Giordania, la terra dei rifugiati: Mosul un incubo, qui nuova vita
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Giordania, la terra dei rifugiati: Mosul un incubo, qui nuova vita
8 LA SFIDA DELL’ACCOGLIENZA PRIMO PIANO L’ora del dialogo Venerdì 28 Ottobre 2016 Cristiani e musulmani riflettono sul libro-intervista del Papa Le opere e i progetti per dare forza alla convivenza tra cattolici e musulmani. E a un nuovo impegno per la pace. Il lavoro della Cei e della Caritas locale per questa umanità sofferente. Ad Amman in un centro medico e in una università cattolica Il libro-intervista con papa Francesco, "Il nome di Dio è misericordia" è stato tradotto in arabo ed è diventato qui ad Amman un’occasione di incontro che ha unito i rappresentanti di tutte le chiese e confessioni cristiane ai musulmani. Alla presentazione, di fronte a 400 persone, sono intervenuti il patriarca emerito di Gerusalemme Fouad Twal, il ministro della Cultura giordano Nabech Shoqun e la teologa islamica Nida Zakzouq e l’autore dell’intervista al Papa, Andrea Tornielli. Tutti hanno sottolineato l’importanza della misericordia nelle rispettive fedi. Era presente in sala anche lo sceicco Mostafa Abu Romman, che si è detto toccato dalla testimonianza del Papa. Tornielli ha lodato l’impegno della Giordania per i rifugiati. «Ciò che in Europa chiamiamo "ermergenza" non è paragonabile in alcun modo a quello che fa la Giordania nell’accoglienza dei rifugiati: oltre un milione di siriani in fuga dalla guerra. Questo è un reale e concreto esempio di misericordia» Due rifugiati iracheni oggi ad Amman Giordania, la terra dei rifugiati: Mosul un incubo, qui nuova vita «Il Papa ha capito il nostro dolore più dei leader arabi» Suor Rudaina: amore anche per gli uomini del Daesh ARTURO CELLETTI INVIATO AD AMMAN Le testimonianze er anni abbiamo detestato la Omar Gammoh, per tre anni dittatura di Saddam. Abbiamo in Italia, insegna all’università sperato che venisse rimosso... Non abbiamo pianto quando è stato giucattolica di Amman: «Qui i stiziato; no, nemmeno una lacrima. Orifugiati non vengono lasciati ra però la "Città caserma" è diventato una città fantasma, ora il Daesh ha tolto soli. Qui hanno cibo, assistenza, tutto alla mia Mosul: i colori, i rumori, una casa. Facciamo quasi da le risate, i sogni». Sandy Hikmat Hana ha 36 anni. È scappato dalla città irasoli il lavoro di tutto il mondo, chena quel terribile 6 agosto 2014. Ha ma il mondo non può più pensato subito alla Giordania. Ha creduto subito in un’altra vita. E ha trovato voltarsi dall’altra parte» un Paese capace di coniugare parole come accoglienza e integrazione. E una chiesa cattolica tenace e generosa. «Oggi ho un lavoro, una dignità. È un miraparliamo di rifugiati, non di religioni. colo», ripete a voce bassa. Siamo alla peCattolici e islamici. Senza distinzioni. riferia di Amman. Un grosso edificio in Qui i musulmani vedono che quello che cortina nato anche grazie agli sforzi eè scritto nella Bibbia è vita». Per qualche conomici della Conferenza episcopale iistante Imad resta in silenzio. «Questo taliana è diventato una cittadella della centro ha più forza di mille conferenze. solidarietà. Qui rifugiati iracheni e siriaQuesta è conferenza viva, è vita vera. Qui ni possono lavorare. Qui cristiani e mucuriamo tutti senza chiedere nulla. Ecsulmani vengono curati senza fare doco il dialogo. Ecco la risposta a chi non mande. Con lo stesso amore. Qui l’incucrede che cattolici e musulmani possobo Daesh riprende forma solo nelle teno camminare insieme». Qualche melefonate via viber e via whatsapp dei ritro più in là una suora piccola dal sorrifugiati a chi è rimasto laggiù. «A Mosul so sereno ascolta in silenzio. Si chiama nulla è più come era. Le donne non scenMerdiana. È nata in Siria. Ha scelto la fadono più in strada e quando lo fanno somiglia dei salesiani e ha lavorato per treno completamente coperte. Gli uomini dici anni all’ospedale italiano di Damasi sono fatti crescere la barba...». Sfidiasco. «Ho curato gente che soffriva senza mo Sandy con una domanda dura, netcolpa e ho pensato subito a Gesù. Ma ho ta, diretta: riuscirai mai a perdonare? Lui incontrato anche gli uomini del Daesh. ci guarda silenzioso per qualche istante. Arrivavano da Raqqa, la cittadina al nord Sembra non capire. Ripete quella parodella Siria, roccaforte dello Stato islamila: «Perdonare? No, non c’è perdono. Moco. Erano feriti e rabbiosi, non ci guarsul per noi è morta: è stato un incubo, davano nemmeno in faccia. Poi è ininon torneremo mai più». La vecchia vita e la nuova vita. Nassam Rafuga è giovane come Sandy. Come Sandy viene da Mosul. «Il mio futuro? Sogno di vedere crescere i miei figli in Europa, magari in Australia. Ma forse è solo un sogno. C’è tanto egoismo, tanta indifferenza. Qui ci siamo tutti registrati al centro rifugiati e tutte le nostre domande Monsignor Twal e Costalli tra rifugiati e ragazzi della Caritas sono state puntualmente respinte. Le porte dell’Europa soDALL’INVIATO AD AMMAN no chiuse». Il parallelo tra Europa e Giordania è impietoso per la nostra Unione. Qui non ci sono pagine buie come Caialogo, dialogo, dialogo». lais e Gorino. E poi c’è una chiesa cattoCarlo Costalli ripete quelica che è un punto di riferimento per sta parola tre volte. L’ultutti i rifugiati. «La Caritas ci ha trovato tima volta sillabandola: dia-lo-go. La un lavoro, una casa, paga le scuole per i ripete guardando negli occhi un nostri figli. Per i nostri figli musulmani. gruppo di studenti giordani. «Tocca La carezza della Chiesa è stata inattesa a voi dimostrare a quest’area del e bellissima. Papa Francesco e prima di mondo che è possibile mettere da lui Benedetto e Giovanni Paolo hanno parte l’odio e costruire un futuro di capito la nostra sofferenza più dei nopace. Tocca a voi, cattolici e musulstri presidenti arabi». mani, aprire una fase nuova. Di riNella cittadella della solidarietà arrivaspetto. Di convivenza. Di costruziono in tanti. Uomini che hanno bisogno ne». Monsignor Fouad Twal, patriardi una protesi, donne che hanno bisogno ca emerito di Gerusalemme dei latidi assistenza psicologica, ragazzi che ni, annuisce. «È così. Il mondo ha il cercano un lavoro. Padre Imad, direttodovere di scommettere sui giovani e re del centro prima di spostarsi al pasul dialogo. Solo così si volta pagitriarcato di Gerusalemme, spiega il mina». Siamo nell’università cattolica racolo con parole semplici: «È la vita a di Amman, un esempio di integraguidare i nostri gesti, le nostre scelte. Qui zione. Qui studiano e crescono stu- «P «D Suor Merdiana (foto a ziata la terapia. Non parlo delle cure medestra) per tredici diche, parlo della cura dell’amore. Funanni all’ospedale ziona sempre. Io pensavo "che cosa avrei italiano di Damasco: fatto se fossi cresciuta in un contesto coanche chi ha fatto del me il loro, se avessi fatto le loro espemale deve provare rienze, se avessi incontrato le persone l’amore di Gesù che hanno incontrato loro...». Merdiana parla guardandoci negli occhi. A tratti ci sorride. «Ho il dovere di mostrare anche a loro il volto di Gesù. Sì, ho curato anche gente cattiva, anche uomini che hanno fatto del male, e l’ho fatto con lo stesso amore con cui curo un fratello cristiano. Anzi forse con più amore. Perché per rialzarsi devono provare la grandezza della misericordia. Devono provare la forza dell’amore». Questa piccola suora siriana racconta la sua DALL’INVIATO AD AMMAN vita. Il contatto con la guerra. Con la sofferenza. Con la violenza. nche la piccoCon le ingiustizie del la Giordania mondo. E dice: «Tutto può insegnare questo è un motivo per qualcosa alla grande pregare di più». Europa. Qui sono arLa preghiera e il dialorivati un milione e go sono due strade per 400 mila profughi si"regalare" a quest’area riani e iracheni. Qui i del mondo una sperancristiani aprono le za. Ci spostiamo dalla porte ai rifugiati. Li cittadella della solida- Monsignor Fabiano Longoni accolgono nelle loro rietà all’università catcase. Li accompagnatolica voluta da monsignor Twal. Attrano in un cammino di recupero della dignità atversiamo Amman. Guardiamo i suoi traverso uno strumento fondamentale: il lagrattacieli. Nel campus studiano cattovoro. Monsignor Fabiano Longoni, direttore lici e musulmani. Il Rettore spiega che adell’ufficio per i problemi sociali e del lavoro prire una fase nuova è possibile è che la della Conferenza Episcopale, sintetizza il mescultura può giocare un ruolo importansaggio con parole forti: «È una straordinaria lete. «La bandiera che sventola qui è quelzione di accoglienza, ma soprattutto un granla della pace, della convivenza, della culde tentativo di integrazione». Il messaggio che tura. Un Paese dove c’è cultura ha più segue è inevitabilmente diretto all’Europa. È capacità di far convivere le diversità, anquasi un invito a mettere da parte piccoli ezi di crescere grazie a loro. E ha più angoismi e ad affrontare il nodo immigrazioneticorpi per resistere alla spinta del terrifugiati con uno sguardo nuovo: «Accogliere rorismo, dell’odio». Omar Gammoh inè il primo passo di un cammino. Ma non è il segna qui dopo aver passato tre anni in solo. La vera sfida, quella davvero decisiva, è Italia. Era a Pavia. A specializzarsi in farripensare l’accoglienza partendo dal lavoro». macologia. Ora è tornato per fare la sua A che cosa pensa? parte. «C’è un mondo arabo che vuole ePenso che una persona che non lavora perde sempi, che va preso per mano. E la Giorla dignità. Penso che avere un lavoro da un dania ci sta provando. Qui i rifugiati non senso alla vita di ogni essere umano. E un rivengono lasciati soli. Qui hanno cibo, fugiato è un essere umano. Che soffre più deassistenza, una casa. Facciamo quasi da gli altri. Che ha bisogno più degli altri di gesti soli il lavoro di tutto il mondo, ma il forti e coraggiosi. Mi viene in mente un’immondo non può più voltarsi dall’altra magine per spiegare quello a cui penso: perparte». manenza non passiva. Perché la passività svuota le persone. Gli toglie entusiasmo. Per© RIPRODUZIO NE RISERVATA Parla monsignor Longoni (Cei) «Accogliere non può bastare Solo il lavoro restituisce dignità» A ché primi a soffrire di questa passività troppo spessa figlia della logica dei centri di accoglienza sono loro, i rifugiati. Le cronache sono terribilmente tristi e raccontano di un’Europa e di un’Italia che ancora una volta alzano muri C’è ancora tanto egoismo, ma ci sono anche elementi di novità da cogliere, da valorizzare. Perché c’è un elemento pragmatico decisivo: l’immigrazione è fatta da persone giovani che sono pronte a lavorare e a portare molto più valore aggiunto dal punto di vista economico di quanto non ricevano in termini di accoglienza. Poi c’è anche un progresso culturale: il lavoro come pro«Dalla Giordania umana, il una straordinaria mozione lavoro come strulezione all’Europa: mento di integrazioCredo che sia coqui c’è accoglienza ne. minciata una riflese integrazione» sione importante. Capace di aprire pagine nuove? Ripeto è la scommessa e la speranza. Anche della Chiesa italiana. A Cagliari a fine ottobre dell’anno prossimo andranno in scena le Settimane sociali. Il tema è emblematico: Il lavoro che vogliamo: libero, partecipativo, creativo e solidale. Ecco la sfida. Ecco la nuova frontiera su cui muoversi anche sul versante immigrazione. Non c’è solo il dovere di ospitare. C’è un dovere più grande: puntare sulle capacità e sulle fantasie dei nostri immigrati. Capire che sono una risorsa. Capirlo prima che sia tardi. (A.Cell.) L’intervista © RIPRODUZIONE RISERVATA Terra Santa, Balcani ed Etiopia: le sfide del Mcl denti di tutta l’area mediorientale. Tante sono ragazze. Qui cattolici e musulmani si rispettano. Da qui, da questo campus cresciuto anche grazie all’impegno della Conferenza episcopale italiana e del Movimento cristiano lavoratori, parte un messaggio al mondo e alla nostra Europa che Costalli scandisce sottovoce: «La Grande Unione rifletta sulla lezione dell’accoglienza della piccola Giordania e sulla forza del dialogo. Non è più il tempo degli egoismi e degli scontri; è tempo di integrazione e di pace». La visita al campus fa pensare. E da un senso agli sforzi del Mcl. Il movimento guidato da Costalli ha saputo coniugare l’impegno in Italia con un’offensiva estera focalizzata in tre aree: Terra Santa, Balcani e Eritrea. In questi posti di sofferenza c’è Mcl. Con i suoi progetti. Con le sue sfide. Con l’impegno corale dei suoi dirigenti. Con la ferma volontà a destinare quote del 5 per mille in opere e progetti. C’è Amman, c’è Adis Abeba. E c’è Sarajevo. Laggiù, sulle col- Carlo Costalli e l’asse in Giordania con il Patriarca Twal e in Bosnia con monsignor Topic. «Dialogo tra cristiani e musulmani per una nuova stagione di pace». Le opere con i fondi del 5 per mille line del monte Trebevic dove negli anni Novanta i cecchini sparavano sui concittadini bosniaci e croati, da sei anni c’è il Centro del Dialogo. E ancora una volta al fianco di Costalli c’è un sacerdote. Ad Amman monsignor Twal, a Sarajevo monsignor Franjo Topic, presidente di Napredak, l’organizzazione cattolica bosniaca da sempre impegnata sulle grandi questioni del dialogo e del lavoro. «In Giordania come in Bosnia, abbiamo dimostrato con i fatti che cattolici e musulmani possono camminare insieme», ripete Costalli che, sorridendo, "regala" una parentesi sportiva: «Napredak ha una squadra di calcio di serie B. L’allenatore è musulmano, tre giocatori sono cattolici. La convivenza gira e le vittorie arrivano». C’è un filo che lega i due sacerdoti al presidente Mcl. C’è una visione. C’è un impegno fatto di opere e di gesti. Il campus di Amman è un esempio di efficienza. Strutture sportive, sette corsi di laurea, un centro medico. Monsignor Twal racconta gli obiettivi raggiunti con orgoglio, Costalli già guarda avanti. Sempre ad Amman c’è una cittadella della solidarietà. Qui lavorano profughi iracheni. Qui si curano musulmani e cattolici. Ora serve un pozzo e un impianto fotovoltaico e il Movimento è pronto e per Pasqua arriveranno i nuovi fondi. «Perché il dialogo si costruisce con le opere. Con l’impegno, con la solidarietà». Una pausa leggera. Poi ancora un messaggio ai giovani: «Tocca a loro aprire la fase nuova. Io comincio a vederne i contorni e sono felice». (A.Cell.) © RIPRODUZIONE RISERVATA