CASA PER TUTTI 16 maggio – 14 settembre

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CASA PER TUTTI 16 maggio – 14 settembre
CASA PER TUTTI
16 maggio – 14 settembre 2008
Coordinamento Fulvio Irace e Carlos Sambricio con Matteo Agnoletto, Silvia Berselli, Teresa
Feraboli, Federico Ferrari, Gabriele Neri, Jeffrey Schnapp
Progetto dell’allestimento Cliostraat
Progetto grafico GrafCo3
Catalogo Electa
Fulvio Irace
Carlos Sambricio
La Triennale di Milano è la più antica e ancora l’unica istituzione nazionale italiana dedicata
all’architettura e al design. Stabilitasi nel 1933 nel Palazzo dell’Arte di Giovanni Muzio, ha
ospitato in quasi un secolo di attività le più importanti manifestazioni di architettura del XX
secolo. Nel corso delle sue venti Edizioni, la Triennale infatti ha visto la presenza dei
principali esponenti dell’architettura europea, da Le Corbusier ad Alvar Aalto, da Terragni ad
Albini, a Fuller, a Rossi, a Piano, etc.
Il 1 maggio del 1933 la V Triennale aprì al pubblico il suo nuovo Palazzo con una mostra
dedicata al tema dell’abitazione: sulla scia del Weissenhof di Stoccarda, l’architettura veniva
mostrata in scala reale, sotto forma di ambienti completamente arredati e di vere e proprie
abitazioni costruite nel giardino del Parco retrostante.
Fu un’edizione memorabile che ancor oggi costituisce una tappa del Moderno in Italia.
Questa tradizione fu ripresa dalle successive edizioni, fino all’VIII, la prima dopo la seconda
guerra mondiale, che si tradusse nella costruzione del quartiere-modello del QT8, sotto la
regia di Piero Bottoni.
viale Alemagna, 6
20121 Milano
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info@triennale
La mostra “Casa per tutti” vuole riallacciarsi a questa tradizione, rilanciandola alla luce della
cultura contemporanea dell’abitare. Il messaggio – che coincide con il congresso
internazionale degli architetti (UIA) che si terrà a Torino nel luglio 2008 – contiene l’invito
esplicito agli architetti a tornare ad occuparsi di un tema che è stato centrale nel periodo tra
le due guerre e che è ritornato cruciale nella attuale crisi della metropoli postmoderna.
Negli ultimi decenni, a giudicare dalla Biennali, dalle riviste e dai media, l’architettura
d’autore si è concentrata soprattutto su edifici connessi alla cultura dell’intrattenimento, come
musei, sale da concerto e mediateche. Architetture straordinarie che hanno consentito ai loro
progettisti di affermarsi nel sistema delle Archistar come stilisti di linguaggi esotici e
sorprendenti, ma tutto sommato complici di una riorganizzazione sociale che ha ritenuto
prioritario, rispetto ai bisogni elementari, l’affermazione di bisogni tipici delle società opulente
della postindustrializzazione.
Niente è stato prodotto invece di significativo sul piano dell’housing e sulla comprensione di
come si siano modificati i bisogni urbani a seguito della frammentazione delle società e
dell’irruzione di soggetti estranei alle culture locali, come i flussi delle emigrazioni. Ad una
società ordinata per classi si è sostituita una società ordinata per gruppi: fenomeno che è
stato ben compreso dall’industria della moda, ad esempio, che forse per la sua particolare
sensibilità ai cambiamenti veloci ha saputo interpretare questa nuova e sfaccettata realtà.
Il razionalismo degli anni 30 del XX secolo aveva sviluppato un sapere scientifico sulla casa
fondato sull’assimilazione dell’abitare a una funzione meccanica. Come l’industria produceva
automobili, così una nuova industria edilizia avrebbe potuto produrre case come automobili,
in serie. Era il trionfo della casa-tipo corrispondente alla classificazione della società per tipi
economici. Ad essa corrispondeva la definizione di uno standard abitativo – l’existenz
minimum, il minimo di spazio necessario per abitare dignitosamente – in cui si esprimeva
l’esigenza di dare una risposta precisa al tema dell’eguaglianza sociale: a quella, cioè, che
Le Corbusier chiamava “la casa dell’uomo”.
Oggi quest’approccio non aiuta a spiegare la composizione fluida della società e un riflesso
evidente è nell’incapacità dei vari pubblici a riconoscersi nelle forme dell’abitare offerte dal
mercato.
A ciò si deve aggiungere l’aumentata consapevolezza di una svolta nel mondo delle
costruzioni che tenga conto della limitatezza delle risorse, della necessità di una
compatibilità ambientale tra edificio e natura, del bisogno di “inventare” tipologie” dello
spazio più flessibili e effimere, secondo bisogni e culture dei suoi fruitori.
Nasce da queste considerazioni la mostra “CASA PER TUTTI “.
L’idea sostanzialmente è di affiancare a una mostra per “esempi” storici, una sezione sulla
contemporaneità che presenti e spieghi tutte le più diverse soluzioni di un abitare
temporaneo, dalle case d’emergenza alle case autoprodotte, a quelle per utenti speciali
(case per studenti, case per ragazze, case per nomadi, case per operai, la casa-abito,
etc,), comprese le investigazioni di artisti che hanno posto tale tema al centro del loro lavoro.
La mostra – che in realtà sarà un laboratorio di nuove proposte- pone al centro i nuovi
bisogni che emergono dalle domande di socialità di comunità o singoli espropriati degli
elementari diritti all’abitare che Zygmunt Barman ha definito in un suo recente studio le “vite
di scarto”.
Si vuole insomma dare una risposta progettuale – e propositiva – al bollettino di guerra
scandito quotidianamente dalle cronache delle nostre città, dalla rivolta delle banlieu francesi
alla caccia al rom delle nostre.
In questa sezione saranno documentati i casi più interessanti di sperimentazione, dal guscio
architettonico all’abito-guscio agli attrezzi per abitare.Il momento più eclatante
dell’esposizione però sarà la costruzione in scala reale di nuovi modelli di architetture
d’abitare, affidate ad altrettanti autori, individuati come capofila di tendenze o linee di ricerca
più sperimentali. Massimiliano Fuksas, MVRDV, Kengo Kuma, Alejandro Aravena, etc.
sono stati contattati per un modello di casa la cui realizzazione sarà curata dalla Triennale
nel giardino dietro il Palazzo.
Durante il periodo dell’esposizione, in collaborazione con il Politecnico di Milano e la
sezione italiana di Architetti Senza Frontiere , negli spazi di Triennale Bovisa il professor
Camillo Magni della facoltà di Architettura Civile coordinerà con gli studenti il workshop
“Costruire con la gente”: una settimana di lavoro per sperimentare i processi costruttivi più
adatti alle realtà dei paesi in via di sviluppo.
Un’ultima –ma non meno importante – realizzazione sarà quella scaturita dalla selezione
delle proposte attivate da un bando di concorso destinato ai giovani architetti under 40, cui la
Triennale vuole dare il massimo risalto internazionale attraverso anche l’esposizione dei
lavori migliori, scelti da una giuria internazionale .
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Case Rapide
Teresa Feraboli
La sezione vuole indurre a riflettere sulla problematicità dell’abitare provvisorio,
sottolineando come questo tema sia sempre stato centrale nella coscienza degli architetti,
degli organismi di governo e delle diverse istituzioni europee tra cui la Triennale di Milano
che ha svolto un ruolo di fondamentale importanza nella divulgazione presso il grande
pubblico di tali idee. Nasce così la volontà di dimostrare come almeno dall’inizio del
Novecento, progettisti, politici, tecnici ed amministratori i si siano impegnati nello studio di
abitazioni prefabbricate, pensate sia per l’emergenza che per la vita quotidiana, secondo
due principali vie di attuazione: l’una volta a restituire monoliticità alla costruzione finale;
l’altra fondata sulla possibilità di costruire e smontare rapidamente l’alloggio trasferendolo su
sedimi diversi. E’ proprio questa seconda tendenza ad alimentare le costruzioni di
emergenza attuali: rapidità di costruzione, economia di materiali, serialità, trasportabilità e
leggerezza tornano quali indispensabili caratteristiche della prefabbricazione leggera.
Viene, dunque, proposta una selezione delle esperienze più significative compiute dai
maestri del Moderno - Le Corbusier, Prouvé, Aalto, Markelius, Gropius e Wachsmann – nel
momento dell’urgenza causata dalla seconda guerra mondiale e negli anni della
ricostruzione. Accanto ad esse vengono esposti alcuni progetti fondati sull’impiego della
casa prefabbricata per la vita quotidiana che vanno dal Baukaro System di Scharoun alla
casa smontabile di Griffini e Faludi presentata alla Fiera di Milano nel 1932. Viene, infatti,
esaminato in parallelo il costituirsi di una coscienza dell’abitare mobile e prefabbricato in
Italia che, a partire dai primi del Novecento, trova il suo culmine nelle abitazioni studiate per
le colonie in Africa Orientale Italiana (Pagano, Masera, Piccinato) e per l’emergenza
postbellica (Ponti, Canella, Ciocca, Bottoni), cui segue il rallentamento conseguente
all’istituzione del Piano Ina-Casa. É proprio la Triennale di Milano, nella sua X edizione, a
riportare in auge il tema della prefabbricazione della casa nelle sue potenzialità attraverso gli
esempi d’autore di Ponti e Baldessari, e avviando una nuova stagione di collaborazioni con
le imprese costruttrici che porta alla realizzazione di fortunati prototipi tra i quali spiccano
Guscio di Menghi e la Capanna Minolina di Minoletti. Sullo sfondo, la continuità delle
sperimentazioni finlandesi che, grazie ai progetti di Gullichsen e Pallasma, Ruusuvuori,
Suuronen alimentano sia la linea di applicazione dei materiali tradizionali, sia l’ispirazione
utopica generata dall’introduzione dei nuovi materiali plastici.
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Kit Houses
Jeffrey Schnapp
La sezione americana della mostra Casa per tutti è incentrata su due argomenti:
la storia della casa prefabbricata in America, dai kit-houses della Sears Roebuck dell'inizio
del '900 ai lavori degli anni 40 e 50 di architetti come Richard Neutra e di costruttori come
Joseph L. Eichler, alla ripresa attuale della prefabbricazione (OMD, Rocio Romero, Steve
Glenn, Marmol Radzinger, Michelle Kaufmann);
la storia degli approcci industriali all'edilizia abitativa durante il '900, comprese le mobile
homes, le ruolottes (Airstream), le case della WPA, della TVA e dell'esercito per i periodi
bellici e posbellici, e la costruzione su vasta scala di sobborghi ideali come Levittown
(William Levitt).
In quanto autore di una vasta gamma di proposte che si ricollegano ad ogni momento del
percorso novecentesco dell'edilizia abitativa americana, R. Buckminster Fuller servirà da
collant di questa visione panoramica: Fuller quale ideatore delle varie prototipiche 4D
Dymaxion House della fine degli anni '20, quale creatore delle Dymaxion Deployment Units e
della Wichita House (ambedue degli anni '40), quale ideatore della Standard of Living
Package della fine di quello stesso decennio, contenente l'intero arredo e mobiliario
necessari per una famiglia di sei persone, e quale creatore e ispiratore di un'ampia
genealogia di strutture geodetiche, dalla Triennale Dome (1954) alle Plydomes (1957) alle
irregolari cupole geodetiche della controcultura degli anni '60 e '70. La sezione verrà
suddivisa in sei parti: Esordi – la "kit house" da Sears a Weyerhauser (1900-1940); La casa
mobile (dall'Airstream al mobile home); R. Buckminster Fuller, poeta della tecnologia ; Il
sobborgo infinito: case rapide durante e dopo la Guerra (le case TVA e WPA; Levittown);
American modern (Neutra, Eichler); Controarchitetture (Drop City, Domebooks, la Whole
Earth Catalogue); e Rinascite della prefabbricazione (Romero, Siegal, Glenn, Radzinger,
Kaufmann).
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Utopie e nuovi materiali
Federico Ferrari
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Il Living Pod concepito dal gruppo Archigram nel 1966 rappresenta una delle icone del
positivismo e della fiducia nel futuro che caratterizzano il decennio dell’immaginazione al
potere. Una capsula abitabile ad alto contenuto tecnologico emblematica di un’utopia di
società in cui i tradizionali concetti di insediamento e di territorio vengono consapevolmente
svalutati in favore di una concezione del vivere fatta di movimento, nomadismo e
provvisorietà. Il tema del ruolo salvifico della tecnologia, già caro alle avanguardie e costante
della cultura anglosassone, viene evocato per rivendicare la propria coerenza con la
tradizione modernista. La rottura radicale rispetto al passato operata dal Movimento
Moderno non sarà in nessun modo contestata dalle diverse figure che si propongono un suo
“superamento”: dalla Plug-In City degli Archigram alla Nakagin Tower di Kisho Kurokawa,
dalla città cibernetica di Nicolas Schoffer alla “ville flottante” di Paul Maymont, sino ad
arrivare ai reticoli a capsule residenziali agganciate di Yona Friedman, la carica visionaria
del progetto risulta semmai potenziata, nutrita da un immaginario “futuribile” che estremizza
la vena utopica già presente nelle prefigurazioni razionaliste. Una mutazione radicale
dell’habitat umano la cui formalizzazione passa necessariamente attraverso l’estetica della
nascente industria aerospaziale e la ricerca su nuove componenti, come le materie plastiche
e sintetiche. Dal Living Pod del 1966 alla Plug-In City del 1964, dal “Cushicle” del 1966 a
Milano-gram del 1968 gli Archigram mostrano di saper interpretare come nessun altro il
passaggio epocale verso una società informatizzata, prefigurando concetti come le reti e i
flussi ben prima dell’avvento di internet.
La cultura italiana si mostra particolarmente attrezzata a recepire questo messaggio,
soprattutto in ragione della forte tradizione nel campo dell’industrial design. Le reciproche
influenze fra architettura e ricerca tecnologica – strettamente connessa con il tema della
prefabbricazione su larga scala - hanno peraltro in ambito lombardo una robusta tradizione,
considerando anche il ruolo decisivo come tramite tra mondo produttivo e professionale che
ebbe la Fiera di Milano.
Concepita da Marco Zanuso nel 1972, in occasione della mostra “Italy: the new domestic
landscape”, l’unità di emergenza per Fiat-Anic indaga il tema della prefabbricazione
applicato alla capsula abitativa trasportabile e si colloca nella scia di analoghe
sperimentazioni compiute oltreoceano da Buckminster Fuller. Un analogo approccio si può
osservare in altre realizzazioni dello stesso Zanuso, come il sistema “Spazio” prodotto per
Volani nel 1986 e in diversi progetti di Alberto Rosselli, tra cui occorre menzionare la “Casa
Mobile”, prototipo presentato anch’esso alla mostra newyorkese del 1972. L’ipertrofia
dimensionale alla macroscala e la ricerca sperimentale alla microscala individuano due
feconde linee di tendenza del ventennio a cavallo del 1970: apparentemente opposte, ma
profondamente speculari e necessarie l’una all’altra, sono entrambe debitrici di un rinnovato
interesse per la tecnologia come paradigma interpretativo della modernità e in questo
assolutamente coerenti con la rottura operata dal razionalismo negli anni venti. Il contributo
italiano in tal senso, che vede in Marco Zanuso, Alberto Rosselli, Roberto Menghi e Joe
Colombo una selezione rappresentativa, è stato forse troppo frettolosamente dimenticato, di
volta in volta ridotto al mero aspetto ingegneristico o al campo dell’industrial design. Al
contrario, la risoluzione di problemi circoscritti, in cui l’aspetto tecnologico di dettaglio diventa
elemento decisivo per il progetto, può essere considerata una delle maggiori lezioni che
l’architettura italiana ha consegnato alla modernità, ben testimoniato ancor oggi da figure
come quella di Renzo Piano.
Micro/Macro
Matteo Agnoletto e Silvia Berselli
La sezione propone una riflessione su due risposte al tema dell’abitare, apparentemente
opposte ma in realtà complementari: l’unità d’abitazione alla piccola scala dell’alloggio
individuale e quella alla grande scale dell’intensivo metropolitano.
I casi studio si suddividono dunque in due sezioni sulla base della scala dimensionale
dell’architettura, secondo un criterio derivato dalle riflessioni teoriche del moderno, ed
adottate in una nuova accezione: dalla cellula minima della Maison Domino di Le Corbusier,
eccellente prototipo di micro-house, si sviluppa per aggregazione il grande contenitore
dell’Unitè d’Habitation di Marsiglia, esempio paradigmatico del concetto di macro-house.
Tra questi due estremi si sviluppa una grande quantità di soluzioni che, a livello più basso
coincidono con la casa-mobile e addirittura con la casa-abito ritagliata sul corpo.
Tra le recenti filiazioni con la lunga tradizione dell’avanguardia architettonica i progetti delle
unità mobili olandesi degli Atelier Van Lieshut e quelle americane di Andrea Zittel, le caseabito del giapponese Kosuke Tsumura e dell’anglo-francese Lucy Orta testimoniano lo
sviluppo specifico intrapreso dall’architettura sul tema della “casa per tutti”. Tra i numerosi
esempi individuati nel settore delle micro-houses trovano spazio anche la casa intelligente
realizzata con materiali innovativi, come i padiglioni in plastica di Kengo Kuma e di
Cliostraat, oppure con elementi prefabbricati, come le case nei container recuperati di Robert
Lacey. La volontà di proporre sperimentazioni per riflettere sui modi innovativi dell’housing
attraversa ricerche ulteriori come il padiglione gonfiabile di Altro_Studio, la casa-parassita di
Njiric, le capanne sull’albero di Baumraum, testimoniando un impegno nel conferire pari
dignità a stili di vita differenti da quelli consolidati all’interno della nostra società.
Sull’altro versante, le grandi concrezioni residenziali che avevano popolato l’Europa della
ricostruzione postbellica, come l’Unité di Le Corbusier o il Corviale in Italia, la necessità di
ridurre il consumo del territorio in Oriente attraverso le strutture ad alta densità abitativa per
la baia di Tokyo (Kenzo Tange) o analoghe esperienze americane dei progetti di Cesar Pelli
e Moshe Safdie, ricompaiono oggi sotto una nuova veste: non più agglomerati insalubri,
ultimo rifugio per un’umanità logora e indifferente alla carica utopica del progetto, ma
accattivanti artefici del paesaggio urbano, come la “balena” dei Cie sui canali di Amsterdam
o i blocchi colorati degli MVRDV a Madrid, immagini di una nuova collettività, fino alle
residenze temporanee per studenti di Steven Holl in America e il nuovo complesso di
Building Store di OMA a Singapore.
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Emergencies
Gabriele Neri
Se all’alba del Terzo millennio il concetto di Emergenza sembra essere più relativo che mai –
dalla homelessness urbana ai disastri naturali che colpiscono il pianeta, fino a tutte quelle
situazioni di marginalità che affliggono anche i paesi più sviluppati –, la dignità
indissolubilmente legata all’idea di Casa rappresenta anche oggi uno degli obiettivi primari
per l’Architettura.
Alla richiesta di protezione dagli agenti atmosferici, sicurezza per gli abitanti ed economicità
– i tre intaccabili comandamenti di un’architettura dell’emergenza – gli architetti rispondono
cercando di sviluppare un surplus finalizzato alla minimizzazione delle privazioni patite dagli
utenti. I progetti esposti nella sezione “Emergencies” mostrano come questo surplus può
essere formale, tecnologico, legato ad uno specifico materiale, ad una tecnica costruttiva o
ad una particolare attenzione verso le culture locali, aprendo numerosi interrogativi sul ruolo
della tecnologia e sull’interpretazione di basic need, concetto alquanto soggettivo da cui
traspaiono i condizionamenti socio-culturali dei singoli progettisti.
Alcuni di questi progetti saranno realizzati in scala reale, appositamente per la mostra, da
architetti di tutto il mondo (gli Huts dei Madhousers, la Pallet House di I-Beam Design, la UDome di World Shelters, le architetture di terra di Nader Khalili, ecc.). Dalle Archistars a Brad
Pitt, dalle ONG all’autocostruzione degli Slums, questa sezione cerca di delineare un
panorama estremamente eterogeneo, per il quale sono necessarie strategie diversificate in
continuo aggiornamento.
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