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Anno XXVII n.1 marzo 2016 Copyright by Collegio IPASVI Foggia Viale Giotto, 200 71122 FOGGIA - Tel. e Fax 0881 749774 Direttore Afd Matteo Russo Vice Direttore Antonio Marchesani Direttore Responsabile Dott. Giuseppe Tampone Comitato di redazione Consiglio Direttivo Collegio Ipasvi Autorizzazione del Tribunale di Foggia n. 12/90 del 27 aprile 1990 Tutti i diritti di proprietà letteraria ed artistica sono riservati. Tutti gli Iscritti al Collegio possono collaborare con la Redazione. I manoscritti e le fotogra e, anche se non pubblicati, non si restituiscono. È vietata la riproduzione anche parziale senza l’autorizzazione dell’Editore. Spedizione in abb. postale art. 2 Comma 20/B Legge n. 662/96 - Poste Italiane Filiale di Foggia • pubblicazione trimestrale inviata gratuitamente a tutti gli iscritti del Collegio Provinciale IPASVI di Foggia. COLLEGIO PROVINCIALE IPASVI FOGGIA Viale Giotto, 200 - 71100 FOGGIA TF e FAX - 0881/749774 Presidente Dott. Michele Del Gaudio Vice Presidente Dott. Silvio Piancone Segretario Dott. Matteo Vizzani Tesoriere AFD Gaetano Consalvo CONSIGLIO DIRETTIVO M. S. Cicilano, M. R. Cimarrusti, G. Chiumento, F. Mansi, A. Marchesani, P. Papagna, M. Russo, A. Santoro, A. Scisco, C. Tampone, G. Tino REVISORI DEI CONTI A. Libertazzi, A. Turco, D. Trombetta, M. Marchese (Supp.) Dal Collegio • Il collegio IPASVI di Foggia a scuola di legalità pag. 3 a cura di Ciro Antonio TAMPONE APPROFONDIMENTI • La sindrome del burnout: impatto nella professione sanitaria infermieristica a cura di Roberta Merla, Gianluca Marcucci pag. 9 • il prelievo ematico da accesso venoso periferico: perchè non eseguirlo? un mito da sfatare. a cura di Celestina Pazienza, Gianluca Marcucci pag. 23 • Programma Preliminare Gattarella pag. 32 • III CONGRESSO NAZIONALE SOCIETA’ SCIENTIFICA COMLAS pag. 35 Norme editoriali per le proposte di pubblicazione Le proposte editoriali verrano valutate dal comitato di redazione e prese in considerazione solo se originali (non pubblicati in precedenza) il cui contenuto sia di chiaro interesse infermieristico. La pubblicazione del materiale è subordinata al giudizio insindacabile della Redazione, la quale si riserva facoltàdi apportare modifiche nel contenuto e/o nella forma, comunque in accordo con gli autori. Ogni articolo esprime l’idea degli autori, i quali si assumono la piena responsabilità di quanto scritto. Il materiale dovrà pervenire in formato elettronico (word o rtf) via e-mail, completo di eventuali tabelle o immagini allegate (specificare dove inserire le tabelle o le immagini). Nel caso in cui le immagini non vengano fornite, ne sarà assegnata una o più a giudizio insindacabile della redazione. Ogni pagina dovrà essere numerata e nella prima dovrà comparire: 1) titolo dell’articolo; 2) autori (nomi completi e qualifiche professionali); 3) recapiti per eventuali contatti (telefono, fax e e-mail). La bibliografia va inserita nell’ultima pagina rispettando i seguenti criteri: Libri: Autore, Titolo (in corsivo), Luogo, Editore, Data, Pagina Riviste: Autore, Titolo (in corsivo), «Titolo della rivista (tra caporali)», annata in cifre romane (anno corrispondente in cifre arabe) Atti: Titolo dell’evento, città, data. Quando il lavoro coinvolge, a vario titolo, l’istituzione di appartenenza degli autori o soggetti diversi dagli autori, è necessario allegare una liberatoria scritta dei relativi responsabili. Il materiale inviato non verrà restituito in alcun caso. Anno XXVII n.2 Luglio 2016 Dal Collegio Il Collegio IPASVI di Foggia a scuola di legalità a cura di Ciro Antonio TAMPONE Ci troviamo di fronte al fatto che domani è già oggi… La speranza spetta a noi, e per quanto potremmo desiderare altrimenti, 3 dobbiamo scegliere ……(Martin Luther King) Da diversi anni, si assiste ad un cambio di lettura e di interpretazione dei fenomeni legati alla responsabilità professionale. Le motivazioni sono da attribuire ad un maggior livello culturale dei cittadini e alla maggiore diffusione attraverso i mass-media delle conoscenze mediche e sanitarie, l’aumento della complessità delle patologie e dei trattamenti; la sensibilizzazione delle associazioni a difesa dei diritti del malato; l’allungamento della vita media; l’evoluzione del concetto di responsabilità civile. Tutto ciò comporta una crescente attenzione alle forme di tutela e di auto-tutela dell’assistito nei confronti degli operatori sanitari; alla progressiva identificazione dell’obbligazione di mezzi con quella di risultati, che comporta, per il professionista della salute, una responsabilità sia per le modalità con cui opera, sia per gli effettivi esiti della sua azione; alla diffusione dell’EBP e al ruolo delle organizzazioni e delle istituzioni che insieme alle società scientifiche, attraverso la diffusione e l’adozione di protocolli e linee guida, rendono l’attività professionale meno libera e più uniforme. I riferimenti per poter analizzare e declinare la responsabilità professionale derivano non solo dalle norme per l’esercizio professionale, ma anche dagli orientamenti della dottrina giurisprudenziale e dalle sentenze emanate, soprattutto da parte della Cassazione. Anche quest’anno il Collegio IPASVI di Foggia ha programmato un evento formativo residenziale a garanzia della collettività e della professione infermieristica dal titolo “ Incontri su aspetti etico legali della professione infermieristica”, accreditato E.C.M. (educazione continua in medicina), tenutosi a Foggia il 28 maggio 2016. Il Presidente del collegio IPASVI di Foggia dottor Michele del Gaudio dopo i doverosi saluti alla platea “oltre ottanta partecipanti”, ha disegnato “ Il contesto attuale dell’esercizio professionale infermieristico”. La sua relazione ha raffrontato l’evoluzione dei bisogni delle persone con l’evoluzione della professione infermieristica fino ad arrivare ai cambiamenti richiesti dal SSN. Il suo resoconto si è soffermato sulla responsabilità dei professionisti dell’assistenza e sui Dirigenti Infermieri alla luce delle nuove competenza e utilizzo delle stesse. Anno XXVII n.2 Luglio 2016 Anno XXVI n.2 agosto 2015 4 Il dottor Silvio Piancone Dirigente dell’Assistenza Infermieristica presso il Policlinico degli Ospedali Riuniti di Foggia nonché vicepresidente del Collegio IPASVI di Foggia ha relazionato su un tema al quanto attuale e discusso su testate giornalistiche sanitarie quale il “Demansionamento ed il riconoscimento della professione infermieristica”. Tutti sappiamo che il demansionamento è un illecito, derivante da un comportamento illegittimo da parte del datore di lavoro in grado di provocare un danno ingiusto al lavoratore conseguente ad un atteggiamento, commissivo o omissivo, che comunque costringa il lavoratore ad eseguire (in tutto o in parte) mansioni o attività tipiche e contrattualmente definite proprie di lavoratori appartenenti a categorie contrattuali inferiori. E a questo punto sorgono diverse domande, quali sono le mansioni inferiori che l'infermiere non può fare, che risarcimenti spettano, che cosa si può fare per opporsi... La questione è difficile il nostro Codice Deontologico prevede che: Articolo 49 L’infermiere, nell’interesse primario degli assistiti, compensa le carenze e i disservizi che possono eccezionalmente verificarsi nella struttura in cui opera. Rifiuta la compensazione, documentandone le ragioni, quando sia abituale o ricorrente o comunque pregiudichi sistematicamente il suo mandato professionale. Anno XXVII n.2 Luglio 2016 Il demansionamento deve avere le seguenti caratteristiche Diverse sentenze di cassazione sono state illustrare e approfondite con l’ausilio dell’avvocato Pierluigi Caraglia avvocato del Collegio IPASVI di Foggia e la professoressa Emanuela Turillazzi Professore di Medicina Legale, Università degli Studi di Foggia. Alcune sentenze citate La Cassazione, Sezione Lavoro, con Sentenza n.10157 del 06/05/ 2004 La Corte di Appello, in data 2 Dicembre 2015, riforma la precedente sentenza e, con la sentenza n° 8132,. Tribunale di Chieti sentenza 19903/2015 Sentenza del 06.10.2015, n. 1302, Tribunale di Cagliari Sentenza n.52/2016 il Giudice del Lavoro del Tribunale di Caltanissetta Il dottor Piancone conclude la sua relazione con una domanda “ Come difendersi dal demansionamento” suggerisce di: Ma ricordarsi anche che • • • • l’onere della prova è a carico del ricorrente servono prove documentali prove testimoniali relazione del ctp 5 Anno XXVII n.2 Luglio 2016 L’avvocato Pierluigi Caraglia presenta “un’Analisi della responsabilità infermieristica: riferimenti normativi e giurisprudenziali” Esercizio professionale: responsabilità di natura giuridica e ambiti 6 normativi La responsabilità penale: fattispecie di reato penale Anno XXVII La professoressa Emanuela Turillazzi confronta la legge 189/ 2012 conosciuta come legge Balduzzi in modo particolare l’art. 3”responsabilità professionale dell’esercente le professioni sanitarie” e il ddl Gelli in materia di responsabilità professionale, (prossima approvazione). Non si tratta assolutamente di un provvedimento sbilanciato a favore dei professionisti ma tende a ricostituire un nuovo equilibrio nel rapporto tra medico e paziente. Questa legge risponde a due problematiche come la mole del contenzioso medico legale, che ha causato un aumento sostanziale del costo delle assicurazioni per professionisti e strutture sanitarie, e il fenomeno della medicina difensiva che ha prodotto un uso inappropriato delle risorse destinate alla sanità pubblica. “Le Linee Guida ha spiegato la Turillazzi saranno inserite nel Sistema Sanitario Nazionale e pubblicate sul sito dell'Istituto Superiore di Sanità che ricoprirà così un ruolo centrale. n.2 Luglio 2016 Grazie a nuovi emendamenti approvati, i verbali e gli atti conseguenti l’attività di gestione del rischio clinico non potranno essere acquisiti o utilizzati nell’ambito dei procedimenti giudiziali. La responsabilità extracontrattuale ci sarà anche per i medici di famiglia e viene escluso l'intervento della Corte dei Conti nell'azione di rivalsa. Un punto a sfavore di questa legge è la rivalsa dell’azienda nella colpa grave e nel dolo presso i dipendenti. La domanda critica è che cos’è la colpa grave, considerando che non esiste una definizione ma bensì solo interpretazioni da parte dei giudici. In conclusione descrive una serie di casi clinici che vedono attori medici e infermieri. Il bilancio dell’evento formativo organizzato dal Collegio IPASVI di Foggia è stato più che positivo per l’attualità degli argomenti proposti e per i tanti spunti di riflessione per i professionisti infermieri e tutto ciò a costo zero per i propri iscritti. 7 Anno XXVII 8 n.2 Luglio 2016 Anno XXVII n.2 Luglio 2016 Approfondimenti La sindrome di burnout: impatto nella professione sanitaria a cura di: Roberta Merla, Dottore in Infermieristica Università degli Studi di Foggia Gianluca Marcucci, Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche, Docente a contratto MED/45 Università degli Studi di Foggia, CdL Infermieristica Sede di San Giovanni Rotondo (Articolo Estratto dalla Tesi di Laurea della Dottoressa Roberta Merla) Introduzione Le trasformazioni della società e del mondo del lavoro hanno amplificato i rischi definiti trasversali o psico-sociali, che rappresentano oggi un ipotetico ostacolo, di una certa rilevanza alla salute e alla sicurezza dei lavoratori. In una delle pri- me definizioni dell' OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro, 1986) i rischi psico-sociali sono stati individuati in termini di interazione tra contenuto del lavoro, gestione e organizzazione del lavoro, condizioni ambientali e organizzative da un lato, competenze ed esigenze dei lavoratori dipendenti dall'altro. Interazione in grado di produrre danni fisici o psicologici nel lavoratore. Questi rischi rappresentano una vera preoccupazione per le organizzazioni, al punto che molto spesso si preferisce affrontarli in modo non esaustivo e con strumenti non sempre adeguati a coglierne gli aspetti rilevanti. La sindrome del Burnout sta oggi raggiungendo proporzioni epidemiche tra i lavoratori dei paesi occidentali a tecnologia avanzata. Questo non significa che qualcosa nelle persone non funziona più, ma piuttosto che si sono verificati cambiamenti sostanziali sia nei posti di lavoro che nel modo in cui si lavora. Maslach e Leiter affermano che la priorità delle organizzazioni post-moderne si è spostata dalla qualità dei processi produttivi (il cui motore era la capacità di coinvolgimento del collaboratore- empowerment organizzativo) verso i meri bisogni di budget (per cui il collaboratore è utile solo se funzionale agli obiettivi di budget). L'importante processo di sviluppo tecnologico e informatizzato dei sistemi produttivi, ha comportato inoltre una sempre maggiore riduzione delle prerogative dei 9 Anno XXVII 10 n.2 Luglio 2016 collaboratori con una conseguente diminuzione del ruolo lavorativo del significato e della valorizzazione delle risorse umane. Come sottolineato da Maslach e Leiter (2000) “si lavora sempre più spesso in contesti nei quali i valori umani sono a grande distanza da quelli economici. Quello che ci contraddistingue come esseri umani, quello che ci spinge a lavorare bene oltre che sodo viene ignorato oppure minimizzato”. Questo atteggiamento spinge i lavoratori ad adottare atteggiamenti di distacco, sia fisico che psicologico, verso l’organizzazione nella quale lavorano, causando molto spesso un calo della qualità della loro prestazione. Oltre a ciò le aziende sono in continuo mutamento e la forte competizione le spinge a continue ridefinizioni degli obiettivi, tra l’altro sempre più complessi e innovativi, mutamenti che comportano altrettante modifiche nel modo di lavorare che deve essere in sintonia con gli obiettivi che l’organizzazione si è data. Questi elementi facilitano l’insorgenza di patologie organizzative che compromettono sia la qualità dei beni e servizi offerti ai pazienti/clienti, sia la salute dei lavoratori che agiscono in un ambiente patologico. Infatti, se le organizzazioni, dati i continui mutamenti che le interessano, non sostengono i propri collaboratori, fornendo a questi adeguati strumenti per poter gestire e fronteggiare i cambiamenti, e organizzando il lavoro anche sulla base delle esigenze degli stessi, contribuiscono all’insorgenza di alcune patologie come: lo stress e il burnout. Nel lavoro sanitario, ad esempio la sofferenza, evoca nei pazienti istanze emotive primarie, richieste regressive, mentre al contempo negli operatori sanitari evoca desideri di “salvezza onnipotente”, sentimenti di ostilità, insofferenza, angosce persecutorie ed aggressività. I professionisti delle professioni di aiuto conosciute anche come “helping professions” (infermieri, medici, assistenti sociali, ostetriche, ecc.) nonostante, dispongano nella loro attività professionale di tecnologie avanzate, non possono prescindere dalla relazione tra persone, tra chi richiede e chi offre aiuto, e devono soggiacere allo squilibrio che tutto questo comporta. La caratteristica di queste professioni è una "relazione di aiuto operatore - utente" definita high-touch (alto contatto) ossia che implica numerosi contatti diretti con delle persone in difficoltà che richiedono un coinvolgimento sia emotivo che fisico, tale da comportare un rischio elevato di burnout . Queste figure sono caricate da una duplice fonte di stress: il loro stress e quello della persona aiutata. Ne consegue che, se non opportunamente trattate, queste cominciano a sviluppare un lento processo di “logoramento” o “decadenza” psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato. Letteralmente Burnout significa proprio “bruciare fuori”, dunque è qualcosa di interiore che esplode all’esterno e si manifesta. Le prime esplicitazione del burnout si erano verificate con riferimento ad alcuni puntuali contesti lavorativi delle professioni sanitarie, mentre oggi tutte le professioni di aiuto sono da considerarsi, senza eccezione alcuna, a rischio burnout. La sindrome del burn out nel personale della sanità, considerata anche la rilevanza Anno XXVII sociale del fenomeno, sta riscontrando un notevole interesse da parte della letteratura psicologica e psichiatrica. Gli effetti dello stress lavorativo sulle condizioni di salute dell’operatore sanitario ed i conseguenti rischi di burnout coinvolgono numerosi fattori che si sviluppano diversamente in ogni individuo e/o in ciascuna categoria professionale. Oggi si parla di burnout come di una vera e propria malattia in preoccupante aumento o, addirittura, come uno dei mali del secolo. Lo studio del burn out ha subito nel tempo, da parte degli studiosi del fenomeno una evoluzione non indifferente, in quanto essi hanno approfondito in relazione ai diversi aspetti nei quali esso suole presentarsi, ma soprattutto in relazione all’approccio con il settore nel quale gli studiosi stessi operavano: così il burnout è stato di volta in volta oggetto di studio da parte di medi- n.2 Luglio 2016 ci, sociologi, psicologi e degli economisti, ovviamente con impostazioni e risultati diversi. Innanzitutto occorre precisare che il burnout si distingue dallo stress, il quale eventualmente può costituirne una concausa. Selye (1937) definisce lo stress come una “reazione biologica aspecifica dell’organismo alla presenza di un agente stressante finalizzata a ristabilire la condizione preesistente”. È opportuno precisare che la risposta allo stress attraversa tre step distinti: a) Allarme questa fase comporta modificazioni di carattere biochimico ed umorale b) Adattamento nel quale l’organismo si organizza in senso difensivo c) Esaurimento in questa terza fase le difese crollano e l’organismo non riesce ad adattarsi ulteriormente Il termine burnout - che traducendo letteralmente dall’inglese significa bruciato, scoppiato trova la sua prima applicazione pratica nel giornalismo sportivo anglosassone degli anni ’30 per descrivere il brusco calo di rendimento di un atleta che, dopo un periodo di successi, non è più in grado di ripetere gli stessi lusinghieri risultati, pur essendo in perfetta forma fisica, a causa del venir meno degli stimoli motivazionali. Il burn out - con riferimento alla attività lavorativa e in dipendenza di questa - è stato definito da Freudemberger nel 1974 come una condizione di esaurimento fisico ed emotivo, riscontra tra gli operatori impegnati in professioni di aiuto, determinata 11 Anno XXVII 12 n.2 Luglio 2016 dalla tensione emotiva cronica creata dal contatto e dall’impegno continui ed intensi con le persone, i loro problemi e le loro sofferenze. Secondo Cherniss (1982) il burnout rappresenta il tipo di risposta ad una situazione avvertita come intollerabile, in quanto l’operatore percepisce una distanza incolmabile tra la quantità di richieste avanzate dagli utenti e risorse disponibili - sia individuali, sia organizzative- per fornire adeguata risposta alle richieste stesse; da questa percezione negativa deriva un senso di impotenza acquisita, dovuta alla convinzione di non poter far nulla per modificare la situazione, per eliminare l’incongruenza tra quello che il professionista ritiene che l’utente si aspetti da lui e ciò che egli è effettivamente in grado di offrirgli. Gli studi più approfonditi sul burnout in sanità sono stati condotti da Maslach nel 1982 e anni successivi, autore che ha evidenziato come, nella sindrome del burnout, non sia tanto lo stress ad assumere una valenza di barriera difensiva bensì la sua conversione in atteggiamenti di distacco e di meccanicità comportamentale dell’operatore. Il processo di burnout, non prevenuto né contenuto, può cristallizzarsi in una entità clinica e può invalidare il soggetto fisicamente e psichicamente, oltre ad incidere negativamente sui rapporti familiari, amicali e relazionali in genere. L’insorgenza della sindrome del burnout negli operatori sanitari segue generalmente 4 fasi (Bellani et al., 2002): 1. La prima fase nota come Entusiasmo Idealistico 2. La seconda fase nota come Stagnazione 3. La terza fase nota come Fase della Frustrazione 4. La quarta fase nota come Morte Professionale Tra gli aspetti epidemiologici della sindrome del burn out descritti nella letteratura, non sembra esistere un accordo unanime tra i differenti autori, sebbene si riscontra un determinato livello di coincidenza per alcune variabili, quali: età, sesso, stato civile, turnazione lavorativa, anzianità professionale, sovraccarico lavorativo. Obiettivo dello studio L’obiettivo dello studio è stato quello di valutare l’impatto della sindrome di burnout nella professione sanitaria infermieristica, in particolare negli infermieri dei Blocchi Operatori e della Terapia Intensiva del Dipartimento di Scienze Chirurgiche dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza e quali sono gli approcci e strategie che le organizzazioni possono adottare per prevenire e/o trattare la Sindrome del Burnout cercando di delineare degli strumenti Come descritto da Maslach, il burnout vie- che potrebbero essere utili per affrontare e ne identificato attraverso tre fattori conco- gestire il fenomeno mitanti: 1. Esaurimento emotivo (EE) 2. Depersonalizzazione (DP) 3. Realizzazione Professionale (RP) Anno XXVII Materiali e Metodi Lo studio è stato condotto in due momenti successivi. Il primo momento ha previsto la ricerca di materiale bibliografico e di letteratura. Gli studi sono stati ricercati nelle banche dati utilizzando le parole chiavi (key words): burnout syndrome, helping professions, critical care unit, parole chiavi incrociate tra di loro con operatori booleani, con il limite temporale non anteriore al 1998. Dagli studi è emerso che negli infermieri risultano livello più elevati di burnout, rispetto ad altri professionisti della salute, correlati al contatto diretto prolungato, con rischio di coinvolgimento emotivo, e a bassi livelli di soddisfazione sul lavoro (Engelbrecht et al., 2008; Chopra et al., 2004). Alcuni autori rilevano caratteristiche individuali che predispongono all’insorgenza del burnout: età superiore ai 30/40, nubilato/celibato, livello culturale elevato; in generale le persone che affrontano con un atteggiamento passivo/difensivo, con ridotte capacità di controllo e che si impegnano maggiormente nel proprio lavoro, risultano maggiormente a rischio (Tomei et al., 2008). È interessante evidenziare che alcuni studi sugli effetti dei fattori di rischio sulla salute degli operatori sostengono che le differenti tipologie di trattamenti erogati e le differenti caratteristiche delle persone prese in carico, determinano specifiche condizioni di lavoro e influenzano il livello di benessere nel contesto lavorativo (Tummers et al., 2002; Verhaeghe et al., 2008). Diversi studi dimostrano un’incidenza maggiore in n.2 Luglio 2016 strutture che si occupano prevalentemente di patologie croniche, nello specifico oncologia (Barnard et al., 2006; Medland et al., 2004; Gentry & Baranowsky, 1998), psichiatria, malattie infettive (Zenobi & Stefanile, 2007).Gli studi che riguardano l’incidenza del fenomeno nelle terapie intensive sono scarsi e discordanti. In Europa si parla del coinvolgimento del 30% degli infermieri e del 40-50% dei medici (Michalsen & Hillert, 2011). Nello specifico degli infermieri che lavorano in reparti di terapia intensiva, risulta un basso esaurimento emotivo, fattore di rischio per la sindrome (Tummers et al., 2002), ma alti livelli di spersonalizzazione assistenziale (Viotti et al. 2012). In generale, il livello di insoddisfazione degli infermieri dei reparti per patologie acute risulta due volte superiore, presumibilmente per un maggior carico di lavoro, insieme a una riduzione dei tempi relazionali (Violante et al., 2009). Uno studio italiano riporta che sugli elementi del burn out, esaurimento emotivo, realizzazione personale e depersonalizzazione, non emergono differenze statistiche tra i reparti di cronicità e acuzie. Per quanto riguarda l’esaurimento emotivo, risulta nettamente superiore negli infermieri del dipartimento emergenza-urgenza; la spersonalizzazione, invece, risulta assente in tale area, ma elevata nei reparti per patologie croniche (Burla F. et al, 2013). Nonostante in letteratura esista un consenso generale nel considerare il burnout un fenomeno con un’incidenza maggiore agli esordi della carriera lavorativa (Sentinello & Negrisolo, 2009), si rileva che i soggetti 13 Anno XXVII 14 n.2 Luglio 2016 anagraficamente e professionalmente più anziani, risultano significativamente più insoddisfatti, dunque a rischio di burnout (Violante et al. 2009). Dai risultati ottenuti si evince che il burnout non è un fenomeno legato alla contingenza dell’inserimento lavorativo, ma si aggrava nel tempo, in modo graduale. Dalla bibliografia emergono riflessioni significative correlate alle specificità dei contesti di lavoro ed è per tale ragione che si è voluto indagare l’impatto della sindrome di burnout sugli infermieri delle sale operatorie e della Terapia Intensiva. Il secondo momento ha previsto la somministrazione del Maslach Burnout Inventory –MBI- (Maslach e Jackson, 1993). L’MBI è uno strumento validato, costituito da ventidue items che vanno a misurare le tre differenti dimensioni del burnout: Esaurimento Emotivo (EE), Depersonalizzazione (DP), Realizzazione Personale (RP). A ciascuna domanda l’intervistato assegna un valore secondo scala Lickert da 0 /6. All’ MBI sono state aggiunte una parte anagrafica che va ad indagare: età, sesso, titolo di studio, stato civile, turnazione lavorativa e titolo di studio e una parte che prevede due domande a risposta aperta ovvero: a. In riferimento alla sua attuale esperienza, quali aspetti giudica più positivi della sua professione? b. In riferimento alla sua attuale esperienza, quali aspetti giudica più negativi della sua professione? L’ MBI modificato è stato somministrato in forma anonima al personale infermie- ristico dei blocchi operatori e della terapia intensiva afferenti al Dipartimento di Scienze Chirurgiche, nel periodo maggio 2015 e settembre 2015, previa autorizzazione della Direzione Sanitaria, del Direttore di Dipartimento e del Responsabile del Servizio Infermieristico. Sono stati arruolati tutti l’infermieri dell’area chirurgica che nel periodo di riferimento,rispondevano ai seguenti criteri di inclusione: in servizio presso le U.O. di riferimento durante il periodo di studio e che hanno accettato volontariamente di partecipare allo studio. Sono stati esclusi dall’indagine tutti gli infermieri che non hanno acconsentito di partecipare allo studio o non presenti in servizio nelle rispettive unità operative durante il periodo di studio. I dati ottenuti sono stati tabulati ed elaborati mediante analisi statistiche e rappresentati in forma grafica. I questionari somministrati sono stati 53 (numerosità del campione). Anno XXVII n.2 Luglio 2016 Risultati e Discussione Ai fini dello studio sono stati consegnati 53 questionari, rispettivamente 15 in S.O Chirurgia Addominale, 8 in S.O Urologia, 13 S.O Ortopedia e 17 in Terapia Intensiva (Rianimazione I). In totale sono stati raccolti 43 questionari compilati, con una compliance del 72%. Su un campione di 43 infermieri, 28 erano di sesso maschile (65%), 15 (35%) di sesso femminile Fig. 1. L’anzianità di servizio lavorativa media complessiva è stata di 20 anni. La distribuzione del campione per area di appartenenza è risultata essere la seguente: il 19% appartiene all’U.O. dell’Urologia, il 23% all’U.O. dell’Ortopedia, il 26% all’U.O . della Chirurgia Addominale e il 32% Terapia Intensiva (Fig. 2). 33 infermieri (77%) è soggetto al continuo cambiamento dei turni (turnista), mentre solo 10 infermieri (23 %) risulta non essere più turnista. Il titolo di studio posseduto dal campione è stato: Diploma di Infermieri Professionale (63%), Laurea In Infermieristica (19%) di I Livello, Diploma Universitario per Infermiere (14%) , altro titolo di studio (4%). Figura 1 - Distribuzione degli infermieri in base al sesso Figura 2 - Distribuzione del campione in base all’Unità operativa di appartenenza 15 Anno XXVII 16 n.2 Luglio 2016 Dall'analisi dei dati estrapolati per ciascuna area dalla somministrazione del Maslach Burnout Inventory (MBI) è emerso che: 1. area dell' Esaurimento Emotivo (EE): il 21 % del personale infermieristico si sente sfinito emotivamente dal proprio lavoro qualche volta alla settimana; il 30 % si sente sfinito alla fine di una giornata di lavoro ogni giorno; il 23% si sente stanco quando si alza la mattina e deve affrontare un’altra giornata di lavoro; il 14 % si sente di trattare alcuni pazienti come fossero oggetti; il 14 %sente di lavorare tutto il giorno con la gente gli pesa; solo il 14 % riesce a capire facilmente come la pensano gli utenti ogni giorno; (Fig. 3) Figura 3 2. area della Depersonalizzazione (DP): i risultati mostrano come il 2 % degli infermieri affronta efficacemente i problemi degli utenti solo qualche volta all’anno; il 16 % degli infermieri si sente esaurito dal lavoro una volta a settimana; il 19 % crede di influenzare positivamente la vita di altre persone attraverso il proprio lavoro; il 12 % da quando ha cominciato a lavorare è diventato più insensibile con la gente qualche volta alla settimana; il 12 % ha paura di andare incontro a un indurimento emotivo ogni giorno; il 12 % si sente pieno di energie qualche volta all’anno;il 14 % si sente frustrato dal proprio lavoro qualche volta alla settimana;il 16 % crede di lavorare troppo duramente ogni giorno;il 5 % qualche volta alla settimana non ha interesse per ciò che succede ad alcuni utenti; (Fig. 4). Anno XXVII n.2 Luglio 2016 17 Figura 4 3. area Realizzazione Personale (RP): il 12 % degli infermieri sostiene che lavorare direttamente a contatto con la gente gli crei troppa tensione qualche volta alla settimana; il 7 % non riesce mai a rendere gli utenti rilassati e a proprio agio;il 5 % non si sente mai rallegrato dopo aver lavorato con i propri utenti;il 5 % ha realizzato molte cose di valore nel proprio lavoro qualche volta all’anno;il 16 % sente di non farcela più una volta a settimana;il 9 % affronta i problemi emotivi con calma qualche volta all’anno; il 19 % ogni giorno ha l’impressione che gli utenti diano la colpa all’operatore per i propri problemi; (Fig 5) Figura 5 L'analisi dei dati ha messo in evidenza l’elevata adesione del personale infermieristico allo studio e quindi il voler informarsi e conoscere la sindrome del burnout, L’adesione allo studio, che ha avuto una durata di 2 mesi (maggio 2015 – settembre 2015) è stata del tutto volontaria e non ha voluto privilegiare nessuna Unità Operativa particolare. La scelta della sperimentazione ha coinvolto ogni infermiere in servizio nel periodo suddetto, in Anno XXVII 18 n.2 Luglio 2016 quanto il coinvolgimento emotivo di fronte alla sofferenza riguarda tutti indistintamente. I dati percentuali riferiti alla partecipazione al questionario e la spontaneità all’adesione hanno evidenziato quanto il problema burnout sia sentito dal personale infermieristico. Si può affermare che, in ordine di gravità, la dimensione Esaurimento Emotivo ( EE), ha evidenziato le condizioni peggiori dell’esposizione alla sindrome del burnout. Questa situazione di gravità è molto evidente nel 30 % degli infermieri in quanto essi si sentono sfiniti ogni giorno dopo una giornata di lavoro. Questa situazione è rimarcata dal fatto di lavorare troppo duramente e di sentirti sempre stanchi al mattino al solo pensiero di iniziare una nuova giornata di lavoro; essi si sentono particolarmente esauriti emotivamente in quanto dopo anni di lavoro l’utente/paziente viene trattato come fosse un oggetto, trovando pesante anche il solo confronto . La dimensione “Depersonalizzazione” ( DE) ha evidenziato come il 19 % degli infermieri non è mai riuscito a influenzare positivamente la vita dell’utente/paziente attraverso il proprio lavoro in quanto non gli importa veramente di ciò che succede ad alcuni di essi; fondamentale è considerare come un elevato numero di professionisti che trattano gli utenti/pazienti con distacco rendendosi anche conto di essere diventati più insensibili alle richieste dei pazienti . Dall'analisi dei dati emerge una grossa paura per gli infermieri ovvero che questo lavoro li possa indurire emotivamente, e che ciò si possa ripercuotere anche nella vita privata. La dimensione “Realizzazione Personale” ha evidenziato gravi forme di disagio degli operatori; infatti il 19 % degli intervistati si sente colpevolizzato dagli utenti/pazienti , cioè sente che gli utenti/pazienti attribuiscono al personale sanitario la colpa dei loro problemi ; questi disagi nascono soprattutto dalla inefficienza di alcune strutture e servizi , e tale condizione genera un forte stress sia negli operatori che negli utenti/pazienti; è importante sottolineare come molti infermieri non si sono mai sentiti rallegrati nello svolgere tale professione e non sono mai riusciti a far sentire gli utenti/pazienti a proprio agio e rilassati , alcuni infermieri invece sentono di non farcela più e sarebbero disposti anche a cambiare la propria vita e il proprio lavoro; inoltre molti infermieri hanno affermato che lavorare a contatto con la gente gli crea molta tensione e che ciò si riflette in un’espressione di massimo disagio. Il dato più allarmante è che solo il 5 % del personale infermieristico si sente realizzato dal proprio lavoro. La mancanza di realizzazione personale è una cosa grave, significa fare un lavoro che non si ama più. Si può ipotizzare che essa sia venuta a mancare con il passare degli anni, e che il sentimento di entusiasmo presente all’inizio della carriera si è spento con il passare del tempo e con la visione che le cose non andavano si era ipotizzato e sperato. Conclusioni Dallo studio condotto emerge che, visti gli alti rischi che il burnout comporta, è necessario ed opportuno intervenire su di esso, sia per la salute del lavoratore che per l’organizzazione. Prevenire il burnout ha quindi fondamentale importanza sia da un punto di vista economico sia da un punto di vista del costo umano (Baiocco et al.,2004). Gli interventi devono essere Anno XXVII rivolti sia al singolo che all’organizzazione in cui esso opera e alle interazioni tra queste due. Dallo studio è emerso che il burnout “colpisce” soprattutto le helping professions, in particolare gli infermieri che oltre ad essere sottoposti a pressanti richieste dagli utenti/pazienti, vanno incontro anche alle incessanti pressioni organizzative che richiedono più lavoro in minor tempo, con meno mezzi e con più persone da controllare (pazienti, studenti, subordinati ecc.), aumentando così il rischio che il sovraccarico di lavoro possa compromettere l’efficacia della stessa attività di aiuto, causando anche continue lamentale che derivano dall’utenza insoddisfatta. I professionisti di aiuto che sperimentano il burnout, sono esauriti sia fisicamente che psicologicamente a causa dell’interazione sociale con chi è aiutato ma anche da alti livelli di stress lavorativo e, come si è visto, da livelli di frustrazione personale e di competenze inadeguate alla situazione (Payne 1982), ed è tutto questo che comporta una risposta negativa sia nei confronti di se stessi che verso il proprio lavoro. Numerose sono le strategie che l'organizzazione può porre in essere per prevenire/trattare il burnout quali: il Counseling Psicologico, le strategie di Coping (Coping centrato sulla soluzione del problema , Coping centrato sulla richiesta di supporto sociale, Coping centrato sul disagio emotivo,Coping centrato sull’evitamento del problema). Inoltre è possibile contenere l’insorgere e prevenire le conseguenze del burnout con: l’informazione, che mira n.2 Luglio 2016 a far conoscere questo fenomeno e ad offrire utili consigli per prevenirlo; la formazione, attraverso esperienze di gruppo o discussione di casi con l’obiettivo di creare strumenti per far fronte al fenomeno e l'attuazione di interventi specifici, attraverso la strutturazione, in base alle esigenze organizzative, di programmi anti-stress-lavoro correlato studiati sulla mansione lavorativa. Non basta solo la formazione del singolo anche se necessaria, formazione volta a migliorare e/o modificare i comportamenti, ma ci vogliono anche i cambiamenti nell’organizzazione. Ma spesso, come già visto, le organizzazioni tendono a pensare il burnout come un problema della persona anzi che del contesto in cui lavora. È quindi importante che la direzione e i dipendenti si impegnino reciprocamente per trovare insieme delle soluzioni che migliorino il contesto di lavoro, agendo direttamente sulle discrepanze che potrebbero causare il burnout, e allo stesso tempo agendo sull’individuo per indurlo a trovare delle strategie personalizzate di gestione dei propri vissuti prevenendo l’eccessivo stress e il burnout. “ Tuttavia, il semplice disporre degli strumenti non è sufficiente. Avete anche bisogno di molta pazienza e di dedizione per mantenere in vita il processo. I progressi saranno lenti, non veloci. Tanto vorremmo essere in grado di offrire soluzioni rapide e facili ……. ma la dura verità è che non esistono risposte semplici a un problema complesso come il burn out. Esistono delle risposte……….. Le risposte riguardano l’incremento dell’impegno produttivo nel 19 Anno XXVII n.2 Luglio 2016 lavoro e la riduzione delle discrepanze tra le persone e il lavoro. Con la pazienza e la perseveranza da parte dei singoli che dell’organizzazione, si può progredire verso un posto di lavoro del futuro più sano e più umano” (Maslach e Leiter 2000). 20 Bibliografia • Ackerley G., ET AL., (1988) “Burnout among licensed psychologists”, in Professional Psychology Rese- arch and Practice. • Artioli, G., Montanari, R., Saffioti, A. (2004) “Counseling e professione in-fermieristica:teoria, tecni- ca,casi”. • Baiocco R. (2004) "Il rischio psicosociale nelle professioni di aiuto. La sin-drome del burn out negli operatori sociali, medici, infermieri, psicologi e religiosi". Erikson Editore • Borgogni, L., Armandi, F., Consiglio, Petitta, L. (2005) “Job burnout ed ef-ficacia personale:studio preli- minare”, Bollettino di Psicologia Applicata n. 245 (pp. 31-44). • Borgogni, L., Consiglio, C., (mar 2005) “Job burnout: evoluzione di un co-strutto” Giornale Italiano di Psicologia”, (vol. XXXII, n. 1.) • Brodsky, A., Edelwich, J. 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UN MITO DA SFATARE Studio Osservazionale Celestina Pazienza, Dottoressa in Infermieristica Gianluca Marcucci, Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche, Docente di Discipline Infermieristiche Università degli Studi di Foggia INTRODUZIONE Il prelievo di sangue venoso è una procedura invasiva indispensabile per la diagnostica in vitro, poiché rappresenta un passaggio irrinunciabile per ottenere la matrice biologica da analizzare. Si tratta di una tra le più antiche pratiche mediche utilizzate fin dall’antichità con tecniche differenti. Fu solo all’inizio del XX secolo, con l’introduzione di aghi e siringhe, che il prelievo di sangue si avvalse di tecniche più sicure ed affidabili. Un ulteriore innovazione si ebbe dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando la Becton Dickinson, introdusse i sistemi a vuoto cosiddetti “Vacutainer”. Il prelievo tramite venipuntura è nervi periferici oltre ad esporre l’operatore al rischio di puntura accidentale. In genere ogni professionista sanitario abilitato tende a stabilire una prassi consona e familiare, che ripete nel tempo. La buona riuscita di un prelievo ematico non dipende tuttavia soltanto dalla competenza dell'operatore, ma anche da una serie di variabili indipendenti, quali il luogo, il dispositivo, l'anatomia del paziente, la sua emotività. La raccolta del sangue avviene grazie all’incisione (venipuntura), previa disinfezione della cute, di una vena, precedentemente reperita e scelta per caratteristiche idonee, effettuata mediante apposito ago per pungere e provette per la raccolta del sangue. Le modalità di accesso ad una vena periferica vanno dalla puntura venosa estemporanea all’incannulamento. I CVP (cateteri venosi periferici) sono i dispositivi più usati per l’accesso vascolare periferico, permettendo il collegamento tra una tecnica dolorosa e invasiva che può pro- la superficie cutanea e una vena del circovocare lividi, ematomi, infezioni, reazioni lo periferico, al fine di garantire un rapido vasovagali e, seppur in rari casi, lesione dei accesso per l’infusione di liquidi, soluzioni 23 Anno XXVII 24 n.2 Luglio 2016 nutritive, farmaci, sangue e suoi derivati. Sono usati di solito per terapie infusive continue o ripetute nel corso della giornata e si classificano in relazione al tempo di permanenza: a breve termine (Abbocath e Angioset) e a medio termine (MidLine). L’ago cannula è costituito da un tubicino di materiale morbido chiamato cannula, che necessita di un introduttore rigido, l'ago o mandrino metallico, che serve a forare l'epidermide e a facilitare il posizionamento del presidio in vena. Il mandrino viene sfilato una volta completamente inserita e posizionata la cannula, di materiale biocompatibile, che può quindi essere utilizzata per il passaggio di liquidi o farmaci. L'ago cannula è completato da due fascette adesive usate per fissare il presidio alla pelle del paziente, al fine di evitare movimenti accidentali della cannula che potrebbero causare danni o provocarne lo sfilamento, e da un cappuccio a protezione dell'ago, che viene rimosso prima dell'utilizzo. Nonostante l’Assistenza Infermieristica basata su evidenze scientifiche (EBN) sia pratica sempre più diffusa e comune, sono ancora tante le pratiche che, seppur supportate da prove di efficacia e studi scien- tifici, vengono disattese e non praticate dagli operatori sanitari. Una di queste è il prelievo venoso da accesso venoso periferico (AVP) tramite catetere venoso periferico (CVP) durante l’infusione per ottenere campioni di sangue per esami di laboratorio. Questo dispositivo non è normalmente utilizzato per ricavare campioni di sangue venoso perché si ritiene che l’infusione di farmaci e fluidi alteri i risultati dei parametri ematochimici. La letteratura disponibile supportata da studi scientifici con raccolta dati evidenzia che il prelievo di sangue effettuato da accesso venoso periferico con CVP sia un’alternativa valida al prelievo eseguito da venipuntura estemporanea, e dimostra che non vi è alterazione dei parametri ematochimici. IPOTESI DI LAVORO Fattibilità ed eseguibilità del prelievo venoso per esami ematochimici da accesso venoso periferico CVP con correlata linea di infusione al fine di ridurre il numero di venipunture inappropriate e correggere la malpractice assistenziale. Anno XXVII SCOPO DEL LAVORO: Lo scopo del lavoro è stato duplice: 1) analizzare le motivazioni che spingono gli operatori sanitari a non praticare il prelievo venoso per esami ematochimici da una linea di infusione ove presente 2) proporre una check list e un protocollo operativo per la corretta esecuzione del prelievo per poter dare una risposta esaustiva alla domanda: “ E’ possibile evitare procedure dolorose per la raccolta di campioni di sangue venoso nei pazienti con CVP, nonostante l’infusione di farmaci? ” e sfatare, dunque, un falso mito. MATERIALI E METODI La metodologia di lavoro adottata per l’elaborazione del presente lavoro consta di due fasi: La prima fase del presente lavoro ha previsto la ricerca di studi scientifici che validassero l’ipotesi di lavoro. La ricerca è stata condotta su PubMed utilizzando le seguenti parole chiave (key words): Accuracy, Blood Sample, Infusing Intravenous Lines, Intravenous Infusion, Peripheral Catheters. Le parole chiave sono state incrociate tra di loro mediante gli operatori booleani AND e OR. Dalla ricerca effettuata sono emersi numerosi studi che hanno supportato l’ipotesi di lavoro. Da quanto emerso dalla overview della letteratura disponibile, è partita la seconda fase del lavoro che è consistito nell'esecuzione dello studio osservazionale. n.2 Luglio 2016 DISEGNO DELLO STUDIO E CAMPIONAMENTO Lo studio condotto per i presente lavoro è uno studio osservazionale, trasversale, con approccio di tipo descrittivo mediante la somministrazione di un questionario in forma anonima volto ad indagare se la pratica del prelievo ematico da accesso venoso periferico sia praticata o meno, e se non lo fosse quali sono le motivazioni che spingono il professionista sanitario infermiere a non praticarla e se esista o meno all’interno delle unità operative una check list per l’esecuzione del prelievo e delle procedure operative. Lo studio è stato condotto presso il Dipartimento di Scienze Chirurgiche della Fondazione IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza con idonea e formale autorizzazione . L’intervistato è stato adeguatamente informato sulla finalità dello studio ed è stato invitato a partecipare su base totalmente volontaria, nel pieno rispetto dell'anonimato, della privacy nel pieno rispetto della normativa vigente in materia di trattamento dei dati sensibili. Lo studio è stato condotto nel periodo giugno/settembre 2015, periodo nel quale è stato somministrato il questionario. Il campione preso in analisi è costituito da 70 infermieri, di sesso maschile e femminile. I criteri di inclusione al campione, prevedevano: l'essere in servizio nel Dipartimento di Scienze Chirurgiche e la volontarietà di partecipare allo studio. Sono stati esclusi dal campione tutti coloro che non hanno 25 Anno XXVII 26 n.2 Luglio 2016 dato il consenso alla partecipazione allo studio. Il questionario somministrato è un questionario strutturato, composto da due parti una parte anagrafica e una parte costituita da 9 domande con items a risposta chiusa a scelta tra alternative proposte. I limiti riscontrati per l'esecuzione dello studio sono stati: considerando l’approccio osservazionale-descrittivo monocentrico, l’uso di un campione di convenienza, che non consente di generalizzare i risultati, la mancanza di uno studio di verifica e validazione del questionario e la mancata supervisione delle procedure infermieristiche e l’affidamento esclusivo all’autovalutazione soggettiva tramite gli appositi questionari. Pertanto, le risposte sono state basate esclusivamente sulla conoscenza e può non riflettere con precisione i veri comportamenti verso le diverse pratiche di prelievo. Dunque, il livello riferito della conoscenza per quanto riguarda queste pratiche potrebbe non essere preciso e i rispettivi dati possono non avere valore assoluto. I dati ottenuti sono stati analizzati, elaborati e rappresentati in forma grafica tramite l’utilizzo del programma “Microsoft Office Excel”. I dati raccolti sono stati tabulati ed elaborati tramite formule statistiche. RISULTATI E DISCUSSIONE Ai fini dello studio sono stati distribuiti 70 questionari, di questi solo 51 questionari sono stati compilati, con una compliance = 73%. La distribuzione del campione in base al sesso è risultata essere: 28 (55%) di sesso femminile e 23 (45%) di sesso maschile, con un’età media di 45 anni. Il titolo di studio del campione è risultato essere: 41 (80%) Infermie- ri Professionali, 6 (12%) in possesso di Diploma Universitario e 4 (8%) in possesso di Laurea di I° livello. Il numero dei prelievi effettuati giornalmente nelle unità operative in cui il campione opera è di 20 (47%) (fig. 1) 1e questi vengono effettuati mediante una venipuntura estemporanea (94%) (fig.2). Fig. 1 Fig. 2 In merito alla possibilità di utilizzare un pregresso accesso venoso periferico per l’esecuzione del prelievo, il campione è sembrato essere molto combattuto, infatti solo il 10% dello stesso ha risposto in modo affermativo, il restante si è così suddiviso: 32 (63%) degli infermieri hanno risposto “no non lo userei”, 11 (22%) hanno risposto “raramente” e infine 3 (6%) hanno barrato la scelta secondo cui è una pratica altamente sconsigliata (fig. 3). Anno XXVII Il 65% del campione, inoltre, attribuisce la non esecuzione del prelievo venoso da AVP da parte degli operatori sanitari alla motivazione secondo cui i risultati potrebbero essere alterati. In particolare fa riflettere un dato ottenuto relativo al medesimo quesito, seppur rappresenti il più basso in termini di percentuale di risposte: il 4% (ovvero 2 infermieri su 51) afferma che la motivazione che spinge gli operatori a non effettuare il prelievo ematico da AVP è il fatto che questo richieda molto tempo. A tal proposito, nonostante la tecnica del prelievo da AVP richieda, in alcune occasioni, più tempo (in altre potrebbe richiederne molto più la venipuntura estemporanea qualora si incontrino ostacoli nel reperire la vena), ci si può avvalere del fatto che come professionisti sanitari e in virtù della teoria olistica e di un agire centrato sul paziente, gli infermieri dovrebbero basare il loro operato sulla “qualità” del tempo più che sulla “quantità”. Indagando poi sulla conoscenza degli in- n.2 Luglio 2016 fermieri relativa all’esistenza in letteratura scientifica di studi che dimostrano che non esistono controindicazioni all’esecuzione del prelievo da accesso venoso periferico per esami di laboratorio è risultata una scarsa conoscenza (28%) dell’argomento. Il sesto e il settimo quesito del questionario, che pongono rispettivamente a ciascun infermiere partecipante la domanda circa l’esistenza nella propria U.O di strumenti quali check list per la corretta esecuzione sia del prelievo ematico con venipuntura sia del prelievo venoso mediante AVP, sono stati posti per valutare le effettive risorse messe a disposizione dalla struttura sanitaria e quanto queste possano giovare agli infermieri delle U.O nell’attuazione di una best practice assistenziale. Il dato, seppur discordante soprattutto da infermieri appartenenti alla stessa unità operativa, è significativo: il 73% ha affermato che non esiste una check list per l’esecuzione del prelievo ematico e ancor di più, l’88%, ha dichiarato che non esiste alcuna guida per l’effettuazione di un prelievo ematico da CVP. (figg. 5 e 6) 27 Anno XXVII 28 n.2 Luglio 2016 E’ chiaro come questa mancanza possa interferire con un operato corretto soprattutto se si considera che la quasi totalità degli infermieri aderenti al questionario (94%) ritiene utile e opportuno avere a disposizione gli strumenti sopra citati per una pratica clinica assistenziale basata su prove di efficacia come è auspicabile per un professionista sanitario responsabile, competente e autonomo come l’infermiere. Il dato più “allarmante” in termini di risultati ottenuti, in quanto chiaro segno di una mentalità improntata su falsi miti, riguarda, tuttavia, un 17% che emerge dall’analisi delle risposte dell’ultimo quesito: 9 infermieri, posti dinanzi all’ipotesi in cui venissero mostrati loro dati scientifici che dimostrano l’effettiva mancanza di differenze significative nei risultati di laboratorio tra un prelievo eseguito con puntura estemporanea e campione ottenuto mediante tecnica di prelievo da CVP, hanno affermato che il comportamento che adotterebbero sarebbe il medesimo, ossia continuare ad effettuare i prelievi con una nuova venipuntura. Ciò nonostante, il 65% degli infermieri ha, al contrario, risposto scegliendo l’opzione che più concorda con un operare deontologico, professionale e responsabile proprio di un professionista, ossia quella di valutare la situazione e decidere con ratio la metodica di prelievo da utilizzare, considerando i dati scientifici a disposizione e in piena autonomia decisionale. (figg. 7 e 8) L’obiettivo primario di questo studio è quello di analizzare le motivazioni che spingono gli operatori sanitari a non praticare la tecnica di prelievo venoso da un accesso venoso periferico già in situ. Nella realtà clinica dei pazienti ricoverati nelle U.O ospedaliere è cresciuta la necessità di terapie endovenose impegnative: la chemioterapia, la nutrizione artificiale, la terapia antalgica, le trasfusioni e, di conseguenza, i frequenti prelievi. Tutto questo richiede una disponibilità di accessi venosi sempre maggiore. Analizzando i dati risultanti dalla ricerca condotta, è emerso che, nonostante il numero elevato di prelievi giornalieri effettuati nelle U.O. prese in esame, gli infermieri sono restii ad ottenere campioni ematici da AVP, privilegiando nettamente la tecnica della nuova puntura venosa. Il quesito di partenza, che ha scaturito la volontà di condurre uno studio sull’argomento, è stato: “E’ possibile evitare procedure dolorose per la raccolta di campioni di sangue venoso nei pazienti con CVP, nonostante l’infusione di farmaci?”. L’overview della letteratura ha ampiamente dimostrato, attraverso numerosi studi scientifici, l’eseguibilità del prelievo venoso da accesso venoso periferico con linea di infusione correlata, senza che vi siano alterazioni dei parametri ematochimici. Anno XXVII Tuttavia, la scarsa conoscenza da parte degli infermieri dell’esistenza di tali studi, cosi come si riscontra dai risultati ottenuti, apre lo spazio ad alcune riflessioni. Sulla base delle premesse fatte, l’articolo 11 Capo III del Codice Deontologico recita: “l’infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate e aggiorna saperi e competenze attraverso la formazione permanente, la riflessione critica sull’esperienza e la ricerca. Progetta, svolge e partecipa ad attività di formazione. Promuove, attiva e partecipa alla ricerca e cura la diffusione dei risultati”. Ancora più, l’articolo 12 Capo III pone un accento significativo sul valore della ricerca, così recitando: “l’infermiere riconosce il valore della ricerca, della sperimentazione clinica e assistenziale per l’evoluzione delle conoscenze e per i benefici sull’assistito”. La variabilità della pratica assistenziale e la disomogeneità delle risposte derivano da: diversità nella formazione, tradizioni e abitudini delle realtà operative e scarsa diffusione di una cultura professionale basata su evidenze scientifiche e su teorie. L’infermiere il più delle volte agisce per “imitazione” o “abitudine”, trovandosi spesso in contesti lavorativi in cui vi è la presenza di infermieri con molti anni di esperienza abituati a svolgere determinati compiti. Tuttavia l’infermiere, per la figura professionale che riveste, dovrebbe basare il proprio agire sulla base di evidenze scientifiche, ossia risultati validi, generalizzabili, clinicamente rilevanti che emergono da studi clinici condotti da colleghi degnamente appartenenti alla comunità scientifica mondiale. La vera novità consiste nell’utilizzo esplicito e sistematico della letteratura per prendere decisioni cliniche. n.2 Luglio 2016 Questa è la componente concettuale della EBN che “impone” di avvertire il bisogno di formazione/informazione perché i gap di conoscenza generati dall’incontro con il paziente devono essere immediatamente colmati e soddisfatti. Saper riconoscere gli atti assistenziali di cui non è stata verificata in modo appropriato l’efficacia, il profilo di sicurezza, il rapporto benefici/rischi sottrae al paziente interventi inefficaci e la formazione, la ricerca produce nuove conoscenze che permettono anche un collegamento diretto tra teoria e pratica assistenziale. A supporto delle attività assistenziali è necessario avere a disposizione di strumenti che garantiscano la best practice assistenziale. In quest’ottica è fondamentale l’uso di strumenti come le checklist che permettano ai professionisti sanitari, soprattutto nell’espletare compiti talvolta routinari, di agire correttamente in termini di tecnica per ottenere la massima qualità delle prestazioni e offrire al paziente un’assistenza ottimale dedicando all’attività professionale il giusto tempo. A tal proposito si può dar voce ad uno dei più celebri fisici della storia, nonché filosofo, studioso e pensatore per il suo complesso apporto alla cultura in generale, il quale sul tempo affermava che “Il tempo è relativo, il suo unico valore è dato da ciò che noi facciamo mentre sta passando.” (Albert Einstein). 29 Anno XXVII 30 n.2 Luglio 2016 BIBLIOGRAFIA • • “No influence of a butterfly de-vice on routine coagu- Centers for Disease Control and Prevention Lippi, G., Salvagno, GL., Guidi, GC. (2005) (CDC). (Agosto, 2002). “Guidelines for the Preven- lation assays and D-dimer measurement”, J Thromb tion of Intravascular Catheter-Related Infections”, Haemost, (3 pp. 389-91). Atlanta. (To-tale pagine 40). • • al. (2006) “Influence of the needle bore size used for Centers for Disease Control and Prevention Lippi, G., Salvagno, GL., Montagnana, M. et (CDC). 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Sorbona, Milano (4 pp. 249-58). • • “WHO guidelines on drawing blood: best practices Lippi, G., Salvagno, GL., Brocco, G. et al. Spandrio, L., Covelli, I., Zatti, M. et al. (1993) World Health Organization (WHO). (2010) (2005) “Preanalytical variability in laboratory testing: in phlebotomy”, World Health Organization (WHO), influence of the blood drawing technique”, Clin. Geneva, Swit-zerland Chem. Lab. Med., (43 pp. 319-25). Anno XXVII n.2 Luglio 2016 31 Anno XXVII n.2 Luglio 2016 PROGRAMMA PRELIMINARE LA PROFESSIONE INFERMIERISTICA ALLO SPECCHIO: TRA NUOVE ASPETTATIVE E VECCHIE INCOGNITE Sala congressi - Resort “La Gattarella” Vieste 11-13 settembre 2016 32 LA PROFESSIONE INFERMIERISTICA ALLO SPECCHIO UNA IDENTITA’ DA DIFENDERE 1^ giornata 11 SETTEMBRE 2016 Evoluzione della disciplina infermieristica domande Dott.ssa Beatrice MAZZOLENI Identità del professionista infermiere Dott. Edoardo MANZONI Evoluzione dei modelli organizzativi e assistenziali Dott.ssa Rita MARICCHIO Il punto su etica e deontologia infermieristica Dott. Pio LATTARULO Comunicazione e social media Dott. Angelo DEL VECCHIO DISCUSSIONE CONCLUSIONI: Barbara Mangiacavalli Presidente FNCIPASVI LA PROFESSIONE INFERMIERISTICA ALLO SPECCHIO LE ORGANIZZAZIONI AVANZATE NELLA PROFESSIONE INFERMIERISTICA 2^ giornata 12 SETTEMBRE 2016 Le competenze avanzate e specialistiche degli infermieri nell’attuale scenario socio politico Sen. Dott.ssa Annalisa SILVESTRO La contendibilità infermieristica Dott. Flavio PAOLETTI Nuovi modelli organizzativi di gestione infermieristica per il territorio: l’ospedale di comunità a gestione infermieristica Dott. ssa Barbara PORCELLI Anno XXVII n.2 Luglio 2016 Post acute care, tra realtà futuro Dott.ssa Vianella AGOSTINELLI Nuovi modelli organizzativi di gestione infermieristica in ospedale: complessità di cura assistenziale Da definire Il Nursing PICC Team – una esperienza Foggia – Taranto DISCUSSIONE CONCLUSIONI: Sen. Dott.ssa Annalisa SILVESTRO 33 LA PROFESSIONE INFERMIERISTICA ALLO SPECCHIO FORMAZIONE,AUTONOMIA,RESPONSABILITÀERICERCA,TRANUOVEASPETTATIVEEVECCHIEINCOGNITE 3^ giornata 13 SETTEMBRE 2016 Nuove sfide e nuove frontiere per l’infermieristica del futuro: il contributo della ricerca disciplinare. Prof. Gennaro ROCCO La responsabilità infermieristica Prof. Emanuela TURILLAZZI Core competence all’esame di abilitazione infermieristica – una sperimentazione Dott.ssa Anna MARCHETTI Autonomia e responsabilità: il lavoro d’équipe Dott.ssa Barbara CHIAPUSSO DISCUSSIONE CONCLUSIONI: Vice Presidente FNC IPASVI Dott.ssa Maria Adele SCHIRRU Anno XXVII n.2 Luglio 2016 III CONGRESSO NAZIONALE SOCIETA' SCIENTIFICA COMLAS “Professione infermieristica e le nuove frontiere della responsabilità professionale” FOGGIA, 30 settembre 2016 Università di Foggia, Dipartimento di Studi Umanistici, Facoltà di Lettere - Via Arpi, 176 - 71121 Foggia (FG) Ore 13.30 – 18.45 34 CREDITI ECM 4 Partecipanti 100 Le iscrizioni sono RISERVATE E GRATUITE per i soli infermieri iscritti al collegio IPASVI di FOGGIA. Per iscriversi accedere alla propria area riservata al collegio IPASVI di FOGGIA