Realtà e fantasia nei racconti fantastici di ieri e di oggi

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Realtà e fantasia nei racconti fantastici di ieri e di oggi
Realtà e fantasia
nei racconti fantastici
di ieri e di oggi
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smartphone
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C’era una volta un bimbo
che sognava di diventare
un robot vero
Stanislaw Lem è, nel mondo della fantascienza, un autore di culto, un personaggio
leggendario. La sua immaginazione ha saputo creare mondi incredibili e disegnare futuri
lontanissimi. Fiabe per robot è il suo omaggio
alla dimensione più pura del fantastico, cioè
la fiaba. Il C’era una volta di Lem ha un sapore galattico, innesca le avventure di robot di
ogni sorta ed esseri mai visti sulla terra: i re
Biskalar, Metametrico e Globares, con le loro
bizzarre abitudini, e poi draghi, principesse,
inventori e avventurieri. Un raro esempio di
racconti di oggi che non temono il confronto
con quelli del passato e – dato l’argomento –
del futuro.
Fiabe per robot, Stanislaw Lem
Marcos y Marcos 2005, 198 p. – 11,90 euro
di SELENE PASCARELLA
L
a vita non è una favola. Fin da piccoli ci
viene insegnato che crescere è, prima
d’ogni cosa, imparare a separare il sogno
dalla realtà, i fatti dall’immaginazione. «Smetti
di credere alle fiabe» è il refrain che bombarda la choosy generation. Che sia la storia del
principe azzurro o del posto fisso poco importa. Ciò che conta è tenere sempre a mente che
C’era una volta equivale a mai, mai nella vita,
perlomeno non nella tua. Un fatto strano se
pensiamo che, per secoli, le fiabe sono state il
principale strumento con cui la società ha trasmesso alle nuove generazioni regole e valori
condivisi. Un vero e proprio rovesciamento di
senso, considerando che le fairy tales, nel passaggio dalla tradizione orale alla pagina scritta,
hanno segnato l’ingresso del realismo, del più
crudo realismo, nella letteratura europea.
Prendete un grande classico come Pollicino. Pollicino è un bimbo minuscolo, al limite
dell’handicap fisico, eppure non se ne cruccia.
Ha sei fratelli e la classica famiglia povera ma
felice. Quando la famiglia diventa “solo” povera, i suoi genitori decidono di abbandonare
i figli nel bosco. Non possono sopportare di vederli morire di fame davanti ai loro occhi e non
vogliono scegliere di morire al posto loro. Vivono in un tempo in cui a mangiare sono prima gli
adulti e poi i bambini.
Pollicino è furbo e riesce a riportare a casa se
stesso e i fratellini con uno stratagemma, cioè
tracciando la strada verso il focolare con piccoli
sassi. La fame e la povertà sono però ostinate:
lasciati nella foresta una seconda volta, Pollicino
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e i suoi fratelli si perdono senza rimedio. L’unica
dove la realtà storica, di qualsiasi tipo, sia stata
salvezza è nella casa di un orco. La moglie dell’orrappresentata».
co, che ha sette bambine, è gentile, mentre il
La realtà o, per meglio dire, le realtà. Permarito si diletta a divorare fanciulli. L’orchessa,
ché è nella produzione favolistica, orale e
mossa dalla pietà, nasconde in casa Pollicino
scritta, che si fanno avanti le istanze e le
e gli altri nella sua dimora. In tutta risposta
rappresentazioni che la letteratura alta ha
Pollicino, per salvare la vita sua e dei congiunti,
sempre relegato in secondo piano. Le fiabe
fa divorare all’orco le sue stesse figlie e sottrae
sono storie di donne e di bambini, di contadini
con l’inganno all’orchessa tutte le ricchezze che
e boscaioli. Storie di poveri che possono solo
possiede. Quindi torna felice e contento (cioè
sperare in un asino che caga monete d’oro o in
ricco) dai genitori e vive senza un
rimpianto al mondo. Il suo, dopoBIANCANEVE © KA-POW
tutto, è un mondo in cui la vita dei
bambini, anche di quelli minuscoli
e malnutriti, vale molto più di quella dei cuccioli di orco.
Quella di Pollicino è un’orribile
storia. Piena di patimenti, sacrifici, crudeltà e miseria. Il che non
stupisce, considerato il contesto
storico che l’ha prodotta. Legata a
doppio filo a un’altra celebre fiaba
di bambini abbandonati e (quasi)
divorati, cioè Hansel e Gretel, la
vicenda di Pollicino richiama miti
antichi (il filo di Arianna) e nasce
nell’Europa fredda e perigliosa del
medioevo. La prima versione moderna poi, che porta la firma del
francese Perrault, è interamente
imbevuta della glaciale atmosfera
della Francia a cavallo tra il 1600
e il 1700, quella del Re Sole, delle
grandi carestie e degli inverni siberiani. Un’era dove sopravvivere
all’infanzia è già un miracolo che
sa di fiabesco.
Immaginate Pollicino che vaga
di notte, con i fratellini per mano,
un tavolino che produca cibo senza sosta per
mentre la terra è prigioniera di settanta cm di
vincere un destino di fame e indigenza. Portano
ghiaccio. Figuratevi la paura, resa ancora più
il lettore all’interno di cucine polverose, all’inimmensa dalla consapevolezza di essere stato
seguimento di una spoletta di filo perennemenmandato a morte da chi avrebbe dovuto curarte in movimento. Sono storie raccontate dal
lo e proteggerlo. Aggiungete la violenza di una
punto di vista degli sconfitti prima che il loro
lotta per sopravvivere che non disdegna l’omidestino cambi. Un mix di fantasia sfrenata e
cidio e sarete nel bel mezzo di un romanzo di
verismo che passa di generazione in generazioVictor Hugo, con almeno un secolo di anticipo.
ne modificando leggermente forme e nomi ma
«La fiaba – ha scritto Silvana De Mari nel saglasciando immutata la sostanza.
gio Il drago come realtà – è l’unica narrazione
LISTENER © KA-POW
Le fiabe sono una narrazione antagonista. Di
bambini disubbidienti e adulti che si ribellano.
Narrazioni di libertà in cui il lettore può identificarsi, trovare soluzioni ai suoi problemi emotivi
ed esistenziali, senza restare incastrato in allegorie di alcun tipo. Nelle fiabe non c’è univoca
interpretazione, manca del tutto un messaggio
etico unidirezionale.
Le metafore moraleggianti appartengono, difatti, a un altro genere, quello vicino ma assai
diverso delle favole. La volpe e l’uva o La cicala
e la formica, per esempio. Parabole dove è ben
chiaro quale sia il comportamento da seguire e
quale no ed è sempre amarissimo (vedi la cicala) il destino di chi fa la scelta sbagliata. Para-
bole prive di empatia (la formica lascia che la
cicala muoia di fame) pensate per irreggimentare giovani menti. Storie edificanti dove la crudeltà, se votata a un fine di maggior interesse e
pacificazione sociale, passa per ottima regola.
Anche le fiabe sono crudeli, intendiamoci.
«Tanto più un’epoca è atroce – la citazione è
sempre dal testo della De Mari – tanto più lo
sono le fiabe che essa ha prodotto o amato».
È immergendosi nella loro dimensione orrorifica che i cuccioli d’uomo possono trovare una
strada per gestire le ombre che portano dentro
e gli orrori che vedono nel mondo reale. Solo
che possono scegliere se essere cicala o formica, senza che ciò implichi una sentenza d’inade-
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Le fiabe classiche saprebbero interpretare
il nostro mondo eppure le abbiamo rifiutate.
Dall’avvento del modello Disney in poi si è innescato un processo di appiattimento del loro
universo simbolico. Non è certo un caso che per
il lettore (e lo spettatore) di oggi favole e fiabe
siano la stessa cosa.
Fate un giro in libreria, scoprirete a cosa si
sono ridotte le nostre fiabe. Prima di tutto le
troverete quasi esclusivamente relegate al settore per l’infanzia e poi scoprirete che, tranne
POLLICINO © KA-POW
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guatezza o, peggio, di cattiveria e immoralità.
Come abbiamo visto Pollicino usa metodi
non proprio ortodossi e come lui anche Jack,
in lotta contro i giganti, o la piccola Gretel. Con
loro i bambini possono esplorare il lato oscuro sapendo che in qualche modo (e non in uno
solo) si può arrivare a un lieto fine. Sanno per
certo che, per quanto triste sia ciò che gli sta
accadendo, è già accaduto e continua ad accadere, poiché fa parte della normalità delle cose.
Ed è questo che distingue la fiaba da un’altra
antichissima espressione dell’animo umano, il
mito. Il racconto mitico – lo ha spiegato assai
bene Bruno Bettelheim nel volume Il mondo incantato – è costruito intorno a personaggi unici
(eroi, dei, semidei) dalle caratteristiche quasi
irripetibili. Nelle fiabe, invece, i protagonisti,
spesso, non hanno nemmeno un nome proprio
(“un pescatore”, “un sarto”, “la figlia di un boscaiolo”) tanto è quotidiana, non straordinaria,
la loro natura.
Edipo è un personaggio unico. Jack è uno
come tanti. Edipo è costretto da un fato avverso a scontrarsi con il padre e finisce molto
male. Jack ha la meglio sul gigante – cosa che
ogni padre, ogni adulto, è per un bambino – e lo
sconfigge senza conseguenze negative. Edipo è
una maschera tragica, Jack l’ammazza-giganti
è un personaggio fantastico. Il mito offre espiazione, la fiaba consolazione. «Il mito – conclude
Bettelheim – è pessimistico, mentre la fiaba è
ottimistica, per quanto possano essere tremendamente seri certi aspetti della storia».
Per questo le fiabe hanno avuto e continuano ad avere successo. Sono veritiere eppure
benigne, fantastiche e pragmatiche.
Pensate alle minacce che oggi associamo
all’età infantile, come l’incesto, la violenza sessuale e l’omicidio in ambito familiare. Sono tutte ben presenti nelle avventure di Cappuccetto
Rosso, Barbablù, Raperonzolo e Biancaneve.
Cappuccetto, mandata letteralmente in pasto
a un lupo feroce dalla sua stessa mamma. Rapunzel, rinchiusa in una torre e per di più minorenne incinta. Biancaneve, condannata a morte
per essere più attraente della genitrice, che, già
nella prima trascrizione dei fratelli Grimm, è la
mamma e non la matrigna.
assai rare eccezioni, non disdegnano di offrire
una morale. Sono racconti in cui la descrizione
sottrae posto alla creazione di mondi e le scommesse interpretative del lettore sono ridotte a
un ben misero, stai col buono o col cattivo?
Anche l’incredibile revival di cui negli ultimi
anni pare oggetto il mondo incantato è un’illusione, un patto truccato di Tremotino.
Torniamo ancora a Biancaneve, figura predi-
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Viaggio alla (ri)scoperta
dei fratelli Grimm
Nel 1812 Jacob e Wilhelm Grimm
diedero alle stampe la prima edizione delle loro Fiabe (Kinder –
und Hausmärchen) restituendo
ai lettori di tutta Europa grandi
classici del folklore orale (e non
solo) quali Hansel e Gretel, Cenerentola, Cappuccetto Rosso,
Biancaneve, Il principe ranocchio
e molti, molti altri. Racconti destinati a incantare tutte le generazioni a venire e, in qualche caso,
a cadere nell’oblio. A duecento
anni di distanza l’editore Donzelli
recupera lo sconosciuto racconto
La principessa Pel di topo e altre
41 storie (evergreen come Raperonzolo compresi) riproposte nella
versione originale a cura di uno
dei più grandi studiosi delle fiabe,
Jack Zipes, e illustrate da Fabian
Negrin.
ANIMUS © JACQUES LEYRELOUP
La principessa pel di Topo e
altre 41 fiabe da scoprire
Jacob e Whilelm Grimm,
a cura di Jack Zipes
Donzelli 2012, 250 p. – 20,31 euro
letta nelle trasposizioni televisive e cinematografiche delle fiabe. Dopo il 1937 (anno in cui
Biancaneve e i sette nani uscì al cinema) Snow
White si è impressa nell’immaginario come il
simbolo della virtù femminile. Buona, operosa,
votata al sacrificio. Una che arriva nella casetta
dei nani sfuggendo a morte certa e, per prima
cosa, si mette a pulire per terra. Ed ecco che
dal serial tv Once Upon a Time a Biancaneve e
il cacciatore la nostra Snow viene trasformata
in una specie di guerrigliera, nel tentativo di ribaltarne la natura di massaia operosa. Peccato
che, in realtà, i nani fossero assai più ordinati
della giovane principessa. Leggendo la versione
dei Grimm, scoprirete una Biancaneve decisamente fuori schema. Cercando di modernizzarla
la fiction contemporanea l’ha schiacciata in una
chiave allegorica, dove la sua figura aggraziata
sta o per “oppressione femminile” o per “girl
power”, senza vie di mezzo, sfumature di senso.
Il che ha reso la sua storia molto meno magica,
in egual misura irrealistica e priva di spinta fantastica. Inutile.
La lingua delle fiabe, dunque, non ci appartiene più? Più che altro torniamo a impiegarla in
maniera inconsapevole. Quando paure indicibili
e sommovimenti inconsci sembrano travolgerci
troviamo rifugio nel C’era una volta. Trasformando la cronaca nera, ma anche quella politica, in narrazione fantastica. Michele Misseri,
accusato di aver ucciso la nipote tredicenne, è
«l’orco di Avetrana». Nelle parole della ex moglie di Berlusconi, Veronica Lario, le olgettine
sono «vergini che si offrono al drago». Contro
le ricette anticrisi che strangolano le nuove generazioni si armano i «draghi ribelli» e i membri
della vecchia nomenclatura partitica diventano
«morti viventi» contro cui si scaglia un Grillo
parlante.
Cercate le nostre fiabe tra le pagine dei tabloid o nei programmi tv del pomeriggio. Sono
le narrazioni atroci della più atroce delle epoche, la nostra.cino, per salvare la vita sua e dei
congiunti, fa divorare all’orco le sue stesse figlie e sottrae con l’inganno all’orchessa tutte
le ricchezze che possiede. Quindi torna felice e
contento (cioè ricco) dai genitori e vive senza
un rimpianto al mondo. Il suo, dopotutto, è un
mondo in cui la vita dei bambini, anche di quelli
minuscoli e malnutriti, vale molto più di quella
dei cuccioli di orco.
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