È a Ravenna la culla dei «foreign fighters» Libero

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È a Ravenna la culla dei «foreign fighters» Libero
27 marzo 2016
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Regionale
Viaggio nelle nostre Molenbeek
È a Ravenna la culla dei «foreign fighters»
ALESSIA PEDRIELLI Che si sentano padroni in quella che un
tempo fu la capitale dell' impero romano, lo vedi subito. Basta
uscire sul viale che dalla stazione porta al centro storico. Più di
500 metri di passeggiata in cui se incontri qualche italiano o è
un turista o cammina a passo molto svelto. Che quella sia zona
loro lo sanno tutti. Ma non come in tutte le città, dove la stazione
è sacca di degrado. Qui la cosa è strutturata: da una parte i
giardini dello spaccio, i giardini Speyer, dove si parla solo arabo
e i nordafricani smerciano droga indisturbati da almeno dieci
anni, senza che nessuno li mandi via. Dall' altra money transfert,
negozi cinesi, e, ultima trovata, gli androni dei palazzi allestiti
con i distributori automatici di bevande, perfetti luoghi di ritrovo
per chi deve fare affari non visto. Benvenuti a Ravenna,
aspirante capitale (mancata) della cultura europea e culla
prediletta dei foreing fighters italiani, stando al numero di quelli
che la Digos ha individuato: ben otto, dal 2012 ad oggi. Un
primato assoluto per una città di 160mila abitanti. E sono solo i
numeri ufficiali. L' ultimo l' hanno individuato sei giorni fa. Quasi
tutti bazzicavano qui, in questa zona «occupata» su cui la città
chiude gli occhi alle porte del centro storico. Un metro dopo
comincia l' area pedonale, quella che porta alla tomba di Dante,
al palazzo di Teodorico e alla basilica di San Vitale. Ma viale
Farini non è che la parte visibile. Il quartiere «arabo» più
impenetrabile si allarga alle spalle della stazione, fino alla zona
di via Gulli, in un quadrilatero da cui tutti cercano di fuggire: chi
ha casa prova a vendere, mentre i negozi hanno già chiuso da
tempo. Resistono solo i cinesi.
NEL QUARTIERE È lo storico quartiere delle case popolari: un
tempo c' erano le famiglie di italiani che non ce la facevano ad
andare avanti. Oggi la percentuale degli stranieri supera,
secondo i residenti, il 70%. «Dopo le sei ­ racconta Elisa
Frontini del gruppo la Sentinella Ravennate ­ non senti più
parlare italiano e le strade si trasformano in quelle di una
casbah, con spaccio a cielo aperto gente ubriaca, urla e risse
fino alle due di notte». I residenti ci hanno provato in tutti i modi:
denunce chiamate alle forze dell' ordine, battaglie politiche.
Sono riusciti a far chiudere una rivendita di alcolici, ma niente di
più. «Il quartiere è lasciato alla deriva, in mano agli immigrati,
che entrano nei cortili, pisciano sui muri e fanno i loro affari alla
luce del giorno», e anche i pochi coraggiosi che hanno provato a rianimarlo aprendo qualche attività
stanno chiudendo: «Non riusciamo ad andare avanti. Da questo quartiere la gente non passa certo per
fare acquisti ­ raccontano­ chi è costretto a viverci si chiude in casa già dal pomeriggio».
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È tra queste vie che probabilmente si sono formati gli aspiranti jihadisti scovati dalla Digos. L' ultimo
della lista è un giovane pachistano sposato con figli, arrivato a Ravenna da tre anni. È sospettato di
essere un reclutatore e un addestratore di terroristi. Un altro, Nouassair Louati, 27 anni, tunisino,
fermato un anno fa già con il biglietto in mano e un miliziano dell' Isis ad attenderlo in Siria (ora a
processo) era un noto spacciatore ai giardini Speyer.
Qui a Ravenna la comunità musulmana lo conosceva bene. Era andato anche in moschea chiedere
soldi. Lo racconta uno dei fedeli della moschea di Ravenna, la seconda più grande d' Italia, con tanto di
cupola e minareto, finanziata per 1,3 milioni di euro dalla comunità musulmana e inaugurata con gran
festa dell' amministrazione Pd nel 2013.
Siamo alle Bassette, ex zona industriale del polo chimico, oggi in disuso. «Lo conoscevo, era venuto da
noi diverse volte per chiedere aiuto in denaro e di lui sapevamo che vendeva droga, beveva, tutte cose
contrarie all' Islam», racconta uno dei custodi, «come contrario è ciò che fa l' Isis». Ma non è il Corano a
parlare di «guerra santa»? «Loro prendono un versetto del Corano e lo usano per istigare al terrore».
Però tanti li ascoltano «Fanno presa sugli ignoranti, sui disperati. Ce ne sono tanti, è vero, anche qui a
Ravenna». Racconta ancora l' uomo, di nazionalità albanese: «Io stesso, prima di trovare la retta via ho
rischiato di perdermi». Come funziona il reclutamento? «Ti fanno vedere video di musulmani ammazzati
nelle guerre e ti chiedono di vendicarli. Io, grazie a dio mi sono salvato, ho trovato gli insegnanti giusti
ho scelto la via retta, ma è facile cadere in quella rete», spiega ancora il custode, «ora predico l' Islam
giusto e metto in guardia i giovani dai possibili pericoli e per questo sono molto odiato». Il pericolo è
concreto anche qui?
«Sì, è concreto dappertutto.
E l' Italia dovrebbe stare più attenta. Io stesso vorrei parlare con le forze dell' ordine per dire loro di
stare più attenti, di fare più controlli.
Non qui nella moschea, ma nei centri di preghiera che non sono alla luce del sole ce ne sono tanti». Lì
operano gli jihadisti? «Lì non ci sono controlli. E il pericolo è presente per tutti perché loro (quelli vicini
all' Isis, ndr) ti dicono di fare strage dove puoi e dovunque ti trovi».
PORTA CHIUSA A Ravenna oltre alle Bassette c' è almeno un altro centro di preghiera, nato prima
della moschea e mai integrato con la sede ufficiale. È in via Trieste, ai margini del «quartiere arabo».
Andiamo anche lì. Sta al piano terra di un palazzo moderno, quasi impossibile da individuare. Niente
insegne, né campanelli. Una vetrina anonima, oscurata con carta e persiane malandate.
Due entrate: una per le donne, una per gli uomini. Suoniamo, dopo qualche minuto di consultazione
aprono la porta, subito richiusa alle spalle.
Tendiamo la mano per presentarci. Si schermiscono. È la mano di una donna. E anche lo sguardo non
va bene: in faccia non ci possono guardare. A quanto pare il Corano lo vieta. Vestono tutti abiti tipici, le
barbe curatissime alla moda dell' Islam. Dicono di non sapere nulla della moschea, né del problema dei
rclutatori, né del perchè in una città che ha persino un minareto ci siano due gruppi distinti di fedeli ad
Allah.
E poi spiegano: «Veniamo da altre città, siamo qui per un raduno serale di preghiera». E la porta si
richiude subito.
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