SAN SATIRO La basilica prepositurale di cui parliamo oggi è nota e

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SAN SATIRO La basilica prepositurale di cui parliamo oggi è nota e
SAN SATIRO
La basilica prepositurale di cui parliamo oggi è nota e spesso visitata solo per la famosa prospettiva
bramantesca, ma i suoi motivi d’interesse sono ben più numerosI.
Potremmo dire, ma non è del tutto vero, come vedremo, che tutto iniziò con il dipinto posto sopra l’altar
maggiore. Esso in origine si trovava all’esterno di una cappella che conservava le spoglie di san Satiro.
Secondo la tradizione nel 1242, il giorno dell’Annunciazione, l’immagine del Bambino fu colpita da
pugnalate inferte da un giovane, tale Massazio da Vigonzone. Questi era forse ubriaco o aveva perso molto
denaro al gioco – la zona allora offriva passatempi anche sregolati. Dalla ferita uscì sangue. Il miracolo
commosse i Milanesi, che tennero sempre in grande considerazione il dipinto. L’attentatore poi si pentì e si
fece monaco.
Questo episodio è raffigurato in un dipinto ottocentesco, di Agostino Comerio, che si trova nella lunetta
sopra l’altare maggiore, che appartiene allo stesso periodo. Massazio è riconoscibile nel giovane con i
pantaloni rossi.
Ma ora ricorriamo ad un flashback per chiarire come mai la basilica è denominata S. Maria presso S. Satiro.
All’estremità del transetto sinistro sorge infatti il sacello, una piccola cappella che costituisce la parte più
antica della basilica.
Nel IX sec. Il vescovo Ansperto aveva qui la sua residenza, accompagnata da un ricovero per poveri e
pellegrini, un giardino e un cimitero. La zona, fra le attuali via Torino (allora contrada della Lupa), via
Speronari e via Unione (allora Malcantone), in epoca romana era vicina al foro (oggi piazza S. Sepolcro) e
ospitava sicuramente molte importanti residenze, infatti sono stati ritrovati qui reperti che risalgono al II –
III sec. Comunque le fonti ci dicono che nell’876, probabilmente su questi antichi edifici, Ansperto fece
innalzare il sacello come cappella privata, lo dedicò a S. Satiro e incaricò delle celebrazioni i monaci di
Sant’Ambrogio. S. Satiro era fratello gemello di S. Ambrogio e si occupava dell’amministrazione dei beni
della diocesi milanese.
Il sacello ha una pianta complessa, che richiama le architetture bizantine. Si tratta infatti di un quadrato
all’interno del quale vi è un profilo a croce greca con nicchie semicircolari. La cappella è sovrastata da un
tiburio ottagonale con una piccola lanterna. Sono visibilmente arricchimenti molto posteriori e non sono gli
unici, infatti se usciamo dalla chiesa e osserviamo il profilo esterno del sacello notiamo che, diversamente
da quanto ci aspetteremmo, ha forma semicircolare ed è abbellito da decorazioni in cotto rinascimentali.
Visto che siamo all’esterno possiamo vedere una torre quadrata, che costituisce uno dei più antichi
campanili di Milano. Osservando bene scopriremo anche due pavoni. Ricordiamo che per i Cristiani questo
animale simboleggia l’immortalità (perché si credeva che le sue carni non si deteriorassero) o l’onniscienza
di Dio (per gli occhi sulla coda).
Rientriamo ora nel sacello e vediamo al centro quattro colonne provenienti, come spesso accade a Milano,
da edifici preesistenti. Notiamo capitelli con decorazioni stilizzate che non sono, pur nella loro semplicità, i
più antichi, ma dovrebbero risalire all’Alto Medioevo, epoca in cui si tendeva ad abbandonare la
rappresentazione fedele della realtà. Vi sono altre colonnette, accompagnate da una colonna in granito.
Il sacello era decorato da antichi affreschi, che purtroppo in gran parte sono andati perduti, mentre
avrebbero potuto arricchire le conoscenze sulla pittura altomedioevale milanese. La nostra attenzione,
però, è attirata sicuramente da un grande gruppo in terracotta costituito da 14 figure ad altezza naturale,
che rappresenta in modo molto realistico il compianto sul Cristo Morto e che ha la particolarità di ospitare
una mamma dalla pelle scura con il suo bambino. Questo gruppo fu realizzato nel 1483 da Agostino de
Fondulis (o Fondutis), un artista di cui riparleremo. La presenza del Compianto ha fatto sì che il sacello sia
ora indicato anche come Cappella della Pietà.
Ora è tempo di occuparci della basilica vera e propria, dedicata a S. Maria, così torniamo al famoso dipinto
che sanguinò e alla devozione che i Milanesi sempre gli tributarono. Infatti intorno al 1470 nobili a agiati
borghesi fondarono una confraternita per provvedere al culto e successivamente vollero dare una degna
cornice all’icona innalzando una chiesa che la potesse ospitare. A questo scopo fondamentale fu il
contributo degli Sforza, inizialmente di Gian Galeazzo Maria (1469 – 1494) attraverso la madre e reggente
Bona di Savoia, in seguito di Ludovico il Moro.
Proprio in quel periodo era giunto a Milano da Bergamo Donato Bramante, cui è attribuito il progetto della
chiesa nelle forme che oggi ammiriamo, come pure la sistemazione dell’esterno del sacello e la decisione di
collocarvi il Compianto. Forse Bramante collaborò anche al primo progetto (1478), per il quale si parla
anche dell’Amadeo e del Battagio. Il primo è un architetto famoso che lavorò alla Cappella Colleoni, alla
Certosa di Pavia e al nostro Duomo. Il secondo è meno noto, ma ne possiamo ammirare una realizzazione
all’Incoronata di Lodi.
Ḕ del 1482 invece il primo documento che testimonia il suo intervento. Successivamente la chiesa è stata
molto rimaneggiata, cosicché, come per S. Maurizio, rimangono ancora questioni aperte. Comunque
Bramante decise tra l’altro di spostare la facciata verso via Torino, mentre prima era rivolta a via Falcone.
La facciata attuale, neoclassica, naturalmente non è quella originale, ma risale al 1871. Suoi altri interventi
furono l’inserimento della sacrestia e delle navate laterali, che hanno la particolarità di proseguire anche
nei transetti. Probabilmente nel 1490 le opere furono concluse perché venne commissionato l’organo.
La basilica presenta una pianta molto particolare, a croce commissa, cioè a T, così arriviamo a parlare del
problema dell’abside e della famosa prospettiva. Si dice che i committenti non abbiano potuto acquistare
alcuni terreni verso via Falcone, allora affollata di botteghe e altri edifici, dunque sia venuto a mancare lo
spazio necessario alla costruzione di un coro dietro l’altare. D’altra parte Bramante non voleva accorciare il
corpo centrale per non tradire il suo ideale di armonia e monumentalità. Dunque progettò il finto coro, una
struttura in mattoni, legno, terracotta e stucco dipinto che simula tre campate in soli 97 cm. Per ammirarne
l’effetto illusionistico è bene fermarsi a circa due metri dall’ingresso e avvicinarsi gradualmente all’altare.
Si tratta di una prospettiva accelerata, con i lati convergenti, che dà appunto l’illusione della profondità.
Bramante ha potuto ispirarsi agli studi di Donatello, con il suo “stiacciato”, che opera con minime variazioni
di spessore, ma ricordiamo che anche Leonardo era presente a Milano in quegli anni e si occupava di ottica
e di prospettiva. Forse dunque davvero Bramante fu “costretto” a ideare quella soluzione o forse prese a
pretesto la ristrettezza dello spazio per dar prova della sua abilità. Durante la seconda guerra mondiale
questa zona è stata pesantemente bombardata, ma il capolavoro bramantesco non ha subito danni perché
prudentemente era stato protetto da un muro.
In breve fu ultimata l’edificazione della chiesa, tanto che già nel 1483 il De Fondulis fu incaricato di
realizzare i fregi con arpie e corone d’alloro che corrono intorno alla navata principale, al transetto e al finto
coro. Questa presenza di elementi legati all’arte classica in un edificio di culto ci ricorda l’amore degli artisti
del Rinascimento per la cultura greca e romana.
Furono presto decorate anche le volte a botte con cassettoni e i capitelli dei pilastri, che Bramante aveva
voluto senza basi per alleggerire la struttura. Altra scelta tipicamente bramantesca è la grande cupola
emisferica all’incrocio dei tre bracci, ornata da lacunari con rosette di stucco e metallo su fondo azzurro. I
documenti parlano infatti di “oro e azur fin”. Il Cardinale Federico Borromeo testimonia anzi che in origine
anche le volte erano decorate con lacunari simili a questi, aggiungendo preziosità alla struttura. Lo stesso
cardinale parla anche della presenza di addirittura 44 finestre, dunque possiamo immaginare la chiesa
inondata di luce! Ora invece abbiamo nei transetti gli oculi circolari, che sostituirono nel 1833 le tre finestre
rettangolari originarie, probabilmente allo scopo di richiamare gli oculi dipinti in Santa Maria delle Grazie.
L’unica altra fonte di luce oggi è il rosone nella controfacciata. Pure dal transetto destro sono stati staccati
gli affreschi rinascimentali del Bergognone (1453 – 1523). Gli altari laterali del presbiterio sono dedicati a S.
Filippo Neri e a S. Mauro, mentre nel transetto destro l’altare è dedicato a S. Luigi Gonzaga
Citiamo ancora il De Fondulis per i busti in terracotta alla base della cupola. Si tratta di profeti, mentre non
si conosce l’autore dei ritratti degli evangelisti che vediamo nei pennacchi della cupola stessa.
De Fondulis ci conduce infine nella navata destra all’ultimo spazio bramantesco che non dobbiamo
assolutamente trascurare, l’antica sacrestia, oggi battistero. Si tratta di una struttura ottagonale di grande
eleganza, con nicchie nella parte inferiore e una loggia superiore alla quale si accedeva per mezzo di una
scala che fa supporre potesse trattarsi di un matroneo. Nelle nicchie compaiono decorazioni a forma di
conchiglia, che riprendono quelle dei transetti, per le quali si ipotizza che Bramante sia stato ispirato dalla
famosa Pala di Piero della Francesca conservata a Brera. Nella decorazione si alternano stucchi e terrecotte,
ma anche metallo nella balaustra della loggia. Al De Fondulis si devono invece alcuni busti in terracotta e
una serie di putti musicanti, tra cui uno che ne sculaccia un altro. Il Fonte battesimale è invece di epoca
posteriore.
Usciamo ora definitivamente dalla basilica e, superato il piccolo spazio quadrangolare ci ritroviamo in via
Torino. Se l’attraversiamo e procediamo sulla sinistra troviamo il Tempio Civico di S. Sebastiano, che fu
voluto da S. Carlo come atto votivo per la fine della peste del 1576 e fu affidato al suo architetto di fiducia,
Pellegrino Tibaldi, anche se poi la costruzione si protrasse per parecchi decenni. Le sue particolarità sono la
struttura cilindrica che ne fa il Pantheon milanese e il duplice carattere, religioso e civile.
Meglio però proseguire lungo la via Torino e raggiungere la chiesa di S.Giorgio al Palazzo, che s’innalza dove
un tempo sorgeva il palazzo imperiale, cui abbiamo accennato parlando della Milano romana. L’invito a
visitare questa chiesa è legato alle opere di due pittori, Gaudenzio Ferrari per la pala di S. Girolamo nella
prima cappella a destra, e Bernardino Luini, di cui sono qui ospitate più opere risalenti al 1516 nella terza
cappella sempre a destra.