Rassegna stampa 20 gennaio 2017

Transcript

Rassegna stampa 20 gennaio 2017
RASSEGNA STAMPA di venerdì 20 gennaio 2017
SOMMARIO
“Caro Fabiano - scrive su Avvenire di oggi Rita Coruzzi -, ho visto il tuo video e ho
conosciuto la tua storia – il tuo passato da dj, l’incidente d’auto, la tua condizione di
tetraplegico e cieco a 39 anni – che mi ha molto colpito, così come la tua richiesta al
presidente Mattarella. Ho deciso di scriverti perché mi sento vicina a te, sento di
capirti in quanto anch’io per tanto tempo, pur essendo in una condizione meno grave
della tua, ho pensato che la vita non mi potesse più offrire nulla e io fossi solo un peso
per me stessa e per gli altri. Infatti a causa di un intervento sbagliato mi sono
ritrovata sulla carrozzina in modo permanente, e ti posso assicurare che avevo
pensato di poter vivere in tutti i modi, tranne che in questo. Avevo solo dieci anni
(ora ne ho trenta) e tutto ciò era troppo umiliante, provavo troppa vergogna, mi
sentivo troppo diversa dagli altri, mi sembrava di essere uno scarto dell’umanità.
Perciò credo di poter dire che in parte ti capisco, forse non completamente, perché
non sono cieca, non vivo nella notte, ma conosco la tua delusione e la stanchezza
dopo una serie di terapie inutili. È una situazione che logora dentro, sia il corpo che
l’anima. Tuttavia mi sento anche di dirti che non credo che morire sia la soluzione,
perché penso che tu potresti essere una risorsa per questa società, e non un peso. E
soprattutto, hai ancora molto da offrire. Tu hai fatto delle esperienze uniche, hai
viaggiato, hai incontrato persone, sicuramente lasciando un segno nelle loro vite, hai
provato grandi emozioni e sensazioni e capisco quanto sia frustrante il fatto che tu
non possa più vivere nulla di tutto ciò, e questo è profondamente ingiusto. Penso
anche, però, che tu possa continuare a dare molto a tante persone, poiché possiedi
ancora due grandi amori: la tua ragazza, che non ti ha abbandonato neanche in questa
situazione, dando una grande prova d’amore; e la musica che, anche se per il
momento non ti senti di ascoltarla perché ti ricorda troppo quello che hai perso, è una
passione di cui non ti libererai, sarà sempre lì, in fondo al tuo cuore, pronta a
sgorgare nei momenti più impensati. Questi due tesori potrebbero essere ancora una
grande ricchezza, non solo per te. Forse non ci hai pensato, ma anche nelle tue
condizioni potresti fondare associazioni per aiutare gli altri, per esempio i più
bisognosi in India dove hai vissuto e che quindi conosci bene, oppure eventi musicali a
scopo benefico, il cui ricavato può andare ad altre persone nelle tue stesse
condizioni. Proprio perché ora ti trovi in questa situazione, tu per la società potresti
essere energia buona e un esempio. È scontato dire che la vita è crudele e ingiusta,
che fa scherzi orribili, ma ciò che non è scontato è che chi li subisce ha due scelte:
arrendersi e subirne il peso, oppure trovare un’alternativa. Questo è il bello della
vita: finché sei vivo hai un’altra possibilità, puoi cambiare le cose, fare la differenza,
pur con difficoltà cambiare i tuoi progetti per costruirne altri migliori, che magari non
avresti neanche lontanamente immaginato. Una frase che mi ha molto colpito nel tuo
video è quando dici che tu vivi nella notte. È vero, ora i tuoi occhi vedono il buio, ma
la tua mente può ritrovare la luce e la voglia di vivere e di lottare. Se per ora non è
sufficiente vivere per te stesso puoi vivere per gli altri, per chi ti ama, per chi è nelle
tue condizioni e vive questi momenti difficili, che tu puoi capire molto bene. Potreste
farvi forza a vicenda, confrontando le vostre esperienze. Te lo dico francamente:
spero che il presidente Mattarella ti risponda, ma con parole di speranza e di
comprensione, dicendoti che lo Stato può aiutarti non a guarire bensì a migliorare la
qualità della tua vita, e che da essa può rinascere speranza e fiducia, per te e per
altri. Anch’io per anni mi sono sentita un uccello in gabbia con le ali spezzate e non
trovavo alternativa, fino a quando, grazie all’aiuto della mia famiglia – in particolar
modo di mia madre e del suo amore incondizionato – ho capito che dovevo
trasformare la carrozzina, ovvero il mio punto di debolezza, in un punto di forza per
ricostruirmi una vita diversa e creare qualcosa di nuovo, unico, lasciare la mia
irripetibile impronta nel mondo, anche se in un modo diverso da come l’avevo
immaginato. Ti auguro con tutto il cuore che tu possa trovare il modo di rendere
straordinaria la tua vita di oggi e di trasformare la tua condizione in una forza. Se ci
riuscirai ritroverai coraggio, speranza e risorse che nemmeno tu pensavi di avere. Il
mio augurio è che tu decida di non abbandonare la vita, e grazie all’amore delle
persone che ti stanno vicino, possa riscoprirla e trovarne il lato positivo. Non lasciar
andare la vita, aggrappati a essa, devi ancora succhiarne il midollo. Io ho imparato per
esperienza diretta che non è mai troppo tardi, anche nelle condizioni più improbabili,
per sentirsi vivi e avere un motivo per dire alla vita il tuo personale grazie”. E sullo
stesso giornale la biblista Rosanna Virgili osserva: “«Lasciami» grida Giobbe a Dio,
supplicandolo di liberarlo dalla vita. Una vita diventata più dura e insopportabile della
morte. Il pensiero corre alla pagina biblica davanti alla drammatica vicenda di
Fabiano, il giovane tetraplegico che per sé invoca la morte davanti a una vita che pare
senza più speranza. Lucide sono le parole di Giobbe il quale, dopo un tempo di
successi in ogni campo (affettivo, economico, politico: era stato ricchissimo, aveva
avuto una famiglia meravigliosa, era stato stimato e rispettato come uno degli uomini
più influenti della sua città) adesso che ha perso repentinamente ricchezze, figli,
potere e salute, preferirebbe morire. La morte – considera Giobbe – è migliore della
vita: «Lì il prigioniero non deve sopportare la voce dell’aguzzino ». Meglio le tenebre
della morte – che pongono fine a ogni dolore – di una vita fatta di sofferenza atroce e
dolore senza fine. Ma ciò che più inquieta Giobbe è la ragione di tale dolore,
impossibile da spiegare, un mistero davanti al quale egli non rinuncia a interpellare
Dio. Non segue il consiglio di sua moglie e dei suoi amici che lo invitano a prendere
atto della rovina e ad accettare sia il dolore sia la morte. La 'rivolta' di Giobbe sta
nella protesta, nella contestazione: perché mi sono toccati giorni di dolore? Sul filo
sospeso di questa domanda Giobbe continua a vivere e a non consegnarsi alla morte.
Dal Cielo non verranno risposte facili, né veloci. Ma Dio continuerà a tenere fisso lo
sguardo su di lui e non lo lascerà. In quello sguardo ecco la ragione e la forza per non
abbandonarsi alla morte. La dignità di ogni vita umana si fonda sullo sguardo
dell’Altro. Giobbe non accetta ragioni 'oggettive' o autonome per consegnarsi alla vita
o alla morte, ma chiama in causa Qualcuno, fin dall’inizio e in ogni cosa coinvolto con
il suo destino. Di fronte al dolore dell’innocente e alla morte dell’uomo neppure Dio
può tirarsi indietro. Con il dolore Dio mette alla più dura prova Giobbe, ma Giobbe
reagisce chiamando Dio a paragone. E alla fine vincerà. «Prima ti conoscevo per
sentito dire – concluderà –, ma ora i miei occhi ti vedono». Dentro il buio della vita”
(a.p.)
1 – IL PATRIARCA
AVVENIRE
Pag 24 Venezia, preghiera in San Marco con Moraglia e Siluan
3 – VITA DELLA CHIESA
AVVENIRE
Pag 19 Quel grido di Giobbe dentro il buio del dolore di Rosanna Virgili
La sofferenza e la risposta
LA REPUBBLICA
Pag 36 “Da Abramo a Noè ecco il volto segreto degli eroi biblici” di Antonio Gnoli
Haim Baharier, studioso delle Scritture, interpreta in modo originale le storie più celebri
IL FOGLIO
Pag 1 La libido dei preti? Fatevi i fatti vostri di Giuliano Ferrara
Pag 1 La tentazione del ritorno al passato di mat. mat.
L’ipotesi di cassare la riforma di Wojtyla contro i preti pedofili
7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA
CORRIERE DEL VENETO
Pag 9 “Mose, anticipiamo i soldi pur di finirlo. Imprese contrarie? Ne troviamo
altre” di Alberto Zorzi
Il nuovo provveditore: il Cvn ora è un pezzo di Stato. Fiengo: stiamo semplificando
IL GAZZETTINO DI VENEZIA
Pag XI Troppi disordini, stop a Ca’ Letizia di Alvise Sperandio
La mensa dei poveri chiusa da ieri fino a lunedì. Don Bonini aveva lanciato l’allarme. La
San Vincenzo: “Dobbiamo dare un segnale. Il Comune mandi i vigili”
Pag XVI Sono 150 le prenotazioni per lo spettacolo “gender” di Luisa Giantin
Il discusso “Fa’afafine” verrà visto da bambini tra gli 8 e gli 11 anni
8 – VENETO / NORDEST
CORRIERE DEL VENETO
Pagg 2 – 3 Scandalo sessuale, il vescovo chiede scusa di Andrea Priante, Nicola
Munaro, Alessandro Macciò e Francesco Chiamulera
La lettera dall’Ecuador di monsignor Cipolla: “Ci deridono, mi vergogno. Questa ombra
non cancelli la nostra storia di santità. La confessione di don Andrea: “Ho fatto le orge
con 5 donne”. E Rovolon difende l’altro prete: “Lo perdoniamo, non è mica un pedofilo”.
Il teologo Mancuso: “Casi troppo pesanti, la Chiesa deve cambiare”
IL GAZZETTINO
Pag 6 Le trenta amanti dei due sacerdoti di Marco Aldighieri, Luca Ingegneri e Enrico
Silvestri
Il vescovo Cipolla: ”Mi vergogno”
LA NUOVA
Pag 1 L’ultimo colpo per punire chi sgarra di Gianfranco Bettin
Pag 13 Don Contin ammette: “A letto con 5 donne” di Cristina Genesin
Spunta il mistero delle notti del prete a Cavallino – Treporti. Ai festini hard c’era anche
un altro parroco
… ed inoltre oggi segnaliamo…
CORRIERE DELLA SERA
Pag 1 La catena degli errori di Sergio Rizzo
Pag 8 Strade, case, soccorsi. Che cosa non ha funzionato di Virginia Piccolillo e
Fiorenza Sarzanini
Pag 11 Quell’apocalisse nove secoli fa. Il primo terremoto che fu misurato di
Gian Antonio Stella
Pag 24 Inizia la marcia di Trump ma la direzione non è chiara di Massimo Gaggi
LA STAMPA
L’anglosfera di May e Trump di Marta Dassù
AVVENIRE
Pag 1 Soltanto gli uomini di Marina Corradi
La tragedia e le macchine impotenti
Pag 2 Fabiano, in parte ti capisco. Ma non abbandonare la vita di Rita Coruzzi
La richiesta di eutanasia, la possibilità di aiutare gli altri
Pag 3 Dal Presidente alla Samsung, la Corea scopre Tangentopoli di Stefano
Vecchia
Politici, imprenditori, faccendieri. Ora la piazza si ribella
IL GAZZETTINO
Pag 1 La forza della natura e la misura delle polemiche di Carlo Nordio
Pag 1 Protezione civile sotto accusa: ritardi e rischi ignorati di Valentina Ferrante
Torna al sommario
1 – IL PATRIARCA
AVVENIRE
Pag 24 Venezia, preghiera in San Marco con Moraglia e Siluan
Oggi alle 18.30 nella Basilica di San Marco a Venezia si svolgerà una preghiera
nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Saranno presenti il
patriarca di Venezia Francesco Moraglia e il vescovo Siluan della diocesi ortodossa
romena d’Italia, che svolgeranno alcune riflessioni. Domani alle 18.30 nella chiesa
luterana di Venezia ci sarà un incontro a cui parteciperà il cardinale Walter Kasper,
presidente emerito del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.
Torna al sommario
3 – VITA DELLA CHIESA
AVVENIRE
Pag 19 Quel grido di Giobbe dentro il buio del dolore di Rosanna Virgili
La sofferenza e la risposta
«Lasciami» grida Giobbe a Dio, supplicandolo di liberarlo dalla vita. Una vita diventata
più dura e insopportabile della morte. Il pensiero corre alla pagina biblica davanti alla
drammatica vicenda di Fabiano, il giovane tetraplegico che per sé invoca la morte
davanti a una vita che pare senza più speranza. Lucide sono le parole di Giobbe il quale,
dopo un tempo di successi in ogni campo (affettivo, economico, politico: era stato
ricchissimo, aveva avuto una famiglia meravigliosa, era stato stimato e rispettato come
uno degli uomini più influenti della sua città) adesso che ha perso repentinamente
ricchezze, figli, potere e salute, preferirebbe morire. La morte – considera Giobbe – è
migliore della vita: «Lì il prigioniero non deve sopportare la voce dell’aguzzino ». Meglio
le tenebre della morte – che pongono fine a ogni dolore – di una vita fatta di sofferenza
atroce e dolore senza fine. Ma ciò che più inquieta Giobbe è la ragione di tale dolore,
impossibile da spiegare, un mistero davanti al quale egli non rinuncia a interpellare Dio.
Non segue il consiglio di sua moglie e dei suoi amici che lo invitano a prendere atto della
rovina e ad accettare sia il dolore sia la morte. La 'rivolta' di Giobbe sta nella protesta,
nella contestazione: perché mi sono toccati giorni di dolore? Sul filo sospeso di questa
domanda Giobbe continua a vivere e a non consegnarsi alla morte. Dal Cielo non
verranno risposte facili, né veloci. Ma Dio continuerà a tenere fisso lo sguardo su di lui e
non lo lascerà. In quello sguardo ecco la ragione e la forza per non abbandonarsi alla
morte. La dignità di ogni vita umana si fonda sullo sguardo dell’Altro. Giobbe non accetta
ragioni 'oggettive' o autonome per consegnarsi alla vita o alla morte, ma chiama in
causa Qualcuno, fin dall’inizio e in ogni cosa coinvolto con il suo destino. Di fronte al
dolore dell’innocente e alla morte dell’uomo neppure Dio può tirarsi indietro. Con il
dolore Dio mette alla più dura prova Giobbe, ma Giobbe reagisce chiamando Dio a
paragone. E alla fine vincerà. «Prima ti conoscevo per sentito dire – concluderà –, ma
ora i miei occhi ti vedono». Dentro il buio della vita.
LA REPUBBLICA
Pag 36 “Da Abramo a Noè ecco il volto segreto degli eroi biblici” di Antonio Gnoli
Haim Baharier, studioso delle Scritture, interpreta in modo originale le storie più celebri
Alcuni episodi della Bibbia ci sono oltremodo familiari. Averne più volte sentito i racconti,
invece di stancarci ci colloca su quel crinale in cui l'attesa si mescola alla curiosità
intellettuale nei riguardi di un Dio che apparentemente regola tutte le mosse di una
storia. Qual è allora la nostra libertà di lettura? Come interpretare, ad esempio, il
sacrificio di Isacco? O in che modo accogliere l'insensata e infinita costruzione di una
Torre che prenderà il nome di Babele? Haim Baharier, le cui origini polacche e francesi
sono cresciute nelle radici del mondo ebraico, da anni pratica una esegesi biblica di
particolare efficacia, dove cabala e commento talmudico si intrecciano vertiginosamente.
Egli terrà una serie di lezioni al Teatro Eliseo di Roma, a partire da dopodomani: «Nella
Torah», mi dice, «ci sono due volti che si fronteggiano, ogni tanto si sfiorano, ogni tanto
si allontanano, qualche volta si fondono: quello narrativo e quello normativo». Si tratta,
come vedremo, di una distinzione carica di conseguenze.
Vuole spiegare cosa rappresentano questi due volti?
«Vi è spesso tra le narrazioni bibliche e le regole comportamentali molto concrete, che la
Bibbia indica, un cortocircuito logico. Pensiamo alla narrazione della nascita di Isacco, la
madre Sara ha 90 anni, il padre Abramo 100. Una nascita miracolosa, che ha come
conseguenza il nome stesso del nascituro, che significa "colui che riderà"».
Come interpretarlo?
«Io parto da una considerazione che non ha nessuna evidenza apparente, ma che si
nutre di numerosi indizi: Isacco è un disabile. Per questo la gente ride di lui. Perfino
Ismaele, il fratello più grande, ride di lui».
È un riso di scherno?
«Certo, ma il riso domina tutto il racconto. Anche Sara ride quando le annunciano che a
90 anni avrà un figlio. Ma lei accetterà rapidamente la condizione del figlio. Abramo no.
È tormentato e alla fine deciderà di sopprimerlo. A quell'epoca in Mesopotamia non
erano affatto eccezionali i sacrifici umani di bambini, molto spesso disabili».
Però Abramo prende quella decisione estrema perché una voce glielo ordina. È Dio o una
sua allucinazione?
«Gli anni di Isacco, ormai trentenne, raccontano soprattutto il lungo processo di
degenerazione psicologica del padre la cui conclusione è che il modo migliore per
compiere il figlicidio è imputarlo all'Onnipotente».
Quale possibile conclusione trarne?
«Un commentatore hassidico ha letto nel racconto l'assoluta fiducia, nonostante tutto, di
Isacco nel riguardi del padre, del figlio dell'uomo nel genere umano, del popolo ebraico
nei confronti dell'umanità. Ai miei occhi prefigura la speranza nel genere umano dalla
quale il popolo ebraico non deroga mai».
Due storie diciamo pure di degenerazione umana sono per un verso la storia del Diluvio
universale e dall'altro la Torre di Babele. Che ruolo occupano nella Bibbia?
«Da un lato c'è l'umanità che verrà annegata nel Diluvio universale e dall'altro c'è Noè
che si salverà in un'Arca. Cosa rappresenta quest'Arca? Arca, in ebraico Teva, significa
anche parola. Nel testo si rapportano le misure dell'Arca: altezza, lunghezza, larghezza i
cui valori numerici (in ebraico le lettere fungono anche da numeri) corrispondono alla
parola "linguaggio". Noè che si salva è l'antenato di Abramo che, attraverso il linguaggio
e la parola, inaugura l'identità ebraica. In questo senso, la storia del Diluvio e della
salvezza, rappresentano le origini arcaiche di questa identità».
È dunque un atto fondativo?
«Sì. E come ogni atto fondativo richiede la nascita di un nuovo linguaggio. Il vecchio
linguaggio è servito ad aggirare la punibilità delle leggi. A coprire la verità e non a
svelarla. Oggi conosciamo perfettamente cosa sia la manipolazione del linguaggio, l'uso
delle parole che ci allontanano dal vero».
Quindi il naufragio di cui parla la Bibbia ha qualcosa in comune con il nostro naufragio?
«Il grande naufragio del nostro mondo ha molto a che vedere con il Diluvio. La storia del
Diluvio è comune a moltissime civiltà e religioni. Tuttavia la narrazione biblica si
differenzia dalle altre in quanto insiste sul come ci si salva dalla catastrofe».
Dopo il Diluvio abbiamo la storia della Torre di Babele. Che significa questa successione?
«Rafforza la storia precedente. Il testo biblico parla di una città in costruzione i cui
costruttori sembrano prigionieri di un linguaggio composto da parole uniche comuni.
Questa città che non riconosce le virtù della diversità, non vi sono lingue differenti. C'è
una lingua verticale, monolitica e minacciosa che impedisce lo sviluppo orizzontale delle
lingue plurali. La Torre di Babele in ultima analisi mostra la nascita del linguaggio
assolutistico. In quel linguaggio sono già presenti in fieri tutti i totalitarismi e fascismi
della Storia. La Torre di Babele è la fine dell'illusione del "come sarebbe bello se
parlassimo tutti la stessa lingua". No, non è bello affatto, annulla il tempo della
riflessione, dell'apprendimento, del dubbio, della contraddizione. La diffusa
incomprensione nel nostro mondo connesso nella Rete è la versione attuale della Torre
di Babele. Siamo nuovamente piombati nell'ignoranza della differenza tra linguaggio e
lingua, tra coscienza magica e coscienza critica».
Cosa intende per coscienza magica?
«La coscienza magica non dà spazio alle interpretazioni, non conosce dubbi. La
percezione del mondo è nell'ordine dell'abracadabra, è scritto così quindi è così. La
coscienza magica è la madre di tutti i totalitarismi e ha contaminato, in gradi diversi,
tutti i monoteismi. I saggi cabalisti leggono il mondo come un immenso intreccio di
lettere, un linguaggio che spetta all' uomo decifrare e trarne una lingua per comunicare.
La coscienza evoluta estrapola parole, frasi, paragrafi, storie che a loro volta
comporranno la storia dell'umanità».
La coscienza magica è l'altra faccia del fondamentalismo...
«È il prolungamento acritico di una presunta volontà divina del braccio del terrorista che
uccide. L'Isis è un chiaro esempio di coscienza magica, di manipolazione delle coscienze
attraverso il conformismo dogmatico.
Non conosciamo le reali motivazioni dell'Isis, al di là di fatti economici ed espansionistici,
sappiamo che si esplicitano attraverso un dogmatismo che affascina la coscienza
magica, imperante non solo nelle società mediorientali ma in forme attutite e meno
evidenti anche nelle nostre società».
A cosa pensa?
«A questi anni trascorsi sotto il segno di una finanza magica che fideisticamente
prometteva di arricchire tutti e non ha fatto altro che spogliare l'uomo dei suoi beni».
IL FOGLIO
Pag 1 La libido dei preti? Fatevi i fatti vostri di Giuliano Ferrara
Ci sono cose di cui stupirsi. Perché i giornali mondani, commerciali, laici, sono così
scandalizzati per il fatto che ci sono dei preti che fanno sesso, e magari anche orge?
Intanto dovrebbero farsi tre o quattro etti di cazzi loro. I laici adorano il sesso, gli hanno
dato la palma della libertà nel modo di vita occidentale, lo coltivano nel conscio e nel
subconscio, in alto e in basso, non so quanto e come lo pratichino, ma di nuovo sono
affari loro. Hanno sparso il mondo di pornografia digitale, benedetta, di saune, di
bordelli, di macchinette per gli anticoncezionali a scuola, di famiglie disfunzionali in tutto
tranne che nell'adulterio rivendicato e praticato, deridono la monogamia come una
brutta mania, detestano il matrimonio, incoronano la cultura gay come la signora e
padrona del nostro immaginario (loro usano questa parola a tutto spiano). Poesia,
letteratura, mondanità di stelle stelline della tv, del cinema, della moda, tutto parla di
sesso, di corpo carnale, e niente è riservato all'anima, questa negletta e nascosta
divinità delle culture antiche. Ma ai preti richiedono astinenza e castità, in nome di non si
sa che dal loro punto di vista, ai poeti no, all'immagine del maschio e della femmina no,
ai loro figli non sia mai, e se capita un incidente c'è sempre l'aborto pronto, libero, un
diritto essenziale del cittadino. Ora, i preti hanno un rapporto speciale con Dio, è noto, e
dunque anche con Satana, l'angelo caduto, portatore di luce e di tenebra nel mondo,
custode del destino eroico e infernale del genere umano. Io quando li penso di carne, i
preti, e quando li immagino alle prese con i richiami del mondo, della donna e del
fanciullo, nel mondo com'è, io li piango e ho compassione e amore per loro. Perché
invece un giornalista che porta allegramente il nome di un celebre Formula 1 gli dà la
caccia su incarico dell'Espresso? Perché Michele Serra non volge a questi benedetti
peccatori, al loro dramma, una parte del suo inquieto moralismo da prima pagina?
Perché insceniamo questo teatro dell'assurdo di un mondo sessuato fino al midollo,
trasgressivo e libertario, che quando si parla di preti e sesso mette in atto la caccia alle
streghe al posto dell' Inquisizione, oggi Sant'Uffizio anzi congregazione della fede? Di
quale congregazione fa parte il settimanale del mio amico Tommaso Cerno, parodista di
talento di padre Dante? La libido dei preti è un problema della chiesa. Al massimo delle
loro occasionali compagne in quel di Padova. Saranno processati in canonica, in
confessionale, saranno ridotti allo stato laico, cioè precisamente allo stato sessuato del
mondo che li giudica con tanta impudenza, ma che c'entrano i grotteschi processi a
mezzo stampa, a parte il voyeurismo e le copie vendute? I nipotini di Sade avrebbero
poco da dire, nel loro spietato illuminismo, al dramma segreto degli oscurantisti. E
invece come sono petulanti, quante gliene danno, di baie e di gogne. Ne parlai ai tempi
di don Gelmini. Gli piacevano i trastulli con quei tossici e carcerati che aveva salvato.
Pasolini fu fatto santo, Gelmini fu fatto diavolo. Ingiusto, trovo, no? Paolo Prodi il grande
diceva che la norma a una dimensione, dopo la crisi del diritto canonico, era diventata il
nuovo canone univoco e ideologico di un mondo occidentale privo di sacro che merita di
scomparire (quel merita lo aggiungo io che non sono uno storico compassato e pieno di
scienza). Ma Cacciari che dice, perché non si leva a difesa del Negativo come elemento
della carne e dello spirito del consacrato libidinoso? La chiesa cattolica prenda le sue
decisioni. Vogliono eliminare il celibato, dopo aver introdotto il divorzio e l'adulterio?
Facciano. Nulla glielo impedisce. Ma la chiesa laica la finisca di perseguitare quegli
uomini che si conformano ai suoi princìpi, e che dopo il Vaticano II si sono immersi nel
mondo come mai prima e hanno trasformato i tormenti bernanosiani del curato di
campagna nelle orge sataniche di Padova.
Pag 1 La tentazione del ritorno al passato di mat. mat.
L’ipotesi di cassare la riforma di Wojtyla contro i preti pedofili
Roma. Il settimanale britannico The Week ha pubblicato nei giorni scorsi un
documentato articolo in cui si sostiene che è in avanzata fase di studio, in Vaticano,
l'ipotesi di affidare alla congregazione per il Clero l'autorità di indagare sui casi di abuso
sessuale da parte di ecclesiastici. A rimetterci, secondo tale progetto, sarebbe la
congregazione per la Dottrina della fede, che si vedrebbe spogliata così delle sue attuali
facoltà in materia. Un ritorno al passato, più che una novità. Era il 2001: lo scandalo
pedofilia scuoteva la chiesa americana, con chiari riflessi romani. Le denunce erano
all'ordine del giorno, la grancassa mediatica cingeva d'assedio San Pietro. Un anno dopo,
Giovanni Paolo II accettò le dimissioni dell'allora arcivescovo, il cardinale Bernard Francis
Law, che poi sarebbe stato nominato arciprete di Santa Maria Maggiore. Per arginare la
marea montante, il Papa promulgò il motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela:
all'ex Sant'Uffizio (guidato dal cardinale Joseph Ratzinger) veniva dato pieno mandato di
investigare sui casi che giungevano in Vaticano, sottraendo poteri ai vescovi locali. Pochi
mesi dopo, fu promulgata dalla Dottrina della fede l'istruzione De delictis gravioribus,
che chiariva le procedure da attuarsi. La linea ispiratrice della riforma era semplice:
accentrare il più possibile per evitare gli insabbiamenti così diffusi a livello periferico, con
le denunce di abusi da parte di sacerdoti che come conseguenza (il più delle volte)
avevano il semplice trasferimento del colpevole da una parrocchia all'altra. Riforme che il
Papa, scrive Michael Brendan Dougherty, sarebbe intenzionato a rivedere, riportando in
gioco la congregazione per il Clero, dove il prefetto è il fidato cardinale Beniamino Stella,
con il quale l'intesa è di gran lunga migliore rispetto a quella con il titolare dell'ex
Sant'Uffizio, il cardinale Gerhard Ludwig Müller. Francesco di recente - prosegue The
Week - ha richiesto un parere circa la fattibilità del piano al Pontificio consiglio per i testi
legislativi, guidato dal cardinale Francesco Coccopalmerio. Il responso è stato positivo. Il
problema è che, s'osserva oltretevere, ripristinare una situazione che ha già dimostrato
tutte le sue lacune si scontrerebbe con la severità che il Pontefice va sottolineando
ogniqualvolta si sofferma sulla piaga degli abusi sessuali su minori da parte di membri
del clero (da ultimo, l'ha fatto nel messaggio per la festa dei Santi Innocenti, a fine
dicembre). Basti considerare la decisione, del 2015, di sanzionare per "abuso d' ufficio
episcopale" i vescovi che non danno seguito alle denunce di violenza a carico di
ecclesiastici. Ad avvertire circa i rischi che si corrono con un ritorno al passato c'ha
pensato il cardinale William Levada, prefetto della congregazione per la Dottrina della
fede dal 2005 al 2012. Intervistato dal National Catholic Register, il porporato - pur non
entrando nel dettaglio delle indiscrezioni romane - ha sottolineato che "l'esperienza che
la congregazione ha nell'implementazione del motu proprio di Giovanni Paolo II
dovrebbe favorire la scelta di continuare così", lasciando cioè le cose come stanno.
Torna al sommario
7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA
CORRIERE DEL VENETO
Pag 9 “Mose, anticipiamo i soldi pur di finirlo. Imprese contrarie? Ne troviamo
altre” di Alberto Zorzi
Il nuovo provveditore: il Cvn ora è un pezzo di Stato. Fiengo: stiamo semplificando
Venezia. Il Mose va finito, non ci sono dubbi. E i soldi? E i 221 milioni che forse ci sono,
forse no? Roberto Linetti, il nuovo provveditore interregionale alle opere pubbliche che
da appena un mese ha sostituito il predecessore Roberto Daniele, ha le idee più che
chiare. «I soldi non sono un problema, perché la situazione è cambiata rispetto al
passato - ha spiegato ieri Linetti in una delle sue prime uscite ufficiali, a un convegno
sugli appalti all’Arsenale - Ora alla guida del Consorzio Venezia Nuova ci sono i
commissari, tre persone dello Stato, da cui io non mi aspetto fregature. Ora abbiamo la
garanzia che i progetti sono fatti bene, che costano il giusto e non ci sono “ricarichi”, che
non si fanno interventi inutili». I soldi ci sono, ribadisce il 63enne ingegnere, che viene
dallo stesso ruolo in Lazio, Abruzzo e Sardegna: «Abbiamo ricevuto l’assicurazione che i
221 milioni sono stati inseriti in una voce più generica nella legge di stabilità», spiega. E
lo Stato potrebbe aprire i cordoni della borsa anche prima. «Bisogna concludere a forza il
Mose - spiega - Se ci sono lavori fatti male, rimettiamoci le mani, anche anticipando i
soldi in attesa che poi la magistratura dica di chi è la colpa. A costo di pagare qualcosa
in più dobbiamo raggiungere l’obiettivo». Musica per le orecchie di Giuseppe Fiengo, uno
dei tre commissari, coordinatore dell’incontro che ha visto la partecipazione di personale
del Cvn e di tantissimi avvocati del settore. «Il messaggio è chiaro - afferma - Lo Stato
ci mette la faccia». Linetti peraltro ne ha avuto anche per le imprese, che un tempo
erano l’anima forte del Consorzio, mentre oggi soffrono anche della congiuntura non
favorevole del settore. «Qui lavorano tre imprese tra le più importanti in Italia, ma non
sono certo le uniche - ha spiegato - Se sono in difficoltà e se sperano che noi saremo
presi per il collo, si sbagliano. Ho già espresso ai commissari la mia volontà di poter
mettere a gara tutti i lavori non connessi a quelli già fatti: ci sono opere che sono in
grado di fare tutti, il mercato ne ha bisogno, anche quello locale». Parole forti che
arrivano proprio nei giorni in cui lo Stato ha in realtà incassato una sconfitta da parte
delle imprese: il Tar del Lazio ha infatti accolto il ricorso dei privati che avevano
protestato contro la decisione della Prefettura di Roma (che è l’ente gestore del
commissariamento) di congelare i loro utili in attesa della definizione dell’inchiesta
penale. Decisione che peraltro probabilmente verrà impugnata al Consiglio di Stato dalla
stessa Prefettura. Fiengo ha confermato che – pur tra le mille difficoltà di un’opera
unica, complessa ed ereditata dai commissari a metà del guado – l’obiettivo resta quello
di concludere i lavoro per metà 2018, cioè tra un anno e mezzo. «I commissari
resteranno qui fino al 2021», ha aggiunto, perché poi c’è la fase di avviamento,
manutenzione compresa. «Ogni appalto ne aveva una propria - spiega Fiengo, avvocato
dello Stato - ma era un sistema spezzettato e complesso. Noi dobbiamo mettere tutto
insieme e il problema è proprio quello dell’interconnessione, dell’unicità della
responsabilità. Cerchiamo di semplificare le cose a tutti i livelli». Proprio nei prossimi
giorni dovrebbe iniziare un’altra fase cruciale del cantiere, l’installazione delle paratoie a
Malamocco. Le enormi dighe sono già stoccate in bocca di porto, pronte a «uscire» ed
essere agganciate ai cassoni. La data prevista per la prima movimentazione era il 30
gennaio, ma le cattive previsioni meteo potrebbero far slittare di un paio di giorni
l’operazione. Più o meno sarà installata una paratoia a settimana, per finire la bocca
entro l’estate. Nel frattempo la stessa operazione sarà eseguita a Chioggia.
IL GAZZETTINO DI VENEZIA
Pag XI Troppi disordini, stop a Ca’ Letizia di Alvise Sperandio
La mensa dei poveri chiusa da ieri fino a lunedì. Don Bonini aveva lanciato l’allarme. La
San Vincenzo: “Dobbiamo dare un segnale. Il Comune mandi i vigili”
Ca' Letizia chiude un fine settimana per disordini. Da ieri e fino a domenica compresa, la
mensa per i poveri gestita dalla San Vincenzo in via Querini, tiene chiusi i battenti per
allentare la pressione a cui è sottoposta in questo periodo e che negli ultimi giorni è
degenerata. Ogni sera non sono mancati episodi di tensione, a causa di soggetti
completamente ubriachi che hanno creato non pochi problemi ai volontari e a quanti
ogni giorno arrivano per consumare un pasto caldo nella struttura. «Assistiamo a
un'escalation rispetto alla quale non si poteva non dare un segnale spiega il presidente
della San Vincenzo, Stefano Bozzi Ci abbiamo riflettuto a lungo, poi abbiamo deciso di
compiere il passo perché la situazione non è più tollerabile». Nessuna rissa vera e
propria, ma sono cresciuti a dismisura i momenti difficili da gestire perché c'è chi, in
preda ai fumi dell'alcool, ha atteggiamenti provocatori e finisce per lanciare insulti o
spintonare chi gli capita a tiro. Gli stessi volontari, da quelli che regolano gli ingressi a
chi serve a tavola (130 cene al giorno, oltre alle colazioni) spesso sono stati offesi, con il
rischio che un richiamo all'ordine si trasformasse in uno scontro fisico. Negli ultimi giorni
più volte è stato chiesto l'intervento della Polizia e dei Vigili urbani, ma anche questo,
evidentemente, non è bastato a riportare la calma. Così, la San Vincenzo ha deciso di
passare alle maniere forti, non come segno di resa ma, al contrario, per dare un
messaggio forte. «L'obiettivo non è solo allentare la tensione, ma anche far capire che ci
sono delle regole da rispettare. E, perché no, magari sensibilizzare i poveri che vengono
a cenare con rispetto a isolare i facinorosi, che non sono molti, ma stanno provocando
parecchi disagi. E sarebbe opportuno che il Comune ripristinasse il presidio fisso dei vigili
urbani», sottolinea Bozzi. Dopo la polemica tra il sindaco Luigi Brugnaro e il patriarca
Francesco Moraglia sull'ipotesi di spostare le mense per i poveri in periferia, nei giorni
scorsi anche l'ex parroco del Duomo don Fausto Bonini aveva chiesto pubblicamente un
servizio continuativo di vigilanza fuori dalle mense cittadine. A Ca' Letizia da ieri sono
stati sospesi anche tutti gli altri servizi erogati, vale a dire il centro diurno per senza
fissa dimora (gestito con operatori del Comune), le docce e il guardaroba. Erano almeno
20 anni che non si arrivava a una chiusura, per quanto provvisoria, come dura reazione
ai disordini.
Pag XVI Sono 150 le prenotazioni per lo spettacolo “gender” di Luisa Giantin
Il discusso “Fa’afafine” verrà visto da bambini tra gli 8 e gli 11 anni
«Lo spettacolo Fa'afafine è di altissima qualità, parla del desiderio di felicità dei bambini
e invito a vederlo prima di giudicarlo». Nina Zanotelli, direttrice artistica de La Piccionaia
centro di produzione teatrale che da vent'anni cura la stagione nel teatro comunale villa
Dei Leoni di Mira, difende la scelta artistica di proporre lo spettacolo che è stato preso di
mira dall'assessora regionale Elena Donazzan che lo considera un manifesto della teoria
gender. Lo spettacolo contestato è stato già prenotato da alcune scuole e finora sono
150 i bambini, tra gli 8 e gli 11 anni, iscritti all'evento. «Quest'anno proponiamo 13
spettacoli e ben 19 repliche da novembre ad aprile spiega Zanotelli. Alcuni titoli sono
stati raddoppiati proprio per fare fronte alle richieste delle scuole e complessivamente
parteciperanno alla rassegna circa 5500 bambini e ragazzi». Tra i 13 titoli c'è anche
Fa'afafine. Ciao, mi chiamo Alex e non sono un dinosauro lo spettacolo che ha suscitato
molte polemiche e che racconta la storia di Alex, «un bambino che vorrebbe, anche lui,
essere un faa'fafine, un gender creative child, un bambino/a» come si legge nella scheda
informativa dello spettacolo, dedicato ai bambini tra gli 8 e gli 11 anni. Per questo
l'assessore regionale all'Istruzione Elena Donazzan ha chiesto al Ministro Valeria Fedeli di
bloccare la visione dello spettacolo da parte delle scuole. «La scelta di ogni spettacolo è
molto ponderata replica la direttrice artistica de La Piccionaia ponderata sui progetti
artistici e sulla storia della compagnie: ogni spettacolo viene visionato da me o dal mio
staff. Inoltre a settembre organizziamo un educational per le scuole e gli insegnanti che
intendono partecipare agli spettacoli in matinè per Teatro scuola, quando viene illustrato
ogni spettacolo. Inoltre proponiamo supporti didattici e formativi per preparare i bambini
alla visione. Poi sta agli insegnanti richiederli». La direttrice preferisce mantenere il
riserbo su quali sono le scuole che parteciperanno alla proiezione di Fa'afafine l'8 marzo.
Il teatro, che può ospitare fino a 300 spettatori, quel giorno però sarà pieno solo a metà,
avendo ricevuto finora prenotazioni per 150 bambini.
Torna al sommario
8 – VENETO / NORDEST
CORRIERE DEL VENETO
Pagg 2 – 3 Scandalo sessuale, il vescovo chiede scusa di Andrea Priante, Nicola
Munaro, Alessandro Macciò e Francesco Chiamulera
La lettera dall’Ecuador di monsignor Cipolla: “Ci deridono, mi vergogno. Questa ombra
non cancelli la nostra storia di santità. La confessione di don Andrea: “Ho fatto le orge
con 5 donne”. E Rovolon difende l’altro prete: “Lo perdoniamo, non è mica un pedofilo”.
Il teologo Mancuso: “Casi troppo pesanti, la Chiesa deve cambiare”
Padova.
Quattro
settimane
di
«sofferenza»,
di
«pesanti
situazioni»,
di
«commiserazione». Ma soprattutto quattro settimane di silenzio sullo scandalo delle orge
organizzate in canonica da don Andrea Contin. Un silenzio che il vescovo di Padova
Claudio Cipolla ha interrotto ieri. L’ha fatto con una lettera «alle comunità cristiane della
Chiesa di Padova» diffusa mentre si trova in Sud America, impegnato nella visita alle
missioni diocesane in Ecuador e Brasile. Nella premessa, fa sapere che «sta seguendo
con attenzione tutte le vicende». E non potrebbe essere altrimenti visto che - come
spiega la nota con cui ieri la Santa Sede ha risposto alle domande del Corriere del
Veneto - «il “caso di Padova” non rientra nelle competenze specifiche della
Congregazione Dottrina della Fede. Il caso è locale, gestito quindi direttamente dalla
Diocesi di Padova». Insomma: il peso dello scandalo è tutto per monsignor Cipolla. Nella
lettera (riportata per intero qui sotto), il vescovo definisce quello che sta attraversando
la diocesi un momento di «sofferenza per me, per i preti, i diaconi, le persone
consacrate, ma anche per tutte le nostre comunità» che si ritrovano «provate, confuse,
scandalizzate». Non cita espressamente don Contin, nè la parrocchia di San Lazzaro, e
neppure le accuse che lo riguardano. Ma il riferimento è evidente quando ricorda che «il
male esiste anche nelle chiese come nei singoli credenti» e che chiunque «vive nel
continuo pericolo di passare da santificatore a tentatore, da servo del bene a servo del
male». La lettera tradisce lo sconforto per quanto sta emergendo. Il vescovo cerca in Dio
la forza per superare tutto questo: «Sempre più tenacemente devo aggrapparmi a Lui,
anche quando i miei compagni, quelli su cui contavo, tradiscono l’impegno preso
insieme». Lo scandalo - lo sa bene - è grande: «Mentre i nostri giornali si gloriano di
aver bucato lo schermo a livello internazionale, io mi vergogno, non solo come uomo di
Chiesa, perché abbiamo guadagnato solo la commiserazione di molti, l’ironia e la beffa di
molti altri. Non tutti capendo che è una ferita dolorosa...». Poi, il passo chiave della
lettera, quello in cui si carica sulle spalle la «croce» di quando sta capitando e invoca il
perdono: «Questi fatti gettano un’ombra tenebrosa soprattutto sulla nostra Chiesa: forse
è per questo che mi vergogno e vorrei chiedere io stesso perdono per quelli che, nostri
amici, hanno attentato alla credibilità del nostro predicare». Infine assicura che la
diocesi interverrà nei confronti dei preti coinvolti: «Secondo le regole che come Chiesa ci
siamo dati, siamo in dovere di prendere provvedimenti disciplinari (...) Anche noi,
Chiesa di Padova, vogliamo onestà e coerenza, soprattutto al nostro interno».
Sento il bisogno di farmi presente in questo momento di sofferenza della nostra Diocesi,
sofferenza per me, per i preti, i diaconi, le persone consacrate, ma anche per tutte le
nostre comunità. Immagino quanto siano provate, confuse, scandalizzate da vicende
collegabili con la nostra Chiesa. Non è la prima volta che viene messa a prova la fede di
tanti di noi. Anche a me stesso ricordo che ogni Cristiano, ogni credente resta un uomo,
che ogni giorno deve rinnovare, proprio per la sua fragilità di creatura, la sua alleanza
con il Signore e la sua comunione con lui e con la comunità. Il male esiste anche nelle
chiese come nei singoli credenti. Spero che queste esperienze non facciano ritenere
inutile il nostro impegno per il bene, per la purezza, per l’onesta e per tutte le altre virtù
umane che noi cristiani riteniamo necessarie per raccontare la nostra fede. Non
cambiamo la strada indicata dal Vangelo e insieme continuiamo a lottare per il bene,
nonostante tutto! Anzi, sento ancora più urgente e necessario crescere nella Fede
proprio a causa di queste “pesanti situazioni”, sento ancora più forte la chiamata a
costruire la mia vita su Gesù e il suo Vangelo come su una roccia, l’unica sicura e so che
sempre più tenacemente devo aggrapparmi a Lui, anche quando i miei compagni, quelli
su cui contavo, tradiscono l’impegno preso insieme. Ne abbiamo attraversate altre di
situazioni gravi e ogni volta sappiamo che dobbiamo tornare all’origine della nostra fede
per trovare forza. Sappiamo anche che Dio sarà sempre fedele. Adesso sono nella
circostanza di dover cercare forza spirituale non solo per me stesso, ma anche per i miei
fratelli nel presbiterato e nel diaconato e so che con loro siamo chiamati a sostenere voi
carissimi fratelli e sorelle, voi che giustamente vi aspettate sostegno e aiuto dal nostro
servizio. Altro non possiamo fare che inginocchiarci insieme e invocare aiuto e
misericordia dal Signore. Sempre di più. Sapendo che nessuno è arrivato alla meta e che
vive nel continuo pericolo di passare da santificatore a tentatore, da servo del bene a
servo del male. Vi ho raggiunto per chiedere una preghiera più intensa per la nostra
Chiesa, per i suoi preti e diaconi, per le nostre famiglie, e anche per me: che il Signore
ci soccorra e ci doni la sua pace. Mi hanno fatto bene in queste settimane le preghiere,
la vicinanza e la solidarietà di tanti fratelli e sorelle, soprattutto di tanti amici preti e
vescovi. Mentre i nostri giornali si gloriano di aver bucato lo schermo a livello
internazionale, io mi vergogno – non solo come uomo di Chiesa – perché abbiamo
guadagnato solamente la commiserazione di molti, l’ironia e la beffa di molti altri. Non
tutti stanno capendo che è una ferita dolorosa per la nostra Chiesa e per la nostra
società padovana. Questi fatti gettano un’ombra tenebrosa soprattutto sulla nostra
Chiesa: forse è per questo che mi vergogno e vorrei chiedere io stesso perdono per
quelli che, nostri amici, hanno attentato alla credibilità del nostro predicare. In questo
campo anche se penalmente non ci fosse rilevanza, canonicamente, cioè secondo le
regole che come Chiesa ci siamo dati, siamo in dovere di prendere provvedimenti
disciplinari perché non possiamo accettare fraintendimenti. Ma non dobbiamo
dimenticare che la nostra Chiesa splende per storie e persone sante, sia nel passato sia
nel presente. Non merita di essere ridotta solo a tutti gli errori e peccati commessi nella
sua recente storia, come se si trattasse di una storia di malefatte, ne è giusto
presentarla così ai nostri giovani, ai nostri ospiti, alle nostre famiglie. Io sono arrivato da
poco qui ma di fronte alla mia Chiesa patavina so di dovermi togliere i calzari... perché è
terra santa! Questo male, che fa tanto rumore, non mi impedisce di ricordare e di
vedere i tanti preti e diaconi che hanno sacrificato la vita nella coerenza, con umiltà e
fedeltà, il bene che tanti uomini e donne stanno vivendo nella discrezione e fuori dai
riflettori, a Padova, in Italia, all’estero... la nostra è terra santa! In essa vive il Signore!
Chiedo rispetto, in questo momento di dolore, per il bene che ha compiuto, per l’amore
manifesto per ammalati, anziani, portatori di handicap, poveri... per le opere di giustizia,
di carità, di cultura ed educative per le quali si è sempre spesa, come oggi. Anche noi,
Chiesa di Padova, vogliamo onestà e coerenza, soprattutto al nostro interno. A questo
educhiamo ed è questo che crediamo e che cerchiamo con tutte le nostre forze, da
sempre. Sia benedetto quindi anche chi ci aiuta a togliere il male anche quando si infiltra
così prepotentemente tra noi.
(Mons. Claudio Cipolla, vescovo di Padova)
Padova. Sono le 11.17 del 21 dicembre. Mancano quattro giorni a Natale e lo tsunami
che si sta per abbattere sulla parrocchia di San Lazzaro (zona commerciale di Padova
Est) è ancora una lieve brezza. Lo scandalo esploderà poche ore dopo quando sarà sulla
bocca dei più che don Andrea Contin, parroco amato e seguito di quella comunità, è
stato perquisito e messo sotto indagine per violenza privata e favoreggiamento della
prostituzione dopo la denuncia di una parrocchiana di 49 anni. Ma ancora nessuno sa
nulla. In quei minuti però, nella caserma dei carabinieri di Padova principale, don Andrea
Contin si siede davanti al maresciallo Alberto di Cunzolo, pronto a vuotare il sacco dopo
la perquisizione in canonica. L’italiano è quello ingessato di un verbale dei carabinieri. Le
parole sono però quelle di un sacerdote, che ammette il sesso e le orge. Ammette tutto.
«Dichiaro di aver conosciuto in parrocchia alcune donne». Sono cinque, don Andrea fa i
nomi (che non sono indagate e non hanno commesso alcun reato). Una di loro, quella
che il parroco cita più spesso, è la sua preferita. La donna che però l’ha denunciato ai
carabinieri il 6 dicembre, dando la stura all’intera indagine. «Con le stesse - continua il
verbale - dopo una lunga conoscenza ho avuto una relazione sentimentale sfociata in
rapporti sessuali. Questi si consumavano solitamente in canonica anche con la
partecipazione di altri uomini, anche di colore», ma questo solo, spiega il prete, quando
al centro delle orge c’era la sua preferita. I due si erano conosciuti nel 2010, ne era nata
una storia intensa e passionale. Nella denuncia lei dice che don Andrea le avrebbe anche
chiesto un figlio. Qualcosa poi s’è rotto e di fronte alle richieste di sesso estremo
avanzate dal parroco (che due giorni dopo l’interrogatorio lascerà la comunità per
ritirarsi prima in Croazia e ora in una casa protetta a Trento), lei aveva troncato il
rapporto. Stanca anche delle botte. Il racconto di don Contin continua. «A volte filmavo
questi incontri sessuali, ma mai all’insaputa» della sua compagna. Filmati contenuti in
chiavette Usb consegnate ai carabinieri e ora in mano all’ingegner Nicola Chemello che,
per conto della procura, dovrà visionarle e farle diventare perno di un rapporto. «Non ho
mai venduto e fatto vendere a terze persone quanto registrato. Non ho restituito i filmati
(alla quarantanovenne, ndr) nonostante lei me li avesse chiesti più volte, perché avevo
paura». Gli ultimi passaggi il don, accusato dall’ex amante anche di pagare transessuali,
li dedica alle sue gite fuoriporta. Giornate passate con la sua preferita e con un’altra
donna protagonista di quelle gesta erotiche. «Siamo andati a Trissino (Vicenza) in un
ristorante di cui non ricordo il nome, ma lì non abbiamo fatto sesso, solo all’interno di
una delle stanze ivi gestite, abbiamo consumato rapporti sessuali». Ma è sempre la
quarantanovenne la preferita. Con lei si regala una vacanza a Cape D’Agde, in
Linguadoca, Francia, «dove c’è un villaggio di naturisti. All’interno di esso abbiamo avuto
rapporti sessuali». La resa, prima della firma, nelle ultime tre righe del verbale:
«Consegno un paio di stivali bianchi da donna, materiale sessuale, sexy toys e video con
all’interno dei filmati hard» girati con la «sua» donna. Poi, un moto d’orgoglio, forse
l’ultimo tentativo di scacciare la tormenta. «Non ho mai avuto rapporti sessuali violenti».
Finisce tutto verso mezzogiorno. Da quel momento, nulla nella chiesa di Padova sarà più
come prima.
Rovolon (Padova). Dalla cima del campanile pendono le luminarie natalizie, sul sagrato
c’è un bel presepe con le statue in legno. A Carbonara di Rovolon, frazione di casette
sparse all’ombra dei Colli Euganei, sembra quasi che il tempo si sia fermato. E non è
soltanto un’impressione, dato che la chiesa è orfana del parroco: dopo aver confermato
di aver partecipato alle orge di don Andrea Contin, don Roberto Cavazzana (il cui caso
ieri è esploso anche sui social, ndr) ha lasciato la canonica e la scuola media di Bastia di
Rovolon (dove insegna religione) senza dire nulla. C’è chi dice che sia dai genitori nella
zona di Torreglia, dove il fratello gestisce un ristorante, ma nessuno sa niente di preciso.
In compenso, i paesani lo difendono a spada tratta: «La sua confessione è già una scusa
- dice una mamma con il passeggino -. Non si parla di pedofilia né di rapporti gay, per
cui siamo tranquilli. Bisogna distinguere l’uomo dal sacerdote, e don Roberto è un prete
in gamba: speriamo che torni presto, siamo pronti a mettere la firma e a perdonarlo».
«Don Roberto – aggiunge Maria Elena Sinigaglia, sindaco di Rovolon – ha ben operato e i
cittadini hanno sempre manifestato soddisfazione e affetto nei suoi confronti».
Quarantenne, belloccio ed elegante, don Roberto (che in passato aveva seguito alcuni
giocatori del Padova in qualità di padre spirituale e si era rifiutato di sposare Belen
Rodriguez, giudicando il suo matrimonio con l’ex ballerino di Amici Stefano De Martino
troppo glamour) era costantemente sommerso dagli inviti a pranzo e a cena. L’aumento
del pubblico femminile in chiesa aveva suscitato qualche battuta, ma don Roberto stava
al gioco e cercava di sottrarsi alle situazioni equivoche: quando ospitò gli scout in
canonica per una notte, ad esempio, il parroco andò a dormire dai genitori proprio per
evitare maldicenze. Donne a parte, don Roberto ha saputo riavvicinare i giovani e
rivitalizzare la parrocchia, tanto che le prediche domenicali richiamano fedeli da tutto il
circondario e anche da Rovigo: «Io andavo in chiesa solo a Natale, ora ci vado molto più
spesso – conferma Beniamino -. Don Roberto era sempre pieno di impegni, la notizia ci
stupisce anche per questo: se ciò che ha confessato è vero, non si capisce dove trovasse
il tempo per farlo». In pochi anni don Roberto ha restaurato la chiesa, ha organizzato
gite e campi scuola, ha trovato i soldi per il campo di beach volley e ha anche
ripristinato antiche tradizioni come il palio delle contrade e la benedizione delle cantine.
Tra gli eventi benedetti da don Roberto c’è anche il raduno dei motociclisti: il ricavato
della prima edizione venne devoluto a Casetta Michelino, la residenza per anziani
fondata a Padova da don Contin. Il motivo? Don Roberto conosceva don Contin dai tempi
del seminario e voleva sostenere la sua iniziativa, ritenuta meritoria.
Vito Mancuso, teologo, scrittore (ad ottobre è uscito Il coraggio di Essere Liberi ,
Garzanti), sulla vicenda di don Andrea interviene il vescovo di Padova, che dice: «Mi
vergogno e chiedo perdono». Come giudica le sue parole?
«Sono parole bellissime, io al suo posto non riuscirei a pensare ad altre. Quello che è
successo a Padova riguarda non solo i fedeli ma tutti i cittadini. E questo perché la
Chiesa, soprattutto in Italia, ha una forte valenza civile. È vero che esiste il principio di
laicità, la distinzione tra Stato e Chiesa - e meno male - ma sappiamo quanto la Chiesa
nel nostro paese sia rilevante per la coscienza di tutti. Quindi secondo me a essere in
gioco non è la coscienza dei soli fedeli: il vescovo deve rispondere a tutti i cittadini».
La reazione della chiesa padovana è un fatto nuovo?
«Lo sarà se alle parole seguiranno rapidamente dei fatti concreti. Diversi dai soliti
atteggiamenti ambigui, per non dire dagli insabbiamenti, ai quali si assiste di solito».
Che effetto hanno scandali come questo sulle comunità dei credenti?
«Verrebbe da dire: un effetto pesantissimo. Penso a un genitore, mandare i figli
all’oratorio non avverrà più con la serenità che poteva avere prima. Io ho la mia età, 53
anni compiuti, e non ricordo da ragazzo scandali così eclatanti. Magari avvenivano ma
erano tenuti estremamente sopiti: la figura del prete e della parrocchia era ancora
circondata da un’aura speciale. Qui invece sembra che le cose che scriveva Boccaccio nel
Decamerone non siano solo un fatto di finzione, una presa in giro, ma abbiano a che fare
con la vita concreta. Ed è indubbio che la credibilità della Chiesa cattolica esca sempre
danneggiata da vicende come questa. Alla faccia degli spot per l’otto per mille».
È il momento di ripensare il ruolo dei preti?
«Indubbiamente sì. Sono convinto che finché la Chiesa non affronterà in modo serio,
sistematico, virile, la sua crisi strutturale, le cose continueranno a ripetersi. Dico
strutturale perché riguarda gli elementi che tengono insieme la sua struttura stessa: i
sacerdoti sono le viti, i bulloni della Chiesa. Ma le soluzioni facili non sono a disposizione
di nessuno. Quelli che gridano “escludiamo a priori il sacerdozio femminile e il
matrimonio dei preti” o che viceversa pensano che introducendo il sacerdozio uxorato si
risolveranno di un colpo i problemi a mio parere sono sulla strada sbagliata. Nel mondo
ortodosso e in quello protestante vigono regole diverse ma non è che lì ci siano
impennate nelle vocazioni o che i sacerdoti si comportino sempre in modo integerrimo.
Nella nostra Chiesa si dice: cammino sinodale. Ovvero: mettersi in cammino. Cercando
la verità, discutendo per la prima volta in modo aperto, facendo parlare i preti
veramente. Perché tirino fuori i problemi».
La donna vittima di abusi aveva fatto denuncia sei mesi fa, ma il fatto è emerso solo
dopo l’intervento della magistratura. E non è la prima volta che Padova è attraversata da
casi come questo. C’è un problema di controllo a livello diocesano?
«Molti preti sono soli, troppo soli, avrebbero bisogno di più vita comune, come diceva il
cardinale Martini. Non voglio adesso fare del vittimismo, sono vicende inescusabili, ma il
problema esiste. La diocesi dovrebbe sempre vigilare. Poi però sorge spontanea
l’obiezione: e chi controlla i controllori? Non è che vescovi e monsignori siano esenti da
scandali vari. Leggevo oggi del vescovo emerito di Messina, al quale era stata lasciata
una grande eredità da un fedele facoltoso: salvo poi scoprire che tra i due c’erano stabili
rapporti omosessuali. E stiamo parlando di un vescovo...».
IL GAZZETTINO
Pag 6 Le trenta amanti dei due sacerdoti di Marco Aldighieri, Luca Ingegneri e Enrico
Silvestri
Il vescovo Cipolla: ”Mi vergogno”
La confessione di don Andrea Contin ai carabinieri è stata immediata. L'ex parroco della
chiesa di San Lazzaro a Padova indagato per favoreggiamento della prostituzione e
violenza privata, la mattina del 21 dicembre scorso, giorno della perquisizione in
canonica, ai militari in caserma ha ammesso le sue colpe. «In relazione alla
perquisizione che mi è stata fatta - ha detto davanti agli uomini dell'Arma - dichiaro di
avere conosciuto in parrocchia cinque donne, con le quali, dopo una lunga conoscenza,
ho avuto una relazione sentimentale sfociata in rapporti sessuali». Ma il sacerdote ai
carabinieri ha raccontato proprio tutto, quasi volesse liberarsi di un peso nell'anima.
«Questi rapporti si consumavano solitamente in canonica anche con la partecipazione di
altri uomini, anche di colore. Quest'ultima circostanza si è verificata sempre e solo con
una donna (l'ex amante, la parrocchiana di 49 anni che lo ha denunciato, ndr)». E
ancora «...A volte filmavo questi incontri sessuali, ma mai all'insaputa delle donna. I
filmati sono contenuti in alcune chiavette Usb, immagini che non ho mai venduto o fatto
vedere a terze persone. Non ho mai restituito i video alla donna (è sempre l'ex amante,
ndr) nonostante lei me li avesse chiesti più volte perché avevo paura». La confessione di
don Andrea Contin è proseguita con il racconto dei suoi fine settimana in alberghi e
ristoranti di lusso, sempre in compagnia di donne. «Con un paio di parrocchiane siamo
andati anche a Trissino in un ristorante ma lì non abbiamo fatto sesso, solo all'interno di
una delle stanze gestite da locale, abbiamo consumato rapporti sessuali. Con una donna
(ancora l'ex amante ndr) siamo andati anche in Francia e per la precisione a Cap d'Agde
dove c'è un villaggio di naturisti. All'interno del villaggio abbiamo consumato rapporti
sessuali». Il prete ha infine concluso la sua deposizione a verbale sottolineando che
«...Non ho mai avuto sessuali violenti. Consegno un paio di stivali bianchi da donna,
materiale sessuale, sexy toys e video con all'interno dei filmati hard girati con la
donna...». In realtà don Andrea non avrebbe raccontato proprio tutto agli inquirenti.
L'elenco delle sue amanti sarebbe molto più lungo. I carabinieri ne hanno identificato e
interrogato addirittura diciotto. E pure il numero delle donne dell'amico don Roberto
Cavazzana è in doppia cifra. Il parroco di Carbonara di Rovolon (Pd) ne avrebbe avute
quindici. Qualcuna di queste amanti sarebbe stata in comune tra i due parroci. Don
Andrea non ha mai spiegato agli investigatori in che modo finanziava le sue periodiche
trasferte nel lusso, in costosi luoghi di villeggiatura, alloggiato in hotel e resort a cinque
stelle dove praticava sesso con le sue amanti. Evidentemente con lo stipendio da
parroco o con le risicate finanze della comunità di San Lazzaro non avrebbe potuto
concedersi questi vizi. Don Contin avrebbe attinto a piene mani dai conti di Casetta
Michelino, la struttura per l'assistenza agli anziani di Pontevigodarzere di cui è stato
fondatore e amministratore. Attraverso l'associazione Progetto Senes, creata
appositamente per la gestione del centro diurno, l'ex parroco godeva di contributi
pubblici, sia regionali che comunali. Con simili garanzie aveva quindi libero accesso al
credito. Oggi però i conti di Casetta Michelino hanno assunto le sembianze di una
voragine. Perché, a fronte di affidamenti per tre milioni di euro, le casse piangono. E lo
scoperto del conto dell'associazione si aggira proprio sui tre milioni di euro. È questo il
nuovo fronte caldo dell'inchiesta coordinata dal pubblico ministero Roberto Piccione.
Non poteva tardare nel far sentire la sua voce il vescovo di Padova Claudio Cipolla, in
questi giorni in visita alle missioni di Ecuador e Brasile. E lo fa ammettendo la sua
vergogna e chiedendo perdono. Da un mese la Diocesi padovana è travolta da uno
scandalo sessuale che si allarga di giorno in giorno. Prima era solo don Andrea Contin,
parroco di San Lazzaro, solito intrattenersi con le alcune fedeli in canonica, poi si sono
aggiunti altri sacerdoti, come don Roberto Cavezzana di Carbonara di Rovolon, che
proprio ieri la diocesi ha allontanato dalla parrocchia. E nuovi nomi potrebbero presto
aggiungersi, visto che don Andrea era solito filmare e catalogare quanti partecipavano ai
suoi festini hard. Il vescovo è, come detto, in Sud America, ma di fronte all'incalzare
delle notizie, ha voluto far pervenire un suo messaggio...in questo momento di
sofferenza... immaginando quanto le comunità diocesane siano provate, confuse,
scandalizzate. Aggettivi che forse non rendono l'idea dello smarrimento dei fedeli, molti
dei quali si rifiutano tuttora di credere a quanto sta emergendo, parlando di complotti e
di notizie da confermare. Come non bastassero le accuse delle donne coinvolte nello
scandalo, i filmati e gli articoli da sex shop trovati in canonica e le ammissioni dei primi
due sacerdoti. Dopo aver dichiarato la sua cristiana comprensione per le debolezze
umane. ...ogni credente resta un uomo, che ogni giorno deve rinnovare, proprio per la
sua fragilità, la sua alleanza con il Signore... esprime il suo timore ... che queste
esperienze non facciano ritenere inutile il nostro impegno per il bene, per la purezza, per
l'onesta e per tutte le altre virtù umane ... e rivolge l'invito a ... lottare (insieme) per il
bene, nonostante tutto. Il vescovo ammette come Questi fatti (gettino) un'ombra
tenebrosa... sulla nostra Chiesa: forse è per questo che mi vergogno e vorrei chiedere io
stesso perdono e punta il dito contro coloro che ... hanno attentato alla credibilità del
nostro predicare nei confronti dei quali non verranno fatti sconti. In questo campo ammonisce Cipolla - anche se penalmente non ci fosse rilevanza, canonicamente...
siamo in dovere di prendere provvedimenti disciplinari perché non possiamo accettare
fraintendimenti Non manca la tiratina di orecchi anche per l'informazione. Mi hanno fatto
bene in queste settimane le preghiere, la vicinanza e la solidarietà di tanti fratelli e
sorelle, soprattutto preti e vescovi. Mentre i nostri giornali si gloriano di aver bucato lo
schermo a livello internazionale, io mi vergogno...perché abbiamo guadagnato
solamente la commiserazione di molti, l'ironia e la beffa di molti altri. Cipolla ricorda
come anche la Chiesa di Padova voglia onestà e coerenza A questo educhiamo ed è
questo che crediamo e per questo conclude, da uomo che crede nella Provvidenza,
benedicendo questa dolorosa circostanza perché ... ci aiuta a togliere il male anche
quando si infiltra così prepotentemente tra noi.
LA NUOVA
Pag 1 L’ultimo colpo per punire chi sgarra di Gianfranco Bettin
Ha il classico tocco di Felice Maniero, quest’ultimo colpo tirato dall’ex boss del Brenta. Vi
si notano la spietata volontà di colpire chi ha sgarrato (i parenti serpenti che, a suo dire,
gli stavano scippando un sacco di soldi loro affidati), la conoscenza perfetta dei
meccanismi criminali (come s’infratta e si ricicla il denaro sporco) e dei meccanismi
giuridici (usati al posto delle armi, stavolta, per liquidare chi bisognava, ma al tempo
stesso tenendo, con il timer della legge, al riparo della prescrizione i parenti fedeli).
Davvero una manovra griffata Maniero. Compreso un buon grado di spericolatezza,
perché certo la mossa innescherà un’ulteriore ricerca di tesori e tesoretti forse altrove
celati e ulteriori verifiche sul patrimonio e sulla condotta dell’ex boss. Ma questi rischi
devono essere stati messi in conto, e ben calcolati, come sempre Maniero ha fatto. È
stata infatti sempre questa la sua vera differenza: possedere, oltre che la stessa ferocia
e spavalderia dei suoi sodali, una superiore capacità di calcolo e un infinito cinismo. Una
capacità, anche, di concepire e sviluppare trame più complesse di quelle più rozzamente
malavitose, che dimostra fin dall’inizio. Sul suolo fecondo di una mala arcaica, infatti,
Maniero trasforma un’esplosiva congrega di suoi pari in una potente struttura criminale,
aggregando al nucleo originario del Piovese i più spregiudicati e determinati gruppi di
varie province, in particolare del Veneto orientale, della città storica di Venezia, e i più
duri fra tutti, i “mestrini” (tra Mestre e Marghera). Il giovane di Campolongo Maggiore li
unifica sotto un comando inventivo ed efficiente e, al caso, feroce nel reprimere i
conflitti, come dimostra la storia dei fratelli Rizzi, e non solo (l’omicidio chirurgico,
strategico, è una costante nella storia della banda). Il boss comanda, però, soprattutto
per la maggiore intelligenza generale, che tra l’altro gli suggerisce di lasciare una certa
autonomia ai vari nuclei, dai quali ottiene così la lealtà e la forza militare per tenere
sotto ferreo controllo gli affari sporchi (soprattutto lo spaccio di droga) in buona parte
del Veneto. Maniero è, dunque, l’uomo che trasforma la vecchia mala erede dei briganti
delle campagne, dei fuorilegge per destino sociale (come il veneziano Kociss, ben
descritto nella sua biografia da Roberto Bianchin) o per rabbiosa, cruda reazione a
sradicamento e marginalità (come nell’hinterland tra Mestre e Marghera) in un’impresa
criminale di nuovo tipo. Lo fa portandovi i legami che stabilisce, dapprima, con mafia e
camorra (il clan dei Fidanzati e Francis Turatello, soprattutto) e poi con le altre mafie e
perfino con gli apparati di stato che nascono all’est (in Croazia, ad esempio, dove a un
certo punto si sposa per ottenere la cittadinanza, una storia poco raccontata e forse
anche una pista poco seguita). È una parabola che la fiction ha a volte mitizzato, che è
stata meglio documentata dai media e narrata in vari libri (Dianese, Pasqualetto,
Zornetta), anche sullo sfondo del nuovo crimine del Nordest (Dinello-De FranciscoRossi). È sul finale di questa parabola che le cose si fanno più nebbiose, al punto che,
per raccontarlo più compiutamente, uno degli autori che meglio lo conoscono l’ha
esplicitamente romanzato (Maurizio Dianese, “Mala Tempora”, Aliberti editore). Ancora
in questi giorni, su quel periodo si sono interrogati gli investigatori che più hanno avuto
a che farci e che infine l’hanno sconfitto, magistrati come Pavone e Fojadelli, poliziotti
come Festa e il grande capo della Mobile veneziana Antonio Palmosi. È da quel finale di
partita, appunto, che scaturisce anche la partita attuale. Quanti soldi aveva accantonato
Maniero? E dove? Adesso sappiamo dov’era, in mano a parenti, almeno una parte di quei
soldi - provento di rapine, furti, sequestri, traffico d’armi e soprattutto di droga, la droga
che ha avvelenato e falcidiato la nostra regione e le nostre città, che ha fatto strage di
giovani e devastato famiglie e interi quartieri: l’infamia del boss non è quella del suo
pentimento, come dicono i suoi ex sodali, l’infamia imperdonabile, sua e loro, è stata
questa. Non è chiaro perché Maniero si sia risolto a questa mossa. Forse non aveva
alternative, per dimostrare che è sempre lui e che nessuno può permettersi di fregarlo.
Non li ammazza più, ma li rovina lo stesso, i suoi nemici. Corre un rischio, ma è tutto
calcolato, appunto. O forse, invece, anche l’ex “faccia d’angelo” è ormai provato, gli
affari avviati da uomo libero in crisi, la sua nuova identità inopinatamente spiattellata,
forse anche l’età che avanza, la scoperta che vivere nella normalità e secondo la legge
non è semplice per chi ha sempre fatto, da fuorilegge e anche dopo, il fenomeno. Non lo
sappiamo. Vedremo nel tempo se questo colpo di scena è il gesto inedito di un ex boss
indebolito e di un uomo in difficoltà o l’ennesimo acuto di un interprete rimasto ancora
protagonista e padrone di sé.
Pag 13 Don Contin ammette: “A letto con 5 donne” di Cristina Genesin
Spunta il mistero delle notti del prete a Cavallino – Treporti. Ai festini hard c’era anche
un altro parroco
Padova. «In relazione alla perquisizione che mi è stata fatta di cui al procedimento n...
dichiaro di aver conosciuto in parrocchia alcune donne per la precisione A.A., B.B., C.C.,
D.D. e E.E. (iniziali di fantasia per tutelare la loro privacy), con le stesse, dopo una lunga
conoscenza, ho avuto una relazione sentimentale sfociata in rapporti sessuali... Si
consumavano solitamente in canonica anche con la partecipazione di altri uomini anche
di colore ma solo con A.A.». L’autoaccusa. Sesso, orge con immigrati e filmini hard: don
Andrea Contin ha ammesso tutto, fin dal principio. Pur negando violenze, costrizioni e
minacce. Quella dichiarazione è contenuta nel verbale che il prete firma la mattina del
21 dicembre scorso. Di fronte a lui il sottufficiale dei carabinieri che ha coordinato la
perquisizione appena conclusa nella canonica dello scandalo, quella di San Lazzaro,
periferia est di Padova. Due settimane prima, il 6 dicembre, l’impiegata 49enne A.A.
aveva presentato la denuncia di 8 pagine che ha fatto scattare l’inchiesta per violenza
privata e favoreggiamento della prostituzione. Quell’atto d’accusa era stato confermato,
almeno in parte, da un’altra ex amante del prete, B.B., 51enne divorziata. Solo
successivamente la perquisizione: all’ultimo piano della canonica i carabinieri trovano
una stanza chiusa a chiave, all’interno un “set” a luci rosse tra catene da bondage,
collari, falli in plastica, lingerie da sexy shop, filmati in vari formati . Convocato in
caserma, don Andrea confessa. E indica per nome e cognome le amanti con il recapito di
cellulare. I filmini hard. E via con altri dettagli: «A volte filmavo questi incontri sessuali».
Filmava, insiste, mai all’insaputa della protagonista A.A., unica interprete di quelle
“pellicole” vietatissime. Il prete nega di aver venduto o fatto vedere ad altre persone
quei filmini pornografici, “salvati” nelle chiavette usb sequestrate con il resto del
materiale. Eppure la donna aveva chiesto in tante occasioni la consegna dei video
temendo che potessero essere divulgati in rete dal prete e venduti: una volta aveva
scoperto online una sua foto osé. Sempre nel verbale successivo alla perquisizione, don
Contin si giustifica: non aveva restituito i filmati «nonostante A.A. me li avesse chiesti
più volte». Il motivo? «Avevo paura» dice. Poi altre ammissioni. È vero, aveva
frequentato il lussuoso relais Ca’ Masieri a Trissino, nel Vicentino, sia con A.A., sia con la
51enne B.B.. Spiega di non ricordare il nome del ristorante, precisando di non aver fatto
sesso lì (nel ristorante) ma all’interno di una delle stanze: «Abbiamo consumato rapporti
sessuali». E il viaggio in Costa Azzurra nel villaggio per scambisti? Nuova conferma:
«Con A.A. siamo andati in Francia per la precisione a Cap d’Agde dove c’è un villaggio
naturisti». Pure lì si è fatto sesso, ammette consegnando i famosi stivali bianchi da
donna con il tacco, giocattoli sessuali e video hard impiegati nella “stanza dei giochi”. Il
Cavallino. Una bionda in minigonna. Una Jaguar X Type rosso bordeaux. Un locale di
Cavallino-Treporti nel Veneziano. Sono questi gli ingredienti di un piccolo mistero.
Contin, spacciandosi per medico legale frequentava nei weekend la gelateria Azzurra
della frazione di Ca’ di Valle a Cavallino - Treporti, tappa fissa del prete di solito
accompagnato da una bionda spesso in minigonna. A riconoscerlo con sicurezza dalle
foto sui giornali il gestore Giorgio Ballarin. «Era lui, non ho dubbi. L’ho visto con
frequenza settimanale per un anno e mezzo circa fino a ottobre dello scorso anno. Di
certo non posso dimenticare la donna che lo accompagnava, così bella ed espansiva. Lei
con un caschetto biondo, spesso con vestitini attillati di pelle, oppure minigonne e
stivaloni. Lui invece era molto più riservato. Beveva caffè d’orzo e nulla aveva del
parroco. Arrivavano solitamente attorno all’ora di cena e in una occasione mi hanno
addirittura chiesto dove potevano andare a cena».
Padova. È uscito dalla canonica l’altra mattina, come al solito, per andare a scuola. E
non è più rientrato. Sui giornali la notizia del prete, un parroco dei Colli che, convocato
in procura, ha ammesso rapporti sessuali con l’ex amante di don Andrea Contin,
appassionato voyeur in quelle occasioni. Spunta il nome. Lui è don Roberto Cavazzana,
parroco di Carbonara, frazione di Rovolon, amatissimo sacerdote nella sua comunità
molto attivo tra i giovani e la scuola. Un parroco diventato noto nell’autunno 2013 per
essere stato il padre spirituale della showgirl Belen Rodriguez quando aveva annunciato
il matrimonio con Stefano De Martino, iniziando un percorso spirituale affiancata dal
sacerdote presentato da un comune amico legato al Calcio Padova. Poi il rifiuto di don
Roberto a celebrare quelle nozze troppo mediatiche e destinate ai rotocalchi del gossip,
pur avendo sempre accolto la coppia durante la preparazione prematrimoniale nella
piccola canonica di paese: «Sono un prete. Il matrimonio è un sacramento, non un
carnevale mediatico. Mi sento a disagio» aveva spiegato, «I riflettori sono sempre
accesi: servizi sulla Chiesa, giornalisti che mi telefonano in continuazione. Io ho da fare,
sono un parroco di una unità pastorale. Insegno religione alle scuole medie». Don
Roberto: anima divisa, fragilità umana, contraddizioni che uomini anche di Chiesa
vivono? Il sacerdote non è indagato. Il nome e il cognome del parroco di Carbonara
erano stati indicati nella denuncia presentata il 6 dicembre scorso dalla 49enne
padovana che aveva raccontato come don Andrea l’avesse accompagnata dal collega:
con lui, don Roberto, aveva avuto rapporti sessuali. E don Andrea? Guardava, forse
filmava, non è ancora stato accertato finché non sarà pronta la consulenza tecnica
disposta dal pubblico ministero Roberto Piccione che coordina l’inchiesta. Nel pomeriggio
di venerdì scorso don Roberto è stato interrogato a Padova, al quarto piano del Palazzo
di giustizia, nella veste di persona informata sui fatti. Ha ammesso. E confermato la
versione della donna: l’ultima deflagrante notizia per la Diocesi padovana. E per il prete
di Carbonara che non è chiamato a rispondere penalmente (sempreché non siano
accertati pagamenti in danaro per quelle prestazioni). Ma solo rispetto a una Chiesa
ferita. E a un impegno tradito. Restano a carico di don Andrea le accuse di violenza
privata e di favoreggiamento della prostituzione: secondo la procura la donna (impiegata
in un ufficio pubblico, separata con un figlio) sarebbe stata pestata quando cercava di
sottrarsi alle richieste dell’ex parroco di San Lazzaro. Un parroco che – è il sospetto –
potrebbe averla “ceduta” a partner occasionali pescati dai siti bakeka.it, annunci69.it,
scambiomoglie.it, frequentati da chi mette a disposizione la compagna o la moglie – si
legge in alcuni annunci – in cambio di offerte o regalini. Nuove rivelazioni. Sempre nella
denuncia la 49enne narra che all’inizio del rapporto, iniziato nel giugno 2011, don
Andrea le avrebbe proposto di fare un figlio (lei aveva 44 anni). E le avrebbe confidato di
aver già un bambino, non riconosciuto, al quale provvedeva dal punto di vista
economico: questo fatto non è stato accertato dagli inquirenti visto che non riguarda il
profilo penale. Quello che, invece, gli investigatori vogliono accertare sono altri viaggi in
Croazia, nella penisola Istriana a Novigrad o Cittanova e a Lovran. E i pernottamenti in
un agriturismo vicino a Grumolo delle Abbadesse nel Vicentino per gli scambi di coppia.
Sempre accompagnato dall’amante preferita, una delle tante del suo harem. Forse una
delle più sottomesse ai suoi voleri per paura di essere picchiata come risulterebbe da
alcune foto allegate alla denuncia, definite impressionanti, e da due certificati medici del
Pronto soccorso. Tuttavia, si legge ancora nella denuncia, solo in un’occasione la 49enne
avrebbe trovato la forza di dire “no” di fronte alla richiesta di una pratica folle di sesso
estremo.
Torna al sommario
… ed inoltre oggi segnaliamo…
CORRIERE DELLA SERA
Pag 1 La catena degli errori di Sergio Rizzo
Non c’è forza umana che possa fermare un terremoto, né gli scienziati hanno ancora
scoperto un modo per impedire una nevicata imponente e perniciosa. Ma dire che l’uomo
non sia in grado di fare proprio nulla per contrastare gli effetti della furia degli elementi
naturali sarebbe assurdo. Per esempio, potrebbe cominciare evitando di dare loro una
mano: come invece spesso capita. La tragedia dell’hotel Rigopiano travolto mercoledì da
una micidiale slavina è illuminante. Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha definito
«difficilissime» le condizioni dei soccorsi. Ed è vero al punto che l’azione dei nostri
bravissimi soccorritori ha rasentato l’eroismo. Ma le condizioni si sono rivelate così
complicate soprattutto per le strade rese non percorribili dalla neve. Strade che però
erano ingombre anche a causa della carenza di spazzaneve. C’è chi in simili circostanze
puntualmente tira in ballo i tagli di fondi alle Province, forse dimenticando come pure
prima di quelle sforbiciate la manutenzione stradale non fosse proprio il massimo. Di
sicuro se la richiesta di sgombrare la strada arrivata nella giornata di mercoledì
dall’albergo fosse stata esaudita, ora non staremmo qui a piangere i morti di Rigopiano.
Alle tre del pomeriggio, a quanto pare, tutti erano pronti per andarsene: lo spazzaneve
non è mai arrivato. È arrivata invece la slavina. Ma stando poi alle cronache degli ultimi
anni, forse lì non doveva nemmeno esserci un albergo. Dove sorgeva il resort a quattro
stelle abbattuto da quella terribile valanga c’era un tempo soltanto un casolare. Una
costruzione di campagna in una zona destinata a pascolo che sarebbe stata ampliata
abusivamente occupando una porzione di suolo pubblico per realizzare, appunto, la
residenza alberghiera di cui stiamo parlando. Questo, almeno, secondo i giudici. Manco a
dirlo, infatti, la vicenda finì anche al centro di una indagine giudiziaria con il
coinvolgimento di due sindaci del Comune di Farindola, due assessori, un consigliere
comunale e un paio di imprenditori. Tutti rinviati a giudizio in seguito a una delibera del
settembre 2008 con la quale era stata concessa al costruttore la sanatoria per
l’occupazione abusiva del suolo pubblico. I magistrati arrivarono a ipotizzare che per
ottenerla fosse stato distribuito ai politici qualche zuccherino: alcune migliaia di euro e
magari certe assunzioni di favore. Il procedimento è andato avanti tre anni. Finché a
novembre del 2016 la faccenda si è chiusa con l’assoluzione di tutti gli imputati «perché
il fatto non sussiste». Va detto che comunque già dal mese di aprile era intervenuta la
prescrizione. Non andrebbero mai dimenticate le parole che alla fine di agosto dello
scorso anno pronunciò il vescovo di Rieti Domenico Pompili durante i funerali di 28
vittime della prima scossa del terremoto di Amatrice: «Non sono i terremoti che
uccidono. Uccidono le opere degli uomini». Ha ragione da vendere. La natura, ammoniva
già 180 anni fa Giacomo Leopardi nel poemetto La ginestra , non guarda in faccia a
nessuno. Non ha natura al seme/ dell’uom più stima e cura/ che alla formica...
Pag 8 Strade, case, soccorsi. Che cosa non ha funzionato di Virginia Piccolillo e
Fiorenza Sarzanini
Omissioni, ritardi, sottovalutazioni: nel giorno della tragedia di Farindola emergono tutte
le lacune che hanno segnato l’emergenza causata prima dal terremoto del 24 agosto e
poi dalle bufere di neve che hanno isolato moltissimi paesi. La macchina dei soccorsi
all’improvviso sembra essersi inceppata. Le promesse di dare al più presto un riparo agli
sfollati che dallo scorso agosto vivono nella disperazione per aver perso tutto e nel
terrore di nuove scosse, si sono infrante.
Scaricabarile tra gli enti - Per allestire i campi dove posizionare casette e container
bisogna assegnare gli appalti e creare le condizioni per la sistemazione dei prefabbricati
garantendo le forniture di acqua ed elettricità, il funzionamento dei servizi igienici, la
viabilità. Bisogna garantire la fornitura dei viveri e degli altri generi di prima necessità,
assicurare alle famiglie la possibilità che i ragazzi frequentino le scuole e dunque che i
collegamenti siano effettivi. In campo ci sono le Regioni, i Comuni, la Protezione civile, i
vari ministeri. Lo scaricabarile tra le istituzioni, le lungaggini burocratiche e i difetti di
comunicazione tra i vari enti hanno paralizzato gli interventi. E in alcuni casi hanno
addirittura provocato l’isolamento di interi paesi, impedito di portare soccorso a chi si
trovava in difficoltà. Proprio come è accaduto mercoledì sera quando nessuno è riuscito
a raggiungere l’hotel Rigopiano che si è così trasformato in una trappola mortale.
L’emergenza non dichiarata - Il 17 gennaio scorso una tempesta di neve mette in
ginocchio l’Abruzzo. Manca l’elettricità, gli impianti di riscaldamento vanno in tilt, molte
zone sono impossibili da raggiungere. Il governatore Luciano D’Alfonso annuncia la
richiesta di stato d’emergenza, poi si appella al ministro della Difesa Roberta Pinotti che
annuncia l’invio dell’esercito. È già troppo tardi. Appare evidente che lo stato d’allerta
non è scattato in tempo e questo rende gli interventi difficili, in alcuni casi impossibili.
Proprio come accaduto a Farindola, visto che nonostante la richiesta di aiuto fosse stata
lanciata mercoledì pomeriggio, la sera i soccorritori non sono riusciti ad arrivare
all’albergo neanche a piedi.
L’attesa per le casette - Il 29 novembre scorso l’allora presidente del Consiglio Matteo
Renzi annuncia: «Le prime casette di Amatrice sono in realizzazione da oggi, le prime 20
saranno pronte prima di Natale». Non è andata così visto che l’estrazione per assegnare
a sorte 25 casette nel paese in provincia di Rieti sarà effettuata questa mattina. E
altrove non c’è ancora alcuna certezza su quanto tempo dovrà trascorrere perché gli
sfollati riescano ad avere un alloggio. Come risulta dai report della Protezione civile
soltanto due aree per l’allestimento dei prefabbricati - una ad Amatrice e l’altra a Norcia
- sono quasi completate, mentre negli altri centri colpiti dal sisma la situazione è di
gravissimo ritardo. Risultano ordinate: 181 casette per Accumoli, 303 per Amatrice (in
tutto dovrebbero essere 459), 191 per Norcia e 80 per Arquata (dove dovrebbero essere
circa 200).
Solo tre campi container - Vanno a rilento anche le operazioni per la sistemazione dei
container che serviranno a creare i cosidetti campi attendati che avranno stanze da 2 o
3 posti e servizi in comune. Il progetto già approvato prevede l’allestimento di 10 campi
- 8 nelle Marche e 2 in Umbria - per un totale di 1.600 posti. L’elenco comprende
Camerino, Tolentino, Norcia, Petriolo, Amandola, Cascia, Pieve Torina, Caldarola, Visso,
San Ginesio. Attualmente soltanto tre campi sono finiti e sono quelli di Camerino,
Tolentino e Norcia. Entro la fine di questa settimana dovevano essere consegnati i
moduli per gli altri Comuni ma le condizioni meteorologiche hanno rimesso tutto in
discussione e adesso nessuno è in grado di stabilire quando si potrà procedere.
Le stalle e i fienili - Sono migliaia le persone che vivono grazie agli allevamenti di
animali. Per questo sin dall’estate scorsa i sindaci hanno evidenziato la necessità di
aiutare gli allevatori a non allontanarsi dalle zone terremotate e soprattutto a
provvedere al riparo delle bestie. Appelli che evidentemente in molti casi sono caduti nel
vuoto. La stima parlava di almeno 900 ripari per gli animali - con relativi container dove
alloggiare gli allevatori - che dovevano essere distribuiti. E invece nel Lazio ne sono stati
consegnati 39, in Abruzzo 14, nelle Marche 50 e in Umbria 90.
La rimozione delle macerie - Sono le Regioni a dover gestire le gare per la rimozione dei
detriti causati dalle migliaia di scosse. Ma sono i numeri a fornire il quadro della
situazione: nel Lazio (Accumoli e Amatrice) sono state rimosse circa 25.000 tonnellate.
Nelle Marche, da Arquata del Tronto, poco meno di 3.000. Ad Amatrice l’appalto alla
ditta che deve rimuoverle è stato assegnato al massimo ribasso. Ma lo sgombero
procede a rilento. A vedere il lavoro svolto si comprende che è una minima parte, in
alcune frazioni il lavoro non è ancora cominciato.
Le strade bloccate - È il problema che adesso rende impossibile raggiungere moltissimi
Comuni, paesi e frazioni bloccati dalla neve dove manca tutto e le persone rischiano di
morire. Fra turbine rotte e mezzi e spalaneve in affanno la situazione è diventata tragica
con il trascorrere delle ore. E in alcuni casi anche le strade a scorrimento veloce non
risultano agibili. Durissima l’accusa del vicesindaco di Arquata del Tronto all’Anas:
«Capisco, anche se non del tutto, che possano rimanere impraticabili a causa
dell’eccezionale nevicata le piccole strade che portano alle frazioni, ma che sia bloccata
la statale Salaria non è accettabile e qualcuno all’Anas se ne deve assumere la
responsabilità. Non può rimanere chiusa una strada di collegamento così importante
attraverso la quale devono giungere mezzi di soccorso come le turbine».
Edifici storici e chiese - Il «puntellamento» delle chiese e degli edifici storici era
cominciato con grande impegno, ma poi il ritmo è rallentato e le scosse successive al 24
agosto hanno distrutto un immenso patrimonio. Simbolo di questi ritardi è certamente il
campanile della chiesa di Sant’Agostino ad Amatrice che nessuno ha evidentemente
pensato a mettere in sicurezza e con le ultime scosse è definitivamente venuto giù.
Pag 11 Quell’apocalisse nove secoli fa. Il primo terremoto che fu misurato di
Gian Antonio Stella
«Fu il terremoto assai terribile. Per cui crollarono molte chiese coi campanili, e
innumerevoli case e torri e castelli e moltissimi edifici, sia antichi che nuovi; per il quale
anche i monti con le rupi crollarono e devastarono e in molti luoghi la terra si aprì ed
emanava acque solfuree…». La cronaca degli Annales Venetici breves offre un’immagine
nitida di cosa fu lo spaventoso scossone del 3 gennaio 1117. Nove secoli fa. «Fu il più
antico evento sismico del mondo per il quale si abbia un quadro dei danni tale da
consentire oggi di stimarne l’area epicentrale e la magnitudo con tecniche analitiche
rigorose, le stesse usate per analizzare terremoti di secoli più vicini», spiega Emanuela
Guidoboni, tra i promotori del convegno di oggi all’Istituto Veneto di Venezia sul tema
«Novecento anni dal più grande terremoto dell’Italia Settentrionale». Fu così devastante
quel cataclisma, coi suoi 9 gradi di intensità della scala Mercalli-Cancani-Sieberg e «una
magnitudo calcolata, a partire dal quadro complessivo del danneggiamento, tra 6.5 e
6.9» (quello in Friuli del 1976 fu di «appena» il 6,4 e ogni aumento di 0,2 punti di
magnitudo corrisponde al raddoppio della potenza) da seminare morte e rovine il tutta
l’area padana, da Cividale a Milano, da Bergamo a Pisa. «Per due volte fra il giorno e la
notte avvenne in tutto il mondo un terremoto tanto terribile che molti edifici crollavano e
gli uomini a stento riuscivano a fuggire; ma soprattutto in Italia, dove fu tanto
pericoloso e orribile, che gli uomini aspettavano su di sé il manifesto giudizio di Dio», si
legge negli Annales Sancti Disibodi , «e all’improvviso, per le spaccature della terra,
crollarono città, castelli, ville, con gli uomini che ivi indugiavano [a fuggire]. Infatti
anche i monti furono spaccati e i fiumi, la terra inghiottente, si essiccarono tanto che chi
voleva poteva attraversarli a piedi». Il fiume Po, aggiunge il cronista, «erigendosi dal
suo alveo, si levò in alto a guisa di arco in modo da aprire la via tra la terra e l’acqua e
da dare a intendere apertamente che minacciava la fine al mondo con i suoi flutti alti. E
l’acqua essendo rimasta sospesa così a lungo, finalmente si rimise in se stessa con tanto
suono, che il suo fragore si udiva per miglia». Furono trentamila, stando ad alcune
stime, le vittime di quell’evento, generato da una «sorgente sismica piuttosto profonda,
mascherata dalla spessa copertura di sedimenti che ricopre tutta la pianura-padanoveneta e perciò finora imperscrutabile». Un’apocalisse. Paragonabile rispetto alla
popolazione di oggi, tanto per capirci, a trecentomila morti. L’epicentro fu probabilmente
a Ronco all’Adige, a sud di Soave. La città più colpita fu Verona dove collassò la cinta
esterna dell’Arena e, scrisse Pietro Diacono, «le chiese furono rovesciate dalle
fondamenta e le alte torri precipitarono» ma i danni furono gravissimi anche alla
cattedrale di Parma, a quella di Cremona, alla Basilica padovana di Santa Giustina…
Devastazioni di cui restano memorie preziose: 72 fonti memorialistiche coeve (60 annali
monastici e 12 cronache cittadine) più tre dozzine di atti processuali, libri di conti,
epigrafi… Mancano, perché arriveranno solo successivamente, testimonianze
autobiografiche come quelle che lascerà fra’ Salimbene de Adam sul sisma del 1222:
«Mia madre soleva ricordarmi che durante quel grande terremoto io ero bambino ancora
nella cuna, ed essa prese sottobraccio le mie due sorelle (erano piccine) e,
abbandonando me nella cuna, riparò nella casa dei suoi parenti. Temeva infatti che
rovinasse su di lei il battistero, poiché la mia casa era vicina ad esso. E per questo che io
non l’amavo eccessivamente, perché avrebbe dovuto preoccuparsi più di me che ero
maschio, ma lei rispondeva che era più facile portare le due sorelle perché più
grandicelle». I resoconti a tinte forti, però, sono molti. Come quello di Landolfo Iuniore
(o Landolfo di San Paolo), che nella Historia Mediolanesis vede nello sconvolgimento la
mano di Dio: « E il terremoto (…) smosse e sconvolse profondamente il Regno dei
Longobardi. In quel tempo la gente, che vedeva grandi rovine per le città e in genere
per i luoghi, particolarmente per le chiese, diceva che gocce di sangue cadevano come
pioggia dal cielo e di vedere parti mostruosi e molti altri prodigi in aria, acqua, monti,
pianure e selve, e di sentir tuoni sotterranei. E in questa prova divina anche coloro, che
apparivano essere sacerdoti, non sapevano dove fuggire». Il botto fu tale, si legge negli
Annales Remenses et Colonienses , da essere avvertito in Germania: «Il 3 gennaio ai
vespri», le sei di sera, «nelle chiese furono scosse le immagini del Signore e molte cose
pendenti in esse». E l’Annalista Sassone insiste apocalittico in Monumenta Germaniae
Historica: «Non minore che una volta quello di Sodoma e Gomorra giunse un clamore di
tal fatta alle celesti schiere di Dio. Per la qual cosa, durante la festa stessa della natività
del Signore il 3 gennaio all’ora del vespro, mentre tanti sprezzavano oltremodo il
giudizio divino, la terra fu scossa e tremò per l’ira tremenda del furore divino, tanto che
non si è trovato nessuno sulla terra che dichiari di aver mai sentito un terremoto tanto
grande. (…) Ma soprattutto in Italia questo minaccioso pericolo imperversò
continuamente per molti giorni, tanto che il corso del fiume Adige fu ostruito per alcuni
giorni dalla collisione e dalla rovina dei monti; Verona città d’Italia nobilissima, scrollati
gli edifici, sepolti anche molti uomini, crollò. Similmente a Parma a Venezia e in molti
altre città, borghi e castelli perirono non poche migliaia di uomini. (…) Il 17 febbraio
all’ora del vespro vedemmo nubi infuocate o sanguigne sorgere da nord e estendendosi
in mezzo al firmamento incutere al mondo non poco terrore. Infatti a ciascuna città
sembrava tanto vicino, che sembrava minacciare la fine di tutte le cose...». Il visconte
Rodolfo di Verona si prese un tale spavento, dice un documento conservato all’Archivio
di Stato, che diventò meno avido. E pur essendo «solito chiedere e pretendere la
decima», venne «toccato e commosso da un pio turbamento dell’animo» e «presenti e
testimoni i rappresentanti della comunità, convocato il figlio, rinunciò alla decima della
suddetta chiesa…».
Pag 24 Inizia la marcia di Trump ma la direzione non è chiara di Massimo Gaggi
Sottovalutazione, sorpresa, rabbia, panico. Il rammarico di chi capisce che la sua era è
finita, l’entusiasmo di chi si sentiva escluso. Dopo un anno e mezzo di emozioni forti
Washington, come tutta l’America, nel giorno dell’«Inauguration» è una tempesta di
sentimenti: c’è quella silenziosa che cammina a testa bassa e già rimpiange Obama
prima ancora che consegni le chiavi della Casa Bianca al suo successore. E c’è il popolo
gioioso dell’America «di mezzo» che vede in «The Donald» il condottiero di un’altra
rivoluzione liberale come quella di Reagan. Dimenticando che Ronald aveva una
coerenza ideologica e un’esperienza politica (governatore della California) che il nuovo
leader non ha. Ma adesso il tempo delle ipotesi, delle analisi psicologiche, dell’uso
fantasioso e spregiudicato degli strumenti di comunicazione è finito: da oggi Trump
viene giudicato per i suoi atti di governo. Poco spazio per i festeggiamenti e le lune di
miele: è stato lui stesso, annunciando a suo tempo alcune scelte-chiave da varare fin dal
primo giorno alla Casa Bianca, ad alimentare l’attesa di interventi radicali e immediati: la
riforma sanitaria di Obama spazzata via, le misure contro gli immigrati clandestini e
quelle contro l’export cinese. E poi, subito dopo, la riforma fiscale e le nuove politiche
per l’energia e l’ambiente. Non sarà facile perché Trump è un presidente inesperto a
capo di un governo privo di figure con una rilevante competenza amministrativa. E il
processo di conferma dei ministri al Congresso è ancora in alto mare. Ma il nuovo leader
deve procedere a passo di corsa anche perché l’alone miracoloso - quello della vittoria
conquistata contro tutte le previsioni battendo un «establishment» incapace di capire che l’ha avvolto da novembre non può durare in eterno. Certo, il nuovo leader ha il
vantaggio di doversi confrontare con un’opposizione politica democratica mai così
debole, un partito sconfitto, in minoranza alla Camera, al Senato e in gran parte del
Paese (33 Stati governati da repubblicani, 16 da democratici). Ma proprio per questo
deve dimostrare subito di avere idee chiare e di meritare la fiducia dei mercati: la
prateria che ora sembra spalancata davanti a lui potrebbe ben presto riempirsi di
ostacoli, come hanno sperimentato altri «outsider» prima di lui. E Trump,
preoccupandosi poco dei potenziali conflitti d’interesse suoi, della sua famiglia e dei suoi
ricchi ministri, non ha certo contribuito a tenere questo campo sgombro. A poche ore dal
suo insediamento la direzione di marcia non è ancora chiara: sulla sanità ha dato
soddisfazione ai repubblicani smantellando a passo di carica l’«Obamacare» considerata
dai conservatori una riforma socialistoide, ma poi gli ha fatto gelare il sangue nelle vene
promettendo un nuovo tipo di assistenza sanitaria «universale», cioè estesa a tutti i
cittadini. Scherza? E se non scherza chi paga? E con quali meccanismi l’attuerà? Anche
sull’unico terreno sul quale il Congresso repubblicano è al lavoro da tempo con grande
impegno tecnico, la riforma fiscale, Trump ha lasciato senza fiato il suo partito
affermando che il progetto elaborato dagli esperti della destra «non va da nessuna
parte». Si delinea uno scenario da «dilettanti allo sbaraglio»? Il sospetto è forte, anche
perché Trump sembra molto tentato dalle idee rivoluzionarie del suo consigliere
ideologico Steve Bannon che vorrebbe trasformare la più potente nazione del mondo nel
laboratorio sociale di un esperimento neoconservatore. E gli esperimenti in politica, si
sa, portano facilmente a fallimenti catastrofici: è facile delegittimare e demoralizzare
una burocrazia, demolire il poco che funziona, difficilissimo ricostruire una macchina
efficiente dai costi accettabili. Trump, però, è anche un imprenditore che, al di là del
linguaggio perennemente di sfida, ha mostrato spesso di avere i piedi per terra. C’è da
sperare che, dopo tanti proclami, lo dimostri anche stavolta, a cominciare dalla politica
estera. Le scelte del personale di governo - Esteri e Difesa - e la sua recente decisione di
confermare nell’incarico molti funzionari dell’amministrazione Obama impegnati nella
lotta contro il terrorismo lascia, da questo punto di vista, spazio alla speranza. Da ieri il
nuovo presidente ha un motivo in più per fare presto e bene senza contare sulla classica
«honeymoon»: ha il fiato sul collo di Barack Obama che oggi esce di scena ma mantiene
un indice di popolarità altissimo e ha fatto la scelta senza precedenti di restare a
Washington, pronto ad accendere un faro sulla presidenza Trump se vedrà pericoli
istituzionali. Una scelta anomala quella del leader democratico (basti pensare a George
Bush che, lasciata la Casa Bianca, sprofondò in un silenzio assordante) ma viviamo in
tempi di anomalie senza precedenti e Trump che di questi tempi straordinari è il
mattatore, non può certo ribellarsi. Anche perché, dopo essersi falsamente proclamato
vincitore «a valanga» delle elezioni, oggi si insedia alla Casa Bianca con l’indice di
gradimento più basso mai registrato dalla Gallup durante una transizione presidenziale.
LA STAMPA
L’anglosfera di May e Trump di Marta Dassù
Si insedia oggi alla Casa Bianca un presidente americano che apparentemente non crede
più nelle virtù della Pax Americana – l’ordine geopolitico di libero scambio e sicurezza
condivisa creato dall’Occidente alla fine della seconda guerra mondiale. A essere onesti,
quell’ordine era ormai più che traballante; e da qualche decennio. Ma Donald Trump ha
deciso di dirlo apertamente; nel momento in cui l’ha fatto – in forme rapide e brutali ha anche chiarito che gli Stati Uniti giocheranno la nuova partita globale con regole
diverse dal passato. E nel proprio esclusivo interesse, più che per conto di altri, europei
inclusi. Per l’Europa, abituata a dare per scontato il legame con Washington, è una
sveglia di proporzioni notevoli. Anche perché la combinazione fra Trump e la crisi
europea cambia parecchio le cose. Lo si vede con Brexit. Nell’epoca di Barack Obama,
Londra è stata priva di una sponda americana; Obama, senza peraltro riuscire, ha
cercato di favorire l’Unione, non la disgregazione europea. Donald Trump sta invece
dando alla premier britannica, Theresa May, non una mano ma due: un appoggio politico
esplicito e un contesto per evitare l’isolamento britannico. La combinazione fra
amministrazione Trump e Brexit – Trexit, per usare il gergo della politica internazionale potrebbe infatti creare le condizioni per un’anglosfera del secondo millennio. Senza
rispondervi in modo strategico, l’Unione Europea rischia di farne le spese. Il legame tra
le due anime del mondo anglosassone è destinato a rafforzarsi. Se Trump guarderà
prima a Londra e poi a Berlino, Theresa May – che ieri ha cercato di tranquillizzare il
mondo finanziario di Davos sugli effetti di Brexit – tenterà di utilizzare lo spazio atlantico
per rafforzare la sua posizione negoziale con l’Europa. Deregolamentazione, controllo
dell’immigrazione e piena sovranità nazionale sono i punti di una visione politica
condivisa – per vera o illusoria che sia. E contano i dati tangibili. L’anglosfera della
finanza, del commercio, della difesa e dell’intelligence esiste già. Rappresenta il 26% del
Pil globale e quasi il 40% della spesa militare mondiale. Troppo, per potersene
disinteressare. E per potere pensare che l’anglosfera non tenderà ad attrarre altri:
storicamente, l’Olanda ne ha sempre subito il fascino. Guardando agli equilibri extraeuropei, un paese come l’Australia tenderà a considerarla un punto di riferimento,
almeno in alcuni settori. Negli Anni Ottanta del secolo scorso, Margareth Thatcher e
Ronald Reagan gettarono le basi per la rivoluzione mondiale basata sul libero mercato.
Oggi, Trump e May sembrano rivendicare una nuova cesura sistemica, di segno diverso.
Tuttavia, la storia deve ancora dimostrare se Trump riuscirà a diventare un secondo
Reagan; e fino a che punto la nuova coppia atlantica – per definizione asimmetrica sarà davvero coesa. Trump guarda a un ordine post-globale (oltre che post-europeo):
stando alle posizioni di partenza, tenderà ad adottare un approccio liberista dentro i
confini americani ma almeno parzialmente protezionista al di fuori. La Gran Bretagna
deve invece scommettere sulla capacità di ritrovare la propria vocazione come potenza
commerciale. Il Regno Unito, come media economia aperta, spingerà per l’abbattimento
delle barriere commerciali a livello mondiale, così da creare quanti più sbocchi di
mercato per beni e servizi britannici. Al tempo stesso, Londra tenderà a recuperare
attrattività – rispetto all’Europa continentale - attraverso la concorrenza fiscale. Esiste
insomma una potenziale tensione nella nuova anglosfera; ne sarà un indice interessante
la posizione rispettiva sul problema Cina. Potrà aggiungersi, in materia di sicurezza, un
atteggiamento diverso sulla Russia di Putin. La tentazione di Trump sarà la ricerca di
compromesso diretto: senza l’Europa e probabilmente senza Londra. Fra convergenze e
possibili vulnerabilità, l’anglosfera metterà in ogni caso alla prova l’Ue. Non solo sul
piano economico ma strategico: per l’Europa continentale, una collocazione atlantica è
ormai tutto meno che scontata. Questo significa, guardando alle scelte contingenti, che il
negoziato con Londra non può essere ridotto alla gestione tecnica dell’articolo 50
sull’uscita dall’Ue. O all’idea che l’Europa debba comunque adottare l’approccio più duro
possibile verso Londra, così da scoraggiare passi simili di altri paesi. Avendo il coraggio
di guardare in faccia la realtà, il problema è anzitutto europeo: la perdita rapida della
propria capacità di attrazione, sia all’interno che all’esterno. L’Unione europea, che è
stata a lungo considerata una soluzione, è ormai parte maggiore del problema. Le
debolezze strutturali della moneta unica sono ormai diventate debolezze politiche
nazionali. Se l’Ue continuerà a negare l’evidenza, e se la Germania non sarà in grado di
esercitare una vera leadership continentale, Brexit sarà solo l’inizio della disgregazione
europea. Nata nel mondo atlantico del passato, l’Europa reagisce con troppa lentezza a
cambiamenti drammatici e rapidi: fra nuove pulsioni dell’America di Trump, nuove
ambizioni economiche della Cina di Xi Jinping e risorgenti ambizioni geopolitiche della
Russia di Putin, l’Ue senza leadership rischia di restare ai margini di un mondo “senza
ordine”- ma che un nuovo ordine se lo darà, in modo più o meno traumatico. Dal punto
di vista europeo, mantenere i legami con l’anglosfera è preferibile alle alternative euroasiatiche. Al tempo stesso, una vera disgregazione dell’Europa non conviene né agli Stati
Uniti né alla Gran Bretagna. Theresa May lo ha ammesso in modo esplicito. Donald
Trump appare molto più scettico sulle sorti europee; ma le sue posizioni, insegna la
storia, tenderanno ad evolvere. Dipenderà largamente da quello che l’Europa sarà in
grado di fare e non solo di dire. Più che accantonare la Pax Americana, è interesse
condiviso ripensarla.
AVVENIRE
Pag 1 Soltanto gli uomini di Marina Corradi
La tragedia e le macchine impotenti
Il primo allarme, lanciato con un sms da un sopravvissuto. I telefoni che nell’albergo di
Farindola suonano a lungo, ostinatamente muti. Ci sono più di trenta persone lassù,
sotto al Gran Sasso, ma nessuno risponde. I soccorsi partono che è ormai buio. La
strada è sepolta da oltre tre metri di neve, è travolta da massi, e da alberi con le radici
per aria. Non ce la fanno le grosse jeep dell’Esercito, non ce la fanno nemmeno gli
spazzaneve. Una colonna di mezzi di soccorso si blocca tra due muraglie di neve, i fari
accesi, i lampeggianti che illuminano a intermittenza di un bagliore azzurrino la
montagna ghiacciata. (E intanto, lassù, forse qualcuno è vivo, qualcuno prega, forse
qualcuno aspetta). È allora che le squadre del soccorso alpino della Guardia di Finanza si
mettono in marcia. C’è un video, sul web. È notte fonda ormai e attorno c’è tempesta. Si
sente bene l’ululato torvo del vento fra le montagne, come una voce cattiva. Si vede
bene la neve che cade, rabbiosa, a mulinelli; si immagina quasi come quei fiocchi, sulle
guance degli uomini, brucino. Le jeep affondano, gli spazzaneve sono inerti, e adesso è
l’ora degli uomini. Semplicemente dei piedi, delle gambe di uomini abituati alla
montagna. I cingoli dei mezzi sono incrostati di ghiaccio, i motori potenti di centinaia di
cavalli non muovono le ruote impantanate, l’energia elettrica è caduta. Ma le gambe
degli uomini vanno invece, procedono tenacemente in questa notte d’inferno, dove il
terremoto e un’onda di gelo artica si sono dati un maledetto convegno. Il cellulare di un
collega inquadra i soccorritori, hanno una torcia sulla fronte e procedono a capo chino.
La neve dura scricchiola sotto gli sci. Vanno di buona lena. Non c’è dubbio, almeno loro
arriveranno. (I possenti motori dei mezzi di soccorso che girano in folle, il loro rombo
impotente, nella notte). Quelle gambe, quelle facce in marcia sopra a tre metri di neve
fanno pensare. Come anche le immagini di certi salvataggi di questi giorni, in contrade
sperdute colpite dal sisma e dalla tempesta. Posti irraggiungibili perfino per le turbine
degli elicotteri. Ma qualcuno dei soccorritori si è inerpicato fin lassù: le foto raccontano
l’istante in cui con delicatezza sorreggono vecchi smarriti, avvolti in coperte, e tenendoli
dolcemente per mano li tirano fuori dalle loro case. Le mani, ecco, quelle mani tese,
dentro ai grossi guanti. Soltanto gli uomini restano, quando i motori e le tecnologie più
potenti si fermano. Arrivano, certo, a fatica, con sforzi di cui non si sarebbero creduti
capaci, con rabbia, in una drammatica sfida. Magari, a momenti, si teme che non ci sia
più nulla da fare. (È inutile, è inutile, sibila quel vento cattivo). Eppure si va, per una
testarda speranza. Chi è a casa, magari, stenta a capire. Magari si scandalizza che tante
ore ci siano volute per raggiungere l’hotel sommerso dalla slavina. Chi è a casa forse
arriva a polemizzare coi tempi della Protezione civile. Ma bisogna capire che cosa è un
terremoto con sopra tre metri di neve, in zone impervie e disabitate o quasi. Quando i
telefoni non funzionano, i motori tacciono, i cingoli si fermano, e i mezzi di soccorso si
accodano, fermi, arresi. Solo pensando a questo si può capire la ostinazione di quegli
uomini con gli sci ai piedi, cocciuti, nella notte. E, nei paesini feriti, lo scavare coi badili,
e il prendere in braccio i vecchi intrappolati nelle cascine. Le gambe, le braccia, le mani:
in una notte d’inferno restano solo gli uomini, infine. Che vanno avanti, e si affannano a
rimuovere rovine. I cani non sentono più nulla, e non si muovono. Ma, forse, là sotto,
protetto da una trave, qualcuno ancora respira? Quelle mani, quelle voci spezzate dalla
fatica, che non si arrendono. È nei giorni d’inferno, che si riconoscono gli uomini.
Pag 2 Fabiano, in parte ti capisco. Ma non abbandonare la vita di Rita Coruzzi
La richiesta di eutanasia, la possibilità di aiutare gli altri
Caro Fabiano, ho visto il tuo video e ho conosciuto la tua storia – il tuo passato da dj,
l’incidente d’auto, la tua condizione di tetraplegico e cieco a 39 anni – che mi ha molto
colpito, così come la tua richiesta al presidente Mattarella. Ho deciso di scriverti perché
mi sento vicina a te, sento di capirti in quanto anch’io per tanto tempo, pur essendo in
una condizione meno grave della tua, ho pensato che la vita non mi potesse più offrire
nulla e io fossi solo un peso per me stessa e per gli altri. Infatti a causa di un intervento
sbagliato mi sono ritrovata sulla carrozzina in modo permanente, e ti posso assicurare
che avevo pensato di poter vivere in tutti i modi, tranne che in questo. Avevo solo dieci
anni (ora ne ho trenta) e tutto ciò era troppo umiliante, provavo troppa vergogna, mi
sentivo troppo diversa dagli altri, mi sembrava di essere uno scarto dell’umanità. Perciò
credo di poter dire che in parte ti capisco, forse non completamente, perché non sono
cieca, non vivo nella notte, ma conosco la tua delusione e la stanchezza dopo una serie
di terapie inutili. È una situazione che logora dentro, sia il corpo che l’anima. Tuttavia mi
sento anche di dirti che non credo che morire sia la soluzione, perché penso che tu
potresti essere una risorsa per questa società, e non un peso. E soprattutto, hai ancora
molto da offrire. Tu hai fatto delle esperienze uniche, hai viaggiato, hai incontrato
persone, sicuramente lasciando un segno nelle loro vite, hai provato grandi emozioni e
sensazioni e capisco quanto sia frustrante il fatto che tu non possa più vivere nulla di
tutto ciò, e questo è profondamente ingiusto. Penso anche, però, che tu possa
continuare a dare molto a tante persone, poiché possiedi ancora due grandi amori: la
tua ragazza, che non ti ha abbandonato neanche in questa situazione, dando una grande
prova d’amore; e la musica che, anche se per il momento non ti senti di ascoltarla
perché ti ricorda troppo quello che hai perso, è una passione di cui non ti libererai, sarà
sempre lì, in fondo al tuo cuore, pronta a sgorgare nei momenti più impensati. Questi
due tesori potrebbero essere ancora una grande ricchezza, non solo per te. Forse non ci
hai pensato, ma anche nelle tue condizioni potresti fondare associazioni per aiutare gli
altri, per esempio i più bisognosi in India dove hai vissuto e che quindi conosci bene,
oppure eventi musicali a scopo benefico, il cui ricavato può andare ad altre persone nelle
tue stesse condizioni. Proprio perché ora ti trovi in questa situazione, tu per la società
potresti essere energia buona e un esempio. È scontato dire che la vita è crudele e
ingiusta, che fa scherzi orribili, ma ciò che non è scontato è che chi li subisce ha due
scelte: arrendersi e subirne il peso, oppure trovare un’alternativa. Questo è il bello della
vita: finché sei vivo hai un’altra possibilità, puoi cambiare le cose, fare la differenza, pur
con difficoltà cambiare i tuoi progetti per costruirne altri migliori, che magari non avresti
neanche lontanamente immaginato. Una frase che mi ha molto colpito nel tuo video è
quando dici che tu vivi nella notte. È vero, ora i tuoi occhi vedono il buio, ma la tua
mente può ritrovare la luce e la voglia di vivere e di lottare. Se per ora non è sufficiente
vivere per te stesso puoi vivere per gli altri, per chi ti ama, per chi è nelle tue condizioni
e vive questi momenti difficili, che tu puoi capire molto bene. Potreste farvi forza a
vicenda, confrontando le vostre esperienze. Te lo dico francamente: spero che il
presidente Mattarella ti risponda, ma con parole di speranza e di comprensione,
dicendoti che lo Stato può aiutarti non a guarire bensì a migliorare la qualità della tua
vita, e che da essa può rinascere speranza e fiducia, per te e per altri. Anch’io per anni
mi sono sentita un uccello in gabbia con le ali spezzate e non trovavo alternativa, fino a
quando, grazie all’aiuto della mia famiglia – in particolar modo di mia madre e del suo
amore incondizionato – ho capito che dovevo trasformare la carrozzina, ovvero il mio
punto di debolezza, in un punto di forza per ricostruirmi una vita diversa e creare
qualcosa di nuovo, unico, lasciare la mia irripetibile impronta nel mondo, anche se in un
modo diverso da come l’avevo immaginato. Ti auguro con tutto il cuore che tu possa
trovare il modo di rendere straordinaria la tua vita di oggi e di trasformare la tua
condizione in una forza. Se ci riuscirai ritroverai coraggio, speranza e risorse che
nemmeno tu pensavi di avere. Il mio augurio è che tu decida di non abbandonare la vita,
e grazie all’amore delle persone che ti stanno vicino, possa riscoprirla e trovarne il lato
positivo. Non lasciar andare la vita, aggrappati a essa, devi ancora succhiarne il midollo.
Io ho imparato per esperienza diretta che non è mai troppo tardi, anche nelle condizioni
più improbabili, per sentirsi vivi e avere un motivo per dire alla vita il tuo personale
“grazie”.
Pag 3 Dal Presidente alla Samsung, la Corea scopre Tangentopoli di Stefano
Vecchia
Politici, imprenditori, faccendieri. Ora la piazza si ribella
Sabato 14 gennaio, per il 12° fine settimana consecutivo, i sudcoreani hanno invaso
pacificamente ma con determinazione le vie e piazze centrali di Seul a ridosso della Casa
blu, il palazzo presidenziale. Obiettivo, costringere alle dimissioni la presidente Park
Geunhye, ancora prima che la Corte costituzionale si pronunci sulla legittimità
dell’impeachment chiesto dal Parlamento. Un crescendo che ha portato nell’ultima
protesta 1.500 gruppi della società civile e oltre 100mila persone a sfidare il clima
sottozero in piazza Gwanghwamun e tanti altri in aree diverse della metropoli. Con il
passare del tempo appare tuttavia sempre più chiaro che in gioco non è soltanto una
figura istituzionale tanto esecrata ora quanto ben valutata all’inizio del suo mandato,
quasi quattro anni fa, per la sua storia oltre che per l’anteprima di una presidenza al
femminile. Le ultime proteste hanno anche chiesto l’arresto dei capi delle aziende che
potrebbero avere pagato forti somme a organizzazioni legate alla signora Choi Soon-sil
con il fine di ottenere un atteggiamento favorevole del governo rispetto a proprie
iniziative. Choi è un personaggio-chiave di una vicenda che rischia di travolgere, insieme
al capo dello Stato, i vertici dei conglomerati che hanno un ruolo soverchiante nella vita
del Paese. A vacillare, in sostanza, è un intero sistema di malgoverno e corruzione
talmente radicato nel Paese che quando è stato denunciato non ha sorpreso nessuno. I
nodi – come per altre Tangentopoli – sono venuti al pettine perché il limite è stato
raggiunto in coincidenza con la peggiore crisi sociale della storia democratica del Paese,
e la mancanza di prospettive per gran parte della popolazione ha aperto gli occhi davanti
a sprechi, collusioni e abusi di potere. La questione, come detto, ruota attorno alla figura
di Choi Soon-sil, confidente della presidente accusata di avere sfruttato i propri rapporti
personali per spingere molte aziende ad effettuare 'donazioni' per decine di milioni di
euro a favore di due fondazioni le cui casse erano aperte a un uso personale. Il maggior
donatore è stata la Samsung, che avrebbe anche fornito fondi per le attività equestri in
Germania della figlia di Choi. Imbarazzante la difesa della Samsung, che in audizioni
pubbliche ha confermato di avere subito pressioni per sborsare le ingenti somme ma
senza chiedere nulla in cambio. Dal 9 dicembre, quando con un voto bipartisan il
Parlamento ha determinato la sospensione del presidente Park, e in attesa che i giudici
si pronuncino sulla messa in stato d’accusa entro un termine massimo di sei mesi dal
voto, la presidenza è stata affidata al premier Hwang Kyo-ahn. Il Paese vive ora nella
protesta e nell’attesa. Solo parzialmente distratto dalla nuova amministrazione
statunitense che, comunque andranno le cose, segnerà una nuova fase nell’alleanza con
Washington, deterrente primario verso un temuto attacco dal Nord. I sudcoreani faticano
però a guardare oltre l’obiettivo prossimo della destituzione della Park, forse perché la
situazione mai è stata incerta come ora, forse perché le alternative sono difficili da
individuare. Sicuramente, c’è la necessità di una revisione profonda del sistema politico,
ma anche di quello imprenditoriale e finanziario. C’è la necessità urgente di nuovi
obiettivi condivisi, di solidarietà per gli anziani e gli emarginati e di speranza per i
giovani. In buona sostanza, la politica coreana è chiamata a un ruolo di indirizzo e di
guida che non ha mai vissuto pienamente in quanto collusa con altri poteri, più di essa in
grado di influenzare la vita dei sudcoreani. Emblematico quanto accaduto due settimane
fa, quando Lee Jae-yong, erede della dinastia che controlla la Samsung e suo vicepresidente, è finito davanti al procuratore speciale per spiegare i rapporti con la
faccendiera Choi e, per suo tramite, con la presidente. Obiettivo finale dei magistrati era
di premere sui vertici Samsung per arrivare a incriminare Park Geun-hye, ma l’arresto di
Lee è stato negato ieri dai giudici del Tribunale del Distretto centrale di Seul per
insufficienza di prove. Tuttavia, mai a questi livelli, un 'intoccabile' era stato coinvolto in
una vicenda di corruzione e la vicenda non mancherà di porre una nuova pressione sui
chaebol, gli immensi aggregati di iniziative industriali, economiche e commerciali che più
che la spina dorsale del Paese ne sono i burattinai. Sta a loro decidere condizioni di
lavoro e salari, quote di impiego e disoccupazione. Sono loro che influenzano i piani di
studio e le priorità delle università e che determinano l’accesso a un welfare essenziale
della popolazione. Aziende-Stato che non mostrano remore nell’accogliere le richieste di
congrue 'donazioni' a governanti e amministratori in cambio di concessioni. La politica
sembra ora accusare il colpo e al suo interno ripensamenti e regolamenti di conti sono
appena avviati. Al punto che il partito di Park Geun-hye, il centrista Saenuri, ha
convocato nei giorni scorsi il proprio Comitato etico con l’obiettivo primario di ripulire la
struttura dai fedelissimi della presidente caduta in disgrazia. Una mossa eccezionale,
avviata con non pochi contrasti interni ma resa necessaria dal crollo della stima degli
elettori e dalle critiche sempre più pressanti giunte anche dalla Chiesa cattolica. Sia il
vescovo ausiliare di Kwangju, monsignor Simon Ok Hyn-jin, sia il vescovo di Jeonju,
monsignor Vincent Ri Pyungho, hanno chiesto pubblicamente le dimissioni della
presidente e si sono uniti, come altri pastori, alle proteste. In molti guardano già alla
nuova presidenza, sia che alla fine venga destituita Park, sia che la 64enne figlia dell’ex
presidente dittatore Park Chun-hee – per molti plagiata dalla confidente Choi Soonsil e
ancor prima dal di lei padre, il faccendiere e cultista Choi Tae-min – arrivi al termine del
mandato del febbraio 2018. La corsa alla candidatura è aperta e tra i volti in lizza vi è
anche quello dell’ex Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Ban, rientrato
con «il cuore che scoppia di gioia» a Seul il 12 gennaio dopo il cambio della guardia al
Palazzo di Vetro, si è impegnato a riprendere i contatti con la sua gente in diverse
province, in attesa di una candidatura ufficiale, probabile da parte dello stesso Saenuri.
La sua emozione, tuttavia, è stata offuscata dai guai giudiziari del fratello minore Ban Kisang e del nipote Joo Hyun Bahn, che una corte federale di Manhattan ha accusato di
avere pagato tangenti a un funzionario mediorientale in cambio dell’aiuto a convincere la
coreana Keangnam Enterprises – interessata all’acquisto di un grattacielo della capitale
vietnamita Hanoi – che l’Autorità per gli investimenti del Qatar fosse prossima a
concludere l’affare di cui erano intermediari. Secondo l’accusa, 590mila dollari avrebbero
cambiato di tasca per questa operazione truffaldina: briciole davanti a un affare di 800
milioni di dollari, ma un ulteriore segnale del livello del malaffare e del senso di impunità
diffuso a Seul e dintorni.
IL GAZZETTINO
Pag 1 La forza della natura e la misura delle polemiche di Carlo Nordio
Il responsabile della protezione civile, Curcio, ha detto: «Non faccio polemica, ma chiedo
rispetto verso chi lavora in condizioni proibitive; chi tocca il sistema tocca il Paese».
Sono parole di amara saggezza. Ma le polemiche non si placheranno, e questo per varie
ragioni. La prima, la più profonda, è la consolidata illusione dell'uomo contemporaneo di
poter conoscere, prevedere e persino controllare quello che D'Holbach chiamava Le
systeme de la Nature. La nostra educazione, o meglio la diseducazione, ci induce a
ritenere che la nostra intelligenza e tecnologia possano renderci arbitri del nostro
destino. E' un'ingenuità colossale, che la stessa Natura, nella sua imperturbabile
indifferenza, si attiva occasionalmente a correggere con qualche avvertimento
significativo: in Italia, con l'eruzione del Vesuvio, il maremoto di Messina, e altri episodi
minori (minori, s'intende dal Suo punto di vista); nel mondo, con qualche cataclisma
epocale, come quello che ha estinto i dinosauri. Qualche spirito inavveduto, anche ricco
di titoli e onori, indica nell'uomo il responsabile, o il corresponsabile, di queste stragi:
perché ha alterato l'ecosistema, o perché ha costruito in modo scriteriato. Queste
domande andrebbero rivolte - se avessimo, come Federico Ruysch,la capacità di parlare
con i morti - alle vittime del terremoto di Lisbona, che stavano pregando in Chiesa, o
agli innocenti isolani del Pacifico sepolti dalle ceneri del Krakatoa: forse risponderebbero
con uno sprezzante silenzio, unico rimedio all'arroganza dei falsi sapienti. Un'arroganza
che continua oggi, sotto varie forme, tutte tendenti a trovare, a ogni costo,il
responsabile anche delle più inevitabili catastrofi. La seconda ragione, assai meno
nobile, risiede nello sfruttamento a fini politici, economici o semplicemente personali, del
senso di impotenza suscitato da queste tragedie. Proprio perché è facile, ed
emotivamente comprensibile, che il dolore delle vittime si trasformi in rabbia, è
inevitabile che qualche sciacallo tenti di veicolarne le tensioni a proprio profitto. E'
possibile che qualche reazione sia giustificata da errori e colpe da verificare, correggere
e se necessario punire. Ma non è accettabile che davanti a fenomeni unici nella loro
gravità e concomitanza, come la sequenza dei terremoti e le valanghe di neve, qualche
anima bella si metta predicare quando ancora i morti devono seppellire i morti. Questa
non è sensibilità sociale, questa è bestemmia. La terza ragione, connessa alle altre due,
è la straordinaria propensione del nostro Paese a farsi del male. E' un paradosso tutto
italiano che, accanto alla più alta concentrazione di volontariato operoso e di generosità
solidale, quali emergono dai contributi di energie e di denaro che in questi casi arrivano
da ogni parte, conviva una sorta di voluttuoso compiacimento alla denigrazione, al
rimprovero e all'offesa di chi, come dice il responsabile della protezione civile, dovrebbe
invece essere sostenuto. Il bello (il brutto) è che in questa attività demolitoria e
autolesionista si usano argomenti apparentemente validi e convincenti: per esempio che
in Giappone le case reggono e qui no. Peccato che Tokio, e le altre città dell'ex Impero
del Sol Levante, siano state integralmente ricostruite dopo essere state rase al suolo
dalle bombe, e che il poco rimasto indenne fosse fatto di legno e di cartone. Mentre
mezza Italia centrale è stata costruita dalla paziente e secolare opera di contadini,
operai, monaci e artigiani, con sassi raccolti a mano e la sola speranza, assistita da
devote giaculatorie, che la sorte fosse benigna, la terra non tremasse, e cadesse solo la
neve bastante alla fertilità dei campi. Si vuol mettere in sicurezza antisismica tutto il
nostro patrimonio culturale e abitativo, a cominciare dalle cupole di Brunelleschi e di
Michelangelo? Mah! Concludo. Questo nostro infelicissimo e meraviglioso Paese ha
seguito, e continua a seguire, la legge del pendolo. A suo tempo una crescita disordinata
e irrazionale, che ha portato il riscaldamento nelle case, il lavoro nelle fabbriche, la
transitabilità delle strade a prezzo di interventi ambientali spesso pericolosi e talvolta
sciagurati. Oggi, un'ipersensibilità al cosiddetto rispetto della Natura che sconfina
nell'incredulità davanti alle sue leggi severe, e nella vana ricerca di colpe da attribuire
all'uomo, tanto meglio se è un avversario politico. Va da sé che davanti a un
interlocutore così inavveduto, la Natura, come si legge nel famoso dialogo di Leopardi,
se lo mangia nella indifferenza più totale.
Pag 1 Protezione civile sotto accusa: ritardi e rischi ignorati di Valentina Ferrante
Errori di valutazione e un concorso di colpe: il disastro meteo che si è abbattuto sulle
regioni dove l'emergenza è costante da cinque mesi, e migliaia di uomini lavorano senza
sosta, è stato trascurato. Un dato su tutti: dopo settimane di allarme neve, centinaia di
comuni isolati, un black out che riguarda oltre 100mila utenze in Abruzzo, lo stato di
emergenza, che avrebbe portato uomini e mezzi sul territorio, è stato chiesto dal
presidente della Regione Abruzzo solo il 17 gennaio. Ma non è l'unico aspetto
dell'ennesima polemica all'italiana: proprio le aree interessate dall'allerta meteo e colpite
dall'ultima tragedia sono già sotto l'amministrazione della Protezione civile dallo scorso
agosto: uomini e mezzi avrebbero potuto essere inviati senza un'esplicita richiesta degli
amministratori locali, le cui istanze vengono comunque valutate dagli uomini di Fabrizio
Curcio che avevano già dato un alert il 14 gennaio. Il disastro è stato sfiorato anche
nelle Marche e nel Lazio, se le scosse di mercoledì fossero state più forti, il rischio di non
potere raggiungere comuni e frazioni per portare soccorsi sarebbe stato altissimo. Dai
ieri i numeri di militari, vigili del fuoco e mezzi, coordinati dalla struttura di Fabrizio
Curcio, in Abruzzo, è raddoppiato. Così, per quanto il presidente della Repubblica Sergio
Mattarella inviti all'unità e ad evitare le polemiche, i segnali del disappunto politico sono
evidenti, non è un caso che ieri, il premier, Paolo Gentiloni, abbia investito il Viminale
del vicenda, inviando sul posto il sottosegretario agli Interni Filippo Bubbico,
accompagnato dal capo delle emergenze dei Vigili del Fuoco, Giuseppe Romano,
piuttosto che un rappresentante dalla presidenza del Consiglio, dalla quale dipende la
Protezione civile. Una sorta di commissariamento non dichiarato. Mille 658 militari, tra
esercito e carabinieri, 482 mezzi speciali e 288 mezzi ruotanti, erano già attivi nelle aree
sismiche dopo il terremoto di agosto scorso. Il 18 gennaio, troppo tardi, sono arrivate le
richieste di alcuni sindaci abruzzesi a fronte delle nuove scosse aggravate dalla
situazione meteorologica. Da ieri i numeri sono cresciuti: gli uomini sono diventati 3000,
oltre a 950 i mezzi speciali e sedici elicotteri. E anche l'intervento dei vigili del fuoco è
cresciuto. Adesso sono mille gli uomini presenti sul territorio, 550 solo in Abruzzo.
Interventi richiesti, comunque, tardivamente. Il 17 gennaio erano 300mila le persone
senza elettricità in Abruzzo, oltre 160mila le utenze interessate. Decine i comuni isolati.
Per giorni i sindaci abruzzesi, con le nevicate sempre più abbondanti, hanno chiesto
turbine e mezzi spalaneve. Appelli lanciati di fronte a una situazione oggettivamente
eccezionale. Un fenomeno che interessa anche le altre regioni colpite dal sisma, dove la
situazione, secondo gli amministratori locali, è diventata insostenibile. E adesso, dopo la
tragedia di Rigopiano, sale il pericolo slavine. E le scosse di terremoto in corso
determinano un'ulteriore probabilità di provocare i distacchi di neve. Il consiglio dei
carabinieri forestali è di «evitare assolutamente», nelle prossime ore e nei prossimi
giorni, la frequentazione di pendii ripidi innevati a piedi, con gli sci, con le ciaspole o con
le motoslitte o con qualsiasi altro mezzo meccanico. Il botta a risposta a distanza è tra
Laura Boldrini e il capo della Protezione civile Fabrizio Curcio. «Le istituzioni devono
collaborare a tutti i livelli, perché non sono tollerabili inefficienze e ritardi sugli aiuti», ha
dichiarato il presidente della Camera. Curcio replica: «Chi non ha competenze e critica,
non fa un buon servizio a chi da mesi lavora ininterrottamente. Chi avanza inutili critiche
non ha forse capito che sta attaccando il Sistema Paese». Durissimo il leader della lega,
Matteo Salvini: «Politicizzare la Protezione civile, affidandola a un ex governatore
trombato è demenziale». L'affondo è per il commissario straordinario, Vasco Errani,
Sulla vicenda interviene anche il capo dello Stato, Sergio Mattarella: «Nessuno sforzo
viene risparmiato nel tentativo di salvare vite umane», ha dichiarato, chiedendo a «tutta
la comunità nazionale grande unità».
Torna al sommario