Testo completo della sentenza n. 840/06 del 12/05/06

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Testo completo della sentenza n. 840/06 del 12/05/06
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Contratti in generale – Risoluzione del contratto: eccezione di inadempimento - Preliminare di
vendita immobiliare – Locale ad uso commerciale – Termine della stipulazione all’atto del rilascio
della certificazione di agibilità – Superamento del tempo utile per l’utilizzo economico – Eccedenza
il limite della normale tolleranza – Rifiuto della stipula da parte dell’acquirente - Sospensione del
versamento delle rate – Inadempimento reciproci – Prevalente inadempimento del venditore Rif.Leg.artt.1455,1460 cc;
Sentenza n.840/06
Deciso il 27/03/06
Deposito il 12/05/06
TRIBUNALE DI MODENA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Modena –II Sezione Civile,
in persona del Giudice Unico dr. MICHELE CIFARELLI
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta col n°1786/97 al Ruolo Generale e vertente
TRA
XX IMMOBILIARE (già Immobiliare ***) s.r.l., in persona del legale rappresentante
Maria Grazia Merighi, elettivamente domiciliata in Modena presso lo studio degli avv.
Pierangela Panini Ghi e Anna Giulia Panini, che la rappresentano e difendono in virtù di
mandato in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore depositata il 1 luglio
2002;
-ATTRICEE
YY , elettivamente domiciliato in Modena presso lo studio dell’avv. Deanna Bianchini,
che lo rappresenta e difende in virtù di mandato a margine della comparsa di risposta;
-CONVENUTOoggetto: recesso o risoluzione compravendita immobiliare
CONCLUSIONI DELLE PARTI:
attrice (come da udienza 16 giugno 2004 e memorie ex 183 co.5 cpc):
Ogni diversa e contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, voglia il Giudice:
dichiarare improcedibili od inammissibili le domande del convenuto precisate nella
memoria 6 maggio 1999;
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in via principale: accertato e dichiarato il grave inadempimento del contratto preliminare
di che trattasi da parte del promissario acquirente, dichiarare legittimamente receduto dal
contratto in argomento il promittente venditore ai sensi e per gli effetti di cui all’art.1385
co.2° cc con diritto a ritenere la caparra confirmatoria di £.65.250.000;
in via subordinata: accertato il grave inadempimento del convenuto, dichiarare la
risoluzione del contratto preliminare in questione per fatto e colpa.
Conseguentemente condannarlo a risarcire all’attrice tutti i danni subiti nella misura di
£.150.000.000 (operando la giudiziale compensazione con la somma già ricevuta
dall’attrice, a titolo di caparra, sino alla concorrenza della minor somma) o in quell’altra
maggiore o minore somma che sarà ritenuta giusta, provata ed equa, oltre agli interessi
ed al maggior danno dal dì del dovuto al saldo;
emettersi ogni altro provvedimento, declaratoria e statuizione comunque previ, connessi
e dipendenti dall’accoglimento delle domande che precedono.
In ogni caso con vittoria delle spese, dei diritti e degli onorari di causa.
convenuto (come da udienza 16 giugno 2004 e memoria ex 183 co.5 cpc):
Contrariis reiectis, voglia il Tribunale:
in via principale: dichiarare la risoluzione del contratto preliminare di vendita relativo al
negozio contraddistinto al N.C.E.U. del comune di Castelfranco Emilia a fl 121,
mapp.468, sub 63, per grave inadempimento dell’attrice;
conseguentemente condannare la società attrice a restituire al convenuto l’intera somma
pagata di £.100.050.000, oltre interessi e maggior danno derivante dall’aumento del costo
degli immobili nella provincia di Modena dalla metà del 1992 alla data della sentenza e
del mancato incasso dei canoni di locazione del negozio oggetto del preliminare dal 1992
alla data della sentenza, somme per la cui determinazione si chiede l’ammissione di CTU;
condannare l’attrice al risarcimento degli ulteriori danni patiti e patiendi, ivi compresi
quelli derivanti dall’omessa fatturazione delle somme pagate e dalla apllicazione di
eventuali sanzioni da parte dell’Ufficio del Registro.
In subordine: qualora il Tribunale dovesse accogliere la domanda proposta in via
principale da parte attrice, dichiarare che nessuna revisione prezzi è dovuta dal
convenuto ex art.1664 cc o, in via ulteriormente subordinata, che la revisione prezzi è
inferiore a quella richiesta, come specificato in premessa.
In ogni caso con vittoria nelle spese, competenze ed onorari di causa.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 1 luglio 1997, la XX Immobiliare (all’epoca
Immobiliare ***) srl conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Modena YY,
esponendo:
-di aver con contratto inter partes in data 26 giugno 1990 promesso in vendita al
convenuto un negozio a p.t. in erigendo fabbricato in Castelfranco Emilia, corso ***,
contraddistinto al N.C.E.U. di tale comune a fl 121, mapp.468, sub 63, al prezzo di
£.174.000.000 oltre accessori, da corrispondersi quanto a £.65.250.000 a titolo di caparra
confirmatoria da imputare a prezzo e quanto al residuo di £.108.750.000 in 25 ratei
mensili di £.4.350.000 ciascuno entro il 17 di ogni mese da luglio 1990 fino a luglio 1992;
-che, avendo contestualmente assunto l’obbligo di esecuzione delle opere di costruzione
di detto negozio come da allegato capitolato, le parti avevano previsto la clausola di
revisione prezzi con riferimento all’art.1664 cc;
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-che il promissario acquirente aveva corrisposto la caparra e 7 rate per complessive
£.95.700.000, restando debitore dell’importo capitale residuo, pari a £.78.300.000;
somma cui dovevano aggiungersi gli importi di £.10.000.000, per opere commissionate
extracontratto (pavimenti in marmo e battiscopa), e di £.120.000.000, quale revisione del
prezzo originario ex art.1664 cc, per complessive £.208.300.000;
-che in data 6 aprile 1996 era stata rilasciata l’abitabilità-agibilità dell’intero fabbricato;
-che ogni sollecito dell’altrui adempimento era rimasto inevaso.
Chiedeva pertanto che il Tribunale trasferisse l’immobile al promissario acquirente, ex
art.2932 cc, subordinatamente e contestualmente al pagamento del residuo prezzo, come
sopra determinato, oltre accessori, riservandosi di richiedere in alternativa, in prosieguo,
la risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni, ovvero la constatazione di
avvenuto recesso con ritenzione della caparra.
Costituitosi in giudizio, YY, premesso di aver già corrisposto l’intera caparra prima della
stipula del preliminare e di aver poi versato otto rate, per complessive £.100.050.000,
eccepiva l’altrui prioritario inadempimento, sostenendo che per patto collaterale o
comunque per oggettiva tollerabilità l’immobile avrebbe dovuto esser pronto per la
consegna –cioè agibile- al termine del periodo previsto per il pagamento, ovvero nel
1992, laddove, invece, per irregolarità ex adverso compiute, i lavori erano stati subito
sospesi dalla Sovrintendenza per riprendere, dopo la presentazione di due varianti,
soltanto nel 1995 e concludersi, con il rilascio dell’agibilità, soltanto il 6 aprile 1996; che
pertanto nel 1991, avendo versato il 60% del prezzo e dovendo i lavori di costruzione
ancora iniziare, aveva legittimamente sospeso i pagamenti, così come aveva
legittimamente rifiutato la stipula del rogito a distanza di 7 anni e mezzo dal preliminare.
Contestato, inoltre, di aver ordinato opere extracontratto, e di dovere la revisione prezzi,
tanto più nella misura ex adverso richiesta, chiedeva che il Tribunale dichiarasse la
risoluzione del contratto per altrui inadempimento, condannando l’attrice a
corrispondergli il doppio della caparra (£.130.500.000), a restituirgli le ulteriori somme
versate in acconto prezzo (£.34.800.000) ed a risarcirgli gli ulteriori danni patiti e
patiendi, ivi compresi quelli derivanti dall’omessa fatturazione delle somme pagate e dalla
applicazione di eventuali sanzioni da parte dell’Ufficio del Registro. In subordine, in caso
di accoglimento dell’avversa domanda, chiedeva che il Tribunale dichiarasse non dovuta
la revisione prezzi, ovvero la determinasse in misura inferiore a quella richiesta.
Nella memoria autorizzata ex art.180 cpc, l’attrice, riconosciuto di aver ricevuto otto rate
di prezzo, precisava che i lavori erano regolarmente iniziati e poi sospesi dalla
Sovrintendenza per la presenza di reperti archeologici, e dunque per cause inimputabili
ad essa attrice; che i lavori erano poi ripresi per tempo, tanto che le prime vendite delle
unità immobiliari erano avvenute nel 1994; che nessun termine di consegna era stato
pattuito fra le parti. Ribadiva pertanto la prevalenza dell’altrui inadempimento, già
conclamato nel 1991.
All’udienza ex 183 cpc il tentativo di conciliazione non poteva aver luogo per l’assenza
personale del convenuto, essendo invece presente la legale rappresentante della società
attrice.
Nell’appendice scritta di tale udienza, le parti precisavano e modificavano le domande
come riportato in epigrafe.
All'esito della trattazione istruttoria, nel corso della quale veniva assunta prova orale e
documentale, la causa, sulle conclusioni delle parti come in epigrafe trascritte, scaduti in
data 18 ottobre 2004 i termini assegnati ex art.190 c.p.c., veniva dallo scrivente riservata
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in decisione in funzione di giudice unico.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Poichè le parti si addebitano inadempimenti reciproci in relazione a contratto a
prestazioni corrispettive, qual è il contratto preliminare di compravendita nella specie
dedotto in giudizio, occorre procedere ad una “valutazione unitaria e comparativa dei
rispettivi inadempimenti e comportamenti dei contraenti, che, al di là del pur necessario
riferimento all'elemento cronologico degli stessi, li investa nel loro rapporto di
dipendenza (sul piano causale) e di proporzionalità, nel quadro sociale della funzione
economico-sociale del contratto, in maniera da consentire di stabilire su quale dei
contraenti debba ricadere l'inadempimento colpevole che possa giustificare
l'inadempimento dell'altro, in virtù del principio inadimplenti non est adimplendum”
(giurisprudenza costante. Così Cass., sez.II, sent. n°1077 del 30 gennaio 1995).
2) In fatto, non c’è dubbio che, sul piano cronologico, sia inizialmente intervenuto
l’inadempimento del promissario acquirente al pagamento del prezzo secondo la
tempistica contrattualmente determinata. Egli, infatti, per espressa previsione pattizia
avrebbe dovuto, a prescindere dall’altrui adempimento, completare il versamento
integrale del prezzo di acquisto entro il luglio 1992, corrispondendo, oltre alla caparra, 25
rate mensili di importo costante di £.4.350.000 a partire dal luglio 1990, ed invece ha
sospeso i pagamenti dopo il versamento dell’ottava rata –e quindi nel febbraio 1991.
3) Che tale iniziale inadempimento, nella sua valenza meramente temporale, non abbia
però avuto alcuna efficienza causale rispetto alla finalità complessiva del contratto ed
all’interesse ex adverso perseguito, è dimostrato indiscutibilmente dalla circostanza che il
promittente venditore ha iniziato la presente controversia (nel 1997) chiedendo darsi
corso all’accordo, mediante il trasferimento del bene ex art.2932 cc dietro contestuale
pagamento del prezzo, instando per il recesso o la risoluzione contrattuale solo dopo
l’avversa domanda di risoluzione, unita al rifiuto di corrispondere il prezzo richiesto.
Dagli atti di causa risulta, inoltre, che la costruzione dell’immobile in cui è inserito il
negozio promesso in vendita è terminata il 25 maggio 1995, e che per detto immobile il
rilascio della licenza di agibilità-abitabilità è intervenuta in data 6 aprile 1996: anche sul
piano oggettivo, quindi, è evidente che l’omesso trasferimento del bene non ha
costituito, fino a detta epoca, una legittima reazione all’altrui inadempimento, trovando
causa invece nel mancato completamento dei lavori.
4) In definitiva, nella valutazione della condotta inadempiente del promissario acquirente
occorre considerare, ai fini della comparazione con l’altrui condotta, non
l’inadempimento iniziale –in sè di scarsa importanza, avuto riguardo all’altrui interesse ma l’inadempimento definitivo; non, cioè, il fatto che egli non ha completato il
pagamento del prezzo secondo le pattuite scadenze, ma la circostanza che ha
definitivamente rifiutato di pagarlo, nonostante l’altrui invito stragiudiziale (vedi lettera
dell’attrice in data 30 settembre 1996, a suo doc.4) e l’originaria richiesta giudiziale. In
tale ottica, non potrà non considerarsi anche la circostanza che l’Immobiliare non si è
limitata a chiedere il saldo del prezzo originariamente pattuito –pari a £.73.950.000,
essendo pacifico il pagamento della caparra di £.65.250.000 e di otto rate costanti per
complessive £.34.800.000- ma un importo pari a £.208.300.000.
5) La valutazione della condotta della promittente venditrice non può prescindere dalla
circostanza che l’immobile è stato promesso in vendita con contratto del 26 giugno 1990,
ed è divenuto disponibile per la definitiva cessione soltanto il 6 aprile 1996, con il rilascio
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dell’agibilità-abitabilità. A tal proposito, è appena il caso di rilevare che, prima di tale
attestazione, il promissario acquirente legittimamente rifiuta la stipula della definitiva
cessione (giurisprudenza pacifica. Vedi, ex pluribus, Cass., sez.II, sent. n°15969 del 19
dicembre 2000 : “il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita
definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità, e di conformità
alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune -nei
cui confronti peraltro è obbligato ad attivarsi il promittente venditore- è
giustificato........perché l'acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile
idoneo ad assolvere la funzione economico sociale e a soddisfare i bisogni che inducono
all'acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, sì che i predetti certificati
sono essenziali”).
6) Poiché nel contratto preliminare de qua non è stato previsto alcun termine per la
stipulazione della definitiva cessione e la consegna dell’immobile –se non con
riferimento al rilascio dell’agibilità- occorre quindi verificare se il lasso di tempo
intercorso fra la stipula ed il momento in cui il bene è divenuto concretamente cedibile e
fruibile è tale da eccedere i limiti della normale tollerabilità, o meno, avuto riguardo alla
finalità complessiva del contratto, alla natura del bene promesso in vendita ed agli
interessi rispettivamente perseguiti dalle parti. Costituisce infatti diritto vivente il
principio secondo cui “in tema di adempimento dell'obbligazione contrattuale, la
mancata previsione di un termine entro il quale la prestazione debba essere
consensualmente eseguita, non sempre impone alla parte adempiente l'obbligo di
costituire in mora la controparte ex art. 1454 c.c. e quindi di far ricorso al giudice a
norma e per gli effetti di cui all'art. 1183 c.c. In relazione agli usi, alla natura del rapporto
negoziale ed all'interesse delle parti, infatti, può essere sufficiente che sia decorso un
congruo spazio di tempo dalla conclusione del contratto, per cui possa ritenersi in
concreto superato ogni limite di normale tolleranza, secondo la valutazione del giudice
del merito” (così Cass., sez.II, sent. n°1149 del 27 gennaio 2003. Sulla circostanza che la
gravità dell’inadempimento di una parte possa essere accertata in relazione “alla mancata
consegna del bene in tempo utile per la sua utilizzazione economica, tenuto conto della
funzione economico-sociale del contratto”, pur in mancanza di termine essenziale ed
avuto riguardo “sia all'entità oggettiva dell’inadempimento, sia al protrarsi dei suoi effetti,
sia alla natura e alla finalità del rapporto, sia all'economia complessiva della convenzione,
sia all'interesse che l'altra parte intende realizzare”, vedi Cass., sez.III, sent. n°12112 del
19 agosto 2003. Sul fatto che tale accertamento va compiuto anche in assenza di
costituzione in mora, essendo questa “prescritta dalla legge per determinati effetti ....ma
non già al fine della risoluzione del contratto per inadempimento, essendo all'uopo
sufficiente il fatto obiettivo dell'inadempimento di non scarsa importanza”, vedi Cass.,
sez.II, sent. n°8199 del 23 luglio 1991, nonchè 4 marzo 1980 n. 1450, 2 settembre 1971
n. 2602, 17 febbraio 1969 n. 550 e 15 dicembre 1954 n. 4477. Sulla irrilevanza della
previa istanza del creditore per la fissazione del termine, ex 1183 cc, vedi Cass.
n°8199/91 cit., nonchè Cass. 19 marzo 1980 n. 1827, 6 luglio 1977 n. 2980 e 27 maggio
1977 n. 2179).
7) A tal fine, occorre considerare che:
-la cessione è stata promessa in relazione ad un negozio inserito in erigendo fabbricato
che, come confermato dai testi, si sviluppa per tre piani fuori terra ed è composto da 24
fra appartamenti ed uffici, 15 fra negozi ed uffici a piano terra e 50 garage singoli
interrati. Trattasi, quindi, di edificio di dimensioni non trascurabili, ma neppure tale da
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giustificare in sè un periodo di sei anni fra inizio dei lavori e rilascio dell’agibilità;
-l’intervento della Sovrintendenza Archeologica ha determinato un ritardo nei lavori che
va stimato incolpevole, siccome dipendente dal ritrovamento di reperti murari di
interesse archeologico sulla parete sud del cantiere, al momento dello scavo delle
fondazioni. Tale ritardo incolpevole deve peraltro stimarsi contenuto, posto che la
sospensione dei lavori, ordinata il 3 settembre 1990, è stata revocata con riferimento al
settore nord dello scavo già il 5 ottobre 1990, e che già nel febbraio 1991, presentato in
gennaio dall’Immobiliare un progetto di variante secondo le prescrizioni imposte dalla
Sovrintendenza, questa ha espresso un “parere di massima favorevole”, corredato di
ulteriori prescrizioni minime. In sostanza, quindi, sia pure con l’obbligo di rispetto delle
prescrizioni della Sovrintendenza, fin dal febbraio 1991 non vi era più alcun ostacolo
amministrativo alla prosecuzione dei lavori;
-risulta poi che per il fabbricato de qua siano state richieste e rilasciate due autorizzazioni
di variante, in data 29 giugno 1993 e 23 dicembre 1994 (oltre ad una D.I.A. in data 26
maggio 1995: vedi certificato di agibilità in atti), che in base agli atti di causa non
risultano collegabili all’intervento coatto della Sovrintendenza. Poichè la comunicazione
di ultimazione lavori è in data 25 maggio 1995 -e come detto, il certificato di agibilitàabitabilità è stato rilasciato il 6 aprile 1996-, deve in sostanza ritenersi che i lavori si siano
protratti, per ragioni riferibili direttamente al costruttore, per oltre quattro anni;
-in contratto, il pagamento del prezzo era da ultimarsi per il luglio 1992. Anche in
assenza di termine certo per la stipula del rogito e la consegna del bene, è chiaro
comunque che le parti stimavano di poter dar corso a detti adempimenti in epoca
abbastanza prossima a detta epoca, e comunque certo non quattro anni dopo;
-oggetto della promessa di vendita era un negozio, ovvero un locale ove svolgere una
attività commerciale. E’ agevole stimare come non conforme ad un ordinario interesse
del tipo di quello dedotto in contratto un lasso di tempo di sei anni per il conseguimento
del bene prodromico alla sua utilizzazione economica.
8) In definitiva, il tempo decorso dalla stipula del preliminare al momento in cui il bene
era disponibile per la definitiva cessione ed utilizzazione va ritenuto eccedente i limiti di
normale tolleranza, e quindi considerato inadempimento grave del promittente
venditore, idoneo a giustificare il definitivo rifiuto della stipula da parte del promissario
acquirente.
9) A ciò occorre aggiungere il fatto che l’attrice, per cedere l’immobile, ha richiesto in
pagamento l’importo residuo del prezzo originario £.73.950.000, maggiorato di:
-£.4.350.000, per errore nel conteggio degli acconti già ricevuti;
-£.10.000.000, quale prezzo di opere extracontratto di cui, avendo la controparte
radicalmente negato l’assunto, non ha offerto alcuna prova;
-£.120.000.000 per revisione prezzi, che non risulta affatto dovuta. In effetti le parti,
avendo la promessa di vendita ad oggetto l’immobile “completo delle opere di cui
all’unito capitolato”, hanno rinviato per quanto non previsto alle disposizioni di legge in
materia “con particolare riferimento all’art.1664 cc circa l’applicazione della revisione dei
prezzi” a partire dalla “data di prenotazione avvenuta il 17 aprile 1989”, con ciò
intendendo sottoporre il prezzo di acquisto –evidentemente comprensivo delle opere
realizzate in esecuzione di un collaterale contratto di appalto- alla revisione prevista da
detta norma. In forza di ciò, l’attrice ha richiesto detta somma, pari all’incidenza
dell’inflazione medio-tempore intervenuta, calcolata in base agli “indici Istat del costo
della vita valevoli ai fini dell’applicazione della scala mobile delle retribuzioni nei settori
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dell’industria, commercio, agricoltura e credito”, ridotta del 10%. Senonchè l’art.1664 cc,
oltre a limitare la revisione agli aumenti eccedenti il decimo del prezzo complessivo
convenuto, la subordina al sopravvenire di “circostanze imprevedibili”, e la
giurisprudenza è costante nel ritenere che “ai fini dell'applicazione dell'art. 1664 c.c., il
diritto dell'appaltatore alla revisione dei prezzi è subordinato al duplice accertamento che
vi sia stato un aumento, in misura superiore al decimo del prezzo convenuto, del costo
dei materiali e della mano d'opera impiegati e che tali aumenti fossero imprevedibili al
momento della conclusione del contratto, potendo, peraltro, l'imprevedibilità del
mutamento riguardare, in epoca di instabilità monetaria, anche la sola misura del
mutamento, quando si verifichi un improvviso salto inflattivo, rispetto all'andamento
della svalutazione manifestatosi negli anni precedenti, dovuto a particolari contingenze.”
(così Cass., sez.U., sent. n°12076 del 9 novembre 1992). Poichè nel periodo in
considerazione –in base alla stessa tabella prodotta dall’attrice- risulta che l’inflazione
nota al momento della stipula del preliminare (periodo 1989-90) era nell’ordine del 11%
annuo, e che negli anni successivi essa è rimasta costantemente più bassa, tranne che nel
1994-95, ove ha raggiunto quasi il 15%, ne consegue che l’unico aumento riconducibile a
circostanze imprevedibili è, al più, l’incremento inflattivo di tale ultimo periodo rispetto
alla media degli anni precedenti, che in ogni caso non eccede il 10% e quindi non dà
diritto alla revisione prezzi.
10) Ne consegue che il definitivo rifiuto del promissario acquirente di dar corso al
contratto, oltre ad essere già autonomamente giustificato dall’intollerabile ritardo
imputabile al contraente, trova ulteriore giustificazione nel fatto che, per la stipula, gli è
stato illegittimamente richiesto un prezzo quasi triplo rispetto al residuo effettivamente
dovuto.
11) Alla stregua di tali considerazioni, va pertanto ritenuto che il contratto de qua si è
risolto per il preminente inadempimento dell’attrice. Va quindi accolta la relativa
domanda riconvenzionale del convenuto, e rigettata ogni domanda dell’attrice.
12) In relazione alle altre domande proposte dal convenuto:
a) va senz’altro accolta la domanda di restituzione delle somme corrisposte, pari a
£.100.050.000 (€.51.671,51), da intendersi ricompresa nell’originaria richiesta di
pagamento del doppio della caparra e restituzione delle ulteriori somme versate.
Tale importo andrà maggiorato degli interessi maturati e maturandi al tasso legale via via
vigente dall’epoca dei singoli pagamenti al saldo (vedi, ex multis, Cass. sez.III, sent.
n°5237 del 15 marzo 2004 e sez.I, sent. n°15358 del 1 dicembre 2000);
b) la domanda di risarcimento “degli ulteriori danni patiti e patiendi, ivi compresi quelli
derivanti dall’omessa fatturazione delle somme pagate e dalla applicazione di eventuali
sanzioni da parte dell’Ufficio del Registro” –per cui non si pongono problemi di
ammissibilità, essendo stata negli stessi termini proposta nella comparsa di costituzionenon merita accoglimento, poichè in relazione alla verificazione di tali danni nessuna
prova è stata richiesta ed offerta;
c) quanto all’ulteriore domanda di “risarcimento del maggior danno derivante
dall’aumento del costo degli immobili nella provincia di Modena dalla metà del 1992 alla
data della sentenza e del mancato incasso dei canoni di locazione del negozio oggetto del
preliminare dal 1992 alla data della sentenza, somme per la cui determinazione si chiede
l’ammissione di CTU” -anche a ritenerne ammissibile la proposizione nell’appendice
scritta dell’udienza ex 183 cpc, quale semplice articolazione dell’originaria richiesta
generica di ogni danno patito e patiendo- il rigetto s’impone, tenuto conto che:
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-l’istante è ovviamente onerato della prova del danno;
-per riconoscergli un danno da aumento del costo degli immobili, avrebbe pertanto
dovuto provare di aver acquistato un immobile analogo e richiedere quale danno la
differenza fra il prezzo concordato con l’attrice e quello corrisposto per l’acquisto
alternativo. Non costituisce invece danno risarcibile l’astratta intenzione di procedere ad
analogo acquisto, neppure supportata da elementi in grado di renderla concreta;
-per riconoscergli un danno da mancato incasso dei canoni di locazione del negozio,
avrebbe dovuto almeno dimostrare -anche attraverso presunzioni- la concreta intenzione
di mettere a reddito il locale, mentre la richiesta de qua non è stata neppure illustrata.
13) Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Modena, in persona del Giudice Unico dr. Michele Cifarelli,
definitivamente pronunciando nel giudizio introdotto da XX Immobiliare (già
Immobiliare ***) srl nei confronti di YY con atto di citazione notificato in data 1 luglio
1997, così provvede:
ogni altra istanza disattesa
1) DICHIARA la risoluzione del contratto preliminare di compravendita immobiliare
intercorso fra le parti in data 26 giugno 1990 per inadempimento della promittente
venditrice XX Immobiliare srl;
2) CONDANNA tale società alla restituzione, in favore di YY , delle somme ricevute in
conto prezzo, pari all’importo complessivo di £.100.050.000 (€.51.671,51), maggiorato
degli interessi maturati e maturandi al tasso legale via via vigente dall’epoca dei singoli
pagamenti al saldo;
3) CONDANNA la medesima al rimborso delle spese ex adverso sopportate per il
giudizio, che liquida in complessivi €.12.055,50 oltre spese generali ed accessori dovuti
per legge, di cui €.578,72 per esborsi, €.3.476,78 per diritti ed €.8.000,00 per onorario.
Così deciso in data 27 marzo 2006
IL GIUDICE
-Michele CifarelliDepositata in Cancelleria il 12.05.2006