pdf - Fondazione Internazionale Menarini

Transcript

pdf - Fondazione Internazionale Menarini
n° 293 - febbraio 2000
© Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie
Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
I cento capolavori dell’Ermitage
Per sei mesi, dal 22 dicembre 1999 all’11 giugno 2000 - una durata
inusuale per una mostra, e già questo testimonia l’eccezionalità
dell’evento - la città di
Roma ospita presso le
Scuderie Papali al Quirinale la grande esposizione dedicata a I cento
capolavori dell’Ermitage,
che riunisce ottanta dipinti e venti disegni
degli impressionisti e
postimpressionisti: le
opere più importanti,
abitualmente custodite
nelle sale che l’Ermitage di San Pietroburgo
riserva all’arte francese
da Degas a Picasso, sono
state trasferite praticamente in blocco a
Roma, nel nuovo spazio espositivo restaurato e allestito da Gae
Aulenti, fornendo agli
appassionati d’arte
un’opportunità veramente unica.
L’Ermitage, che possiede in assoluto una
delle più importanti
raccolte di arte francese
tra Impressionismo e
Avanguardie storiche,
deve questo straordinario patrimonio alle
acquisizioni di dipinti
di arte contemporanea
che i grandi collezionisti russi Sergei Shukin e i fratelli Morozov
avevano intrapreso durante i loro viaggi a Parigi nell’ultimo decennio dell’Ottocento. Stupisce vedere come i ricchi mercanti venuti
dalla Russia avessero
l’intuito e la capacità
di riconoscere la per-
sonalità e il valore di
artisti diversissimi fra
loro, ma tutti accomunati dal carattere innovativo delle loro opere,
al di fuori e contro i canoni del gusto corrente,
ancora legato alla dottrina del realismo di
metà Ottocento. La passione che li animava si
accompagnava al gusto sicuro con cui sapevano individuare tra
i pittori spesso misconosciuti dai contemporanei quelli che il
tempo avrebbe valorizzato, pur con qualche
differenza nelle scelte
- perché Morozov, più
legato alla tradizione
amò soprattutto Cézanne, mentre Shukin
si lasciava conquistare
prima da Matisse e poi
da Picasso; frequentando i Salons e le gallerie d’arte accumulavano, forse anche con
spirito competitivo, un
numero straordinario
di opere di artisti contemporanei, tutte di
altissima qualità.
Dei fratelli Morozov fu
Michail a iniziare la
collezione, raccogliendo
nel corso della sua breve
vita - morì nel 1903 a
soli 33 anni di età - una
eccezionale selezione
di quadri di pittori all’epoca poco o niente
valutati, come Gauguin e Van Gogh, ma
destinati a divenire
maestri indiscussi per
le generazioni successive. Degas, Monet,
Vuillard e Bonnard costituirono il punto di
partenza dal quale Ivan
Morozov prese le mosse
per continuare ad arricchire la collezione
dopo la morte del fratello. Iniziando con l’acquisto di alcuni paesaggi di Sisley e Pissarro, Ivan Morozov
estese il suo raggio di
azione a tutta la pittura
francese degli ultimi
trenta anni, da Monet
fino a Matisse e Derain.
Racconta il critico parigino Felix Feneon:
«Non era neanche sceso
dal treno che già correva nei luoghi in cui
si vendevano quadri
[...] Dopo alcuni giorni
se ne tornava a Mosca
senza aver veduto altro
che quadri; e quelli che
portava con sé erano i
più selezionati».
Le acquisizioni di Shukin riguardarono soltanto fino al 1903 opere
dell’impressionismo,
il cui capostipite e maestro indiscusso era per
lui Monet: la presenza
nella sua collezione della
Signora in giardino,
un’opera del 1867 che
racchiude già, tanto
precocemente, tutti i
motivi conduttori della
pittura en plein air propri della grande stagione dell’Impressionismo, fa da contrappunto alle scelte dei
fratelli Morozov, dalla
cui collezione proviene
il tardo Ponte di Waterloo. Effetti della nebbia
, appartenente a una
delle serie di tele in cui
Monet cercava di fissare tutti i mutamenti
di luce e atmosfera di
uno stesso soggetto nel
C. Monet, Signora in giardino
C. Monet, Il ponte di Waterloo. Effetti della nebbia
pag. 2
volgere delle ore e delle
stagioni. Monet e Renoir rappresentarono
due cardini portanti
della collezione Morozov, che seguì anche gli
epigoni dei due maestri attraverso le tele di
Bonnard e Vuillard.
Diverso il percorso di
Shukin, che dal 1903
si volse a ricercare le
personalità più innovative del postimpressionismo; tra il 1904 e
il 1910 è il periodo di
Cézanne, Van Gogh,
Gauguin, mentre tra il
1910 e l’inizio della
prima guerra mondiale
- che pose fine ai viaggi
a Parigi - fu attratto soprattutto da Matisse,
Derain e Picasso. La
galleria Shukin, che all’epoca costituì il canale principale per l’ingresso in Russia di
opere di Monet, Degas,
Cézanne e Gauguin, fu
aperta dal 1909 a tutti
coloro che lo desiderassero, e veniva frequentata da molti giovani
artisti, alcuni dei quali
avrebbero preso parte
al movimento dell’Avanguardia; della
collezione facevano
parte anche sedici tele
di Gauguin, tutte scelte
fra i capolavori del periodo tahitiano, che in
casa di Sergej Shukin
avevano occupato un’intera parete della sala da
pranzo, selezionate con
cura e collocate vicinissime una all’altra in
modo da costituire
quasi un unico pannello.
Nello stesso periodo,
anche Michail Morozov si lasciava conquistare da Gauguin, autore che prediligeva per
l’uso fortemente espressivo del colore, ed ini-
ziava ad acquistarne le
opere. Che fossero i collezionisti russi i primi
a comprendere e apprezzare l’arte di Gauguin - quando ancora
in Francia non si osava
comprare opere così
estranee ai canoni estetici del tempo - non
può destare stupore se
si pensa quanto la cultura russa di fine Ottocento fosse sospesa
tra due mondi, quello
europeo e quello della
tradizione popolare, legata ad un gusto decorativo a forti tinte, usate
con vivi contrasti, in
un modo che si potrebbe definire “barbarico” per contrapporlo
alla cultura figurativa
di origine classico-mediterranea; proprio per
questo, Morozov e Shukin erano forse dotati
di una particolare sensibilità nei confronti
del mondo primigenio
che il pittore francese
amava e raffigurava in
uno stile innovativo e
personalissimo. D’altro canto, il rifiuto da
parte di Gauguin dell’allegoria come mezzo
espressivo “colto” - preferiva infatti parlare di
“sogno” - era in fondo
un’illusione, dal momento che nei suoi quadri tahitiani compaiono frequenti riferimenti a precedenti colti,
dall’arte orientale agli
affreschi di tombe egizie, alle sculture precolombiane, espressioni
figurative delle quali
anche Shukin sentiva
il fascino e l’attrattiva,
e la cui influenza appare evidente nelle pose
ieratiche e nella impostazione bidimensionale della scena nel dipinto Tre donne di Ta-
hiti su sfondo giallo, esposto a Roma insieme ad
altre cinque tele di Gauguin.
In occasione della mostra organizzata nel
1907, subito dopo la
morte di Cézanne, uno
dei visitatori più attenti fu Ivan Morozov,
che vi acquistò le prime
quattro opere del maestro, seguite in breve
da altre sei, tra le quali
Rive della Marna e Il fumatore, fino ad arrivare
a possedere ben diciotto
Cézanne. Nel primo dipinto, appaiono in tutta
la loro evidenza i motivi che distaccano la
pittura di Cézanne dall’esperienza impressionista, proprio per la
scelta del soggetto, un
paesaggio fluviale, che
rappresentò un tema
prediletto da molti pittori di quell’ambito.
All’atmosfera vibrante
di luci e di fuggevoli
effetti dovuti ai riflessi
degli alberi e del cielo
sulle acque, Cézanne
sostituisce una fissità
cristallina che tende a
trasformare le chiome
degli alberi in volumi
geometrici di solida
P. Cézanne, Frutta
P. Cézanne, Le rive della Marna
pag. 3
corposità, così come la
superficie dell’acqua
assume la consistenza
di uno specchio. Anziché cogliere il momento
effimero che la luminosità atmosferica irradia su tutto il paesaggio, Cézanne astrae
dal contingente verso
una fissità metatemporale, con un procedimento che trova la sua
espressione più intensa
nelle nature morte. E’
il caso di Frutta, una
tela appartenente alla
collezione di Sergej Shukin che l’aveva scelta
personalmente e acquistata già nel 1903; qui
l’approfondita meditazione di Cézanne sul
tema della rappresentazione delle forme e
dei loro rapporti spaziali trova uno dei momenti di massimo,
scarno equilibrio, una
“classicità” di rapporti
e proporzioni che nasce da un lungo processo di distillazione,
nel quale il soggetto
rappresentato è ininfluente, trasfigurato in
puro elemento compositivo; «Stupirò Parigi
con una mela», aveva
dichiarato Cézanne,
pienamente consapevole del portato rivoluzionario che era alla
base della sua arte.
Nel 1906 nasce in Shukin l’interesse per Matisse, e appena due anni
dopo aveva già acquistato numerose importanti tele dell’artista,
che nella rassegna romana ha un ruolo di
preminenza assoluta,
rappresentato come è
da ben venti opere. L’acquisto nel 1908 de Il
gioco delle bocce, in cui
Matisse affrontava con
coraggio rivoluziona-
rio il tema del primitivismo e dell’uscita
dall’ambito culturale
della tradizione europea, si inserisce nel tipo
di sensibilità che Shukin aveva già mostrato
verso le opere di Gauguin, ma testimonia
anche quanto audaci
fossero le intuizioni del
collezionista russo e la
sua apertura verso le
espressioni più estreme
dei giovani artisti. Così,
venne come logica conseguenza, l’anno successivo, la commissione
a Matisse da parte di
Shukin di due pannelli
con La Danza e La Musica, destinati ad essere
collocati lungo la scala
della sua villa moscovita.
Dal canto suo Morozov
amava particolarmente
la pittura con intenti
decorativi, e in ragione
di tale predilezione
scelse Bonnard per decorare (quasi in contemporea con Shukin)
lo scalone del suo palazzo moscovita con
il grande trittico Sul
mare Mediterraneo, integrato poco dopo da
due pannelli laterali
con soggetti dedicati
alla primavera e all’autunno, fino a costituire
un grande ciclo decorativo sul tema delle
stagioni.
Dell’intelligente sensibilità che caratterizzò
i rapporti tra Matisse
e il suo maggiore collezionista e acquirente
rende testimonianza la
lettera di Shukin all’artista, dopo l’arrivo a
Mosca de La Danza e
La Musica: «Trovo i
pannelli interessanti e
spero che un giorno mi
piaceranno. Ho piena
fiducia in lei. Il pub-
blico è contro di lei, ma
l’avvenire è dalla sua».
Fu proprio per il tramite di Matisse che
Shukin conobbe Picasso
a Parigi nel 1908, ma
ne comprò il primo
quadro solo l’anno dopo
e dietro molte insistenze
degli amici. Raccontò
poi di non avere avuto
interesse per quel dipinto, che pure aveva
appeso in casa, finché:
«sentii che il quadro,
sebbene fosse senza soggetto, aveva un cardine
di ferro, aveva solidità,
forza. Inorridii perché
tutti gli altri dipinti
della mia galleria d’un
tratto cominciarono a
sembrarmi privi di quel
cardine [...] Si impossessò di me definitivamente, e io cominciai
a comperare quadro
dopo quadro, senza più
guardare nessun altro
artista». Avendo iniziato acquistando opere
del Picasso già cubista,
Shukin in anni successivi arricchì la sua collezione anche con lavori giovanili, come La
bevitrice d’assenzio, del
1901, dove ancora appare evidente l’influenza
dei dipinti di Toulouse-
H. Matisse, Stanza rossa
P. Picasso, La bevitrice d’assenzio
pag. 4
Lautrec, nella scelta del
soggetto e nel forte segno che delimita nettamente i profili. Nel
1914 Shukin possedeva
la miglior collezione al
mondo di Picasso; infatti, mentre la sua raccolta comprendeva 37
Matisse, acquistò ben
51 opere dell’artista
spagnolo, seguendone
l’evoluzione dal periodo
“blu” a quello “rosa”,
fino al cubismo, a partire dai lavori più importanti della prima
fase cubista per giungere fino alla Composizione con pera tagliata
e grappolo d’uva, del
1914 - uno degli ultimi pezzi ad entrare
nella sua collezione in cui Picasso utilizza
tecniche miste, compreso il collage, la carta
da parati e la segatura
su cartone, trasformando la composizione
in una sorta di puzzle
di forme e materiali che
astraggono dalla realtà
oggettiva e toccano effetti di elegante, geometrica astrazione.
Nella testimonianza
del pittore Petrov-Vodkin abbiamo un’indicazione di quale fosse
il criterio seguito da
Shukin negli anni
Dieci: «Diceva che
l’idea della bellezza era
superata, che aveva fatto
il suo tempo, e che al
suo posto era subentrato il tipo, l’espressione dell’oggetto pittorico, che Gauguin
aveva chiuso l’epoca del
meraviglioso in pittura
e Picasso aveva denudato la struttura dell’oggetto».
La prima guerra mondiale pose fine ai viaggi
a Parigi, e poco dopo,
con la rivoluzione del
1917, le due raccolte
vennero nazionalizzate.
A Morozov fu permesso
di restare vicino ai suoi
dipinti in qualità di
aiutante archivista della
propria galleria, mentre Shukin - che aveva
già destinato alla città
di Mosca la sua collezione con un lascito testamentario nel 1907
- fu relegato in una
stanzetta adiacente alla
cucina di casa propria,
finché fuggì in Francia
nel 1918. Nonostante
mantenesse rapporti
amichevoli con gli artisti, ormai famosi, che
aveva un tempo patrocinato, Shukin si ritirò
dalla scena dell’arte;
cedette solo una volta
all’invito di Matisse,
recandosi insieme a lui
a far visita al vecchio
Renoir, poco prima
della morte di quest’ul-
P. Picasso, Composizione con pera tagliata
timo, nel 1919.
Le due collezioni vennero spartite durante
gli anni Trenta fra il
Museo Puskin di Mosca e l’Ermitage, ma
per tutto il periodo staliniano gli impressionisti e i pittori della
generazione successiva
rimasero inaccessibili
al pubblico, e non cominciarono a tornare
alla luce che alla fine
degli anni Sessanta.
donata brugioni