D`Annunzio e Barzini. Geni a confronto nella vecchia

Transcript

D`Annunzio e Barzini. Geni a confronto nella vecchia
D’Annunzio e Barzini. Geni a confronto nella
vecchia Europa
Poeta e giornalista all’alba della Grande Guerra. Il Vate parlò dell’inviato ne «Le faville del maglio»
Il poeta e il giornalista. E di quali personaggi
stiamo parlando! Gabriele d’Annunzio e Luigi
Barzini.
L’Imaginifico lo aveva conosciuto in una riunione
conviviale e ne aveva tracciato un ritratto ne «Le
faville del maglio» - mirabile. In un inciso era
riuscito a sintetizzare le esperienze fatte
dall’inviato (già famoso) in Estremo Oriente,
all’epoca della rivolta dei Boxer in Cina e
soprattutto del conflitto russo-giapponese del
1904/5, prima guerra moderna del Secolo
Altri articoli che parlano di...
Ventesimo.
«Sedeva alla sua sinistra un giovane, Luigi
Categorie (1)
Barzini, con l’attitudine di un messaggero che sia
lì lì per rialzarsi mentre non è ancor quieta nella
Cultura & Spettacoli
sua persona l’agitazione della corsa recente. - O
entrata nei folti porti oleosi ove fluttua l’odore dei continenti e delle schiatte quando al crepuscolo
s’accendono i fuochi dei fari e le orge delle ciurme! O febbri delle metropoli violente, pianto e sangue
delle catastrofi, rimbombo del cannone sui mari notturni ove il mostro d’acciaio s’inabissa gittando il
grido del coraggio all’immortalità delle stelle! - Pieno di spettacoli indimenticabili il giovane parlava di
rado quasi timido dinanzi alla tavola ornata di violette. Era lì per una breve ora; aveva lasciato le valigie
nell’anticamera/pronto a ripartire verso l’estremità della terra».
Talmente giovane (27 anni) l’inviato di guerra, all’epoca della rivolta dei Boxer, che Albertini, direttore
del «Corriere della Sera», non gli firmava le corrispondenze; le siglava l.b. Ma gli strilloni, in Galleria, a
Milano, conoscevano il nome del giornalista e lo gridavano: «Un articolo di Luigi Barzini!», per
incrementare le vendite. I lettori divoravano quella prosa viva, palpitante: «pareva di esserci».
Il poeta incontrò nuovamente Barzini a Parigi, nell’estate del 1914, in una situazione altamente
drammatica per le sorti della Francia (ricorre quest’anno il centenario anche di questa storia).
Sorpreso dall’inizio della Grande Guerra - venne chiamata cosi, prima che l’umanità fosse costretta a
numerare i conflitti mondiali - d’Annunzio assistette attonito e angosciato all’avanzata delle armate
tedesche, che sembrava inarrestabile. Barzini era reduce dal fronte: come si diceva, si era fatta una
fama come corrispondente di guerra. Gli «ingredienti» di quella, sanguinosissima, russo-giapponese
(mortai, mitragliatrici, reticolati, trincee) alla quale aveva assistito, erano gli stessi che stavano per
essere applicati ai campi di battaglia europei. Il suo giudizio fu senza appello: «L’esercito francese di
fatto non esiste più. Cosa avverrà non lo so. Ma ci sono nove probabilità su dieci che fra una
settimana i tedeschi entrino a Parigi, E allora, addio Francia!».
Per fortuna, il giornalista si sbagliava. O, meglio, sbagliarono i tedeschi: la loro manovra intempestiva
su Parigi offrì il fianco alla controffensiva francese e la Ville Lumiére fu salva. I 600 taxi della capitale,
impiegati per trasportare le truppe in linea, entrarono nella leggenda. Si profilava allora un assedio di
Parigi, come era avvenuto nel 1870, all’epoca della guerra franco-prussiana? Gli ordini impartiti da
d’Annunzio, per far fronte a una tale eventualità, furono tassativi, perché nel 1870 anche i ratti erano
figurati nelle mense degli affamati parigini. Scrive Tom Antongini, suo segretario privato: «Quanto
comperai in quei giorni (per ordine suo) di sacchi di riso, di scatole di sardine e d’ogni sorta di vivande
conservate, di olio, di farina, di marmellate e di latte centrifugato ecc. è difficile stabilire».
In quel frangente, con i taxi e gli autobus impiegati per le esigenze di guerra, d’Annunzio fu costretto a
servirsi del «Métro» che, costando pochi centesimi, doveva secondo lui essere sporco, disgustoso,
ignobile. Lo trovò invece un mezzo magico, bellissimo, divertentissimo, al punto da raccomandarlo ad
amici e conoscenti che, naturalmente, lo conoscevano e se ne servivano da lungo tempo.
D’Annunzio, come è noto, rientró in Italia nella primavera del 1915: il suo discorso a Quarto, per
l’inaugurazione del monumento ai Mille, segnò la fine del neutralismo, il preludio alla guerra. Un’ultima
annotazione riguarda Luigi Barzini. Dopo l’8 settembre 1943, rimase a Milano, Presidente della
Stefani, l’Agenzia di notizie. Alla morte, nel 1947 (come ricorda il figlio, Luigi Barzini Jr.) «il sindaco
comunista di Orvieto proibì che il feretro passasse per le vie della città e lo fece trasportare per le
strade di campagna, la mattina molto presto, dalla stazione al cimitero, alla chetichella».
Carlo De Risio