Diventare grandi con la matematica
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Diventare grandi con la matematica
Diventare grandi insieme alla Matematica. Alcune esperienze nella Scuola dell’Infanzia. Ines Marazzani NRD – Bologna Questo articolo è stato oggetto di pubblicazione in: D’Amore B. (ed.) (2001). Didattica della matematica e rinnovamento curricolare. Bologna: Pitagora A tre anni, ma in molti casi anche prima, i bambini fanno il loro primo ingresso a scuola per uscirne poi a … anni. Molte volte, durante questo cammino si trovano a “passare” da una scuola all’altra: dovrebbe essere garantito a tutti un percorso lineare che accompagni la crescita personale. Sembra invece che, già ad iniziare dal “passaggio” fra Scuola dell’Infanzia e Scuola Elementare esista un momento di transizione (come del resto avviene ogni volta che c’è un “passaggio” fra una scuola e l’altra), nel quale non sempre è ben chiaro ciò che spetti alla prima e ciò che, invece, è di competenza della seconda; non è facile stabilire, cioè, quali siano i traguardi di una e quali i primi passi dell’altra, benché ci siano documenti programmatici che delineano le diverse competenze. Dovrebbe esserci una consequenzialità che faccia vivere questo momento serenamente, sì, ai bambini, ma anche agli insegnanti: troppo spesso accade che ci si colpevolizzi a vicenda. Insegnanti di Scuola dell’Infanzia che temono i giudizi dei colleghi della Scuola Elementare che, a loro volta vivono le stesse ansie quando gli alunni iniziano a frequentare la Scuola Media Inferiore. Qui i professori … si potrebbe continuare, ma la conclusione sembra ovvia. Possono essere tante le cause che danno luogo a questa realtà e, a farne le spese, è senza dubbio il bambino che ogni volta deve “adattarsi” a noi! Per non incorrere in questo e per cercare un filo che unisse le due realtà, durante lo scorso anno scolastico, insieme alle insegnanti della Scuola dell’Infanzia, è stata pensata e proposta ai bambini di cinque anni una esperienza che aveva lo scopo di farci individuare questo anello di congiunzione. È di questa esperienza che vorrei qui fare un resoconto, incominciando con il riportare alcune nostre riflessioni. La domanda che da principio ci siamo poste (sicuramente molti avranno fatto altrettanto) è stata: quali competenze dovrebbe avere il bambino che inizia a frequentare la Scuola Elementare? Può sembrare una domanda banale, ma ci siamo rese conto durante il corso dell’anno, che non è così. Nei Programmi del 1985 per la Scuola Elementare si legge: “La scuola Elementare contribuisce, in ragione delle sue specifiche finalità educative e didattiche, anche mediante momenti di raccordo pedagogico, curricolare ed organizzativo con la Scuola Materna e con la Scuola Media, a promuovere la continuità del processo educativo, condizione questa essenziale per assicurare agli alunni il positivo conseguimento delle finalità dell’istruzione obbligatoria. In questa prospettiva un ruolo fondamentale compete anche alla Scuola Materna, che, integrando l’azione della famiglia, concorre, con appropriata azione didattica, a favorire condizioni educative e di socializzazione idonee ad eliminare, quanto più possibile, disuguaglianze di opportunità”. Negli Orientamenti del 1991, emerge con chiarezza che il bambino che inizia a frequentare la Scuola Elementare, ha lasciato una scuola che si è prefissata i compiti di “far raggiungere ai bambini e alle bambine che la frequentano avvertibili traguardi di sviluppo in ordine all’identità, all’autonomia ed alla competenza”. Sì, ma di quali competenze si tratta? Non abbiamo cercato di rispondere a questa domanda a 360°, abbiamo, invece, tentato di esaminare in maniera specifica la Matematica e, nel suo interno l’Aritmetica. 1 Di nuovo i Programmi Ministeriali per la Scuola Elementare del 1985. Leggiamo: “Lo sviluppo del concetto di numero naturale va stimolato valorizzando le precedenti esperienze degli alunni nel contare e nel riconoscere i simboli numerici, fatte in contesti di gioco e di vita familiare e sociale.” Di nuovo il testo programmatico della Scuola dell’Infanzia (Orientamenti ’91). Nel Campo di Esperienza “lo Spazio, l’Ordine, la Misura” viene esplicitamente detto che il bambino “verso i sei anni – operando con oggetti, disegni, persone, ecc. – è in grado di contarli, di valutarne la quantità e di eseguire operazioni sempre sul piano concreto, di ordinare più oggetti …”. Campo di esperienza, qui mi sembra doveroso specificarlo, inteso non come “un settore dell’esperienza di vita (reale o potenziale) degli allievi identificabile da essi, unitario, dotato di specifiche caratteristiche che lo rendono adatto (sotto la guida dell’insegnante) per attività di modellizzazione matematica, proposizione e soluzione di problemi matematici, ecc.” (Boero, 1989), ma in maniera più generale. Infatti, negli Orientamenti, viene specificato che con “campi di esperienza vengono indicati i diversi ambiti del fare e dell’agire del bambino e quindi i settori specifici ed individuabili di competenza nei quali il bambino conferisce significato alle sue molteplici attività, sviluppa il suo apprendimento, acquisendo anche le strumentazioni linguistiche e procedurali, e persegue i suoi traguardi formativi, nel concreto di una esperienza che si svolge entro confini definiti e con il costante suo attivo coinvolgimento.” Quali competenze, dunque, dovrebbe avere, relativamente all’acquisizione del concetto di numero, il bambino che inizia a frequentare la Scuola Elementare? Non è facile rispondere a questa domanda leggendo i testi normativi, perché se da una parte (Programmi ’85) si prevede che a conclusione del primo ciclo (II elementare), i bambini sappiano far uso intelligente dei numeri “almeno entro il 100”, senza stabilire quindi né un inizio, né una fine, dall’altra parte (Orientamenti) la Matematica non viene neppure nominata in modo esplicito, come più volte è stato ricordato, quasi a voler legittimare il fatto che se c’è qualche insegnante che teme un rapporto diretto con questa disciplina pensando che non sia adatta a bambini tanto piccoli, perché arida, fredda, e per questo da lasciare ai più grandi, può anche non occuparsene. Non solo! Nella Scuola Elementare, la prassi didattica ha portato alla consuetudine di interpretare quel “almeno entro il 100” mettendo “catenacci” all’apprendimento. Uno di questi in classe seconda, per cui quel “almeno”, che letteralmente vuol dire “non meno di …”, è diventato un “non di più”; un altro in classe prima, per cui si dovrebbe obbligatoriamente “stare entro il 20” e, per assurdo, all’interno di questo, ancora un altro che costringe i molti casi i bambini ad operare, prima delle vacanze di Natale, con i numeri “entro il 9”, come se il mondo non presentasse ai bambini di questa età altri numeri. La conseguenza logica di questo dovrebbe portarci a pensare, allora, che nella Scuola dell’Infanzia dobbiamo chiudere gli occhi ai bambini e far credere loro che il primo contatto con i numeri inizia quando inizia la Scuola Elementare? Forse qualcuno ancora la crede una verità! Numerose ricerche hanno dimostrato che i bambini al loro ingresso in prima elementare, possiedono diverse competenze sui numeri e la scuola ha come effetto sulle competenze del bambino di dare una sistematicità ai concetti che egli già possiede e che man mano acquisisce. Partendo da queste posizioni, libere dai vecchi pregiudizi che facevano pensare la Matematica lontana dai piccoli e protese verso l’accettazione, ormai condivisa, del fatto che i bambini piccoli, i bambini cioè, che frequentano la Scuola dell’Infanzia usano la matematica per potersi spiegare il mondo che li circonda, giocano con lei e crescono insieme a lei, che è parte della loro vita, delle loro giornate, del loro linguaggio … al di fuori della scuola, abbiamo progettato il percorso di un anno scolastico che prendesse l’avvio dalle conoscenze dei bambini e che si concludesse avendo individuato (questo volevamo più di tutto) quel filo d’unione che naturalmente dovrebbe legare le due realtà scolastiche. 2 Abbiamo, quindi, cercato ciò che i bambini avevano appreso nel mondo reale facendo una ricognizione, quella che normalmente fanno, ormai, quasi tutti gli insegnanti di Scuola Elementare, per stabilire le competenze che ogni bambino possedeva. Ad una prima indagine, nella quale veniva chiesto ai bambini di contare liberamente fino al numero che volevano, ci siamo trovate con questa realtà: A. l’ultimo numero della 20 sequenza la sequenza è corretta si ci sono salti o incertezze Er. S. A. M. E. M. D. L. S. E. 20 22 100 29 26 no No si si si 15 / 17 12 / 21 – 22 I risultati sono stati gli stessi quando abbiamo chiesto ai bambini di far corrispondere la parola al gesto prelevando ad uno ad uno gli oggetti di una raccolta. Leggiamo i due estremi: su un gruppo di otto bambini c’è E. che enuncia una sequenza corretta di numeri fino a 100 e M. che conta correttamente fino a 12, quindi l’ordine naturale corretto viene dominato dai bambini in maniera nettamente differente. Sappiamo quali sono i limiti del recitare una sequenza numerica ma: - Perché ti sei fermato a 100? - Perché mi sono stancato – ha risposto con estrema tranquillità. - Potresti continuare se non fossi così stanco? - Sì, basta che metto uno: 101, 102 … - ha risposto dimostrando che non si trattava di una semplice filastrocca o di una successione di etichette, come spesso accade - ma non ne ho voglia! - E come fai a dire che dopo 100 c’è 101? - È facile, devi solo mettere 1 in più. – Abbiamo continuato a lungo ad ipotizzare: -E se ti chiedessi quale numero c’è dopo 102?, - Se ti chiedessi qual è il numero che c’è dopo 89?, - E prima di 28? E. ci ha sempre pensato un po’ su, forse non capiva il perché di queste richieste, ma ha dato sempre la risposta corretta. Chissà cosa potrà fare E. per stare, fino a Natale, dentro alla “gabbia” del numero 9? Accetterà il sapere scolarizzato? Accetterà di implicarsi personalmente nella costruzione del suo sapere o si affiderà completamente all’insegnante restando invischiato nelle maglie del contratto didattico? Pronunciare una sequenza così lunga aveva prodotto uno strano effetto di ammirazione “forzata” da parte dei compagni che avevano eletto E. a “più bravo” della classe. Mentre io registravo, un po’ in disparte, ciò che stava accadendo, mi si avvicina A. e, come a voler giustificare il motivo per cui solo E. era stato capace di rispondere in questa maniera, mi dice: - Sai, E. è bravo perché il papà gli insegna sempre tutte le “cose”, invece io i numeri non li so, perché papà mio fa il muratore! – Mi stava chiedendo di giustificare la sua “impreparazione”? Perché? Non la stavo mica valutando? Nella Scuola dell’Infanzia, dove mai vengono valutate le competenze dei bambini, perché quella spiegazione? Forse in un confronto fra pari, che lei stessa aveva messo in atto, si era sentita “un passo indietro”? La noosfera, con le sue attese, con i suoi confronti era stata la molla che aveva scatenato questa reazione? 3 Abbiamo inoltre proposto ai bambini (ormai è diventato un classico!) di cercare i numeri sulle pagine delle riviste per preparare il “cartellone dei numeri”. A. ha tagliato ed attaccato lettere, parole e numeri senza fare alcuna distinzione e rendendosi conto da sola di non riconoscere i simboli numerici. Questo creava in lei un disagio notevole. Sapeva bene che le insegnanti non le avrebbero fatto osservazioni, ma i suoi compagni, sì ora me ne accorgevo anch’io, glielo facevano continuamente notare e lei reagiva andandosene a giocare, da sola, nell’angolo delle bambole, fin quando: - Papà mi ha detto che le “cose” non le devo sapere io! Mi ha detto che me le devono dire le maestre perché loro le “cose” le sanno e stanno qui apposta! – - Va bene – le ho proposto un accordo – io sono maestra, quindi posso - No! Tu non sei la MIA maestra, sono loro! – indicando le colleghe – Ma papà mi ha detto che loro non me le devono dire le “cose”, mi ha detto che con loro devo solo far giocare, le “cose” me le dicono quando faccio la prima. – Il disagio è apparso di nuovo in A., quando è stato proposto ai bambini di disegnare in una scheda (spesso si usano le schede anche nella Scuola dell’Infanzia) tanti oggetti quanti ne indicava il numero. Questa volta però ha barato: si è seduta vicino a S. e le ha chiesto spiegazioni (ha copiato). Una reazione forte, in questa occasione, l’ha avuta M. che, appena si è accorto che il suo lavoro era completamente diverso da quello degli altri, in un primo momento ha reagito ridacchiando. Si è alzato in piedi e, puntando l’indice verso i suoi compagni ha iniziato, quasi cantando: - Vi siete sbagliati! Vi siete sbagliati! Il mio va bene e voi vi siete sbagliati – - No! – È intervenuta immediatamente L. che senza concedere a M. possibilità di replica – è così che si deve fare. Guarda! M. ha iniziato a piangere, ha rotto il lavoro degli altri ed alcuni giochi che i bimbi avevano appoggiato sul tavolo; si è tranquillizzato solo quando, pensando di non esser visto, ha preso un altro foglio e si è seduto vicino ad E., al quale si è affidato totalmente. Non voleva nessun insegnante vicino a sé, aveva un altro “maestro” che gli dettava piano piano ciò che doveva fare. In quel momento M. stava imparando qualcosa che per lui era completamente nuovo e nella maniera che lui stesso aveva scelto. Permetterglielo? Gli interventi che M. ha chiesto al suo “maestro” si sono conclusi nel momento in cui si è sentito sicuro: - Guarda - chiedendo conferma ad E. - qui c’è 6, allora ci devo fare 6 … quello che mi pare! – Non è stata sufficiente la rassicurazione di E. che tutto andava bene; M. ha continuato: - E tu come fai? Fammi vedere! – Stava “copiando” anche lui, ma questo suo modo di lavorare gli permetteva di scoprire un pezzetto di sapere che non aveva ancora conosciuto. Era entusiasta quando, a conclusione del lavoro, ha portato il foglio all’insegnante dicendo: - Sono stato bravo come E.! – Si stava dando un voto? Che cosa fare di fronte a questa realtà? Probabilmente, se le reazioni di A. e di M. si fossero rivelate a scuola elementare avremmo potuto ipotizzare che “i voti!”, … “i segni rossi!”, … “la paura della matematica!”, … ma qui no! Qui non ci sono voti o segni rossi sul quaderno, eppure i due bambini avevano messo in evidenza un forte disagio. Era forse una inconsapevole paura di non avere le stesse potenzialità, o possibilità o competenze? Cosa fare? Seguire la strada indicata da quel papà che tanti insegnanti, sia della SdI sia della SE credono legittima? Oppure cercare di accorciare quelle differenze con l’obiettivo di dare ad ognuno le stesse opportunità? 4 “In fondo negli Orientamenti non è previsto nessun punto d’arrivo, io non ho programmi prescrittivi da seguire, devo solamente ascoltare i bambini” (Ho messo queste parole fra virgolette per riportare quelle esatte di un insegnante della Scuola dell’Infanzia con cui mi sono trovata a parlare tempo fa). Quindi, essendo nella Scuola dell’Infanzia avremmo solamente dovuto ascoltare i bambini? Ma che cosa avrebbe significato per quel gruppo di alunni entrare in prima elementare con diversità così nette? Quale sarebbe stata la “diversità” dalla quale partire con il lavoro: quella di M. e A., che avrebbe previsto l’uso materiali facilmente reperibili in commercio … o quella di E. ? A. e M. da una parte ed E. dall’altra. Cosa fare? Per noi la risposta è stata ovvia! Abbiamo ipotizzato un percorso che ci permettesse di tradurre in realtà l’ipotesi di cui parlavamo all’inizio: individuare quell’anello di congiunzione fra le due scuole nella riduzione delle diversità che erano emerse. Abbiamo iniziato il lavoro proponendo in classe, attività per l’avvio all’idea di numero naturale. Non si trattava, in modo ingenuo e banale, di cercare l’anticipazione di competenze disciplinari. Al contrario! Non stavamo né anticipando, né creando nulla, stavamo solamente ipotizzando un percorso che avesse rafforzato e stimolato l’immagine del numero che i bambini avevano già. Stavamo tentando di rispondere alle esigenze di ognuno. Prevedere un percorso del genere stava a significare, innanzi tutto, non cadere nella convinzione che da anni ha posto come nucleo centrale all’approccio al numero, l’aspetto cardinale, conferendogli, nella prassi didattica un posto di primaria importanza. Tale primato veniva attribuito a questo aspetto del numero perché, secondo quanto sosteneva Piaget, il bambino non sembrava in grado di cogliere l’equinumerosità di una raccolta di oggetti, se questi venivano disposti percettivamente in modo diverso e, allo stesso modo, diverse disposizioni di oggetti in più raccolte facevano asserire ai bambini che si trattava di numeri diversi di oggetti, anche se non era così. Conseguentemente Piaget sosteneva che queste difficoltà erano dovute alla incapacità del bambino di cogliere il “collegamento uno-a-uno” tra oggetti di diverse raccolte. Da qui l’idea che la “corrispondenza biunivoca” fra “insiemi” ha rappresento la pietra miliare di tutta la didattica dei numeri. In realtà, da un lato molte esperienze fatte hanno dimostrato che i bambini non manifestano queste difficoltà, dall'altro si è capito che in questo modo si ritardava troppo l'introduzione del numero nei suoi aspetti usuali, favorendo una costruzione complessa e discutibile del concetto di numero, fatta di procedimenti per astrazione, come l'equipotenza fra insiemi finiti, classi di equivalenza…, (D’Amore, 1999). Stava a significare, quindi far in modo che i bambini si avvicinassero all’idea di numero naturale da diversi punti di vista: ordinalità, cardinalità, … nei contesti più naturali. Tanti sono stati i momenti di grande interesse durante il lavoro in cui era previsto non solo l’uso di campi di esperienza quali il mercato, il calendario …, ma anche di altri strumenti didattici, che hanno portato i bambini ad un uso consapevole ed intelligente del numero; di alcuni di questi vorrei fare un breve resoconto. A. ed il suo continuo: - Io non so i numeri! – ci ha indotto a presentare ai bambini la “storia del pastorello che non sapeva contare”, consapevoli di quanto possa essere reale, per i bambini, un mondo fantastico. Abbiamo scelto quella in cui il protagonista si chiama Har. (G. T. Bagni, 2000) Tutti erano talmente entusiasti e talmente coinvolti dalla intelligente soluzione che il pastorello aveva dato al suo problema che hanno voluto vestire gli abiti di Har prima e della pecorella poi, o viceversa e tutti, servendosi del bastone che avevo portato con me, hanno contato le “tacche” che corrispondevano alle pecorelle del gregge, bastone che poi hanno costruito da soli per averne uno personale. Il bastone di cui parlo era stato preparato da uno dei miei alunni di classe terza. Sapeva benissimo a che cosa sarebbe servito, si è preoccupato di cercarlo e dopo averlo portato a scuola, con un coltello ha inciso le “tacche”. Ne ha fatte 16. Perché? 5 - Maestra, ma tu mi hai detto di fare le tacche, e io le ho fatte. Che ne sapevo io quante ce ne volevi tu. Ne ho fatte 16 perché ce ne entravano 16, e poi, scusa, va bene che serve per i bambini piccoli, perché devono incominciare a contare, ma chi l’ha detto che non possono incominciare da 16 o da 12 o che ne so io … Non avevo argomenti validi da contrapporre ad un aiutante così libero da “catenacci”. Ho preso il bastone e sono andata nell’aula della Scuola dell’Infanzia pronta ad aiutare, … o giustificare, …o in qualche modo ridurre quelle tacche. I bambini della Scuola dell’Infanzia sono stati entusiasti perché potevano coinvolgere nel gioco anche i bimbi di tre e quattro anni in un unico grande gregge. È vero che le paure e le ansie dei grandi, sono solo “dei grandi” e non toccano in alcun modo i bambini. (Questa volta c’èro caduta io!) Hanno contato le pecorelle facendo scorrere il dito sulle tacche e non hanno avuto difficoltà a stabilire che nel gregge mancavano alcune pecorelle o se ne erano aggiunte da altre greggi. Nemmeno A., che ora stava scoprendo, perché le era stata data la possibilità, che il suo “non saper i numeri” significava sostanzialmente non saper leggere tutti i simboli numerici. Il gioco è continuato facendo costruire ai bambini dei sassi di creta che il pastorello portava con sé quando non aveva la possibilità di contare le pecorelle del gregge, più numeroso, con il bastone di legno. I sassi erano di due dimensioni diverse: grandi che avevano valore di cinque pecore e piccoli, di valore una pecorella. Di nuovo i bambini hanno vestito gli abiti del pastore e, preso un sacchetto ed alcuni sassi di dimensione diversa hanno contato le pecore, cambiando e mettendo nel sacchetto un sasso grande, al posto dei cinque sassi piccoli. Abbiamo proposto poi, quella che in maniera classica, nella pratica didattica, viene definita “scheda di consolidamento”, che prevedeva di scrivere, utilizzando i sassi, il numero corrispondente agli oggetti disegnati. Tutti hanno scritto i numeri in cifra. Non avevano forse capito? Nella libertà più totale, dimostrando di non essere stata ancora imbrigliata nelle maglie del contratto didattico, S. mi ha risposto: - No! Io i sassi non ce li disegno. – - Perché – io credevo che non avesse compreso ciò che doveva fare e stavo commettendo un errore grossolano – non ricordi quanto vale un sasso grande e quanto vale un sasso piccolo? - Sì, quello grande vale cinque e quello piccolo vale uno. - Allora perché non lo disegni sul foglio? – continuavo nel mio errore e credendo di aiutarla le ho detto – prima quando tu impersonavi il pastorello hai contato le pecorelle con i sassi, ricordi? Qui devi fare la stessa cosa! Le stavo chiedendo di accettare una convenzione e la sua risposta è stata: - Ma lì io non sapevo contare perché ero Har, ma io so contare e so scrivere i numeri, perché devo far finta di non saper contare? Ed ha concluso dicendomi: - Però se tu proprio lo vuoi io per te lo faccio! Aveva ragione lei! Era la conferma al fatto che le convenzioni, quelle che noi adulti abbiamo voluto “vendere” ai bambini, quelle che abbiamo inventato apposta per loro, “sono assolutamente non pregne di significatività, perché non trovano riferimenti semantici esterni alle pareti dell’aula e alla comunicazione linguistica fra i soggetti presenti nell’aula.” (Scali, 1994) Non ha valore certamente solo per i sassi di Har, ma anche per l’abaco, ad esempio, per cui, per regola noi stabiliamo che la pallina rossa valga solitamente dieci palline bianche … e ci accordiamo su questo con i bambini. Abbiamo continuato a proporre attività usando strumenti didattici che sono ormai diventati “classici”, come lo scatolone dei numeri e la retta numerica. Il nostro scatolone era diventato molto grande, perché erano tanti i sacchetti contenenti oggetti che venivano sistemati dentro dai bambini, non per tipo di oggetti, ma per numero, così è stato anche per la retta numerica. Avevamo una 6 striscia di carta che non finiva mai e sulla quale, man mano i bambini posizionavano i simboli numerici. Sì, era una striscia senza fine e senza inizio. Come è possibile? Nulla è impossibile alla fantasia dei bambini, basta che i grandi non mettano limiti! A noi è bastato scegliere il posto adatto: non attaccata alla lavagna, né a qualsiasi altro oggetto dentro l’aula che facesse pensare ai bambini che quello fosse il suo inizio, o la sua fine, ne abbiamo messa, invece, una estremità, vicino ad una porta e l’abbiamo prolungarla passando per il corridoio fino al portone della scuola e poi … fuori! L’altra estremità, vicino ad una finestra, in modo che potesse uscire, anche se non realmente, con la fantasia dei bambini. Non era ben definita. C’erano segnati tanti punti equidistanti e su ognuno di questi andava messo un numero. All’inizio ce n’erano segnati solo tre, lo zero, non ad un’estremità della striscia, ma in una posizione centrale, il dieci ed il venti. È stato estremamente facile, per i bambini, posizionare i numeri fino a 23,… 24, … Abbiamo posto poi altri “numeri-segnali” al 30, al 35, e al 42. A questo punto sono iniziate le lunghe e didatticamente importanti discussioni ogni volta che i bambini dovevano posizionare un numero: ognuno con la sua tesi, ognuno con le sue argomentazioni che discuteva con il gruppo difendendole con tenacia fino a quando solo una ne veniva accettata, quella della quale, man mano tutti si erano convinti. Ogni volta che trovavano un numero “nuovo” nelle loro esperienze fuori della scuola lo portavano dentro, sapendo che ogni frammento del loro sapere sarebbe stato da noi valorizzato, lo comunicavano agli altri e lo attaccavano al posto giusto sulla retta. C’era sempre il posto , anche quando, in una giornata di freddo intenso, M. è entrato a scuola dicendo: - Maestra, mi ha detto papà che oggi fa meno tre, lo mettiamo sulla striscia? - Ma che vuol dire – ha obiettato L. – se fa meno tre, che numero è. - Io l’ho visto scritto sul termometro che c’è sopra la Banca – interviene E. – si scrive con 3 e ci si mette un trattino davanti. - Ma, allora dove lo mettiamo? In un percorso così strutturato ogni bambini del gruppo dei cinque anni ha avuto la possibilità di comunicare agli altri il sapere appreso spontaneamente sentendosi sempre valorizzato. Per tutti c’è stata una importante conquista nel processo di costruzione dell’idea di numero, alcuni rafforzando le conoscenze “ingenue” che possedevano, altri sentendosi stimolati ad osservare il mondo. Abbiamo, a mio avviso, trovato quell’anello di congiunzione fra le due scuole, che non è come potrebbe sembrare dal resoconto di questa esperienza, far in modo che i bambini di cinque anni sappiano operare con i numeri entro il 20 …, 23 …, 25 … o 29 … No! Non è un anello universale. Si dovrebbe cercare ogni anno nel tentare di dare ad ogni bambino del gruppo le competenze che in generale possiedono i componenti della classe e nel tentare di eliminare quelle nette differenze che dimostrano e che sono dovute quasi esclusivamente (tranne in casi eccezionali) ad una disparità di opportunità che la famiglia e la società offre loro, non solo per aiutare chi appare più “debole”, ma anche per far in modo che la diversità in positivo non sia più fonte di isolamento e di involuzione. Bibliografia: Bagni G. T. (2000), Matematici, Treviso, Ed. Antilia. Aglì F. & D’Amore B. (1995), L’educazione matematica nella scuola dell’infanzia. Milano, Juvenilia. D’Amore B. (1999), Elementi di Didattica della Matematica, Bologna, Pitagora. D’Amore B. (2001), Didattica della Matematica, Pitagora, Bologna. D’Amore B. (2001), Un contributo al dibattito sui concetti e gli oggetti matematici: la posizione “ingenua” in una teoria “realista” vs il modello “antropologico” in una teoria “pragmatica”, in La matematica e la sua didattica, Bologna, Pitagora, pag. 31-56. 7 B. Martini (2000), Le didattiche disciplinari, Pitagora, Bologna. Gagatsis A. & Panaoura G. (2000), Rappresentazioni semiotiche e apprendimento della matematica. Un esempio: la retta aritmetica. Bollettino dei docenti di matematica, a cura del Laboratorio di didattica della matematica Repubblica e Cantone Ticino, pag. 25-58. Lanciotti C. & Marazzani I. (2001), Dallo scatolone dei numeri alla retta numerica, in Vita Scolastica, Firenze Giunti, n. 6. Scali E. (1994), Costruzione dei significati del numero naturale in prima elementare: il ruolo dei “campi di esperienza” e la funzione mediatrice dell’insegnante. Report presentato in occasione del I Convegno Intergruppi Scuola dell’Obbligo, Salsomaggiore, 14-16 Aprile 1994. 8