L`OSSERVATORE ROMANO
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L`OSSERVATORE ROMANO
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLVII n. 33 (47.467) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano venerdì 10 febbraio 2017 . Il Papa condanna l’antisemitismo e ribadisce l’importanza dell’amicizia tra cattolici ed ebrei Milioni di persone a rischio nei prossimi mesi Insieme contro l’odio In Nigeria tragedia umanitaria E nella messa a Santa Marta esalta il ruolo della donna per l’armonia del mondo «L’atteggiamento antisemitico, che nuovamente deploro, in ogni sua forma» è «contrario in tutto ai principi cristiani e ad ogni visione che sia degna dell’uomo»: lo ha ribadito con forza Papa Francesco ricevendo stamane, giovedì 9 febbraio, una delegazione dell’Anti defamation league, organizzazione ebraica statunitense che ha rapporti con la Santa Sede dai tempi del concilio Vaticano II. «Il nostro incontrarci — ha detto il Pontefice nel suo discorso — è un’ulteriore testimonianza, oltre che dell’impegno comune, della forza benefica della riconciliazione, che risana e trasforma le relazioni. Per questo rendiamo grazie a Dio — ha proseguito — che certamente si rallegra vedendo l’amicizia sincera e i sentimenti fraterni che oggi animano Ebrei e Cattolici». Un elogio dunque della «cultura dell’incontro e della riconciliazione» che «genera vita e produce speranza» quello fatto da Papa Francesco, il quale ha invece messo in guardia dalla «non-cultura dell’odio» che «semina morte e miete disperazione». E in proposito ha ricordato la visita compiuta lo scorso anno al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, quando di fronte agli «orrori della crudeltà e del peccato» ha pregato «perché tali tragedie non si ripetano. Per questo continuiamo ad aiutarci gli uni gli altri» ha auspicato Francesco riprendendo il severo monito di Giovanni Paolo II sull’«indicibile iniquità della Shoah» (12 marzo 1998). Solo così, ha continuato il Pontefice, è possibile costruire «un futuro di autentico rispetto per la vita e per la dignità di ogni popolo e di ogni essere umano» Il dialogo del 25 novembre scorso con l’Usg La Chiesa deve rimanere in uscita PAGINE 4 E soprattutto in questa epoca in cui «purtroppo, l’atteggiamento antisemitico è ancora diffuso». Anche perché, ha chiarito, «oggi più che in passato, la lotta all’antisemitismo può fruire di strumenti efficaci, come l’informazione e la formazione». E in proposito il Papa ha ringraziato l’organizzazione per la sua opera e perché accompagna «al contrasto della diffamazione l’impegno ad educare, a promuovere il rispetto di tutti e a proteggere i più deboli». In particolare, ha spiegato, «custodire il sacro tesoro di ogni vita umana, dal concepimento sino alla fine, tutelandone la dignità, è la via migliore per prevenire ogni forma violenta. Di fronte alla troppa violenza che dilaga nel mondo, siamo chiamati a un di più di nonviolenza, che non significa passività, ma promozione attiva del bene». Del resto, «se è necessario estirpare l’erba del male, è ancora più urgente seminare il bene: coltivare la giustizia, accrescere la concordia, sostenere l’integrazione, senza mai stancarsi; solo così si potranno raccogliere frutti di pace». Da qui l’incoraggiamento conclusivo del Papa a promuovere insieme la cultura e a «favorire dovunque la libertà di culto, anche proteggendo i credenti e le religioni da ogni manifestazione di violenza e strumentalizzazione» come «migliori antidoti contro l’insorgere dell’odio». In precedenza, durante la celebrazione della messa mattutina nella cappella di Santa Marta, il Papa aveva innalzato un vero e proprio inno alle donne, scaturito dalla riflessione sulle letture del giorno. «Per capire una donna — ha detto — bisogna prima sognarla»: ecco perché la donna è «il grande dono di Dio», capace di «portare armonia nel creato». Tanto che, ha confidato con un tocco di poetica tenerezza, «a me piace pensare che Dio ha creato la donna perché tutti noi avessimo una madre». 5 PAGINA 8 Turchia e Stati Uniti pronti a intensificare le azioni per liberare dall’Is la città siriana Obiettivo Raqqa y(7HA3J1*QSSKKM( +/!"!$!=!z! DAMASCO, 9. «I nostri uomini e i ribelli siriani hanno ottenuto importanti risultati, anche grazie al supporto aereo della coalizione internazionale a guida statunitense. Consolidato il controllo di Al Bab ci concentreremo su Raqqa, per prendere la quale potremmo impiegare le nostre forze speciali». Queste le parole usate dal ministro degli esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, oggi, per descrivere la situazione militare in Siria e gli sforzi militari in atto e la rinnovata cooperazione con Washington. Con la conquista di Al Bab, città nella provincia di Aleppo prima controllata dal cosiddetto stato islamico (Is), le forze turche insieme ai ribelli hanno compiuto un fondamentale passo in avanti e ora puntano alla liberazione di Raqqa, ultima roccaforte jihadista in territorio siriano. Le parole di Çavuşoğlu arrivano a poche ore dal colloquio tra il presi- Bambini sfollati in fuga da Raqqa (Reuters) dente turco, Recep Tayyip Erdoğan, e il presidente statunitense, Donald Trump. Un colloquio importante, nel quale i due leader hanno sottolineato la volontà di superare gli attriti degli ultimi anni, dovuti principalmente al sostegno statunitense alle forze curde impegnate nella lotta all’Is e al rifiuto della Casa Bianca di permettere l’estradizione di Fethullah Gülen, l’ex imam in esilio proprio negli Stati Uniti, considerato da Ankara la “mente” del fallito golpe del 15 luglio. «Nella lotta all’Is, noi coopereremo con gli Stati Uniti. Crediamo che d’ora in poi la lotta sarà più efficace e che riusciremo a liberare sia la Siria che l’Iraq» ha detto Çavuşoğlu. Nel corso del colloquio con Erdoğan, Trump ha «ribadito il sostegno degli Stati Uniti alla Turchia come partner strategico e alleato Nato e ha lodato il contributo della Turchia alla campagna contro l’Is» riporta una nota della Casa Bianca. I due leader hanno parlato anche delle strette relazioni tra i due paesi e del loro «impegno comune a combattere il terrorismo in tutte le sue forme». E a conferma della rinnovata cooperazione, il direttore della Cia, Mike Pompeo, si recherà in Turchia oggi per il suo primo viaggio all’estero da quando ha assunto l’incarico e da quando si è insediato Trump. L’obiettivo prioritario — spiegano gli analisti — è quello di raggiungere una nuova intesa per allargare e rafforzare la tregua in atto in diverse regioni siriane. Sul piano militare, come detto, i combattimenti si concentrano ormai nell’area di Raqqa. Pesanti scontri sono stati registrati ieri tra i jihadisti dell’Is e le forze curde legate ai ribelli siriani, a soli venti chilometri a nord dalla città. I curdi hanno attaccato le postazioni Is nel villaggio di Maayzila, martellato anche dai raid di tre cacciabombardieri della coalizione internazionale a guida statunitense. Intanto, è di 46 vittime, tra cui 10 minori e 11 donne, il pesante bilan- cio dei raid aerei compiuti nelle ultime 24 ore nella regione di Idlib, zona fuori dal controllo governativo e non compresa nella tregua. È di nove civili rimasti uccisi invece il bilancio degli scontri armati a Homs. I combattimenti si concentrano a Waar, un sobborgo fuori dal controllo governativo e assediato da oltre tre anni. A Waar ci sono diverse sigle delle opposizioni armate, tra cui membri dell’ala qaidista siriana. Campo del Programma alimentare mondiale in Nigeria (Afp) ABUJA, 9. Tragedia annunciata in Nigeria. L’Onu denuncia per i prossimi mesi «condizioni catastrofiche» per oltre 120.000 cittadini e carenze alimentari per 11 milioni di persone, a causa del persistere delle violenze di Boko Haram, che sparge terrore dal 2014. In questi anni gli estremisti hanno ucciso circa 20.000 persone, oltre ad aver provocato più di due milioni di sfollati. Il governo prosegue la sua battaglia contro il gruppo ma le violenze continuano. Il rapporto, della Food and Agriculture Organization (Fao), prevede che «la più grave crisi umanitaria in Africa, nel nord-est della Nigeria, si aggraverà tra giugno e agosto». Le tendenze — si legge nel rapporto — mostrano che la sicurezza alimentare e nutrizionale sta sempre più venendo meno». Agenzie dell’Onu hanno già avvertito nei mesi scorsi che molti bambini stanno morendo e che oltre 500.000 persone potrebbero andare incontro alla morte se non riceveranno aiuti. La malnutrizione colpisce almeno 400.000 minori nelle zone dove più alto è il livello di conflittualità. Nei tre stati più colpiti, Borno, Yobe e Adamawa, le attività agricole sono state interrotte e i raccolti distrutti, le riserve di cibo sono esaurite e spesso vengono saccheg- Alla comunità della Civiltà Cattolica Ponte e frontiera giate, il bestiame viene ucciso o abbandonato. Si tratta delle zone dove il gruppo terrorista Boko Haram imperversa da anni. Nel 2009 è stato catturato e giustiziato il fondatore di Boko Haram, Mohammed Yusuf, ma il gruppo non ha perso potere e ha installato basi anche in paesi limitrofi come il Ciad, il Niger e il Camerun. L’impatto sui bambini è già devastante. Se la situazione non cambia, nel prossimo anno la maggior parte dei minori che già soffrono di malnutrizione saranno in una condizione acuta grave che li esporrà alla morte. In particolare nel Borno, dove i combattimenti sono diventati terribilmente violenti, il 75 per cento delle infrastrutture idriche e igienico-sanitarie e il 30 per cento di tutte le strutture sanitarie sono state distrutte, saccheggiate o danneggiate. Nello stato di Borno è nato il gruppo Boko Haram, che ha l’obiettivo di combattere tutto ciò che è occidentale e di ripristinare una sharia senza compromessi con la modernità. È emergenza umanitaria anche nel sud est del Niger, zona di confine con la Nigeria, dove si riversano centinaia di migliaia di persone che subiscono le conseguenze del conflitto tra Boko Haram e le forze armate della Nigeria. Nonostante gli sforzi delle organizzazioni umanitarie, non c’è una risposta soddisfacente alle sofferenze della gente e alla carenza di cibo. Oltre agli attacchi delle milizie jihadiste dei Boko Haram, il paese soffre la recessione dovuta alla crisi dei prezzi del greggio. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Padre Arturo Sosa Abascal, S.I., Preposito Generale della Compagnia di Gesù; con Padre Antonio Spadaro, S.I., Direttore de «La Civiltà Cattolica». Nomina di Vescovo Ausiliare Andrea Pozzo, «Gloria di sant’Ignazio» PAGINA 6 Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Hamburg (Repubblica Federale di Germania) Monsignor Horst Eberlein, del clero della medesima Arcidiocesi, finora Prevosto di Sankt Anna a Schwerin e Canonico non-residente del Capitolo Metropolitano, assegnandogli la sede titolare vescovile di Tisedi. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 venerdì 10 febbraio 2017 Il presidente statunitense Donald Trump (Ansa) Cessato l’allarme nell’impianto di Flamanville Paura in Francia per un incendio in una centrale nucleare PARIGI, 9. Cessato allarme a Flamanville, nel nord della Francia, dopo l’esplosione e il successivo incendio avvenuti questa mattina nella centrale nucleare della compagnia Edf (Électricité de France), prima produttrice di energia nel Paese. In un comunicato Edf ha fatto sapere che l’incendio è scoppiato alle ore 8.40 locali, nell’impianto del reattore 1 in una zona definita «non nucleare». Il reattore è stato subito spento per precauzione. La compagnia ha aggiunto che «l’incendio è Il sito della centrale di Flamanville (Ansa) Trump scrive al presidente cinese Per una relazione costruttiva WASHINGTON, 9. Una «costruttiva relazione». È quanto auspica Donald Trump tra Stati Uniti e Cina, in un messaggio inviato a Xi Jinping. E da Pechino il presidente cinese risponde che «la cooperazione è l’unica scelta corretta». Il presidente statunitense ha scritto al suo omologo cinese Xi Jinping, ringraziandolo per la missiva ricevuta in occasione dell’inaugurazione del suo mandato. Trump ha detto a Xi di «non vedere l’ora di lavorare insieme e sviluppare una costruttiva relazione a beneficio di Stati Uniti e Cina». La prima risposta è arrivata dal ministero degli esteri cinese. Il portavoce ha dichiarato: «La Cina attribuisce grande rilievo alle relazioni Superati gli emendamenti più insidiosi alla camera dei comuni Rete di tangenti coinvolge diversi paesi sudamericani Passo decisivo verso l’avvio della Brexit Dilaga il caso Odebrecht LONDRA, 9. La premessa per la Brexit c’è tutta. Alla camera dei comuni si è chiusa ieri la pratica della Legge di notifica del ritiro dall’Unione europea (European Union Notification of Withdrawal Bill) che rappresenta proprio il primo passo per l’avvio formale del negoziato di divorzio da Bruxelles. Il voto di ieri ha approvato il testo che passa ora alla camera dei lord, ma lo scoglio più difficile erano alcuni emendamenti che l’opposizione aveva presentato e che, invece, sono stati bocciati dalla maggioranza. Nuove forti tensioni al Comune di Roma ROMA, 9. Nuove forti tensioni si sono registrate ieri al Comune di Roma, dove l’assessore all’Urbanistica, Paolo Berdini, ha presentato le dimissioni al sindaco Raggi, che le ha respinte «con riserva». La decisione dell’assessore era arrivata dopo che il quotidiano «La Stampa» aveva pubblicato alcune sue dichiarazioni, fatte nel corso di un colloquio con un giornalista, fortemente critiche nei confronti della stessa Raggi, definita «strutturalmente impreparata» e colpevole di essersi circondata di una «banda», e contenenti pesanti insinuazioni sulla sua vita privata. Nonostante una prima smentita, Raggi ha comunque preteso da Berdini un chiarimento, che è avvenuto appunto nel corso dell’incontro nel quale l’assessore ha rimesso il suo mandato nelle mani del sindaco. Raggi ha comunicato di aver respinto le dimissioni in considerazione delle molte questioni nelle quali in questo momento l’assessorato all’Urbanistica è impegnato. Nella tarda serata di ieri, poi, il sito in rete dello stesso quotidiano ha pubblicato la registrazione audio contenente tutte le dichiarazioni dell’assessore. Si fa sempre più concreta la possibilità che a marzo il premier Theresa May faccia scattare, come previsto, la procedura invocando l’Articolo 50 del Trattato di Lisbona. Il testo base del governo è stato confermato in terza e ultima lettura con uno schiacciante voto favorevole (494 a 122). Per il governo conservatore britannico, orientato verso un taglio netto con l’Ue — mercato unico incluso — è stato un passaggio decisivo. A votare contro sono stati tutti i rappresentanti del Partito nazionale scozzese (Snp) e il piccolo gruppo europeista dei liberal democratici guidati da Tim Farron, i Libdem, oltre a pochi Labour. Ora la palla passa alla House of Lords, la camera dei non eletti, al cui interno la Brexit non è sicuramente popolare. Ma in caso di modifiche inserite dai lord, la parola dovrà tornare alla camera bassa, dove i giochi, alla luce dei numeri di questi giorni, sembrano fatti. Già la prima approvazione del testo nella lettura introduttiva della settimana scorsa aveva tracciato la strada. E nel terzo voto è stata determinante la bocciatura (326 no, 293 sì) di una proposta chiave laburista che avrebbe obbligato il governo a sottoporsi a un nuovo scrutinio vincolante di Westminster sui contenuti dell’accordo con Bruxelles, dopo i due anni negoziali previsti. A fine percorso il voto a Westminster ci sarà di nuovo, ha promesso con POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va un impegno verbale May, ma sarà un pronunciamento che licenzia o no l’accordo e non un dibattito che potrà cambiare qualcosa. Erano pochi i Tory disposti a votare a favore dell’emendamento. Tra i Labour non sono mancate le spaccature, ma ha prevalso la linea di non ostruzionismo indicata dal leader Jeremy Corbyn, in nome del rispetto della volontà popolare espressa nel referendum del 23 giugno 2016. Anche se le perplessità sono state espresse da figure di primo piano della sinistra, come Clive Lewis e Diane Abbott, critici nei confronti della linea scelta da Corbyn. È stato bocciato anche l’emendamento che mirava a fissare per iscritto a priori gli impegni del governo a tutelare anche in futuro i cittadini Ue residenti nel paese. A questo proposito, nel question time ieri pomeriggio, May ha ribadito che tutti i diritti dei cittadini dell’Ue saranno garantiti a patto che vi sia «reciprocità» per i cittadini britannici, i cosiddetti «british expats». Intanto, oggi Theresa May riceve il presidente del consiglio dei ministri italiano, Paolo Gentiloni. La visita era prevista a gennaio ma a causa del malore che ha costretto Gentiloni al ricovero in ospedale è stata rimandata. Tra i temi, non c’è solo la Brexit ma anche questioni di rilievo internazionale come, ad esempio, la situazione in Libia. BRASÍLIA, 9. «Uno tsunami di corruzione che coinvolge tutta l’America latina». Il titolo della prima pagina di «El País» del 9 febbraio lascia poco spazio all’immaginazione. Proprio come uno tsunami, la maxi-inchiesta sulla rete di tangenti legate al colosso brasiliano delle costruzioni Odebrecht si sta allargando a tutta la regione sudamericana, con risvolti politici a dir poco inquietanti. Odebrecht, con la sua controllata petrolchimica Braskem, è la prima multinazionale edilizia e ingegneristica dell’intero subcontinente. Queste due aziende «usavano un’occulta ma altamente funzionale unità di business che sistematicamente pagava centinaia di milioni di dollari a corrotti funzionari governativi» si legge in un comunicato del dipartimento di giustizia statunitense, che lavora al caso insieme alla magistratura brasiliana. La rete di corruzione si estende anche alla Colombia, dove oltre quattro milioni di dollari sarebbero stati versati dalla multinazionale a un senatore per ricevere in cambio favori. Secondo «El País», almeno un milione di dollari potrebbe essere finito nella campagna per la rielezione, nel 2014, del presidente Juan Manuel Santos. Questi, premio Nobel per la pace 2016, ha negato qualsiasi coinvolgimento nel caso e ha chiesto che venga fatta luce il prima possibile. Il governo romeno va avanti malgrado le proteste BUCAREST, 9. Il governo romeno resta in carica, nonostante l’ondata di proteste contro la corruzione. Il parlamento ha infatti respinto ieri la mozione di sfiducia presentata dal centrodestra contro l’esecutivo, guidato dal premier socialdemocratico, Sorin Grindeanu, che negli ultimi giorni è stato contestato con forza dalla piazza per avere presentato un contestato decreto — poi ritirato — sulla depenalizzazione dell’abuso di ufficio e di altri reati di corruzione. La mozione non ha ottenuto i 233 voti necessari a co- L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum sotto controllo, non vi sono vittime e non esiste alcun rischio di contaminazione ambientale». Poco dopo la pubblicazione del comunicato dell’azienda, la locale prefettura ha dichiarato «conclusa l’emergenza». Sono state dunque confermate le rassicurazioni precedentemente diffuse da Olivier Marmion, direttore di gabinetto della prefettura della Manica, che aveva parlato di «cinque persone lievemente intossicate» ma nessun ferito in modo grave. In un primo momento i vigili del fuoco accorsi avevano parlato di un’esplosione e di un incendio «nel cuore della centrale», forse causato da un corto circuito in sala macchine, ma «fuori dalla zona dove si trovano i reattori» stando alle prime dichiarazioni. I due reattori della centrale, ciascuno da 1300 megawatt, sono stati costruiti nel 1980. La Edf sta erigendo nel sito un terzo reattore, anche in questo caso in un’area estranea all’incidente. GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Tredici arresti per terrorismo in Belgio e in Germania stringere Grindeanu a rassegnare le dimissioni. Prima della votazione in parlamento, il primo ministro ha detto che il suo governo «ha degli obblighi nei confronti del popolo, che gli ha dato fiducia in occasione delle elezioni» legislative dell’11 dicembre scorso. Intanto, le manifestazioni di protesta continuano a Bucarest e nelle principali città romene, sia pure con una partecipazione minore rispetto alla scorsa settimana. Servizio vaticano: [email protected] Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va C’è anche l’Argentina nel mirino delle indagini. Negli ultimi anni Odebrecht avrebbe versato almeno 35 milioni di dollari a funzionari del governo per ottenere gli appalti su importanti progetti infrastrutturali. E infatti l’azienda ottenne contratti per l’ampliamento di gasdotti in quindici province. Nel giro di mazzette sarebbero coinvolti alcuni alti funzionari. Il giro più consistente di tangenti riguarda però il Venezuela. Nel paese di Nicolás Maduro — secondo la giustizia statunitense — gli emissari della Odebrecht avrebbero versato fino a 98 milioni di dollari per rafforzare i contatti con le principali imprese pubbliche. Lo scopo: ottenere informazioni confidenziali su progetti e appalti. Il Perú è sicuramente il paese in cui lo scandalo ha avuto le ripercussioni più gravi con tre ex presidenti coinvolti, oltre agli annessi collaboratori. Secondo le accuse, Odebrecht avrebbe in un occasione pagato 20 milioni per ottenere appalti di progetti infrastrutturali. Basti pensare che il costo dell’autostrada tra Perú e Brasile è aumentato in poco tempo da 800 milioni a 2,3 miliardi di dollari. Finora Odebrecht ha accettato di pagare una multa di 3500 milioni di dollari. Le conseguenze politiche del caso sono però ancora tutte da calcolare. BRUXELLES, 9. La polizia belga ha fermato ieri undici persone a Bruxelles nell’ambito di una vasta operazione dell’antiterrorismo legata agli jihadisti tornati dalla Siria. I fermi, ha reso noto un comunicato della procura federale, sono giunti durante nove perquisizioni condotte in diversi quartieri della capitale belga. Non sono stati trovati esplosivi o armi. La procura, riferisce il sito di «Le Soir», ha spiegato che si tratta di un’operazione distinta dalle inchieste sugli attentati di Bruxelles e Parigi. Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Un algerino e un nigeriano sono invece stati arrestati in Germania con l’accusa di pianificare un attentato. I due — catturati a Göttingen, in Bassa Sassonia — sono stati definiti dall’intelligence «pericolosi e pronti a commettere in qualsiasi momento atti di terrorismo». Un operaio italiano originario dell’Albania di 35 anni, residente nel barese, è stato fermato stamane con l’accusa di inneggiare al cosiddetto stato islamico (Is). Sul pc e sullo smartphone aveva condiviso video di azioni terroristiche. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 con gli Stati Uniti e apprezziamo molto gli auguri fatti dal presidente Donald Trump al presidente Xi Jinping e al popolo cinese». Trump nel suo messaggio ha espresso gli auguri e il buon auspicio per il Capodanno lunare, la principale festività cinese. E da Pechino hanno sottolineato che è maturata «una stretta comunicazione» dopo l’insediamento di Trump del 20 gennaio e che la cooperazione è «l’unica scelta corretta». Sul piano delle relazioni internazionali, il nuovo segretario di stato, Rex Tillerson, ha incontrato ieri i ministri degli esteri di Messico e Canada, rispettivamente Luis Videgaray e Chrystia Freeland, cioè a dire le controparti dei paesi partner del Nafta, l’accordo di libero scambio che il presidente Trump ha annunciato di voler rinegoziare. Trump ha ventilato la possibilità di imporre tariffe sull’import di prodotti negli Stati Uniti da questi Paesi oltre a reclamare che siano i messicani a pagare per il muro al confine. La Freeland, durante una conferenza stampa al dipartimento di Stato dopo l’incontro con Tillerson, ha messo in chiaro che Ottawa «risponderà in modo appropriato» se gli Stati Uniti decideranno di tassare i prodotti canadesi. Il capo della diplomazia messicana ha ribadito quanto asserito dal presidente Enrique Peña Nieto, escludendo che il Messico pagherà per il muro con gli Stati Uniti anti-immigrati e che la questione «non è negoziabile». Intanto, per quanto attiene alle questioni interne degli Stati Uniti, Jeff Sessions è il nuovo ministro della giustizia. Il senato lo ha confermato con 52 voti a favore e 47 contrari, al termine di un dibattito acceso. Sessions è un conservatore, particolarmente contrario all’aborto. Durante la sua audizione sono stati arrestati due membri del Ku Klux Klan e allontanati due afroamericani che lo contestavano. All’audizione, Sessions ha detto di capire «l’impatto che nella storia la discriminazione sistematica e la negazione dei diritti di voto ha avuto sugli afroamericani». Sciopero della polizia militare brasiliana BRASILIA, 9. Resta critica la situazione in tutto il Brasile a causa dello sciopero della polizia militare, proclamato sabato scorso. Sono almeno 87 i morti registrati ieri a Vitória, capitale dello Stato di Espírito Santo, a causa delle proteste e dei disordini. L’assenza degli agenti — dicono i testimoni locali — ha scatenato bande di criminali che hanno assaltato centri commerciali e negozi e hanno causato un’ondata di omicidi. Tali gravi atti di violenza sono proseguiti nonostante l’arrivo dell’esercito nella città, che si trova sull’oceano Atlantico a nord di Rio de Janeiro. Scuole e università sono chiuse, così come gran parte delle attività commerciali. Nelle ultime ore hanno ripreso a funzionare alcune linee di trasporto pubblico, ma la situazione resta tesa. All’origine delle agitazioni della polizia vi sono rivendicazioni salariali. Stando a quanto riporta la stampa locale, i poliziotti, inquadrati secondo uno status militare, ufficialmente non possono scioperare, ma i loro familiari hanno bloccato le caserme, impedendo a chiunque di entrare e uscire. I rappresentanti sindacali della polizia e i familiari hanno chiesto un incontro con il governatore dello stato, Paulo César Hartung, per cercare di avviare il dialogo. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 10 febbraio 2017 pagina 3 I seguaci di Moqtada Al Sadr durante le manifestazioni a Baghdad (Ap) Rappresaglia al lancio di razzi dal Sinai BAGHDAD, 9. Migliaia di sciiti iracheni sono scesi di nuovo in piazza ieri a Baghdad, rispondendo all’appello del loro leader, Muqtada Al Sadr, per sollecitare le riforme politiche e protestare contro il dilagante fenomeno della corruzione. Le manifestazioni antigovernative si sono svolte senza incidenti. In precedenza — ha riferito una fonte parlamentare alla emittente televisiva irachena Al Sumaria — la sede del parlamento era stata fatta sgomberare. La decisione di procedere a un programma di riforme — rilevano gli analisti politici — era stata promessa dal primo ministro, Haider Al Abadi, nel 2015, a seguito di una serie di manifestazioni e proteste con l’obiettivo di combattere la corruzione, particolarmente diffusa nei vari apparati governativi del paese. Anche se Al Sadr non ha incarichi di governo, da anni ha un ampio seguito popolare ed è considerato una delle personalità più importanti dell’Iraq. Dopo l’invasione americana del 2003, Al Sadr guidò un’insurrezione contro le forze occupanti e contro l’allora governo provvisorio. Tra il 2003 e il 2008 le sue milizie — il cosiddetto “esercito del Mahdi” — si scontrarono spesso con l’esercito statunitense e quello regolare iracheno. Nel 2008 Al Sadr sciolse la milizia trasformandola in un partito politico, il Movimento sadrista, al quale appartengono trentadue parlamentari dell’attuale legislatura. Raid israeliani sulla striscia di Gaza Per le riforme e contro la corruzione Manifestazioni antigovernative a Baghdad Intanto, i combattimenti a Mosul non si fermano. Almeno venti jihadisti del cosiddetto stato islamico (Is) sono stati uccisi ieri nel corso di una battaglia contro la milizia sciita delle Pmu, le filo-governative Unità di mobilitazione popolare, protrattasi per alcune ore intorno al villaggio di Hayef, a sudovest di Mosul. Lo hanno reso noto in un comunicato le stesse Pmu, secondo cui i jihadisti hanno lanciato due distinti attacchi ma, grazie anche all’intervento delle truppe regolari irachene, sono stati respinti in entrambe le occasioni. Tra le vittime anche quattro uomini dell’Is che indossavano cinture esplosive, molto probabilmente destinate ad attentati suicidi con i quali aprire la strada ai complici. Distrutti tre blindati. Varie formazioni paramilitari sciite e sunnite sono coinvolte da mesi nell’offensiva per riconquistare Mosul, ma è loro vietato entrarvi direttamente. Alle Pmu spetta, in particolare, la liberazione dei distretti che si estendono a occidente rispetto alla città contesa. In città rimane grave la situazione dei civili. Il generale iracheno Kazim Al Maksusi, parlando con l’agenzia di stampa turca Anadolu, ha dichiarato che i terroristi dell’Is hanno ucciso a sangue freddo 20 uomini che cercavano di fuggire da Mosul. Altri 55 civili sono invece riusciti a scappare da Mosul ovest, verso aree orientali riconquistate dall’esercito iracheno. TEL AVIV, 9. Due palestinesi sono stati uccisi e altri cinque feriti in alcuni raid aerei condotti nella notte dall’esercito israeliano a sud della striscia di Gaza, al confine con l’Egitto. I bombardamenti sono stati una risposta al lancio di razzi avvenuto ieri sera dalla vicina penisola del Sinai. Gli ordigni hanno colpito la città di Eilat. Almeno tre sono stati intercettati dal sistema di difesa Iron Dome. Questa mattina è arrivata anche la rivendicazione dei razzi da parte di una branca egiziana del cosiddetto stato islamico (Is). Sull’attendibilità della rivendicazione, tuttavia, non c’è consenso tra gli analisti. Intanto, non si ferma la polemica sul provvedimento israeliano, approvato dalla Knesset, che ha introdotto una sanatoria per circa 4000 case in diversi insediamenti ebraici in Cisgiordania. Varie organizzazioni non governative hanno fatto ricorso ieri alla Corte suprema israeliana chiedendo la bocciatura del provvedimento perché contrario al diritto internazionale. Una mossa seguita dall’intervento del presidente palestinese, Mahmoud Abbas, che da Parigi ha minacciato di sospendere la cooperazione sulla sicurezza con Israele se questi continuerà ad andare avanti nella costru- zione degli insediamenti. «Siamo impegnati sulla strada della pace e della sicurezza — ha detto Abbas parlando nel senato francese — ma c’è un limite» e se Israele va avanti con gli insediamenti «abbiamo già delle decisioni per sospendere la cooperazione sulla sicurezza, ma ne ho bloccato l’applicazione finora». Nel ricorso alla corte le ong affermano che la legge non solo contrasta con il diritto internazionale e umanitario, ma è anche incompatibile con lo stesso sistema legale israeliano. Quella legge — sostengono — viola gravemente il diritto di proprietà dei palestinesi residenti in Cisgiordania. «Questi — si legge nel testo del ricorso — si trovano alla mercé altrui, privi di difese legali ed esposti al rischio di essere privati delle loro proprietà. Lo scopo dichiarato ed evidente della legge è la volontà di preferire gli interessi di un gruppo», ovvero il movimento dei coloni. Sulla sanatoria c’è stato un lungo e complesso dibattito politico, anche all’interno del governo israeliano. Non sono stati pochi i commentatori a sottolineare che il provvedimento, per la prima volta nella storia, applica la legge civile israeliana all’interno dei Territori palestinesi. Sospese le attività dopo l’uccisione di sei operatori Le Nazioni Unite chiedono due miliardi di dollari per fronteggiare la carestia nello Yemen Croce rossa sotto attacco in Afghanistan Dodici milioni di vite a rischio KABUL, 9. Il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) ha deciso di sospendere le sue attività in Afghanistan dopo l’uccisione di sei suoi operatori avvenuta ieri nella provincia settentrionale di Jawzjan. Lo ha annunciato lo stesso Cicr, sottolineando la necessità che venga fatta luce su quanto accaduto prima di riprendere le operazioni. Secondo il governatore della provincia, Mawlawi Lutfullah Azizi, gli operatori sarebbero stati attaccati da sospetti miliziani affiliati al cosiddetto stato islamico (Is) mentre erano al lavoro nel distretto di Qushtepa. «Confermiamo che sei operatori del Cicr sono stati uccisi e due sono dispersi», ha riferito la Croce Rossa in un tweet nel quale si dice «scioccata e devastata» dall’accaduto. Il governatore, citato dall’agenzia Dpa, ha precisato che i corpi dei sei operatori sono stati recuperati grazie alla mediazione di leader tribali locali e che è in corso un’operazione per ritrovare i due dispersi. Circa un mese fa un operatore spagnolo della Croce Rossa è stato rapito nella provincia settentrionale di Kunduz e liberato dopo 19 giorni di prigionia. E intanto, la Casa Bianca ha condannato nei termini più forti l’attentato suicida alla Corte Suprema di Kabul che ha causato venti morti e ha ribadito l’appoggio statunitense al governo afghano. Sempre nella giornata di ieri almeno due anziani tribali sono morti e un agente di sicurezza è rimasto ferito in un altro attentato suicida realizzato nella provincia orientale di Paktia. Qadir Gul Zadran, capo della polizia provinciale, ha precisato che l’attentatore ha cercato di entrare nel distretto di Dand-e-Patan in un edificio dove era in corso una riunione di anziani tribali. «I servizi di sicurezza — ha ancora detto Zadran — hanno identificato l’aggressore all’ingresso dell’edificio ma questo è riuscito ad attivare la carica esplosiva». SANA’A, 9. Le Nazioni Unite chiedono oltre due miliardi di dollari per evitare l’esplodere di una terribile carestia nello Yemen e per fornire cibo e altre forme di assistenza salvavita a dodici milioni di persone. «La situazione nel paese è catastrofica e in rapido deterioramento» ha detto il coordinatore umanitario dell’Onu, Jamie McGoldrick. «Quasi 3,3 milioni di persone, tra cui 2,1 milioni di bambini, soffrono di malnutrizione acuta». Secondo i dati diffusi dall’Onu, a causa del conflitto in corso nel paese 19 milioni di yemeniti, pari a oltre i due terzi della popolazione, hanno bisogno di assistenza e protezione immediate. Inoltre, l’Unicef ha precisato che l’anno scorso sono morti circa 63.000 bambini nel Paese per cause prevenibili. Il conflitto yemenita vede opporsi due schieramenti: i ribelli huthi sostenuti dalle milizie fedeli all’ex presidente Saleh e la coalizione a guida saudita alleata del presidente Hadi, riconosciuto dalla comunità internazionale. Al Qaeda e il cosiddetto stato islamico (Is) hanno approfitta- L’Onu accusa il Myanmar Oltre mille rohingya uccisi in pochi mesi NAYPYIDAW, 9. Nuovo atto di accusa dell’Onu al Myanmar sulla vicenda dei rohingya, la minoranza etnica musulmana discriminata. Da quando, nell’autunno scorso, è iniziata una vasta offensiva militare, oltre mille rohingya sono stati uccisi. Lo hanno confermato ieri all’agenzia di stampa Reuters due alti funzionari del Palazzo di Vetro, precisando che potrebbe trattarsi di cifre sottostimate, e che, quindi, le vittime sarebbero molte di più. D all’inizio delle operazioni militari contro i rohingya nella parte settentrionale dello stato occidentale di Rakhine, oltre 70.000 persone sono state costrette a fuggire. Il portavoce presidenziale del Myanmar Zaw Htay, interpellato dalla stessa Reuters, ha dichiarato che sulla base dei rapporti dei comandanti militari che operano nella zona, le vittime sarebbero non più di cento, uccise in un’operazione di contrasto alla guerriglia, seguita a un attacco di non meglio specificati militanti rohingya contro un posto di polizia, lo scorso ottobre. Musulmani, di lingua affine al bengalese, i rohingya sono più di un milione e vivono nel nord dello stato occidentale di Rakhine. Le organizzazioni umanitarie denunciano la privazione di ogni loro diritto, e la grande maggioranza della popolazione del Myanmar li considera immigrati irregolari provenienti dal vicino Bangladesh. Il governo di Naypyidaw li accusa di avere prodotto una milizia terrorista. In autunno è iniziata l’operazione militare che, secondo un recente rapporto dell’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, si configura come una vera e propria pulizia etnica. Quello dei rohingya rischia di essere il tallone d’Achille della giovane democra- zia del Myanmar. Un macigno sulle spalle anche del Nobel per la pace e ministro degli esteri, Aung San Suu Kyi, che sulla vicenda è rimasta a lungo in silenzio, prima di dichiarare, il mese scorso, che avrebbe fatto «indagini». E già ai ferri corti per la vicenda dei rohingya, Myanmar e Bangladesh hanno inasprito le tensioni frontaliere. Secondo fonti governative di Dacca riprese dall’agenzia Afp, una sparatoria da parte del Myanmar si sarebbe verificata sulla linea di confine segnata dal fiume Naf e avrebbe causato la morte di un pescatore bengalese. È la seconda volta in poche settimane — rilevano gli analisti politici — che soldati del Myanmar aprono il fuoco su pescatori del paese confinante. Il ministro degli esteri di Dacca, in una nota ufficiale, ha espresso «profonda preoccupazione» per quanto accaduto. to del caos per estendere la propria influenza in particolare nel sud e nel sud-est del paese. A ciò si aggiungono i combattimenti tra i gruppi tribali locali. Il conflitto ha causato finora oltre seimila morti, 2,5 milioni di sfollati, abusi, crimini di guerra. Ospedali, scuole, fabbriche e campi profughi sono stati bombardati. Oltre mille bambini — stando ai dati delle Nazioni Unite — sono stati uccisi nei raid e oltre 740 nei combattimenti. Tutto questo nel più completo oblio da parte dei principali media internazionali. Intanto, ieri il governo internazionalmente riconosciuto dello Yemen ha negato di aver chiesto agli Stati Uniti di sospendere le loro operazioni nel paese dopo un raid contro un gruppo di Al Qaeda in cui, il 28 gennaio scorso, erano morti anche Auspicata una svolta politica nella crisi libica NEW YORK, 9. «Stiamo cominciando a vedere un crescente consenso tra le parti. Il 2017 deve essere l’anno delle decisioni e della svolta politica in Libia». Lo ha detto ieri sera l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, Martin Kobler, durante una riunione del Consiglio di sicurezza sul Paese nordafricano. «I libici non sono in grado di affrontare le cause profonde delle divisioni», ha ammonito Kobler, sottolineando che devono essere prese alcune decisioni importanti, anche riguardo a eventuali modifiche all’accordo politico, su come formare un esercito forte e forze di polizia, e sul modo migliore per utilizzare i proventi delle esportazioni di petrolio e gas a beneficio di tutta la popolazione e per porre fine alla disastrosa situazione umanitaria nel paese». I membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite hanno ribadito la loro «grave preoccupazione per il traffico di migranti nel Mediterraneo, in particolare al largo delle coste libiche, e hanno invitato tutte le parti a migliorare l’accesso umanitario nel paese»: è quanto è emerso al termine della riunione del Consiglio. Inoltre, i membri del Consiglio hanno riconosciuto una preoccupazione crescente tra i libici per una soluzione politica più inclusiva nel quadro dell’accordo politico e condannato ogni forma di violenza tra gruppi armati nel paese, ribadendo la necessità di essere uniti nella lotta contro il terrorismo. diversi bambini e donne, oltre a un militare statunitense. Il ministro degli esteri yemenita, Abdul Malik Al Mekhlafi, citato dall’Associated Presse, ha precisato che il suo governo «ha solo chiesto un riesame congiunto dell’attacco compiuto», ma allo stesso tempo lo Yemen «continua a cooperare con gli Stati Uniti e continua a rispettare gli accordi relativi alle operazioni antiterrorismo». Farmajo eletto presidente della Somalia Farmajo subito dopo l’annuncio dei risultati del voto (Afp) MO GADISCIO, 9. La Somalia ha un nuovo presidente. Sotto stringenti misure di sicurezza, i parlamentari hanno infatti eletto ieri come capo dello stato l’ex primo ministro, Mohamed Abdullahi Farmajo. «Questa vittoria rappresenta l’interesse del popolo somalo. Questa vittoria appartiene al popolo somalo ed è l’inizio dell’era dell’unità e della democrazia in Somalia e l’inizio della lotta contro la corruzione», ha dichiarato a caldo Farmajo. Il presidente uscente, Hassan Sheikh Mohamud, ha ammesso la sconfitta. Le votazioni si sono svolte in un clima di grande tensione. Per motivi di sicurezza, a causa del sempre alto rischio attentati nel travagliato paese del corno d’Africa, le due camere riunite del parlamento hanno svolto la sessione di voto in un hangar dell’aeroporto internazionale di Mogadiscio, difeso da imponenti forze di sicurezza e militari, che hanno completamente circondato lo scalo per prevenire azioni dei terroristi islamici qaedisti di Al Shabaab. pagina 4 L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 10 febbraio 2017 venerdì 10 febbraio 2017 Il colloquio del 25 novembre scorso tra Papa Francesco e l’Unione superiori maggiori Lo scorso 25 novembre il Papa ha incontrato nell’aula del Sinodo i membri dell’Unione superiori maggiori riuniti per l’ottantottesima assemblea generale sul tema «Andate e portate frutto. La fecondità della profezia» e dopo i saluti del presidente, il cappuccino Mauro Jöhri, e del segretario generale, il comboniano David Glenday, ha dialogato per oltre due ore con i religiosi. Di seguito pubblichiamo le domande e le risposte secondo la trascrizione che esce nel numero 4000 della Civiltà Cattolica. Santo Padre, noi riconosciamo la sua capacità di parlare ai giovani e di infiammarli per la causa del Vangelo. Noi sappiamo anche del suo impegno per avvicinare i giovani alla Chiesa; per questo ha convocato il prossimo Sinodo dei vescovi sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Quali motivazioni l’hanno spinta a convocare il Sinodo sui giovani? Quali suggerimenti ci offre per raggiungere i giovani oggi? Alla fine del Sinodo scorso ogni partecipante ha dato tre suggerimenti sul tema da affrontare nel prossimo. Poi sono state consultate le Conferenze episcopali. Le convergenze sono andate su temi forti, quali gioventù, formazione sacerdotale, dialogo interreligioso e pace. Nel primo Consiglio post-sinodale è stata fatta una bella discussione. Io ero presente. Ci vado sempre, ma non parlo. Per me importante è ascoltare davvero. È importante che io ascolti, ma lascio che siano loro a lavorare liberamente. Che cosa si aspetta dalla vita religiosa nella preparazione del Sinodo? Quali speranze Lei ha per il prossimo Sinodo sui giovani, alla luce della diminuzione delle forze della vita religiosa in Occidente? Michelangelo «Il profeta Gioele» (Cappella Sistina) In questo modo capisco come emergono le problematiche, quali sono le proposte e i nodi, e come si affrontano. Hanno scelto i giovani. Ma alcuni sottolineavano l’importanza della formazione sacerdotale. Personalmente ho molto a cuore il tema del discernimento. L’ho raccomandato più volte ai gesuiti: in Polonia e poi alla Congregazione Generale. Il discernimento accomuna la questione della formazione dei giovani alla vita: di tutti i giovani, e in particolare, a maggior ragione, anche dei seminaristi e dei futuri pastori. Perché la formazione e l’accompagnamento al sacerdozio ha bisogno del discernimento. Al momento è uno dei problemi più grandi che abbiamo nella formazione sacerdotale. Nella formazione siamo abituati alle formule, ai bianchi e ai neri, ma non ai grigi della vita. E ciò che conta è la vita, non le formule. Dobbiamo crescere nel discernimento. La logica del bianco e nero può portare all’astrazione casuistica. Invece il discernimento è andare avanti nel grigio della vita secondo la L’incontro con i superiori generali nell’aula nuova del Sinodo (25 novembre 2016) La Chiesa deve rimanere in uscita volontà di Dio. E la volontà di Dio si cerca secondo la vera dottrina del Vangelo e non nel fissismo di una dottrina astratta. Ragionando sulla formazione dei giovani e sulla formazione dei seminaristi, ho deciso il tema finale così come è stato comunicato: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale». La Chiesa deve accompagnare i giovani nel loro cammino verso la maturità, e solo con il discernimento e non con le astrazioni i giovani possono scoprire il loro progetto di vita e vivere una vita davvero aperta a Dio e al mondo. Dunque ho scelto questo tema per introdurre il discernimento con maggior forza nella vita della Chiesa. L’altro giorno abbiamo avuto la seconda riunione del Consiglio post-sinodale. Si è discusso abbastanza bene su questo argomento. Hanno preparato la prima bozza sui Lineamenta che si dovrà inviare subito alle Conferenze episcopali. Hanno lavorato anche religiosi. È uscita una bozza ben preparata. Questo comunque è il punto chiave: il discernimento, che è sempre dinamico, come la vita. Le cose statiche non vanno. Soprattutto con i giovani. Quando io ero giovane, la moda era fare riunioni. Oggi le cose statiche come le riunioni non vanno bene. Si deve lavorare con i giovani facendo cose, lavorando, con le missioni popolari, il lavoro sociale, con l’andare ogni settimana a dar da mangiare ai senzatetto. I giovani trovano il Signore nell’azione. Poi, dopo l’azione si deve fare una riflessione. Ma la riflessione da sola non aiuta: sono idee... solo idee. Dunque due parole: ascolto e movimento. Questo è importante. Ma non solamente formare i giovani all’ascolto, bensì innanzitutto ascoltare loro, i giovani stessi. Questo è un primo compito importantissimo della Chiesa: l’ascolto dei giovani. E nella preparazione del Sinodo la presenza dei religiosi è davvero importante, perché i religiosi lavorano molto con i giovani. Certo, è vero che c’è una diminuzione delle forze della vita religiosa in Occidente. Certamente è collegata al problema demografico. Ma è anche vero che a volte la pastorale vocazionale non risponde alle attese dei giovani. Il prossimo Sinodo ci darà idee. La diminuzione della vita religiosa in Occidente mi preoccupa. Ma mi preoccupa anche un’altra cosa: il sorgere di alcuni nuovi Istituti religiosi che sollevano alcune preoccupazioni. Non dico che non debbano esserci nuovi Istituti religiosi! Assolutamente no. Ma in alcuni casi mi interrogo su che cosa stia accadendo oggi. Alcuni di essi sembrano una grande novità, sembrano esprimere una grande forza apostolica, trascinano tanti e poi... falliscono. A volte si scopre persino che dietro c’erano cose scandalose... Ci sono piccole fondazioni nuove che sono davvero buone e che fanno sul serio. Vedo che dietro queste buone fondazioni ci sono a volte anche gruppi di vescovi che accompagnano e garantiscono la loro crescita. Però ce ne sono altre che nascono non da un carisma dello Spirito Santo, ma da un carisma umano, da una persona carismatica che attira per le sue doti umane di fascinazione. Alcune sono, potrei dire, «restaurazioniste»: esse sembrano dare sicurezza e invece danno solo rigidità. Quando mi dicono che c’è una Congregazione che attira tante vocazioni, lo confesso, io mi preoccupo. Lo Spirito non funziona con la logica del successo umano: ha un altro modo. Ma mi dicono: ci sono tanti giovani decisi a tutto, che pregano tanto, che sono fedelissimi. E io mi dico: «Benissimo: vedremo se è il Signore!». Alcuni poi sono pelagiani: vogliono tornare all’ascesi, fanno penitenze, sembrano soldati pronti a tutto per la difesa della fede e di buoni costumi... e poi scoppia lo scandalo del fondatore o della fondatrice... Noi sappiamo, vero? Lo stile di Gesù è un altro. Lo Spirito Santo ha fatto rumore il giorno della Pentecoste: era all’inizio. Ma di solito non fa tanto rumore, porta la croce. Lo Spirito Santo non è trionfalista. Lo stile di Dio è la croce che si porta avanti fino a che il Signore non dice «basta». Il trionfalismo non va bene d’accordo con la vita consacrata. Dunque, non mettete la speranza nel fiorire improvviso e massiccio di questi Istituti. Cercate invece l’umile cammino di Gesù, quello della testimonianza evangelica. Benedetto XVI ce lo ha detto molto bene: la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione. Perché ha scelto tre tematiche mariane per le prossime tre Giornate mondiali della gioventù che condurranno alle Giornate mondiali di Panamá? I temi mariani per le prossime tre Giornate mondiali non li ho scelti io! Dall’America Latina hanno chiesto questo: una forte presenza mariana. È vero che l’America Latina è molto mariana, e a me è sembrata una cosa molto buona. Non ho avuto altre proposte, e io ero contento così. Ma la Madonna vera! Non la Madonna capo di un ufficio postale che ogni giorno manda una lettera diversa, dicendo: «Figli miei, fate questo e poi il giorno dopo fate quest’altro». No, non questa. La Madonna vera è quella che genera Gesù nel nostro cuore, che è Madre. Questa moda della Madonna superstar, come una protagonista che mette se stessa al centro, non è cattolica. Santo Padre, la sua missione nella Chiesa non è facile. Malgrado le sfide, le tensioni, le opposizioni, Lei ci offre la testimonianza di un uomo sereno, di un uomo di pace. Qual è la sorgente della sua serenità? Da dove viene questa fiducia che la ispira e che può sostenere anche la nostra missione? Chiamati a essere guide religiose, cosa ci suggerisce per vivere con responsabilità e pace il nostro compito? Qual è la sorgente della mia serenità? No, non prendo pastiglie tranquillanti! Gli italiani danno un bel consiglio: per vivere in pace ci vuole un sano menefreghismo. Io non ho problemi nel dire che questa che sto vivendo è un’esperienza completamente nuova per me. A Buenos Aires ero più ansioso, lo ammetto. Mi sentivo più teso e preoccupato. Insomma: non ero come adesso. Ho avuto un’esperienza molto particolare di pace profonda dal momento che sono stato eletto. E non mi lascia più. Vivo in pace. Non so spiegare. Per il conclave, mi dicono che nelle scommesse a Londra ero nel numero 42 o 46. Io non lo prevedevo affatto. Ho pure lasciato l’omelia pronta per il Giovedì santo. Nei giornali si diceva che ero un king maker, ma non il Papa. Al momento dell’elezione io ho detto semplicemente: «Signore, andiamo avanti!». Ho sentito pace, e quella pace non se n’è andata. Nelle Congregazioni Generali si parlava dei problemi del Vaticano, si parlava di riforme. Tutti le volevano. C’è corruzione in Vaticano. Ma io sono in pace. Se c’è un problema, io scrivo un biglietto a san Giuseppe e lo metto sotto una statuetta che ho in camera mia. È la statua di san Giuseppe che dorme. E ormai lui dorme sotto un materasso di biglietti! Per questo io dormo bene: è una grazia di Dio. Dormo sempre sei ore. E prego. Prego a mio modo. Il breviario mi piace tanto e mai lo lascio. La Messa tutti i giorni. Il rosario... Quando prego, prendo sempre la Bibbia. E la pace cresce. Non so se questo è il segreto... La mia pace è un regalo del Signore. Che non me la tolga! Credo che ciascuno debba trovare la radice dell’elezione che il Signore ha fatto su di lui. Del resto, perdere la pace non aiuta affatto a soffrire. I superiori devono imparare a soffrire, ma a soffrire come un papà. E anche a soffrire con molta umiltà. Per questa strada si può andare dalla croce alla pace. Ma mai lavarsi le mani dai problemi! Sì, nella Chiesa ci sono i Ponzio Pilato che se ne lavano le ma- L’arcivescovo Becciu per l’anniversario di Sant’Egidio Una presenza vivace ni per stare tranquilli. Ma un superiore che se ne lava le mani non è padre e non aiuta. Santo Padre, nei suoi interventi ci ha detto spesso che ciò che specifica la vita religiosa è la profezia. Ci siamo confrontati a lungo su cosa significhi essere radicali nella profezia. Quali sono le «zone di sicurezza e di conforto» da cui siamo chiamati a uscire? Lei ha parlato alle monache di una «ascesi profetica e credibile». Come la intende in una prospettiva rinnovata di «cultura della misericordia»? Come può la vita consacrata contribuire a tale cultura? Essere radicali nella profezia. A me questo importa tanto. Prenderò come «icona» Gioele. Mi viene spesso in mente, e so che viene da Dio. Dice: «Gli anziani avranno sogni e i giovani profetizzeranno ». Questo versetto è un nocciolo della spiritualità delle generazioni. Essere radicali nella profezia è il famoso sine glossa, la regola sine glossa, il Vangelo sine glossa. Cioè: senza calmanti! Il Vangelo va preso senza calmanti. Così hanno fatto i nostri fondatori. La radicalità della profezia dobbiamo trovarla nei nostri fondatori. Loro ci ricordano che siamo chiamati a uscire dalle nostre zone di conforto e sicurezza, da tutto quello che è mondanità: nel modo di vivere, ma anche nel pensare strade nuove per i nostri Istituti. Le strade nuove vanno cercate nel carisma fondazionale e nella profezia iniziale. Dobbiamo riconoscere personalmente e comunitariamente qual è la nostra mondanità. Persino l’ascetica può essere mondana. E invece deve essere profetica. Quando sono entrato nel noviziato dei gesuiti, mi hanno dato il cilicio. Va bene anche il cilicio, ma attenzione: non deve aiutarmi a dimostrare quanto sono bravo e forte. La vera ascesi deve farmi più libero. Credo che il digiuno sia una cosa che conservi attualità: ma come faccio il digiuno? Semplicemente non mangiando? Santa Teresina aveva anche un altro modo: mai diceva cosa le piaceva. Non si lamentava e prendeva tutto quello che le davano. C’è un’ascesi quotidiana, piccola, che è una mortificazione costante. Mi viene in mente una frase di sant’Ignazio che aiuta a essere più liberi e felici. Lui diceva che per seguire il Signore aiuta la mortificazione in tutte le cose possibili. Se ti aiuta una cosa, falla, anche il cilicio! Ma solamente se ti aiuta a essere più libero, non se ti serve per mostrare a te stesso che sei forte. Cosa comporta la vita comunitaria? Qual è il ruolo di un superiore per custodire questa profezia? Quale apporto possono dare i religiosi per contribuire al rinnovamento delle strutture e della mentalità della Chiesa? pagina 5 cordia non entra nella comunità, non va bene. Per i religiosi la capacità di perdono deve spesso iniziare nella comunità. E questo è profetico. Si comincia sempre con l’ascolto: che tutti si sentano ascoltati. Ci vuole ascolto e persuasione anche da parte del superiore. Se il superiore rimprovera continuamente, non aiuta a creare la profezia radicale della vita religiosa. Sono convinto che i religiosi siano in vantaggio nel dare un contributo al rinnovamento delle strutture e della mentalità della Chiesa. Nei consigli presbiterali delle diocesi i religiosi aiutano nel cammino. E non devono avere paura di dire le cose. Nelle strutture della Chiesa entra il clima mondano e principesco, e i religiosi possono contribuire a distruggere questo clima nefasto. E non c’è bisogno di diventare cardinali per credersi prìncipi! Basta essere clericali. Questo è quanto di peggio ci sia nell’organizzazione della Chiesa. I religiosi possono contribuire con la testimonianza di una fratellanza più umile. I religiosi possono dare la testimonianza di un iceberg capovolto, dove la punta, cioè il vertice, il capo, è capovolta, sta in basso. Santo Padre, noi abbiamo speranze che attraverso la sua guida si sviluppino migliori relazioni tra vita consacrata e Chiese particolari. Che cosa ci suggerisce per esprimere in pienezza i nostri carismi nelle Chiese particolari e per affrontare le difficoltà che a volte sorgono nei rapporti con i vescovi e il clero diocesano? Come vede la realizzazione del dialogo della vita religiosa con i vescovi e la collaborazione con la Chiesa locale? Da tempo si chiede di rivedere i criteri circa i rapporti tra i vescovi e i religiosi stabiliti nel 1978 dalla Congregazione per i religiosi e dalla Congregazione per i vescovi nel documento Mutuae relationes. Già nel Sinodo del 1994 ne se era parlato. Quel documento risponde a un certo tempo e non è più così attuale. Il tempo è maturo per il cambiamento. È importante che i religiosi si sentano appieno dentro la Chiesa diocesana. Appieno. A volte ci sono tante incomprensioni che non aiutano all’unità, e allora bisogna dare un nome ai problemi. I religiosi devono essere nelle strutture di governo della Chiesa locale: consigli di amministrazione, consigli presbiterali... A Buenos Aires i religiosi eleggevano i loro rappresentanti nel consiglio presbiterale. Il lavoro va condiviso nelle strutture delle diocesi. I religiosi devono essere nelle strutture di governo della diocesi. Da isolati non ci si aiuta. In questo si deve crescere tanto. E così anche il vescovo è aiutato a non cadere nella tentazione di diventare un po’ principe... Ma anche la spiritualità va diffusa e condivisa, e i religiosi sono portatori di forti correnti spirituali. In alcune diocesi i sacerdoti del clero diocesano si riuniscono in gruppi di spiritualità francescana, carmelitana... Ma che lo stile di vita possa essere condiviso: alcuni preti diocesani si chiedono perché non possano vivere insieme per non essere soli, perché non possano vivere una vita più comunitaria. Il desiderio viene, ad esempio, quando si ha la buona testimonianza di una parrocchia retta da una comunità di religiosi. Dunque, c’è un livello di collaborazione radicale, perché spirituale, di anima. E stare vicini spiritualmente in diocesi tra il clero e i religiosi aiuta a risolvere le possibili incomprensioni. Si possono studiare e ripensare tante cose. Tra queste anche la durata del servizio come parroco, che mi sembra breve e si cambiano i parroci troppo facilmente. Non nascondo che poi ci sono tanti altri problemi a un terzo livello, legato alla gestione economica. I problemi vengono quando si toccano le tasche! Penso alla questione dell’alienazione dei beni. Con i beni dobbiamo essere molto delicati. La povertà è midollare nella vita della Chiesa. Sia quando la si osserva, sia quando non la si osserva. Le conseguenze sono sempre forti. Santo Padre, come la Chiesa anche la vita religiosa è impegnata ad affrontare le situazioni di abusi sessuali sui minori e di abusi finanziari con trasparenza e determinazione. Tutto ciò è una contro-testimonianza, suscita scandali e ha anche ripercussioni sulla proposta vocazionale e sull’aiuto dei benefattori. Quali misure ci suggerisce per prevenire tali scandali nelle nostre Congregazioni? Forse non c’è il tempo per una risposta molto articolata e faccio affidamento alla vostra sapienza. Fatemi dire però che il Signore vuole tanto che i religiosi siano poveri. Quando non lo sono, il Signore manda un economo che porta l’Istituto in fallimento! A volte Congregazioni religiose sono accompagnate da un amministratore ritenuto «amico» e che poi le fa fallire. Comunque, criterio fondamentale per un economo è quello di non essere personalmente attaccato ai soldi. Una volta accadde che una suora economa svenne e una consorella disse a chi la soccorreva: «Passatele sotto il naso una banconota La vita comunitaria? Alcuni santi l’hanno definita una continua penitenza. Ci sono comunità in cui la gente si spella e si spiuma! Se la miseri- Statua di san Giuseppe dormiente e certamente si riprenderà!». C’è da ridere, ma anche da riflettere. Importante poi verificare come le banche investono i soldi. Non deve mai accadere che ci siano investimenti in armi, ad esempio. Mai. Circa gli abusi sessuali: pare che su 4 persone che abusano, 2 siano state abusate a loro volta. Si semina l’abuso nel futuro: è devastante. Se sono coinvolti preti o religiosi, è chiaro che è in azione la presenza del diavolo che rovina l’opera di Gesù tramite colui che doveva annunciare Gesù. Ma parliamoci chiaro: questa è una malattia. Se non siamo convinti che questa è una malattia, non si potrà risolvere bene il problema. Quindi, attenzione a ricevere in formazione candidati alla vita religiosa senza accertarsi bene della loro adeguata maturità affettiva. Per esempio: mai ricevere nella vita religiosa o in una diocesi candidati che sono stati respinti da un altro seminario o da un altro Istituto senza chiedere informazioni molto chiare e dettagliate sulle motivazioni dell’allontanamento. Santo Padre, la vita religiosa non è in funzione di se stessa, ma della sua missione nel mondo. Lei ci ha invitato ad essere una Chiesa in uscita. Dal suo punto di osservazione, la vita religiosa nelle diverse parti del modo sta operando questa conversione? La Chiesa è nata in uscita. Era chiusa nel Cenacolo e poi è uscita. E deve rimanere in uscita. Non deve tornare a chiudersi nel Cenacolo. Gesù ha voluto che fosse così. E «fuori» significa quelle che io chiamo periferie, esistenziali e sociali. I poveri esistenziali e i poveri sociali spingono la Chiesa fuori di sé. Pensiamo a una forma di povertà, quella legata al problema dei migranti e dei rifugiati: più importante degli accordi internazionali è la vita di quelle persone! E proprio nel servizio della carità è pure possibile trovare un ottimo terreno per il dialogo ecumenico: sono i poveri che uniscono i cristiani divisi! Queste sono tutte sfide aperte per i religiosi di una Chiesa in uscita. L’Evangelii gaudium vuole comunicare questa necessità: uscire. Vorrei che si tornasse a quella Esortazione apostolica con la riflessione e la preghiera. Essa è maturata alla luce dell’Evangelii nuntiandi e del lavoro fatto ad Aparecida, contiene un’ampia riflessione ecclesiale. E infine ricordiamolo sempre: la misericordia è Dio in uscita. E Dio è sempre misericordioso. Anche voi uscite! Continuare a lavorare tenacemente «per la pace, la riconciliazione, il dialogo fraterno con i membri delle varie religioni»: è quanto ha raccomandato l’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, alla comunità di Sant’Egidio, nel quarantanovesimo anniversario della fondazione. Nella circostanza il presule ha celebrato la messa nella basilica di San Giovanni in Laterano alla presenza soprattutto di studenti, lavoratori, anziani e senza fissa dimora, profughi, immigrati, volontari, amici e collaboratori della Comunità, guidati dal presidente Marco Impagliazzo e dal fondatore Andrea Riccardi. «Presenza vivace e creativa nella Chiesa di Roma» — ha ricordato monsignor Becciu — Sant’Egidio «gradatamente si è diffusa in tante altre Chiese nel mondo» dilatando il raggio d’azione «non soltanto geograficamente, ma anche nella molteplicità delle iniziative e delle opere». Non è stato, ha spiegato, «un progetto programmato a tavolino. Con apertura e generosità vi siete lasciati guidare dallo Spirito che, attraverso Andate avanti su questa strada preghiera, poveri e pace E camminando così aiutate a far crescere la compassione le circostanze più varie, vi ha aperto strade sempre nuove, dilatando i vostri orizzonti su quelli stessi della Chiesa». Commentando le letture della liturgia, il celebrante ha ricordato come la comunità di Sant’Egidio fin dagli inizi si sia «rivolta verso chi è in situazione di emarginazione e in stato di abbandono. Si è lasciata guidare dalla grande lezione del libro della Genesi: uomo e donna sono creature di Dio, plasmate dalle sue mani; portano in sé l’immagine e la somiglianza con Dio. Quale dignità della persona umana!». Del resto, ha fatto notare, «lo sguardo del Creatore non è discriminante, non divide in categorie i suoi figli e le sue figlie: sono la sua creatura, amata, per la quale è pronto a sacrificare il Figlio amato, perché l’ama come ama suo Figlio. Davanti all’uomo e alla donna egli stesso mostrò la sua meraviglia ed esplose in un grido di gioia». Per cui «secondo questa pagina della Scrittura, non ci sono persone ai margini: ogni persona è al centro, è il centro». Da qui l’invito affinché lo sguardo del Creatore diventi «il nostro sguardo: ogni persona che incontro è “molto” buona, è “carne della mia carne, ossa delle mie ossa”. Di ogni persona mi “ricordo” e “prendo cura”. Mi è stata affidata dall’amore di Dio, come Eva è stata posta davanti ad Adamo che l’ha riconosciuta e accolta come un altro sé; diversa da sé e insieme simile a sé. È la ricchezza della complementarietà che ognuno offre all’altro e dall’altro riceve. L’altro è il dono che Dio mi fa perché la mia vita sia completa, perché non sia solo». Inoltre, ha proseguito monsignor Becciu, «da quando Dio si è incarnato e si è identificato con ogni persona, l’uomo e la donna hanno acquistato un valore davvero inestimabile». Anzi «l’altro, per piccolo che sia, è davvero Gesù! Devo amarlo come amo Gesù». Anche perché lo stesso «Papa Francesco continua a ripeterci che l’amore cristiano non è una idea astratta, ma si rende concreto nell’aiutare gli altri, cominciando dai deboli e i poveri, che sono “la carne di Cristo”». Di conseguenza «il valore dell’altro non si misura dal reddito e dall’efficienza. Che i poveri siano sempre il vostro tesoro — ha esortato il sostituto della Segreteria di Stato — e possiate continuare a toccare in loro la “carne di Cristo”, con l’amore e la cura con cui si vive l’Eucaristia». In particolare l’arcivescovo ha voluto fare riferimento «all’integrazione di immigrati e rifugiati, di cui le nostre società hanno bisogno» incoraggiando la comunità «a continuare a costruire ponti, legami, perché si affermi una civiltà del vivere insieme, una civiltà dell’amore, anche se non sempre questo è l’orientamento del mondo, soprattutto in questi tempi». Ricordando poi come il cammino di Sant’Egidio abbia «preso origine da un gruppo di liceali che, invece di progettare un futuro pensando esclusivamente al successo e alla carriera professionale, ha deciso di dar vita a una scuola popolare per i bambini emarginati delle baraccopoli romane, lasciandosi interpellare dalle audaci esigenze del Vangelo», il celebrante ha rimarcato gli inizi dell’esperienza nelle «periferie, ben prima che questa parola fosse impiegata in maniera programmatica da Papa Francesco». Dunque oggi la missione della Comunità «è andare in tutte le periferie, dove vi sono conflitti, dove le persone non sono riconosciute nella loro dignità, dove le diversità sono vissute come esclusione e conflitto invece che come arricchimento» per portavi «la presenza di Cristo», rigenerare la fraternità e far sì che «le periferie, tornino a essere “al centro”» rendendole «consapevoli della loro dignità, attive e protagoniste nel tessuto sociale e nella vita della Chiesa». Quindi l’arcivescovo Becciu ha commentato l’episodio proposto dal Vangelo di Marco (7, 24-30): «Sento forte la suggestione di questa donna: — ha detto — viene dalla regione della Siria e chiede pietà per la figlia. Non rappresenta — si è chiesto — le mamme siriane che chiedono aiuto per i figli? le mamme che assistono in varie parti del mondo allo strazio della guerra?». E poiché «la donna trovò sua figlia guarita, tornando a casa», il presule ha chiesto ai membri di Sant’Egidio, con l’aiuto di Dio, di contribuire «ad alleviare le sofferenze di tante madri!». Infine si è soffermato sul luogo della celebrazione: «Questa chiesa di San Giovanni in Laterano, che la tradizione vuole “madre e capo di tutte le chiese”». In proposito ha ricordato come la comunità sia nata nella Chiesa di Roma e ne sia «tuttora un’espressione vitale». Per questo, ha affermato, occorre amare la città e cooperare per «renderla ancora più bella e ospitale. Il legame con il vescovo di Roma — ha sottolineato — deve continuare a caratterizzarvi, non soltanto qui, ma anche nelle altre parti del mondo dove giunge la vostra carità». Anzi, «la vostra “romanità” faccia di voi altrettanti collaboratori di Papa Francesco, che dilatano il suo cuore e le sue braccia, giungendo là dove non può arrivare fisicamente. Facendo così concorrerete a riportare ogni persona al centro e a fare di ogni periferia un nucleo di vita e di umanità nuova. Solo così cambierà anche la geopolitica mondiale e il seme del Vangelo produrrà frutti abbondanti di pace». In conclusione l’arcivescovo Becciu ha riproposto la consegna di Papa Francesco quando il 15 giugno 2014 visitò la comunità: «Andate avanti su questa strada: preghiera, poveri e pace. E camminando così aiutate a far crescere la compassione nel cuore della società — che è la vera rivoluzione, quella della compassione e della tenerezza — a far crescere l’amicizia al posto dei fantasmi dell’inimicizia e dell’indifferenza». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 venerdì 10 febbraio 2017 Alla comunità della Civiltà Cattolica il Pontefice chiede che la rivista continui a navigare in mare aperto Ponte e frontiera Alla scuola di tre patroni con inquietudine, incompletezza, immaginazione Restate in mare aperto: è questa la consegna che Papa Francesco ha affidato al collegio degli scrittori della Civiltà Cattolica ricevuti in udienza giovedì mattina, 9 febbraio, in occasione della pubblicazione del numero 4000 della rivista dei padri gesuiti. Cari scrittori del Collegio della Civiltà Cattolica, cari collaboratori laici, sono contento di incontrarvi insieme agli altri gesuiti della Comunità, alle suore e a tutti coloro che collaborano con voi nella vita della rivista e nell’amministrazione della casa nella quale abitate. Saluto anche gli editori che da questo momento pubblicheranno la vostra rivista in spagnolo, inglese, francese e coreano. Sento qui presente anche tutta la ampia famiglia dei vostri lettori. Vi ritrovo tutti insieme volentieri in occasione della pubblicazione del fascicolo numero 4000. È un traguardo davvero unico: la rivista ha compiuto un viaggio nel tempo di 167 anni e prosegue con coraggio la sua navigazione in mare aperto. Il saluto del generale dei gesuiti Con un grazie al Papa per la sua «affettuosa vicinanza personale» e per il suo «appoggio» la comunità di lavoro della «Civiltà Cattolica» ha voluto celebrare «oltre un secolo e mezzo di impegno editoriale a servizio della Chiesa e in un modo tutto particolare del Romano Pontefice». A dar voce a storia e progetti della rivista è stato il preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Arturo Sosa Abascal. «In verità — ha detto a Francesco — questa è un’occasione straordinaria, in quanto la “Civiltà Cattolica” arriva in questi giorni al suo Quaderno numero 4000». E «questo significa più di 166 anni di impegno nel comunicare la lieta notizia e la lettura delle vicende storiche, politiche, sociali e culturali alla luce di essa, in modo fedele e creativo». Si tratta, ha fatto presente, di «un periodo di storia nel quale l’umanità ha sperimentato profondi e rapidi cambiamenti in tutte le dimensioni della vita: oggi siamo consapevoli di essere entrati nella cosiddetta epoca della conoscenza, dopo l’epoca industriale». Proprio «in questa nuova epoca, la comunicazione globale ha un ruolo assai importante» e «si aprono tante possibilità per rendere presente la parola del vangelo e la sua inculturazione nell’oggi in tutto il mondo». Così «la cattolicità della Chiesa acquista un nuova profondità» e la rivista «ha preso consapevolezza delle sfide proposte all’evangelizzazione di questa nuova tappa della comunicazione globale e cerca il modo sia di integrare collaboratori da diverse parti del mondo che di moltiplicare le lingue con cui si fa presente ai lettori, anche con l’utilizzo intelligente delle nuove tecnologie ideate per una comunicazione più efficace». In realtà, ha affermato il preposito generale, «non vogliamo altro che far presente, in tutti i modi a nostra disposizione, la figura del Cristo che ha donato al sua vita sulla croce perché tutti gli esseri umani abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». Certo, ha aggiunto, «ben sappiamo che è solo la sua grazia che rende questo possibile: noi mettiamo in Lui tutta la nostra speranza e speriamo di continuare la sua presenza nella nostra vita e nella vita del mondo, la nostra casa comune». Ecco: restate in mare aperto! Il cattolico non deve aver paura del mare aperto, non deve cercare il riparo di porti sicuri. Soprattutto voi, come gesuiti, evitate di aggrapparvi a certezze e sicurezze. Il Signore ci chiama a uscire in missione, ad andare al largo e non ad andare in pensione a custodire certezze. Andando al largo si incontrano tempeste e ci può essere vento contrario. E tuttavia il santo viaggio si fa sempre in compagnia di Gesù che dice ai suoi: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (Mt 14, 27). La vostra navigazione non è solitaria. I miei Predecessori, dal beato Pio IX a Benedetto XVI, incontrandovi in udienza, hanno riconosciuto più volte come la vostra navigazione sia nella barca di Pietro. Questo vincolo al Pontefice è da sempre un tratto essenziale della vostra rivista. Voi siete nella barca di Pietro. Essa, a volte nella storia — oggi come ieri — può essere sballottata dalle onde e non c’è da meravigliarsi di questo. Ma anche gli stessi marinai chiamati a remare nella barca di Pietro possono remare in senso contrario. È sempre accaduto. Voi di Civiltà Cattolica dovete essere «“rematori esperti e valorosi” (Pio VII, Bolla Sollicitudo omnium Ecclesiarum): remate dunque! Remate, siate forti, anche col vento contrario! Remiamo a servizio della Chiesa. Remiamo insieme!» (Omelia nei Vespri con Te Deum, 27 settembre 2014). Questo è il vincolo tra me e voi. Ed esprimo il mio «vivo desiderio che questo vincolo non solo si mantenga, ma si rafforzi» (Giovanni Paolo II, Discorso agli scrittori de “La Civiltà Cattolica”, 19 gennaio 1990). Andiamo sempre avanti nella nostra navigazione, spinti dal soffio dello Spirito Santo che ci guida. 4000 fascicoli non sono una raccolta di carta! C’è una vita dentro, fatta di tanta riflessione, di tanta passione, di lotte sostenute e contraddizioni incontrate. Ma soprattutto di tanto lavoro. Ho saputo che i vostri antichi predecessori amavano chiamarsi semplicemente «lavoratori». Non «intellettuali», ma «lavoratori». Mi piace molto questa definizione che è umile, modesta e molto efficace. Sant’Ignazio ci vuole lavoratori nella vigna mistica. Io lavoro in un modo, voi lavorate in un altro. Ma siamo insieme, accanto. Io nel mio lavoro vi vedo, vi seguo, vi accompagno con affetto. La vostra rivista è spesso sulla mia scrivania. E so che voi nel vostro lavoro non mi perdete mai di vista. Avete accompagnato fedelmente tutti i passaggi fondamentali del mio Pontificato a partire dalla lunga intervista che ho concesso al vostro direttore nell’agosto 2013: la pubblicazione delle Encicliche e delle Esortazioni apostoliche, dando di esse una interpretazione fedele; i Sinodi, i Viaggi apostolici, il Giubileo della Misericordia. Vi ringrazio di questo e vi chiedo di proseguire su questa strada a lavorare con me e a pregare per me. Quante cose sono accadute in 167 anni di vita della rivista e raccontate nei vostri 4000 quaderni! Ad ogni millesimo fascicolo avete incontrato il Papa: Leone XIII, Pio XI, Paolo VI hanno celebrato i precedenti. Adesso eccovi con me. E con voi c’è il padre Generale della Compagnia di Gesù perché il beato Pio IX volle che il Collegio «dipendesse completamente e in tutto» da lui (Breve ap. Gravissimum supremi). Io confermo questo affidamento della Civiltà Cattolica al Padre Generale proprio a causa del compito specifico che la vostra rivista svolge al servizio diretto della Sede Apostolica. E più in generale confermo gli Statuti originari della vostra rivista, che Pio IX scrisse nel 1866 istituendo La Civiltà Cattolica «in modo perpetuo». A leggerli oggi notiamo un linguaggio che non è più il nostro. Ma il senso profondo e specifico della vostra rivista è ben descritto e deve rimanere immutato, cioè quello di una rivista che è espressione di una comunità di scrittori tutti gesuiti che condividono non solamente una esperienza intellettuale, ma anche una ispirazione carismatica e, almeno nel nucleo fondamentale della redazione, la vita quotidiana della comunità. La varietà degli argomenti che voi trattate va scelta ed elaborata in una consultazione tra voi che richiede uno scambio frequente (cfr. Leone XIII, Lett. Sapienti consilio). E a voi spetta il confronto non soltanto sulle idee, ma anche sul modo di esprimerle e i mezzi adatti per farlo. Il centro della Civiltà Cattolica è il Collegio degli Scrittori. Tutto deve ruotare attorno ad esso e alla sua missione. Questa missione — per la prima volta in 167 anni — da oggi si allarga oltre i confini linguistici dell’italiano. Sono lieto di poter benedire le edizioni della Civiltà Cattolica in spagnolo, inglese, francese e coreano. Si tratta di una evoluzione che già i vostri predecessori, ai tempi del Concilio, ebbero in mente, ma che mai fu messa in opera. Già da molto tempo la Segreteria di Stato la invia a tutte le Nunziature nel mondo. Adesso che il mondo è sempre più connesso, il superamento delle barriere linguistiche aiuterà a diffonderne meglio il messaggio a più ampio raggio. Questa nuova tappa contribuirà pure ad ampliare il vostro orizzonte, e a ricevere contributi scritti da altri gesuiti in varie parti del mondo. La cultura viva tende ad aprire, a integrare, a moltiplicare, a condividere, a dialogare, a dare e a ricevere all’interno di un popolo e con gli altri popoli con cui entra in rapporto. La Civiltà Cattolica sarà una rivista sempre più aperta al mondo. Questo è un nuovo modo di vivere la vostra missione specifica. E qual è questa missione specifica? È quella di essere una rivista cattolica. Ma essere rivista cattolica non significa semplicemente che difende le idee cattoliche, come se il cattolicesimo fosse una filosofia. Come scrisse il vostro fondatore, p. Carlo Maria Curci, La Civiltà Cattolica non deve «apparire come cosa da sagrestia». Una rivista è davvero «cattolica» solo se possiede lo sguardo di Cristo sul mondo, e se lo trasmette e lo testimonia. Nel mio incontro con voi tre anni fa vi ho presentato la vostra missione in tre parole: dialogo, discernimento, frontiera. Le ribadisco oggi. Nel biglietto augurale che vi ho inviato per il numero 4000 ho usato l’immagine del ponte. Mi piace pensare alla Civiltà Cattolica come una rivista che sia insieme «ponte» e «frontiera». Oggi vorrei aggiungere qualche riflessione per approfondire quello che i vostri fondatori, ripresi poi da Paolo VI, chiamarono il “disegno costituzionale” della rivista. E vi darò anche tre “patroni”, cioè tre figure di gesuiti alle quali guardare per andare avanti. La prima parola è INQUIETUDINE. Vi pongo una domanda: il vostro cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca? Solo l’inquietudine dà pace al cuore di un gesuita. Senza inquietudine siamo sterili. Se volete abitare ponti e frontiere dovete avere una mente e un cuore inquieti. A volte si confonde la sicurezza della dottrina con il sospetto per la ricerca. Per voi non sia così. I valori e le tradizioni cristiane non sono pezzi rari da chiudere nelle casse di un museo. La certezza della fede sia invece il motore della vostra ricerca. Vi dò come patrono san Pietro Favre (1506-1546), uomo di grandi desideri, spirito inquieto, mai soddisfatto, pioniere dell’ecumenismo. Per Favre, è proprio quando si propongono cose difficili che si manifesta il vero spirito che muove all’azione (cfr. Memoriale, 301). Una fede autentica implica sempre un profondo de- siderio di cambiare il mondo. Ecco la domanda che dobbiamo porci: abbiamo grandi visioni e slancio? Siamo audaci? Oppure siamo mediocri, e ci accontentiamo di riflessioni di laboratorio? La vostra rivista prenda consapevolezza delle ferite di questo mondo, e individui terapie. Sia una scrittura che tende a comprendere il male, ma anche a versare olio sulle ferite aperte, a guarire. Favre camminava con i suoi piedi e morì giovane di fatica, divorato dai suoi desideri a maggior gloria di Dio. Voi camminate con la vostra intelligenza inquieta che le tastiere dei vostri computer traducono in riflessioni utili per costruire un mondo migliore, il Regno di Dio. La seconda parola è INCOMPLETEZZA. Dio è il Deus semper maior, il Dio che ci sorprende sempre. Per questo dovete essere scrittori e giornalisti dal pensiero incompleto, cioè aperto e non chiuso e rigido. La vostra fede apra il vostro pensiero. Fatevi guidare dallo spirito profetico del Vangelo per avere una visione originale, vitale, dinamica, non ovvia. E questo specialmente oggi in un mondo così complesso e pieno di sfide in cui sembra trionfare la “cultura del naufragio” — nutrita di messianismo profano, di mediocrità relativista, di sospetto e di rigidità — e la “cul- Pietro Favre in un’incisione cinquecentesca tura del cassonetto”, dove ogni cosa che non funziona come si vorrebbe o che si considera ormai inutile si butta via. La crisi è globale, e quindi è necessario rivolgere il nostro sguardo alle convinzioni culturali dominanti e ai criteri tramite i quali le persone ritengono che qualcosa sia buono o cattivo, desiderabile o no. Solo un pensiero davvero aperto può affrontare la crisi e la comprensione di dove sta andando il mondo, di come si affrontano le crisi più complesse e urgenti, la geopolitica, le sfide dell’economia e la grave crisi umanitaria legata al dramma delle migrazioni, che è il vero nodo politico globale dei nostri giorni. Vi dò dunque come figura di riferimento il servo di Dio padre (1522Matteo Ricci 1610). Egli compose un grande Mappamondo cinese raffigurando i continenti e le isole fino ad allora conosciuti. Così l’amato popolo cinese poteva vedere raffigurate in forma nuova molte terre lontane che venivano nominate e descritte brevemente. Tra queste pure l’Europa e il luogo dove viveva il Papa. Il Mappamondo servì anche a introdurre ancora meglio il popolo cinese alle altre civiltà. Ecco, con i vostri articoli anche voi siete chiamati a comporre un “mappamondo”: mostrate le Hans Memling, «Ritratto di donna» scoperte recenti, date un nome ai luoghi, fate conoscere qual è il significato della “civiltà” cattolica, ma pure fate conoscere ai cattolici che Dio è al lavoro anche fuori dai confini della Chiesa, in ogni vera “civiltà”, col soffio dello Spirito. La terza parola è IMMAGINAZIONE. Questo nella Chiesa e nel mondo è il tempo del discernimento. Il discernimento si realizza sempre alla presenza del Signore, guardando i segni, ascoltando le cose che accadono, il sentire della gente che conosce la via umile della cocciutaggine quotidiana, e specialmente dei poveri. La sapienza del discernimento riscatta la necessaria ambiguità della vita. Ma bisogna penetrare l’ambiguità, bisogna entrarci, come ha fatto il Signore Gesù assumendo la nostra carne. Il pensiero rigido non è divino perché Gesù ha assunto la nostra carne che non è rigida se non nel momento della morte. Per questo mi piace tanto la poesia e, quando mi è possibile, continuo a leggerla. La poesia è piena di metafore. Comprendere le metafore aiuta a rendere il pensiero agile, intuitivo, flessibile, acuto. Chi ha immaginazione non si irrigidisce, ha il senso dell’umorismo, gode sempre della dolcezza della misericordia e della libertà interiore. È in grado di spalancare visioni ampie anche in spazi ristretti come fece nelle sue opere pittoriche il fratel Andrea (1642-1709), Pozzo aprendo con l’immaginazione spazi aperti, cupole e corridoi, lì dove ci sono solo tetti e muri. Vi dò anche lui come figura di riferimento. Coltivate dunque nella vostra rivista lo spazio per l’arte, la letteratura, il cinema, il teatro e la musica. Così avete fatto sin dagli inizi, dal 1850. Alcuni giorni fa meditavo sulla pittura di Hans Memling, il pittore fiammingo. E pensavo a come il miracolo di delicatezza che c’è nella sua pittura rappresenti bene la gente. Poi pensavo ai versi di Baudelaire su Rubens lì dove scrive che «la vie afflue et s’agite sans cesse, / Comme l’air dans le ciel et la mer dans la mer». Sì, la vita è fluida e si agita senza sosta come si agita l’aria in cielo e il mare nel mare. Il pensiero della Chiesa deve recuperare genialità e capire sempre meglio come l’uomo si comprende oggi per sviluppare e approfondire il proprio insegnamento. E questa genialità aiuta a capire che la vita non è un quadro in bianco e nero. È un quadro a colori. Alcuni chiari e altri scuri, alcuni tenui e altri vivaci. Ma comunque prevalgono le sfumature. Ed è questo lo spazio del discernimento, lo spazio in cui lo Spirito agita il cielo come l’aria e il mare come l’acqua. Il vostro compito — come chiese il beato Paolo VI — è quello di vivere il confronto «tra le esigenze brucianti dell’uomo e il perenne messaggio del Vangelo» (Discorso in occasione della XXXII Congr. Gen. della Compagnia di Gesù, 3 dicembre 1974). E quelle esigenze brucianti le portate già dentro voi stessi, e nella vostra vita spirituale. Date a questo confronto le forme più adeguate, anche nuove, come richiede oggi il modo di comunicare, che cambia col passare del tempo. Mi auguro che La Civiltà Cattolica, anche grazie alle sue versioni in altre lingue, possa raggiungere molti lettori. La Compagnia di Gesù sostenga quest’opera così antica e preziosa, anzi unica per il servizio alla Sede Apostolica. Sia generosa nel dotarla di gesuiti capaci e la diffonda lì dove è più opportuno. Penso soprattutto ai centri di formazione educativa e alle scuole, in particolare per la formazione di docenti e genitori. Ma anche nei centri di formazione spirituale. Ne raccomando particolare diffusione nei seminari e nei centri di formazione. I vescovi la sostengano. Il suo legame con la Sede Apostolica ne fa, infatti, una rivista unica nel suo genere. Concludo questo nostro incontro ringraziandovi per la testimonianza che date. Affido voi tutti qui presenti all’intercessione della Madonna della Strada e di san Giuseppe, impartendovi la mia Benedizione Apostolica. Grazie. L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 10 febbraio 2017 pagina 7 Alla plenaria della Congregazione per l’educazione cattolica Una grammatica per seminare speranza «Le scuole e le università cattoliche danno un grande contributo alla missione della Chiesa quando sono al servizio della crescita in umanità, nel dialogo e nella speranza»: lo ha detto il Papa alla plenaria della Congregazione per l’educazione cattolica ricevuta in udienza nella tarda mattinata di giovedì 9 febbraio nella Sala Clementina. Cari fratelli e sorelle, ringrazio il Cardinale Prefetto per le parole di introduzione a questo incontro e saluto cordialmente i Membri della Congregazione per l’Educazione Cattolica nominati di recente, tra i quali anche lo stesso Prefetto, che per la prima volta presiede l’Assemblea Plenaria. Saluto i componenti della Fondazione Gravissimum educationis, da poco costituita per rilanciare i contenuti della Dichiarazione conciliare. In questi giorni avete preso in considerazione molti argomenti, per fare un bilancio del lavoro del Dicastero negli ultimi tre anni e per tracciare gli orientamenti degli impegni futuri. I settori del vasto campo educativo che sono di competenza della vostra Congregazione vi hanno impegnato nella riflessione e nella discussione su diversi aspetti importanti, come la formazione iniziale e permanente dei docenti e dei dirigenti, anche in considerazione della necessità di un’educazione inclusiva e informale; o come il contributo insostituibile delle Congregazioni Religiose, nonché il sostegno che può venire dalle Chiese particolari e dalle Organizzazioni di settore. Buona parte del vostro lavoro è stato dedicato alle istituzioni universitarie ecclesiastiche e cattoliche per l’aggiornamento della Costituzione apostolica Sapientia christiana; alla promozione degli studi di Diritto Canonico in relazione alla riforma dei processi di nullità del matrimonio; nonché per sostenere la pastorale universitaria. Avete inoltre considerato l’opportunità di offrire le direttive per incrementare la responsabilizzazione di tutti quelli che sono coinvolti nell’impegnativo campo dell’educazione. Come ho richiamato nell’Esortazione Evangelii gaudium, «le Università sono un ambito privilegiato per pensare e sviluppare [l’]impegno di evangelizzazione»; e «le scuole cattoliche [...] costituiscono un contributo molto valido all’evangelizzazione della cultura, anche nei Paesi e nelle città dove una situazione avversa ci stimola ad Con il linguaggio del cuore La diversità di situazioni rende auspicabile che le Conferenze episcopali a livello continentale promuovano iniziative a sostegno di quanti sono impegnati nell’insegnare alle nuove generazioni il linguaggio della testa, del cuore, delle mani. Lo ha detto il cardinale Giuseppe Versaldi, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, nel saluto rivolto a Papa Francesco all’inizio dell’udienza. Illustrando i temi trattati dalla plenaria del dicastero, il porporato ha riconosciuto gli sforzi che stanno compiendo le congregazioni religiose e le diverse organizzazioni del settore per un maggiore coordinamento. Ha poi spiegato che i partecipanti hanno valutato il necessario aggiornamento della costituzione apostolica Sapientia christiana e delle sue ordinationes circa le università e le facoltà ecclesiastiche sulla base del parere di esperti. Ciò per rispondere alle esigenze del tempo presente, come a esempio le convenzioni accademiche continentali e la situazione dei rifugiati e profughi che vogliono studiare nei centri ecclesiastici. Il cardinale ha anche fatto riferimento all’urgenza di promuovere una pastorale universitaria in dialogo con le altre dimensioni del progetto educativo. usare la creatività per trovare i percorsi adeguati» (n. 134). In questo orizzonte di evangelizzazione sento di condividere con voi alcune attese. Anzitutto, di fronte ad un invadente individualismo, che rende umanamente poveri e culturalmente sterili, è necessario umanizzare l’educazione. La scuola e l’università hanno senso pieno solo in relazione alla formazione della persona. A questo processo di crescita umana tutti gli educatori sono chiamati a collaborare con la loro professionalità e con la ricchezza di umanità di cui sono portatori, per aiutare i giovani ad essere costruttori di un mondo più solidale e pacifico. Ancor di più le istituzioni educative cattoliche hanno la missione di offrire orizzonti aperti alla trascendenza. Gravissimum educationis ricorda che l’educazione è al servizio di un umanesimo integrale e che la Chiesa, quale madre educatrice, guarda sempre alle nuove generazioni nella prospettiva della «formazione della persona umana sia in vista del suo fine ultimo sia per il bene delle varie società, di cui l’uomo è membro ed in cui, divenuto adulto, avrà mansioni da svolgere» (n. 1). Un’altra attesa è quella che cresca la cultura del dialogo. Il nostro mondo è diventato un villaggio globale con molteplici processi di interazione, dove ogni persona appartiene all’umanità e condivide la speranza di un futuro migliore con l’intera famiglia dei popoli. Nello stesso tempo, purtroppo, ci sono tante forme di violenza, povertà, sfruttamento, discriminazione, emarginazione, approcci restrittivi alle libertà fondamentali che creano una cultura dello scarto. In tale contesto gli istituti educativi cattolici sono chiamati in prima linea a praticare la grammatica del dialogo che forma all’incontro e alla valorizzazione delle diversità culturali e religiose. Il dialogo, infatti, educa quando la persona si relaziona con rispetto, stima, sincerità d’ascolto e si esprime con autenticità, senza offuscare o mitigare la propria identità nutrita dall’ispirazione evangelica. Ci incoraggia la convinzione che le nuove generazioni, educate cristianamente al dialogo, usciranno dalle aule scolastiche e universitarie motivate a costruire ponti e, quindi, a trovare nuove risposte alle molte sfide del nostro tempo. In senso più specifico, le scuole e le università sono chiamate ad insegnare un metodo di dialogo intellettuale finalizzato alla ricerca della verità. San Tommaso è stato ed è tuttora maestro in questo metodo, che consiste nel prendere sul serio l’altro, l’interlocutore, cercando di cogliere fino in fondo le sue ragioni, le sue obiezioni, per poter rispondere in modo non superficiale ma adeguato. Solo così si può veramente avanzare insieme nella conoscenza della verità. C’è un’ultima attesa che vorrei condividere con voi: il contributo dell’educazione al seminare speranza. L’uomo non può vivere senza speranza e l’educazione è generatrice di speranza. Infatti l’educazione è un far nascere, è un far crescere, si colloca nella dinamica del dare la vita. E la vita che nasce è la sorgente più zampillante di speranza; una vita tesa alla ricerca del bello, del buono, del vero e della comunione con gli altri per una crescita comune. Sono convinto che i giovani di oggi hanno soprattutto necessità di questa vita che costruisce futuro. Perciò, il vero educatore è come un padre e una madre che trasmette una vita capace di futuro. Per avere questa tempra occorre mettersi in ascolto dei giovani: il “lavoro dell’orecchio”. Mettersi in ascolto dei giovani! E lo faremo in particolare con il prossimo Sinodo dei Vescovi dedicato a loro. L’educazione, poi, ha in comune con la speranza la stessa “stoffa” del rischio. La speranza non è un superficiale ottimismo, nemmeno la capacità di guardare alle cose benevolmente, ma anzitutto è un saper rischiare nel modo giusto, proprio come l’educazione. Cari fratelli e sorelle, le scuole e le università cattoliche danno un grande contributo alla missione della Chiesa quando sono al servizio della crescita in umanità, nel dialogo e nella speranza. Vi ringrazio per il lavoro che fate per rendere le istituzioni educative luoghi ed esperienze di evangelizzazione. Invoco su di voi lo Spirito Santo, per intercessione di Maria Sedes Sapientiae, perché renda efficace il vostro ministero a favore dell’educazione. E vi chiedo, per favore, di pregare per me, e di cuore vi benedico. Grazie! Le proposte dell’incontro in Vaticano sul traffico di organi Come fermare i criminali Undici raccomandazioni concrete «per contrastare le pratiche illecite e immorali del traffico di organi» che governi nazionali, regionali e municipali, ministeri della salute, magistrature e ogni realtà sociale nel mondo dovrebbero mettere subito in atto. È la proposta concreta scaturita dal summit svoltosi in Vaticano, il 7 e l’8 febbraio, su iniziativa della Pontificia Accademia delle scienze. E presentata, nei dettagli, nella dichiarazione firmata da tutti i partecipanti e resa nota a conclusione dei lavori. Anzitutto, viene rilevato, è fondamentale «che tutte le nazioni e tutte le culture riconoscano il traffico di esseri umani ai fini dell’asportazione di organi e il traffico di organi, che comprendono l’uso di organi di detenuti giustiziati e il pagamento ai donatori o ai parenti prossimi di donatori deceduti, come crimini che devono essere condannati in tutto il mondo e perseguiti legalmente a livello nazionale e internazionale». E se questa è la raccomandazione di partenza, il summit ha auspicato anche «che i leader religiosi incoraggino la donazione etica degli organi e condannino il traffico di esseri umani ai fini dell’asportazione di organi e il traffico di organi». Propositivo il terzo punto, con l’invito a tutte le nazioni a fornire «le risorse per raggiungere l’autosufficienza nella donazione degli organi a livello nazionale — con una cooperazione regionale, secondo le esigenze — riducendo il bisogno di trapianti attraverso misure preventive e migliorando l’accesso a programmi di trapianto nazionali in modo etico e regolamentato». La quarta raccomandazione è rivolta ai governi affinché stabiliscano «un quadro giuridico che offra una base esplicita per la prevenzione e la persecuzione di crimini collegati ai trapianti e protegga le vittime, a prescindere dal luogo in cui il reato è stato commesso». Non manca — è il punto numero cinque — l’appello agli operatori sanitari a svolgere «un controllo etico e medico dei donatori e dei riceventi, che tenga conto degli esiti a breve e a lungo termine». La sesta richiesta riguarda l’istituzione di «registri di tutte le acquisizioni e i trapianti di organi» e la comunicazione, da parte dei singoli governi, «a banche dati internazionali». È stata inoltre rilevata, al punto sette, l’opportunità di sviluppare «un quadro giuridico perché gli operatori sanitari e gli altri professionisti possano trasmettere informazioni su sospetti casi di crimini collegati a trapianti, nel rispetto dei loro obblighi professionali nei confronti dei pazienti». Mentre è indirizzato espressamente alle «autorità responsabili, con il sostegno del sistema giudiziario», il suggerimento di indagare «su trapianti sospettati di coinvolgere un reato». Al punto numero nove sono chiamati in causa anche «i fornitori di servizi assicurativi e le organizzazioni caritative» chiedendo che «non coprano i costi delle procedure di trapianto che coinvolgono il traffico di esseri umani ai fini dell’asportazione di organi o il traffico di organi». E la decima raccomandazione prevede «che le organizzazioni di operatori sanitari che si occupano di trapianti promuovano tra i loro membri la conoscenza e il rispetto degli strumenti legali e delle linee guida internazionali contro il traffico di organi e il traffico di esseri umani ai fini dell’asportazione di organi». Infine, al punto numero undici, il summit chiede «che l’O rganizzazione mondiale della sanità, il Consiglio d’Europa, le agenzie delle Nazioni Unite, compreso l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, e gli altri organismi internazionali, cooperino per consentire una raccolta completa di informazioni su crimini collegati ai trapianti, per avere una maggiore comprensione della loro natura e portata e dell’organizzazione delle reti criminali coinvolte». La questione è semplice, fa presente la dichiarazione: si tratta di «combattere questi crimini contro l’umanità attraverso sforzi comprensivi che coinvolgano tutte le parti in causa nel mondo». Una presa di posizione, si legge nel testo, assunta «in conformità alle risoluzioni delle Nazioni Unite e dell’Assemblea mondiale della sanità, del summit dei sindaci delle maggiori città del mondo, ospitato in Vaticano nel 2015, della dichiarazione comune dei leader religiosi contro le moderne schiavitù del 2014 e del magistero del Papa che, a giugno 2016, al vertice di giudici e magistrati contro il traffico delle persone umane e il crimine organizzato, ha affermato che il traffico di organi e il traffico degli esseri umani ai fini dell’asportazione di organi sono “veri e propri crimini di lesa umanità che devono essere riconosciuti tali da tutte le autorità religiose, politiche e sociali, e sanciti dalle leggi nazionali e internazionali”». «La povertà, la disoccupazione e la mancanza di opportunità socio-economiche — afferma la dichiarazione — sono fattori che rendono le persone vulnerabili al traffico di organi e al traffico di esseri umani ai fini dell’asportazione di organi». E così proprio «le persone indigenti diventano preda di macchinazioni per il traffico di organi quando vengono indotte a vendere i propri organi nella ricerca disperata di una vita migliore». È la stessa disperazione che porta persone ammalate «a pagare grandi somme e a recarsi in destinazioni estere come turisti dei trapianti per ottenere un organo che possa tenerle in vita, dimentichi delle conseguenze a breve e a lungo termine dei trapianti commerciali sulla salute». Questo crimine, denunciano i partecipanti al summit, è reso possibile da «intermediari e operatori sanitari privi di scrupoli» che ignorano «la dignità degli esseri umani». Tanto che «le procedure chirurgiche vengono svolte in strutture non autorizzate, clandestinamente». Ma «il traffico di organi — rende noto la dichiarazione — può avvenire anche in strutture regolari, in situazioni in cui persone disposte a vendere i propri organi si presentano ai centri trapianti come parenti o amici altruisti del ricevente». Da parte loro «i media — viene riconosciuto — hanno dato un contributo importante alla conoscenza pubblica, mettendo in evidenza la piaga delle persone vittime di questo traffico, pubblicando le proprie indagini indipendenti sui crimini collegati ai trapianti e su operatori sanitari corrotti e strutture abusive». Ci sono, ricorda la dichiarazione, «diversi strumenti giuridici internazionali» che «definiscono, condannano e criminalizzano queste pratiche: il protocollo delle Nazioni Unite contro il traffico di esseri umani (protocollo di Palermo), la convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani e la convenzione del Consiglio d’Europa contro il traffico di organi umani». Dal summit è arrivato un nuovo «appoggio» a «questi documenti», in grado di affermare «che gli operatori dei trapianti che commettono o favoriscono questi crimini devono essere chiamati a risponderne legalmente». «Gli strumenti giuridici del passato recente — si legge nella dichiarazione — costituiscono un importante collegamento con l’innovativa politica emergente per combattere la disuguaglianza sociale». E così «il traffico di esseri umani ai fini dell’asportazione di organi e il traffico di organi vanno contro l’Agenda 2030 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile come questione di diritti umani e giustizia sociale, poiché i poveri vengono sfruttati per i loro organi, ma non riescono a ricevere un trapianto se sono loro ad averne bisogno». Riconoscendo i passi avanti compiuti, la dichiarazione non manca di denunciare che «continuano a esserci diverse destinazioni per il turismo dei trapianti nel mondo dove non esiste, o viene mal applicata, una legislazione atta a limitare questi crimini e a proteggere i poveri e gli indifesi». È urgente, conclude il documento, rispondere «alla direttiva di Papa Francesco di combattere la tratta di esseri umani e il traffico di organi in ogni loro forma condannabile». Con la consapevolezza «degli obiettivi di sviluppo sostenibili delle Nazioni Unite, del protocollo di Palermo delle Nazioni Unite sulla tratta di esseri umani, delle risoluzioni dell’Assemblea mondiale della sanità (2004 e 2010), della convenzione del Consiglio d’Europa contro il traffico di esseri umani, della convenzione del Consiglio d’Europa contro il traffico di organi umani, della risoluzione di Madrid sulla donazione e il trapianto di organi e della dichiarazione di Istanbul per ridurre il traffico di organi». Lutto nell’episcopato Monsignor Patrick Mumbure Mutume, vescovo titolare di Are di Mauritania, ausiliare di Mutare in Zimbabwe, è morto mercoledì 8 febbraio. Il compianto presule era nato a Mutare, il 31 ottobre 1943, ed era stato ordinato sacerdote il 3 settembre 1972. Eletto il 15 marzo 1979 alla Chiesa titolare di Are di Mauritania e nel contempo nominato ausiliare del vescovo di Umtali — il 25 giugno 1982 la diocesi ha poi cambiato nome in Mutare — aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il 17 giugno dello stesso anno. † La Segreteria di Stato comunica che è piamente deceduta la Signora ISABELLE FITZPATRICK madre di S.E. Mons. Paul Russell, Nunzio Apostolico in Turchia. Nell’esprimere a S.E. Mons. Russell sentita partecipazione al suo dolore, i Superiori e gli Officiali della Segreteria di Stato e del Servizio Diplomatico della Santa Sede assicurano la loro preghiera di suffragio e invocano dal Signore conforto per lui e per gli altri familiari della cara defunta. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 venerdì 10 febbraio 2017 Messa a Santa Marta La donna è l’armonia del mondo «Per capire una donna bisogna prima sognarla»: ecco perché la donna è «il grande dono di Dio», capace di «portare armonia nel creato». Tanto che, ha confidato Papa Francesco con un tocco di poetica tenerezza, «a me piace pensare che Dio ha creato la donna perché tutti noi avessimo una madre». È un vero e proprio inno alle donne che il Pontefice ha proposto nella messa celebrata giovedì mattina, 9 febbraio, nella cappella della Casa Santa Marta. È la donna, ha riconosciuto Francesco, «che ci insegna ad accarezzare, ad amare con tenerezza e che fa del mondo una cosa bella». E se «sfruttare le persone è un crimine di lesa umanità, sfruttare una donna è di più di un reato e un crimine: è distruggere l’armonia che Dio ha voluto dare al mondo, è tornare indietro». Per la sua meditazione, Francesco ha preso le mosse dalle letture odierne, tratte dal libro della Genesi (2, 18-25) e dal Vangelo di Marco (7, 24-30). La liturgia «continua la narrazione della creazione del mondo» ha detto subito il Papa, facendo anche notare come sembri «che con la creazione dell’uomo tutto sia finito», tanto che «Dio si riposa». Però «manca qualcosa: l’uomo era solo» e di quella «solitudine Dio stesso se ne accorse: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”» si legge, appunto, nella Genesi. Ana Pardo, «La creazione di Eva» Così «il Signore artigianalmente — ma questa è una forma letteraria per dirlo — “plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati”» ha affermato il Papa rileggendo il passo biblico. E «Dio disse» all’uomo: «questa sarà la tua compagnia. dalle un nome». Da parte di Dio, ha proseguito Francesco, «questo è un mandato di dominio». In pratica dice all’uomo: «Tu sarai il padrone di questi, quello che dà il nome, quello che comanda”». Ma «per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse» si legge nella Genesi. Così «l’uomo era solo, con tutti questi animali: “Ma, senti, perché non prendi un cane, fedele, che ti accompagni nella vita, poi due gatti per accarezzarli: il cane fedele è buono, i gatti sono carini, per alcuni, per altri no, per i topi no!». Però l’uomo «non trovava in questi animali una compagnia» e, in sostanza, «era solo». Francesco ha proseguito riproponendo punto per punto il passo della Genesi: «Allora il Signore — continua il racconto — “fece scendere un torpore sull’uomo”: lo fa dormire. Un uomo solo, la solitudine, adesso l’uomo viene addormentato, il sogno dell’uomo: si addormentò». E «artigianalmente — questo è scritto letteralmente — gli tolse la costola e fece “una donna e la condusse all’uomo”. L’uomo, quando la vide, disse: “Ah, questa volta sì! Questa è ossa dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna — dà un nome — perché dall’uomo è stata tolta”». Insomma, ha affermato Francesco, per l’uomo «è una cosa differente da tutto quello che aveva, era quello che gli mancava per non essere solo: la donna, la scoprì, la vide». Ma «prima di vederla, l’ha sognata». Infatti, ha detto il Papa, «per capire una donna è necessario sognarla, prima; non la si può capire come tutti gli altri viventi: è una cosa differente, è una cosa diversa». Proprio «così Dio l’ha fatta: per essere sognata, prima». «Tante volte — ha fatto notare il Pontefice — quando noi parliamo delle donne, parliamo in modo funzionale: la donna è per fare questo, per fare, no! Prima è per un’altra cosa: la donna porta qualcosa che, senza di lei, il mondo non sarebbe così». La donna «è una cosa differente, è una cosa che porta una ricchezza che l’uomo e tutto il creato e tutti gli animali non hanno». Anche «Adamo, prima di vederla, l’ha sognata: c’è qualcosa di poesia, in questa narrazione». E «poi il terzo passo, quando Adamo dice “Questa è ossa dalle mie ossa e carne dalla mia carne”: il destino di tutti e due». Si legge, infatti, nella Genesi: «Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne». Sì, «un’unica carne». «Adamo — ha affermato ancora Francesco — non poteva essere un’unica carne con gli uccelli, con il cane, con il gatto, con tutti gli animali, con tutto il creato: no, no! Solo con la donna e questo è il destino, questo è il futuro, questo è quello che mancava». E «la donna viene così a incoronare il creato, di più: porta armonia al creato». Perciò «quando non c’è la donna, manca l’armonia». Anche «noi diciamo, parlando: questa è una società con un forte atteggiamento maschile. Manca la donna». E magari si dice pure che «la donna è per lavare i piatti, per fare». Invece «no: la donna è per portare armonia; senza la donna non c’è armonia». L’uomo e la donna «non sono uguali, non sono uno superiore all’altro, no. Soltanto che l’uomo non porta l’armonia: è lei che porta quella armonia che ci insegna ad accarezzare, ad amare con tenerezza e che fa del mondo una cosa bella». «Tre passi», dunque, ha rilanciato il Pontefice. Anzitutto «l’uomo solo, la solitudine dell’uomo senza la donna; secondo, il sogno: mai si può capire una donna senza sognarla prima; terzo, il destino: una sola carne». «Mi è capitato alcuni mesi fa — ha confidato Francesco — in una delle udienze, quando andavo salutando la gente che era dietro le transenne, una coppia di sposi che celebrava il sessantesimo di matrimonio: non erano tanto anziani perché si erano sposati giovani, andavano sull’ottantina, ma stavano bene, sorridenti». Vedendoli il Papa ha domandato loro — perché, ha sorriso, «sempre domando qualcosa, scherzando, alla gente che fa gli anniversari di matrimonio» — chi dei due avesse avuto «più pazienza» nei sessant’anni di matrimonio. E «loro che mi guardavano, si sono guardati negli occhi — non dimentico mai quegli occhi — poi sono tornati e mi hanno detto, tutti e due insieme: “Siamo innamorati”». Ecco, ha aggiunto Francesco, «dopo sessant’anni, questo significa una sola carne e questo è quello che porta la donna: la capacità di innamorarsi. L’armonia al mondo». «Tante volte — ha riconosciuto il Papa — sentiamo dire: “È necessario che in questa società, in questa istituzione, che qui ci sia una donna perché faccia questo, faccia queste cose”». Ma «la funzionalità non è lo scopo della donna: è vero che la donna deve fare cose e fa — come tutti noi facciamo — cose». Però «lo scopo della donna è fare l’armonia e senza la donna non c’è l’armonia nel mondo». Sì, ha insistito il Pontefice, «sfruttare le persone è un crimine di lesa umanità, è vero, ma sfruttare una donna è di più: è distruggere l’armonia che Dio ha voluto dare al mondo». È veramente «distruggere, non è solo un reato, un crimine: è una distruzione, è tornare indietro, è distruggere l’armonia”». «Questo è il grande dono di Dio: ci ha dato la donna» ha affermato il Pontefice. E nel passo del Vangelo di Marco, proposto oggi dalla liturgia, «abbiamo sentito di che cosa è capace una donna» ha fatto notare Francesco, riferendosi alla donna la cui figlia era posseduta da uno spirito impuro. Una donna «coraggiosa» che «è andata avanti con coraggio, ma è di più, è di più: la donna è l’armonia, è la poesia, è la bellezza». Al punto che «senza di lei il mondo non sarebbe così bello, non sarebbe armonico». Un momento della visita di Papa Francesco a Birkenau (29 luglio 2016) Il Papa condanna l’antisemitismo e ribadisce l’importanza dell’amicizia tra cattolici ed ebrei Insieme contro l’odio «Di fronte alla troppa violenza che dilaga nel mondo, siamo chiamati a un di più di nonviolenza» puntando invece su informazione e formazione nella lotta all’antisemitismo: è l’appello lanciato da Papa Francesco durante l’udienza a una delegazione dell’Anti Defamation League, svoltasi giovedì mattina, 9 febbraio, nella Sala dei Papi. Cari amici, vi do un caloroso benvenuto e vi ringrazio per le cortesi parole che mi avete rivolto. Già i miei predecessori san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno ricevuto delegazioni della vostra organizzazione, che intrattiene rapporti con la Santa Sede dal tempo del Concilio Vaticano II. Sono grato che questi contatti siano andati intensificandosi: come avete ben sottolineato, il nostro incontrarci è un’ulteriore testimonianza, oltre che dell’impegno comune, della forza benefica della riconciliazione, che risana e trasforma le relazioni. Per questo rendiamo grazie a Dio, che certamente si rallegra vedendo l’amicizia sincera e i sentimenti fraterni che oggi animano Ebrei e Cattolici; così con il Salmista possiamo anche noi ripetere: «Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! […] Perché là il Signore manda la benedizione, la vita per sempre» (Sal 133, 1.3). Se la cultura dell’incontro e della riconciliazione genera vita e produce speranza, la non-cultura dell’odio semina morte e miete disperazione. Lo scorso anno mi sono recato al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Non ci sono parole e pensieri adeguati di fronte a simili orrori della crudeltà e del peccato; c’è la preghiera, perché Dio abbia pietà e perché tali tragedie non si ripetano. Per questo continuiamo ad aiutarci gli uni gli altri, come auspicava il Santo Padre Giovanni Paolo II, ad «abilitare la memoria a svolgere il suo necessario ruolo nel processo di costruzione di un futuro nel quale l’indicibile iniquità della Shoah non sia mai più possibile» (Lettera introduttiva al documento Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah, 12 marzo 1998): un futuro di autentico rispetto per la vita e per la dignità di ogni popolo e di ogni essere umano. Purtroppo, l’atteggiamento antisemitico, che nuovamente deploro, in ogni sua forma, come contrario in tutto ai principi cristiani e ad ogni visione che sia degna dell’uomo, è tutt’oggi ancora diffuso. Ribadisco che «la Chiesa cattolica si sente particolarmente in dovere di fare quanto è in suo potere, insieme ai nostri amici ebrei, per respingere le tendenze antisemite» (Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, Incontro con la commissione per i rapporti religiosi con i musulmani Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili, 47). Oggi più che in passato, la lotta all’antisemitismo può fruire di strumenti efficaci, come l’informazione e la formazione. A questo riguardo, vi ringrazio per la vostra opera e perché accompagnate al contrasto della diffamazione l’impegno ad educare, a promuovere il rispetto di tutti e a proteggere i più deboli. Custodire il sacro tesoro di ogni vita umana, dal concepimento sino alla fine, tutelandone la dignità, è la via migliore per prevenire ogni forma violenta. Di fronte alla troppa violenza che dilaga nel mondo, siamo chiamati a un di più di nonviolenza, che non significa passività, ma promozione attiva del bene. Infatti, se è necessario estirpare l’erba del male, è ancora più urgente seminare il bene: coltivare la giustizia, accrescere la concordia, sostenere l’integrazione, senza mai stancarsi; solo così si potranno raccogliere frutti di pace. A questo vi incoraggio, nella convinzione che mettere a disposizione i mezzi per una vita degna, promuovere la cultura e favorire dovunque la libertà di culto, anche proteggendo i credenti e le religioni da ogni manifestazione di violenza e strumentalizzazione, sono i migliori antidoti contro l’insorgere dell’odio. Vi sono grato anche per il dialogo che, a vari livelli, alimentate con la Chiesa Cattolica. Sul comune impegno e sul nostro cammino di amicizia e di fiducia fraterna invoco la benedizione dell’Onnipotente: nella sua bontà ci accompagni e ci aiuti a portare frutti di bene. Shalom alechem! Nomina episcopale in Germania La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Germania. Horst Eberlein ausiliare di Hamburg Prima delle udienze di giovedì mattina, 9 febbraio, il Pontefice ha salutato i consultori della Commissione per i rapporti religiosi con i musulmani, istituita nel 1974 come organismo distinto ma collegato al Segretariato per i non cristiani, oggi Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. Nato il 25 ottobre 1950 a Walsleben/Altmark, oggi appartenente all’arcidiocesi di Berlin, ha compiuto gli studi filosofici e teologici a Erfurt. È stato ordinato sacerdote il 16 aprile 1977 a Waren/Müritz, nell’odierna arcidiocesi di Hamburg, incardinandosi nella diocesi di Osnabrück, alla quale allora apparteneva il relativo territorio. Ha svolto successivamente il ministero di viceparroco a Wittenburg e Neubrandenburg, prima di diventare parroco di Sankt Norbert a Friedland nel 1985. Nel 1990 è stato trasferito alla parrocchia di Sankt Elisabeth ad Hagenow e poi nel 1996 alla Christusgemeinde di Rostock. Dal 2009 era prevosto di Sankt Anna a Schwerin. E nel 2015 è stato nominato anche canonico non-residente del capitolo metropolitano di Hamburg.