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FRAMMENTI DELLA NOTTE A CREDITO Ianus Pravo ma le storie che accadono di notte, si lasci che nella notte finiscano. Bei Dao Immagine di copertina di Silvia Tripodi Orina David Nebreda vive in un misterioso appartamento di Madrid, non ne esce mai. Ha fatto dell'autonegazione la pratica del suo lavoro artistico. Espone all'obiettivo fotografico il proprio corpo ferito (realmente ferito), oltraggiato, sottoposto a spaventose torture e astinenze. Mostrare la vulnerabilità del corpo, mostrare la sua incisione, è come mostrare un sorriso: esposizione dell'orrore dell'io. Esposizione dell'errore dell'io. Lo sguardo feroce su se stesso rende l'ego instabile, ridotto, come Narciso, a una domanda che non riesce a chiudersi con una risposta, e la cancellatura che abrade Io attesta il riconoscimento d'Altro. Narciso è Caino (in tedesco Kein, da cui, poeticamente -produttivamente-, Keiner, cioè Nessuno). Narciso è l'eroe porno della dissoluzione del corpo. Quod cupio mecum est: inopem me copia fecit. Ciò che desidero è in me, la ricchezza mi ha reso indigente. Oh potessi separarmi dal mio corpo. Inaudito desiderio di un amante, vorrei che ciò che amo fosse assente. (Ovidio, "Metamorfosi"). Quanto più guardato, inciso, ucciso, tanto più il corpo dispone la sua assenza al desiderio dell'amante. L'erotismo pre-post-Bastiglia lo lascio, Nebreda lo lascia, alle guardie del castello identitario. C'è chi trova l'opera di Nebreda troppo rivolta allo scandalo, alla spettacolarizzazione. Quando invece l'osceno non può scandalizzare, non è fatto per questo, e non può essere rappresentazione. Narciso e pornografia, nel senso beniano (e lacaniano), non sono altro che dialogo impossibile da oggetto a oggetto, fine dell'erotismo verso l'inorganico. Per lo spettacolo Achilleide, Carmelo Bene chiedeva allo spettatore, come unica forma possibile di partecipazione, il massimo d'irreciprocità, la grazia del coma. Nulla, quindi, di shock spettacolare. Ma io non vedo rappresentazione in David Nebreda, ci vedo testimonianza impossibile dell'intestimoniabile, del mormorio di fondo dell'intestimoniabile. Non c'è alcuna lacrima, né ghigno di alcun tipo, sul volto di Nebreda, e non c'è personaggio, ma una feroce scelta di autonegazione, come osservava Baudrillard. Non vi è richiesta di empatia, né intenzione di stupire (altra cosa è che si stupisca o inorridisca qualche osservatore). E in ciò io sento l'osceno contro l'erotico, la pratica vitale e artistica di Nebreda prosegue con indipendenza dallo sguardo altrui: testimonia nolente, martire senza martirio perché senza sguardo, di fronte a uno specchio, in una stanza solitaria, il suo lento dissolversi. Nebreda non crede allo specchio in cui si riflette, non crede al Doppio artistico che salva l'Io, perché, per dirla con Leopoldo María Panero (uno schizofrenico come Nebreda), quel Doppio non è Colui che ci salverà dalla Cenere / perché è lui stesso a condurci alla Cenere. L'esposizione artistica del corpo di Nebreda è vera fanofagia, è timore e tremore prima del nulla. Vi è tanta differenza tra l'assottigliamento muto dei mistici e il cospargersi il viso d'orina e di escrementi di Nebreda? Esce la sua opera dal claustro, dal silenzio? Sì, come una preghiera origliata da un sordo. Se l'immagine cristica può essere appropriata per Nebreda, lo è se è quella del Cristo sabatizzato, del Cristo nella solitudine dei morti nel sepolcro. Se è un Cristo dimezzato. Narciso è la ricerca, la vibrazione della carne, e a me piace vederlo come un Cristo che vuole il sabato, il Papavero che è morte e conduce solo alla Morte. La redenzione non mi conosce, e non c'è alba né città dove io vado. Sia tu lodato, o Nessuno. / Vogliamo per amor tuo / fiorire / contro di te. Paul Celan. Cerco le tracce del silenzio. All the rest is word. De-sidereo, aspetto sotto le stelle chi non ha fatto ritorno. Nel porno chi tocca crea un contatto che è simultaneamente distanza, perché non trattiene. Mastro Eckhart pregava Dio di liberarlo da Dio, Maria Maddalena de' Pazzi parlava di amore morto, Teresa d'Avila entra morta in monastero. Il silenzio tra le parole, il silenzio nella contraddizione che lo nomina. Frontalità della kóre / che dal suo témenos s'offre / in limbo dove lo sguardo / possa vuotarsi del ductus. / Non a Maria, a Marta, in Eckhart / irrotta nudità del confiteor. Mi ha molto colpito il Sermone di Eckhart sull'episodio evangelico di Marta e Maria (Lc 10, 38-40), dove si valorizza la figura di Marta, povera della compagnia (dell'immagine) di Gesù: logofagia, fanofagia. Dio volta la faccia a Cristo, Cristo volta la faccia a Dio. Ianus Pravo preferiva non farlo, e quindi l'ha fatto. Ê una specie di Bartleby cristiano. Ed io non voglio più essere io. Il problema è il voglio. Auschwitz è la Madonna. Ianus Pravo e Leopoldo María Panero per le strade di Las Palmas. Collodi e Pinocchio nella contrada dei morti. Ianus Pravo e Leopoldo María Panero, dopo una giornata di scrittura comune, pensano a come farsi ricchi: giocano alla lotteria. L'Italia è una condanna a vivere da cadaveri, l'Italia è una condanna a morire da cadaveri. Nelle false parole di Gesù Cristo-Satana innato. Dio è trino. Uno è di troppo. Dio è trino. Uno è trono. Uno è trono. Trino è treno. Uno è trono. Trino è ano. Il porno è ultralimbo, l'aborto di un gesto. Quos ego... Dejémonos de chorradas: lo que me gujta a mí ez el fumbol. Due a vita, mia noi! Poeta? Sì. Beccaio. In Salò, di Pasolini. Osservano col binocolo il campo di tortura. Guardare la vita con quattr'occhi è viverla con quattro soldi. Il potenziamento della visione -la volontà di potenza della visione e la volontà di potenza del vedere- nasconde il nero che respira tra immagine e immagine. È il cieco che m'importa. L'intervallo tra immagine e immagine. Sarà tra poco, l'intervallo, il mio. Il raddoppiamento degli occhi (attraverso binocolo, macchina da presa, schermo o specchio) è godere di una vita in spiccioli. La vita è un furto (Pravo vs Proudhon).