Guercino, Et in arcadia ego, Galleria Borghese - Roma.

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Guercino, Et in arcadia ego, Galleria Borghese - Roma.
Guercino, Et in arcadia ego, Galleria Borghese - Roma.
Il quadro che qui proponiamo è una delle maggiori opere d'arte del pittore ferrarese Giovanni
Francesco Barbieri detto Guercino (1591/1666). L'immagine raffigurata riprende un tema molto
caro alla pittura del 600: l'Arcadia. Il mitico luogo “bello” per eccellenza, cantato in mille poemi
(vedi l'Aminta di Torquato Tasso) e composizioni musicali barocche. L'Arcadia era il sogno
collettivo di una generazione di ricchissimi nobili, che sognavano un mondo di pastori e contadini
quanto mai finto. Dal momento che proprio loro riservavano ai veri contadini e pastori delle loro
terre il massimo disprezzo possibile, anche perché la durissima vita che conducevano non era in
nulla simile al sogno arcadico.
Il quadro del Guarcino, però, spezza il clichét dell'Arcadia e rappresenta i pastori arcadi in
contemplazione di un teschio. Si tratta di un teschio macabro: frammenti del cuoio capelluto e della
carne della mandibola sono ancora visibile sull'osso. E la presenza di un topo, un moscone ed un
verme ci parlano della brutale realtà di questo corpo decomposto (vale la pena ricordare che nel 600
non erano rari i casi di collocazioni di cadaveri a vista).
E proprio questo è il cuore del messaggio contenuto nel quadro: la scritta sulla mensa sulla quale il
cranio è posato dice: “In Arcadia ci sono anch'io” (la morte), come a voler suggerire che in qualsiasi
paradiso artificiale immaginato o sognato dagli uomini è irrinunciabile un serio confronto con la
realtà della morte.
Questa della morte è pure una delle “scoperte” della giovinezza. Chi si apre alla vita e ne prende
coscienza e possesso scopre pure che la vita che sta vivendo ha un termine un confine inesorabile:
la morte appunto. Il movimento è imprescindibile: la morte si scopre e la morte interroga, come il
teschio che guarda con orbite vuote i due pastori, sfidandoli a dare un senso alla vita pur in sua
presenza. E' una domanda di sempre e per sempre. Anche oggi i ragazzi scoprono di non essere
eterni e s'interrogano sul senso del loro esistere. O non lo fanno e sempre più spesso sembra
giochino una continua partita a scacchi con la morte: ogni notte fuori casa, ogni bevuta, ogni ricerca
di sostanza che regali un paradiso non meno artificiale dell'Arcadia.
Come materiale utile al confronto in classe offriamo una pagina del libro di don Paolo Gariglio: I
ragazzi della croce. Sette storie di ragazzi in cielo, Cantalupa (Effeta) 2006, nel quale si narra il
ritrovamento del corpo di Gianfranco Ligustri, ragazzo-animatore di 17 anni di Nichelino, morto
per un incidente mentre si stava preparando ad annunciare Gesù ai suoi compagni per la prima
volta. La sua morte è stata l'occasione per un enorme numero di giovani di scoprire la morte ed il
suo senso, trovando ragioni di speranza anche di fronte al silenzio della tomba.