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Scivolando nel 2017 Viaggiatori d’Occidente - Anche gli sport invernali riflettono le nuove tendenze del turismo / 27.12.2016 di Claudio Visentin Quest’anno, quando racconterete di aver sciato nelle prestigiose stazioni svizzere, rischiate di ricevere in risposta solo un sorriso di sufficienza. Infatti se il cambiamento climatico ha messo sotto pressione molte località di sport invernali, in compenso sembra aver risvegliato la fantasia dei praticanti. Per esempio si può sciare su un vulcano attivo, l’Etna, in Sicilia. E i più coraggiosi scendono anche d’estate, evitando le rocce laviche affioranti lasciate dalle ultime eruzioni. Ma si scia anche ai tropici, nelle assolate isole Hawaii, passando dal costume da bagno alla tuta da sci nello stesso giorno; anche qui su un vulcano (ma questa volta dormiente), il Mauna Kea, alto più di quattromila metri. In gennaio e febbraio il Mauna Kea si copre di un manto bianco, con una neve fine e polverosa, assai apprezzata. Nessun impianto di risalita (si arriva in cima con un fuoristrada, guidando a turno) ma ben cento miglia quadrate di campi innevati a disposizione. Chi crederebbe poi che si possano praticare gli sport invernali nell’Africa subsahariana? Eppure in Lesotho, il piccolo Paese interamente circondato dal Sudafrica, Afri-Ski è aperto per tutta estate, sui monti Maluti, a oltre tremila metri d’altezza. Fin qui si tratta di curiosità geografiche, ma pur sempre di possibilità offerte dalla natura. A Dubai invece si scia nel deserto sotto la gigantesca cupola di Ski Dubai, una sorta di smisurato frigorifero con tanto di pinguini veri, anche quando la temperatura esterna tocca i quaranta gradi. Un’autentica stravaganza e soprattutto un vero insulto al cambiamento climatico e alle preoccupazioni ecologiche del resto del mondo. Meglio allora il progetto danese di creare una pista da sci lunga 440 metri, con quattro livelli di difficoltà, sopra un inceneritore di Copenhagen, dove i rifiuti vengono trasformati in energia. L’apertura è programmata per il 2017, c’è tempo per abituarsi all’eventuale cattivo odore… Anche l’industria turistica è sempre alla ricerca di nuove proposte per i suoi annoiati clienti. E l’ultima moda nelle vacanze invernali è senza dubbio il Polo Sud: «Perché dovreste sciare in Antartide», spiega l’articolo di una patinata rivista internazionale di viaggi. Anche qui niente ski lift naturalmente, né resort a cinque stelle; già solo arrivarci è piuttosto complicato tra aereo, auto, nave, barca e svariati altri mezzi di trasporto. Inevitabilmente è anche assai costoso, fino a venticinquemila dollari per i soggiorni più lunghi in piccoli gruppi di soli cinque ospiti su uno yacht privato. In compenso il paesaggio è straordinario, tra foche e pinguini, con le balene sullo sfondo. Si parte da Ushuaia, in Argentina, la città più meridionale del mondo, unendosi con gli sci in spalla a una crociera in Antartide. Molti guardano con giustificata preoccupazione questa crescente presenza umana in ecosistemi fragili e al tempo stesso pericolosi per l’uomo, in quanto lontani e poco attrezzati in caso di emergenza. Nella stessa direzione, qualche mese fa («Azione» 34 del 22 agosto), abbiamo raccontato della prima crociera attraverso il leggendario Passaggio di nord-ovest, lungo la costa settentrionale del Canada, nel Mar glaciale artico. In quel caso tutto è andato secondo i programmi, ma chi può garantire per il futuro? E ogni impresa riuscita ha solo l’effetto di incoraggiare nuovi tentativi… Perché? Perché spingersi tanto oltre? Perché non ci basta mai quel che abbiamo a portata di mano? Perché non sappiamo fermarci? Certo c’è il fascino di regioni appena toccate dall’uomo, l’eterna molla dei viaggi. E poco importa se lo stesso turismo, nel realizzare questo sogno, strapperà quei luoghi alla loro condizione originaria. Va messa in conto anche la ricerca di nuove destinazioni avvertite come sicure dopo che il terrorismo internazionale ha cambiato radicalmente la geografia del turismo. Meno confessabile ma altrettanto importante è poi il cosiddetto bragging, ovvero il desiderio di compiere esperienze che una volta condivise sui social possano suscitare l’invidia di amici e conoscenti, accrescendo il nostro prestigio: «Hai fatto Eliski? Sai, io invece sono stato in Antartide…». Si nota un curioso paradosso: mentre l’industria turistica spinge sempre più avanti i suoi limiti, i viaggiatori più esperti si muovono in direzione ostinata e contraria. Più vicino, più lento, più intenso, più profondo sembra essere il nuovo mantra. Lo sguardo allenato da una lunga esperienza permette di cogliere l’esotico alle porte di casa, come cantava Celentano in una canzone di qualche anno fa, Azzurro: «Cerco un po’ d’Africa in giardino, tra l’oleandro e il baobab»… Per esempio il 2016, Anno dei cammini in Italia, ha tratto il viaggio a piedi dalla sua confortevole nicchia e ne ha fatto una proposta per tutti: basti pensare al Touring Club Italiano, che ha puntato soprattutto sulla valorizzazione della Via Francigena. Restringendo lo spazio ed espandendo il tempo si cambiano le regole del gioco: una profonda meraviglia prende il posto dello stupore superficiale provocato dalle continue novità. E proprio questa dissonanza, una delle tante, forse troppe del nostro tempo, potrebbe essere il filo conduttore del 2017, considerato dal punto di vista dei viaggi.