Asia maggiore. Viaggio nella Cina di Franco Fortini

Transcript

Asia maggiore. Viaggio nella Cina di Franco Fortini
Atlante digitale del '900 letterario
www.anovecento.net
Asia maggiore.
Viaggio nella Cina
di Franco Fortini
Il libro Asia maggiore. Viaggio nella Cina,
Torino, Einaudi, 1956, è un reportage in
chiave diaristica del viaggio che nei primi
anni ‘50 portò Fortini con una delegazione
scelta ad entrare per la prima volta nella Cina
post-rivoluzionaria. Il confine tra reportage e
diario autobiografico è labile e conflittuale,
perché Fortini, fedele al ruolo di intellettuale
del secondo dopo guerra, non vuole che il
suo resoconto diventi un libro d’impressioni di
viaggio. In definitiva però il merito di Fortini
in quest’opera è il valicamento del millenario
confine tra pubblico e privato.
Il libro, diviso in quattro sezioni, Pechino,
Mukden, Shanghai, Hanghow, contiene anche
due capitoli dedicati al resoconto del viaggio
in Russia: Ricordo di Leningrado e Ricordo di
Mosca.
Marco Polo è un estratto dalla sezione
Pechino. Qui l’autore elenca una serie di
elementi, comuni tra questo mondo da
sempre considerato totalmente altro e l’Italia.
L’andatura è incalzante e sembra condurre il
lettore verso il punto focale del paragrafo:
«Venezia c’è Venezia, in Cina».
«Marco Polo. I canali, i ponti di marmo, le
barche affusolate, le lacche rosse sui tronchi
di legno, il gusto delle maschere, le lanterne
notturne, il modo di remare con un remo solo
– quante cose ricordano Venezia; c’è Venezia,
in Cina, un po’ dovunque, ad Hangchow, ad
esempio, a Canton. E quella sera di festa e di
folla notturna, a Pechino, quando ci han fatto
attraversare due cortili del Palazzo Imperiale,
con quei marmi alla luna, quei profili dei tetti,
e ponti e canali illuminati dalle girandole, dei
bengala rossi e azzurri - una notte del
Redentore, dell’ombra della piazzetta dei
leoni».
Fortini deve confrontarsi con le due anime
di questo paese che dopo molti anni sembra
di nuovo riaprirsi all’occidente. Questo è ben
evidente nel seguente estratto della sezione
Shangahai, dove su uno sfondo quasi del
tutto occidentale si stagliano ginnasti e
guidatori di risciò.
«Magazzini generali. Poca gente per le vie. I
risciò aspettano davanti ai cinema la fine
dell’ultimo spettacolo. Qualche coppia
cammina lentamente, parlottando a bassa
voce. A torso nudo, un giovanotto si esercita
a rapidi volteggi ginnastici appoggiandosi al
tronco di un albero. Sotto un lume ad
acetilene, su due o tre banchi, un gruppo di
guidatori di risciò mangia qualcosa di
indecifrabile che fuma nelle tazze con un
odore oleoso».
L’Oriente e l’Occidente si incontrano in
questo particolarissimo reportage, a tratti
poetico, sullo sfondo della passione politica di
un Fortini viaggiatore che dimostra, grazie
anche alle fotografie che accompagnano
l’opera, di possedere uno sguardo attento e
www.anovecento.net
poetico su una realtà altra che grazie alla
rivoluzione sembra sempre più vicino.
In leggere e scrivere Fortini descrive così
l’esperienza dell’incontro frontale tanto
agognato con questo mondo altro: «Per me
fu veramente il viaggio sulla luna, ecco. È
stata la prima volta in cui mi si è presentato il
mondo in un altro modo, con una totale
novità, […] tutto, dagli elementi più umili
della vita quotidiana fino ai massimi aspetti
dell’architettura, si presentava come il
totalmente altro, e questo naturalmente
rendeva difficilissimo distinguere fra quello
che, di questo totalmente altro, era l’apporto
della Rivoluzione cinese e quello che era
semplicemente l’immensa ricchezza
dell’immensa tradizione culturale di quel
paese. […] dopo i giorni della Resistenza è
stata certamente l’esperienza più forte che io
abbia avuto».
Fortini nello scrivere si trova dunque a dover
analizzare quanto della tradizione cinese è
ancora presente in questa Cina moderna,
post-rivoluzione, che fa da tramite tra i due
blocchi; infatti solo capendo Pechino si può
capire Mosca ed è proprio in questo contesto
che si inseriscono i due capitoli dedicati alla
Russia.
Ma nello stesso tempo è costretto ad
un’autoanalisi che gli permetta di capire il
perché quel «sentire il diverso da sé come
natura e non come storia, è il nostro passato
occidentale. Non perdiamo, ora, la possibilità
di cominciare a leggere diversamente la
Cina» (F. Fortini, Asia Maggiore). Ed è
appunto «leggere» la parola chiave; Fortini
vuole che la sua opera permetta di leggere la
realtà non solo cinese, ma anche quella
dell’Italia a lui contemporanea, che si
allontana sempre di più dagli ideali del
comunismo, sempre più lontana dalla
possibilità della rivoluzione, in un paese che
necessita un cambiamento forte e sentito. La
necessità del cambiamento è espressa
esplicitamente nella parte conclusiva
dell’opera: «Si insegue il sole sull’Arabia, la
notte mostra i lumi del Cairo, l’alba è Roma.
Ritrovo la miseria dei giornali, dei settimanali,
la sollecitudine e la ripugnanza, il vecchio
amore e il vecchio odio per la patria. Non so
se finora abbiamo interpretato giustamente
questo nostro paese, ma so che bisogna
cambiarlo, lo so sempre meglio» (ibidem). In
questo estratto è inoltre presente la
commistione tra aspetto privato e aspetto
pubblico, infatti le riflessioni che solitamente
nascono dal ritorno sono di natura personale,
qui le riflessioni di Fortini sono strettamente
connesse al destino del paese.
Bibliografia:
Franco Fortini, Leggere e scrivere, Firenze,
Nardi, 1993;
Franco Fortini, Asia Maggiore, Torino,
Einaudi, 1956;
Giulia Benvenuti, Il diarismo in «Asia
Maggiore» di Fortini.
Contributo:
Marta Feliciangeli, (classe V B, L.C. Virgilio,
Roma)
www.anovecento.net