Aldo Moriconi: Jesi, Valeria, Roma, Mali e ritorno

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Aldo Moriconi: Jesi, Valeria, Roma, Mali e ritorno
Aldo Moriconi: Jesi, Valeria, Roma, Mali e ritorno
Franco Cecchini
direttore del Centro Valeria Moriconi di Jesi
Genesi della mostra: la raccolta di Valeria
Aldo ai tempi dell’Accademia di Livorno
a lato: Valeria Moriconi nel salone della
casa di Jesi progettato da Aldo.
Il progetto di una mostra dedicata ad Aldo Moriconi risale all’indomani
stesso della scomparsa di Valeria. Avevo ricevuto l’incarico di esaminare
per conto del Comune la gran quantità di materiali raccolti per decenni nel
dedalo di stanze di casa Abbruzzetti in Via Mura Orientali, a cui si erano
aggiunti da poco cumuli di scatoloni provenienti dall’appartamento di Via
del Pellegrino a Roma, altrettanto colmi di libri, documenti, foto, oggetti:
segni raccolti negli anni di una vita intensissima, per Valeria tutta da
ricordare. Nella confusione delle cose, degli ambienti e delle persone,
le opere di Aldo Moriconi sono emerse dai diversi angoli con la loro identità
ben presto riconoscibile: piccole tele ad olio delle prime prove piuttosto
acerbe, spesso incompiute e non firmate, qualche quadretto di stampe
ingiallite appeso ancora alle pareti, ma soprattutto pile di fogli di disegni
del ’53, cartelle di stampe alcune di soggetto figurativo ma in prevalenza
astratto, provenienti dal prodigioso Torcoliere che, in quelle stagioni
’56 / ’57 irripetibili, si identificava per Aldo con Emilio Sorini, il “serpente”
da Urbino1: stampe tirate in numero limitatissimo di copie di cui pure
rimanevano ancora diversi esemplari; le prime creazioni in fil di ferro del
’55 / ’56 che sembrano proseguire con altrettanta creatività e divertimento
il gioco di Calder2, due dipinti su tavola del ’57 come pure due piccoli,
preziosi pannelli polimaterici... Tutto qui, o quasi. Ed è tanto. Ma ci si
rende conto, specie ora che si ha una visione più ampia della produzione
di Aldo Moriconi, che tutto quello che Valeria conservava di lui risaliva agli
anni vissuti insieme dal ’51 al ’62 (tanto che in quest’arco di tempo lei ne
è molto spesso soggetto e protagonista, nelle stampe ma soprattutto nei
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Un disegno e alcune opere dei primi
anni ‘50;
alla pagina seguente, tre piatti in rame e
due oggetti in fil di ferro.
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disegni, fino al punto che il figurativo per Aldo si sviluppa principalmente
attorno a Valeria e quasi scompare con lei).3
Opere che in parte erano state realizzate nelle stesse stanze di Jesi
(riprogettate in maniera geniale e innovativa dallo stesso Aldo dopo
il matrimonio) in cui le abbiamo ritrovate. In parte provenivano da Roma ed
erano state depositate in quel “magazzino della memoria” da Valeria,
forse anche dopo che si erano lasciati.
C’è stata fin dall’inizio un’attenzione particolare nei confronti di questo
piccolo patrimonio d’arte e di affetti soprattutto per iniziativa di Sergio
Cerioni, marito di Luciana Olivieri che con la sorella Adriana aveva ricevuto
l’eredità di Valeria. Da lui è venuta l’indicazione di separare la produzione
di Aldo, che volle in gran parte custodire personalmente proprio perché
“in seguito si sarebbe potuto farne una mostra”. Oltre alle opere del
primo decennio romano (1952 – 1962) dell’avventura artistica di Aldo, si
conoscono nelle altre case dell’attrice jesina soltanto due quadri, non a
caso rappresentativi di due cicli importanti della fase conclusiva del pittore:
“Scattering” del 1970, brillante di colori e sinuoso nelle linee finissime in
movimento, proveniente dal bel soggiorno della villa di Sirolo; e “Caribbean
see”, forse addirittura l’ultima sua creazione visiva (datata 1973: era partito
per l’Africa a febbraio ed è morto le prime ore del 5 marzo), con la spiaggia
e il mare ormai fissate in una dimensione immobile, quasi metafisica, con
tonalità uniformi e spente, una linea nera ancora più marcata e inquietante
all’orizzonte. Quest’opera emblematica ed evocativa, donata forse dallo
stesso Aldo prima del viaggio, Valeria volle tenerla vicino a sé, in camera
sua, nella casa di Roma.
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La raccolta di Francesca Lama
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L’altra raccolta importante di opere esposte in mostra mi è stata
presentata da Francesca Lama, nipote di Aldo Moriconi, aprendomi prima
l’appartamento dei suoi genitori da poco scomparsi, poi la sua abitazione
piena di luce e di vita. Le numerose tele di Aldo, perlopiù di grande
formato, dai segni cromatici cangianti e di forte impatto visivo, scandivano
e animavano lo spazio delle pareti, staccandosi dal contesto ambientale
di arredi, oggetti e altri quadri, quasi dialogassero tra loro e costituissero
un mondo altro, sondato dentro la materia e le emozioni. E davano subito,
nell’insieme, l’immagine di una fase molto più avanzata della ricerca e
della produzione dell’artista. Ad un’analisi più attenta, la raccolta Lama
risulta costituita principalmente da un corpus di trentotto tele, firmate e
datate, che coprono tre soli anni di attività: il 1970, il ’71 e il ’72. In esse si
ricompongono i cicli formali e tematici che caratterizzano gran parte della
produzione pittorica di Aldo Moriconi, da lui definiti nel retro delle opere
con titoli mutuati in prevalenza dalla fisica: Scattering, Riemann, Pascal,
Gauss, Möbbins, Sinus, Brianchon; fino ad approdare ad una sua sintesi
di ricerca spaziale-astratta e riferimenti naturalistici-autobiografici nel ciclo
di Caribbean see.
Quanto alla loro provenienza, in mancanza di informazioni dirette, si può
ipotizzare che la raccolta non fosse frutto di doni estemporanei di Aldo
ai famigliari (doni già rintracciabili nelle loro case in piccole sculture in fil
di ferro, piatti in rame con sbalzi di animali, stampe soprattutto figurative
ecc); ma che comprendesse i quadri ritrovati dopo la sua morte nella
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Dall’Album di disegni, scritti e poesie,
raccolti dal 1963.
casa studio di Roma e traslocati a Jesi, assieme ad arredi, libri e altra
documentazione andata dispersa. Si spiega così la diversità tra le opere
delle due raccolte (quella di Valeria e quella dei Lama) che corrispondono a
due diverse stagioni dell’artista: la prima dal 1952 al 1963, la seconda dal
1970 al 1972. Anche se, al di là delle diversità sul piano tecnico e formale,
si possono cogliere caratteri di continuità e coerenza nella sua ricerca,
incentrata sul rapporto tra linea e spazio.
I sei anni che intercorrono tra i due periodi, a mio parere non denotano
un vuoto creativo verificatosi in seguito a viaggi o attività alternative
a cui peraltro Aldo si è sempre dedicato. Infatti nello stesso 1963, l’artista
inizia a raccogliere in un album bozzetti, schizzi, progetti di lavori, alcuni
dettagliatamente descritti anche nelle caratteristiche tecniche, che
trovano puntuale riscontro in altre opere di quel periodo: come nelle
tre composizioni in rosso del 1966 / ’68, provenienti da un’ importante
collezione privata, o in quelle rintracciate attraverso internet presso le
gallerie romane di Giuseppe Casetti e del Babuino o presso la galleria
Fabiani. Ad esse vanno aggiunti i lavori d’arte applicata, come il tavolinetto
bianco con il piano dipinto, i piatti in rame, gli animali fantastici in metallo
di cui parlano gli amici Cesare Canessa e Mario Dondero,4 e altre opere
che saranno state, come al solito, diffuse dallo stesso Aldo specie
nell’ambiente romano, tra amici, appassionati d’arte, gallerie e acquirenti.
Si può dedurne perciò che quel periodo intermedio di sei anni sia stato
altrettanto intenso e fecondo per l’artista, pur non lasciando traccia nelle
due raccolte conservate a Jesi, di diversa datazione e provenienza.
Per ricostruire l’intera vicenda artistica (e anche umana) di Aldo Moriconi,
rivestono una particolare importanza, come si è visto, l’album di bozzetti e
poesie del ’63, come l’altro album per la raccolta di firme e documenti sulla
mostra del 1956 al Torcoliere e il taccuino di disegni e scritti del 1946:
una documentazione realizzata e conservata da Aldo e messa a
disposizione da Francesca Lama. Un ulteriore segno dell’entusiasmo
con cui Francesca ha subito aderito al progetto della mostra, che le
avrebbe consentito di valorizzare le opere e la memoria dello zio a cui era
legatissima. Le gravi difficoltà incontrate in tempi così critici, avevano fatto
temere anche a lei che il progetto non potesse andare in porto. Finchè la
sua morte fulminea e sconvolgente ha d’improvviso messo in moto affetti,
ricordi e slanci che - soprattutto per volontà e impegno di Paolo Giardinieri,
suo marito - hanno consentito di realizzare questo sogno, bello tra i tanti
bellissimi a lungo coltivati negli ultimi anni dall’indimenticabile Francesca.
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Il rapporto Aldo - Valeria
Valeria nella casa di Roma: alle spalle
opere di Aldo (Settimana Incom, 1958).
Un sogno, quello della mostra, che forse è stato anche di Valeria.
Ne aveva parlato con l’amico attore Corrado Olmi, compagno di macchina
e d’avventura nella “fuga” da Jesi nel 1952 assieme a sua moglie Lucia
e ad Aldo. E lo si può intuire anche da un altro episodio: ricordo che un
giorno, attorno al 1997, parlavo con la Moriconi di tre quadri di Aldo che
possedevo da tempo e ritenevo molto interessanti. “Se fosse possibile”
mi rispose a mezza voce, quasi tra sé e sé “io acquisterei tutte le sue
opere che si trovano in giro”. Intendendo forse esprimere così un suo
desiderio di ricomporre i frammenti sparsi dell’opera di Aldo, le linee della
sua ricerca, della sua personalità d’uomo e d’artista e di mostrare ancora
una volta il ruolo determinante del marito sulle sue scelte di vita, prima
e dopo la loro separazione e la stessa morte di Aldo. Alcune frasi di Valeria
tratte da sue interviste, valgono da sole a far capire quanto una mostra
come questa l’avrebbe resa felice.
“La fuga dalla città di provincia alla metropoli fu una fuga assolutamente
concordata. Trovai in mio marito un alleato incredibile, straordinario”.5
“Sapevo che la vita di moglie che avrei condotto a Jesi non mi sarebbe
piaciuta, non era per me. Ho avuto la fortuna di avere, come più grande
complice in questo, proprio mio marito”;6 “perché lui ha capito che forse
avevo la stoffa per fare questo mestiere e mi ha aiutato con delle intuizioni,
con dei consigli straordinari. Perciò è stata una persona molto importante
nella mia vita.” 7 “Era pittore e a Roma frequentavamo ambienti molto
belli, i circoli artistici di Vespignani, Rotella, Maccari, i salotti letterari dove
incontravamo Flaiano, Patti, Moravia...” 8 “Mi ha insegnato a leggere un
libro, a guardare un quadro, ad ascoltare la musica, insomma è stato un po’
il mio pigmalione...”, 9 “mi ha tolto la rozzezza della prima giovinezza.” 10
“È l’uomo che mi ha plasmata”;11 “mi coltivò facendo germogliare in me
gli aspetti migliori e mettendo in ombra gli altri.”12 “Con Aldo crebbi, sotto
tutti i punti di vista. Fu grazie a lui, al suo modo d’intendere la vita, che oggi
sono quella che sono, e non mi riferisco solo al fatto di essere attrice.”13
Almeno nella fase iniziale, dunque, l’opera d’arte più riuscita di Aldo
Moriconi, quasi una sua creazione, è stata Valeria stessa, al centro,
peraltro, delle sperimentazioni visive dell’artista, nei disegni, nelle stampe,
nei collages come nelle sculture in fil di ferro.
Valeria non si limita a riconoscere questa funzione maieutica svolta da Aldo
nei suoi confronti. Ne traccia anche un ritratto esaltante,facendoci intuire
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Aldo Moriconi 1961, al volante di una
macchina d’epoca durante la maratona
automobilistica Bruxelles - Parigi - Madrid.
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il fascino che la sua personalità suscitava non solo in lei ma anche in chi
lo avvicinava: “Un pazzo, geniale, simpaticissimo, zingaro, ribelle, uomo
di mare, pittore, viaggiatore insaziabile di novità e di emozioni. Fino alla
morte”.14 Non si tratta di un personaggio romantico, idealizzato, mitizzato.
Perché ognuna di queste parole trova riscontro nelle esperienze di vita di
Aldo e insieme compongono buona parte della sua biografia.
Valeria così riconosce ad Aldo una sua identità e autonomia. Chiarendone
motivazioni e obiettivi anche della fuga da Jesi: “Mio marito, che era
più grande di me, era più irrequieto di me”.15 Così “un anno dopo il
matrimonio era già stufo di stare a Jesi. No, non poteva fare l’industriale.
A Roma riprese a dipingere.”16 “Lui tentava l’avventura dell’arte, io quella
del palcoscenico.”17 E, con un misto di realismo e scaltrezza, conclude:
“Ero un alibi per mio marito, che con la scusa di seguire la moglie,
scelse la libertà.” 18 “Gli inizi sono stati bellissimi” come racconta Valeria
anche nelle pagine del suo “Quaderno di recenti ricordi e memorande
imprese. Anno primo”19 : pagine che sprigionano entusiasmo, vitalità,
determinazione, abilità, allegria, fiducia in sé stessa e nel futuro;
e un amore appassionato per Aldo, che è a suo totale servizio.
Ma, con il passare degli anni, matura in lei una consapevolezza che arriverà
ad esprimere solo a distanza di tempo in termini impietosi e taglienti:
“Lui era diverso da me. Lui, riflessivo e pigro, era Oblomov: si guardava
vivere. Io invece avevo la febbre dell’azione, un gran desiderio di mordere,
22
13
aggredire la vita. Quasi senza saperlo, mi sono trovata nella ragnatela
del principe numero due, mister genio e sregolatezza, Franco Enriquez
regista” 20 Coglie e rivela, così, la vera causa del suo progressivo distacco
da Aldo, che non è tanto (o soltanto) dovuto a tournée di lei o a impegni
marinari e artistici di lui. Ma ad una diversità profonda: mentre lei sempre
più “aggrediva la vita”, lui sempre più “si guardava vivere”. E per dare
corpo a questo suo drastico giudizio, identifica Aldo con il protagonista del
romanzo di Goncarov21: Oblomov, il giovane proprietario di campagna che,
venuto a Pietroburgo per studiare, con la sua delicata e arrendevole bontà
si circonda di amicizie, ma vive nella passività, nell’inerzia, immerso in
sterili pensieri, da cui neanche il grande amore di Olga riesce a liberarlo.
Ancora una volta, è Valeria che parla di Aldo. Mentre Aldo non parla
di Valeria, né di sé stesso, almeno in pubblico. Di lui però parlano le
esperienze conosciute della sua vita.
Da una parte la scelta dell’Accademia Navale e la carriera in Marina,
esperienze di traversate in barca, viaggi avventurosi, safari, la passione
per le donne e le macchine, le frequentazioni e le amicizie nell’ambiente
artistico culturale romano - tra Piazza del Popolo, Caffè Rosati, salotto di
Laura Betti e tavoli da Cesaretto - e soprattutto l’amore per l’arte, la ricerca
e la sperimentazione costante in questo campo: insomma, il quadro di una
vita certamente non da Oblomov!
Dall’altra parte i rapporti con il padre “prodigo e gaudente” che abbandona
la famiglia e muore prigioniero in Africa; la madre “eletta”, tanto legata al
figlio quanto notoriamente autoritaria fino al punto di averlo indotto forse
ad interrompere la carriera militare per tentare di recuperare la gestione
dell’azienda e di colpevolizzarlo poi per la fuga da Jesi a Roma con Valeria;
la consapevolezza del passaggio della famiglia da una condizione di
prestigio e floridezza alla decadenza economica; il senso di inadeguatezza
e fallimento in campo lavorativo e imprenditoriale; e, soprattutto, la fine
del rapporto con Valeria da lui forse vissuto come un rifiuto da parte di
lei per la scelta di un altro: tutto questo deve averlo segnato sempre
più in profondità, anche se non l’ha mai voluto far trapelare all’esterno,
tacendo o limitandosi ad accenni alla separazione improntati ad una serena
condivisione, più apparente che intima.
È la “ragnatela” in cui lui si è venuto a trovare drammaticamente (ben
diversa da quella con Enriquez di cui parla Valeria!). Fino a compromettere
la percezione di ciò che di positivo la vita continuava ad offrirgli anche
23
14
senza Valeria. Così si spiegano le lontane confidenze di Aldo ad una sua
amica quando “con uno sguardo dolce e triste” le aveva detto: “Paola,
morirò suicida”.22 Parole che trovano conferma nella sensazione espressa
dall’amico Canessa durante la sua recente intervista: “Aldo voleva
scomparire in bellezza” e “ha cominciato a morire molto prima” del tragico
incidente nel Mali .23
Ma ciò che non viene scalfito, anche in questi momenti di forte crisi
esistenziale e fino all’ultimo, è la sua ricerca e la sua sperimentazione
artistica, che procede come fosse un mondo a sé. Il suo mondo.
Fino a “Caribbean see” del ’73.
Un professionista dell’arte per diletto
Aldo Moriconi in una foto durante una
traversata in mare aperto.
“Aldo Moriconi ride molto di sé stesso e disegna per suo diletto e per
il dubbio piacere di chi volesse prender gusto alle sue creazioni.”
È lo stesso Aldo che così scrive di sé e delle sue opere nel taccuino di
riflessioni e disegni del 1946.24 E, alla luce degli esiti complessivi della sua
ricerca, può considerarsi, questa, una dichiarazione di poetica: disegnare
e creare per “diletto” personale e per il “piacere” e il “gusto” – “dubbio”
perché l’autore non ha certezze nel merito e non le cerca – di chi potrebbe
essere interessato ad avvicinarsi e condividere la sua esperienza estetica e
creativa. Un modo di concepire il lavoro dell’artista che però è ben
24
diverso da quello del “dilettante”. Può essere circolata (e circolare)
specie nell’ambiente jesino, nei confronti di Aldo Moriconi, l’opinione
(e l’obiezione) che, in quanto “possidente” ( come si qualificavano allora
persone del suo status), oltre che di macchine, donne e viaggi si sia
dilettato anche d’arte, rimanendo appunto un dilettante in questo campo.
Di fatto non risulta che abbia frequentato corsi, scuole o studi d’artista in
maniera sistematica. Ma sicuramente ha avuto contatti con i protagonisti
della cultura e dell’arte a Roma e non solo, ne ha seguito le vicende, come
concordano le diverse testimonianze, a partire dalla stessa Valeria, fino ai
ricordi di Canessa, Dondero e Teodosi.25
Non solo, ma la stessa iscrizione a fisica, i cataloghi, i volumi d’arte,
poesia, romanzi, saggi, usciti in quegli anni e che ho intravisto nelle librerie
di Valeria e anche dei Lama, potevano documentare la sua formazione
culturale. Il fatto poi che non ci fosse in lui una dipendenza dal mercato
(più per ritrosia e insicurezza del suo carattere, che per autosufficienza
economica che in quegli anni non sembra essere stata così lautamente
garantita), gli ha consentito di esercitare l’arte con estrema libertà: la sua è
stata una ricerca “pura”, che nasceva da esigenze interiori parallelamente
alle sue esperienze culturali ed esistenziali. Quindi, a mio parere, è stato un
“dilettante dell’arte” nel senso più nobile del termine. Non era mosso che
dal “piacere” della creazione artistica. Per questo le opere di Aldo Moriconi
risultano piacevoli, appaganti, prive di drammaticità: proprio perché
rappresentano per lui, forse, rifugio, evasione, espressione di libertà,
mappe di viaggi diversi ma sempre riconducibili alle sue appassionanti
avventure solitarie.
15
Se poi si considera il rigore tecnico, la coerenza e la continuità della ricerca
e della sperimentazione, l’originalità degli esiti, sempre personalizzati al
di là delle indubbie e molteplici influenze, non si può non riconoscere
la valenza professionale del suo lavoro26. E giungere così a formulare
l’ipotesi: che Aldo Moriconi sia stato un serio professionista dell’arte per
diletto. Come “rideva molto di sé stesso”, avrà sorriso anche delle sue
creazioni, con una vena di scetticismo, di malinconia e di poesia.
Valeria di spalle da un’immagine
del film “La spiaggia” di Alberto Lattuada,
inchiostro, 1953.
25
Valeria vista da Aldo “alla maniera di”: tra Rotella e Andy Warhol
16
La professionalità e l’originalità riconosciute all’artista, non vengono
compromesse, a mio parere, dai rimandi, pure evidenti, all’opera di maestri
in qualche modo incontrati da Aldo nella Roma di quegli anni e “citati”
esplicitamente nella sua produzione, ma con il filtro e il marchio della
sua personalità.
Vorrei far riferimento a questo proposito, alle tracce riconoscibili nei
lavori dedicati a Valeria tra il ’52 e il ’62 ed esposti in mostra nella sezione
documentaria.
Oltre ai disegni e alle stampe, in cui ritroviamo il tratto formale – reso in
maniera più o meno felice – di Vespignani, Migneco, Guttuso, Cagli ecc.;
oltre al ritratto in fil di ferro alla Calder; vi sono collages che richiamano
vistosamente l’opera di Mimmo Rotella ( di cui, come sappiamo, era
amico). Ma si avverte subito che, dietro questi esperimenti di Aldo, non
c’è l’ideologia “pop” sottesa all’opera di Rotella, ma l’intento personale
di interpretare il volto di Valeria con la reiterazione piuttosto ossessiva
delle sue prime foto di copertina strappate dai rotocalchi, di raccontarla
attraverso frammenti di suoi spettacoli, di ritrarre – accanto alla Valeria dei
gesti quotidiani, nell’intimità della casa, tratteggiati nei disegni – anche la
Moriconi pubblica, del palcoscenico e dei media, nel tentativo, forse, di
riappropriarsi di lei, della sua immagine.27
Valeria posa sullo sfondo del suo ritratto
(Foto L. Locatelli, Milano,
da Il Tempo, 1989).
26
Nella casa jesina, in un sottoscala, erano state riposte anche tre tele
(non firmate né datate) con il ritratto di una Valeria giovanissima:
la stessa foto solarizzata, riprodotta identica in bianco e nero e trattata
pittoricamente con variazioni cromatiche e grafiche.
Un trittico alla Andy Warhol – è fin troppo evidente – che per tanti motivi
si può, a mio parere, attribuire ad Aldo Moriconi. È nel 1962 che Warhol
realizza la sua prima opera dedicata a Marilyn Monroe, acquistata dal
Moma ed esposta lo stesso anno.
Aldo, in uno dei suoi viaggi a New York,28 potrebbe aver visto l’opera,
esserne rimasto colpito e, al ritorno, aver tentato a modo suo questo
esperimento, realizzando il trittico per donarlo a Valeria, da cui non era
ancora separato.
17
18
Se il riferimento all’icona americana di Warhol è esplicito nel modo in cui
viene riprodotto il volto di Valeria da una foto, altri aspetti ne marcano
la diversità. Il trittico dedicato all’attrice jesina è più pittorico, più libero
ed elaborato nel trattamento grafico, con un effetto meno meccanico
nell’applicare il colore, senza seguire i contorni della figura. E soprattutto
con una resa del volto più sensuale ed accattivante, non stereotipata
e “mortuaria” come è stato rilevato nei ritratti Warholdiani di Marilyn,
Liz Taylor, Jacqueline Kennedy.
La citazione è così scoperta proprio perché l’autore, convinto della sua
27
operazione, intende poi elaborare l’opera in maniera del tutto personale:
apportandovi la sua tecnica, la sua cultura, la sua sensibilità nei confronti
della donna, di Valeria, che sono ben diverse da quelle di Andy Warhol.
In realtà l’esito finale dell’esperimento si distacca nettamente dal modello
iniziale. Altri elementi tecnici e altre testimonianze potrebbero confermare
l’attribuzione ad Aldo Moriconi di questo trittico.29 Che verrebbe a
concludere la sua ricerca attorno a Valeria, alla sua immagine, al suo corpo,
alla sua persona. Rappresenterebbe così l’ultima icona del suo oggetto
del desiderio.
Riteniamo dunque che Aldo Moriconi meritasse di uscire dal cono d’ombra
in cui sempre più era entrato già in vita sino a scomparirvi totalmente.
Lo meritava per la sua produzione artistica, praticamente sconosciuta o
dimenticata, eppure significativa nel contesto culturale in cui si è sviluppata
– la Roma vitalissima degli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso – e per la
valenza estetica delle sue sperimentazioni.
Attraverso le testimonianze della stessa Valeria e di altri che l’hanno
conosciuto da vicino, condividendo con lui esperienze di vita e d’amicizia;
attraverso una ricerca delle rare tracce da lui lasciate in ambienti
e documenti, sono state riportate alla luce anche la sua personalità, la sua
singolare, intensa, per certi aspetti drammatica avventura esistenziale.
Facendo così un’operazione di segno opposto a quella che si sta portando
avanti attorno a Valeria Moriconi, dopo la sua scomparsa: e cioè mantenere
accesi i riflettori su di lei, fare in modo che se ne conservi il ricordo
di donna e di attrice.
Su Aldo Moriconi e la sua opera i riflettori non sono mai stati accesi.
Lui stesso li ha rifuggiti. Quindi è tutto da scoprire. Attraverso, appunto,
la mostra che è antologica e documentaria, e il catalogo che, oltre alle
riproduzioni e alle analisi delle sue molteplici espressioni creative, raccoglie
i frammenti sparsi della sua biografia. In questo modo si intende far
riemergere una porzione di patrimonio artistico del ‘900, non solo e non
tanto locale. Ricostruendo la storia non di un protagonista ma
di un testimone sensibile e partecipe, che ha sperimentato sulla propria
pelle, prima che sulle tele, i fermenti innovativi dell’epoca.
“Torno a colazione. Aldo”: messaggio
autografo sul giornale Enalotto, 1961.
28
Così lo stesso calcografo, originario di Urbino, si firma per primo nell’album della mostra.
2 “Quello che erroneamente viene chiamata
scultura in filo di ferro (...) è il modo affascinante di modellare impiegato da Calder, come
se tenesse in mano una penna” (Daniela Lancioni in Calder, catalogo della mostra Roma,
Palazzo delle Esposizioni, Motta Editori 2009,
pg. 56). Per Aldo Moriconi è anche un modo
per declinare in ambito plastico-figurativo la
ricerca sul rapporto tra linea e spazio che caratterizza la sua opera grafica e pittorica.
3 Si può dire che il figurativo sia stato recuperato da Aldo Moriconi in “Caribbean see”,
ultimo ciclo delle sue tele, con una stilizzazione estrema di mare, spiaggia, onde, cielo,
nuvole: il suo habitat assoluto.
Ma forse mai in Aldo si può parlare di arte
astratta: ha cercato piuttosto di tradurre realtà, spazio, natura, energie, esperienze, emozioni, visioni, in segni, linee di forza, modulazioni, vibrazioni. O con il bianco e nero delle
stampe o con il cromatismo delle tele.
4 Tra gli amici più vicini e cari, Cesare Canessa gallerista e Mario Dondero grande fotoreporter hanno ricordato il loro rapporto con
Aldo nelle interviste pubblicate a pag. 194 e
198. Luigi Teodosi, pittore di origini jesine ma
molto più giovane, condivideva lo studio con
l’amico litografo Emilio Sorini che gli aveva
presentato Aldo al Torcoliere: la sua testimonianza è a pag. 200.
5 “Copertina” a cura di Anna Mascolo
13.12.92.
6 Il Resto del Carlino 16.11.86.
7 Interviste brevi di F. Rocca 1991.
8 Il resto del Carlino 16.11.86.
9 “Ci vediamo in tv” con Paolo Limiti
26.02.2002.
10 Grazia 16.4.78.
1
Domenica del Corriere 30.03.78.
Il giornale 20.02.81.
13 La Cronaca 19.12.93.
14 Europeo 14.01.84.
15 “Copertina” a cura di Anna Mascolo
13.12.92.
16 Il Tempo 1983.
17 Amica 8.01.1985.
18 Stasera 4.62. Quindi se Valeria, senza
Aldo, non sarebbe diventata quello che è stata (“la Moriconi”); anche Aldo, forse, almeno
in una certa misura, senza Valeria non sarebbe diventato l’artista che è stato. Perché lei
fornendogli “l’alibi” gli ha dato lo stimolo,
l’energia che caratterialmente poteva mancargli per sganciarsi dai vincoli familiari e dare
una svolta radicale alla sua vita.
19 Un diario manoscritto che parte dal 21 settembre 1952 e arriva al 10 luglio 1953 di cui
pubblichiamo a pag. 189 alcuni brani con riferimenti ad Aldo.
Iniziato da Corrado Olmi, dal 27 settembre
fino in fondo è scritto da Valeria e incentrato
su di lei e sui suoi tentativi di inserimento nel
mondo del cinema.
20 Oggi illustrato 1973.
21 Oblomov è protagonista anche del film del
1979 di Nikita Michalkov, di cui Valeria era
entusiasta al punto da contattarlo per un progetto teatrale attorno al Platonov di Cechov
nel 1986.
22 Da uno scritto di Paola Cirilli del 1996, di cui
vengono pubblicati alcuni brani a pag. 192.
23 Intervista a Cesare Canessa pag. 197.
24 Op. cit. pg. XXXVII.
25 Testimonianze riportate a pag. 194.
26 Sulla lapide della sua tomba, la madre Gina
Matteucci ha voluto che fosse specificata
anzitutto la sua qualifica di “Pittore” e poi di
“Tenente di vascello”.
11
12
29
Alcuni collages sono dedicati ad altre sue
passioni come le macchine e le donne e confermano lo stesso gusto per l’impaginazione
delle immagini come in una narrazione cinematografica.
Vi sono poi due collages del 1971 di particolare interesse, realizzati con strappi di carta
azzurra, nera e gialla che, con le venature
bianche della tela, creano composizioni informali dal segno analogo a quello di certe sue
incisioni.
28 È Valeria stessa che riferisce che Aldo si
recava spesso a New York dove si era trasferito l’amico Emilio Sorini, stampatore del
Torcoliere. Sono noti anche i rapporti con
l’America di altri suoi amici come Plinio De
Martiis della galleria La Tartaruga e soprattutto del suo socio Giorgio Franchetti, divenuto
“una formidabile testa di ponte con gli USA”
( F. R. Morelli).
29 Sembrerebbero confermare questa attribuzione: le tonalità di azzurro, celeste, arancione, giallo, rosa, rosso che si ritrovano molto
simili nel cromatismo delle opere di Aldo; le
variazioni grafiche che richiamano alcune sue
incisioni; il suo interesse per l’utilizzo dell’immagine fotografica; la scelta del trittico (o
dittico) e dello spessore del telaio anche per
altre sue composizioni.
Vittorio Spiga, compagno di Valeria dal 1977,
assicura di aver sempre visto queste tele nella casa di Jesi. In una foto su Il Tempo del
1989, l’opera figura dietro un primo piano
della Moriconi che assume la stessa posa
e accentua così la differenza anagrafica con
l’immagine riprodotta nel quadro, che risulta
perciò molto anteriore. È da tenere presente
infine che la prima mostra di Andy Warhol documentata in Italia risale al 1965 a Torino alla
galleria Lo Sperone.
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