Costretti dall`amore di Cristo

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Costretti dall`amore di Cristo
Riforma • numero 46 • 2 dicembre 2016 • pagina 8 • Convegno di Trento
Costretti dall’amore di Cristo
La Parola rappresenta la base per il dialogo che si proietta nel domani
L
e circa 400 persone
convenute da tutta Italia
per il Convegno su
«Cattolici e protestanti a 500
anni dalla Riforma. Uno sguardo
comune sull’oggi e sul domani»
(16-18 novembre) hanno goduto
di un clima genuinamente
ecumenico fatto di incontri,
sguardi, parole, abbracci,
comunione di tavola, preghiera,
gesti, musica. L’incontro era
stato organizzato dall’Ufficio
nazionale per l’ecumenismo e il
dialogo interreligioso (Unedi)
della Cei in collaborazione con
la Federazione delle chiese
evangeliche in Italia (Fcei).
Organizzatore e anima
dell’evento, don Cristiano
Bettega. Cruciale la
collaborazione delle comunità
cattolica e luterana della città
per un’ospitalità davvero
calorosa.
I partecipanti erano laici e
pastori, uomini e donne,
studenti in teologia, molti i
delegati diocesani per
l’ecumenismo, presente un
nutrito gruppo di vescovi e
rappresentanti delle varie
denominazioni protestanti. Del
mosaico di voci che hanno
caratterizzato la ricchezza di
contenuti dell’incontro di Trento
ne abbiamo scelte alcune. Sono
stralci di interventi pubblici di
relatori o partecipanti presenti
all’incontro. Si tratta di semplici
«assaggi». Per chi vuole
approfondire i temi accennati,
una parte delle relazioni è già
disponibile sul sito dell’Ufficio
Unedi della Cei, che
ringraziamo per aver
acconsentito alla pubblicazione
degli estratti:
http://www.chiesacattolica.it/pl
s/cci_new_v3/V3_S2EW_CONS
ULTAZIONE.mostra_pagina?id_
pagina=82866&rifi=guest&rifp
=guest (a. m.)
Il testo di riferimento per lo studio biblico di apertura è stato II Corinzi 5, 14-23:
«I
nfatti l’amore di Cristo ci costringe, perché siamo giunti a
questa conclusione: che uno solo morì per tutti, quindi
tutti morirono; e ch’egli morì per tutti, affinché quelli che
vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è
morto e risuscitato per loro. Quindi, da ora in poi, noi non
conosciamo più nessuno da un punto di vista umano; e se anche abbiamo conosciuto Cristo da un punto di vista umano, ora però non lo conosciamo più così. Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le
cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove. E tutto questo viene
da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ci ha affidato il
ministero della riconciliazione. Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare
con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in
noi la parola della riconciliazione. Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel
nome di Cristo: siate riconciliati con Dio. Colui che non ha conosciuto
peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui».
Anna Maffei*
«L
’amore di Cristo ci costringe, ci possiede», scrisse Paolo ai suoi
fratelli e alle sue sorelle della chiesa di Corinto.
Sarebbe bello che ciascuno e ciascuna di noi, che ognuna delle nostre
chiese e le nostre chiese insieme potessero fare questa stessa dichiarazione. Poter affermare con Paolo che l’amore di Cristo ci muove, ci motiva,
ci fa esistere e andare avanti, ci costringe a servire, ad accompagnare, ad
accogliere senza riserve. (…) Ma sappiamo che non sempre è così, né per
noi né per le nostre chiese. A volte non l’amore di Cristo ci possiede, ma
sono altre le forze a dominare le nostre esistenze e le nostre istituzioni. A
volte per esempio è la paura, altre volte l’attaccamento alle nostre tradizioni o il desiderio di non perdere le nostre posizioni di prestigio.
Non c’è riforma, non c’è rinnovamento vero, e, potremo dire oggi, non
c’è neppure adeguata celebrazione di 500 anni di storia di fede, senza
una nuova conversione, un ritornare a Dio. Ma questa volta possiamo
farlo tutti insieme, a mani vuote. Abbiamo percorso molte strade, a volte siamo stanchi, anche stanchi di noi stessi e delle nostre chiese, e delusi. In quei momenti, se siamo veramente onesti, sappiamo nel profondo
del nostro cuore che siamo mendicanti, mendicanti bisognosi di perdono e non desideriamo altro che qualcuno ci accolga e ci faccia riposare.
Abbiamo bisogno di Vangelo. Abbiamo bisogno di sentirci dire di nuovo
che Cristo ci ama appassionatamente così come siamo. E ci basterà.
Ci sono altri momenti in cui quest’amore di Cristo risplende luminoso anche in noi, riscalda i nostri cuori e traspare dai nostri occhi. Dono
puro di grazia. Era quello che forse intendeva Paolo quando diceva di
non conoscere più nessuno in modo umano, paradossalmente neppure
Cristo. La visione del mondo nuovo che è anticipata nella luce della risurrezione squarcia il cielo e ci raggiunge. In quei momenti tutto torna,
l’amore di Cristo prende di nuovo possesso di noi e noi ci lasciamo condurre per mano, sorridendo. Beati siete voi…
* pastora battista
Marinella Perroni*
V
orrei prendere a prestito le parole di Paolo che mi sono state affidate perché, in questo inizio di cammino comune, esercitassi in mezzo a voi la diaconia della parola, per fare come lui, cioè persuadervi ed
esortarvi. Persuadervi ed esortarvi a credere con tutte le vostre forze,
come l’apostolo ci ha insegnato, che «se uno è in Cristo, è una nuova
creatura…» (5, 17). Vorrei esortarvi a crederlo riguardo a ciascuno di
voi, a ciascuno dei vostri fratelli e delle vostre sorelle di chiesa, ma anche a chiunque altro che, grazie al nostro ministero apostolico, riceverà il kerygma della riconciliazione.
Vorrei persuadervi ed esortarvi a crederlo però anche per ciascuna
delle nostre chiese. Oggi viviamo uno di quei momenti della storia in cui
le chiese, tutte, sperimentano, a volte addirittura con crudezza, di portare il tesoro del ministero della riconciliazione «in vasi di creta». In questi
momenti sono chiamate a purificare se stesse e a riconoscere che proprio
questa debolezza rende manifesto che la «straordinaria potenza» del kerygma della misericordia «appartiene a Dio, e non viene da noi» (4, 7).
Sono del tutto convinta però che, se è in Cristo, anche una chiesa, come ogni credente, è una nuova creatura. Che la memoria della Riforma,
ma anche quella di tante riforme silenziose, di riforme fallite, di riforme
ancora latenti, di riforme ancora germinali rappresenti allora per le nostre chiese un tempo favorevole. Non soltanto per ripensare, nella lode e
nella gratitudine come nella vergogna e nella contrizione, la nostra storia e le nostre storie, ma anche per guardare all’oggi e al domani di ciascuna di esse nella fiducia che Dio non addebita loro le loro cadute, ma
ha posto in loro la parola della riconciliazione.
Forse solo se le nostre chiese impareranno a incoraggiarsi l’un l’altra e
spingersi reciprocamente ad annunciare il kerygma della riconciliazione
a un mondo che, in Cristo, Dio vuole riconciliare con se stesso, finalmente capiremo e sentiremo che il peccato delle nostre divisioni ci è
stato perdonato. Forse, solo quando in ciascuna delle nostre chiese
l’esercizio del ministero apostolico contemplerà il riconoscimento e la
gratitudine per quanto Dio ha operato e opera in ogni chiesa, quando
essa è fedele al vangelo di Gesù, forse solo allora saremo pronti a prendere posto intorno alla stessa tavola sulla quale il rendimento di grazie è
promessa del Regno. Rendimento di grazie non per quanto noi facciamo, ma per quanto Dio compie in mezzo a noi. Perché anche per quel
che riguarda le nostre chiese potremo finalmente dire: «Le cose vecchie
sono passate; ecco, ne sono nate di nuove» (II Corinzi 5, 17b).
* professore straordinario di Nuovo Testamento
al Pontificio Ateneo S. Anselmo – Roma
Per un confronto «spregiudicato»
La questione della Tradizione
Fulvio Ferrario*
Bruno Forte*
I
l cammino fin qui compiuto e la reciproca fiducia che si è instaurata o si sta
instaurando tra le nostre chiese possono consentire una valutazione ecumenica
dei nostri dissensi? Probabilmente, un
confronto spregiudicato su questi temi richiederebbe un provvisorio passo indietro, un ritorno, cioè, a quella che costituisce sempre la fase iniziale del dialogo ecumenico. È necessario, cioè, che ci esponiamo reciprocamente, in modo organico, le
rispettive posizioni. Tale lavoro descrittivo
non è superfluo. È vero, infatti, che molto,
forse quasi tutto, ci è già noto, ma è anche
vero che quello che sappiamo dell’altro è
stato appreso nel quadro di una comunicazione parziale e non orientata ecumenicamente. Il solo fatto di disporre il materiale in vista di un dialogo del genere aiuta
a mettere ordine nelle proprie idee e a vedere meglio i problemi aperti anche dal
proprio punto di vista.
Si tratta di un compito estremamente impegnativo, già dal punto di vista psicologico.
Poiché siamo abbastanza spaventati dall’entità del dissenso, e del tutto impreparati a
un ascolto, se non simpatetico, almeno minimalmente aperto del punto di vista dell’altra chiesa, abbiamo preferito rimuovere
questi temi. Sappiamo che ci sono, ma preferiamo non parlarne.
La fase di reciproca conoscenza dovrebbe
sfociare in una ricognizione propriamente
teologica dei problemi. Francesco ha parlato di differenze di carattere «antropologico». È effettivamente così? Il dissenso verte
cioè sul modo di intendere l’essere umano
in quanto creatura di Dio? Se la risposta
fosse affermativa: in che consiste, esattamente, tale dissenso e quali ne sono le conseguenze? E in caso contrario: è possibile riformulare il disaccordo in termini ecumenicamente compatibili (significa: tali da non
compromettere l’obiettivo di una testimonianza comune nella società)?
* decano della Facoltà valdese di Teologia
L’
appello a camminare insieme verso
l’unità che Cristo vorrà non può naturalmente trascurare il fatto che la
comunione ecclesiale non è solo quella
sincronica delle persone e delle Chiese
unite dalla fede nel Crocefisso Risorto,
ma deve essere anche quella diacronica
che unisce nel tempo i battezzati e le comunità generate dalla Parola e dai sacramenti. È in questa prospettiva che si pone
la questione teologica della Tradizione: se
cattolici ed evangelici sono uniti nell’affermare il valore della tradizione apostoli-
Marinella Perroni e Anna Maffei (foto Laura Caffagnini)
ca della fede, per cui intendono credere e
confessare la stessa fede degli Apostoli
trasmessa nel tempo, diverso è il modo di
intendere il ruolo del ministero apostolico
al servizio di questa trasmissione fedele.
Mentre per i cattolici la successione apostolica del ministero, e dunque la successione ininterrotta dei vescovi attraverso la
catena sacramentale dell’imposizione delle mani e della preghiera consacratoria da
parte di altri vescovi, è segno e garanzia di
questa fedeltà nel trasmettere la fede degli
Apostoli, per la concezione evangelica è la
Parola stessa di Dio che garantisce la continuità con gli Apostoli, che per primi
l’hanno annunciata, e fonda la comunione
dei credenti.
Il conflitto possibile delle interpretazioni pone certamente anche alla fede evangelica il problema del discernimento fedele della Verità salvifica e ha sollecitato
quanti sono impegnati nella riflessione
ecumenica a trovare possibili vie di consenso. (…)
La questione resta aperta ed è un nodo
rilevante da affrontare. L’ecclesiologia –
da campo di scontro e di polemica – si
profila sempre più come un campo fecondo, impegnativo e promettente di dialogo
e di ricerca comune, per aprirci insieme,
cattolici ed evangelici, all’azione di Dio e
alle Sue sorprese.
* arcivescovo di Chieti-Vasto
Riforma • numero 46 • 2 dicembre 2016 • pagina 9 • Convegno di Trento
Guido Dotti*
M
i domando e vi domando: fino a
quando cristiani di diverse confessioni che vivono le perseveranze della comunità degli Atti, che hanno ogni cosa tra loro comune, dovranno misurare la
permanente lacerazione dell’unico Corpo
di Cristo proprio nel momento eucaristico,
quando celebrano l’unica ragione del loro
stare insieme?
Senza la morte e la resurrezione di Cristo anche noi che oggi ci troviamo qui non
avremmo motivo di essere insieme nel suo
Nome. Eppure, se decidessimo qui e ora di
celebrare liturgicamente il mistero della
nostra comune salvezza, ci dovremmo dividere, dovremmo contraddire, con il negarci gli uni gli altri la comunione eucaristica, quello che professiamo con le labbra
e con il cuore: «Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale
siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un
solo battesimo» (Ef 4, 4-5).
Questo scandalo si fa ogni giorno più insopportabile e l’aver riconciliato alcune
nostre diversità è solo un po’ di balsamo su
una ferita che rimane ancora aperta. Solo
un balsamo e tuttavia un balsamo! Ma si fa
sempre più urgente – anche alla luce della
testimonianza fino al martirio offerta dai
nostri fratelli e dalle nostre sorelle perseguitate e uccise solo per il loro essere cristiani, al di là di ogni confessione o denominazione – si fa sempre più urgente la
consapevolezza che non solo ciò che ci
unisce – confessioni di fede, interpretazione della Scrittura, carità operosa nella storia umana… – ma ancor più Colui che ci
unisce, il Cristo, è più grande di colui che
ci divide, il Diabolos, il Divisore.
Chi dei due vogliamo che regni su di noi e
guidi il nostro cammino verso la piena unità
visibile?
* monaco di Bose
Raffaele Volpe*
L’
ecumenismo è qualcosa che si fa, e quando
si fa si scopre la relatività dell’ecumenismo, cioè
ogni confessione religiosa ha
bisogno della relazione con
l’altra confessione per conoscersi veramente, e conoscendosi in relazione all’altra
scopre anche la sua relatività, cioè il suo essere vera nel
suo campo d’azione. Quindi
l’ecumenismo come si è fatto a Trento ha evidenziato la
necessità per ciascun credente della fedeltà verso la
propria confessione e del più
che necessario ascolto attivo
dell’altro. Poi quell’in più che
verrà sarà soltanto dono dello Spirito.
* pastore battista
foto Laura Caffagnini
Ambrogio Spreafico*
Markus Friedrich*
avanti alle grandi domande del mondo di oggi, alla globalizzazione
che genera paure e quasi costringe a chiudersi nel proprio universo di verità e porta a considerare il diverso un ostacolo alla propria
realizzazione quando non un nemico, davanti ai muri che si innalzano
contro l’altro da me o da noi, rimane aperto per ebraismo e cristianesimo l’invito fatto da A. J. Heschel in un saggio del 1966 dal titolo Nessuna
religione è un’isola: «Un cristiano dovrebbe comprendere che un mondo
senza Israele sarebbe un mondo senza il Dio di Israele. Un ebreo, d’altro
canto, dovrebbe riconoscere il ruolo eminente e la parte rivestita dal cristianesimo nel disegno divino di redenzione di tutti gli uomini» («Grandezza morale e audacia di spirito», p. 375). Questo vale oggi più di allora, vale per ebrei e cristiani e anche per le differenti Chiese cristiane.
* presidente della Commissione episcopale per
l’ecumenismo e il dialogo – Cei
randioso progetto formativo, la Riforma è stata
una scuola del nuovo inizio. In un modo inedito e pregnante è stata fatta tornare alla ribalta,
in ambito sia evangelico, sia cattolico, la massima
«Comprendi anche ciò che leggi».
Ora come allora, le persone devono iniziare a leggere di persona la Bibbia e a parlare della loro fede!
Noi pastori della chiesa abbiamo, ora come allora, la
grande responsabilità di incoraggiare le persone a
leggere e soprattutto a comprendere in prima persona. Abbiamo il compito, da non sottovalutare, di
trasmettere alle persone che cosa voglia dire la Grazia di Dio!
* pastore della Chiesa luterana in Italia
D
G
Una serata di
ascolto musicale
ecumenico
A
Trento si è svolta anche una serata musicale,
introdotta dal card. Walter Kasper e dal m° Nicola Sfredda, docente al Conservatorio di
Mantova e autore di un libro edito dalla Claudiana
sulla «musica nelle chiese della Riforma», nel corso
della quale i presenti hanno potuto cogliere il passaggio dalla musica della liturgia monodica al corale
luterano e al suo impiego successivo.
«Trento ha una grande tradizione musicale,
con un importante istituto di musica sacra – ci
ha detto nei giorni successivi fra un’ora di lezione e l’altra –; la serata ha previsto un concerto
con partecipazione di due cori e organo, che si è
svolto a S.ta Maria Maggiore, la sede principale
del Concilio, dove tuttora è presente una lapide
contra haereticos, che è così diventata luogo di
dialogo e ascolto reciproco. Si sono messi in evidenza i legami tra la musica della chiesa medievale e quello che poi è stato il repertorio della
Riforma, in particolare per quello che fece Lutero nello studio della liturgia e della musica all’interno della liturgia, per cui egli riprese molti
canti antichi traducendoli in tedesco e anche
utilizzando le stesse melodie che erano già note,
realizzando il coinvolgimento di tutta l’assemblea nel canto liturgico. Un esempio è l’inno che
si deve a S. Ambrogio per Avvento e Natale Veni
redemptor gentium, che nella versione di Lutero
diventa Nun komm, der Heiden Heiland. Uno dei
due cori (il “Feininger” diretto dal m° Roberto
Gianotti) eseguiva la modalità medievale monodica, e l’altro (il coro “In dulci jubilo” diretto dal
m° Tarcisio Battisti) ne eseguiva la versione polifonica, a volto dopo l’introduzione per organo (i
preludi a corale, di cui i più celebri sono quelli di
Bach, con il m° Stefano Rattini). Abbiamo poi
ascoltato musiche del Salterio ginevrino, e un
antico Salmo della Chiesa di Ginevra che viene
eseguito anche nelle chiese cattoliche in italiano;
e ancora: inni del Risveglio, i negro spiritual, i
canti in cui gli schiavi ritrovavano il messaggio
biblico della liberazione. L’ultimissimo canto, tedesco ma che si canta anche in Italia, è stato fatto cantare da tutta l’assemblea». La bellezza delle esecuzioni e il coinvolgimento che ne deriva
resteranno a lungo nella mente dei partecipanti,
insieme a tutti i contenuti del Convegno. (a. c.)
Fedeltà confessionale e appartenenza
Il dibattito su nuovo pluralismo e post-secolarizzazione
Mirella Manocchio
«È
urgente, quindi, una comprensione
sempre più criticamente oggettiva
della Riforma. È tempo di conoscerla a fondo, insomma, e di non delegare
questa conoscenza soltanto agli addetti ai
lavori: superare il luogo comune che fa della
Riforma semplicemente un evento sciagurato (…) è un affare che riguarda tutti i credenti (…)».
Queste poche parole, tratte dall’editoriale di don Cristiano Bettega nel Giornale di Teologia «Riforma 1517-2017»
(Queriniana, 2016), possono essere illustrative di un cambio di passo in una
parte del mondo cattolico e spiegare lo
spirito con cui l’Ufficio nazionale per
l’ecumenismo e il dialogo interreligioso
della Conferenza episcopale italiana, in
collaborazione con la Federazione delle
Chiese evangeliche in Italia, ha promosso
questa tre giorni ecumenica.
Il convegno di Trento ha anche permesso alla parte protestante di raccontarsi e di riflettere su alcuni aspetti della
sua autocomprensione proprio a partire
da come è stata vista la Riforma nel
mondo cattolico. Certamente un’opportunità importante per rappresentare la
molteplicità dialogante del protestantesimo. Forse, in tal senso, presentare anche
il metodismo, unica denominazione del
Risveglio che ha aderito alla Concordia
di Leuenberg, e il Patto d’integrazione
con i valdesi, sarebbe stata occasione per
evidenziare il legame di continuità tra
Riforma e Risveglio (la Riforma inizia nel
1517!) e dar conto di una solida esperienza di ecumenismo interno all’evangelismo dinanzi a un mondo cattolico in
molti casi propenso a puntare l’indice
sulle nostre divisioni. Ma pur con i limiti
di essere un primo esperimento, questo
convegno apre alla possibilità di future e
più intense collaborazioni nel creare spazi per la comune riflessione sui temi della fede nell’attuale ambito sociale.
E proprio al fenomeno religioso e all’ecumenismo nella società odierna attraversata dalla
post-secolarizzazione è stata dedicata una
sezione del convegno, «Ecumenismo tra
nuovo pluralismo e post-secolarizzazione»
– con relatori lo storico cattolico Alberto
Melloni e il sociologo valdese Paolo Naso.
Melloni ha richiamato la platea alla necessità di un accurato lavoro storico e teologico che prenda sul serio le questioni solle-
vate da Lutero, depurandole da una lettura a
volte caricaturale delle motivazioni che le
hanno fatte emergere, perché proprio a partire dalle istanze di riforma sempre vive nel-
foto Laura Caffagnini)
le molteplici espressioni della chiesa di Cristo poi è possibile costruire un ecumenismo
che non sia a poco prezzo, ma sia un ecumenismo che si interroghi fortemente sulla
testimonianza della Parola nell’oggi.
E appunto a delineare l’oggi del fenomeno religioso che si aggancia l’analisi, puntuale e ricca
di stimoli, di Paolo Naso che, dopo aver illustrato l’espandersi del pluralismo religioso
in Italia negli ultimi decenni, ci ha resi attenti al fatto che nel nostro paese il grado di
fedeltà confessionale sia più alto che nel resto d’Europa, dato singolare per il fenomeno
della post-secolarizzazione.
Ma questa fedeltà, particolarmente per il
mondo cattolico, non è sempre accompagnata da una reale aderenza al credo – pensiamo ai cosiddetti atei devoti - per cui in
Italia si potrebbe usare la definizione opposta a quella corrente del «credere senza appartenere»: da noi si dovrebbe dire «appartenere senza credere».
Un’analisi del nostro reale, questa, cui siamo tutti chiamati a interrogarci se vogliamo
che il messaggio evangelico di libertà e salvezza non si perda, ma venga concretamente incarnato da donne e uomini che se ne
fanno convinti portatori.