L`ADOLESCENTE E L`ASSERTIVITA` IN PROGRESS BLOW UP SU

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L`ADOLESCENTE E L`ASSERTIVITA` IN PROGRESS BLOW UP SU
L’ADOLESCENTE E L’ASSERTIVITA’ IN PROGRESS
BLOW UP SU ALCUNI TRATTI EMOZIONALI CHE
OSTACOLANO/FAVORISCONO LA RICERCA DELL’IDENTITA’.
Questo il tema del progetto/canovaccio realizzato nell’a.s. 2004/2005 con due
terze classi del Liceo De Giorgi di cui ha coinvolto alunni, genitori e docenti,
con il proposito di rendere gli stessi fruitori protagonisti dell’esperienza.
Considerato che
nel “sistema adolescente” convergono molteplici
imprescindibili dimensioni e componenti, funzionali al reperimento della
propria identità, si è voluto sperimentare ai fini formativi una possibile ipotesi
di “accesso trasversale” alla persona, in un ambito i cui spazi-luoghi risultano
a volte difficilmente praticabili, ma da considerare una irrinunciabile risorsa
per prevenire il disagio e promuovere il benessere: l’acquisizione della
competenza emozionale.
Quale luogo di istruzione e di trasmissione di “sapere” la scuola non intende
più trascurare lo sviluppo – nell’allievo - di questo particolare tipo di
competenza che favorisce la realizzazione di sé, riconoscendo in essa la
struttura portante della formazione globale del ragazzo.
Il Liceo De Giorgi - nelle persone del Preside prof. Oronzo De Filippi e dei
proff.ri M.Antonietta Greco e Franco Martina - ha voluto inserire il progetto
finalizzato all’acquisizione del “sapere emozionale”- imprescindibile base della
regolazione dell’affettività - tra la pluralità dei percorsi formativi offerti agli
alunni, coinvolgendo anche le loro famiglie e gli stessi docenti.
Nel riconoscere il “sapere emozionale” come necessario fondamento della
conoscenza di sé e dell’altro,nel considerare la scuola giusto spazio-luogo di
tale apprendimento, ed inoltre nel coinvolgere nello stesso processo di
“alfabetizzazione” le componenti dei diversi contesti esistenziali
dell’adolescente, viene resa prova del rilievo dato dal Liceo De Giorgi all’idea
di PERSONA come sistema integrato, alla cui formazione ed al cui equilibrio
dinamico concorrono le competenze cognitive ed emozionali interagenti tra
loro, nonché l’integrazione tra i contesti educativi di riferimento.
L’identità, dunque, è ri/conoscersi ed essere riconosciuti,in un processo di
continua progettualità trasformativa di sé, tanto più efficace quanto più
consente la stabilità e la inalterabilità del senso di “appartenenza e unicità,
somiglianza e differenza, permanenza e cambiamento”,come sottolinea
Serino, che dice ancora “permanenza del sé non significa che ci si senta
sempre uguali,ma che si sente di essere sempre la stessa persona,nonostante
tutto,al di là di ogni possibile mutamento”. C.Serino “Percorsi del sé. Nuovi
scenari per la psicologia sociale dell’identità.” (Carocci 2001) pag.17
Proprio per questi elementi ossimòrici, - che vedono accostati concetti e
comportamenti contrastanti tra loro e potenzialmente confusivi -, che non
riguardano solo il ragazzo ma tutta la complessa rete di contesti relazionali in
cui egli si trova inserito, è sembrato opportuno prospettare, sia ai ragazzi che
agli adulti, un ventaglio di idee su cui confrontarsi, proponendo l’opportunità
di mettersi in gioco, manifestando ciascuno il proprio punto di vista,
esponendosi al “rischio” del giudizio e dell’impatto con le emozioni che ne
derivano. Svelare all’altro il proprio modo di “PENSARE” e di “SENTIRE”
significa osare, avere il coraggio di uscire fuori da omologazioni rassicuranti in
un’ottica di ricerca di critica costruttiva.
Infatti dice Jervis :
“… costruire in modo libero l’identità propria è un progetto critico, aperto al
rischio…;nel nostro mondo che ovunque è in trasformazione, le prospettive
di autodeterminazione, ovvero di costruzione di sé,di sviluppo personale
secondo le proprie inclinazioni …sono migliori che nel chiuso delle società
tradizionali ”. G.Jervis “La conquista dell’identità.”(Feltrinelli 1999)pag.56
Sembra opportuno a questo punto soffermarsi sulla idea di “rischio”, ed alle
sue differenti percezioni.
“E’ diversissima la percezione che del rischio hanno i padri e i figli e, più
specificatamente, la percezione che i padri hanno dei rischi che i figli corrono
rispetto alla percezione che ne hanno i figli mentre li corrono.” V.Andreoli,
Lettera a un adolescente,(Rizzoli,2004) pag.36.
Ci sono affermazioni usate quotidianamente
che implicano ricadute
vantaggiose e quindi incoraggiano il rischio, quali ad esempio “ essere aperti
al rischio”, “opportunità di esporsi al rischio” , ed altre che invece ne
connotano la pericolosità inconfutabile” conoscere i fattori di rischio per
contrastarli” o anche “il rischio caratteristico di molte <vite spericolate>”…
La definizione del termine fa inequivocabilmente riferimento alla eventualità
di subire un danno, connessa a circostanze più o meno prevedibili ed evoca
crisi più o meno in atto, discontinuità, incertezze, potenziali pericoli, nuove
minacce che si è impreparati ad affrontare, ma sottintende – laddove vi siano
le condizioni di prevedibilità – la valutazione del pericolo che “si corre”.
Eccellente lo stile di vita, pertanto, che prende in seria considerazione –
nell’ambito della salute fisica e psichica- gli indicatori di rischio di malattie, di
disagio, di malessere in un’ottica di opportuna prevenzione.
A volte,però, la percezione del pericolo, della minaccia cui sottrarsi assume la
connotazione della perdita delle proprie fragili certezze su cui ci si poggia
quale indice/pilastro del nostro precario equilibrio interno,e che sono a tal
punto vulnerabili e tanto poco resistenti da non riuscire a tollerare il rischio
di essere ridotte in frantumi.
“Molte persone proclamano la propria indipendenza senza che questa
coincida con uno stato di acquisita libertà interiore, tale da affrancarle dal
bisogno assillante di rispecchiarsi negli altri, cercando nei loro occhi
apprezzamento e consenso….Diventare autonomi prevede uno
spostamento del fuoco dell’attenzione sulla propria vita interiore,
fatta di desideri, motivazioni e progetti, penetrando nel segreto della propria
intimità….per scoprire le proprie risorse e i propri limiti.” I. Castoldi
“Narcisi. Uomini in crisi di identità”(Feltrinelli2003) pag.59
In questa accezione va intesa la così tanto diffusa – e non solo tra gli
adolescenti - “paura del giudizio”, ed il conseguente evitamento dell’“esporsi
al rischio”del giudizio. Sono tanti i segni distintivi cui si affida la propria
individualità, una specie di “marchio” personale, la propria “griffe”,ossia la
propria “firma”, il segno di riconoscimento di sé: tatuaggi, piercing,
abbigliamento; con questi segni sì che ci si espone allo sguardo altrui,dopo
essere passati attentamente al vaglio del proprio, per essere sicuri di
“rientrare” scrupolosamente nelle regole del codice prescelto. Ma non si
tollera – però - di essere guardati “dentro”, perché fa troppa paura il
rimbombo delle proprie fragilità, delle proprie emozioni ritenute “negative”,
non accettabili, non comunicabili,tanto da nasconderle anche a sé stessi:
spesso non si mostrano per paura di vederle.<<Ma…proprio quando stai per
dimenticarti che si tratta di un progetto,che la persona con cui parli non è
una psicologa,ma una persona semplicemente interessata a te…ti senti
oggetto di studio >>.
Così si è espressa una ragazza durante uno dei primi incontri, mostrando il
timore sentito nell’essere osservata, ed ha favorito – con la sua -ulteriori
riflessioni riguardo l’opportunità di implementare proprio lo “studio” di un sé
più intimo, il proprio mondo interno,per mettere in discussione idee acquisite
e date per scontate, per utilizzare la propria esperienza e la propria capacità
riflessiva per confrontarsi e sviluppare elaborazioni creative di sé.
Praticamente, senza accorgersene, evitando di correre rischi in tal senso e
assumendo posizioni precauzionali nella dimensione conoscitiva di sé, si va a
strutturare una sorta di inconsapevole “ ambiguità nel valutarsi”; un
equivoco,quindi, un paradosso che rema contro la realistica costruzione di
sé, in quanto ruota incessantemente intorno alla ricerca di trovare negli occhi
di qualcuno - ritenuto significativo – ripetute e precarie conferme del
proprio valore e della propria esistenza.
Difetto di valutazione, dunque, perché non si va “oltre” una percezione di sé
insufficiente ad attivare un buon livello di autostima: la capacità di valutare sé
stessi risulta – in tal modo - ridotta e parcellizzata dalla rassicurante messa
in atto di “precauzioni”caratterizzate da adesione ad un pensiero omologato
che fa sentire al riparo da temute ed intollerabili disapprovazioni.
In siffatte condizioni vi è maggiore tendenza a sviluppare quelli che
Galimberti chiama “i nuovi vizi”.
“Inquadrarli come vizi fa sì che se ne possa parlare, onde esserne almeno
consapevoli e non scambiare per valori della modernità quelli che sono invece
i suoi disastrosi inconvenienti “. E ancora, a proposito della ricorrenza delle
terribili storie di infanticidi, di violenze ed efferatezze:“Disponiamo ancora di
una psiche capace di elaborare i conflitti? Esiste nella nostra cultura
un’educazione psicologica che ci consenta di metterci in contatto e quindi
di conoscere i nostri sentimenti, le nostre pulsioni, la qualità della nostra
sessualità e i moti della nostra aggressività?oppure il nostro mondo emotivo
vive dentro di noi a nostra insaputa come un ospite sconosciuto a cui non
sappiamo dare neppure un nome?....è difficile pensare di governare la propria
vita senza un’adeguata conoscenza di sé….un’educazione psicologica, che è
poi l’educazione dei sentimenti, delle emozioni, degli entusiasmi,
delle paure”.U.Galimberti “I vizi capitali e i nuovi vizi” (Feltrinelli2003)
pag.101
Acquisire la competenza emozionale, dunque, significa potersi predisporre ad
affrontare le situazioni difficili ed impegnative, ossia ad avere la capacità di
rimanere stabilmente forti di fronte alle prove scomode e faticose della vita,
aumentando la resistenza e la “resilienza” a contrastarle: ad esempio
essere in grado di reggere il rischio del fallimento, l’ansia e la paura insite
nella incessante ricerca di equilibri sempre nuovi,di nuovi assetti.
I due termini “resistenza” e “ resilienza” sono pressoché simili, ma la Oliverio
Ferraris specifica che definire la resilienza – il cui significato originario si
riferisce alla proprietà che hanno i metalli di tornare alla loro forma iniziale“come semplice resistenza sarebbe riduttivo, perché alla resistenza, passiva,
la resilienza aggiunge una dimensione dinamica oltre che positiva:la
capacità di fronteggiare e di ricostruire. Il termine resilienza viene
normalmente usato sia nella lingua francese(résilience) che in quella
inglese(resilience) per indicare un tratto di personalità composito, in cui
convergono fattori di varia natura - cognitivi, emotivi, familiari, sociali,
educativi,esperienziali,maturativi - che con la loro azione congiunta
mobilitano le risorse dei singoli, dei gruppi e delle comunità.”
“La forza d’animo”(Bur 2004)pag.7
L’autrice paragona l’azione della resilienza all’azione con cui, nel nostro
organismo, il sistema immunitario reagisce alle aggressioni batteriche:
allo stesso modo la resilienza attiva le risorse interne contro gli stress, ossia
muove quei meccanismi – flessibili e creativi - in grado di produrre risposte
adattive .
In pratica questo vuol dire proporsi di sviluppare la capacità di rimanere
stabili “nonostante”, ossia di riuscire a sostenere il dolore derivante dalla
separazione, dall’insuccesso, rimanendo integri, saldi e capaci di elaborare
la sofferenza; significa inoltre reggere l’asimmetria, il disequilibrio in una
prospettiva di energica e costruttiva sfida con sé stessi, alla ricerca creativa
delle proprie risorse interne che conducano a nuove soluzioni, di risposte
efficaci di fronte ai problemi.
Significa, dunque, concedersi di poter sbagliare e porsi comunque nella
condizione di poterne comprendere le cause. Questo implica l’essere in grado
di fare delle scelte calibrandole realisticamente non solo sulle proprie
inclinazioni e desideri,ma anche sulle proprie capacità ed i propri limiti.
Implica inoltre la capacità di progettarne la realizzazione attraverso continue
correzioni e aggiustamenti delle proprie capacità di valutare, di giudicare,di
riflettere, di prendere in esame, di individuare dei limiti, di rinunciare…
Essere capaci anche di convivere con il dubbio e l’incertezza.
Questo il senso dell’implicito “elogio del rischio” cui si riferisce G.Jervis
quando parla della costruzione dell’identità.
Molto diverso – dunque - dal significato che assume in chi, invece, ostenta la
capacità di osare rischi e pericoli estremi - riguardo la vita, la salute , la
legalità - per compensare la propria fragilità psichica, andando a sviluppare
un irreale senso di onnipotenza, facendo ruotare la propria vita intorno a
disvalori condivisi dal sottogruppo da cui si dipende e che si riconosce come
l’unica fonte di forza e di sicurezza, e che implicano scelte di potere, di
sopraffazione nei confronti degli altri, senza alcun rispetto ed osservazione
delle norme e dei limiti da cui la società è regolata.
Gli individui oggi vivono abbagliati dal successo e da un esasperato bisogno
di consensi e conferme della positività della propria identità, che proprio
per questo viene frequentemente ridotta di spessore fino ad essere
assottigliata a livello di leggero strato di rivestimento superficiale, ossia
<<ciò che gli altri vedono>>: un’immagine di sé che va sviluppandosi
prevalentemente in funzione di ciò che si vorrebbe che gli altri vedessero.
Un’immagine che DEVE – per “esserci”- corrispondere ai codici cui ciascuno
sceglie di riferirsi, siano essi di “perfezione” o di trasgressione.
Un’immagine – in simili casi - cui ci si sottomette e dalla quale si viene
dominati, ancorandosi ad un’ illusoria quanto inconsistente sicurezza e
consapevolezza di sé.
Un’immagine che sacrifica ed anestetizza, senza saperlo, il proprio “sentire”
all’interno di sé nella frenetica ricerca dell’approvazione raggiungibile o
attraverso l’ omologazione agli effimeri paradigmi di moda o la conquista di
obiettivi tanto ambiziosi ed estremi quanto riduttivi e parcellizzanti.
I “rischi” in cui si incorre più frequentemente derivano dalla rigida centratura
su aspettative scarsamente regolate sul “vero sé”.
Proprio perché viviamo in un’epoca :
“troppo concentrata sul presente, sull’ottenimento di
gratificazioni
immediate, sul mito del facile successo,
un’epoca che presta in genere scarsa attenzione – o non lascia sufficiente
spazio – alla costruzione di prospettive temporali più vaste, di percorsi
progettuali di ampio respiro” ….“quanti – insegnanti, genitori, operatori sociali
– si misurano oggi con le sempre più complesse problematiche legate al
disagio adolescenziale dovrebbero riflettere in particolare sull’importanza della
prospettiva temporale nello sviluppo di identità originali e solide”.
(Serino, op.cit.)pag.26
“La conquista dell’identità: essere sé stessi, essere diversi” è il titolo che
Giovanni Jervis ha scelto per il suo rilevante lavoro sul tema dell’identità, che
definisce come un “punto su una mappa,…ottenuto attraverso un incrocio di
coordinate”.
In questa prospettiva, l’identità appare come un “sistema probabilistico”
estremamente complesso, risultante dal graduale e continuo processo di
integrazione degli aspetti affettivi, relazionali,
cognitivi, biologici,
socioambientali, motivazionali e valoriali dell’individuo in grado di porsi al
centro della propria tridimensionalità temporale e di scegliere se assimilare
ed integrare o respingere le informazioni provenienti dall’esterno, a seconda
della propria strutturazione valoriale.Fattori
affettivi
Fattori
relazio
nali
Fattori
motiva
zionali
Fattori
valoriali
Fattori
Socio
ambienta
l
Fattori
biologici
Fattori
cognitivi
Si apre così l’importante problema delle scelte e quindi dell’opportunità di
affrontarne i rischi, muniti di coraggio e capaci di valutarne le conseguenze,
di osservare, riflettere, fare i conti con i propri limiti e le proprie capacità.
Il
che richiede impegno, interesse, l’acquisizione di una dimensione
temporale della propria storia, assunzione di responsabilità, tempo, confronto
generazionale ( verticale e orizzontale), capacità di “ascolto” di sé e
dell’altro, di empatia – ossia essere capaci di ri/conoscere l’altro, essere
partecipi del suo mondo interno -, di flessibilità degli schemi conoscitivi, che
consentano cioè di potersi accostare agli schemi dell’altro, per individuarne i
codici e poterli confrontare con i propri.
“Nell’ideologia dominante si è insinuata una coscienza ferita,
che vive sotto il segno dell’emergenza.
Si cerca sempre di rimediare alle emergenze senza avere il tempo di
programmare e di pensare. Concedersi il tempo di pensare appare al giorno
d’oggi un lusso…se vogliamo cavarcela, dobbiamo continuamente far fronte
all’emergenza”
Benasayag-Schmit “L’epoca delle passioni tristi”
(Feltrinelli2004) pag.47.
Questo il “senso” del progetto: fermarsi a pensare e a riflettere su alcuni nodi
emozionali che possono ostacolare o favorire un sano e completo sviluppo del
ragazzo, cercando di sperimentare ottiche visuali interscambiabili, in modo
che sia i ragazzi e sia i loro genitori e docenti potessero accedere ad un
lessico comune, condiviso o almeno condivisibile.
Che significa assertività in progress? Rimanda al concetto di capacità di
affermare sé stessi, nel rispetto degli altri e quindi alla progressiva
costruzione di sé attraverso l’integrazione multidimensionale della propria
esperienza.
In sintesi:
• Vivere i rapporti con gli altri con aperto confronto e con l’equilibrio di
chi non subisce e non aggredisce
• Sostenere la propria integrità e dignità
• Rispetto e accettazione di questo stesso comportamento negli altri.
Pertanto possiamo schematicamente suddividere il comportamento in tre
categorie: passivo,aggressivo e assertivo.
I comportamenti passivi si possono così sintetizzare:
• Subire gli altri
• Difficoltà nel fare e/o rifiutare richieste
• Difficoltà nel fare e/o accettare complimenti
• Paura di sbagliare
• Difficoltà nel prendere decisioni
• Frequenti sensi di colpa
Invece i comportamenti aggressivi:
• Pretendere che gli altri si comportino come piace a noi
• Opinioni rigide su qualcuno o su qualcosa
• Decidere senza ascoltare o consultare l’altro
• Stentare ad ammettere un proprio errore
• Difficoltà a chiedere “scusa”
• Ipercriticismo
• Considerarsi i “migliori”
Infine i comportamenti assertivi possono riassumersi in:
• Esprimere apertamente le proprie opinioni
• Accettare il punto di vista altrui
• Ascoltare il parere degli altri ma saper decidere in modo autonomo
• Riflettere ed essere flessibile riguardo le proprie opinioni
• Ricercare ed offrire collaborazione
• Capacità di gestire le critiche manipolative
• Ri/Conoscere le proprie emozioni e i propri sentimenti e favorirne
l’espressione
• Saper chiedere e saper dire di “no”
• Saper fare delle scelte assumendosene la responsabilità avendone
valutato i margini di rischio.
Fondamento dell’assertività ed essenzialmente correlata ad essa è
l’autostima,ossia la progressiva capacità dell’individuo di valutare sé stesso, in
ordine ad un sistema di valori prescelto;l’autostima ha un livello pervasivo di
ogni aspetto dell’esistenza individuale e regola il modo di porsi in relazione
con gli altri e con l’ambiente. Un adeguato sviluppo dell’autostima, processo
che va di pari passo con l’acquisizione della consapevolezza di sé e con la
costruzione dell’identità, consente di accostarsi - per com/prendere - alle
diverse aree di sé, quelle “negative” e “difettuali”, “limitate” oltre a quelle
“positive”,”virtuose”, “piene di potenzialità”. Essere protagonisti e registi della
propria storia e del proprio progetto di vita dipende proprio dalla capacità di
fare i conti con i propri limiti per una più funzionale realizzazione delle proprie
possibilità e potenzialità, per essere in grado di valutare i rischi connessi alle
proprie scelte e saperne affrontare adeguatamente le conseguenze.
L’autostima,pertanto,consente –se adeguata-, inibisce – se carente:
• Lo sviluppo della capacità autoriflessiva
• La consapevolezza di sé
• L’ incremento della capacità di tollerare il dolore, le perdite,le
frustrazioni
• Il concretizzarsi di opportuni e soddisfacenti scambi relazionali
• L’empatia ovvero la capacità di decentrarsi da sé ed immedesimarsi
nell’altro fino a coglierne gli stati d’animo
La bassa autostima determina prevalentemente :
• Senso di inferiorità
• Insicurezza/timidezza
• Eccessiva sensibilità
• Scarsa tolleranza alla frustrazione
• Rabbia inespressa
• Dipendenza/remissività
• Paure esagerate(di sbagliare,del giudizio,di perdere gli altri)
• Difficoltà a gestire le emozioni
• Isolamento
• Difficoltà relazionali(con i coetanei, con gli adulti, con il partner)
Spesso si sviluppano dei comportamenti che tendono a mascherare una
bassa autostima e che sono da “guardare” e “leggere” come fattori di rischio
-e non come spesso avviene solo come difettualità da correggere punendo-:
• aggressività
• scatti d’ira e di rabbia
• Forte competitività
• Perfezionismo
• Ostentazione
• Prepotenza/orgoglio
• Irrequietezza
• Falsa sicurezza
Nel processo trasformativo biologico, psicologico e sociale dell’adolescente
ovviamente le certezze acquisite nelle fasi precedenti subiscono una scossa,
per cui tutto è rimesso in discussione: non si hanno punti di riferimento stabili
neanche dentro di sé.
“Una mattina, svegliandosi da un sogno agitato, Gregorio Sansa si ritrovò
trasformato, nel suo letto, in un autentico scarafaggio. Steso sul dorso,la
schiena dura come una corazza, non appena sollevava un poco il capo poteva
vedere la sua pancia bruna di forma globosa, suddivisa in grosse scaglie
ricurve. Sopra a quella convessità la coperta si reggeva a malapena, sul
punto di scivolare via; le zampe, pietosamente esili se paragonate alle
dimensioni del corpo, si agitavano davanti ai suoi occhi.
“Cosa mi è successo?” pensò.”Eppure non era un sogno” “.
F.Kafka, La metamorfosi (Mondadori,1997) pag.1
La trasformazione adolescenziale – pur non così esasperata e funesta come
quella del personaggio kafkiano – riguarda comunque una perdita, ossia la
rottura dell’ assetto sia psicofisiologico che socioambientale. Da ciò l’ uso del
termine “crisi” - termine odiato e respinto da molti adolescenti che non si
vogliono riconoscere in esso in quanto spesso connotato negativamente – il
cui etimo designa il passaggio, più o meno repentino, da una fase ad un’altra.
Il termine è sicuramente denso ed evocativo di altri significati quali
“disorganicità” “confusione” “incoerenza”e intacca aspetti affettivi,valoriali e
relazionali soprattutto quando ci si riferisce all’avvio dell’impegnativo
passaggio dalla dipendenza familiare all’autonomia.
“Due generazioni non possono condividere gli identici schemi esistenziali o i
gusti imposti dalle mode dei tempi, ma il dissenso non può in alcun modo
alterare il legame d’amore, che tra un padre e un figlio non può venir meno”
V.Andreoli , op.cit. pag.15
Spesso purtroppo accade che questo passaggio – impegnativo e difficoltoso
sia per il sistema genitori e/o docenti, sia per il sistema figli/alunni – provochi
profonde incomprensioni, che sfociano poi in mancanza di dialogo, freddezza,
incomunicabilità, distacchi facilmente interpretabili da entrambe le parti
come “alterazione del legame d’amore”,mancanza di cura, di attenzione, di
stima…
Da qui deriva quello che a volte diviene un drammatico rinforzo dei contrasti
e delle contraddizioni tra il mondo interno ed il mondo esterno tra “come
sono” e “come vorrei essere” “ come gli altri mi vedono e come vorrebbero
che io fossi” in un vortice ingarbugliante di valori, di convinzioni e di ideali da
cui è poi molto difficile districarsi.
In questo senso la famiglia e la scuola - riconosciute generalmente come le
due fondamentali “agenzie” educativo/formative, i due poli protettivi ossia
fonte di sostegno e di incremento della resilienza del ragazzo di fronte alle
difficoltà - possono a volte divenire causa di rischio, ovvero di potenziamento
del disagio e della vulnerabilità, insieme ad altri agenti.
Sono indicatori di disagio e richiedono attenzione e considerazione quei
comportamenti caratterizzati da:
 scarsa capacità di controllo
 intensa irritabilità
 esplosioni d’ira
 scarse competenze cognitive e sociali
 perdita di interessi
 ritiro sociale
 perfezionismo
 forte competitività
 difficoltà ad accettare le regole
 persistente stato di noia
 difficoltà di concentrazione
 disturbi del ritmo sonno-veglia
 accentuate lamentele per dolori fisici
I fattori di rischio ed i fattori protettivi sono poli opposti di un inevitabile
processo, oscillante tra vulnerabilità e resistenza/resilienza.
Sono
•
•
•
•
•
•
fattori di rischio ( individuali e/o ambientali):
Stress
traumi
eventi vitali critici (separazioni,lutti,climi conflittuali irrisolvibili)
forte competitività ambientale
basso livello di autostima
ipercriticismo, ossia continue valutazioni disapprovanti e rimproveri
espliciti ed impliciti
• rigidità ed inflessibilità dello stile educativo e comunicativo
• intolleranza dell’errore
I fattori protettivi – da non confondere con l’iperprotezione – ossia quei
comportamenti e situazioni capaci di fornire supporto e sostegno, in quanto
tendono a
ridurre l’impatto dei fattori di rischio ed incrementano e
potenziano gli aspetti di resilienza,sono:
• empatia, ovvero la capacità di “entrare nel ruolo” dell’altro per coglierne
il significato emozionale e consentire la comprensione dei suoi stati
d’animo, dei desideri e dei timori
• ruolo di contenimento/cornice/comprensione svolto dalla famiglia
nell’accogliere, sostenere e supportare le problematiche dei
componenti, nel rispetto dei ruoli
• modelli genitoriali capaci di porsi in modo adattivo e funzionale al
processo di crescita e di differenziazione del figlio, con l’assunzione di

•
•
•
schemi interpersonali flessibili, aperti e disponibili alla negoziazione ed
alla risoluzione dei conflitti
adeguamento delle aspettative, calibrate sulle capacità dell’altro – e
non derivanti dalla proiezione delle proprie aspirazioni sull’altro - in
modo da poter favorire interessi basati su inclinazioni personali ed
implementare l’esame di realtà e la capacità di fare delle scelte
clima di collaborazione/riduzione della competitività
clima di solidarietà e fiducia, in grado di promuovere e facilitare
l’espressione delle emozioni
apologia dell’errore: essere disponibili a legittimare l’errore come
prevedibile,
considerandolo
un’opportunità
di
crescita,se
adeguatamente ri/conosciuto, ed essere capaci di valutare l’altro come
persona, anche se sbaglia.
Questi dunque i contenuti degli incontri, in ottemperanza agli obiettivi
specifici individuati nel progetto: rendere più funzionale la capacità di
auto/riflessione e di autocritica, la rappresentazione mentale delle emozioni,il
rinforzo dell’autostima, dell’assertività- ossia la capacità di autoaffermazione
di sé nel rispetto dell’altro-. Non meno importante l’obiettivo di favorire
l’estensione dei “saperi” al “saper essere”, inteso come competenza emotiva
sia personale che sociale,
Il punto di partenza? Una “palestra cognitiva” in cui imparare l’A,B,C delle
emozioni, la loro grammatica e la loro sintassi per poterle conoscere e
attraverso esse ri/conoscersi!
Ai ragazzi sono stati somministrati dei test pre/post l’intervento, per misurare
la capacità di identificazione e di comunicazione delle emozioni, del livello di
autostima ed accettazione di sé e degli stili di relazione.
I test -della cui somministrazione, analisi ed elaborazioni dei dati si sono
occupate le psicologhe dott.sse Emanuela Manieri, Marta Colella e Francesca
Lerro che hanno collaborato alla realizzazione del progetto- hanno
evidenziato un aumento circa dell’ 11% della capacità di riconoscere e di
comunicare le proprie emozioni ed una diminuzione del bisogno di
approvazione del 9,6% ed un consistente innalzamento del livello di
autostima. Questi dati indicano la disponibilità alla riflessione ed al
conseguimento di una maggiore capacità di autocritica, fattore che consente
il raggiungimento dell’autonomia.
Ai genitori ed ai docenti sono state fornite- appunto - informazioni riguardo il
lessico del disagio, ovvero “chiavi” di accesso alla comprensione dei “fattori di
rischio”, predisponenti il disagio ed il disturbo psichico giovanile, in
un’ ottica di ampliamento delle competenze educativo-formative.
Si è riflettuto sull’importanza di rinforzare il proprio ruolo – genitoriale ed
educativo- corredandolo ed arricchendolo di “sapere emozionale”:integrare
l’autorevole fermezza educativa, di cui i giovani hanno bisogno, con
l’ascolto e l’empatia può agevolare il dialogo, promuovere la capacità di
risoluzione dei conflitti e rinforzare le valenze protettive insite nel rapporto.
Porre attenzione e riflettere su queste dinamiche e reciproche influenze
potrebbe consentire la ricerca del bandolo dell’ intricata e poter ipotizzare
così possibili vie d’uscita verso una sempre più autentica realizzazione di sé
dell’adolescente, per favorirne l’autonomia nella consapevolezza che per lui
perdere la dipendenza infantile significa anche perdere la sicurezza.
Il progetto è stato realizzato nell’arco dell’anno scolastico 2004/2005 da
gennaio a maggio; i docenti di filosofia che hanno voluto la realizzazione del
progetto – i professori Greco e Martina – hanno proseguito in classe, tra un
incontro e l’altro, la riflessione sui contenuti del progetto stesso.
Si sono effettuati:
• n.5 incontri di due ore ciascuno con genitori ed insegnanti
• n.8 incontri - di almeno due ore ciascuno- con ciascun gruppo classe
partecipante al progetto
• le classi interessate sono state la 3^F e la 3^H.
All’inizio ed alla fine del progetto i ragazzi sono stati sottoposti a test, in
modo da poter valutare l’efficacia dell’intervento.
Di seguito si riportano i grafici di due test/ retest i cui risultati sono
significativamente espressivi della positività dell’intervento sinergicamente
condotto con i docenti su citati e gli adulti – genitori e docenti - che hanno
partecipato agli incontri.
Toronto Alexithymia Scale (di Taylor G.J e coll.) ,Tas-20: misura
l’alessitimia(dal greco: a=senza;lexis=parola;tymos=emozione), ovvero il
deficit inerente la capacità di riconoscere e descrivere le emozioni.
TAS-20 TEST
Non alessitimici
Alessitimici
Border
TAS-20 RE-TEST
Non alessitimici
Alessitimici
Border
(gennaio 2005)
34,31%
28,20%
37,49%
(maggio2005)
43,20%
22,50%
34,30%
Il Basic Self-Esteem Scale di Forsman,L. e coll.,è un questionario di
autovalutazione delle proprie capacità, risorse, valori e limiti
BASIC SE – TEST (gennaio 2005)
NELLA NORMA
15,40%
BASSA AUTOSTIMA 53,80%
ALTA AUTOSTIMA
30,76%
BASIC SE – RETEST (maggio 2005)
NELLA NORMA
53,80%
BASSA AUTOSTIMA 30,76%
ALTA AUTOSTIMA
15,40%
DAGLI SCRITTI DEGLI ALUNNI:
• Spesso la ricerca incessante di approvazione e la nostra insicurezza ci
portano ad assumere un comportamento oblativo(ossia di donazione di
sé,di ab/negazione, di sacrificio di sé all’altro)….per apparire agli occhi
degli altri -evidentemente più importanti dei nostri- perfetti,disponibili a
mettere le nostre necessità dietro a quelle degli altri….e’ meglio stare
bene con sé stessi o subire continuamente l’influenza degli altri?
• La mancanza di approvazione provoca reazioni che evidenziano la
nostra sensibilità e provoca scontri
• La continua ricerca di approvazione è talmente forte che spesso
nascondiamo la nostra vera identità,solo per paura di non essere
approvati. Essere troppo dipendenti dall’approvazione degli altri oscura
la nostra identità e quindi la bellezza di essere ognuno unico rispetto
agli altri: voglio essere quello che sono o quello che gli altri
vogliono che io sia?
• Andando sempre alla ricerca di approvazione spesso viene messo in
secondo piano il nostro modo di essere
• Ho sempre ammirato le persone disponibili…ma ho capito che l’eccesso
porta all’oblatività ,ossia all’annullamento della propria
persona per timore che l’altro ci allontani
• L’eccessivo bisogno di approvazione porta all’incapacità a dire di no,
per non deludere le aspettative degli altri…e non consente una
opportuna affermazione di sé
• Spesso siamo troppo presi da noi stessi…aprirci al dialogo ed al
confronto può essere fondamentale…anche se non nego di provare un
certo disagio
• A volte l’assenza di dialogo e confronto può portare ai contrasti con i
genitori, che per il bene tendono ad impedire di fare le scelte
autonomamente…per me sono importanti dialogo,confronto e la
voglia di trovare un punto di incontro e superare il conflitto…
• Ognuno di noi si e’ esposto parlando di sé e dei propri problemi,dando
all’altro la possibilità di farsi conoscere e di confrontarsi, cercando di
superare la paura di essere “giudicato”…mi e’ servito per acquisire
più fiducia e stima in me stessa
• Ma…proprio quando stavi per dimenticarti che si trattava di un
progetto,che la persona con cui parlavi non era una psicologa,ma una
persona semplicemente interessata a te…ti sentivi oggetto di studio
• Ho iniziato ad interrogarmi..”e chi eccede verso il comportamento
opposto?...non si tratta di <egoismo puro>?...ma IO vengo prima o
dopo gli altri?”
• Dalla similitudine del porcospino il bisogno dell’adolescente di avere
tanto sostegno; ma questo non deve diventare un’ossessione o un
soffocamento. La persona guida-amica dovrebbe porsi con questo
atteggiamento:ci sono sempre,quando tu lo vuoi….perchè
l’adolescente si trova in una fase intermedia:ha bisogno di aiuto e
sostegno, ma nel contempo deve prendere anche decisioni
autonome
• La nostra è una personalità imperfetta, perché in/formazione,
in/corso;il giudizio altrui può essere uno strumento per farsi un esame
di coscienza, per migliorarsi, per imparare a conoscersi meglio, per
capire come sembriamo agli altri e quindi anche per crescere e
maturare
• Una mia pecca è quella di non ascoltare molto le mie amiche;dopo un
po’ non riesco più a seguirle;preferisco parlare più dei miei problemi
che ascoltare quelli altrui. So che questa è una forma di egoismo.
• Spesso posso apparire arrogante o aggressiva,ma questa è una mia
forma di difesa:sono diffidente e questo mi porta ad avere un
atteggiamento forte di fronte alle altre persone perché non voglio
soffrire né essere delusa
• Soffro molto del giudizio altrui:agli occhi degli altri vorrei apparire
senza difetti, non voglio che si pensi male di me. mi mette a disagio
l’idea di essere osservata e giudicata
• La cosa più importante per un ragazzo è saper organizzare e progettare
la propria vita …sono le scelte che facciamo che ci aiutano a maturare e
quindi a farci un’idea di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato
• Spesso attraverso il dialogo due persone riflettono su sé stesse
e si mettono in discussione
• Mi piacerebbe arrivare alla perfezione in tutto:amicizia,
scuola,amore… ho poca autostima,quando mi trovo nelle situazioni più
complicate
• “ansia” ed “oppressione” rispecchiano il mio stato d’animo in questo
periodo:sobbalzo per un nonnulla e mi sento oppressa dalla scuola,dalla
palestra e dagli stessi discorsi fatti fra amici e parenti…non riesco a
rilassarmi….
• Mi sento in competitività con gli altri soprattutto. Cerco di fare
sempre il meglio, però alle volte mi blocco o perché mi sento
imperfetta o a causa del giudizio degli altri
• Non tollero l’indifferenza: superare i problemi facendo finta di non
vederli per non complicarsi la vita è un segno di grande vigliaccheria
• L’ironia rende tutto più leggero e sopportabile
• Mi piace essere diverso in mezzo a tanti amici “persi” perché trascinati
nel vortice della moda:tutti uguali
• L’arroganza e l’aggressività sono spesso delle maschere che celano la
paura ed il disagio;molti le utilizzano per impaurire gli altri e
nascondersi dietro ad esse….peccato che essere buoni sia visto
come debolezza…ci aiuterebbe a vivere con maggiore fiducia reciproca
• Per me è molto importante l’ascolto:penso che siano poche le persone
in grado di dare ascolto; è importante perché secondo me vuol dire
dare conforto… credo che l’ascolto sia in stretta connessione con il
dialogo
• Alla lettera s manca un verbo di fondamentale importanza nella mia
vita:sognare! Mi piacerebbe capire perché tutti considerano
l’adolescenza un periodo difficile caratterizzato da tutte le parole
negative sopraelencate. Personalmente vivo un periodo bellissimo:
sogni, emozioni, sentimenti, anche la confusione è vero che a volte mi
porta a star male ma crea in me soprattutto il desiderio di trovare la
mia strada e di trovare me stessa
• sensibilità: mi isolo in un mondo interno tutto mio con muri spessi e
porte stagne, senza far entrare nessuno, ma torturandomi da sola.
• Mi sta aiutando a riflettere prima di agire ma soprattutto a non
pretendere che gli altri la pensino come me. Devo perciò essere io a
mettermi in discussione, a capire così se devo cambiare la mia
opinione o sostenerla con tutta me stessa.
RELAZIONE FINALE
L’adolescenza è un periodo sicuramente complicato, pieno di incertezze che
spesso si cerca di colmare in modi sbagliati, quali la continua ricerca di
approvazione, l’incessante bisogno di costruire con tutte le proprie forze
un’identità perfetta.
Cerchiamo di essere più indipendenti dai genitori, ma la dipendenza si
trasferisce al gruppo, e l’ansia di questa approvazione nei loro confronti
diventa sintomo di sofferenza interiore. Si inizia a non ammettere il diverso,
ad essere soddisfatti di sentirsi uno come tanti, uno del “gruppo”. All’interno
del gruppo familiare si avverte una guerra continua, uno scontro/incontro con
i propri genitori che diventa a volte costruttivo, ma spesso anche distruttivo.
Abbiamo deciso di partecipare a questi incontri perché, sin dalla
presentazione del progetto, abbiamo creduto che si sarebbero rivelati
interessanti ed utili per la nostra formazione e crescita.
Siamo partiti dalla parola DISAGIO per farne un acrostico, annotando tutte le
parole che, dalle nostre esperienze personali, ci venivano in mente in
relazione a quello che era il nostro tema: assertività in progress.
L’argomento del confronto è stato uno di quelli che ci ha tenuto impegnati in
tutti gli incontri. Infatti, essendo la nostra identità in via di formazione, siamo
un po’ restii a confrontarci con gli altri, a sostenere le nostre opinioni e ad
ammettere di aver sbagliato perché una qualche nostra imperfezione ci
frusta…. Come ci sentiamo frustrati dalle sconfitte scolastiche. E proprio
discutendo con la psicologa ci siamo resi conto dell’eccessiva competitività
presente all’interno della nostra classe che ci porta ad essere continuamente
insoddisfatti delle nostre prestazioni.
Abbiamo imparato che bisogna che bisogna cercare il dialogo ed essere
disponibili ad accettare i punti di vista altrui e a non aver paura di essere feriti
dai giudizi di chi ci ascolta.
Non bisogna però approvare qualsiasi cosa passivamente, perché questo
porterebbe a cadere nell’oblatività cioè ad annullare la nostra personalità.
Attraverso il “dilemma del porcospino” abbiamo capito che, quando in noi c’è
una situazione di intolleranza verso qualcun altro, cerchiamo di difendere noi
stessi e la nostra intimità da chi, in qualche modo la minaccia; proprio come
si comporta un porcospino che, in un momento di pericolo, drizza i suoi aculei
per difendersi.
Un altro aspetto molto interessante di questo progetto è stata la
partecipazione dei nostri genitori, perché si sono ricordati di quando avevano
la nostra età, i nostri stessi problemi e adesso, almeno, possono cercare di
capirci. Sarebbe bello a questo punto, consigliare ai nostri genitori di
“lasciarci fare finché la giovinezza ce lo permette”(Terenzio):
Abbiamo riflettuto moltissimo, ci siamo guardati intorno, ma anche e
soprattutto, “ dentro”. La maggior parte di noi credeva che non sarebbe a
portarsi dietro nulla di concreto, non avrebbe mai immaginato che si sarebbe
ritrovata ad affrontare i propri dubbi e perplessità utilizzando i consigli venuti
fuori da tutti gli incontri. Ora quando commettiamo degli sbagli, ci riflettiamo
su cercando di capire dove e come correggere l’errore, cerchiamo di essere
più tolleranti anche nei confronti degli errori altrui e, prendendo in prestito
uno degli strumenti lasciati dal nostro amico Aristotele, abbiamo capito che
l’errore è umano e che noi, in quanto esseri umani, possiamo sbagliare e non
sempre esigere da noi stessi la perfezione.
Rispondendo per l’ultima volta alla domanda ormai solita della dottoressa”
cosa vi portate a casa oggi?” esprimiamo il nostro proposito di utilizzare tutti
quei consigli apparentemente banali, ma in realtà molto utili, per smussare
quei lati spigolosi del nostro carattere. Ed è proprio questo che vorremmo che
questa possibilità fosse estesa anche ad altri nostri coetanei.
Bibliografia essenziale
Andreoli,V.(2004) Lettera a un adolescente. Mondadori.
Benasayag,M.;Schmit,G.(2004) L’epoca delle passioni tristi. Feltrinelli
Caretti,V;La Barbera D.(2005) Alessitimia. Astrolabio
Castoldi,I.(2003) Narcisi. Uomini in crisi di identità. Feltrinelli
Ferrari,A.B.(1994) Adolescenza. La seconda sfida. Borla
Galimberti,U. (2003) I vizi capitali e i nuovi vizi. Feltrinelli
Jervis,G.(1999) La conquista dell’identità. Feltrinelli
Kafka,F. (1997) La metamorfosi. Mondadori
Oliverio Ferrarsi,A.(2004) La forza d’animo. Rizzoli
Polmonari,A.(1979) Identità imperfette. Il Mulino
Rinaldi,L.(2003) Stati caotici della mente. R.Cortina
Serino,C. (2001) Percorsi del sé. Carocci