A memoria di cinefilo tutto può essere iniziato con

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A memoria di cinefilo tutto può essere iniziato con
di Filippo Primo
A memoria di cinefilo tutto può essere iniziato con “Two Thousand
Maniacs!” (1964) in cui dei giovani turisti trascorrono un week-end in una cittadina del sud degli
Stati Uniti e cadono vittime della violenza e del sadismo degli abitanti del posto. L’idea di una
comunità rurale autarchica, possibilmente nel sud degli States e composta da bifolchi, rozzi e
folli personaggi (quelli che in gergo sono i “rednecks”), è stata d’ispirazione per tutto il cinema
seguente creando quasi un genere che in alcuni casi è stato definito come “rural gothic” e del
quale fanno parte senza dubbio “Non aprite quella porta”, “Le colline hanno gli occhi”, il
semisconosciuto “American gothic” e, in tempi più recenti, “Wrong Turn” e “Calvaire”.
Nel 1974, il regista inglese John Boorman dirige “Un tranquillo weekend di paura”, un film che
riprende anch’esso il tema della selvaggia e incontaminata comunità che viene invasa dallo
straniero “civilizzato”. Il tutto però è portato ad un livello per così dire più alto senza cadere
nello sterile “gore” sanguinolento e fine a se stesso.
Quattro amici, capitanati dal baldanzoso
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ed esaltato “naturalista” Lewis (B.Reynolds), decidono di lasciarsi alle spalle la città per un
weekend e di scendere in canoa il fiume Chattoga tra la Georgia e la Carolina del Sud. Il fiume
verrà presto deviato e la vallata che attraversa, verrà completamente sconvolta a causa
dell’imminente costruzione di una diga. Giunti nella sperduta località, i quattro cittadini iniziano
a toccare con mano la poca ospitalità degli abitanti del luogo che vivono in povertà dentro
baracche fatiscenti e in alcuni casi con figli menomati da tare genetiche. Sarà proprio un
bambino con evidenti problemi mentali ad improvvisare, con il suo banjo, un duetto insieme a
Drew (R.Cox), l’idealista del gruppo che suona la chitarra. Dopo quest’episodio, che
rappresenta l’unico momento di aggregazione fra gli uomini di città e gli “indigeni”, inizia per i
quattro giovani esploratori, una vera e propria discesa all’inferno. La violenza esploderà
dapprima nei confronti del grasso e sempliciotto Bobby (N.Beatty) il quale, dopo aver raggiunto
l’altra riva del fiume in canoa, riceverà l’accoglienza di due rudi e poco socievoli montanari che
lo sodomizzeranno. Sarà l’intervento provvidenziale di Lewis, che con una freccia ne ucciderà
uno mettendo in fuga l’altro, a salvare dallo stesso brutale destino l’amico Ed (J.Voight).
Dopo che Drew annega nelle rapide
(forse sparato dall’alto della montagna) e i loro leader Lewis, si romperà una gamba sarà
proprio il timido e impacciato Ned a prendere in mano la situazione. I tre sopravissuti,
arriveranno, sconvolti e mutati nei loro animi, alla fine del viaggio, ma il brutto ricordo li seguirà
per il resto della loro vita.
Ispirato da un romanzo di James Dickey che qui compare nella doppia veste di sceneggiatore e
attore (piccola parte di uno sceriffo), il film di Boorman è ormai diventato un cult a tutti gli effetti.
Il regista inglese capovolge quello che è il mito della natura accogliente e amica dell’uomo. La
natura, che qua “leopardianamente” potremmo definire matrigna più che madre, non rigenera e
non purifica, come spesso il superficiale uomo”civilizzato” crede. I quattro amici, che
rappresentano con i loro caratteri stereotipati (l’impavido, il razionale, il buon padre di famiglia,
il sempliciotto) le varie anime dell’America di quel periodo, vogliono giocare a fare Tarzan
sfidando la natura che presuntuosamente pensano di capire.
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Ma
la
natura
violenza e non permette di fuggire quando lo si vuole soprattutto quando il progresso (il film
inizia con le autobotti che si preparano per la costruzione della diga) la vuole distruggere senza
pietà. Se i luoghi sono selvaggi, la popolazione che in quei luoghi ci vive da sempre, non è da
meno e l’uomo di città dovrà scontrarsi anche con la violenza insita nel suo simile. E grazie alla
violenza dell’uomo “buono”, l’odissea dei 4 amici si risolverà portando a quella “liberazione”
che poi è il titolo originale del film (“Deliverance”).
In definitiva l’opera di Boorman ci appare come un mix di generi: avventura, drammatico e
thriller che poi in definitiva affrontano un tema classico del cinema americano che è quello del
viaggio. Il ritmo è incalzante, e la natura, che impassibile e spietata assiste al drammatico
cammino del gruppo, è fotografata in maniera sublime.
Di eguale pregio anche la colonna
sonora in chiave folk e a ritmo di banjo che se inizialmente è proposta in chiave allegra e
diegetica (il duetto iniziale banjo-chitarra), in seguito diviene sempre più seriosa e inquietante
accompagnando “dall’esterno” i momenti più tragici e cruenti della drammatica avventura.
Frase del film: E’ proprio vero, alle volte bisogna perdersi per poter trovare qualcosa!”
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è
Qua la mitica scena del “duello musicale”
«Il cinema è un alto artificio che mira a costruire realtà alternative alla vita vera, che gli
provvede solo il materiale grezzo» (Umberto Eco)
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