Diventare grandi con la matematica

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Diventare grandi con la matematica
Diventare grandi insieme alla Matematica.
Alcune esperienze nella Scuola dell’Infanzia.
Ines Marazzani
NRD – Bologna
Questo articolo è stato oggetto di pubblicazione in:
D’Amore B. (ed.) (2001). Didattica della matematica e rinnovamento curricolare. Bologna:
Pitagora
A tre anni, ma in molti casi anche prima, i bambini fanno il loro primo ingresso a scuola per uscirne
poi a … anni. Molte volte, durante questo cammino si trovano a “passare” da una scuola all’altra:
dovrebbe essere garantito a tutti un percorso lineare che accompagni la crescita personale.
Sembra invece che, già ad iniziare dal “passaggio” fra Scuola dell’Infanzia e Scuola Elementare
esista un momento di transizione (come del resto avviene ogni volta che c’è un “passaggio” fra una
scuola e l’altra), nel quale non sempre è ben chiaro ciò che spetti alla prima e ciò che, invece, è di
competenza della seconda; non è facile stabilire, cioè, quali siano i traguardi di una e quali i primi
passi dell’altra, benché ci siano documenti programmatici che delineano le diverse competenze.
Dovrebbe esserci una consequenzialità che faccia vivere questo momento serenamente, sì, ai
bambini, ma anche agli insegnanti: troppo spesso accade che ci si colpevolizzi a vicenda. Insegnanti
di Scuola dell’Infanzia che temono i giudizi dei colleghi della Scuola Elementare che, a loro volta
vivono le stesse ansie quando gli alunni iniziano a frequentare la Scuola Media Inferiore. Qui i
professori … si potrebbe continuare, ma la conclusione sembra ovvia. Possono essere tante le cause
che danno luogo a questa realtà e, a farne le spese, è senza dubbio il bambino che ogni volta deve
“adattarsi” a noi!
Per non incorrere in questo e per cercare un filo che unisse le due realtà, durante lo scorso anno
scolastico, insieme alle insegnanti della Scuola dell’Infanzia, è stata pensata e proposta ai bambini
di cinque anni una esperienza che aveva lo scopo di farci individuare questo anello di congiunzione.
È di questa esperienza che vorrei qui fare un resoconto, incominciando con il riportare alcune nostre
riflessioni.
La domanda che da principio ci siamo poste (sicuramente molti avranno fatto altrettanto) è stata:
quali competenze dovrebbe avere il bambino che inizia a frequentare la Scuola Elementare?
Può sembrare una domanda banale, ma ci siamo rese conto durante il corso dell’anno, che non è
così.
Nei Programmi del 1985 per la Scuola Elementare si legge: “La scuola Elementare contribuisce, in
ragione delle sue specifiche finalità educative e didattiche, anche mediante momenti di raccordo
pedagogico, curricolare ed organizzativo con la Scuola Materna e con la Scuola Media, a
promuovere la continuità del processo educativo, condizione questa essenziale per assicurare agli
alunni il positivo conseguimento delle finalità dell’istruzione obbligatoria. In questa prospettiva un
ruolo fondamentale compete anche alla Scuola Materna, che, integrando l’azione della famiglia,
concorre, con appropriata azione didattica, a favorire condizioni educative e di socializzazione
idonee ad eliminare, quanto più possibile, disuguaglianze di opportunità”.
Negli Orientamenti del 1991, emerge con chiarezza che il bambino che inizia a frequentare la
Scuola Elementare, ha lasciato una scuola che si è prefissata i compiti di “far raggiungere ai
bambini e alle bambine che la frequentano avvertibili traguardi di sviluppo in ordine all’identità,
all’autonomia ed alla competenza”.
Sì, ma di quali competenze si tratta?
Non abbiamo cercato di rispondere a questa domanda a 360°, abbiamo, invece, tentato di esaminare
in maniera specifica la Matematica e, nel suo interno l’Aritmetica.
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Di nuovo i Programmi Ministeriali per la Scuola Elementare del 1985. Leggiamo: “Lo sviluppo del
concetto di numero naturale va stimolato valorizzando le precedenti esperienze degli alunni nel
contare e nel riconoscere i simboli numerici, fatte in contesti di gioco e di vita familiare e sociale.”
Di nuovo il testo programmatico della Scuola dell’Infanzia (Orientamenti ’91). Nel Campo di
Esperienza “lo Spazio, l’Ordine, la Misura” viene esplicitamente detto che il bambino “verso i sei
anni – operando con oggetti, disegni, persone, ecc. – è in grado di contarli, di valutarne la quantità
e di eseguire operazioni sempre sul piano concreto, di ordinare più oggetti …”. Campo di
esperienza, qui mi sembra doveroso specificarlo, inteso non come “un settore dell’esperienza di vita
(reale o potenziale) degli allievi identificabile da essi, unitario, dotato di specifiche caratteristiche
che lo rendono adatto (sotto la guida dell’insegnante) per attività di modellizzazione matematica,
proposizione e soluzione di problemi matematici, ecc.” (Boero, 1989), ma in maniera più generale.
Infatti, negli Orientamenti, viene specificato che con “campi di esperienza vengono indicati i diversi
ambiti del fare e dell’agire del bambino e quindi i settori specifici ed individuabili di competenza
nei quali il bambino conferisce significato alle sue molteplici attività, sviluppa il suo
apprendimento, acquisendo anche le strumentazioni linguistiche e procedurali, e persegue i suoi
traguardi formativi, nel concreto di una esperienza che si svolge entro confini definiti e con il
costante suo attivo coinvolgimento.”
Quali competenze, dunque, dovrebbe avere, relativamente all’acquisizione del concetto di numero,
il bambino che inizia a frequentare la Scuola Elementare?
Non è facile rispondere a questa domanda leggendo i testi normativi, perché se da una parte
(Programmi ’85) si prevede che a conclusione del primo ciclo (II elementare), i bambini sappiano
far uso intelligente dei numeri “almeno entro il 100”, senza stabilire quindi né un inizio, né una fine,
dall’altra parte (Orientamenti) la Matematica non viene neppure nominata in modo esplicito, come
più volte è stato ricordato, quasi a voler legittimare il fatto che se c’è qualche insegnante che teme
un rapporto diretto con questa disciplina pensando che non sia adatta a bambini tanto piccoli, perché
arida, fredda, e per questo da lasciare ai più grandi, può anche non occuparsene.
Non solo! Nella Scuola Elementare, la prassi didattica ha portato alla consuetudine di interpretare
quel “almeno entro il 100” mettendo “catenacci” all’apprendimento. Uno di questi in classe
seconda, per cui quel “almeno”, che letteralmente vuol dire “non meno di …”, è diventato un “non
di più”; un altro in classe prima, per cui si dovrebbe obbligatoriamente “stare entro il 20” e, per
assurdo, all’interno di questo, ancora un altro che costringe i molti casi i bambini ad operare, prima
delle vacanze di Natale, con i numeri “entro il 9”, come se il mondo non presentasse ai bambini di
questa età altri numeri. La conseguenza logica di questo dovrebbe portarci a pensare, allora, che
nella Scuola dell’Infanzia dobbiamo chiudere gli occhi ai bambini e far credere loro che il primo
contatto con i numeri inizia quando inizia la Scuola Elementare? Forse qualcuno ancora la crede
una verità!
Numerose ricerche hanno dimostrato che i bambini al loro ingresso in prima elementare, possiedono
diverse competenze sui numeri e la scuola ha come effetto sulle competenze del bambino di dare
una sistematicità ai concetti che egli già possiede e che man mano acquisisce.
Partendo da queste posizioni, libere dai vecchi pregiudizi che facevano pensare la Matematica
lontana dai piccoli e protese verso l’accettazione, ormai condivisa, del fatto che i bambini piccoli, i
bambini cioè, che frequentano la Scuola dell’Infanzia usano la matematica per potersi spiegare il
mondo che li circonda, giocano con lei e crescono insieme a lei, che è parte della loro vita, delle
loro giornate, del loro linguaggio … al di fuori della scuola, abbiamo progettato il percorso di un
anno scolastico che prendesse l’avvio dalle conoscenze dei bambini e che si concludesse avendo
individuato (questo volevamo più di tutto) quel filo d’unione che naturalmente dovrebbe legare le
due realtà scolastiche.
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Abbiamo, quindi, cercato ciò che i bambini avevano appreso nel mondo reale facendo una
ricognizione, quella che normalmente fanno, ormai, quasi tutti gli insegnanti di Scuola Elementare,
per stabilire le competenze che ogni bambino possedeva.
Ad una prima indagine, nella quale veniva chiesto ai bambini di contare liberamente fino al numero
che volevano, ci siamo trovate con questa realtà:
A.
l’ultimo
numero della 20
sequenza
la sequenza è
corretta
si
ci sono salti o
incertezze
Er.
S. A.
M.
E.
M. D.
L.
S. E.
20
22
100
29
26
no
No
si
si
si
15 / 17
12 / 21
– 22
I risultati sono stati gli stessi quando abbiamo chiesto ai bambini di far corrispondere la parola al
gesto prelevando ad uno ad uno gli oggetti di una raccolta.
Leggiamo i due estremi: su un gruppo di otto bambini c’è E. che enuncia una sequenza corretta di
numeri fino a 100 e M. che conta correttamente fino a 12, quindi l’ordine naturale corretto viene
dominato dai bambini in maniera nettamente differente. Sappiamo quali sono i limiti del recitare
una sequenza numerica ma:
- Perché ti sei fermato a 100?
- Perché mi sono stancato – ha risposto con estrema tranquillità.
- Potresti continuare se non fossi così stanco?
- Sì, basta che metto uno: 101, 102 … - ha risposto dimostrando che non si trattava di una
semplice filastrocca o di una successione di etichette, come spesso accade - ma non ne ho
voglia!
- E come fai a dire che dopo 100 c’è 101?
- È facile, devi solo mettere 1 in più. –
Abbiamo continuato a lungo ad ipotizzare: -E se ti chiedessi quale numero c’è dopo 102?, - Se ti
chiedessi qual è il numero che c’è dopo 89?, - E prima di 28? E. ci ha sempre pensato un po’ su,
forse non capiva il perché di queste richieste, ma ha dato sempre la risposta corretta. Chissà cosa
potrà fare E. per stare, fino a Natale, dentro alla “gabbia” del numero 9? Accetterà il sapere
scolarizzato? Accetterà di implicarsi personalmente nella costruzione del suo sapere o si affiderà
completamente all’insegnante restando invischiato nelle maglie del contratto didattico?
Pronunciare una sequenza così lunga aveva prodotto uno strano effetto di ammirazione “forzata” da
parte dei compagni che avevano eletto E. a “più bravo” della classe.
Mentre io registravo, un po’ in disparte, ciò che stava accadendo, mi si avvicina A. e, come a voler
giustificare il motivo per cui solo E. era stato capace di rispondere in questa maniera, mi dice:
- Sai, E. è bravo perché il papà gli insegna sempre tutte le “cose”, invece io i numeri non li so,
perché papà mio fa il muratore! –
Mi stava chiedendo di giustificare la sua “impreparazione”? Perché? Non la stavo mica valutando?
Nella Scuola dell’Infanzia, dove mai vengono valutate le competenze dei bambini, perché quella
spiegazione? Forse in un confronto fra pari, che lei stessa aveva messo in atto, si era sentita “un
passo indietro”? La noosfera, con le sue attese, con i suoi confronti era stata la molla che aveva
scatenato questa reazione?
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Abbiamo inoltre proposto ai bambini (ormai è diventato un classico!) di cercare i numeri sulle
pagine delle riviste per preparare il “cartellone dei numeri”.
A. ha tagliato ed attaccato lettere, parole e numeri senza fare alcuna distinzione e rendendosi conto
da sola di non riconoscere i simboli numerici. Questo creava in lei un disagio notevole. Sapeva bene
che le insegnanti non le avrebbero fatto osservazioni, ma i suoi compagni, sì ora me ne accorgevo
anch’io, glielo facevano continuamente notare e lei reagiva andandosene a giocare, da sola,
nell’angolo delle bambole, fin quando:
- Papà mi ha detto che le “cose” non le devo sapere io! Mi ha detto che me le devono dire le
maestre perché loro le “cose” le sanno e stanno qui apposta! –
- Va bene – le ho proposto un accordo – io sono maestra, quindi posso
- No! Tu non sei la MIA maestra, sono loro! – indicando le colleghe – Ma papà mi ha detto
che loro non me le devono dire le “cose”, mi ha detto che con loro devo solo far giocare, le
“cose” me le dicono quando faccio la prima. –
Il disagio è apparso di nuovo in A., quando è stato proposto ai bambini di disegnare in una scheda
(spesso si usano le schede anche nella Scuola dell’Infanzia) tanti oggetti quanti ne indicava il
numero. Questa volta però ha barato: si è seduta vicino a S. e le ha chiesto spiegazioni (ha copiato).
Una reazione forte, in questa occasione, l’ha avuta M. che, appena si è accorto che il suo lavoro era
completamente diverso da quello degli altri, in un primo momento ha reagito ridacchiando. Si è
alzato in piedi e, puntando l’indice verso i suoi compagni ha iniziato, quasi cantando:
- Vi siete sbagliati! Vi siete sbagliati! Il mio va bene e voi vi siete sbagliati –
- No! – È intervenuta immediatamente L. che senza concedere a M. possibilità di replica – è
così che si deve fare. Guarda! M. ha iniziato a piangere, ha rotto il lavoro degli altri ed alcuni giochi che i bimbi avevano
appoggiato sul tavolo; si è tranquillizzato solo quando, pensando di non esser visto, ha preso un
altro foglio e si è seduto vicino ad E., al quale si è affidato totalmente. Non voleva nessun
insegnante vicino a sé, aveva un altro “maestro” che gli dettava piano piano ciò che doveva fare. In
quel momento M. stava imparando qualcosa che per lui era completamente nuovo e nella maniera
che lui stesso aveva scelto. Permetterglielo? Gli interventi che M. ha chiesto al suo “maestro” si
sono conclusi nel momento in cui si è sentito sicuro:
- Guarda - chiedendo conferma ad E. - qui c’è 6, allora ci devo fare 6 … quello che mi pare! –
Non è stata sufficiente la rassicurazione di E. che tutto andava bene; M. ha continuato:
- E tu come fai? Fammi vedere! –
Stava “copiando” anche lui, ma questo suo modo di lavorare gli permetteva di scoprire un pezzetto
di sapere che non aveva ancora conosciuto.
Era entusiasta quando, a conclusione del lavoro, ha portato il foglio all’insegnante dicendo:
- Sono stato bravo come E.! – Si stava dando un voto?
Che cosa fare di fronte a questa realtà?
Probabilmente, se le reazioni di A. e di M. si fossero rivelate a scuola elementare avremmo potuto
ipotizzare che “i voti!”, … “i segni rossi!”, … “la paura della matematica!”, … ma qui no! Qui non
ci sono voti o segni rossi sul quaderno, eppure i due bambini avevano messo in evidenza un forte
disagio.
Era forse una inconsapevole paura di non avere le stesse potenzialità, o possibilità o competenze?
Cosa fare? Seguire la strada indicata da quel papà che tanti insegnanti, sia della SdI sia della SE
credono legittima? Oppure cercare di accorciare quelle differenze con l’obiettivo di dare ad ognuno
le stesse opportunità?
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“In fondo negli Orientamenti non è previsto nessun punto d’arrivo, io non ho programmi prescrittivi
da seguire, devo solamente ascoltare i bambini” (Ho messo queste parole fra virgolette per riportare
quelle esatte di un insegnante della Scuola dell’Infanzia con cui mi sono trovata a parlare tempo fa).
Quindi, essendo nella Scuola dell’Infanzia avremmo solamente dovuto ascoltare i bambini? Ma che
cosa avrebbe significato per quel gruppo di alunni entrare in prima elementare con diversità così
nette? Quale sarebbe stata la “diversità” dalla quale partire con il lavoro: quella di M. e A., che
avrebbe previsto l’uso materiali facilmente reperibili in commercio … o quella di E. ?
A. e M. da una parte ed E. dall’altra. Cosa fare? Per noi la risposta è stata ovvia! Abbiamo
ipotizzato un percorso che ci permettesse di tradurre in realtà l’ipotesi di cui parlavamo all’inizio:
individuare quell’anello di congiunzione fra le due scuole nella riduzione delle diversità che erano
emerse.
Abbiamo iniziato il lavoro proponendo in classe, attività per l’avvio all’idea di numero naturale.
Non si trattava, in modo ingenuo e banale, di cercare l’anticipazione di competenze disciplinari.
Al contrario! Non stavamo né anticipando, né creando nulla, stavamo solamente ipotizzando un
percorso che avesse rafforzato e stimolato l’immagine del numero che i bambini avevano già.
Stavamo tentando di rispondere alle esigenze di ognuno.
Prevedere un percorso del genere stava a significare, innanzi tutto, non cadere nella convinzione che
da anni ha posto come nucleo centrale all’approccio al numero, l’aspetto cardinale, conferendogli,
nella prassi didattica un posto di primaria importanza. Tale primato veniva attribuito a questo
aspetto del numero perché, secondo quanto sosteneva Piaget, il bambino non sembrava in grado di
cogliere l’equinumerosità di una raccolta di oggetti, se questi venivano disposti percettivamente in
modo diverso e, allo stesso modo, diverse disposizioni di oggetti in più raccolte facevano asserire
ai bambini che si trattava di numeri diversi di oggetti, anche se non era così. Conseguentemente
Piaget sosteneva che queste difficoltà erano dovute alla incapacità del bambino di cogliere il
“collegamento uno-a-uno” tra oggetti di diverse raccolte. Da qui l’idea che la “corrispondenza
biunivoca” fra “insiemi” ha rappresento la pietra miliare di tutta la didattica dei numeri. In realtà, da
un lato molte esperienze fatte hanno dimostrato che i bambini non manifestano queste difficoltà,
dall'altro si è capito che in questo modo si ritardava troppo l'introduzione del numero nei suoi
aspetti usuali, favorendo una costruzione complessa e discutibile del concetto di numero, fatta di
procedimenti per astrazione, come l'equipotenza fra insiemi finiti, classi di equivalenza…,
(D’Amore, 1999).
Stava a significare, quindi far in modo che i bambini si avvicinassero all’idea di numero naturale da
diversi punti di vista: ordinalità, cardinalità, … nei contesti più naturali.
Tanti sono stati i momenti di grande interesse durante il lavoro in cui era previsto non solo l’uso di
campi di esperienza quali il mercato, il calendario …, ma anche di altri strumenti didattici, che
hanno portato i bambini ad un uso consapevole ed intelligente del numero; di alcuni di questi vorrei
fare un breve resoconto.
A. ed il suo continuo: - Io non so i numeri! – ci ha indotto a presentare ai bambini la “storia del
pastorello che non sapeva contare”, consapevoli di quanto possa essere reale, per i bambini, un
mondo fantastico.
Abbiamo scelto quella in cui il protagonista si chiama Har. (G. T. Bagni, 2000)
Tutti erano talmente entusiasti e talmente coinvolti dalla intelligente soluzione che il pastorello
aveva dato al suo problema che hanno voluto vestire gli abiti di Har prima e della pecorella poi, o
viceversa e tutti, servendosi del bastone che avevo portato con me, hanno contato le “tacche” che
corrispondevano alle pecorelle del gregge, bastone che poi hanno costruito da soli per averne uno
personale.
Il bastone di cui parlo era stato preparato da uno dei miei alunni di classe terza. Sapeva benissimo a
che cosa sarebbe servito, si è preoccupato di cercarlo e dopo averlo portato a scuola, con un coltello
ha inciso le “tacche”. Ne ha fatte 16. Perché?
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-
Maestra, ma tu mi hai detto di fare le tacche, e io le ho fatte. Che ne sapevo io quante ce ne
volevi tu. Ne ho fatte 16 perché ce ne entravano 16, e poi, scusa, va bene che serve per i
bambini piccoli, perché devono incominciare a contare, ma chi l’ha detto che non possono
incominciare da 16 o da 12 o che ne so io …
Non avevo argomenti validi da contrapporre ad un aiutante così libero da “catenacci”. Ho preso il
bastone e sono andata nell’aula della Scuola dell’Infanzia pronta ad aiutare, … o giustificare, …o in
qualche modo ridurre quelle tacche.
I bambini della Scuola dell’Infanzia sono stati entusiasti perché potevano coinvolgere nel gioco
anche i bimbi di tre e quattro anni in un unico grande gregge. È vero che le paure e le ansie dei
grandi, sono solo “dei grandi” e non toccano in alcun modo i bambini. (Questa volta c’èro caduta
io!)
Hanno contato le pecorelle facendo scorrere il dito sulle tacche e non hanno avuto difficoltà a
stabilire che nel gregge mancavano alcune pecorelle o se ne erano aggiunte da altre greggi.
Nemmeno A., che ora stava scoprendo, perché le era stata data la possibilità, che il suo “non saper i
numeri” significava sostanzialmente non saper leggere tutti i simboli numerici.
Il gioco è continuato facendo costruire ai bambini dei sassi di creta che il pastorello portava con sé
quando non aveva la possibilità di contare le pecorelle del gregge, più numeroso, con il bastone di
legno. I sassi erano di due dimensioni diverse: grandi che avevano valore di cinque pecore e piccoli,
di valore una pecorella. Di nuovo i bambini hanno vestito gli abiti del pastore e, preso un sacchetto
ed alcuni sassi di dimensione diversa hanno contato le pecore, cambiando e mettendo nel sacchetto
un sasso grande, al posto dei cinque sassi piccoli.
Abbiamo proposto poi, quella che in maniera classica, nella pratica didattica, viene definita “scheda
di consolidamento”, che prevedeva di scrivere, utilizzando i sassi, il numero corrispondente agli
oggetti disegnati.
Tutti hanno scritto i numeri in cifra. Non avevano forse capito?
Nella libertà più totale, dimostrando di non essere stata ancora imbrigliata nelle maglie del contratto
didattico, S. mi ha risposto:
- No! Io i sassi non ce li disegno. –
- Perché – io credevo che non avesse compreso ciò che doveva fare e stavo commettendo un
errore grossolano – non ricordi quanto vale un sasso grande e quanto vale un sasso piccolo?
- Sì, quello grande vale cinque e quello piccolo vale uno.
- Allora perché non lo disegni sul foglio? – continuavo nel mio errore e credendo di aiutarla le
ho detto – prima quando tu impersonavi il pastorello hai contato le pecorelle con i sassi,
ricordi? Qui devi fare la stessa cosa!
Le stavo chiedendo di accettare una convenzione e la sua risposta è stata:
- Ma lì io non sapevo contare perché ero Har, ma io so contare e so scrivere i numeri, perché
devo far finta di non saper contare?
Ed ha concluso dicendomi:
- Però se tu proprio lo vuoi io per te lo faccio!
Aveva ragione lei! Era la conferma al fatto che le convenzioni, quelle che noi adulti abbiamo voluto
“vendere” ai bambini, quelle che abbiamo inventato apposta per loro, “sono assolutamente non
pregne di significatività, perché non trovano riferimenti semantici esterni alle pareti dell’aula e alla
comunicazione linguistica fra i soggetti presenti nell’aula.” (Scali, 1994)
Non ha valore certamente solo per i sassi di Har, ma anche per l’abaco, ad esempio, per cui, per
regola noi stabiliamo che la pallina rossa valga solitamente dieci palline bianche … e ci accordiamo
su questo con i bambini.
Abbiamo continuato a proporre attività usando strumenti didattici che sono ormai diventati
“classici”, come lo scatolone dei numeri e la retta numerica. Il nostro scatolone era diventato molto
grande, perché erano tanti i sacchetti contenenti oggetti che venivano sistemati dentro dai bambini,
non per tipo di oggetti, ma per numero, così è stato anche per la retta numerica. Avevamo una
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striscia di carta che non finiva mai e sulla quale, man mano i bambini posizionavano i simboli
numerici.
Sì, era una striscia senza fine e senza inizio. Come è possibile? Nulla è impossibile alla fantasia dei
bambini, basta che i grandi non mettano limiti! A noi è bastato scegliere il posto adatto: non
attaccata alla lavagna, né a qualsiasi altro oggetto dentro l’aula che facesse pensare ai bambini che
quello fosse il suo inizio, o la sua fine, ne abbiamo messa, invece, una estremità, vicino ad una porta
e l’abbiamo prolungarla passando per il corridoio fino al portone della scuola e poi … fuori! L’altra
estremità, vicino ad una finestra, in modo che potesse uscire, anche se non realmente, con la
fantasia dei bambini. Non era ben definita. C’erano segnati tanti punti equidistanti e su ognuno di
questi andava messo un numero. All’inizio ce n’erano segnati solo tre, lo zero, non ad un’estremità
della striscia, ma in una posizione centrale, il dieci ed il venti. È stato estremamente facile, per i
bambini, posizionare i numeri fino a 23,… 24, … Abbiamo posto poi altri “numeri-segnali” al 30, al
35, e al 42. A questo punto sono iniziate le lunghe e didatticamente importanti discussioni ogni
volta che i bambini dovevano posizionare un numero: ognuno con la sua tesi, ognuno con le sue
argomentazioni che discuteva con il gruppo difendendole con tenacia fino a quando solo una ne
veniva accettata, quella della quale, man mano tutti si erano convinti.
Ogni volta che trovavano un numero “nuovo” nelle loro esperienze fuori della scuola lo portavano
dentro, sapendo che ogni frammento del loro sapere sarebbe stato da noi valorizzato, lo
comunicavano agli altri e lo attaccavano al posto giusto sulla retta.
C’era sempre il posto , anche quando, in una giornata di freddo intenso, M. è entrato a scuola
dicendo:
- Maestra, mi ha detto papà che oggi fa meno tre, lo mettiamo sulla striscia?
- Ma che vuol dire – ha obiettato L. – se fa meno tre, che numero è.
- Io l’ho visto scritto sul termometro che c’è sopra la Banca – interviene E. – si scrive con 3 e
ci si mette un trattino davanti.
- Ma, allora dove lo mettiamo?
In un percorso così strutturato ogni bambini del gruppo dei cinque anni ha avuto la possibilità di
comunicare agli altri il sapere appreso spontaneamente sentendosi sempre valorizzato. Per tutti c’è
stata una importante conquista nel processo di costruzione dell’idea di numero, alcuni rafforzando
le conoscenze “ingenue” che possedevano, altri sentendosi stimolati ad osservare il mondo.
Abbiamo, a mio avviso, trovato quell’anello di congiunzione fra le due scuole, che non è come
potrebbe sembrare dal resoconto di questa esperienza, far in modo che i bambini di cinque anni
sappiano operare con i numeri entro il 20 …, 23 …, 25 … o 29 …
No! Non è un anello universale. Si dovrebbe cercare ogni anno nel tentare di dare ad ogni bambino
del gruppo le competenze che in generale possiedono i componenti della classe e nel tentare di
eliminare quelle nette differenze che dimostrano e che sono dovute quasi esclusivamente (tranne in
casi eccezionali) ad una disparità di opportunità che la famiglia e la società offre loro, non solo per
aiutare chi appare più “debole”, ma anche per far in modo che la diversità in positivo non sia più
fonte di isolamento e di involuzione.
Bibliografia:
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