L`ADOLESCENTE E L`ASSERTIVITA` IN PROGRESS BLOW UP SU
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L`ADOLESCENTE E L`ASSERTIVITA` IN PROGRESS BLOW UP SU
L’ADOLESCENTE E L’ASSERTIVITA’ IN PROGRESS BLOW UP SU ALCUNI TRATTI EMOZIONALI CHE OSTACOLANO/FAVORISCONO LA RICERCA DELL’IDENTITA’. Questo il tema del progetto/canovaccio realizzato nell’a.s. 2004/2005 con due terze classi del Liceo De Giorgi di cui ha coinvolto alunni, genitori e docenti, con il proposito di rendere gli stessi fruitori protagonisti dell’esperienza. Considerato che nel “sistema adolescente” convergono molteplici imprescindibili dimensioni e componenti, funzionali al reperimento della propria identità, si è voluto sperimentare ai fini formativi una possibile ipotesi di “accesso trasversale” alla persona, in un ambito i cui spazi-luoghi risultano a volte difficilmente praticabili, ma da considerare una irrinunciabile risorsa per prevenire il disagio e promuovere il benessere: l’acquisizione della competenza emozionale. Quale luogo di istruzione e di trasmissione di “sapere” la scuola non intende più trascurare lo sviluppo – nell’allievo - di questo particolare tipo di competenza che favorisce la realizzazione di sé, riconoscendo in essa la struttura portante della formazione globale del ragazzo. Il Liceo De Giorgi - nelle persone del Preside prof. Oronzo De Filippi e dei proff.ri M.Antonietta Greco e Franco Martina - ha voluto inserire il progetto finalizzato all’acquisizione del “sapere emozionale”- imprescindibile base della regolazione dell’affettività - tra la pluralità dei percorsi formativi offerti agli alunni, coinvolgendo anche le loro famiglie e gli stessi docenti. Nel riconoscere il “sapere emozionale” come necessario fondamento della conoscenza di sé e dell’altro,nel considerare la scuola giusto spazio-luogo di tale apprendimento, ed inoltre nel coinvolgere nello stesso processo di “alfabetizzazione” le componenti dei diversi contesti esistenziali dell’adolescente, viene resa prova del rilievo dato dal Liceo De Giorgi all’idea di PERSONA come sistema integrato, alla cui formazione ed al cui equilibrio dinamico concorrono le competenze cognitive ed emozionali interagenti tra loro, nonché l’integrazione tra i contesti educativi di riferimento. L’identità, dunque, è ri/conoscersi ed essere riconosciuti,in un processo di continua progettualità trasformativa di sé, tanto più efficace quanto più consente la stabilità e la inalterabilità del senso di “appartenenza e unicità, somiglianza e differenza, permanenza e cambiamento”,come sottolinea Serino, che dice ancora “permanenza del sé non significa che ci si senta sempre uguali,ma che si sente di essere sempre la stessa persona,nonostante tutto,al di là di ogni possibile mutamento”. C.Serino “Percorsi del sé. Nuovi scenari per la psicologia sociale dell’identità.” (Carocci 2001) pag.17 Proprio per questi elementi ossimòrici, - che vedono accostati concetti e comportamenti contrastanti tra loro e potenzialmente confusivi -, che non riguardano solo il ragazzo ma tutta la complessa rete di contesti relazionali in cui egli si trova inserito, è sembrato opportuno prospettare, sia ai ragazzi che agli adulti, un ventaglio di idee su cui confrontarsi, proponendo l’opportunità di mettersi in gioco, manifestando ciascuno il proprio punto di vista, esponendosi al “rischio” del giudizio e dell’impatto con le emozioni che ne derivano. Svelare all’altro il proprio modo di “PENSARE” e di “SENTIRE” significa osare, avere il coraggio di uscire fuori da omologazioni rassicuranti in un’ottica di ricerca di critica costruttiva. Infatti dice Jervis : “… costruire in modo libero l’identità propria è un progetto critico, aperto al rischio…;nel nostro mondo che ovunque è in trasformazione, le prospettive di autodeterminazione, ovvero di costruzione di sé,di sviluppo personale secondo le proprie inclinazioni …sono migliori che nel chiuso delle società tradizionali ”. G.Jervis “La conquista dell’identità.”(Feltrinelli 1999)pag.56 Sembra opportuno a questo punto soffermarsi sulla idea di “rischio”, ed alle sue differenti percezioni. “E’ diversissima la percezione che del rischio hanno i padri e i figli e, più specificatamente, la percezione che i padri hanno dei rischi che i figli corrono rispetto alla percezione che ne hanno i figli mentre li corrono.” V.Andreoli, Lettera a un adolescente,(Rizzoli,2004) pag.36. Ci sono affermazioni usate quotidianamente che implicano ricadute vantaggiose e quindi incoraggiano il rischio, quali ad esempio “ essere aperti al rischio”, “opportunità di esporsi al rischio” , ed altre che invece ne connotano la pericolosità inconfutabile” conoscere i fattori di rischio per contrastarli” o anche “il rischio caratteristico di molte <vite spericolate>”… La definizione del termine fa inequivocabilmente riferimento alla eventualità di subire un danno, connessa a circostanze più o meno prevedibili ed evoca crisi più o meno in atto, discontinuità, incertezze, potenziali pericoli, nuove minacce che si è impreparati ad affrontare, ma sottintende – laddove vi siano le condizioni di prevedibilità – la valutazione del pericolo che “si corre”. Eccellente lo stile di vita, pertanto, che prende in seria considerazione – nell’ambito della salute fisica e psichica- gli indicatori di rischio di malattie, di disagio, di malessere in un’ottica di opportuna prevenzione. A volte,però, la percezione del pericolo, della minaccia cui sottrarsi assume la connotazione della perdita delle proprie fragili certezze su cui ci si poggia quale indice/pilastro del nostro precario equilibrio interno,e che sono a tal punto vulnerabili e tanto poco resistenti da non riuscire a tollerare il rischio di essere ridotte in frantumi. “Molte persone proclamano la propria indipendenza senza che questa coincida con uno stato di acquisita libertà interiore, tale da affrancarle dal bisogno assillante di rispecchiarsi negli altri, cercando nei loro occhi apprezzamento e consenso….Diventare autonomi prevede uno spostamento del fuoco dell’attenzione sulla propria vita interiore, fatta di desideri, motivazioni e progetti, penetrando nel segreto della propria intimità….per scoprire le proprie risorse e i propri limiti.” I. Castoldi “Narcisi. Uomini in crisi di identità”(Feltrinelli2003) pag.59 In questa accezione va intesa la così tanto diffusa – e non solo tra gli adolescenti - “paura del giudizio”, ed il conseguente evitamento dell’“esporsi al rischio”del giudizio. Sono tanti i segni distintivi cui si affida la propria individualità, una specie di “marchio” personale, la propria “griffe”,ossia la propria “firma”, il segno di riconoscimento di sé: tatuaggi, piercing, abbigliamento; con questi segni sì che ci si espone allo sguardo altrui,dopo essere passati attentamente al vaglio del proprio, per essere sicuri di “rientrare” scrupolosamente nelle regole del codice prescelto. Ma non si tollera – però - di essere guardati “dentro”, perché fa troppa paura il rimbombo delle proprie fragilità, delle proprie emozioni ritenute “negative”, non accettabili, non comunicabili,tanto da nasconderle anche a sé stessi: spesso non si mostrano per paura di vederle.<<Ma…proprio quando stai per dimenticarti che si tratta di un progetto,che la persona con cui parli non è una psicologa,ma una persona semplicemente interessata a te…ti senti oggetto di studio >>. Così si è espressa una ragazza durante uno dei primi incontri, mostrando il timore sentito nell’essere osservata, ed ha favorito – con la sua -ulteriori riflessioni riguardo l’opportunità di implementare proprio lo “studio” di un sé più intimo, il proprio mondo interno,per mettere in discussione idee acquisite e date per scontate, per utilizzare la propria esperienza e la propria capacità riflessiva per confrontarsi e sviluppare elaborazioni creative di sé. Praticamente, senza accorgersene, evitando di correre rischi in tal senso e assumendo posizioni precauzionali nella dimensione conoscitiva di sé, si va a strutturare una sorta di inconsapevole “ ambiguità nel valutarsi”; un equivoco,quindi, un paradosso che rema contro la realistica costruzione di sé, in quanto ruota incessantemente intorno alla ricerca di trovare negli occhi di qualcuno - ritenuto significativo – ripetute e precarie conferme del proprio valore e della propria esistenza. Difetto di valutazione, dunque, perché non si va “oltre” una percezione di sé insufficiente ad attivare un buon livello di autostima: la capacità di valutare sé stessi risulta – in tal modo - ridotta e parcellizzata dalla rassicurante messa in atto di “precauzioni”caratterizzate da adesione ad un pensiero omologato che fa sentire al riparo da temute ed intollerabili disapprovazioni. In siffatte condizioni vi è maggiore tendenza a sviluppare quelli che Galimberti chiama “i nuovi vizi”. “Inquadrarli come vizi fa sì che se ne possa parlare, onde esserne almeno consapevoli e non scambiare per valori della modernità quelli che sono invece i suoi disastrosi inconvenienti “. E ancora, a proposito della ricorrenza delle terribili storie di infanticidi, di violenze ed efferatezze:“Disponiamo ancora di una psiche capace di elaborare i conflitti? Esiste nella nostra cultura un’educazione psicologica che ci consenta di metterci in contatto e quindi di conoscere i nostri sentimenti, le nostre pulsioni, la qualità della nostra sessualità e i moti della nostra aggressività?oppure il nostro mondo emotivo vive dentro di noi a nostra insaputa come un ospite sconosciuto a cui non sappiamo dare neppure un nome?....è difficile pensare di governare la propria vita senza un’adeguata conoscenza di sé….un’educazione psicologica, che è poi l’educazione dei sentimenti, delle emozioni, degli entusiasmi, delle paure”.U.Galimberti “I vizi capitali e i nuovi vizi” (Feltrinelli2003) pag.101 Acquisire la competenza emozionale, dunque, significa potersi predisporre ad affrontare le situazioni difficili ed impegnative, ossia ad avere la capacità di rimanere stabilmente forti di fronte alle prove scomode e faticose della vita, aumentando la resistenza e la “resilienza” a contrastarle: ad esempio essere in grado di reggere il rischio del fallimento, l’ansia e la paura insite nella incessante ricerca di equilibri sempre nuovi,di nuovi assetti. I due termini “resistenza” e “ resilienza” sono pressoché simili, ma la Oliverio Ferraris specifica che definire la resilienza – il cui significato originario si riferisce alla proprietà che hanno i metalli di tornare alla loro forma iniziale“come semplice resistenza sarebbe riduttivo, perché alla resistenza, passiva, la resilienza aggiunge una dimensione dinamica oltre che positiva:la capacità di fronteggiare e di ricostruire. Il termine resilienza viene normalmente usato sia nella lingua francese(résilience) che in quella inglese(resilience) per indicare un tratto di personalità composito, in cui convergono fattori di varia natura - cognitivi, emotivi, familiari, sociali, educativi,esperienziali,maturativi - che con la loro azione congiunta mobilitano le risorse dei singoli, dei gruppi e delle comunità.” “La forza d’animo”(Bur 2004)pag.7 L’autrice paragona l’azione della resilienza all’azione con cui, nel nostro organismo, il sistema immunitario reagisce alle aggressioni batteriche: allo stesso modo la resilienza attiva le risorse interne contro gli stress, ossia muove quei meccanismi – flessibili e creativi - in grado di produrre risposte adattive . In pratica questo vuol dire proporsi di sviluppare la capacità di rimanere stabili “nonostante”, ossia di riuscire a sostenere il dolore derivante dalla separazione, dall’insuccesso, rimanendo integri, saldi e capaci di elaborare la sofferenza; significa inoltre reggere l’asimmetria, il disequilibrio in una prospettiva di energica e costruttiva sfida con sé stessi, alla ricerca creativa delle proprie risorse interne che conducano a nuove soluzioni, di risposte efficaci di fronte ai problemi. Significa, dunque, concedersi di poter sbagliare e porsi comunque nella condizione di poterne comprendere le cause. Questo implica l’essere in grado di fare delle scelte calibrandole realisticamente non solo sulle proprie inclinazioni e desideri,ma anche sulle proprie capacità ed i propri limiti. Implica inoltre la capacità di progettarne la realizzazione attraverso continue correzioni e aggiustamenti delle proprie capacità di valutare, di giudicare,di riflettere, di prendere in esame, di individuare dei limiti, di rinunciare… Essere capaci anche di convivere con il dubbio e l’incertezza. Questo il senso dell’implicito “elogio del rischio” cui si riferisce G.Jervis quando parla della costruzione dell’identità. Molto diverso – dunque - dal significato che assume in chi, invece, ostenta la capacità di osare rischi e pericoli estremi - riguardo la vita, la salute , la legalità - per compensare la propria fragilità psichica, andando a sviluppare un irreale senso di onnipotenza, facendo ruotare la propria vita intorno a disvalori condivisi dal sottogruppo da cui si dipende e che si riconosce come l’unica fonte di forza e di sicurezza, e che implicano scelte di potere, di sopraffazione nei confronti degli altri, senza alcun rispetto ed osservazione delle norme e dei limiti da cui la società è regolata. Gli individui oggi vivono abbagliati dal successo e da un esasperato bisogno di consensi e conferme della positività della propria identità, che proprio per questo viene frequentemente ridotta di spessore fino ad essere assottigliata a livello di leggero strato di rivestimento superficiale, ossia <<ciò che gli altri vedono>>: un’immagine di sé che va sviluppandosi prevalentemente in funzione di ciò che si vorrebbe che gli altri vedessero. Un’immagine che DEVE – per “esserci”- corrispondere ai codici cui ciascuno sceglie di riferirsi, siano essi di “perfezione” o di trasgressione. Un’immagine – in simili casi - cui ci si sottomette e dalla quale si viene dominati, ancorandosi ad un’ illusoria quanto inconsistente sicurezza e consapevolezza di sé. Un’immagine che sacrifica ed anestetizza, senza saperlo, il proprio “sentire” all’interno di sé nella frenetica ricerca dell’approvazione raggiungibile o attraverso l’ omologazione agli effimeri paradigmi di moda o la conquista di obiettivi tanto ambiziosi ed estremi quanto riduttivi e parcellizzanti. I “rischi” in cui si incorre più frequentemente derivano dalla rigida centratura su aspettative scarsamente regolate sul “vero sé”. Proprio perché viviamo in un’epoca : “troppo concentrata sul presente, sull’ottenimento di gratificazioni immediate, sul mito del facile successo, un’epoca che presta in genere scarsa attenzione – o non lascia sufficiente spazio – alla costruzione di prospettive temporali più vaste, di percorsi progettuali di ampio respiro” ….“quanti – insegnanti, genitori, operatori sociali – si misurano oggi con le sempre più complesse problematiche legate al disagio adolescenziale dovrebbero riflettere in particolare sull’importanza della prospettiva temporale nello sviluppo di identità originali e solide”. (Serino, op.cit.)pag.26 “La conquista dell’identità: essere sé stessi, essere diversi” è il titolo che Giovanni Jervis ha scelto per il suo rilevante lavoro sul tema dell’identità, che definisce come un “punto su una mappa,…ottenuto attraverso un incrocio di coordinate”. In questa prospettiva, l’identità appare come un “sistema probabilistico” estremamente complesso, risultante dal graduale e continuo processo di integrazione degli aspetti affettivi, relazionali, cognitivi, biologici, socioambientali, motivazionali e valoriali dell’individuo in grado di porsi al centro della propria tridimensionalità temporale e di scegliere se assimilare ed integrare o respingere le informazioni provenienti dall’esterno, a seconda della propria strutturazione valoriale.Fattori affettivi Fattori relazio nali Fattori motiva zionali Fattori valoriali Fattori Socio ambienta l Fattori biologici Fattori cognitivi Si apre così l’importante problema delle scelte e quindi dell’opportunità di affrontarne i rischi, muniti di coraggio e capaci di valutarne le conseguenze, di osservare, riflettere, fare i conti con i propri limiti e le proprie capacità. Il che richiede impegno, interesse, l’acquisizione di una dimensione temporale della propria storia, assunzione di responsabilità, tempo, confronto generazionale ( verticale e orizzontale), capacità di “ascolto” di sé e dell’altro, di empatia – ossia essere capaci di ri/conoscere l’altro, essere partecipi del suo mondo interno -, di flessibilità degli schemi conoscitivi, che consentano cioè di potersi accostare agli schemi dell’altro, per individuarne i codici e poterli confrontare con i propri. “Nell’ideologia dominante si è insinuata una coscienza ferita, che vive sotto il segno dell’emergenza. Si cerca sempre di rimediare alle emergenze senza avere il tempo di programmare e di pensare. Concedersi il tempo di pensare appare al giorno d’oggi un lusso…se vogliamo cavarcela, dobbiamo continuamente far fronte all’emergenza” Benasayag-Schmit “L’epoca delle passioni tristi” (Feltrinelli2004) pag.47. Questo il “senso” del progetto: fermarsi a pensare e a riflettere su alcuni nodi emozionali che possono ostacolare o favorire un sano e completo sviluppo del ragazzo, cercando di sperimentare ottiche visuali interscambiabili, in modo che sia i ragazzi e sia i loro genitori e docenti potessero accedere ad un lessico comune, condiviso o almeno condivisibile. Che significa assertività in progress? Rimanda al concetto di capacità di affermare sé stessi, nel rispetto degli altri e quindi alla progressiva costruzione di sé attraverso l’integrazione multidimensionale della propria esperienza. In sintesi: • Vivere i rapporti con gli altri con aperto confronto e con l’equilibrio di chi non subisce e non aggredisce • Sostenere la propria integrità e dignità • Rispetto e accettazione di questo stesso comportamento negli altri. Pertanto possiamo schematicamente suddividere il comportamento in tre categorie: passivo,aggressivo e assertivo. I comportamenti passivi si possono così sintetizzare: • Subire gli altri • Difficoltà nel fare e/o rifiutare richieste • Difficoltà nel fare e/o accettare complimenti • Paura di sbagliare • Difficoltà nel prendere decisioni • Frequenti sensi di colpa Invece i comportamenti aggressivi: • Pretendere che gli altri si comportino come piace a noi • Opinioni rigide su qualcuno o su qualcosa • Decidere senza ascoltare o consultare l’altro • Stentare ad ammettere un proprio errore • Difficoltà a chiedere “scusa” • Ipercriticismo • Considerarsi i “migliori” Infine i comportamenti assertivi possono riassumersi in: • Esprimere apertamente le proprie opinioni • Accettare il punto di vista altrui • Ascoltare il parere degli altri ma saper decidere in modo autonomo • Riflettere ed essere flessibile riguardo le proprie opinioni • Ricercare ed offrire collaborazione • Capacità di gestire le critiche manipolative • Ri/Conoscere le proprie emozioni e i propri sentimenti e favorirne l’espressione • Saper chiedere e saper dire di “no” • Saper fare delle scelte assumendosene la responsabilità avendone valutato i margini di rischio. Fondamento dell’assertività ed essenzialmente correlata ad essa è l’autostima,ossia la progressiva capacità dell’individuo di valutare sé stesso, in ordine ad un sistema di valori prescelto;l’autostima ha un livello pervasivo di ogni aspetto dell’esistenza individuale e regola il modo di porsi in relazione con gli altri e con l’ambiente. Un adeguato sviluppo dell’autostima, processo che va di pari passo con l’acquisizione della consapevolezza di sé e con la costruzione dell’identità, consente di accostarsi - per com/prendere - alle diverse aree di sé, quelle “negative” e “difettuali”, “limitate” oltre a quelle “positive”,”virtuose”, “piene di potenzialità”. Essere protagonisti e registi della propria storia e del proprio progetto di vita dipende proprio dalla capacità di fare i conti con i propri limiti per una più funzionale realizzazione delle proprie possibilità e potenzialità, per essere in grado di valutare i rischi connessi alle proprie scelte e saperne affrontare adeguatamente le conseguenze. L’autostima,pertanto,consente –se adeguata-, inibisce – se carente: • Lo sviluppo della capacità autoriflessiva • La consapevolezza di sé • L’ incremento della capacità di tollerare il dolore, le perdite,le frustrazioni • Il concretizzarsi di opportuni e soddisfacenti scambi relazionali • L’empatia ovvero la capacità di decentrarsi da sé ed immedesimarsi nell’altro fino a coglierne gli stati d’animo La bassa autostima determina prevalentemente : • Senso di inferiorità • Insicurezza/timidezza • Eccessiva sensibilità • Scarsa tolleranza alla frustrazione • Rabbia inespressa • Dipendenza/remissività • Paure esagerate(di sbagliare,del giudizio,di perdere gli altri) • Difficoltà a gestire le emozioni • Isolamento • Difficoltà relazionali(con i coetanei, con gli adulti, con il partner) Spesso si sviluppano dei comportamenti che tendono a mascherare una bassa autostima e che sono da “guardare” e “leggere” come fattori di rischio -e non come spesso avviene solo come difettualità da correggere punendo-: • aggressività • scatti d’ira e di rabbia • Forte competitività • Perfezionismo • Ostentazione • Prepotenza/orgoglio • Irrequietezza • Falsa sicurezza Nel processo trasformativo biologico, psicologico e sociale dell’adolescente ovviamente le certezze acquisite nelle fasi precedenti subiscono una scossa, per cui tutto è rimesso in discussione: non si hanno punti di riferimento stabili neanche dentro di sé. “Una mattina, svegliandosi da un sogno agitato, Gregorio Sansa si ritrovò trasformato, nel suo letto, in un autentico scarafaggio. Steso sul dorso,la schiena dura come una corazza, non appena sollevava un poco il capo poteva vedere la sua pancia bruna di forma globosa, suddivisa in grosse scaglie ricurve. Sopra a quella convessità la coperta si reggeva a malapena, sul punto di scivolare via; le zampe, pietosamente esili se paragonate alle dimensioni del corpo, si agitavano davanti ai suoi occhi. “Cosa mi è successo?” pensò.”Eppure non era un sogno” “. F.Kafka, La metamorfosi (Mondadori,1997) pag.1 La trasformazione adolescenziale – pur non così esasperata e funesta come quella del personaggio kafkiano – riguarda comunque una perdita, ossia la rottura dell’ assetto sia psicofisiologico che socioambientale. Da ciò l’ uso del termine “crisi” - termine odiato e respinto da molti adolescenti che non si vogliono riconoscere in esso in quanto spesso connotato negativamente – il cui etimo designa il passaggio, più o meno repentino, da una fase ad un’altra. Il termine è sicuramente denso ed evocativo di altri significati quali “disorganicità” “confusione” “incoerenza”e intacca aspetti affettivi,valoriali e relazionali soprattutto quando ci si riferisce all’avvio dell’impegnativo passaggio dalla dipendenza familiare all’autonomia. “Due generazioni non possono condividere gli identici schemi esistenziali o i gusti imposti dalle mode dei tempi, ma il dissenso non può in alcun modo alterare il legame d’amore, che tra un padre e un figlio non può venir meno” V.Andreoli , op.cit. pag.15 Spesso purtroppo accade che questo passaggio – impegnativo e difficoltoso sia per il sistema genitori e/o docenti, sia per il sistema figli/alunni – provochi profonde incomprensioni, che sfociano poi in mancanza di dialogo, freddezza, incomunicabilità, distacchi facilmente interpretabili da entrambe le parti come “alterazione del legame d’amore”,mancanza di cura, di attenzione, di stima… Da qui deriva quello che a volte diviene un drammatico rinforzo dei contrasti e delle contraddizioni tra il mondo interno ed il mondo esterno tra “come sono” e “come vorrei essere” “ come gli altri mi vedono e come vorrebbero che io fossi” in un vortice ingarbugliante di valori, di convinzioni e di ideali da cui è poi molto difficile districarsi. In questo senso la famiglia e la scuola - riconosciute generalmente come le due fondamentali “agenzie” educativo/formative, i due poli protettivi ossia fonte di sostegno e di incremento della resilienza del ragazzo di fronte alle difficoltà - possono a volte divenire causa di rischio, ovvero di potenziamento del disagio e della vulnerabilità, insieme ad altri agenti. Sono indicatori di disagio e richiedono attenzione e considerazione quei comportamenti caratterizzati da: scarsa capacità di controllo intensa irritabilità esplosioni d’ira scarse competenze cognitive e sociali perdita di interessi ritiro sociale perfezionismo forte competitività difficoltà ad accettare le regole persistente stato di noia difficoltà di concentrazione disturbi del ritmo sonno-veglia accentuate lamentele per dolori fisici I fattori di rischio ed i fattori protettivi sono poli opposti di un inevitabile processo, oscillante tra vulnerabilità e resistenza/resilienza. Sono • • • • • • fattori di rischio ( individuali e/o ambientali): Stress traumi eventi vitali critici (separazioni,lutti,climi conflittuali irrisolvibili) forte competitività ambientale basso livello di autostima ipercriticismo, ossia continue valutazioni disapprovanti e rimproveri espliciti ed impliciti • rigidità ed inflessibilità dello stile educativo e comunicativo • intolleranza dell’errore I fattori protettivi – da non confondere con l’iperprotezione – ossia quei comportamenti e situazioni capaci di fornire supporto e sostegno, in quanto tendono a ridurre l’impatto dei fattori di rischio ed incrementano e potenziano gli aspetti di resilienza,sono: • empatia, ovvero la capacità di “entrare nel ruolo” dell’altro per coglierne il significato emozionale e consentire la comprensione dei suoi stati d’animo, dei desideri e dei timori • ruolo di contenimento/cornice/comprensione svolto dalla famiglia nell’accogliere, sostenere e supportare le problematiche dei componenti, nel rispetto dei ruoli • modelli genitoriali capaci di porsi in modo adattivo e funzionale al processo di crescita e di differenziazione del figlio, con l’assunzione di • • • schemi interpersonali flessibili, aperti e disponibili alla negoziazione ed alla risoluzione dei conflitti adeguamento delle aspettative, calibrate sulle capacità dell’altro – e non derivanti dalla proiezione delle proprie aspirazioni sull’altro - in modo da poter favorire interessi basati su inclinazioni personali ed implementare l’esame di realtà e la capacità di fare delle scelte clima di collaborazione/riduzione della competitività clima di solidarietà e fiducia, in grado di promuovere e facilitare l’espressione delle emozioni apologia dell’errore: essere disponibili a legittimare l’errore come prevedibile, considerandolo un’opportunità di crescita,se adeguatamente ri/conosciuto, ed essere capaci di valutare l’altro come persona, anche se sbaglia. Questi dunque i contenuti degli incontri, in ottemperanza agli obiettivi specifici individuati nel progetto: rendere più funzionale la capacità di auto/riflessione e di autocritica, la rappresentazione mentale delle emozioni,il rinforzo dell’autostima, dell’assertività- ossia la capacità di autoaffermazione di sé nel rispetto dell’altro-. Non meno importante l’obiettivo di favorire l’estensione dei “saperi” al “saper essere”, inteso come competenza emotiva sia personale che sociale, Il punto di partenza? Una “palestra cognitiva” in cui imparare l’A,B,C delle emozioni, la loro grammatica e la loro sintassi per poterle conoscere e attraverso esse ri/conoscersi! Ai ragazzi sono stati somministrati dei test pre/post l’intervento, per misurare la capacità di identificazione e di comunicazione delle emozioni, del livello di autostima ed accettazione di sé e degli stili di relazione. I test -della cui somministrazione, analisi ed elaborazioni dei dati si sono occupate le psicologhe dott.sse Emanuela Manieri, Marta Colella e Francesca Lerro che hanno collaborato alla realizzazione del progetto- hanno evidenziato un aumento circa dell’ 11% della capacità di riconoscere e di comunicare le proprie emozioni ed una diminuzione del bisogno di approvazione del 9,6% ed un consistente innalzamento del livello di autostima. Questi dati indicano la disponibilità alla riflessione ed al conseguimento di una maggiore capacità di autocritica, fattore che consente il raggiungimento dell’autonomia. Ai genitori ed ai docenti sono state fornite- appunto - informazioni riguardo il lessico del disagio, ovvero “chiavi” di accesso alla comprensione dei “fattori di rischio”, predisponenti il disagio ed il disturbo psichico giovanile, in un’ ottica di ampliamento delle competenze educativo-formative. Si è riflettuto sull’importanza di rinforzare il proprio ruolo – genitoriale ed educativo- corredandolo ed arricchendolo di “sapere emozionale”:integrare l’autorevole fermezza educativa, di cui i giovani hanno bisogno, con l’ascolto e l’empatia può agevolare il dialogo, promuovere la capacità di risoluzione dei conflitti e rinforzare le valenze protettive insite nel rapporto. Porre attenzione e riflettere su queste dinamiche e reciproche influenze potrebbe consentire la ricerca del bandolo dell’ intricata e poter ipotizzare così possibili vie d’uscita verso una sempre più autentica realizzazione di sé dell’adolescente, per favorirne l’autonomia nella consapevolezza che per lui perdere la dipendenza infantile significa anche perdere la sicurezza. Il progetto è stato realizzato nell’arco dell’anno scolastico 2004/2005 da gennaio a maggio; i docenti di filosofia che hanno voluto la realizzazione del progetto – i professori Greco e Martina – hanno proseguito in classe, tra un incontro e l’altro, la riflessione sui contenuti del progetto stesso. Si sono effettuati: • n.5 incontri di due ore ciascuno con genitori ed insegnanti • n.8 incontri - di almeno due ore ciascuno- con ciascun gruppo classe partecipante al progetto • le classi interessate sono state la 3^F e la 3^H. All’inizio ed alla fine del progetto i ragazzi sono stati sottoposti a test, in modo da poter valutare l’efficacia dell’intervento. Di seguito si riportano i grafici di due test/ retest i cui risultati sono significativamente espressivi della positività dell’intervento sinergicamente condotto con i docenti su citati e gli adulti – genitori e docenti - che hanno partecipato agli incontri. Toronto Alexithymia Scale (di Taylor G.J e coll.) ,Tas-20: misura l’alessitimia(dal greco: a=senza;lexis=parola;tymos=emozione), ovvero il deficit inerente la capacità di riconoscere e descrivere le emozioni. TAS-20 TEST Non alessitimici Alessitimici Border TAS-20 RE-TEST Non alessitimici Alessitimici Border (gennaio 2005) 34,31% 28,20% 37,49% (maggio2005) 43,20% 22,50% 34,30% Il Basic Self-Esteem Scale di Forsman,L. e coll.,è un questionario di autovalutazione delle proprie capacità, risorse, valori e limiti BASIC SE – TEST (gennaio 2005) NELLA NORMA 15,40% BASSA AUTOSTIMA 53,80% ALTA AUTOSTIMA 30,76% BASIC SE – RETEST (maggio 2005) NELLA NORMA 53,80% BASSA AUTOSTIMA 30,76% ALTA AUTOSTIMA 15,40% DAGLI SCRITTI DEGLI ALUNNI: • Spesso la ricerca incessante di approvazione e la nostra insicurezza ci portano ad assumere un comportamento oblativo(ossia di donazione di sé,di ab/negazione, di sacrificio di sé all’altro)….per apparire agli occhi degli altri -evidentemente più importanti dei nostri- perfetti,disponibili a mettere le nostre necessità dietro a quelle degli altri….e’ meglio stare bene con sé stessi o subire continuamente l’influenza degli altri? • La mancanza di approvazione provoca reazioni che evidenziano la nostra sensibilità e provoca scontri • La continua ricerca di approvazione è talmente forte che spesso nascondiamo la nostra vera identità,solo per paura di non essere approvati. Essere troppo dipendenti dall’approvazione degli altri oscura la nostra identità e quindi la bellezza di essere ognuno unico rispetto agli altri: voglio essere quello che sono o quello che gli altri vogliono che io sia? • Andando sempre alla ricerca di approvazione spesso viene messo in secondo piano il nostro modo di essere • Ho sempre ammirato le persone disponibili…ma ho capito che l’eccesso porta all’oblatività ,ossia all’annullamento della propria persona per timore che l’altro ci allontani • L’eccessivo bisogno di approvazione porta all’incapacità a dire di no, per non deludere le aspettative degli altri…e non consente una opportuna affermazione di sé • Spesso siamo troppo presi da noi stessi…aprirci al dialogo ed al confronto può essere fondamentale…anche se non nego di provare un certo disagio • A volte l’assenza di dialogo e confronto può portare ai contrasti con i genitori, che per il bene tendono ad impedire di fare le scelte autonomamente…per me sono importanti dialogo,confronto e la voglia di trovare un punto di incontro e superare il conflitto… • Ognuno di noi si e’ esposto parlando di sé e dei propri problemi,dando all’altro la possibilità di farsi conoscere e di confrontarsi, cercando di superare la paura di essere “giudicato”…mi e’ servito per acquisire più fiducia e stima in me stessa • Ma…proprio quando stavi per dimenticarti che si trattava di un progetto,che la persona con cui parlavi non era una psicologa,ma una persona semplicemente interessata a te…ti sentivi oggetto di studio • Ho iniziato ad interrogarmi..”e chi eccede verso il comportamento opposto?...non si tratta di <egoismo puro>?...ma IO vengo prima o dopo gli altri?” • Dalla similitudine del porcospino il bisogno dell’adolescente di avere tanto sostegno; ma questo non deve diventare un’ossessione o un soffocamento. La persona guida-amica dovrebbe porsi con questo atteggiamento:ci sono sempre,quando tu lo vuoi….perchè l’adolescente si trova in una fase intermedia:ha bisogno di aiuto e sostegno, ma nel contempo deve prendere anche decisioni autonome • La nostra è una personalità imperfetta, perché in/formazione, in/corso;il giudizio altrui può essere uno strumento per farsi un esame di coscienza, per migliorarsi, per imparare a conoscersi meglio, per capire come sembriamo agli altri e quindi anche per crescere e maturare • Una mia pecca è quella di non ascoltare molto le mie amiche;dopo un po’ non riesco più a seguirle;preferisco parlare più dei miei problemi che ascoltare quelli altrui. So che questa è una forma di egoismo. • Spesso posso apparire arrogante o aggressiva,ma questa è una mia forma di difesa:sono diffidente e questo mi porta ad avere un atteggiamento forte di fronte alle altre persone perché non voglio soffrire né essere delusa • Soffro molto del giudizio altrui:agli occhi degli altri vorrei apparire senza difetti, non voglio che si pensi male di me. mi mette a disagio l’idea di essere osservata e giudicata • La cosa più importante per un ragazzo è saper organizzare e progettare la propria vita …sono le scelte che facciamo che ci aiutano a maturare e quindi a farci un’idea di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato • Spesso attraverso il dialogo due persone riflettono su sé stesse e si mettono in discussione • Mi piacerebbe arrivare alla perfezione in tutto:amicizia, scuola,amore… ho poca autostima,quando mi trovo nelle situazioni più complicate • “ansia” ed “oppressione” rispecchiano il mio stato d’animo in questo periodo:sobbalzo per un nonnulla e mi sento oppressa dalla scuola,dalla palestra e dagli stessi discorsi fatti fra amici e parenti…non riesco a rilassarmi…. • Mi sento in competitività con gli altri soprattutto. Cerco di fare sempre il meglio, però alle volte mi blocco o perché mi sento imperfetta o a causa del giudizio degli altri • Non tollero l’indifferenza: superare i problemi facendo finta di non vederli per non complicarsi la vita è un segno di grande vigliaccheria • L’ironia rende tutto più leggero e sopportabile • Mi piace essere diverso in mezzo a tanti amici “persi” perché trascinati nel vortice della moda:tutti uguali • L’arroganza e l’aggressività sono spesso delle maschere che celano la paura ed il disagio;molti le utilizzano per impaurire gli altri e nascondersi dietro ad esse….peccato che essere buoni sia visto come debolezza…ci aiuterebbe a vivere con maggiore fiducia reciproca • Per me è molto importante l’ascolto:penso che siano poche le persone in grado di dare ascolto; è importante perché secondo me vuol dire dare conforto… credo che l’ascolto sia in stretta connessione con il dialogo • Alla lettera s manca un verbo di fondamentale importanza nella mia vita:sognare! Mi piacerebbe capire perché tutti considerano l’adolescenza un periodo difficile caratterizzato da tutte le parole negative sopraelencate. Personalmente vivo un periodo bellissimo: sogni, emozioni, sentimenti, anche la confusione è vero che a volte mi porta a star male ma crea in me soprattutto il desiderio di trovare la mia strada e di trovare me stessa • sensibilità: mi isolo in un mondo interno tutto mio con muri spessi e porte stagne, senza far entrare nessuno, ma torturandomi da sola. • Mi sta aiutando a riflettere prima di agire ma soprattutto a non pretendere che gli altri la pensino come me. Devo perciò essere io a mettermi in discussione, a capire così se devo cambiare la mia opinione o sostenerla con tutta me stessa. RELAZIONE FINALE L’adolescenza è un periodo sicuramente complicato, pieno di incertezze che spesso si cerca di colmare in modi sbagliati, quali la continua ricerca di approvazione, l’incessante bisogno di costruire con tutte le proprie forze un’identità perfetta. Cerchiamo di essere più indipendenti dai genitori, ma la dipendenza si trasferisce al gruppo, e l’ansia di questa approvazione nei loro confronti diventa sintomo di sofferenza interiore. Si inizia a non ammettere il diverso, ad essere soddisfatti di sentirsi uno come tanti, uno del “gruppo”. All’interno del gruppo familiare si avverte una guerra continua, uno scontro/incontro con i propri genitori che diventa a volte costruttivo, ma spesso anche distruttivo. Abbiamo deciso di partecipare a questi incontri perché, sin dalla presentazione del progetto, abbiamo creduto che si sarebbero rivelati interessanti ed utili per la nostra formazione e crescita. Siamo partiti dalla parola DISAGIO per farne un acrostico, annotando tutte le parole che, dalle nostre esperienze personali, ci venivano in mente in relazione a quello che era il nostro tema: assertività in progress. L’argomento del confronto è stato uno di quelli che ci ha tenuto impegnati in tutti gli incontri. Infatti, essendo la nostra identità in via di formazione, siamo un po’ restii a confrontarci con gli altri, a sostenere le nostre opinioni e ad ammettere di aver sbagliato perché una qualche nostra imperfezione ci frusta…. Come ci sentiamo frustrati dalle sconfitte scolastiche. E proprio discutendo con la psicologa ci siamo resi conto dell’eccessiva competitività presente all’interno della nostra classe che ci porta ad essere continuamente insoddisfatti delle nostre prestazioni. Abbiamo imparato che bisogna che bisogna cercare il dialogo ed essere disponibili ad accettare i punti di vista altrui e a non aver paura di essere feriti dai giudizi di chi ci ascolta. Non bisogna però approvare qualsiasi cosa passivamente, perché questo porterebbe a cadere nell’oblatività cioè ad annullare la nostra personalità. Attraverso il “dilemma del porcospino” abbiamo capito che, quando in noi c’è una situazione di intolleranza verso qualcun altro, cerchiamo di difendere noi stessi e la nostra intimità da chi, in qualche modo la minaccia; proprio come si comporta un porcospino che, in un momento di pericolo, drizza i suoi aculei per difendersi. Un altro aspetto molto interessante di questo progetto è stata la partecipazione dei nostri genitori, perché si sono ricordati di quando avevano la nostra età, i nostri stessi problemi e adesso, almeno, possono cercare di capirci. Sarebbe bello a questo punto, consigliare ai nostri genitori di “lasciarci fare finché la giovinezza ce lo permette”(Terenzio): Abbiamo riflettuto moltissimo, ci siamo guardati intorno, ma anche e soprattutto, “ dentro”. La maggior parte di noi credeva che non sarebbe a portarsi dietro nulla di concreto, non avrebbe mai immaginato che si sarebbe ritrovata ad affrontare i propri dubbi e perplessità utilizzando i consigli venuti fuori da tutti gli incontri. Ora quando commettiamo degli sbagli, ci riflettiamo su cercando di capire dove e come correggere l’errore, cerchiamo di essere più tolleranti anche nei confronti degli errori altrui e, prendendo in prestito uno degli strumenti lasciati dal nostro amico Aristotele, abbiamo capito che l’errore è umano e che noi, in quanto esseri umani, possiamo sbagliare e non sempre esigere da noi stessi la perfezione. Rispondendo per l’ultima volta alla domanda ormai solita della dottoressa” cosa vi portate a casa oggi?” esprimiamo il nostro proposito di utilizzare tutti quei consigli apparentemente banali, ma in realtà molto utili, per smussare quei lati spigolosi del nostro carattere. Ed è proprio questo che vorremmo che questa possibilità fosse estesa anche ad altri nostri coetanei. Bibliografia essenziale Andreoli,V.(2004) Lettera a un adolescente. Mondadori. Benasayag,M.;Schmit,G.(2004) L’epoca delle passioni tristi. Feltrinelli Caretti,V;La Barbera D.(2005) Alessitimia. Astrolabio Castoldi,I.(2003) Narcisi. Uomini in crisi di identità. Feltrinelli Ferrari,A.B.(1994) Adolescenza. La seconda sfida. Borla Galimberti,U. (2003) I vizi capitali e i nuovi vizi. Feltrinelli Jervis,G.(1999) La conquista dell’identità. Feltrinelli Kafka,F. (1997) La metamorfosi. Mondadori Oliverio Ferrarsi,A.(2004) La forza d’animo. Rizzoli Polmonari,A.(1979) Identità imperfette. Il Mulino Rinaldi,L.(2003) Stati caotici della mente. R.Cortina Serino,C. (2001) Percorsi del sé. Carocci