identificate da
una funzione
f : A −→ R3 , A ⊂ R
mediante le
ω0 = f
,
ω3 = f dx ∧ dy ∧ dz
3. FORME DIFFERENZIALI IN R3
65
Si definisce divergenza di un campo vettoriale F la funzione scalare
div F =
∂f
∂g ∂h
+
+
∂x ∂y ∂z
mentre si definisce rotore di un campo vettoriale F la funzione vettoriale
rot F = (hy − gz , fz − hx , gx − fy )
Se introduciamo il vettore formale
∂ ∂ ∂
D=
, ,
∂x ∂y ∂z
possiamo scrivere che
div F = hD, F i
rot F = D ∧ F
Ricordiamo anche
div ∇φ =
∂2φ ∂2φ ∂2φ
+
+ 2 = ∆φ
∂x2 ∂y 2
∂z
∆φ si chiama laplaciano della funzione φ ed è di fondamentale importanza in svariati campi della matematica e della fisica.
3.1. Primitive di 1−forme. Consideriamo una 1−forma
ω1 = f (x, y, z)dx + g(x, y, z)dy + h(x, y, z)dz
ed il campo vettoriale
F = (f, g, h)
ad essa associato. Si ha
dω1 = (fy − gx )dy ∧ dx + (fz − hx )dz ∧ dx + (hy − gz )dy ∧ dz
e pertanto, affinchè ω1 sia esatta deve essere dω1 = 0 e quindi
fy − gx = 0
fz − hx = 0
hy − gz = 0
cioè che
rot F = 0
La 0−forma ω0 = ϕ(x, y, z) è una primitiva di ω1 se dω0 = ω1 cioè se
ϕx = f
ϕy = g
ϕz = h
ed in termini di campo vettoriale se
F = ∇ϕ
66
4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.
Possiamo definire
Z
x
A(x, y, z) =
f (t, y, z)dt
x0
e scegliere
ϕ(x, y, z) = A(x, y, z) + a(y, z)
Deve anche essere
g(x, y, z) = ϕy (t, y, z) = Ay (t, y, z) + ay (y, z)
Poichè a dipende soltanto da (y, z), affinchè la precedente uguaglianza sia
possibile occorre che la funzione
g(x, y, z) − Ay (x, y, z)
non dipenda da x; per verificare se questo è vero possiamo derivare rispetto
ad x ed otteniamo
gx − Ayx = gx − Axy = gx − fy = 0
in quanto valgono le condizioni necessarie.
Pertanto l’uguaglianza
ay (y, z) = g(x, y, z) − Ay (x, y, z)
è possibile e possiamo concludere che
Z y
a(y, z) =
g(x, η, z) − Ay (x, η, z) dη + b(z) = B(y, z) + b(z)
y0
Ma allora
ϕ(x, y, z) = A(x, y, z) + B(y, z) + b(z)
e deve infine essere
ϕz (x, y, z) = Az (x, y, z) + Bz (y, z) + bz (z) = h(x, y, z)
Affinchè sia possibile trovare b in modo che la precedente uguaglianza
sia soddisfatta è necessario che
Az (x, y, z) + Bz (y, z) − h(x, y, z)
dipenda solo da z e quindi che
h(x, y, z) − Az (x, y, z) − Bz (y, z) = 0
x
h(x, y, z) − Az (x, y, z) − Bz (y, z) = 0
y
Si ha
(h − Az − Bz )x = hx − Azx − Gzx = hx − Axz = hx − fz = 0
(h − Az − Bz )y = hy − Azy − Gzy = hy − Azy − gz + Fyz = hy − gz = 0
È allora sufficiente porre
Z z
(h − Az − az )(x, y, ζ)dζ
b(z) =
z0
3. FORME DIFFERENZIALI IN R3
67
3.2. Primitive di 2−forme. Consideriamo una 2−forma
ω2 = f (x, y, z)dy ∧ dz + g(x, y, z)dz ∧ dx + h(x, y, z)dx ∧ dy
ed il campo vettoriale
F = (f, g, h)
ad essa associato. Si ha
dω2 = (fx + gy + hz )dx ∧ dy ∧ dx
e pertanto, affinchè ω2 sia esatta dω2 = 0 e quindi
fx + gy + hz = 0
cioè che
div F = 0
La 1−forma ω1 = α(x, y, z)dx + β(x, y, z)dy + γ(x, y, z)dx cui associamo il campo vettoriale Φ = (α, β, γ), è una primitiva di ω2 se dω1 = ω2 ,
cioè se
γy − βz = f
αz − γx = g
βx − αy = h
ed in termini di campo vettoriale se
Φ = rot F
Possiamo scegliere di cercare una primitiva per la quale risulti
γ(x, y, z) = 0
per cui, le prime due condizioni sono soddisfatte se
−βz = f
αz = g
e allo scopo è sufficiente definire
Z z
α(x, y, z) =
g(x, y, ζ)dζ + a(x, y) = B(x, y, z) + a(x, y)
z0
Z z
β(x, y, z) =
−f (x, y, ζ)dζ + b(x, y) = −A(x, y, z) + b(x, y)
z0
Per quel che riguarda la terza condizione osserviamo che poichè supponiamo soddisfatta la condizione necessaria per l’esistenza della primitiva di
ω2 , si ha
(βx − αy − h)z = βxz − αyz − hz =
= βzx − αzy − hz = −gy − fx − hz = 0
ammesso che la condizione necessaria sia soddisfatta, e quindi
βx − αy − h
68
4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.
è costante rispetto a z e si ha
(βx − αy − h)(x, y, z) = 0
⇐⇒
(βx − αy − h)(x, y, z0 ) = 0
Ma allora, poichè
Z
z
Bx (x, y, z) =
gx (x, y, ζ)dζ
Z z0z
Ay (x, y, z) =
fy (x, y, ζ)dζ
z0
avremo
(βx − αy − h)(x, y, z0 ) =
= (bx − ay − Ay − Bx − h) (x, y, z0 ) = (bx − ay − h) (x, y, z0 ) = 0
e l’ultima uguaglianza è verificata se scegliamo, ad esempio,
Z x
a(x, y) = 0
,
b(x, y) =
h(ξ, y, z)dξ
x0
3.3. Primitive di 3−forme. Consideriamo una 3−forma
ω3 = f (x, y, z)dx ∧ dy ∧ dz
si ha sempre
dω3 = 0
e pertanto ω3 è sempre esatta
La 2−forma ω2 = α(x, y, z)dx + β(x, y, z)dy + γ(x, y, z)dx cui associamo il campo vettoriale Φ = (α, β, γ), è una primitiva di ω3 se dω2 = ω3 ,
cioè se
αx + βy + γz = f
ed in termini di campo vettoriale se
div Φ = f
Si verifica subito che possiamo trovare una primitiva definendo
Z z
α(x, y, z) = β(x, y, z) = 0
γ(x, y, z) =
f (x, yζ)dζ
z0
4. Il Teorema di Stokes
Il teorema di Stokes costituisce la naturale estensione del teorema fondamentale del calcolo integrale, cosı̀ come il concetto di potenziale di una
forma differenziale costituisce la naturale estensione del concetto di primitiva di una funzione di una variabile reale, ed è di grandissima importanza
nella teoria e nelle applicazioni.
Con le definizioni precedenti il teorema di Stokes può essere enunciato
come segue
4. IL TEOREMA DI STOKES
69
T EOREMA 4.5. - Stokes - Sia ωn−1 una (n − 1) − f orma differenziale
su Rk e sia C una n-varietà in Rk ; allora
Z
Z
ωn−1 =
dωn−1 .
∂C
C
Il teorema di Stokes è suscettibile di significative conseguenze sia in R2
che in R3 soprattutto se si tiene conto del fatto che, ad esempio in R3 , le
1−forme e le 2−forme possono essere identificate con un campo vettoriale.
(in R2 soltanto le 1−forme)
R3
4.1. Il teorema della divergenza in R3 . Consideriamo una 2-forma in
ω2 (x, y, z) = f (x, y, z)dy ∧ dz + g(x, y, z)dz ∧ dx + h(x, y, z)dx ∧ dy
ed il campo vettoriale che la identifica
F = (f, g, h)
Si ha
dω2 = (fx + gy + hz )dx ∧ dy ∧ dz
Se V = V (t, s, r) è una 3−varietà la cui frontiera è
∂V = +V (1, s, r)∪−V (0, s, r)∪−V (t, 1, r)∪+V (t, 0, r)∪+V (t, s, 1)∪−V (t, s, 0)
si ha
Z
Z
f dy ∧ dz + gdz ∧ dx + hdx ∧ dy =
(4.3)
∂V
(fx + gy + hz )dx ∧ dy ∧ dz
V
E, se si tiene conto che la normale a ∂V è data da
1 ∂(y, z) ∂(x, z) ∂(x, y)
1 ∂(y, z) ∂(z, x) ∂(x, y)
N=
,−
,
=
,
,
ν ∂(u, v) ∂(u, v) ∂(u, v)
ν ∂(u, v) ∂(u, v) ∂(u, v)
s
2 2 2
∂(y, z)
∂(x, z)
∂(x, y)
+
+
ν=
∂(u, v)
∂(u, v)
∂(u, v)
si ottiene
Z
f dy ∧ dz − gdx ∧ dz + hdx ∧ dy =
∂V
ZZ
1
∂(y, z)
∂(x, z)
∂(x, y)
=
f
−g
+h
νdudv =
∂(u, v)
∂(u, v)
∂(u, v)
D ν
ZZ
ZZ
=
hF, N iνdudv =
hF, N idσ
D
∂C
70
4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.
Pertanto si ha
ZZ
(4.4)
Z ZZ
hF, Ne idσ =
∂V
div F dxdydz
V
ove Ne = N sgn JV è il versore normale a ∂V orientato verso l’esterno di
V.
La 4.3 è nota come teorema di Gauss e la 4.4 è la formulazione del
teorema della divergenza.
Possiamo dimostrare il teorema della divergenza come segue.
D IMOSTRAZIONE . Proviamo ad esempio che
ZZZ
ZZ
fx dx ∧ dy ∧ dz =
f dy ∧ dz
V
Si ha
ZZ
Z
∂V
1
Z
1
∂(y, z) t=1
f dy ∧ dz =
f
dsdr−
∂(s, r) t=0
∂V
0
0
Z 1Z 1
Z 1Z 1
∂(y, z) s=1
∂(y, z) r=1
−
f
f
dtdr +
dtds =
∂(t, s) s=0
∂(t, s) r=0
0
0
0
0
Z 1Z 1Z 1 ∂(y, z)
d
f
dtdsdr−
=
∂(s, r)
0
0
0 dt
Z 1Z 1Z 1
d
∂(y, z)
−
f
dsdtdr+
∂(t, s)
0
0
0 ds
Z 1Z 1Z 1
d
∂(y, z)
+
f
drdtds
∂(t, s)
0
0
0 dr
e
ZZ
f dy ∧ dz =
Z 1Z 1Z 1
∂(y, z)
d ∂(y, z)
=
(fx xt + fy yt + fz zt )
+f
dtdsdr−
∂(s, r)
dt ∂(s, r)
0
0
0
Z 1Z 1Z 1
∂(y, z)
d ∂(y, z)
−
(fx xs + fy ys + fz zs )
+f
dtdsdr+
∂(t, r)
ds ∂(t, r)
0
0
0
Z 1Z 1Z 1
∂(y, z)
d ∂(y, z)
+
(fx xr + fy yr + fz zr )
+ +f
dtdsdr =
∂(t, s)
dr ∂(t, s)
0
0
0
Z 1Z 1Z 1
∂(y, z)
=
(fx xt + fy yt + fz zt )
−
∂(s, r)
0
0
0
∂(y, z)
∂(y, z)
− (fx xs + fy ys + fz zs )
+ (fx xr + fy yr + fz zr )
dtdsdr =
∂(t, r)
∂(t, s)
Z 1Z 1Z 1 d ∂(y, z)
d ∂(y, z)
d ∂(y, z)
=
f
−
+
dtdsdr
dt ∂(s, r) ds ∂(t, r)
dr ∂(t, s)
0
0
0
∂V
4. IL TEOREMA DI STOKES
71
Ma
d ∂(y, z)
d ∂(y, z)
d ∂(y, z)
−
+
=
dt ∂(s, r) ds ∂(t, r)
dr ∂(t, s)
d
d
d
ys zs
yt zt
yt zt
det
−
det
+
det
=
=
yr zr
yr zr
ys zs
dt
ds
dr
yst zs
ys zst
yts zt
yt zts
= det
+ det
− det
− det
+
yrt zr
yr zrt
yrs zr
yr zrs
ytr zt
yt ztr
+ det
+ det
=0
ysr zs
ys zsr
per cui
ZZ
Z
1
Z
1
Z
1
∂(y, z)
−
∂(s, r)
∂V
0
0
0
∂(y, z)
∂(y, z)
− (fx xs + fy ys + fz zs )
+ (fx xr + fy yr + fz zr )
dtdsdr =
∂(t, r)
∂(t, s)
Z 1Z 1Z 1 ∂(y, z)
∂(y, z)
∂(y, z)
− xs
+ xr
dtdsdr+
=
fx xt
∂(s, r)
∂(t, r)
∂(t, s)
0
0
0
Z 1Z 1Z 1 ∂(y, z)
∂(y, z)
∂(y, z)
+
fy yt
− ys
+ yr
dtdsdr+
∂(s, r)
∂(t, r)
∂(t, s)
0
0
0
Z 1Z 1Z 1 ∂(y, z)
∂(y, z)
∂(y, z)
+
fz zt
− zs
+ zr
dtdsdr
∂(s, r)
∂(t, r)
∂(t, s)
0
0
0
f dy ∧ dz =
(fx xt + fy yt + fz zt )
Poichè
∂(y, z)
∂(y, z)
∂(y, z)
yt
− ys
+ yr
=
∂(s, r)
∂(t, r)
∂t, s
ys zs
yt zt
yt zt
yt det
− ys det
+ yr det
=0
yr zr
yr zr
ys zs
∂(y, z)
∂(y, z)
∂(y, z)
zt
− zs
+ zr
=
∂(s, r)
∂(t, r)
∂t, s
ys zs
yt zt
yt zt
zt det
− zs det
+ zr det
=0
yr zr
yr zr
ys zs
e
Possiamo concludere
72
4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.
ZZ
f dy ∧ dz =
Z 1Z 1Z 1 ∂(y, z)
∂(y, z)
∂(y, z)
=
fx xt
− xs
+ xr
dtdsdr =
∂(s, r)
∂(t, r)
∂(t, s)
0
0
0


Z 1Z 1Z 1
xt yt zt
=
fx det xs ys zs  dtdsdr =
0
0
0
xr yr zr
ZZZ
Z 1Z 1Z 1
∂(x, y, z)
=
fx dx ∧ dy ∧ dzdtdsdr
=
fx
∂(t, s, r)
V
0
0
0
2
∂V
4.2. Il Teorema del Rotore. Se consideriamo una 1-forma in R3
ω1 = f dx + gdy + hdz
e se
F = (f, g, h)
è il campo vettoriale ad essa associato, si ha
dω1 = (gx − fy )dx ∧ dy + (hy − gz )dy ∧ dz + (hx − fz )dx ∧ dz
Sia S = S(u, v) una 2−varietà, cioè sia
S : [0, 1] × [0, 1] → R3
e sia ∂S la sua frontiera
∂S = −S(1, v) ∪ +S(0, v) ∪ +S(u, 1) ∪ −S(u, 0)
si ha
Z
(4.5)
f dx + gdy + hdz =
Z
= (gx − fy )dx ∧ dy + (hy − gz )dy ∧ dz + (hx − fz )dx ∧ dz
∂S
S
Ricordando che il versore tangente a ∂S è dato da
T =
ẋ
p
ẋ2 + ẏ 2 + ż 2
,p
ẏ
ẋ2 + ẏ 2 + ż 2
,p
ż
ẋ2 + ẏ 2 + ż 2
!
4. IL TEOREMA DI STOKES
73
si ha
Z
b
Z
f dx + gdy + hdz =
(f ẋ + g ẏ + hż)dt =
∂S
a
Z
=
b
Z
p
hF, T ids
hF, T i ẋ2 + ẏ 2 + ż 2 dt =
∂S
a
mentre
Z
(gx − fy )dx ∧ dy + (hy − gz )dy ∧ dz + (hx − fz )dx ∧ dz =
S
ZZ
∂(x, y)
∂(y, z)
∂(x, z)
1
(gx − fy )
+ (hy − gz )
+ (hx − fz )
νdudv =
=
∂(u, v)
∂(u, v)
∂(u, v)
D ν
ZZ
ZZ
=
hrot F, N iνdudv =
hrot F, N idσ
D
S
Si ottiene perciò che
Z
ZZ
hF, T ids =
(4.6)
∂C
hrot F, N idσ
C
La 4.6 è nota come teorema del rotore.
Osserviamo che nella formula compare N e non Ne .
Le formule 4.6 e 4.4 assumono un’interessante aspetto nel caso in cui
F = ∇φ.
Si ha infatti in tal caso che, se C2 è una 2-varietà e C3 è una 3-varietà
Z
(4.7)
h∇φ, T ids = 0
∂C2
ZZ
ZZZ
h∇φ, Ne ids =
∂C3
∆φdxdydz
C3
Possiamo dimostrare il teorema del rotore come segue.
D IMOSTRAZIONE . Proviamo il teorema nel caso in cui
F = (0, 0, h(x, y, z))
per cui
rot F = (hy (x, y, z), −hx (x, y, z), 0)
In tal caso si ha
74
4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.
Z
Z
1
Z
hF, T ids =
hdz =
∂S
∂S
h(x(u, 0), y(u, 0), z(u, 0))zu (u, 0)−
0
− h(x(u, 1), y(u, 1), z(u, 1))zu (u, 1)du+
Z
1
+
h(x(1, v), y(1, v), z(1, v))zv (1, v)−
0
− h(x(0, v), y(0, v), z(0, v))zv (0, v)dv =
Z
=−
0
Z
1
Z
=
0
0
1
Z
1
d
h(x(u, v), y(u, v), z(u, v))zu (u, v)dvdu+
0 dv
Z 1Z 1
d
+
h(x(u, v), y(u, v), z(u, v))zv (u, v)dudv =
0
0 du
1
−(hx xv +hy yv +hz zv )zu −hzuv +(hx xu +hy yu +hz zu )zv +hzvu dudv =
Z 1Z 1
=
hx (xu zv − xv zu ) + hy (yu zv − xv zu )dudv =
0
0
ZZ
Z 1Z 1
∂y, z
∂(x, z)
=
hx
+ hy
dudv =
hrot F N idσ
∂(u, v)
∂(u, v)
0
0
∂S
2
4.3. La formula di Green nel piano. Consideriamo la 1 − f orma in
R2
ω1 (x, y) = f (x, y)dx + g(x, y)dy
ed il campo vettoriale su R2
F = (f, g)
Avremo
dω1 = (−fy + gx )dx ∧ dy
Sia γ = γ(t) una 1−varietà in R2 , cioè sia
γ : [a, b] → R2
avremo
∂γ = +γ(b) ∪ −γ(a)
si ha
Z
Z
(−fy + gx )dx ∧ dy.
f dx + gdy =
(4.8)
∂γ
γ
4. IL TEOREMA DI STOKES
75
Ora, se N è il versore normale a ∂γ,
N=
ẏ
p
ẋ2 + ẏ 2
, −p
ẋ
!
ẋ2 + ẏ 2
e pertanto
Z
Z b
f dx − gdy =
(f ẋ + g ẏ)dt =
∂γ
a
Z
b
2
2
Z
hF, N i(ẋ + ẏ )dt =
=
a
hF, N ids
∂γ
La 4.8 è nota come teorema di Green e si può dimostrare come segue.
D IMOSTRAZIONE .
Z
Z bZ d
∂(x, y) dtds =
gx (x, y)dxdy =
gx (x(t, s), y(t, s)) ∂(t, s) Ω
a
c
Z bZ d
=
gx (x, y)[xt ys − xs yt ]dtds =
a
c
Z b Z dh
=
gx (x, y)xt ys − gx (x, y)xs yt +
a
c
i
+ gy (x, y)yt ys − gy (x, y)ys yt dtds =
Z b Z dh
i
=
gx (x, y)xt + gy (x, y)yt ys −
a
c
Z b Z dh
i
−
gx (x, y)xs + gy (x, y)ys yt dtds =
a
c
Z d Z b d
g(φ(t, s)) ys (t, s)dt ds−
=
dt
c
a
Z b Z d d
−
g(φ(t, s)) ys (t, s)ds dt =
ds
a
c
Z d
Z b
t=b
=
g(φ(t, s))ys (t, s) t=a −
g(φ(t, s))yst (t, s)dt ds−
c
a
Z b
Z d
s=d
g(φ(t, s))yt (t, s) s=c −
−
g(φ(t, s))yts (t, s)ds dt =
a
=
c
Z dh
c
i
g(φ(b, s))ys (b, s) − g(φ(a, s))ys (a, s) ds−
Z bh
i
−
g(φ(t, d))yt (t, d) − g(φ(t, c))yt (t, c) dt =
a
Z
=
g(x, y)dy
∂Ω
2
76
4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.
4.4. Campi conservativi. Concludiamo questo paragrafo precisando i
risultati ottenuti per le 1-forme in R3 nell’ambito dello studio dei campi
vettoriali.
D EFINIZIONE 4.8. Sia A ⊂ R3 aperto e siano
f, g, h : A −→ R , f, g, h ∈ C 2 (A)
Sia
ω = f dx + gdy + hdz
e
F = (f, g, h)
ω è la 1-forma differenziale corrispondente al campo vettoriale F e reciprocamente F è il campo vettoriale che corrisponde alla 1-forma ω.
Diamo ora alcune definizioni che sono la controparte relativa al campo
F delle definizioni date in precedenza, per le 1-forme ω.
D EFINIZIONE 4.9. Sia F : A −→ R3 , A ⊂ R3 aperto, un campo
vettorale F = (f, g, h). Diciamo che F è un campo chiuso se
rot F = (hy − gz , fz − hx , gx − fy ) = (0, 0, 0)
Diciamo che F è conservativo, oppure che F ammette potenziale, se esiste
φ : A −→ R
tale che
∇φ = F
In tal caso φ si chiama potenziale di F .
Osserviamo che, evidentemente, un campo vettoriale è chiuso o conservativo se e solo se la corrispondente 1-forma ω è chiusa o esatta, rispettivamente.
E’ pertanto conseguenza dei precedenti risultati che
T EOREMA 4.6. Sia F : A −→ Rk , A ⊂ Rk aperto; se F è conservativo
allora F è chiuso.
Possiamo osservare che il teorema è immediata conseguenza del teorema di Schwarz.
Si può anche dimostrare che
T EOREMA 4.7. Sia F : A −→ R3 , A ⊂ R3 aperto, stellato. Se F è
chiuso, allora F è conservativo.
Il campo vettoriale F : R2 \ {(0, 0)} −→ R2 definito da
−y
x
F (x, y) =
,
x2 + y 2 x2 + y 2
mostra che la condizione A stellato non è inessenziale. Essa può tuttavia
essere un po’ attenuata.
A questo scopo definiamo
4. IL TEOREMA DI STOKES
77
D EFINIZIONE 4.10. Sia F : A −→ R3 , A ⊂ R3 aperto, e sia γ una
1-varietà in Rk , γ(t) = (x(t), y(t), z(t)), t ∈ [a, b]; definiamo
Z
Z
Z b
F = ω=
f (γ(t))ẋ(t) + g(γ(t))ẏ(t) + h(γ(t))ż(t)dt =
γ
Z
γ
b
=
a
a
Z
γ̇(t) p 2
2
2
hF (γ(t)),
i ẋ (t) + ẏ (t) + ż (t)dt = hF, Tγ ids
kγ̇(t)k
γ
dove Tγ (t) indica il vettore tangente unitario alla curva γ.
Possiamo dimostrare che
T EOREMA 4.8. Sia F : A −→ Rk , A ⊂ Rk aperto e connesso, un
campo vettoriale; sono condizioni equivalenti
(1) F
R è conservativo;
(2) γ F = 0 su ogni curva chiusa γ contenuta in A;
R
(3) γ F dipende solo dagli estremi di γ.
(Per semplicità la funzione F e la funzione γ sono supposte di classe
C , ma è sufficiente F ∈ C 0 e γ regolare a tratti.)
2
D IMOSTRAZIONE .
1) ⇒ 2)
Se F = ∇φ con φ : A −→ R, si ha
Z
Z b
(4.9)
F =
φx (γ(t))ẋ(t) + φy (γ(t))ẏ(t) + φz (γ(t))ż(t)dt =
γ
a
Z
=
a
b
d
φ(γ(t))dt = φ(γ(b)) − φ(γ(a)) = 0
dt
2) ⇒ 3). Siano γ1 e γ2 due curve con gli stessi estremi; allora γ =
γ1 − γ2 è chiusa e
Z
Z
Z
F =
F−
F =0
γ
γ1
γ2
3) ⇒ 1). Poiché vale 3), seγ è una qualunque curva avente per estremi
P = (x, y, z) ∈ A e P0 = (x0 , y0 , z0 ) ∈ A fissato, possiamo definire
Z
φ(x) = F
γ
Si ha allora, ad esempio
φ(x + t, y, z) − φ(x, y, z)
1
=
t
t
Z
F
γ∗
essendo γ ∗ (s) = (x + s, y, z), 0 ≤ s ≤ t.
Pertanto
Z
φ(x + t, y, z) − φ(x, y, z)
1 t
=
f (x + s, y, z)ds = f (x + σt , y, z)
t
t 0
78
4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.
0 ≤ σt ≤ t e
φ(x + t, y, z) − φ(x, y, z)
= lim f (x + σt ) = f (x)
t→0
t→0
t
lim
2
D EFINIZIONE 4.11. Sia A ⊂ R3 , diciamo che A è semplicemente connesso se ogni curva chiusa contenuta in A può essere deformata con continuità sino a ridursi ad un punto senza uscire da A.
Per la precisione, se γ0 , γ1 : [a, b] −→ A sono due curve chiuse,
diciamo che γ0 e γ1 sono omotope se esiste ψ ∈ C 2 ,
ψ : [0, 1] × [a, b] −→ A
tale che, se s ∈ [0, 1] e t ∈ [a, b]
ψ(0, t) = γ0 (t) , ψ(1, t) = γ1 (t), ψ(s, 0) = ψ(s, 1)
Diciamo che A è semplicemente connesso se ogni 1-varietà chiusa a
valori in A è omotopa ad un punto di A.
T EOREMA 4.9. Sia F : A −→ R3 un campo vettoriale chiuso, A ⊂ R3 ,
e siano γ0 e γ1 due curve chiuse a valori in A, omotope, allora
Z
Z
F =
F.
γ0
γ1
D IMOSTRAZIONE . Poichè γ0 e γ1 sono omotope, esiste S tale che
S : [0, 1] × [a, b] −→ A
tale che, se u ∈ [0, 1] e v ∈ [a, b]
S(0, v) = γ0 (v) , S(1, v) = γ1 (v), S(u, 0) = S(u, 1)
Definiamo
γ2 (u) = S(u, 0) = S(u, 1) , u ∈ [0, 1]
Per il teorema di Stokes avremo
∂S = γ2 + γ1 − γ2 − γ0
per cui
Z
Z
Z
F−
F+
γ2
Z
γ1
Z
F−
γ2
F =
γ0
Z
ω=
∂S
dω = 0
S
e si può concludere che
Z
Z
F−
γ1
=0
γ2
2
C OROLLARIO 4.1. Sia F : A −→ Rk un campo vettoriale, A ⊂ Rk
semplicemente connesso, allora F è conservativo se e solo se F è chiuso.
CAPITOLO 5
LE SERIE
Il problema di sommare un numero non finito di quantità numeriche è
stato per lungo tempo considerato privo di senso, ma è giustificabile facilmente, anche dal punto di vista intuitivo, non appena si consideri il seguente
esempio.
Sia I = [0, 1] e consideriamo una successione di intervalli cosı̀ definita:
poniamo
I1 = [0, 1/2]
I2 = [1/2, 1/4]
I3 = [1/4, 1/8]
I4 = [1/8, 3/4]
·········
E’ ovvio che
∪Ik = [0, 1]
ed inoltre la lunghezza del segmento Ik è data da
`(Ik ) = 1/2k
Pertanto
+∞
X
1
1 = `([0, 1]) =
2k
k=1
Possiamo cercare di puntualizzare il concetto di somma infinita mediante la seguente definizione
D EFINIZIONE 5.1. Sia ak una successione di numeri reali e definiamo
n
X
Sn =
ak
k=1
Se lim Sn esiste finito, diciamo che
+∞
X
ak = S = lim Sn
k=1
P
In tal caso si dice che +∞
k=1 ak è una serie convergente che ha per
somma S.
P
Se lim Sn = +∞ (−∞) diciamo che +∞
k=1 ak è una serie positivamente
(negativamente) divergente.
Se lim Sn non esiste diciamo che la serie non è determinata.
79
80
5. LE SERIE
Consideriamo ora qualche esempio importante di serie Sia x ∈ R possiamo considerare an = xn e avremo
Sn =
n
X
ak =
k=0
n
X
xk = 1 + x + x2 + x3 + ... + xn
k=0
Se osserviamo che
xSn = x + x2 + x3 + x4 + ... + xn+1
si ottiene
(1 − x)Sn = 1 − xn+1
e, per x 6= 1,
Sn =
1 − xn+1
1−x
Di qui si vede che
1
• se |x| < 1 lim Sn = 1−x
• se x ≥ 1 lim Sn = +∞
• se x ≤ −1 lim Sn non esiste.
Pertanto
+∞
X
xk =
k=0
1
1−x
se |x| < 1
mentre per i restanti valori di x la serie è divergente o indeterminata.
X
xk
si chiama serie geometrica di ragione x.
Possiamo ottenere facilmente altri esempi di serie convergenti. usando
la formula di Taylor.
Consideriamo lo sviluppo di McLaurin della funzione ex
x2 x3
xn
−
− ... −
= Rn+1 (x)
2!
3!
n!
dove il resto Rn+1 si può esprimere nella forma di Lagrange mediante la
ex − 1 − x −
|Rn+1 (x)| = ec
|x|n+1
|x|n+1
≤ e|x|
(n + 1)!
(n + 1)!
Pertanto, se definiamo
Sn =
n
X
xk
k=0
k!
kck ≤ kxk
5. LE SERIE
81
si ha
|x|n+1
|e − Sn | ≤ |Rn+1 (x)| ≤ e
(n + 1)!
e tenendo conto che
|x|n+1
lim
= 0 per ogni x ∈ R
(n + 1)!
|x|
x
si ha
x
e = lim Sn =
+∞ k
X
x
k=0
k!
In maniera del tutto analoga si prova che
sin(x) =
+∞
X
(−1)k
k=0
cos(x) =
+∞
X
x2k+1
∀x ∈ R
(2k + 1)!
(−1)k
k=0
ln(1 + x) =
+∞
X
x2k
∀x ∈ R
(2k)!
(−1)k−1
k=1
xk
∀x ∈ [−1/2, 1]
k
Dal momento che, per n grande
n
X
k=1
ak =
k0
X
ak +
k=1
n
X
ak
k=k0
e dal momento che
k0
X
ak ∈ R
k=1
possiamo dire che una serie converge diverge o è indeterminata indipendentemente dal termine a partire da quale si inizia a sommare; ovviamente la
somma della serie cambia, cambiando il punto di partenza.
Pertanto il carattere di una serie, cioè il fatto che sia convergente, divergente o indeterminata, non è influenzato dalla scelta del primo indice
di somma.
Rn =
+∞
X
k=n+1
ak
82
5. LE SERIE
si chiama ’resto ennesimo’ della serie data ed è una serie che ha lo stesso
carattere della serie stessa poichè
SN − Sn =
N
X
ak
k=n
si ricava, per N → +∞
R n = S − Sn
e quindi lim Rn = 0 se e solo se la serie è convergente.
Dalla definizione di serie e dal criterio di convergenza di Cauchy possiamo subito dedurre che
P
T EOREMA 5.1. Condizione necessaria e sufficiente affinché
ak sia
convergente è che
n+p
X
∀ε > 0 ∃nε tale che ∀n > nε , ∀p ∈ N si ha ak < ε.
k=n+1
P
D IMOSTRAZIONE . Si ha infatti che ak è convergente se e solo se la
successione delle sue ridotte ennesime è convergente ad S ∈ R.
Pertanto ad essa si può applicare il criterio di Cauchy e si può affermare
che:
∀ε > 0 ∃nε ∈ N tale che, se n, m > nε
|Sn − Sm | < ε
o, equivalentemente, se n > nε e p ∈ N
n+p
X
|Sn+p − Sn | = k=n+1
ak < ε
2
Come conseguenza immediata otteniamo per p = 1, che, ∀ε > 0 ∃nε ∈
N tale che, se n > nε (per p = 1)
|an+1 | = |Sn+1 − Sn | < ε
e quindi
Condizione necessaria affinché
X
ak
sia convergente è che
lim ak = 0
Sottolineiamo che la condizione è solo necessaria e pertanto non assicura, da sola, la convergenza della serie; viceversa, se non è soddisfatta,
permette di concludere che la serie non è convergente.
1. CRITERI DI CONVERGENZA PER LE SERIE A TERMINI POSITIVI
83
Se ad esempio consideriamo
+∞
X
1
k=1
k
si ha lim k1 = 0 e tuttavia la serie è divergente.
Infatti le sue ridotte Sn formano una successione crescente che quindi
ammette limite; tale limite non può essere finito in quanto non è soddisfatto
il criterio di Cauchy perché
2n
X
1
1
1
≥n
=
k
2n
2
k=n+1
1. Criteri di convergenza per le serie a termini positivi
Se ak ≥ 0, o più in generale se ha segno costante, la successione delle
ridotte ennesime è monotona; pertanto il lim Sn esiste, essendo possibili i
valori +∞ e −∞.
Sia
X
ak
una serie a termini positivi, allora essa è o convergente o positivamente
divergente.
P
D EFINIZIONE 5.2.
Diciamo
che
ak è assolutamente convergente se
P
risulta convergente
|a
|.
k
P
P
Diciamo che ak è assolutamente divergente se
|ak | = +∞.
P
T EOREMA 5.2. Se ak è assolutamente convergente, allora è convergente.
Infatti
n+p
n+p
X
X
ak ≤
|ak |
k=n+1
k=n+1
e si può concludere per il criterio di convergenza di Cauchy.
P
P
1.1. Criterio del confronto di Gauss. Siano m > 0, ak e
bk due
serie tali che 0≤ ak ≤ mbk ; allora:
P
P
• se P bk converge ancheP ak converge
• se ak diverge anche bk diverge.
P
P
Infatti dette Sna ed Snb le ridotte di ak e bk , rispettivamente, si ha:
0 ≤ Sna ≤ mSnb .
Inoltre Sna ed Snb sono successioni crescenti e pertanto ammettono limite.
Possiamo anche enunciare il criterio nella seguente forma
84
5. LE SERIE
P
P
Siano ak e bk due serie tali che ak , bk >0 e supponiamo che esista
un indice k0 tale che, per k > k0
ak
0<m≤
≤M
bk
P
P
allora si ha che ak e bk hanno lo stesso carattere.
Se invece
ak
0<m≤
bkP
P
si
allora anche bk è convergente, mentre se
Pha che se ak convergeP
bk diverge allora anche ak è divergente.
1.2. Criterio del confronto asintotico. Poichè il carattere di una serie
(non la sua somma) non dipende dall’indice da cui si parte a sommare,
possiamo
P affermare
P che:
se ak e bk sono due serie a termini positivi e se supponiamo che
ak
lim
= ` ∈ R+
bk
allora le due serie hanno lo stesso carattere.
Se invece
ak
lim
=0
bk
si ha:
P
P
• se P ak è divergente, allora Pbk è divergente;
• se bk è convergente, allora ak è convergente.
P
1.3. Criterio del rapporto D’Alembert. Sia
ak una serie tale che
ak >0 e supponiamo che
ak+1
lim
= ` ∈ R.
ak
P
• Se ` < 1 allora P ak è convergente
• se ` > 1 allora ak è divergente.
Infatti se ` < 1 si ha, definitivamente
ak+1
< (` + ε) < 1
ak
e pertanto se ne deduce che
ak+p < (` + ε)p ak
la serie di termine (` + ε)p ak è una serie geometrica di ragione < 1 e quindi
è convergente.
Se ` > 1, definitivamente, si ha
ak+1
> (` − ε) > 1
ak
1. CRITERI DI CONVERGENZA PER LE SERIE A TERMINI POSITIVI
85
e quindi
ak+p > (` − ε)p ak
ed ak non tende a 0.
P
1.4. criterio della radice di Cauchy. Sia ak una serie tale che ak ≥
0 e supponiamo che
√
lim k ak = ` ∈ R
P
• Se ` < 1 allora P ak è convergente
• se ` > 1 allora ak è divergente.
Infatti se ` < 1 si ha, definitivamente
√
k
ak < (` + ε) < 1 e ak < (` + ε)k
mentre se ` > 1 si ha, definitivamente
√
k
ak > (` − ε) > 1 e ak > 1
1.5. Il criterio dell’integrale di Mc Laurin-Cauchy. I concetti di serie e di integrale. sono profondamente affini ed il fatto si riflette nel seguente
criterio
Sia
f : [1, +∞) −→ R+
decrescente e sia ak = f (k), allora
Z n+p+1
Z n+p
n+p
X
f (x)dx ≤
ak ≤
f (x)dx
n
n−1
k=n
e ne deduciamo
che f è integrabile in senso improprio su [1, +∞) se e
P
solo se ak è convergente.
Inoltre, posto
Z
+∞
In =
f (x)dx
n
si ha
0 ≤ S − Sn = Rn ≤ In
e
Z
1 n+1
I
+
I
n
n+1
S − Sn +
≤
f (x)dx
2
2
n
Dal momento che f è decrescente si ha
Z k+1
Z
f (x)dx ≤ f (k) ≤
k
k
f (x)dx
k−1
e sommando per k = n, .., n + p si ottengono le prime due disuguaglianze.
86
5. LE SERIE
Inoltre la funzione
Z
x
F (x) =
f (t)dt
1
è definita e continua per x ∈ R+ ed è crescente in R¯+ in quanto, se 0 ≤ x <
y si ha
Z
y
F (y) − F (x) =
f (t)dt ≥ 0
x
Ne deduciamo che limx→+∞ F (x) esiste e per le disuguaglianze precedenti l’integrale improprio e la serie hanno lo stesso carattere.
Inoltre l’errore che si commette considerando una ridotta Sn al posto
della somma della serie, essendo ak ≥ 0, è per difetto e si ha S − Sn ≥ 0.
Più precisamente
0 ≤ In+1 ≤ S − Sn = Rn ≤ In
L’approssimazione della somma S della serie può essere ancora migliorata
se si sceglie
Sn + (In + In+1 )/2
in luogo di Sn .
In tal caso si ha infatti
|S − Sn − (In + In+1 )/2| = |Rn − (In + In+1 )/2| ≤
1
≤ (In − In+1 )/2 =
2
Z
n+1
f (x)dx
n
Il precedente teorema consente di stabilire il carattere della serie armonica generalizzata
+∞
X
1
α>0
α
k
k=1
Si ha infatti
+∞
X
1
=
kα
k=1
(
+∞
S ∈ R+
per 0 < α ≤ 1
per 1 < α
1.6. Criterio dell’ordine di infinitesimo. La serie armonica generalizzata è di grande aiuto nell’applicazione del criterio del confronto asintotico.
Infatti, usando la definizione di ordine di infinitesimo possiamo affermare
che
P
Sia
ak una serie a termini positivi e supponiamo che ak sia
infinitesima di ordine α (non necessariamente reale); allora
• se α ≥ β > 1 , β ∈ R , la serie è convergente ;
• se α ≤ 1 la serie è positivamente divergente .
2. SERIE A TERMINI DI SEGNO ALTERNO
87
P
Osserviamo che, se α > 1 e non è reale, non si può affermare che ak
è convergente, come si vede dal seguente esempio:
sia
1
ak =
k ln k
lim ak = 0 con ordine α > 1, ma α < β ∀β ∈ R, β > 1.
Non si può pertanto applicare il criterio dell’ordine di infinitesimo ma,
per il criterio dell’integrale,
+∞
X
ak = +∞
k=2
Sempre per il criterio dell’integrale
(
+∞
X
1
+∞
=
α
k(ln k)
S ∈ R+
k=2
e
+∞
X
k=3
se 0 < α ≤ 1
se 1 < α
(
1
+∞
=
α
k ln k(ln ln k)
S ∈ R+
se 0 < α ≤ 1
se 1 < α
P
1.7. Serie ”telescopiche”. Se ak è una successione, allora (ak+1 −
ak ) è convergente, divergente, indeterminata a seconda che ak sia convergente, divergente, indeterminata.
Infatti si ha
n
X
Sn =
(ak+1 − ak ) = an+1 − a1
k=1
2. Serie a termini di segno alterno
Sia ak una successione di numeri non negativi e sia
+∞
X
(−1)k ak
k=0
In questa situazione parliamo di serie a segni alterni; per le serie a segni
alterni vale il seguente risultato.
2.1. Criterio di Leibnitz. Supponiamo che ak ≥ ak+1 ≥0 , ∀k ∈ N e
che inoltre lim ak =0. Allora
• la serie è convergente ad S;
• S1 ≤ S ≤ S0 e pertanto S ≥ 0;
• ∀n ∈ N
S2n − a2n+1 = S2n+1 ≤ S ≤ S2n = S2n−1 + a2n
• le ridotte di indice pari approssimano S per eccesso mentre quelle
di indice dispari approssimano S per difetto;
• |S − Sn | ≤ an+1 .
88
5. LE SERIE
Cominciamo con il mostrare che la successione delle ridotte di indice
pari è decrescente, mentre la successione delle ridotte di indice dispari è
crescente.
Si ha
(5.1)
S2n+2 = S2n − a2n+1 + a2n+2 ≤ S2n
S2n+3 = S2n+1 + a2n+2 − a2n+3 ≥ S2n+1
inoltre
Pertanto lim S2n
S2n − S2n−1 = a2n ≥ 0
= S e lim S2n+1 = S 00 esistono finiti e si ha
0
S 0 − S 00 = lim S2n − S2n+1 = lim a2n = 0
da cui deriva subito che S 0 = S 00 = S = lim Sn .
Per la 5.1 si ha inoltre
0 ≤ a0 − a1 = S1 ≤ S2n+1 ≤ S ≤ S2n ≤ S0 = a0
A proposito della maggiorazione del resto di una serie a segni alterni, è
evidente che è tanto più buona quanto è più grande l’ordine di infinitesimo
della successione an . Si può migliorare la maggiorazione del resto n-esimo
non appena si tenga presente il seguente che
Sia ak una successione tale che ak ≥ ak+i ≥ 0 ∀ ∈ N e supponiamo
che lim ak = 0.
Allora si ha
+∞
+∞
+∞
X
a0 X
a0 X
k
k ak − ak+1
(−1) ak =
+
(−1)
=
+
(−1)k bk .
2
2
2
k=0
h=0
k=0
Evidentemente bk+1 ≥ bk ≥ 0 ed inoltre
lim bk = lim
l−a+∞
ak
=0
k
Infatti bk+1 − bk = 12 (ak+z − ak+1 + ak+1 − ak ) ≥ 0 e l’uguaglianza dei
due limiti può essere dimostrata usnado i teoremi sulle medie di Cesaro di
un successione
In questo modo si ottiene una nuova serie a segni alterni, avente la stessa
somma della serie data e avente un termine generale infinitesimo di ordine
superiore a quello del termine generale della serie data.
Infatti
ak
bk =
+ ωk
k
con ωk → 0 e
bk
→0
ak
3. OPERAZIONI SULLE SERIE
89
2.2. Uguaglianza di Brunacci-Abel. Se ak e bk e se definiamo
Bn,p =
n+p
X
bk
k=n+1
si ha
n+p
X
n+p−1
ak bk = an+p Bn,p +
k=n+1
X
Bn,k−n (ak − ak+1 )
k=n+1
Infatti si ha
n+p
X
ak bk = an+1 bn+1 + an+2 bn+2 + ... + an+p bn+p =
k=n+1
= an+1 Bn,1 + an+2 (Bn,2 − Bn,1 ) + ... + an+p (Bn,p − Bn,p−1 ) =
= Bn,1 (an+1 − an+2 ) + Bn,2 (an+2 − an+3 ) + ...+
+ Bn,p−1 (an+p−1 − an+p ) + an+p Bn,p =
n+p−1
= an+p Bn,p +
X
Bn,k−n (ak − ak+1 )
k=n+1
Criterio di Dirichlet
P
Supponiamo che le ridotte Bn di bk siano limitate da M e che ak sia
decrescente
P e convergente a zero.
Allora ak bk è convergente ed inoltre
+∞
X
ak bk ≤ 2M an+1 .
k=n+1
Criterio di Abel P
Supponiamo
che bk sia convergente e ak sia convergente e monotona.
P
Allora ak bk è convergente.
3. Operazioni sulle serie
Per quel che concerne la somma Si può dimostrare che
P
P
T EOREMA
5.3. Siano
ak e bk due serie convergenti e sia α ∈ R,
P
P
allora
(a + bk ) e αak sono convergenti e si ha
Pk
P
P
• P(ak + bk ) P
= ak + b k
•
αak = α ak
90
5. LE SERIE
Per quanto riguarda il prodotto di due serie occorre innanzi tutto cercare
di definire il termine k-esimo della serie prodotto.
Ciò può essere fatto in vari modi; qui consideriamo il prodotto secondo
Cauchy, che si rivelerà utile quando tratteremo le serie di potenze.
In proposito si può dimostrare il seguente risultato.
T EOREMA 5.4. - Mertens - Definiamo
ck =
k
X
ai bk−i
i=0
P
P
Allora,
se
a
è
assolutamente
convergente
e
bk è convergente,
k
P
anche ck è convergente ed inoltre, se
X
X
X
ak = A ,
bk = B ,
ck = C
si ha
AB = C
Se nessuna delle serie di cui si fa il prodotto è assolutamente convergente, ma entrambe sono solo convergenti, il teorema può essere falso, come si
vede considerando
ak = b k =
(−1)k
(k + 1)α
,
α>0
Si ha infatti
k
k
X
X
(−1)i
(−1)k−i
1
k
==
(−1)
α
α
(i + 1) (k − i + 1)
[(i + 1)(k − i + 1)]α
i=0
i=0
e si vede subito che
|ck | ≥
k
X
i=0
k
X
1
1
=
1 = (k + 1)1−2α
(k + 1)2α
(k + 1)2α i=0
da cui, per 0 < α ≤ 1/2, lim ck non può essere 0 .
Per quanto riguarda la possibilità di raggruppare i termini di una serie,
possiamo provare un semplice risultato.
Precisiamo prima di tutto cosa intendiamo per raggruppamento dei termini di una serie.
P
D EFINIZIONE 5.3. Consideriamo an e consideriamo una successione kn a valori in N , strettamente crescente e con k1 = 1. Definiamo
kn+1 −1
bn =
X
ai
i=kn
P
La serie bn si dice ottenuta dalla serie
secondo il riordinamento kn .
P
an raggruppando i termini
3. OPERAZIONI SULLE SERIE
91
E’ evidente che, dette
Sn0
=
n
X
ak ,
00
Sm
=
m
X
bn
n=1
k=1
si ha
00
Sm
=
m
X
kn+1 −1
n=1
i=kn
00
X
km+1 −1
ai =
X
ai = Sk0 m+1 −1
i=1
è una estratta di Sn0 , si può affermare che:
P
T EOREMA 5.5. Se
ak è una serie convergente, allora ogni serie
ottenuta da essa, raggruppando i termini, è convergente alla stessa somma.
P
Viceversa la convergenza di
bk per una particolare scelta della successione che genera il raggruppamento, non è sufficiente per assicurare che
P
ak converga; se infatti
e dal momento che S
m
ak = (−1)k
e
kn = 2n − 1
si ha
bn =
2n
X
(−1)k = 0.
k=2n−1
Trattiamo per ultimo il problema del riordinamento dei termini di una
serie e precisando, innanzi tutto, cosa intendiamo per riordinamento.
P
D EFINIZIONE 5.4. Consideriamo
ak e supponiamo che i: N −→ N
sia una applicazione iniettiva e surgettiva.
Diciamo che la serie
X
ai(j)
P
è ottenuta riordinando i termini di ak .
Per brevità chiamiamo l’applicazione i riordinamento dei termini della
serie.
P
T EOREMA 5.6. Se P
ak è assolutamente convergente ed i(j) è un riordinamento, allora anche ai(j) è assolutamente convergente e si ha
X
X
ak =
ai(j)
P
Nel caso in cui ak sia convergente, ma non assolutamente convergente è possibile trovare un riordinamento dei termini e due successioni n0 e n00
in modo che Sn0 e Sn00 siano convergenti allo stesso limite o a limiti diversi,
o siano divergenti.
Più precisamente
P
T EOREMA 5.7. - Riemann-Dini - Supponiamo che
ak sia convergente, ma non assolutamente convergente. Siano inoltre α < β , essendo
possibile che α = −∞ e β = +∞.
92
5. LE SERIE
Allora esiste un riordinamento i dei termini della serie in modo che la
successione
h
X
Sh =
ai(j)
j=1
abbia due estratte, l’una convergente ad α , l’altra convergente a β.
Concludiamo ora ricordando che la convergenza assoluta è equivalente
alla convergenza di ogni suo riordinamento.
P
D EFINIZIONE 5.5. Diciamo che ak converge incondizionatamente se
ogni suo riordinamento converge alla stessa somma.
P
T EOREMA 5.8. - Cauchy-Dirichlet - ak converge assolutamente se e
solo se converge incondizionatamente.
CAPITOLO 6
LE SERIE DI FUNZIONI.
1. Successioni di Funzioni.
Lo studio di una serie di funzioni dipende, come per il caso delle serie
numeriche dallo studio della successione delle sue ridotte.
Occorre pertanto definire cosa si intende per successione di funzioni ed
i concetti di limite ad essa collegati.
D EFINIZIONE 6.1. Chiamiamo successione di funzioni una applicazione definita
N 3 n 7→ Sn
con
Sn : I ⊂ R −→ R
D EFINIZIONE 6.2. Sia Sn una successione di funzioni su I; diciamo
che
• Sn converge puntualmente ad S se, per ogni x ∈ I, ∀ε > 0,esiste
nε,x ∈ N tale che
|Sn (x) − S(x)| < ε
∀n > nε,x
• Sn converge uniformemente ad S in I se ∀ε > 0, esiste nε ∈ N
tale che
∀n > nε |Sn (x) − S(x)| < ε,
∀n > nε , ∀x ∈ I
Possiamo subito verificare che
Sn converge puntualmente ad S in I se
lim Sn (x) = S(x) ∀x ∈ I
n
mentre Sn converge uniformemente ad S in I se e solo se
lim sup |Sn (x) − S(x)| = 0
n
x∈I
Usando il criterio di convergenza di Cauchy, si può affermare che
Sn converge puntualmente se e solo se la successione numerica Sn (x)
soddisfa la condizione di Cauchy
Per quanto riguarda la convergenza uniforme si può analogamente ottenere che
93
94
6. LE SERIE DI FUNZIONI.
Criterio di Cauchy uniforme
Condizione necessaria e sufficiente affinché una successione di funzioni
Sn converga uniformemente su I è che ∀ε > 0 esiste nε ∈ N tale che, se
m, n > nε si ha
|Sn (x) − Sm (x)| < ε
∀x ∈ I
E’ inoltre evidente che
Se Sn è una successione di funzioni uniformemente convergente ad S in
I, allora Sn è puntualmente convergente ad S per ogni x ∈ I.
Non è viceversa vero che una successione puntualmente convergente sia
anche uniformemente convergente, infatti la successione
Sn (x) = xn
su
[0, 1]
Se una successione di funzioni converge uniformemente le proprietà
di continuità, integrabilità e derivabilità della successione sono mantenute
anche al limite; si può infatti dimostrare che
se Sn è una successione di funzioni continue su I, e se Sn converge
uniformemente ad S su I, allora S è continua su I.
Infatti sia x0 ∈ I e proviamo che f è continua in x0 .
Si ha che
|S(x) − f (x0 )| ≤ |S(x) − Sn0 (x)| + |Sn0 (x) − Sn0 (x0 )| + |Sn0 (x0 ) − S(x0 )|
per cui
|S(x) − S(x0 )| ≤ ε + ε + ε = 3ε
dal momento che n0 può essere fissato in modo che
|Sn0 (x) − S(x)| < ε ∀x ∈ I
e che, per |x − x0 | < δε
|Sn0 (x) − Sn0 (x0 )| < ε
Si ha anche che
1. SUCCESSIONI DI FUNZIONI.
95
Se Sn una successione di funzioni continue su I = [a, b] e se Sn converge
uniformemente ad S su I, allora
Z x
Z x
Sn (t)dt converge uniformemente ad
S(t)dt su I
a
a
Poiché Sn e di conseguenza S sono continue su I, risultano anche integrabili su [a, x] ⊂ I ed inoltre
Z
x
Z
Sn (t)dt −
a
a
x
Z
S(t)dt ≤
x
|Sn (t) − S(t)|dt ≤ ε(x − a) ≤ ε(b − a)
a
non appena si sia tenuto conto che Sn converge uniformemente ad S su [a, b]
e si sia scelto n abbastanza grande.
Osserviamo che l’ipotesi di continutà è comoda e ragionevole ma non
indispensabile; con qualche complicazione può essere sostituita con l’ipotesi di integrabilità.
In questo senso possiamo provare che
Se Sn è una successione di funzioni integrabili in senso improprio in
[a, +∞), se Sn converge uniformemente ad S su [a, b] per ogni b ≥ a e
se esiste una funzione g su [a, +∞) tale che
Z +∞
|Sn (x)| ≤ g(x) , ∀x ∈ [a, +∞] ,
g(x)dx < +∞
a
allora S risulta integrabile in senso improprio in [a, +∞) e si ha
Z +∞
Z +∞
lim
Sn (x)dx =
S(x)dx
n
a
a
Infatti
Z +∞
Z +∞
≤
S
(x)dx
−
S(x)dx
n
a
a
Z b
Z
≤
|Sn (x) − S(x)|dx +
a
+∞
|Sn (x) − S(x)|dx ≤
b
Z
≤ε+2
+∞
g(x)dx ≤ ε + 2ε = 3ε
b
se n è abbastanza grande e se b è fissato in modo che
Z +∞
g(x)dx < ε
b
96
6. LE SERIE DI FUNZIONI.
Per quanto riguarda la derivabilità
Se Sn ∈ C 1 ((a, b)) e se
• Sn0 converge uniformemente a φ su (a, b)
• esiste x0 ∈ (a, b) tale che
Sn (x0 ) → α.
Allora Sn converge uniformemente alla funzione S definita da
Z x
S(x) = α +
φ(t)dt
x0
e risulta
d
d
lim Sn (x) = lim Sn (x).
dx
dx
Infatti
Z
x
Sn (x) = Sn (x0 ) +
Sn0 (t)dt
x0
e pertanto, Sn converge uniformemente ad S.
Inoltre
lim Sn0 (x) = φ(x) = S 0 (x) = (lim fn )0 (x)
Si può anche provare che
Se fn è una successione di funzioni derivabili in (a, b) e se Sn0 converge
uniformemente in (a, b) e esiste x0 ∈ (a, b) tale che Sn (x0 ) è convergente
allora Sn converge uniformemente in (a, b) ad una funzione S che è
derivabile e si ha
S 0 (x) = lim Sn0 (x)
Sia fn una successione di funzioni continue su [a, b] tali che fn (x) è
decrescente rispetto ad n e lim fn (x) = 0 per ogni fissato x ∈ [a, b].
Allora fn converge uniformemente alla funzione identicamente nulla su
[a, b].
2. SERIE DI FUNZIONI.
97
Sia fn una successione di funzioni continue su [a, b] tali che fn (x) è decrescente rispetto ad n e convergente verso f(x), ∀x ∈ [a, b]. Se inoltre
f risulta continua in [a, b] , allora fn converge uniformemente ad f in
[a, b].
Sia fn una successione di funzioni continue in [a, b] allora fn converge
uniformemente in [a, b] se e solo se fn converge uniformemente in (a, b).
Sia fn una successione di funzioni su (a, b) un uniformemente
convergente ad f . Supponiamo che
lim fn (x) = Cn
x→b−
e
lim Cn = C
n
Allora
lim f (x) = C
x→b−
2. Serie di funzioni.
Ricordiamo alcune definizioni a proposito delle serie
Ad ogni successione fk di funzioni su I; possiamo associare, come per
le serie numeriche la successione delle sue ridotte definite da
Sn (x) =
n
X
fk (x)
k=1
e possiamo scrivere
S(x) =
+∞
X
fk (x)
k=1
qualora il lim Sn (x) esista finito in
Psenso puntuale o uniforme.
Diciamo, nel primo caso che
P fk converge puntualmente in I mentre,
nel secondo caso diciamoPche fk converge uniformemente inP
I.
Diciamo inoltre che
fk converge assolutamente in I se
|fk | converge puntualmente in I.
98
6. LE SERIE DI FUNZIONI.
Diciamo infine che
P
fk converge totalmente in I se, posto
λk = sup{|fk (x)|}
x∈I
P
λk è convergente.
Vale la pena di ricordare che, per il criterio di Cauchy
P
Condizione necessaria e sufficiente affinché
fk sia uniformemente
convergente in I è che ∀ε > 0 esista nε ∈ N tale che se n > nε , ∀p ∈ N
si ha
n+p
X
f
(x)
< ε ∀x ∈ I
k
k=n+1
Ne segue per p = 1
P
Se fk converge uniformemente in I allora la successione fk converge
uniformemente a zero in I.
inoltre
P
fk converge uniformemente in I se e solo se la successione Rn definita
da
Rn (x) =
+∞
X
fk (x)
k=n+1
converge uniformemente a zero in I.
Poichè
n+p
n+p
n+p
X
X
X
fk (x) ≤
|fk (x)| ≤
λk
k=n+1
k=n+1
k=n+1
il criterio di convergenza di Cauchy permette di affermare che
Convergenza Totale
.
&
Convergenza Uniforme
Convergenza Assoluta
&
.
Convergenza Puntuale
2. SERIE DI FUNZIONI.
99
mentre le due serie
+∞
X
(−1)k
k
k=1
,
+∞
X
(xk − xk+1 )
k=1
mostrano che le implicazioni mancanti possono essere false.
Infatti la prima serie converge uniformemente in R ma non è ivi né assolutamente né totalmente convergente, mentre la seconda converge assolutamente in [0, 1], ma non è ivi né uniformemente né totalmente convergente.
Il fatto che la convergenza totale implichi la convergenza uniforme è
spesso indicato con il nome di criterio di Weierstraß; possiamo anche vedere che
P
fk è totalmente convergente in I se e solo se esiste una successione
numerica λk tale che
X
|fk (x)| ≤ λk e
λk < +∞
Ricordiamo ora tutta una serie di risultati sulle serie di funzioni che
derivano dai risultati sulle serie numeriche e sulle successioni di funzioni.
Siano fk e ϕk due successioni di funzioni su I tali che
|fk (x)| ≤ |ϕk (x)|
∀x ∈ I.
P
|ϕk | è uniformemente convergente su I allora P
anche P
|fk | e
fk è uniformemente convergente su I allora anche
|fk | è
fk è
uniformemente convergente su I.
Se
P
P
Siano
P fk e gk due successioni di funzioni su I tali che le ridotte Fn
di
fk siano uniformemente limitate in I eP
sia gk decrescente e convergente uniformemente a 0 su I. Allora
fk gk è uniformemente
convergente su I.
P
Alla stessa conclusione si può arrivare supponendo che
fk sia uniformemente convergente su I e gk decresca uniformemente a g su I.
100
6. LE SERIE DI FUNZIONI.
Sia fk : [a, b] −→ R una successione di funzioni continue e decrescenti
a zero; allora
X
(−1)k fk (x)
è uniformemente convergente su [a, b].
Se fk è una successione di funzioni continue su I e se
uniformemente convergente, allora
+∞
X
S(x) =
fk (x)
P
fk è ivi
k=1
è una funzione continua in I.
Se fk è una successione di funzioni integrabili in [a, b] e se
uniformemente convergente ad S, allora si ha
Z b
+∞ Z b
X
fk (x)dx
S(x)dx =
a
P
fk è ivi
a
k=1
Se fk è una P
successione di funzioni integrabili in senso improprio su
[a, +∞) e se fk è uniformemente convergente ad S su ogni intervallo
[a, b], con b > a; se inoltre esiste una funzione φ su [a, +∞) tale che
Z +∞
|Sn (x)| ≤ φ(x) ∀x ∈ [a, +∞) e
φ(x)dx < +∞
a
allora
Z
+∞
S(x)dx =
a
+∞ Z
X
k=1
a
+∞
fk (x)dx.
3. LE SERIE DI TAYLOR.
101
1
Sia
P f0 k una successione di funzioni di classe C ((a, b)) e supponiamo che
fk converga uniformemente
su (a, b) ad una funzione s e che esista
P
x0 ∈ (a,P
b) tale che fk (x0 ) converga ad α.
Allora
fk risulta uniformemente convergente su (a, b) alla funzione
S definita da
Z x
S(x) = α +
s(t)dt
x0
ed inoltre
+∞
+∞
X d
d X
fk (x) =
fk (x)
dx k=1
dx
k=1
P
Sia fk una successione di funzioni derivabili in (a,b) tali che
fP
k sia
puntualmente convergente in x0 ∈ (a, b); supponiamo inoltre che fk0
sia uniformemente
convergente ad s in (a, b).
P
Allora
fk è uniformemente convergente in (a, b) ad una funzione S
derivabile e risulta S 0 = s ovvero
+∞
+∞
X
d X
d
fk (x) =
fk (x)
dx k=1
dx
k=1
Sia fk una successione di funzioni continue e non negative su [a, b]; Se
P
fk èP
puntualmente convergente ad S e se S risulta continua in [a, b],
allora fk è uniformemente convergente ad S su [a, b].
3. Le Serie di Taylor.
Se f ∈ C ∞ ((a, b)) e se x0 ∈ (a, b) possiamo allora considerare la formula di Taylor di ordine n per f centrata in x0 per qualunque valore di n ed
avremo che
n
X
f (k) (x0 )
f (x) =
(x − x0 )k + Rn (x)
k!
k=0
dove
f (n+1) (ξ)
(x − x0 )n+1
(n + 1)!
è il resto nella forma di Lagrange.
Rn (x) =
,
ξ ∈ (a, b)
102
6. LE SERIE DI FUNZIONI.
Se poniamo
Sn =
n
X
f (k) (x0 )
k!
k=0
(x − x0 )k
Sn risulta essere una ridotta della serie
+∞ (k)
X
f (x0 )
k!
k=0
(x − x0 )k
e risulta
f (x) − Sn (x) = Rn (x)
Qualora Rn (x) → 0, quando n → +∞, per x ∈ I ⊂ R, possiamo
affermare che
f (x) − Sn (x) = Rn (x) → 0 per x ∈ I
P
f (k) (x0 )
e quindi la serie +∞
(x − x0 )k risulta convergente e la sua somma
k=0
k!
è f (x)
Possiamo quindi scrivere che
f (x) =
+∞ (k)
X
f (x0 )
k=0
k!
(x − x0 )k
per
x∈I
e diciamo che f è sviluppabile in serie di Taylor nel punto x0 per x ∈ I.
Risulta quindi interessante conoscere condizioni sufficienti affichè Rn (x) →
0 per x ∈ I e, in proposito, possiamo dimostrare che
• se |f (k) (x)| ≤ HM k per ogni x ∈ (a, b) e per ogni k ∈ N allora
Rn (x) → 0 per x ∈ (a, b);
• se |f (k) (x)| ≤ HM k k! per ogni x ∈ (a, b) e per ogni k ∈ N
allora Rn (x) → 0 per x ∈ (x0 − 1/M, x0 + 1/M ).
Infatti nel primo caso si ha
(M (b − a))n+1
(n + 1)!
∀x ∈ (a, b)
|f (x) − Sn (x)| ≤ H(M |x − x0 |)n+1
∀x ∈ (a, b).
|f (x) − Sn (x)| ≤ H
mentre, nel secondo caso
e Si può concludere osservando che in entrambi i casi i secondi membri
tendono a zero, nelle ipotesi considerate (si può ad esempio usare il criterio
del rapporto.
4. LE SERIE DI POTENZE.
103
Osserviamo che può accadere che la serie (21.1) sia convergente senza
che f sia sviluppabile in serie di Taylor. Se infatti consideriamo
(
2
e−1/x x 6= 0
f (x) =
0
x=0
si ha che f ∈ C ∞ (R), f (k) (0) = 0 ∀k, e pertanto
+∞ (k)
X
f (0)
k=0
k!
xk = 0 6= f (x)
∀x 6= 0
I criteri di cui sopra permettono di trovare facilmente gli sviluppi di ex ,
sin x , cos x .
È anche possibile dimostrare un criterio di sviluppabilità in serie di
Taylor facendo uso del resto in forma integrale.
T EOREMA 6.1. -Bernstein- Sia f ∈ C ∞ ((a, b)) e siano x0 , α ∈ (a, b), x0 <
α.
Se f (k) (x) ≥ 0 per x0 ≤ x ≤ α. Allora f è sviluppabile in serie di Taylor
di centro x0 in [x0 , α]
Poichè le serie di Taylor sono anche serie di potenze si potrà vedere che
la serie converge in (−α, α].
Usando il teorema precedente si può provare che la serie binomiale
converge in [−1, 1).
4. Le serie di potenze.
Si tratta delle serie della forma
+∞
X
k
ak (x − x0 ) = a0 +
k=0
+∞
X
ak (x − x0 )k
k=1
dove x0 ∈ R è fissato e si chiama centro della serie. mentre i valori ak si
dicono coefficienti della serie.
E’ chiaro che a meno di una traslazione possiamo sempre supporre
che x0 = 0 e pertanto consideriamo soltanto serie di potenze centrate
nell’origine e cioè della forma:
+∞
X
ak x k
k=0
A proposito della convergenza di una serie di potenze si può subito
verificare che
104
6. LE SERIE DI FUNZIONI.
Se la serie
+∞
X
ak x k
k=0
converge per x = α allora converge assolutamente in [−β, β] per ogni
β < |α|
Infatti, per x ∈ [−β, β], avremo che
k
βk k
β
|ak x | ≤ |ak |β = |ak | k α ≤ M
α
α
dal momento che
|ak |αk è infinitesimo in quanto termine generale di una serie convergente. Pichè inoltre αβ < 1
k
β
α
è il termine generale di una serie geometrica convergente e si può concludere, usando il criterio di Weierstraß.
In pratica quindi, se una serie di potenze converge in un punto, converge
anche in tutto il segmento che congiunge il punto all’origine (centro della
serie).
Ciò autorizza a definire quel che si chiama raggio di convergenza della
serie di potenze come
X
R = sup{α ≥ 0 :
|ak |αk ∈ R}
k
k
Si prova che
• una serie di potenze converge totalmente per |x| ≤ β < R
• una serie di potenze non converge se |x| ≥ R
Infatti poichè la serie converge per x = β + ε < R avremo che essendo la convergenza per |x| ≤ β è garantita da quanto abbiamo detto in
precedenza
Se viceversa la serie convergesse anche solo puntualmente per x = γ >
R allora ci sarebbe convergenza assoluta per |x| ≤ γ − ε e γ − ε > R, e
questo contraddirrebbe la definizione di R.
Non siamo invece in grado di dire qualcosa sul comportamento della
serie quando |x| = R .
Consideriamo infatti
X xk
X
X xk
xk ,
,
k
k2
4. LE SERIE DI POTENZE.
105
E’ facile vedere che in tutti i casi R = 1, mentre quando |x| = 1 si ha
che
• la prima serie non è convergente ∀x;
• la seconda serie converge se x = −1 e diverge se x = 1;
• la terza serie converge ∀x.
Vele il seguente teorema
P
T EOREMA 6.2. - Abel - Consideriamo ak xk e sia R > 0 il suo raggio
di convergenza.
Se la serie
X
ak R k
P
converge allora ak xk converge uniformemente in [0, R].
D IMOSTRAZIONE . Possiamo intanto supporre R = 1 a meno di considerare Rx in luogo di x Per l’uguaglianza di Brunacci-Abel avremo che
posto
n+p
X
Bn,p =
ak
k=n+1
si ha
n+p
X
n+p−1
k
ak x = x
n+p
X
Bn,p +
k=n+1
Bn,k−n (xk − xk+1 )
k=n+1
per cui
n+p
n+p−1
X
X k
n+p
Bn,k−n (xk − xk+1 ) ≤
ak x ≤ |x Bn,p | +
k=n+1
k=n+1
n+p−1
≤ |x
n+p
Bn,p | +
X
|Bn,k−n ||xk − xk+1 |
k=n+1
Per n abbastanza grande avremo che |Bn,p | < ε e quindi se consideriamo
che x ∈ [0, 1]
n+p
+∞
X
X
k
xk − xk+1 ≤ ε (1 + 1))
a
x
≤
ε
+
ε
k
k=n+1
k=0
2
Possiamo calcolare il raggio di convergenza di una serie applicando il
criterio del rapporto o il criterio della radice alla serie
X
|ak xk |
I criteri citati sono inutili quando il limite del rapporto o della radice
è 1; osserviamo che questo caso si verifica negli estremi dell’intervallo di
convergenza.
Possiamo anche affermare che
106
6. LE SERIE DI FUNZIONI.
T EOREMA 6.3. Se
1
lim p
k
|ak |
,
lim
|ak |
|ak+1 |
esistono, allora sono uguali al raggio di convergenza R di
P
ak x k .
4.1. Derivabilità di una serie di potenze. Consideriamo
X
ak x k
e supponiamo che R > 0 sia il suo raggio di convergenza, definiamo inoltre
f (x) =
+∞
X
ak x k .
k=0
Allora f è derivabile e si ha
f 0 (x) =
+∞
X
kak xk−1
k=1
per |x| < R;
Se infatti consideriamo la serie di potenze
+∞
X
kak xk−1
k=1
poichè
|ak xk | ≤ |kak xk−1 |
per k ≥ |x|, possiamo affermare che se la serie delle derivate converge assolutamente allora anche la serie di partenza converge assolutamente, inoltre,
poichè
k−1
|x|
k−1
k−1
|kak x | ≤ |ak y |k
|y|
e quindi se la serie di partenza converge assolutamente allora anche la serie
delle derivate converge assolutamente.
In altre parole le due serie hanno lo stesso raggio di convergenza e quindi possiamo applicare il teorema di derivazione per serie per giustificare
quanto affermato.
Inoltre si può dimostrare per induzione che
f (k) (0)
= ak .
k!
per cui f è sviluppabile in serie di Taylor ed il suo sviluppo di Taylor è dato
da
X
ak z k
.
Concludiamo questo paragrafo illustrando brevemente come possono
essere ricavati gli sviluppi di Taylor delle funzioni (reali) ln(1+x) e arctan(x);
osserviamo che lo sviluppo della prima funzione può essere ricavato anche
5. LE SERIE DI FOURIER.
107
elementarmente e qui ne estendiamo solo il campo di sviluppabilità, mentre
lo sviluppo della seconda funzione non è facilmente ricavabile in maniera
diversa da quella più sotto illustrata.
Tali sviluppi sono ottenuti per integrazione da particolari serie geometriche. Ci limitiamo ad indicare le operazioni da compiere precisando solo
che tali operazioni sono giustificate dai precedenti teoremi di integrazione
per serie.
Si ha
x
Z
ln(1 + x) =
0
1
dt =
1+t
+∞
xX
Z
0
=
(−t)k dt =
k=0
+∞
X
k
Z
x
tk dt =
(−1)
0
k=0
+∞
X
(−1)k
k=0
xk+1
k+1
per −1 < x < 1
Z
arctan(x) =
0
x
1
dt =
1 + t2
=
Z
+∞
xX
0
+∞
X
k=0
(−t2 )k dt
k=0
k
Z
x
(−1)
2k
t dt =
0
+∞
X
k=0
(−1)k
x2k+1
2k + 1
per −1 < x < 1
Osserviamo altresı̀ che si può vedere che lo sviluppo di ln(1 + x) è
valido in (−1, 1].
5. Le serie di Fourier.
È spesso utile saper rappresentare una funzione
f : [−π, π] → R
mediante la somma infinita
+∞
X
1
F (x) = a0 +
(ak cos kx + bk sin kx)
2
k=1
per opportune scelte dei coefficienti ak e bk .
Chiaramente la funzione F ottenuta è periodica di periodo 2π e può non
coincidere con f fuori dall’intervallo [−π, π].
Gli enunciati relativi alla possibilità di ottenere una rappresentazione
di questo tipo trovano collocazione naturale in uno spazio di funzioni per
definire il quale è necessario conoscere la teoria dell’integrazione secondo
Lebesgue, tuttavia possiamo trovare un ragionevolmente semplice ambiente
di lavoro considerando la seguente classe di funzioni.
108
6. LE SERIE DI FUNZIONI.
Chiamiamo F 2 lo spazio vettoriale delle funzioni
f : [−π, π] → R
2
tali che f ed f sono integrabili in [−π, π]
Possiamo verificare che F 2 è uno spazio vettoriale e definiamo
kf k∞ = sup{|f (x)| : x ∈ [−π, π]}
Z π
1/2
2
kf k2 =
(f (x)) dx
−π
Si può verificare, che
kf k2 ≤ 2πkf k∞
e quindi se fn è una successione di funzioni in F 2
kfn − f k∞ −→ 0
se e solo se fn converge uniformemente ad f ∈ [−π, π]
Ciò suggerisce la possibilità di dire che fn converge in media quadratica
ad f se
kfn − f k2 −→ 0
Questo tipo di convergenza è molto naturale nell’ambito che stiamo esaminando ed è intuitivamente evidente che esso tiene conto del comportamento medio delle funzioni fn .
Quanto abbiamo in precedenza osservato permette di affermare che se
fn converge uniformemente ad f , allora fn converge in media quadratica
alla stessa funzione.
Infine si può verificare che se
n
x+π
fn (x) =
2π
fn converge in media quadratica ma non uniformemente.
Cominciamo con l’osservare che affinchè si possa avere
f (x) = F (x)
5. LE SERIE DI FOURIER.
109
i coefficienti an e bn devono essere definiti in un certo modo; infatti, si può
calcolare, integrando ed usando le formule di bisezione e di prostaferesi che
Z π
Z π
2
cos kxdx =
sin2 kxdx = π
Z−π
Z −π
π
π
cos kxdx =
sin kxdx = 0
−π
−π
Z π
Z π
Z π
cos kx cos hxdx =
(sin kx sin hx)dx =
cos kx sin hxdx = 0
−π
−π
−π
per ogni scelta di k, h = 1, 2, ... e quindi, moltiplicando la
+∞
X
1
f (x) = a0 +
(ak cos kx + bk sin kx)
2
k=1
per cos kx e per sin kx ed integrando, possiamo ottenere che deve risultare
Z
Z
1 π
1 π
ak =
f (t) cos kt dt , bk =
f (t) sin kt dt
π −π
π −π
per k = 0, 1, .., n, .. .
Le precedenti uguaglianze risultano pertanto necessarie affinchè la f (x) =
F (x) sia verificata e quindi è d’obbligo porre la seguente definizione.
Se f ∈ F 2 , chiamiamo coefficienti di Fourier di f i valori
Z
Z
1 π
1 π
ak =
f (t) cos kt dt , bk =
f (t) sin kt dt
π −π
π −π
per k = 0, 1, .., n, .. .
Osserviamo che
1
a0 =
π
Z
π
f (t)dt , b0 = 0.
−π
La serie
+∞
X
1
F (x) = a0 +
ak cos kx + bk sin kx
2
k=1
si chiama serie di Fourier associata alla funzione f . Indichiamo con Fn
le sue ridotte.
E’ importante stabilire sotto quali condizioni accade che
f (x) = F (x)
110
6. LE SERIE DI FUNZIONI.
Per f ∈ F 2 , usando opportunamente le regole del calcolo integrale
(integrazione per sostituzione, per parti ...) si può verificare che
Rπ
• se f è pari ak = π2 0 f (t) cos Rktdt, bk = 0;
π
• se f è dispari ak = 0 , bk = π2 0 f (t) sin ktdt;
• se f è derivabile su R e f 0 ∈ F 2
Z
1 π 0
0
ak =
f (t) cos ktdt = kbk
π −π
Z
1 π 0
0
bk =
f (t) sin ktdt = −kak
π −π
Si possono inoltre dimostrare i seguenti risultati:
Se f ∈ F 2 e se x è tale che
f (x+) = lim f (x) , f (x−) = lim f (x) , f+0 (x) , f−0 (x)
x→0+
x→0−
esistono finiti. Allora
1
[f (x+) + f (x−)] = F (x)
2
Se f ∈ F 2 , se f è continua su R ed f 0 ∈ F 2 allora
lim kf − Fn k∞ = 0
Se supponiamo che f ∈ F 2 , allora
lim kf − Fn k2 = 0
5.1. Polinomi trigonometrici e Ridotte della serie di Fourier. Le
ridotte di una serie di Fourier sono della forma
n
X
1
Fn (x) = a0 +
(ak cos kx + bk sin kx)
2
k=1
5. LE SERIE DI FOURIER.
111
Si tratta pertanto di combinazioni lineari delle funzioni
sin kx , cos kx , k = 0, 1, 2, 3, ...., n, ...
ottenute usando i coefficienti di Fourier ak e bk .
Simili combinazioni lineari, ma a coefficienti generici
n
X
1
Tn (x) = α0 +
(αk cos kx + βk sin kx)
2
k=1
dove αk , βk ∈ R . si indicano di solito con il nome di polinomi trigonometrici.
Possiamo pertanto affermare che le ridotte di una serie di Fourier sono
particolari polinomi trigonometrici.
Indichiamo con T n l’insieme dei polinomi trigonometrici di grado n. e
verifichiamo che in T n , le ridotte Fn godono di particolari proprietà.
Possiamo calcolare usando le uguaglianze trigonometriche che abbiamo
citato in precedenza che, se Tn è un polinomio trigonometrico, allora
!
n
1 2 X 2
2
2
kTn k2 = π
α +
(α + βk ) .
2 0 k=1 k
ed, in particolare, se f ∈ F 2
kFn k22 = π
!
n
1 2 X 2
a +
(a + b2k ) .
2 0 k=1 k
Si verifica che, fissata f ∈ F 2 , tra tutti i polinomi trigonometrici Tn di
grado n, quello che rende minimo lo scarto quadratico medio
kf − Tn k22
è quello i cui coefficienti sono i coefficienti di Fourier.
Infatti se ricordiamo che
hf, Tn i =
Z
=
π
f (x)Tn (x)dx = π
−π
!
n
X
1
a0 α0 +
(ak αk + bk βk ) =
2
k=1
= hFn , Tn i
si ha
kf − Tn k22 = kf k22 − kFn k22 + kFn k22 + kTn k22 − 2hf, Tn i =
= kf k22 − kFn k22 + kFn k22 + kTn k22 − 2hFn , Tn i =
= kFn − Tn k22 + kf k22 − kFn k22
quindi
min{kf − Tn k22 : Tn ∈ T n } = kf k22 − kFn k22
ed il minimo è assunto quando Tn = Fn .
112
6. LE SERIE DI FUNZIONI.
Poichè quindi
kf − Tn k22 ≥ kf k22 − kFn k22
possiamo infine ottenere che
Disuguaglianza di Bessel - Per f ∈ F 2 ,
+∞
1
1 2 X 2
a0 +
(ak + b2k ) ≤ kf k22
2
π
k=1
Avremo inoltre che
kf − Fn k22 = kf k22 − kFn k22
e, poichè per f ∈ F 2 la serie di Fourier converge in media quadratica,
otteniamo
lim kf k22 − kFn k22 = 0
n
Ciò si può riscrivere nella forma
uguaglianza di Parseval +∞
1 2 X 2
1
a0 +
(ak + b2k ) = kf k22
2
π
k=1
Ricordiamo infine un risultato di stima dell’errore per le serie di Fourier
Se f, f (p) ∈ F 2 e se
kf (p) k2 ≤ M
allora
|f (x) − Fn (x)| ≤
2M
π(2p − 1)np−1/2
È anche molto interessante studiare il comportamento delle medie di
Cesaro della successione delle ridotte di una serie di Fourier, in quanto
ciò permette di provare un importante teorema di approssimazione per le
funzioni continue e periodiche.
Ricordiamo che, date una successione an si chiamano
P medie di Cesaro
di an i termini bn della successione definita da bn = n1 nk=1 ak
5. LE SERIE DI FOURIER.
113
Sia f ∈ F 2 definiamo le medie di Cesaro Cn della successione delle
ridotte della serie di Fourier nella seguente maniera:
n−1
1X
Fk (x)
Cn (x) =
n k=0
Sia f ∈ F 2 e sia Kn (t) definito da
n−1
1X
Dk (t)
n k=0
Kn (t) =
Si ha
(
kn (t) =
1 sinY2 nt 2
(
2n sinY2 t
1
2n
ed inoltre
1
C − n(x) =
K
Z
0 < (t) ≤ K
t=0
K
f (x + t)Kn (t)dt.
−K
Teorema di Fejér - Sia f continua in R e periodica di periodo 2π. Allora
la successione Cn delle medie di Fejér converge uniformemente ad f su
R.
Teorema di approssimazione di Weierstrass - È possibile approssimare
uniformemente ogni funzione continua su R periodica di periodo 2π
mediante polinomi trigonometrici.
5.2. Serie di Fourier su intervalli generici. Naturalmente accade di
voler sviluppare in serie di Fourier una funzione
f : [a, b] → R
per cui è opportuno studiare come i risultati ottenuti su [−π, π] possano
essere usati per il caso in esame.
A tal fine è sufficiente considerare la funzione
g : [−π, π] → R
114
6. LE SERIE DI FUNZIONI.
definita da
b−a
g(x) = f a + (x + π)
2π
Se infatti consideriamo il suo sviluppo in serie di Fourier
+∞
X
1
G(x) = a0 +
ak cos kx + bk sin kx
2
k=1
dove
Z
Z
1 π
1 π
ak =
g(t) cos ktdt , bk =
g(t) sin ktdt
π −π
π −π
per k = 0, 1, .., n, .. . e, sotto opportune condizioni per g, possiamo affermare che
g(x) = G(x)
da cui
2π
(6.1) f (x) = g −π + (x − a)
=
b−a
+∞
X
1
2π
2π
a0 +
ak cos k −π + (x − a)
+bk sin k −π + (x − a)
2
b−a
b−a
k=1
Occorre a questo punto esprimere i coefficienti ak e bk in funzione di f
e questo può essere fatto integrando per sostituzione.
Z
Z
1 π
1 π
b−a
ak =
g(t) cos kt dt =
f a + (t + π)
cos ktdt =
π −π
π −π
2π
Z
1 b
2π
2π
=
f (x) cos k −π + (x − a)
d −π + (x − a)
=
π a
b−a
b−a
Z b
1 2π
2π
=
f (x) cos k −π + (x − a)
dx =
πb−a a
b−a
Z b
2
2π
=
f (x) cos k −π + (x − a)
dx
b−a a
b−a
In maniera del tutto simile si calcola che
Z
Z b
1 π
1 2π
2π
bk =
g(t) sin kt dt ==
f (x) sin k −π + (x − a)
dx =
π −π
πb−a a
b−a
Z b
2
2π
=
f (x) sin k −π + (x − a)
dx
b−a a
b−a
Poichè, usando ad esempio le formule di addizione, si ottiene che
cos(kπ + β) = ± cos(β)
sin(kπ + β) = ± sin(β)
5. LE SERIE DI FOURIER.
115
possiamo scrivere che
(6.2)
+∞
X
2π
2π
1
ak cos k (x − a)
+bk sin k (x − a)
f (x) = a0 +
2
b
−
a
b−a
k=1
con
Z b
2π
2
f (x) cos k (x − a)
dx
ak =
b−a a
b−a
Z b
2
2π
bk =
f (x) sin k +(x − a)
dx
b−a a
b−a
5.3. Casi Particolari interessanti. Per particolari scelte significative
dell’intervallo [a, b] troviamo
Per [a, b] = [0, 2T ]
+∞
X
1
π
π
f (x) = a0 +
ak cos kx + bk sin kx
2
T
T
k=1
con
Z
1 2T
π
f (x) cos k xdx
ak =
T 0
T
Z 2T
1
π
bk =
f (x) sin k xdx
T 0
T
Per [a, b] = [−T, T ]
+∞
X
1
π
π
f (x) = a0 +
ak cos k(x + T ) + bk sin k(x + T )
2
T
T
k=1
con
Z
1
T
Z
bk =
ed anche
T
1
ak =
T
−T
T
−T
π
f (x) cos k(x + T ) dx
T
π
f (x) sin k(x + T ) dx
T
116
6. LE SERIE DI FUNZIONI.
+∞
X
1
π
π
f (x) = a0 +
ak cos kx + bk sin kx
2
T
T
k=1
con
T
1
ak =
T
Z
1
T
Z
bk =
−T
T
−T
π
f (x) cos kx dx
T
π
f (x) sin kx dx
T
in quanto
π
π
cos k(x + T ) = ± cos kx
T
T
π
π
sin k(x + T ) = ± sin k(x
T
T
5.4. Serie di Fourier in forma complessa. Consideriamo lo sviluppo
di una funzione f su un intervallo [−t, T ] (si veda il paragrafo precedente);
dalle formule di Eulero otteniamo che
π 1 ık π x
cos kx =
e T + e−ık T x
2
π 1 ık π x
sin kx =
e T − e−ık T x
2ı
e che
π
π
π
eık T x = cos k x + ısink x
T
T
π
π
π
e−ık T x = cos k x − ı sin k x
T
T
quindi
+∞
X
1
π
π
F (x) = a0 +
ak cos k x + bk sin k x =
2
T
T
k=1
+∞
X
π π π
1 ık π x
1
1
a0 +
ak eık T x + e−ık T x + bk
e T − e−ık T x =
2
2
2ı
k=1
+∞
X
π
π
1
1
1
= a0 +
(ak − ıbk ) eık T x + (ak + ıbk ) e−ık T x
2
2
2
k=1
Se teniamo conto che
ak = a−k
,
bk = −b−k
6. LA TRASFORMATA DI FOURIER.
117
ricaviamo infine che
+∞
−∞
X
X
π
π
1
1
1
F (x) = a0 +
(ak − ıbk ) eık T x +
(a−k − ıb−k ) eık T x =
2
2
2
k=−1
k=1
+∞
X
=
π
π
ck eık T x .eık T x
k=−∞
=
+∞
X
π
ck eık T x .
k=−∞
dove
ck =
1
(a−k − ıb−k ) =
2
Z T
1
1
π
π =
f (x) cos k x − ı sin k x =
2T −T
2
T
T
Z T
π
1
1
=
f (x) e−ık T x .
2T −T
2
Riassumendo avremo che
+∞
X
F (x) =
π
ck eık T x
k=−∞
con
1
ck =
2T
Z
T
π
f (x)e−ık T x .
−T
6. La Trasformata di Fourier.
Sostituendo i valori di ck nella serie otteniamo, nel caso in cui f = F e
cioè f sia sviluppabile in serie di Fourier,
Z T
+∞ X
π
1
−ık Tπ s
f (x) =
ds eık T x =
f (s)e
2T −T
k=−∞
Z T
+∞
X
π
1
=
f (s)e−ık T (s−x) ds ≈
2T −T
k=−∞
Z +∞
π
1
≈
f (s)e−ık T (s−x) ds
2T −∞
non appena si supponga f assolutamente integrabile su R e T sufficientemente grande.
118
6. LE SERIE DI FUNZIONI.
Se ora definiamo
1
ϕ(ω) =
2π
Z
+∞
π
f (s)e−ık T (s−x) ds
−∞
Passando al limite per T → +∞ è quindi naturale affermare, e si può
dimostrare sotto opportune condizioni, che
Z
+∞
X
π π
f (x) =
ϕ k
→
+∞ϕ(ω)dω
T
T
−∞
k=−∞
Otteniamo in questo modo che, sotto opportune ipotesi,
Z +∞ Z +∞
1
−ıkω(s−x)
f (x) =
f (s)e
ds dω
2π −∞
−∞
e
Z +∞
Z +∞
1
−ıkωx
ıkωs
f (x) =
e
f (s)e ds dω
2π −∞
−∞
Quest’ultima uguaglianza è nota come Uguaglianza integrale di Fourier
e costituisce la base su cui si fonda la teoria delle trasformate di Fourier.
Più precisamente si può dimostrare che
Se f è assolutamente integrabile su R e se in x ∈ R
Z δ
Z 0 f (x + s) − f (x+) f (x + s) − f (x−) ds e
ds
s
s
0
−δ
esistono finiti per δ > 0 allora
Z +∞ Z +∞
1
f (x+) + f (x−)
=
f (t)e−iω(t−x) dtdω
2
2π −∞ −∞
Osserviamo esplicitamente che l’integrale esterno è da intendersi nel
senso della parte principale, (o del valore principale) , ovvero
Z +∞
Z T
= lim
.
T →+∞
−∞
−T
D EFINIZIONE 6.3. Se f è assolutamente integrabile; chiamiamo trasformata di Fourier di f la funzione F definita in R da
Z +∞
fˆ(ω) =
f (t)e−iωt dt
−∞
Osserviamo che
Z +∞
Z
−iωt
fˆ(ω) =
f (t)e
dt =
−∞
+∞
−∞
Z
+∞
f (t) cos(ωt)dt − ı
f (t) sin(ωt)dt
−∞
e poiché |f | è integrabile, è lecito affermare l’esistenza dei tre integrali.
6. LA TRASFORMATA DI FOURIER.
119
Il teorema integrale di Fourier consente di affermare che
+∞
Z
1
f (t) =
2π
fˆ(ω)eiωt dω
−∞
intendendo il secondo integrale convergente nel senso della parte principale
e consente di ricostruire la funzione nota la sua trasformata.
Procediamo ora ad elencare le proprietà delle trasformate di Fourier.
Se f, g sono assolutamente integrabili, allora
• per ogni α, β ∈ R
\
(αf
+ βg) = αfˆ + βĝ
• se ϕ(t) = f (αt) , α 6= 0
ϕ̂(ω) =
1 ˆ ω f
|α|
α
• se ϕ(t) = f (t − t0 ) , t0 ∈ R
φ̂(ω) = e−iωt0 fˆ(ω)
• se ϕ(t) = eiω0 t f (t) , ω0 ∈ R
ϕ̂(ω) = fˆ(ω − ω0 )
Se inoltre f è derivabile e se f 0 è assolutamente integrabile su R,
allora
•
fb0 (ω) = ıω fˆ(ω);
• se ϕn (t) = tn f (t) e se φ è assolutamente integrabile si ha
n
cn (ω) = d fˆ(ω)
(−ı)n φ
dω n
• se
Z +∞
|tn f (t)|dt < HM n n!
−∞
allora
fˆ(ω) =
+∞
X
(−ı)n mn ω n
n=0
n!
per |ω| < 1/M , dove
Z
+∞
mn =
tn f (t)dt
−∞
è il momento di ordine n di f .
Se la maggiorazione vale senza n!, lo sviluppo in serie è
valido per ogni ω ∈ R.
120
6. LE SERIE DI FUNZIONI.
D EFINIZIONE 6.4. Se f e g sono assolutamente integrabili, ed almeno
una è limitata definiamo prodotto di convoluzione di f per g la funzione,
che indicheremo con f ∗ g, definita da
Z +∞
(f ∗ g)(t) =
f (s)g(t − s)ds
−∞
Osserviamo subito che si ha
Z +∞
Z
(f ∗ g)(t) =
f (s)g(t − s)ds =
−∞
+∞
f (t − u)g(u)du = (g ∗ f )(t)
−∞
Si può dimostrare che
f[
∗ g = fˆĝ
6.1. Il teorema del campionamento di Shannon. Consideriamo una
funzione f che non abbia componenti di frequenza maggiore di T , cioè
supponiamo che
F (ω) = fˆ(ω) = 0
|ω| > ω0
per
Possiamo allora sviluppare F in serie di Fourier ed ottenere che, se
definiamo Fp il prolungamento di F per periodicità,
+∞
X
Fp (ω) =
−ık ωπ ω
ck e
0
k=−∞
con
1
ck =
2ω0
Z
+ω0
ık ωπ ω
F (ω)e
0
.
−ω0
(Osserviamo che i segni negli esponenziali che compaiono nella serie e nella
definizione dei coefficienti hanno segno opposto a quello solitamente usato;
ciò non cambia la sostanza in quanto la serie è estesa a tutti gli interi)
Se adesso chiamiamo
(
1 |ω| ≤ ω0
H(ω) =
0 |ω| > ω0
possiamo scrivere che
F (ω) = Fp (ω)H(ω) =
+∞
X
k=−∞
ed, antitrasformando,
−ık ωπ ω
ck H(ω)e
0
7. LA TRASFORMATA DI LAPLACE
1
2π
Z
121
+∞
fˆ(ω)eıωt dω =
−∞
+∞ Z +∞
1 X
−ık π ω
=
ck H(ω)e ω0 eıωt dω =
2π k=−∞ −∞
Z +ω0
+∞
1 X
−ıω(k ωπ −t)
0
=
ck
e
dω
2π k=−∞
−ω0
Pertanto
ıω0 (k ωπ −t)
+∞
X
1
f (t) =
ck
2π
k=−∞
e
0
−ıω (k ωπ −t)
−e 0
ı(k ωπ0 − t)
0
!
=
+∞
π
X
1 sin(ω0 (k ω0 − t))
=
ck
=
π
(k ωπ0 − t)
k=−∞
Dalla definizione di fˆ si ricava che
Z +∞
1
F (ω)eıωt dω
fˆ(t) =
2π −∞
e quindi
Z +ω0
1
ω0
π
ık π ω
ˆ
f k
=
F (ω)e ω0 dω = ck
ω0
2π −ω0
π
kπ
ck =
ω0
e ne concludiamo che
+∞
π
X
ω0 sin(ω0 (k ω0 − t))
f (t) =
ck
=
π
π
ω
0 (k ω0 − t)
k=−∞
+∞
X
π
=
fˆ k
ω0
k=−∞
sin(ω0 (k ωπ0 − t))
ω0 (k ωπ0 − t)
7. La trasformata di Laplace
Sia f : [0, +∞] −→ R una funzione continua a tratti che supponiamo
prolungata a 0 sui reali negativi; definiamo
Z +∞
f˜(σ + iω) =
f (t)e−(σ+iω)t dt
0
122
6. LE SERIE DI FUNZIONI.
ovvero, se ξ = σ + iω ,
f˜(ξ) =
Z
+∞
f (t)e−ξt dt
0
per quei valori di ξ ∈ C per cui l’integrale risulta convergente.
Allo scopo di chiarire la struttura del campo di definizione di f˜ si può
dimostrare che: sea f˜(ξ0 ) esiste; allora f˜(ξ) risulta definita anche per Re
ξ > σ0 .
Osserviamo che, se definiamo
(
f (t)e−σt , t ≥ 0
fσ (t) =
0
t<0
si vede subito che
f˜(σ + iω) = fbσ (ω)
Diremo nel seguito che una funzione f : R −→ R è nella classe L se
• f (t) = 0 per t < 0
• f è continua a tratti
• |f (t)| ≤ Heσ0 t con H, σ0 > 0.
Si può vedere che se f ∈ L allora f˜ è definita almeno nel semipiano
<ξ > σ0 .
Elenchiamo di seguito alcune proprietà della trasformata di Laplace
Siano f, g ∈ L e supponiamo che f˜ ed g̃ siano definite nei semipiani
<ξ > σ0 e <ξ > σ1 rispettivamente.
Allora
•
^
(αf
+ βg)(ξ) = (αf˜ + βg̃)(ξ)
se <ξ > max{σ0 , σ1 }
• se φ(t) = f (αt) , α > 0
1˜ ξ
φ̃(ξ) = f
, Reξ > ασ0
α
α
• se φ(t) = f (t − t0 ) , t0 > 0
φ̃(ξ) = e−ξt0 f˜(ξ) , <ξ > σ0
• se φ(t) = eξ0 t f(t) , ξ0 ∈ C
φ̃(ξ) = f˜(ξ − ξ0 ) , Reξ > σ0 + Reξ0
• se f è derivabile, se f 0 è continua a tratti
fe0 (ξ) = ξ f˜(ξ) − f (0) , Reξ > σ0
Rt
• se φ(t) = 0 f (s)ds
1
φ̃)(ξ) = f˜(ξ) Reξ > σ0 .
ξ
7. LA TRASFORMATA DI LAPLACE
123
• se φ(t) = tf (t) si ha φ ∈ L e si può affermare che
d ˜
f (ξ) = −φ̃(ξ).
dξ
• se
Z +∞
Z t
(f ∗ g)(t) =
f (s)g(t − s)ds =
f (s)g(t − s)ds
−∞
0
allora si ha
f]
∗ g = f˜g̃
nell’intersezione dei rispettivi semipiani di definizione
È anche possibile dimostrare un teorema di inversione per le trasformate
di Laplace.
Se x ∈ R+ è tale che
Z δ
Z
f (x + s) − f (x+) ds e
s
0
0
−δ
f (x + s) − f (x−) ds
s
esistano finiti per δ > 0.
Allora si ha
Z +∞ Z +∞
f (x+) + f (x−)
1
=
f (t)e−(σ+iω)(t−x) dtdω , ∀σ > σ0
2
2π −∞ 0
Osserviamo che si ha
Z +∞
Z +∞
1
f (x+) + f (x−)
(σ+iω)x
−(σ+iω)t
=
e
f (t)e
dt dω =
2
2π −∞
0
Z +∞
1
=
e(σ+iω)x f˜(σ + iω)dω =
2π −∞
Z a
1
= lim
e(σ+iω)x f˜(σ + iω)dω
a→+∞ 2π −a
operando il cambio di variabile s = σ + iω si ottiene
Z σ+ia
f (x+) + f (x−)
1
= lim
esx f˜(s)ds
a→+∞
2
2πi σ−ia
e ciò si esprime scrivendo
Z σ+i∞
f (x+) + f (x−)
1
=
esx f˜(s)ds.
2
2πi σ−i∞
Quest’ultima formula è nota come formula di inversione di Mellin e la
funzione a secondo membro si chiama antitrasformata di Laplace.
CAPITOLO 7
EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI
DIFFERENZIALI ORDINARIE.
Sia I ⊂ R un aperto e sia A ⊂ R un aperto; sia Ω = I × A ⊂ R2 ,
x0 ∈ I, y0 ∈ A, cioè (x0 , y0 ) ∈ Ω.
Sia ancora f : Ω −→ R2 una funzione e consideriamo il problema di
trovare una funzione
y : (x0 − δ, x0 + δ) −→ A
derivabile e tale che
(7.1)
(
y 0 (x) = f (x, y(x)) , x ∈ Iδ
y(x0 ) = y0
Il problema enunciato si chiama problema di Cauchy.
1. Il teorema di esistenza ed unicità di Picard
È importante dimostrare un teorema di esistenza ed unicità per questo
problema.
T EOREMA 7.1. - Picard - Se f : I × A −→ Rn , I = [x0 − a, x0 + a],
A = {y ∈ R : |y − y0 | ≤ b} e se sono verificate le seguenti condizioni:
• f è continua in Ω = I × A;
• |f (x, y1 ) − f (x, y2 )| ≤ L|y1 − y2 | ∀x ∈ I, ∀y1 , y2 ∈ A
Allora, posto
b
}
M
esiste una ed una sola funzione y : Iδ −→ A soddisfacente il problema di
Cauchy
M = max{|f (x, y)| : (x, y) ∈ Ω} e δ = min{a,
D IMOSTRAZIONE . Osserviamo innanzi tutto che risolvere il problema
di Cauchy è equivalente a dimostrare esistenza ed unicità di una funzione y
definita su Iδ continua e soddisfacente la
Z x
(7.2)
y(x) = y0 +
f (t, y(t))dt
,
x ∈ Iδ
x0
Per questo scopo definiamo una successione di funzioni
yk : Iδ −→ A
125
126
7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.
mediante le

y0 (x) = y0
Z
yk+1 (x) = y0 +
x
f (t, yk (t))dt
x0
Le yk sono note come approssimazioni di Picard della soluzione del
problema di Cauchy.
Procediamo nella dimostrazione mettendo in evidenza i passi principali
Passo 1. La definizione di yk è coerente in quanto possiamo verificare
per induzione che
yk (x) ∈ A,
∀x ∈ Iδ
,
∀k ∈ N
Si ha infatti
y0 (x) = y0 ∈ A
∀x ∈ Iδ
ed inoltre, supposto
yk (x) ∈ A
∀x ∈ Iδ
si ha
Z
|yk+1 (x) − y0 | ≤ x
x0
|f (t, yk (t))|dt ≤ M |x − x0 | ≤ M δ ≤ b
da cui
yk+1 (x) ∈ A
∀x ∈ Iδ
Passo 2. Proviamo ora che la successione yk è uniformemente convergente su Iδ .
Si ha
|x − x0 |k+1
|yk+1 (x) − yk (x)| ≤ M Lk
(k + 1)!
infatti
Z x
|y1 (x) − y0 (x)| ≤ |f (t, y0 )|dt ≤ M |x − x0 |
x0
e, per induzione, supponendo
|yk (x) − yk−1 (x)| ≤ M Lk−1
|x − x0 |k
k!
si ottiene subito che
Z
|yk+1 (x) − yk (x)| ≤ x
|f (t, yk (t)) − f (t, yk−1 (t))|dt ≤
x0
Z x
≤ L |yk (t) − yk−1 (t)|dt ≤
x0
k Z x
k+1
ML k k |x − x0 |
≤
|t
−
x
|
dt
≤
M
L
0
k! x0
(k + 1)!
1. IL TEOREMA DI ESISTENZA ED UNICITÀ DI PICARD
127
Possiamo pertanto affermare che
|yk+p (x) − yk (x)| ≤
p
X
|yk+h (x) − yk+h−1 (x)| ≤
h=1
p
≤
X
|x − x0 |k+h
=
(k + h)!
M Lk+h−1
h=1
p
M X k+h |x − x0 |k+h
=
L
≤
L h=1
(k + h)!
k+p
M X (Lδ)i
≤
= Ek,p
L i=k+1 i!
Passo 3. Ora, dal momento che
Lδ
e
=
+∞
X
(Lδ)i
i=1
i!
per k sufficientemente grande si ha che |Ek,p | < ε per ogni p ∈ N e quindi
yk converge uniformemente su Iδ ad una funzione che denoteremo con y.
Inoltre y è continua su Iδ in quanto è limite uniforme di funzioni continue.
Passo 4. Verifichiamo che y è soluzione del problema di Cauchy.
Se passiamo al limite per p → +∞ otteniamo
!
+∞
k
i
X
M X (Lδ)i
M
(Lδ)
|y(x) − yk (x)| ≤
=
eLδ −
=
L i=k+1 i!
L
i!
i=0
=
M ξ (Lδ)k+1
M Lδ (Lδ)k+1
e
≤
e
= Ek
L (k + 1)!
L
(k + 1)!
essendo |ξ| ≤ Lδ.
Ovviamente limk Ek = 0 e, dal momento che
Z x
yk+1 (x) = y0 +
f (t, yk (t))dt
x0
e che
Z x
[f (t, yk (t)) − f (t, y(t))]dt ≤
x0
Z
≤ x
x0
L|yk (t) − y(t)|dt ≤ LδEk
si ha, per k → +∞
Z
x
y(x) = y0 +
f (t, y(t))dt
x0
ed y è soluzione di 7.2 e quindi del problema di Cauchy.
128
7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.
Passo 5. Per quanto riguarda l’unicità della soluzione osserviamo che,
se y e z sono soluzioni del problema di Cauchy, allora
Z x
|y(x) − z(x)| ≤ L |y(t) − z(t)|dt
x0
e per il lemma di Gronwall si può concludere.
2
Usando argomentazioni simili a quelle del teorema precedente si può
provare per induzione che:
Con le notazioni e le ipotesi del teorema di esistenza ed unicità, si ha
|yk (x) − y(x)| ≤
M (Lδ)k+1
.
L (k + 1)!
2. Il teorema di esistenza di Peano
D EFINIZIONE 7.1. Sia I = [x0 − a, x0 + a] , A = {y ∈ Rn : |y − y0 | ≤
b} e sia f : I × A −→ A continua; poniamo
M = max{|f (x, y)| : (x, y) ∈ I × A}
b
δ = min a,
M
Siano δk > 0, δk → 0 ed
xi = x0 + iδk , x0 ≤ xi ≤ x0 + δ
chiamiamo approssimazioni di Eulero della soluzione del problema di
Cauchy, a destra di x0 , la successione di funzioni
yk : [x0 , x0 + δ] −→ A
definita da:
yk (x0 ) = y0
yk (x) = yk (xi ) + f (xi , yk (xi ))(x − xi ), xi ≤ x ≤ xi+1
Osserviamo che la definizione è consistente in quanto yk (x) ∈ A se
x ∈ [x0 , x0 + δ] e quindi è possibile calcolare f (xi , yk (xi )).
Infatti si ha yk (x0 ) = y0 ∈ A e supposto yk (xj ) ∈ A, j = 1, ..., i si ha
|yk (xi+1 ) − y0 | ≤ M |xi+1 − x0 | ≤ M δ ≤ b.
Notiamo inoltre che evidentemente si ha, se ξ, η ∈ [x0 , x0 + δ],
|yk (ξ) − yk (η)| ≤ M (ξ − η)
in quanto yk è una poligonale i cui tratti rettilinei hanno tutti coefficiente
angolare minore, in modulo, ad M .
2. IL TEOREMA DI ESISTENZA DI PEANO
129
Osserviamo infine che è banale definire le approssimazioni di Eulero
del problema di Cauchy anche a sinistra del punto x0 e di conseguenza in
tutto l’intervallo [x0 − δ, x0 + δ].
È possibile provare il seguente teorema di esistenza dovuto a Peano.
T EOREMA 7.2. - Peano - Siano I = [x0 − a, x0 + a], A = {y ∈ Rn :
|y − y0 | ≤ b}, f : I × A −→ A continua.
Sia
M = max{|f (x, y)| : (x, y) ∈ I × A}
b
δ = min{a, }
M
Allora esiste y : [x0 − δ, x0 + δ] −→ A, derivabile e tale che
(
y 0 (x) = f (x, y(x)), x ∈ [x0 − δ, x0 + δ]
y(x0 ) = y0
Si può inoltre provare che, qualora la soluzione sia unica, la successione
di approssimanti di Eulero converge alla soluzione stessa.
Passiamo ora a valutare l’errore che si commette usando le approssimanti di Eulero in luogo della soluzione effettiva.
T EOREMA 7.3. sia f ∈ C 1 (I × A); denotiamo con Lx ed Ly due valori
tali che
∂f
(x, y) ≤ Lx , |∇y f (x, y)| ≤ Ly
∂x
Allora si ha
|yk (x) − y(x)| ≤ δk (Lx + Ly M )(x − x0 )eLy (x−x0 ) /2
D IMOSTRAZIONE . Si ha
Z x
|yk (x) − yh (x)| ≤ [f (t, yk (t)) − f (t, yh (t))]dt +
x0
Z x
Z
+ ∆k (t)dt + x0
x
x0
∆h (t)dt
dove
∆k (t) = |f (t, yk (t)) − f (t, yk (xi ))|
Inoltre dalle ipotesi introdotte si ottiene
|∆k (x)| ≤ Lx |x − xi | + Ly |yk (x) − yk (xi )| ≤
≤ Lx |x − xi | + Ly M |x − xi | =
= (Lx + Ly M )|x − xi |
130
7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.
e pertanto
|yk (x) − yh (x)| ≤ (Lx + Ly M )(δk + δh )(x − x0 )/2+
Z x
+ Ly |yk (t) − yh (t)|dt
x0
e, per il lemma di Gronwall,
x − x0 Ly (x−x0 )
e
.
2
Pertanto yk è convergente uniformemente ad y che, come nel teorema precedente, è soluzione del problema di Cauchy. Facendo h → +∞ si ottiene
la tesi.
2
Rendiamo a questo punto conto brevemente di quello che è noto come
fenomeno di Peano. Per semplicità consideriamo il caso di una sola equazione differenziale; in parole povere il fenomeno di cui sopra può essere
descritto come segue.
In presenza di condizioni che garantiscono l’esistenza, ma non l’unicità
della soluzione del problema di Cauchy accade che, se esistono due soluzioni uscenti dal punto (x0 , y0 ), comunque si scelga un punto (x1 , y1 ) nella
zona di piano delimitata dalle due soluzioni e dalle rette x0 ± δ, esiste una
soluzione uscente da (x0 , y0 ) che passa per il punto (x1 , y1 ).
Si può inoltre provare l’esistenza di una soluzione massima e di una
soluzione minima per il problema di Cauchy.
|yk (x) − yh (x)| ≤ (δk + δh )(Lx + Ly M )
3. Metodi numerici per la soluzione di un problema di Cauchy.
Accenniamo infine ai metodi di approssimazione della soluzione di un
problema di Cauchy.
Abbiamo già visto come le approssimazioni di Picard danno la possibilità di approssimare la soluzione ed abbiamo dato una maggiorazione
dell’errore.
Questo modo di procedere genera tuttavia numerose difficoltà di tipo calcolistico, in quanto gli integrali da svolgere spesso non ammettono
primitive elementari.
Un secondo tentativo può essere fatto usando la formula di Taylor. In
tal caso si sostituisce alla soluzione y(x) il suo sviluppo di Taylor di ordine
m, Pm (x, h), relativo al punto x ed all’incremento h. Si ha cosı̀
Pm (x, h) =
m
X
y (i) (x)
i=0
e la soluzione è approssimata mediante le
(
xn+1 = xn + h
yn+1 = Pm (xn , h)
hi
i!
3. METODI NUMERICI PER LA SOLUZIONE DI UN PROBLEMA DI CAUCHY.
131
Osserviamo che y (i) (x) si può ricavare dai dati del problema, ricordando
che

y0 = f



y 00 = f + f y 0 = f + f f
x
y
x
y
000

y = fxx + fxy f + fx fy + fy2 f + f fyx + f 2 fyy



.........
Osserviamo che nel caso in cui m = 1, la formula appena descritta
si riduce al classico metodo di Eulero, mentre per valori di m più grandi
i calcoli si fanno troppo complicati e, per evitare questo inconveniente, è
necessario considerare quelli che si chiamano metodi di integrazione ad un
passo.
Essi si basano sull’idea di cercare una soluzione definita da
(
xn+1
yn+1
= xn + h
= yn + α0 k0 + α1 k1 + ... + αm km
dove

k0





k1
k2



...



km
= hf (xn , yn )
= hf (xn + a1 h, yn + b10 k0 )
= hf (xn + a2 h, yn + b20 k0 + b21 k1 )
............
= hf (xn + am h, yn + bm0 k0 + ... + bm,m−1 km−1 )
Ora, sviluppando secondo Taylor le espressioni dei ki , sostituendo nelle
precedenti uguaglianze e confrontando quanto si ottiene con lo sviluppo di
Taylor della soluzione, si ha un sistema di equazioni algebriche sottodeterminato, che consente di trovare più di una scelta dei coefficienti αi , ai e
bij .
A seconda dell’ordine di sviluppo di Taylor e delle scelte effettuate
nel risolvere il sistema, questo procedimento genera diverse formule di
integrazione.
Qui di seguito elenchiamo quelle più diffuse.
- Metodo di Eulero (ordine 1)
xn+1 = xn + h
yn+1 = yn + hf (xn , yn )
132
7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.
- Metodo di Eulero modificato (ordine 2)
xn+1 = xn + h
k1 = hf (xn , yn )
k2 = hf (xn + h, yn + k1 )
yn+1 = yn + (k1 + k2 )/2
- Metodo di Heun (ordine 3)
xn+1 = xn + h
k1 = hf (xn , yn )
k2 = hf (xn + h/3, yn + k1 /3)
k3 = hf (xn + 2h/3, yn + 2k2 /3)
yn+1 = yn + (k1 + 3k3 )/4
- Metodo di Kutta (ordine 3)
xn+1 = xn + h
k1 = hf (xn , yn )
k2 = hf (xn + h/2, yn + k1 /2)
k3 = hf (xn + h, yn + 2k2 − k1 )
yn+1 = yn + (k1 + 4k2 + k3 )/6
3. METODI NUMERICI PER LA SOLUZIONE DI UN PROBLEMA DI CAUCHY.
133
- Metodo di Runge-Kutta (ordine 4)
xn+1 = xn + h
k1 = hf (xn , yn )
k2 = hf (xn + h/2, yn + k1 /2)
k3 = hf (xn + h/2, yn + k2 /2)
k4 = hf (xn + h, yn + k3 )
yn+1 = yn + (k1 + 2k2 + 2k3 + k4 )/6
- Metodo di Runge-Kutta II (ordine 4)
xn+1 = xn + h
k1 = hf (xn , yn )
k2 = hf (xn + h/3, yn + k1 /3)
k3 = hf (xn + 2h/3, yn + k2 − k1 /3)
k4 = hf (xn + h, yn + k1 − k2 + k3 )
yn+1 = yn + (k1 + 3k2 + 3k3 + k4 )/8
Infine esistono metodi di integrazione per equazioni differenziali che
sono basati sulle formule di quadratura aperte e chiuse per intervalli equispaziati.
Tali metodi sono basati sull’uso di una formula di quadratura aperta che
usa i punti yn−p , .., yn per predire il punto yn+1 e di una formula di quadratura chiusa che fa uso dei punti yn−q , .., yn+1 per correggere la previsione
fatta.
Per il loro modo di operare tali metodi si dicono metodi predictorcorrector: riportiamo qui di seguito i più diffusi tra di essi.
- Metodo di Eulero modificato (ordine 2)
xn+1 = xn + h
∗
yn+1
= yn + hf (xn , yn )
∗
yn+1 = yn + h[f (xn , yn ) + f (xn+1 , yn+1
)]/2
134
7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.
- Metodo di Milne a tre punti (ordine 4)
xn+1 = xn + h
∗
yn+1
= yn−3 + h[8f (xn , yn ) − 4f (xn−1 , yn−1 ) + 8f (xn−2 , yn−2 )]/3
∗
yn+1 = yn−1 + h[f (xn+1 , yn+1
) + 4f (xn , yn ) + f (xn−1 , yn−1 )]/3
- Metodo di Adams-Moulton (ordine 4)
xn+1 = xn + h
∗
yn+1
= yn + h[55f (xn , yn ) − 59f (xn−1 , yn−1 )+
+ 37f (xn−2 , yn−2 ) − 9f (xn−3 , yn−3 )]/24
∗
yn+1 = yn + h[9f (xn+1 , yn+1
) + 19f (xn , yn )−
− 5f (xn−1 , yn−1 ) + f (xn−2 , yn−2 )]/24
- Metodo di Milne a cinque punti (ordine 6)
xn+1 = xn + h
∗
yn+1
= yn−5 + h[33f (xn , yn ) − 42f (xn−1 , yn−1 ) + 78f (xn−2 , yn−2 )−
− 42f (xn−3 , yn−3 ) + 33f (xn−4 , yn−4 )]/10
∗
yn+1 = yn−3 + h[14f (xn+1 , yn+1
) + 64f (xn , yn ) + 24f (xn−1 , yn−1 )+
+ 64f (xn−2 , yn−2 ) + 14f (xn−3 , yn−3 )]/45
4. Prolungabilità della soluzione di un problema di Cauchy.
Abbiamo dimostrato un teorema di esistenza ed unicità di una soluzione
locale del problema di Cauchy, abbiamo cioè provato che la soluzione esiste
ed è unica in un intorno del punto iniziale.
Se esiste un’altra soluzione del problema di Cauchy assegnato, definita
su un intervallo più grande di quello precedentemente trovato e coincidente
con la prima nella parte comune diciamo che tale soluzione è prolungabile
e che la nuova soluzione è un suo prolungamento.
4. PROLUNGABILITÀ DELLA SOLUZIONE DI UN PROBLEMA DI CAUCHY.
135
Più precisamente diciamo che y è una soluzione prolungabile a destra
se esiste
z : [a, c) −→ A
soluzione, con c > b e y(x) = z(x) ∀x ∈ [a, b).
Una applicazione del lemma di Gronwall assicura che:
Se f è continua in Ω e se
|f (x, y1 ) − f (x, y2 )| ≤ L|y1 − y2 | ,
∀x ∈ I , ∀y1 , y2 ∈ A
Allora, se y e z sono due soluzioni definite sugli intervalli I1 ed I2
rispettivamente, si ha
y(x) = z(x)
∀x ∈ I1 ∩ I2
Sotto opportune condizioni una soluzione locale può essere prolungata;
più precisamente:
Se f è continua in Ω e se
|f (x, y1 ) − f (x, y2 )| ≤ L|y1 − y2 |
∀x ∈ I , ∀y1 , y2 ∈ A
Allora, se y è una soluzione definita su [a, b) e se poniamo
Γ = {(x, y(x)) : x ∈ [a, b)}
sono equivalenti le seguenti condizioni:
• y è prolungabile a destra;
• Γ è limitato e d(Γ, ∂Ω) > 0. dove
d(A, B) = inf{|x − y| : x ∈ A , y ∈ B }
È anche possibile stabilire una semplice condizione sufficiente per la
prolungabilità di una soluzione e quindi per l’esistenza di quella che si chiama una soluzione globale: una soluzione cioè che sia definita per tutti i
valori di I = (x0 − a, x0 + a).
Infatti se
f : I × R −→ R
e se
(7.3)
|f (x, y)| ≤ M + L|y|
per ogni x ∈ I, ed y ∈ R
Allora esiste una ed una sola soluzione del problema di Cauchy definita
su tutto I.
136
7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.
Per dimostrare questa affermazione è sufficiente osservare che nelle
condizioni assunte si ha
Z x
Z x
|y(x)| = y0 +
f (t, y(t))dt ≤ |y0 | + 2aM + L|y(t)|dt
x0
x0
e, per il lemma di Gronwall, ciò è sufficiente per affermare che la soluzione
y è limitata e quindi prolungabile.
Le condizioni
• |f (x, y)| ≤ M per ogni x ∈ I, y ∈ R, ed inoltre f è lipschitziana
sugli insiemi limitati contenuti in I × R;
• |f (x, y1 ) − f (x, y2 )| ≤ L|y1 − y2 | per ogni x ∈ I, y1 , y2 ∈ R
sono entrambe sufficienti per la 7.3
Consideriamo la disequazione differenziale
(
z 0 (x) ≤ ω(x, z(x))
z(x0 ) ≤ a
L’esistenza di soluzioni della disequazione è ovvia conseguenza del
teorema di esistenza per le equazioni; non cosı̀ si può ovviamente dire
dell’unicità.
Si può tuttavia provare il seguente notevole risultato
T EOREMA 7.4. Se z è una soluzione della disequazione definita su un
intervallo J e se y è la soluzione del problema
(
y 0 (x) = ω(x, y(x))
y(x0 ) = a
Allora si ha
z(x) ≤ y(x)
D IMOSTRAZIONE . Sia u(x) = z(x) − y(x), si ha u(x0 ) ≤ 0; supponiamo
che esista x1 > x0 tale che u(x1 ) > 0. Dal momento che u è continua esiste
ξ tale che u(ξ) = 0 e u(x) > 0 per x ∈ (ξ, x1 ].
Inoltre,
u0 (x) = z 0 (x) − y 0 (x) ≤ ω(x, z(x)) − ω(x, y(x)) ≤
≤ |ω(x, z(x)) − ω(x, y(x))| ≤ L|z(x) − y(x)| = L|u(x)|
Poichè si ha
d
dp
|u0 (x)||u(x)|
2hu0 (x), u(x)i
|u(x)| =
hu(x), u(x)i = p
≤
dx
dx
|u(x)|
2 hu(x), u(x)i
otteniamo
d
|u(x)| ≤ |u0 (x)| ≤ L|u(x)|
dx
e, per il lemma di Gronwall
0 < u(x1 ) ≤ u(ξ)eL(x1 −ξ) = 0
4. PROLUNGABILITÀ DELLA SOLUZIONE DI UN PROBLEMA DI CAUCHY.
il che è assurdo.
137
2
T EOREMA 7.5. Supponiamo che α : [x0 , +∞) −→ R sia continua,
β : R̄+ −→ R+ sia continua e
Z +∞
1
ds = +∞
β(s)
0
Allora il problema
(
u0 (x) = α(x)β(y(x))
u(x0 ) = u0
ammette soluzioni definite per x ≥ x0 .
D IMOSTRAZIONE . Separando le variabili si ottiene
u0 (x)
= α(x)
β(u(x))
ed integrando
B(u(x)) = A(x)
dove
Z u
1
ds
B(u) =
u0 β(s)
Z x
A(x) =
α(s)ds
x0
Per le ipotesi fatte B è crescente, invertibile e dal momento che
Z +∞
1
lim B(u) =
ds + k = +∞
u→+∞
β(s)
x0
possiamo affermare che B assume tutti i valori positivi, inoltre evidentemente A assume solo valori positivi e possiamo affermare che
u(x) = B −1 (A(x))
è definita per x ≥ x0
2
n
n
T EOREMA 7.6. Supponiamo che f : [x0 , +∞) × R −→ R sia continua e lipschitziana in y, uniformemente rispetto ad x, sugli insiemi limitati.
Supponiamo inoltre che esistano α : [x0 , +∞) −→ R continua, β :
R̄+ −→ R+ continua e crescente, con
Z +∞
1
ds = +∞
β(s)
0
tali che
|f (x, y)| ≤ α(x)β(|y|).
Allora il problema
(
y 0 (x) = f (x, y(x))
y(x0 ) = y0
ammette soluzioni definite per x ≥ x0 .
138
7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.
D IMOSTRAZIONE . Utilizzando le ipotesi si ha che
(
d
|y(x)|
dt
≤ α(x)β(|y(x)|)
|y(x0 )| = |y0 |
Per cui se u è la soluzione del problema di cui al teorema precedente con
u0 = |y0 | si ha
|y(x)| ≤ u(x)
Poichè u è definita per x ≥ x0 , |y| ed y si mantiene limitata e quindi è
prolungabile per x ≤ x0
2
5. Dipendenza continua dai dati iniziali
Le soluzioni di un problema di Cauchy evidentemente cambiano se i
dati del problema cambiano, ma è importante conoscere quali alterazioni
subiscono.
In particolare è utile sapere se piccoli cambiamenti dei dati provochino
piccoli cambiamenti delle soluzioni.
La questione è evidentemente importante in quanto i problemi di Cauchy sono di grande utilità nella modellistica matematica e non è realistico
sperare che le funzioni ed i dati che entrano a definire un modello matematico descrivano il fenomeno da studiare senza alcun margine di errore o che
non si introducano errori di approssimazione dovuti ai calcoli.
Lo scopo dello studio della dipendenza dai dati è perciò di fornire una
stima delle modificazioni introdotte dall’approssimazione dei dati nelle soluzioni.
L’applicazione del Lemma di Gronwall permette di stabilire alcuni risultati nell’enunciare i quali supponiamo verificate le ipotesi di esistenza ed
unicità della soluzione di un problema di Cauchy.
Siano y e z tali che
(
y 0 (x) = f (x, y(x)) x ∈ Iδ
y(x0 ) = y0
(
z 0 (x) = f (x, z(x)) x ∈ Iδ
z(x0 ) = z0
Iδ = [x0 − δ, x0 + δ];
Allora si ha
|y(x) − z(x)| ≤ |y0 − z0 |eL|x−x0 |
per ogni x ∈ Iδ .
5. DIPENDENZA CONTINUA DAI DATI INIZIALI
139
Infatti
Z
|y(x) − z(x)| ≤ |y0 − z0 | + x
x0
|f (t, y(t)) − f (t, z(t))|dt ≤
Z x
L|y(t) − z(t)|dt ≤ |y0 − z0 | + x0
e si conclude per il lemma di Gronwall.
Siano y e w tali che
(
y 0 (x) = f (x, y(x)) x ∈ Iδ
y(x0 ) = y0
(
w0 (x) = g(x, w(x)) x ∈ Iδ
w(x0 ) = y0
Iδ = [x0 − δ, x0 + δ];
Allora si ha
Z
|y(x) − w(x)| ≤ x
x0
|f (t, w(t)) − g(t, w(t))|dt eL|x−x0 |
per ogni x ∈ Iδ .
Infatti
Z
|y(x) − w(x)| ≤ x
|f (t, y(t)) − g(t, w(t))|dt ≤
x0
Z x
≤ |f (t, y(t)) − f (t, w(t))|dt +
Z xx0
+ |f (t, w(t)) − g(t, w(t))|dt ≤
Zx0x
≤
|f (t, w(t)) − g(t, w(t))|dt +
x0
Z x
+ L|y(t) − w(t)|dt
x0
ed ancora si conclude per il lemma di Gronwall.
140
7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.
Siano y e w tali che
(
(
y 0 (x) = f (x, y(x)) x ∈ Iδ
u0 (x) = f (x, u(x)) x ∈ Iδ
y(x0 ) = y0
u(ξ0 ) = y0
Iδ = [x0 − δ, x0 + δ];
Allora si ha
|y(x) − u(x)| ≤ M |ξ0 − x0 |eL|x−x0 |
per ogni x ∈ Iδ .
Infatti
Z x
Z x
|y(x) − u(x)| = f (t, y(t))dt −
f (t, u(t))dt ≤
x0
ξ0
Z ξ0
Z x
≤
f (t, u(t))dt + [f (t, y(t)) − f (t, u(t))]dt ≤
x0
x0
Z x
≤ M |ξ0 − x0 | + L|y(t) − u(t)|dt
x0
ed anche qui si conclude per il lemma di Gronwall.
I tre risultati precedenti consentono di affermare che
Se ye v sono tali che
(
(
y 0 (x) = f (x, y(x)) x ∈ Iδ
v 0 (x) = g(x, v(x)) x ∈ Iδ
y(x0 ) = y0
u(ξ0 ) = v0
Iδ = [x0 − δ, x0 + δ];
Allora si ha
|y(x) − v(x)| ≤ |y(x) − z(x)| + |z(x) − w(x)| + |w(x) − v(x)|
per ogni x ∈ Iδ .
6. Stabilità.
I precedenti risultati assicurano in altre parole che piccoli cambiamenti
dei dati del problema inducono piccoli cambiamenti nei valori delle soluzioni. Essi tuttavia perdono significato qualora si considerino valori grandi
dell’ampiezza a dell’intervallo Iδ .
In tal caso infatti, anche supponendo che le soluzioni del problema di
Cauchy siano definite sulla semiretta x ≥ x0 , le maggiorazioni ottenute
tendono all’infinito.
6. STABILITÀ.
141
Lo studio del comportamento delle soluzioni di una equazione differenziale sulla semiretta x ≥ x0 si definisce studio della stabilità.
A meno di considerare una equazione ottenuta con un semplice cambio di variabili, ci si può sempre ricondurre allo studio della stabilità della
soluzione identicamente nulla.
Infatti z è soluzione di
y 0 (x) = f (x, y(x))
,
x ≥ x0
se e solo se la funzione identicamente nulla risolve
y 0 (x) = f (x, z(x) + y(x)) − z 0 (x),
x ≥ x0
La stabilità assume particolare rilevanza nel caso in cui il problema di
Cauchy sia autonomo, sia cioè della forma
(
y 0 (x) = f (y(x))
y(x0 ) = y0
Supporremo verificate le seguenti ipotesi
Sia f : A −→ A, A = {y ∈ Rn : |y| < a}
e supponiamo che
|f (y1 ) − f (y2 )| ≤ LB |y1 − y2 |
∀y1 , y2 ∈ B ,B ⊂ A, limitato,
f (0) = 0.
Sia f : A −→ A , A = {y ∈ Rn : |y| < a} tale che
• f sia continua in [x0 , +∞) × A,
•
|f (y1 ) − f (y2 )| ≤ LB |y1 − y2 |
∀y1 , y2 ∈ R ∀B ⊂ R limitato,
• f (0) = 0
Le condizioni assunte assicurano che la soluzione del problema di Cauchy
(
y 0 (x) = f (x, y(x))
y(x0 ) = y0
esiste per x ∈ [x0 , x0 +δ] , con δ opportuno ed è ivi unicamente determinata.
In accordo con il teorema di prolungabilità considereremo sempre soluzioni definite su un intervallo massimale a destra che indicheremo con
[x0 , b).
142
7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.
Le condizioni assicurano inoltre che la funzione identicamente nulla,
y(x) ≡ 0 , x ≥ x0 , è soluzione del problema di Cauchy con dato iniziale
nullo , y0 = 0.
D EFINIZIONE 7.2. Diciamo che la soluzione nulla è stabile per l’equazione data se per ogni ε > 0 esiste δε > 0 tale
che se |y0 | < δε , la soluzione del problema di Cauchy è definita per
x ≥ x0 e si ha
|y(x)| < ε
per ogni x ≥ x0 .
D EFINIZIONE 7.3. Diciamo che la soluzione nulla è asintoticamente
stabile per l’equazione data se è stabile e se esiste δ > 0 tale che per
|y0 | < δ ,
lim y(x) = 0.
x→+∞
6.0.1. Stabilità per i sistemi lineari. E’ facile provare un criterio di
stabilità per i sistemi lineari.
Consideriamo il sistema lineare
y 0 (x) = Ay(x).
Sia G una matrice fondamentale del sistema; allora la soluzione
identicamente nulla è stabile se e solo se
|G(x)| ≤ K , ∀x ≥ x0
inoltre la soluzione nulla è asintoticamente stabile se e solo se
lim |G(x)| = 0
x→+∞
Infatti le soluzioni del sistema lineare possono essere scritte nella forma
y(x) = G(x)C
,
c ∈ Rn
mentre le soluzioni del problema di Cauchy sono date da
y(x) = G(x)G−1 (x0 )y0
Pertanto
ky(x)k ≤ kG(x)kkG−1 (x0 )kky0 k
Ciò permette di concludere sulla sufficienza delle condizioni proposte per
la stabilità e l’asintotica stabilità della soluzione nulla. Inoltre
G(x) = (y1 (x), y2 (x), ...., yn (x))
dove yk (x) è la soluzione del problema di Cauchy con dato iniziale yk (x0 ) =
ek (indichiamo con ek gli elementi della base canonica di Rn .
6. STABILITÀ.
143
6.0.2. Stabilità per i sistemi non lineari, (Criterio di Lyapunov). Nel
caso dei sistemi non lineari
T EOREMA 7.7. Se esiste una funzione differenziabile V : A −→ R tale
che V (0) = 0, V (y) > 0 se y ∈ A \ {0}. e se accade che
h∇V (y), f (y)i ≤ 0
∀y ∈ A
allora la soluzione nulla è stabile per l’equazione.
Se di più
h∇V (y), f (y)i < 0
∀y ∈ A \ {0}
la soluzione nulla è asintoticamente stabile.
D IMOSTRAZIONE . Si ha
min{V (y) : |y| = ε } = m > 0
e, dal momento che V (0) = 0, esiste δ < ε tale che
V (y) < m se |y| < δ
Sia ora y0 ∈ A , |y0 | < δ, sia y(x) la soluzione massimale del problema
definita in [x0 , b), e sia v(x) = V (y(x)); si ha
v(x0 ) = V (y0 ) < m
ed inoltre
v 0 (x) = h∇V (y(x)), f (y(x))i ≤ 0 per x ∈ [x0 , b) .
Pertanto
v(x) ≤ v(x0 ) < m per x ∈ [x0 , b)
e se esistesse x̂ ∈ [x0 , b), con |y(x̂) | ≥ ε , per il teorema dei valori intermedi
sarebbe possibile trovare x0 ∈ [x0 , x̂ con |y(x0 )| = ε e si avrebbe
v(x0 ) = V (y(x0 )) ≥ m
il che è assurdo.
Ne viene che y(x) è limitato per x ∈ [x0 , b) e pertanto b = +∞ per il
teorema di prolungabilità.
Per quel che riguarda il secondo enunciato osserviamo che, essendo
ovviamente provata la stabilità della soluzione nulla, si ha
∀ε > 0 ∃δε > 0 tale che se |y0 | < δε
|y(x)| < ε per x ≥ x0 ,
inoltre come precedentemente visto
v(x) = V (y(x)) è decrescente per x ≥ x0 .
Pertanto
lim v(x) = λ ≥ 0 e v(x) ≥ λ se x ≥ x0 ;
x→+∞
se fosse λ > 0 si potrebbe scegliere η > 0 tale che, se |y| < η, V (y) < λ.
Allora, dal momento che V (y(x)) ≥ λ si avrebbe |y(x)| ≥ η; sia
m = max{h∇V (y), f (y)i : η ≤ |y| ≤ ε} < 0,
144
7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.
si ha
v 0 (x) ≤ m < 0
se x ≥ x0
e
v(x) ≤ v(x0 ) + m(x − x0 ).
Facendo x → +∞ si ottiene v(x) → −∞, il che è assurdo.
Pertanto
lim V (y(x)) = lim v(x) = 0.
x→+∞
x→+∞
Se
lim y(x) 6= 0
x→+∞
esisterebbe xn → +∞ tale che |y(xn )| ≥ ε0 > 0 e
V (y(xn )) ≥ min{V (y) : ε0 ≤ |y| ≤ ε} = ξ0 > 0
e ciò è assurdo.
2
Possiamo anche formulare un risultato di instabilità può invece essere
cosı̀ riformulato.
T EOREMA 7.8. Supponiamo che esistano un aperto G ⊂ A e due
funzioni V : G −→ R differenziabile, k : R −→ R̄+ continua, tali che
h∇V (y), f (y)i ≥ k(V (y)) > 0
∀y ∈ G \ {0}
Supponiamo inoltre che
• 0 < V (y) ≤ M ∀y ∈ G
• V (y) = 0 se y ∈ ∂G ∩ A
• 0 ∈ ∂G.
Allora la soluzione nulla è instabile.
D IMOSTRAZIONE . Per la continuità di V e per la (iii), ∀δ > 0 ∃y0 ∈ G
tale che |y0 | < δ e 0 < V (y0 ) < δ.
Sia v̂ = V (y0 ); se la soluzione nulla fosse stabile per l’equazione
(30.12) potremmo affermare che la soluzione y(x) di (30.11) è definita per
x ≥ x0 .
Sia ora
ξ = sup{x : y(x) ∈ G },
come nel teorema 30.23 si può vedere che ξ = +∞; pertanto se v(x) =
V (y(x) si ha 0 ≤ v(x) ≤ M e
v 0 (x) ≥ k(v(x)).
Ne deduciamo che
Z
v̂
v(x)
ds
≥ x − x0
k(s)
e, detta K una primitiva di 1/k si ha
K(v(x)) − K(v̂) ≥ x − x0 .
6. STABILITÀ.
145
Dal momento che K è crescente
K(M ) ≥ K(v(x)) ≥ K(v̂) − x0 + x
per x ≥ x0
il che è assurdo.
2
6.1. Stabilità in prima approssimazione. Molto spesso, per studiare
la stabilità di un sistema non lineare si procede allo studio della stabilità del
sistema lineare ottenuto usando lo sviluppo di Taylor del primo ordine della
funzione che compare a secondo membro. Tale sistema si chiama sistema
linearizzato ed è interessante conoscere sotto quali condizioni la stabilità
del sistema linearizzato è sufficiente per la stabilità del sistema originale.
Questo tipo di studio si chiama studio della stabilità in prima approssimazione.
T EOREMA 7.9. Sia P una matrice n × n e siano A = {y ∈ Rn : |y| <
a } ed f : A −→ R, tali che f (0) = 0, f è continua e
f (x)
= 0.
x→0 |x|
lim
Consideriamo il sistema
(
y 0 (x) = P y(x) + f (y(x))
y(x0 ) = y0
Allora, se P ha tutti gli autovalori con parte reale negativa, la soluzione
nulla è stabile per il sistema.
D IMOSTRAZIONE . Se |y| < σ si ha
α
|y|;
2K
e per il seguito è lecito supporre che a < σ.
Sia G la matrice fondamentale principale del sistema linearizzato y 0 =
P y e sia y la soluzione definita in un intervallo massimale [x0 , b); posto
Z x
z(x) = G(x − x0 )y0 +
G(x − t)f (y(t))dt
|f (y)| ≤
x0
si ha
0
Z
0
x
z (x) = G (x − x0 )y0 +
G0 (x − t)f (y(t))dt + G(0)f (y(x)) =
x0
Z x
= P G(x − x0 )y0 +
G(x − t)f (y(t))dt + f (y(x)) =
x0
= P z(x) + f (y(x))
e
z(x0 ) = y0
Tenuto conto del fatto che
y 0 (x) = P y(x) + f (y(x)) , y(x0 ) = y0
146
7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.
si ha
(z − y)0 (x) = P (z − y)(x) , (z − y)(x0 ) = 0
da cui
Pertanto
z(x) ≡ y(x)
Z x
y(x) = G(x − x0 )y0 +
G(x − t)f (y(t))dt
x0
ed inoltre, poiché gli autovalori di P hanno parte reale negativa
|G(x − t)| ≤ Ke−α(x−t)
Allora
−α(x−x0 )
|y(x)| ≤ Ke
, x0 ≤ t ≤ x.
x
Z
|y0 | +
x0
da cui
α(x−x0 )
e
Z
x
|y(x)| ≤ K|y0 | +
x0
α −α(x−t)
e
|y(t)|dt
2
α α(t−x0 )
e
|y(t)|dt
2
e per il lemma di Gronwall
eα(x−x0 ) |y(x)| ≤ K|y0 |eα(x−x0 )/2
e
(30.14)
|y(x)| ≤ K|y0 |e−α(x−x0 ) ≤ K|y0 | , ∀x ≥ x0
Pertanto si ha, se 0 < ε < σ e |y0 | < ε/K,
|y(x)| < ε
, ∀x ∈ [x0 , b)
e con le solite argomentazioni circa la prolungabilità delle soluzioni si vede
che deve essere b = +∞.
Passando al limite per x → +∞ nella si conclude anche l’asintotica
stabilità.
2
Si può inoltre dimostrare che qualora la soluzione sia instabile per il
sistema linearizzato allora anche il sistema di partenza è instabile.
Elenco delle figure
1.1
2.1
2.2
2.3
6
Il teorema degli zeri
Il teorema delle funzioni implicite
Il teorema delle funzioni implicite
17
30
31
3.1
3.2
3.3
36
36
41
4.1
4.2
4.3
4.4
4.5
50
54
55
56
57
147
Indice
Capitolo 1. SPAZI EUCLIDEI n-DIMENSIONALI.
1. Norma e Prodotto scalare
2. Applicazioni Lineari
3. Forme Bilineari e Quadratiche
4. Proprietà Topologiche
3
3
7
8
10
Capitolo 2. LE FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI
1. Limiti
2. Continuità
3. Differenziabilità e Derivabilità
4. Formula di Taylor
5. Massimi e Minimi Relativi
6. Convessità
7. Funzioni Implicite
8. Massimi e Minimi Vincolati
Moltiplicatori di Lagrange
13
13
15
18
26
27
28
29
Capitolo 3.
1.
2.
INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’
VARIABILI.
Integrali Multipli
Integrali dipendenti da un parametro.
32
35
35
47
Capitolo 4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.
1. Linee ed integrali di linea
2. Superfici ed Integrali di Superficie
3. Forme Differenziali in R3
4. Il Teorema di Stokes
49
49
55
58
68
Capitolo 5. LE SERIE
1. Criteri di convergenza per le serie a termini positivi
2. Serie a termini di segno alterno
3. Operazioni sulle serie
79
83
87
89
Capitolo 6. LE SERIE DI FUNZIONI.
1. Successioni di Funzioni.
2. Serie di funzioni.
3. Le Serie di Taylor.
4. Le serie di potenze.
5. Le serie di Fourier.
149
93
93
97
101
103
107
150
6.
7.
INDICE
La Trasformata di Fourier.
La trasformata di Laplace
117
121
Capitolo 7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI
DIFFERENZIALI ORDINARIE.
1. Il teorema di esistenza ed unicità di Picard
2. Il teorema di esistenza di Peano
3. Metodi numerici per la soluzione di un problema di Cauchy.
4. Prolungabilità della soluzione di un problema di Cauchy.
5. Dipendenza continua dai dati iniziali
6. Stabilità.
125
125
128
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Elenco delle figure
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