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MASTER IN DIRITTO DELLE SOCIETÀ
ASPETTI INNOVATIVI DEL
FINANZIAMENTO DELLE SOCIETÀ
A CURA DEL NOTAIO CIRO DE VIVO
STUDIO NOTARILE ASSOCIATO DE VIVO – TACCHINI,
ASPETTI INNOVATIVI DEL FINANZIAMENTO DELLE SOCIETA’
1. Considerazioni generali. Limiti al finanziamento: il principio di equilibrio tra mezzi propri e
indebitamento; la delibera C.I.C.R. 19-7-2005 n. 1058 - 2. Forme diverse di finanziamento: i
versamenti diversi dal conferimento; il finanziamento soci. Appendice giurisprudenziale. 3. Utilizzabilità nelle operazioni sul capitale dei diversi tipi di versamento. - 4. Il finanziamento nelle
società di capitali e nelle start-up innovative: obbligazioni, titoli di debito e mini-bond. - 5.
Considerazioni di carattere fiscale.
1. Considerazioni generali: il principio di equilibrio tra mezzi propri e indebitamento; la delibera
C.I.C.R. 19-7-2005 n. 1058, artt. 3 e 4.
È noto come nel corso della vita di una società si possa presentare, più o meno spesso, l’esigenza di
reperire disponibilità finanziarie, e che sovente a tale esigenza si voglia sopperire con apporto di denaro
dei soci stessi, al fine sia di evitare un eccessivo indebitamento bancario, sia di mutare l’assetto della
compagine societaria con l’intervento di terze persone.
Orbene, il termine “finanziamento” può essere considerato, in una accezione lata, come sinonimo di ogni
forma di contributo che viene reso disponibile da un soggetto per lo svolgimento di una determinata
attività.
Ogni tipo di società, infatti, per raggiungere lo scopo cristallizzato nell’oggetto sociale, ricorre a varie
tipologie di apporti e somministrazioni, sia da parte di soci sia da parte di terzi, che permettono alla
società di acquisire mezzi di natura patrimoniale ovvero di natura finanziaria.
I mezzi di natura patrimoniale sono somministrati attraverso due forme di intervento idonee a procurare
nuove risorse produttive, nuova ricchezza “reale” per la società. Tali sono:
a) gli apporti di capitale, ovverosia versamenti di ricchezza che, tecnicamente, costituiscono i “conferimenti”
in senso proprio e vengono imputati a bilancio alla voce “capitale sociale”;
b) gli apporti di patrimonio, ovverosia versamenti di ricchezza che prendono il nome - forse equivoco, ove
non ben inteso - di “apporti di quasi-capitale” oppure “conferimenti di patrimonio” (ABBADESSA)
oppure ancora “conferimenti atipici” (MIOLA, CIVERRA), imputati ad apposita “riserva” di patrimonio
netto.
Un terzo tipo di intervento è costituito dal finanziamento in senso stretto, che opera secondo le “regole
del debito” e non secondo quelle del “conferimento”: in buona sostanza, tale tipologia di apporto è
destinata a soddisfare una esigenza di natura - non patrimoniale ma - finanziaria della società (un bisogno
di liquidità immediata). Esso genera per la società una posta di debito da restituzione di quanto “preso a
prestito”.
La società reperisce i mezzi finanziari ricorrendo ai soci ovvero, normalmente, ad erogatori istituzionali
(es. banche) ovvero ancora a terzi soggetti “risparmiatori” (con le cautele di cui si dirà) mediante
particolari operazioni idonee a dotare la stessa di capitale di credito.
Si badi: sebbene la distinzione tra conferimenti di capitale, conferimenti di patrimonio e finanziamento in
senso stretto tenda a sfumare nel caso in cui l’apporto sia costituito da versamenti di denaro, a livello
giuridico le posizioni assunte da colui che versa denaro alla società sono nettamente distinte: solo nel caso
di versamenti a titolo di finanziamento sorge un rapporto obbligatorio di debito-credito, riconducibile al
rapporto di prestito nell’alveo dei contratti di credito e, in special modo, al mutuo tale per cui sorge un
vero e proprio debito da restituzione a carico della società e in favore di colui che ha erogato tale somma
(socio o terzo).
Il legislatore, in materia di finanziamento delle società (nella sua accezione lata, sopra ricordata) e come
si evince dalla lettura combinata di alcuni articoli sparsi nel nostro codice (artt. 2412, 2467,
2497quinquies), si preoccupa di garantire un equilibrio tra mezzi propri (capitale di rischio) ed
indebitamento (capitale di credito) perché reputa che, nel corretto equilibrio tra fattori della produzione e
debito, stia la migliore garanzia di capacità produttiva e di adempimento, da parte della società, delle
obbligazioni sulla stessa gravanti, a tutto interesse di soci e terzi.
Altro limite da tenere presente allorquando si verta in materia di finanziamenti delle società è quello posto
dalla disciplina di cui all’art. 11 T.U.B. e relative delibere C.I.C.R. (quella emanata in data 3 marzo 1994
è stata sostituita dalla delibera del 19 luglio 2005 n. 1058).
•
Art. 11 co. 3 T.U.B. (d.lgs. 385/1993)
“Il CICR stabilisce limiti e criteri, anche con riguardo all’attività ed alla forma giuridica del soggetto
che acquisisce fondi, in base ai quali non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico quella
effettuata presso specifiche categorie individuate in ragione di rapporti societari o di lavoro”.
•
Delibera CICR 19-7-2005 n. 1058.
Art. 1. Raccolta del risparmio
1. E' raccolta del risparmio l'acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi
sia sotto altra forma.
2. I tempi e l'entita' del rimborso possono essere condizionati da clausole di postergazione o
dipendere da parametri oggettivi, compresi quelli rapportati all'andamento economico dell'impresa
o dell'affare in relazione ai quali i fondi sono stati acquisiti.
3. L'obbligo di rimborso, anche se escluso o non esplicitamente previsto, si considera sussistente
nei casi in cui esso sia desumibile dalle caratteristiche dei flussi finanziari connessi con l'operazione.
4. Non costituisce rimborso la partecipazione a una quota degli utili netti o del patrimonio netto
risultante dalla liquidazione dei beni dell'impresa o relativi all'affare in relazione ai quali i fondi sono
stati acquisiti.
Art. 2. Raccolta del risparmio tra il pubblico
1. La raccolta del risparmio tra il pubblico è vietata ai soggetti diversi dalle banche, fatto salvo quanto
previsto dall'art. 11 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia e, con riguardo
all'emissione di strumenti finanziari, dalla presente delibera.
2. Non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico quella effettuata: in connessione all'emissione
di moneta elettronica; presso soci, dipendenti o società del gruppo secondo le disposizioni della
presente delibera; sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti, mediante contratti dai
quali risulti la natura di finanziamento.
Art. 3. Strumenti finanziari di raccolta
1. Costituiscono strumenti finanziari di raccolta del risparmio le obbligazioni, i titoli di debito e gli
altri strumenti finanziari che, comunque denominati e a prescindere dall'eventuale attribuzione di diritti
amministrativi, contengono un obbligo di rimborso ai sensi dell'art. 1.
Art. 4. Limiti all'emissione degli strumenti finanziari di raccolta
1. L'importo complessivo delle emissioni di strumenti finanziari di raccolta di cui all'art. 3, effettuate da
società per azioni e in accomandita per azioni e da società cooperative, comprese quelle indicate al
comma 2, non deve eccedere il limite previsto dall'art. 2412, primo comma, del codice civile; alle
suddette emissioni si applicano le deroghe previste dallo stesso articolo del codice civile.
2. Le società a responsabilità limitata e le società cooperative cui si applicano le norme sulla società a
responsabilità limitata emettono strumenti finanziari di raccolta nel rispetto di quanto previsto,
rispettivamente, dagli articoli 2483 e 2526 del codice civile.
Art. 5. Caratteristiche degli strumenti finanziari di raccolta
1. Gli strumenti finanziari di raccolta di cui all'art. 3, diversi dalle obbligazioni, con esclusione di
quelli destinati alla quotazione in mercati regolamentati emessi da società con azioni quotate in
mercati regolamentati, sono emessi con un taglio minimo unitario non inferiore a euro 50.000.
2. L'identità del garante e l'ammontare della garanzia devono essere indicati sugli strumenti
finanziari di raccolta di cui all'art. 3 e sui registri a essi relativi.
Art. 6. Raccolta presso soci
1. Le società possono raccogliere risparmio presso soci, con modalità diverse dall'emissione di
strumenti finanziari, purché tale facoltà sia prevista nello statuto. Resta comunque preclusa la raccolta
di fondi a vista e ogni forma di raccolta collegata all'emissione o alla gestione di mezzi di
pagamento.
2. Le società diverse dalle cooperative possono effettuare la raccolta di cui al comma 1
esclusivamente presso i soci che detengano almeno il 2 per cento del capitale sociale risultante
dall'ultimo bilancio approvato e siano iscritti nel libro soci da almeno tre mesi. Per le società di
persone tali condizioni non sono richieste.
3. Le società cooperative possono effettuare la raccolta di cui al comma 1 purché non abbiano più di
50 soci. Per le società cooperative con più di 50 soci, l'ammontare complessivo della suddetta
raccolta non deve eccedere il triplo del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve
disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato. Tale limite viene elevato al quintuplo qualora
la raccolta sia assistita, per almeno il 30 per cento, da garanzia rilasciata dai soggetti individuati
nelle istruzioni applicative della Banca d'Italia ovvero quando la società aderisca a uno schema di
garanzia avente le caratteristiche indicate nelle medesime istruzioni.
2. Forme diverse di finanziamento da parte dei soci: i versamenti diversi dal conferimento di
capitale; il finanziamento soci. Appendice giurisprudenziale.
Uno degli strumenti più utilizzati, a motivo della sua snellezza procedurale, è quello di fare effettuare dei
“versamenti” (utilizzandosi qui volutamente un termine neutro) al di fuori del procedimento previsto per
l’aumento del capitale sociale, così da evitare non solo la modifica dell’attivo costitutivo, ma di
permettere una sufficiente libertà in tema di disciplina delle modalità di rimborso (anche se comunque è
da rilevare che, con la riforma del diritto societario, la procedura di riduzione del capitale sociale è
diventata meno restrittiva, essendo venuta meno la necessità di dimostrare l’“esuberanza” rispetto
all’oggetto sociale).
Al riguardo, è fondamentale però che sia ben chiara l’operazione che si vuole porre in essere, posto che
un uso non corretto del termine potrebbe causare delle conseguenze non desiderate per soci e/o società.
Fermo il principio (2345) in base al quale nessun socio può essere obbligato ad eseguire versamenti di
denaro ulteriori rispetto al conferimento iniziale, questi è tuttavia libero, come accennato, di apportare alla
società nuove risorse - mediante erogazioni diverse dai conferimenti in senso tecnico- tutte necessarie per
il conseguimento dell’oggetto sociale.
I “versamenti” di cui trattasi possono essere eseguiti a titolo di mutuo (e quindi da restituirsi ad una data
scadenza) ovvero senza alcun obbligo di restituzione: nel primo caso rappresentano capitale di credito (al
pari degli altri finanziamenti ricevuti da terzi); nel secondo caso rappresentano capitale di rischio,
apportato al di fuori della normale procedura per l’aumento di capitale sociale.
In tale secondo caso (apporti di “quasi-capitale”) è possibile riscontrare tra le varie forme (di cui si dirà a
breve) alcuni caratteri comuni che li contraddistinguono dai conferimenti propriamente detti:
non obbligatorietà. Gli apporti di quasi-capitale non possono essere imposti dall’organo amministrativo ai
soci: possono essere eseguiti spontaneamente oppure sono effettuati in esecuzione di obblighi
volontariamente assunti.
Fonte dell’obbligo volontariamente assunto può essere un accordo contrattuale tra soci e società (anche
nella peculiare modalità di conclusione di cui all’art. 1333 c.c.) oppure un patto parasociale, che avrà
natura di contratto a favore del terzo (rectius: contratto con clausola di stipulazione a favore del terzo)
secondo lo schema paradigmatico di cui all’art. 1411 c.c. (nel quale, la società acquista la veste di terzo
beneficiato, con relativo acquisto del diritto al versamento in dipendenza causale del patto parasociale
concluso tra i soci)1;
non necessaria proporzionalità. Il versamento può essere effettuato anche solo da uno dei soci. Unico
accorgimento: nella nota integrativa (2427) si dovrà dare conto della natura, dell’origine e dei limiti di
disponibilità della riserva di patrimonio netto formatasi a seguito del versamento;
idoneità a generare immediatamente riserve di patrimonio. Gli apporti di quasi-patrimonio possiamo
definirli come un “fatto di rilievo”, ossia un evento “straordinario” occorso nella vita sociale che non
1
BUSI, Spa-Srl operazioni sul capitale, pag. 68 (negozio ex 1333); FORTE IMPARATO, Aumenti e riduzioni di capitale, pag. 67
(patto parasociale, 1411)
transita per il conto economico e non rifluisce sui risultati di esercizio ma incide direttamente sul
patrimonio della società, incrementandolo, e dando luogo all’immediata formazione di riserve di P.N.
Non sono né voci di debito né costituiscono un risultato di gestione: incidono in via immediata sullo stato
patrimoniale alla voce A) del passivo, generando riserva;
non necessità di deliberazione assembleare ordinaria per incamerare detti versamenti, anche se
assolutamente opportuna. L’opportunità di una deliberazione risiede nel fatto che tali apporti vengono
spesso tenuti nell’ambiguità causale, ovverosia non vengono qualificati come veri e propri finanziamenti
(capitale di credito) o come apporti di quasi-capitale (capitale di rischio), in attesa dell’andamento della
gestione.
Ciò perché, ove l’andamento di gestione fosse negativo, i soci avrebbero interesse ad apparire in bilancio
come creditori (posto che le somme versate sarebbero restituite in anteparte rispetto alle restituzioni che
dovrebbero avere quali soci della società, ultimi ad essere pagati nel caso di scioglimento e successiva
liquidazione); mentre, nel caso di andamento positivo, avrebbero l’interesse opposto visto che le somme
apportate non sarebbero suscettibili di essere “perse”.
Ciò detto, anche al fine di una maggiore certezza delle iscrizioni delle voci di bilancio, una deliberazione
assembleare che colori causalmente il versamento si rende assolutamente opportuna.
È bene evidenziare, prima di una compiuta trattazione e disamina delle varie forme di finanziamento, che
se a livello descrittivo la differenza tra le varie forme di versamenti può essere colta agevolmente (salva
qualche precisazione terminologica), in concreto, non sempre è agevole stabilire la natura giuridica degli
stessi.
Al riguardo la giurisprudenza di legittimità (che più avanti esamineremo) ha sancito il principio della
prevalenza della sostanza sulla forma: svalutando l’elemento formale rappresentato dalla denominazione,
da cui il giudice potrà semmai trarre argomenti a favore della natura di prestito piuttosto che della natura
di capitale di rischio, essa dà rilievo alla volontà effettiva ed alla reale intenzione delle parti.
La terminologia con cui, nella prassi, vengono indicati tali apporti è varia e non aiuta l’interprete a
comprendere, prima facie, quale tipo di apporto egli abbia dinanzi.
Qui di seguito si tenterà di fare chiarezza, anche tenendo conto del diverso significato che alcune
locuzioni hanno in ambito commercialistico (ci si riferisce a quanto espresso nei principi contabili e, in
particolare, a quanto espresso dall’OIC 28).
Più specificamente, come sopra accennato, le forme di apporto si distinguono in due categorie principali
ed alcune loro sottospecie:
a) gli apporti di ricchezza “reale” si distinguono in:
1. versamenti in conto capitale o in conto patrimonio (la dottrina commercialistica parla di
versamenti a fondo perduto): somme versate senza specifica destinazione e senza obbligo di
restituzione, che pertanto vanno ad accrescere il patrimonio netto della società e sono
definitivamente acquisite dalla società.
In buona sostanza, tali somme vengono messe a disposizione esclusiva e definitiva della società, la
quale ne può liberamente disporre.
Questi versamenti si configurano, pertanto, come vere e proprie riserve di capitale, da esporre in
bilancio all’interno del Patrimonio Netto, alla voce VII “Altre riserve”, e dovranno essere
distintamente indicati in una specifica sottovoce denominabile “Versamenti in conto capitale”.
TRIVENETO, massima H.L.1 - (VERSAMENTI SOCI SENZA DIRITTO DI RIMBORSO - c.d. IN CONTO
CAPITALE - 1° pubbl. 9/07)
I versamenti effettuati dai soci a favore della società senza alcun diritto di rimborso, denominati nella prassi
“versamenti in conto capitale”, sono definitivamente acquisiti a patrimonio sociale fin dal momento della
loro esecuzione ed integrano una riserva disponibile.
Da tale momento cessa ogni rapporto/collegamento tra il socio versante e la somma versata.
Le riserve costituite con detti versamenti possono essere liberamente utilizzate sia per ripianare le perdite
che per aumentare gratuitamente il capitale sociale, mentre in nessun caso possono essere utilizzate per
liberare aumenti di capitale a pagamento.
L’aumento gratuito di capitale mediante l’utilizzo delle riserve costituite con i “versamenti in conto
capitale”, secondo il principio di legge, dovrà essere attribuito a tutti i soci in proporzione alle azioni da
ciascuno detenute, prescindendo dalla circostanza che i versamenti utilizzati siano stati effettuati solo da
alcuni soci, ovvero siano stati effettuati dai soci in misura non proporzionale rispetto alle azioni da ciascuno
detenute (salvo diversa unanime decisione dei soci - vedi orientamento H.G.20).
I versamenti senza diritto di rimborso presuppongono necessariamente per il loro perfezionamento un
accordo avente natura contrattuale tra i soci versanti e la società. Tale contratto può essere perfezionato
anche verbalmente o per fatti concludenti.
Non è richiesta per il perfezionamento dell’accordo una delibera assembleare che proponga ai soci di
effettuare i “versamenti in conto capitale”, ovvero accetti quelli già prestati, essendo tale materia di
competenza dell’organo amministrativo.
2. versamenti a fondo perduto (la dottrina commercialistica parla di versamenti a copertura
perdite): somme versate in società con destinazione specifica -copertura delle perdite già
verificatesi- ma senza obbligo di restituzione. Si distinguono dai versamenti in conto capitale
perché sono effettuati dai soci dopo che la perdita si è verificata e contestualmente utilizzati dalla
società stessa per il ripianamento della perdita medesima (CAMPOBASSO).
Le caratteristiche di questo apporto sono: specifica destinazione (ripianamento perdite) e
immediatezza del loro utilizzo (contestualmente all’apporto). In tal modo si ha un’operazione non
sul capitale ma sul bilancio, perché il versamento determina una sopravvenienza attiva che riporta
il bilancio in pareggio (GENGHINI).
Questi versamenti si configurano, pertanto, come vere e proprie riserve di capitale, da esporre in
bilancio all’interno del Patrimonio Netto, alla voce VII “Altre riserve”, e se nella delibera è stato
affermato che tale versamento è stato effettuato per coprire perdite di esercizio, la sottovoce dovrà
essere invece denominata “Versamenti a copertura perdite”.
3. versamenti in conto futuro aumento di capitale (alcuni li chiamano volgarmente “riserve
targate” solo per far vedere che è il socio che ha versato in anticipo per il deliberando aumento e la
somme è a lui riferibile, ma nulla ha a che vedere con le riserve che targano per il vantaggio al
momento dello scioglimento): versamenti dei soci destinati alla copertura anticipata di un aumento
oneroso di capitale sociale non ancora deliberato (CAMPOBASSO). E’ una somma versata in
società come anticipazione del versamento di un aumento non ancora deliberato; tale attività è
acquisita a patrimonio ma con vincolo di destinazione specifica. In genere è utilizzato per
coprire/liberare l’aumento oneroso previa la sottoscrizione del socio che aveva versato in anticipo.
BUSI parla di proposta irrevocabile di sottoscrizione accompagnata dal deposito della somma con
la previsione di un termine di restituzione ex art. 1771 co. 1 c.c.
TRIVENETO, massima H.L.2 - (VERSAMENTI SOCI IN CONTO FUTURI AUMENTI DI CAPITALE - 1°
pubbl. 9/07)
I versamenti effettuati dai soci a favore della società vincolati alla sottoscrizione di aumenti di capitale da
parte dei soli soci conferenti (c.d. targati), denominati nella prassi “versamenti in conto futuri aumenti di
capitale”, non sono definitivamente acquisiti a patrimonio sociale fin al momento della loro esecuzione, in
quanto la società ha l’obbligo di restituirli nel caso in cui l’aumento di capitale cui sono subordinati non sia
deliberato entro il termine convenuto (o stabilito dal giudice ex art. 1331, comma 2, c.c.).
Detti versamenti, a causa del vincolo di destinazione cui sono soggetti, non possono essere utilizzati per
ripianare le perdite o per aumentare gratuitamente il capitale sociale, né possono essere appostati a
patrimonio netto (lett. a).
Gli stessi possono essere utilizzati esclusivamente per la liberazione della parte di aumento di capitale a
pagamento, riservata ai soci che li hanno eseguiti, cui sono subordinati.
I “versamenti in conto futuri aumenti di capitale” non presuppongono necessariamente un accordo
contrattuale, che può perfezionarsi anche verbalmente o per fatti concludenti, tra i soci versanti e la società
(secondo lo schema dell’opzione), potendo gli stessi avvenire anche mediante atto unilaterale (proposta
irrevocabile di sottoscrizione).
Nel caso di accordo contrattuale non è richiesta una delibera assembleare che proponga ai soci di effettuare
tali versamenti, ovvero accetti quelli già prestati, essendo la materia di competenza dell’organo
amministrativo.
In linea di principio i “versamenti in conto futuri aumenti di capitale” possono essere effettuati anche da
non soci.
Non sono chiare le modalità di iscrizione in bilancio di tali versamenti: secondo alcuni (CERA)
essi vanno iscritti in un fondo costituito al passivo del bilancio; secondo altri (CENNI,
COLOMBO) l’iscrizione va fatta al fondo rischi e oneri.
Essendo destinati alla sottoscrizione dell’aumento di capitale, tali versamenti devono essere
restituiti ove l’aumento non sia più deliberato. Parte della dottrina (CAMPOBASSO, FORTEIMPARATO) precisa che tali versamenti sono fatti sotto la condizione risolutiva della
formalizzazione dell’aumento di capitale ancora da deliberarsi.
Il versamento in conto aumento di capitale, invece, è quell’apporto in conto futuro aumento di
capitale in cui il versamento a liberazione dell’aumento è fatto prima della sottoscrizione ma dopo
la delibera di aumento (somme per le quali resta, per un momento logico, sospesa la loro
allocazione a capitale).
Prassi notarile
Prassi commercialistica: OIC 28
versamenti in conto capitale o in conto patrimonio
versamenti a fondo perduto
versamenti a fondo perduto
versamenti a copertura perdite
versamenti in conto aumento o in conto futuro riserve targate
aumento di capitale
b) Gli apporti di ricchezza finanziaria costituiscono, come detto, veri e propri finanziamenti (a titolo di
mutuo fruttifero o infruttifero) con obbligo di rimborso. Ad essi si applica la particolare disciplina di cui
all’art. 2467.
La norma è scritta in modo inverso: mentre al co. 2 presenta la fattispecie, al co. 1 presenta la regola
giuridica da applicarsi. Prima di leggere la norma, è bene evidenziare che se alcuni autori hanno parlato di
norma di riqualificazione sostanziale della fattispecie (motivo per cui si tratterebbe di “trasformazione”
causale dell’apporto nelle specifiche ipotesi prese in considerazione), in realtà la norma sul “prestito
anomalo” è di natura processuale: la postergazione opera in sede processual-civilistica ed incide solo sulla
esigibilità del credito, che è e rimane tale causalmente, non potendosi avere mutamento di natura giuridica
in base alla detta norma.
Ciò posto, è possibile procedere alla lettura dell’articolo, seguendo il metodo anzidetto.
•
Art. 2467 - Finanziamenti dei soci.
COMMA 2: “Ai fini del precedente comma s'intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli,
in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del
tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al
patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole
un conferimento”.
COMMA 1: Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla
soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della
società, deve essere restituito.
Come si può evincere dalla lettura dell’articolo, i versamenti di cui alla norma sono effettuati dai soci a
titolo di prestito, con un vero e proprio contratto di mutuo dal quale sorge un obbligo di restituzione.
L’obbligo di rimborso distingue il finanziamento dal versamento.
A bilancio, il finanziamento non produce un incremento reale del netto patrimoniale della società, che resta
immutato, ma si aprirà una posta passiva rappresentata dal debito da restituire ai soci: voce D 3) del
passivo dello stato patrimoniale “debiti verso soci per finanziamenti”.
Tuttavia, se normalmente il socio finanziatore è equiparato ad un normale creditore, nelle peculiari
circostanze prefigurate in astratto dall’articolo in esame, il legislatore ha imposto la sostanziale
equiparazione del socio finanziatore a quello di socio “apportatore” di capitale di rischio.
L’articolo precisa che devono considerarsi come finanziamenti rientranti nel perimetro di applicabilità della
disciplina in esame (inesigibilità del credito da parte del socio finanziatore) tutti i versamenti “in qualsiasi
forma effettuati”. Tale dizione consente di far rientrare nel novero dei finanziamenti sostanzialmente tutte
le forme di approvvigionamento di capitale alla società: si pensi ad esempio alle garanzie prestate dai soci
nell’interesse della società al fine di far ottenere alla medesima un credito (alle fideiussioni, T. Savona 27
giugno 2007), alle anticipazioni su future lavorazioni effettuate alla società controllata dalla controllante;
oppure al comodato gratuito di beni strumentali acquistati dalla controllante e concessi alla controllata.
Si noti: il precipuo scopo della norma è, evidentemente, quello di impedire la qualificazione ex post più
favorevole ai soci dei versamenti o altri finanziamenti da essi fatti alla società sottocapitalizzata per
sopperirne al fabbisogno salvando comunque il loro diritto a partecipare alla ripartizione dell’eventuale
residuo attivo prima che questo venga diviso fra tutti i soci (finanziatori e no) al termine di procedure
liquidatorie o collettive (PORTALE).
Appendice giurisprudenziale.
Il versamento di somme da parte del socio, non altrimenti giustificato, appartiene alla tipologia cui la
prassi, la giurisprudenza e la dottrina attribuiscono denominazioni, caso per caso, diverse (quali
«versamento in conto aumento di capitale infruttifero»; »versamento soci in conto capitale», «in conto
futuro aumento di capitale», «in conto copertura future perdite», «in conto finanziamento soci
infruttifero», ecc.). Tale versamento, a seconda delle concrete circostanze, può consistere in un vero e
proprio apporto al patrimonio di rischio dell'impresa, potendo così essere definito, utilizzando categorie
introdotte dalla giurisprudenza della Suprema Corte, come «apporto aggiuntivo fuori capitale» o
«contratto atipico di conferimento di capitale di rischio» (C. 2314/1996; C. 6315/1980; nonché, ma con
specifico riguardo agli aspetti fiscali, C. 11374/1991; C. 5195/1988). In questi casi, non esiste un titolo
che possa legittimare la pretesa di restituzione e, quindi, un credito nei confronti della società al rimborso,
perché si tratta di versamenti che sono destinati ad accrescere il patrimonio dell'ente, dotandolo di
ulteriori mezzi propri, di cui esso possa liberamente disporre (C. 6315/1980; T. Napoli 5.12.1991). In
particolare, la giurisprudenza fa distinzione tra versamenti del socio riconducibili ad un contratto di
mutuo, parificati a quelli di qualsiasi creditore, e versamenti diversi, che determinano l'esclusione del
diritto alla restituzione durante la vita della società e, in caso di fallimento, la sua postergazione rispetto
alle ragioni degli altri creditori sociali, in quanto la restituzione diviene subordinata al soddisfacimento
integrale anche di tutti i creditori chirografari (C. 2314/1996).
I versamenti effettuati dai soci in conto capitale, ovvero indicati con dizione analoga, sebbene non diano
luogo ad un immediato incremento del patrimonio sociale e non attribuiscano alle relative somme la
condizione giuridica propria del capitale, hanno tuttavia una causa che, di regola, è diversa da quella del
mutuo ed è assimilabile a quella del capitale di rischio: siffatti versamenti non danno luogo a crediti
esigibili nel corso della vita della società e possono essere chiesti dai soci in restituzione soltanto per
effetto dello scioglimento della società, nei limiti dell'eventuale attivo del bilancio di liquidazione.
Tuttavia, tra la società ed i soci può anche essere convenuta l'erogazione di capitale di credito, potendo i
soci effettuare versamenti in favore della società a titolo di mutuo (con o senza interessi), riservandosi il
diritto alla restituzione anche durante la vita della società (C. 7980/2007).
Ai fini della ricostruzione dell'intento perseguito dai soci attraverso gli apporti finanziari effettuati in
favore della società, il riferimento alla denominazione con cui gli stessi sono annotati nella contabilità
sociale non è di per sé sufficiente, in difetto di più specifiche indicazioni circa la natura e le condizioni
del finanziamento, per qualificare il conferimento come versamento in conto capitale, anziché a titolo di
mutuo, stante anche la varietà e la relativa imprecisione che sovente caratterizzano tali denominazioni ed
annotazioni contabili. Poiché, peraltro, i conferimenti in conto capitale concorrono a costituire una riserva
di patrimonio netto, mentre i versamenti a titolo di mutuo vanno iscritti tra i debiti, la circostanza che nel
bilancio della società, a suo tempo approvato dai soci, quei versamenti risultino collocati in una voce di
debito, è certamente un elemento dal quale il giudice può trarre un argomento per ricostruire la natura
dell'operazione finanziaria, soprattutto qualora detta collocazione si accompagni a considerazioni
ulteriori, desunte dal tenore di clausole statutarie o dalle finalità pratiche al cui perseguimento il
finanziamento appare preordinato (C. 7692/2006).
I motivi che inducono a non ricorrere all'aumento di capitale, ma all'utilizzazione dei versamenti effettuati
dai soci a favore della società cui partecipano, quale metodo di finanziamento della società stessa, sono
essenzialmente da individuarsi nella sussistenza di minori vincoli sulle somme versate rispetto ai veri e
propri conferimenti, nel risparmio dei costi connessi ad un aumento del capitale, nonché nella necessità di
capitalizzare nella maniera più celere e informale possibile (Montesano, Finanziamenti dei soci e nuove
indicazioni dell'atto costitutivo, in Soc, 1994, 1332).
Il socio può avere interesse alla qualifica di finanziatore, in quanto, per le somme in tale modo erogate,
egli concorre sul patrimonio sociale su un piano di parità con gli altri creditori chirografari. Tuttavia, la
vera natura di queste eterogenee attribuzioni extracapitale, in molti casi, non può essere ricondotta ad
una causa di mutuo, ma trova come reale giustificazione nella qualità di socio del "finanziatore". A
fronte di questa situazione il legislatore ha dettato con l'art. 2467 una disciplina che, senza procedere ad
una riqualificazione autoritativa della composita famiglia dei finanziamenti-soci, provvede alla tutela dei
terzi creditori, mediante la postergazione del rimborso dei finanziamenti dei soci, anche se unicamente
nelle ipotesi in cui il "finanziamento" sia avvenuto in un momento in cui la società si trovava in una
situazione di disequilibrio finanziario.
La lettura di alcune sentenze emesse dalla giurisprudenza chiarirà e permetterà di fissare quanto sinora
affermato.
Natura: conferimento o finanziamento?
Cass. civ. Sez. I, 03-12-2014, n. 25585 (rv. 633810)
Rsa Samnium S.r.l. c. Compagnia Alberghiera S.r.l.
SOCIETA' Conferimenti, in genere Società a responsabilità limitata
SOCIETÀ - Di capitali - Società a responsabilità limitata - Capitale sociale - Conferimenti - In
genere - Erogazione del socio in favore della società - Natura giuridica - Distinzione tra
finanziamento e versamento in conto capitale - Qualificazione - Interpretazione della volontà
negoziale - Criteri - Fattispecie
L'erogazione di somme, che a vario titolo i soci effettuano alle società da loro partecipate, può avvenire a
titolo di mutuo oppure di apporto del socio al patrimonio della società. La qualificazione, nell'uno o
nell'altro senso, dipende dall'esame della volontà negoziale delle parti, dovendo trarsi la relativa prova, di
cui è onerato il socio attore in restituzione, non tanto dalla denominazione dell'erogazione contenuta nelle
scritture contabili della società, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità
pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi. (Nella specie, la S.C. ha
respinto il ricorso avverso la sentenza impugnata, la quale aveva qualificato come finanziamenti i
versamenti effettuati dai soci, sulla base del loro inserimento nello stato patrimoniale del bilancio
societario sotto la voce "debiti verso altri finanziatori", nonché tenendo conto che il metodo ordinario
utilizzato dalla società per fare fronte al deficit di cassa era quello del finanziamento). (Rigetta, App.
Campobasso, 19/01/2009).
Trib. Salerno Sez. I, 29-01-2013
P.F. c. Alba Camping s.r.l.
SOCIETA' Amministratori in genere
Nell'ambito dei finanziamenti dei soci a favore della società occorre distinguere tra i versamenti "in conto
capitale" e l'erogazione di credito. Le due ipotesi, che hanno in comune il conferimento da parte di soci di
disponibilità finanziarie per fare fronte a varie esigenze della società, si diversificano sotto il profilo
causale. Stabilire se ricorra l'una o l'altra ipotesi è questione di interpretazione della volontà negoziale
delle parti; può rilevare, in tal senso, la denominazione in proposito adoperata nel verbale di deliberazione
assembleare e nel bilancio della società.
Cass. civ. Sez. I, 09-08-2012, n. 14359
COLABETON S.P.A. c. MONTE VERDE CALCESTRUZZI S.R.L.
SOCIETA' Assemblea (invalidità ed impugnazione delle deliberazioni)
E' a carico del socio-attore fornire la prova del titolo posto a fondamento della domanda restitutoria, cioè
dimostrare se il versamento tragga origine da un mutuo o se invece costituisca un apporto al patrimonio
della società: una volta esclusa la natura di mutuo del versamento, il socio non vanta alcun diritto "hic et
nunc" alla restituzione delle somme corrisposte.
Cass. civ. Sez. I, 13-07-2012, n. 12003
Eurocredit 99 S.p.a. c. Fallimento Interklim sistemi S.r.l.
SOCIETA'Conferimenti, in genere
In tema di società, l'erogazione di somme, che i soci a vario titolo effettuano alle società da loro
partecipate, può avvenire a titolo di mutuo, con l'obbligo conseguente per la società di restituire la somma
ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento destinato ad essere iscritto non tra i debiti,
ma a confluire in apposita riserva "in conto capitale", il quale dunque non dà luogo ad un credito
esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale attivo del bilancio
di liquidazione; la qualificazione, nell'uno o nell'altro senso, dipende dall'esame della volontà negoziale
delle parti, dovendo trarsi la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, non tanto dalla
denominazione dell'erogazione contenuta nelle scritture contabili della società, quanto dal modo in cui il
rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare destinato e dagli interessi che vi
sono sottesi.
Cass. civ. Sez. I, 23-02-2012, n. 2758 (rv. 621560)
Tieffe Srl in Liquidazione c. Tuninetti e altri
SOCIETA' Conferimenti, in genere
SOCIETÀ - Di capitali - Società a responsabilità limitata - Capitale sociale - Conferimenti - In genere Erogazione del socio in favore della società - Natura giuridica - Distinzione fra finanziamento e
versamento - Diritto alla restituzione - Condizioni - Qualificazione - Interpretazione della volontà
negoziale - Criteri - Fattispecie
L'erogazione di somme, che a vario titolo i soci effettuano alle società da loro partecipate, può avvenire a
titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una
determinata scadenza, oppure di versamento destinato ad essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in
apposita riserva "in conto capitale", o altre simili denominazioni, il quale dunque non dà luogo ad un
credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale attivo del
bilancio di liquidazione, ed è più simile al capitale di rischio che a quello di credito, connotandosi proprio
per la postergazione della sua restituzione al soddisfacimento dei creditori sociali e per la posizione del
socio quale "residual claimant". La qualificazione, nell'uno o nell'altro senso, dipende dall'esame della
volontà negoziale delle parti, dovendo trarsi la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in
restituzione, non tanto dalla denominazione dell'erogazione contenuta nelle scritture contabili della
società, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso
appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi. (Nella specie, la C.S. ha cassato la sentenza
impugnata, la quale, dopo avere riferito la circostanza secondo cui l'accordo di finanziamento, intervenuto
fra i soci, prevedeva il rimborso solo dopo il ripianamento dei debiti e la messa in liquidazione della
società, aveva poi qualificato i versamenti come erogazione di capitale di credito, anziché di rischio,
senza considerare inoltre come fosse del tutto irrilevante l'eventuale preferenza di un socio rispetto al
rimborso di altri analoghi versamenti operati da altri soci). (Cassa e decide nel merito, App. Torino,
29/09/2009)
Finanziamenti soggetti alla disciplina del 2467 c.c.
Trib. Milano Sez. VII, 04-07-2013
Tacara Srl. in liquidazione c. R.T.
SOCIETA' Socio, in genere
La disciplina dell'art. 2467 c.c. in tema di postergazione dei finanziamenti dei soci a favore della società è
applicabile anche ai pagamenti del socio che in qualità di garante della società abbia assolto il debito di
questa nei confronti del terzo creditore e che, in virtù di ciò, si sia surrogato a questo nel credito vantato
verso la società.
Trib. Milano, 04-06-2013
Tacara s.r.l. c. R.T.
SOCIETA' Società in genere
Società - Società a responsabilità limitata - Finanziamento soci - Postergazione - Opponibilità Società in bonis - Società in liquidazione
L'art. 2467 c.c. trova applicazione ai finanziamenti dei soci in favore della società in qualunque forma
effettuati (salvo i casi di apporti assimilabili a capitale di rischio) quale che sia lo schema giuridico da cui
il finanziamento è scaturito.
Presupposti di applicabilità
Cass. civ. Sez. I, 09-08-2012, n. 14359
Colabeton S.p.a. c. Monte Verde Calcestruzzi S.r.l.
LEGGI, DECRETI E REGOLAMENTI Efficacia della legge nel tempo e nello spazio SOCIETA'
Società in genere
Il regime normativo ex art. 2467 nel testo introdotto dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 , che prevede la
postergazione del rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è inpplicabile ai crediti sorti
anteriormente al 1° Gennaio 2004, data di entrata in vigore della riforma.
Trib. Milano Sez. Specializzata in materia di imprese, 06-02-2015
D.A. s.r.l. c. Fa. s.r.l. e altri
SOCIETA' Socio, in genere
La disciplina dei presupposti di cui all'articolo 2467 c.c. in tema di postergazione l'eccessivo squilibrio
dell'indebitamento rispetto al patrimonio e la situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato
ragionevole un conferimento deve essere interpretato in modo estensivo, in quanto il legislatore ha voluto
individuare una nozione unitaria di crisi, che finisce per coincidere con il rischio di insolvenza, idoneo a
fondare una sorta di “concorso potenziale” tra tutti i creditori della società. Da tale rilievo discende che la
condizione di inesigibilità del credito ai sensi dell'articolo 2467 c.c. va eccepita al socio fondatore solo
laddove il finanziamento sia stato erogato, e il rimborso richiesto, in presenza di una situazione di
specifica crisi della società, la quale impone che il finanziatore (socio) resti assoggettato alla inesigibilità
prescritta dalla norma, destinata ad evitare che il rischio di impresa sia trasferito in capo agli altri creditori
e che l'attività sociale prosegua in danno di questi ultimi.
Trib. Bergamo, 15-10-2014
Vizzardi c. Fall. Bettoni & C. S.p.a.
FALLIMENTO Ammissione al passivo in genere
La disciplina contenuta nell'art. 2467 c.c. , a mente del quale il rimborso dei finanziamenti dei soci a
favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori qualora tali finanziamenti
siano stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla
società, risultava un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una
situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento, si applica
unicamente alle società a responsabilità limitata e non anche alle società per azioni, quand'anche con
ristretta base azionaria. Di conseguenza, il socio finanziatore della società per azioni va ammesso al
passivo del fallimento della società senza alcuna postergazione.
Trib. Milano Sez. VIII, 02-07-2013
SOCIETA' Società in genere
La postergazione è opponibile al socio nel caso in cui il rimborso sia richiesto a società in liquidazione,
con esclusione dei casi di liquidazione in bonis, quando cioè la società, liquidando il suo patrimonio, è in
grado di soddisfare tutti i suoi creditori, compresi i soci finanziatori.
Trib. Milano, 04-06-2013
Tacara s.r.l. c. R.T.
SOCIETA' Società a responsabilità limitata
Società - Società a responsabilità limitata - Finanziamento soci - Postergazione - Opponibilità Società in bonis - Società in liquidazione
Nel caso di prestazione di garanzie del socio a favore della società, cui sia seguito il pagamento da parte
del socio e la conseguente acquisizione da parte sua della posizione di creditore della società, la
sussistenza dei presupposti della postergazione indicati al comma 2 dell'art. 2467 c.c. deve essere valutata
non già con riguardo al momento del pagamento, bensì con riferimento al momento in cui, prestando la
garanzia, ha consentito che il terzo erogasse il finanziamento.
Cass. civ. Sez. I Sent., 24-07-2007, n. 16393 (rv. 599428)
Maffei s.r.l. c. P.M.R.
SOCIETA' Capitale (riduzione)
SOCIETÀ - DI CAPITALI - SOCIETÀ A RESPONSABILITÀ LIMITATA - CAPITALE SOCIALE CONFERIMENTI - IN GENERE - Art. 2467 cod. civ. - Finanziamenti del socio in favore della società Nozione - Impugnazione della delibera di rimborso dei finanziamenti in questione - Prova a carico della
parte impugnante - Contenuto.
1) E' inammissibile e infondata la denunzia della ricorrente riguardo alla violazione dell'art. 2467 c.c.. La
locuzione "finanziamenti dei soci" è applicabile non a ogni forma di finanziamento da parte dei soci, ma,
esclusivamente alla figura dei prestiti anomali o sostitutivi di capitale e, comunque, dopo l'entrata in vigore
della riforma del diritto societario.
2) La proposizione normativa contenuta nell'art. 2467 cod. civ. - secondo cui il rimborso dei finanziamenti dei
soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto
nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito - è applicabile, come
reso evidente dal secondo comma della disposizione, non a ogni forma di finanziamento da parte dei soci,
ma, esclusivamente, alla figura dei cosiddetti prestiti anomali o "sostitutivi del capitale" al fine di porre
rimedio alle ipotesi di sottocapitalizzazione cosiddetta nominale. Pertanto, in caso di impugnazione della
delibera assembleare di rimborso di finanziamenti ritenuti anomali nel senso appena chiarito, la parte
impugnante deve provare che la deliberazione medesima sia stata adottata in presenza di un eccesso di
indebitamento rispetto al patrimonio netto della società, o di una situazione finanziaria in cui sarebbe stato
ragionevole un conferimento, ovvero, in una fase in cui la società, in reazione all'attività in concreto
esercitata, aveva la necessità delle risorse messe a disposizione dai socie finanziatori e non sarebbe stata in
grado di rimborsarli.
Disciplina: norma processuale sulla inesigibilità.
Trib. Milano, 05-02-2014
Generali-Troise c. St. Andrews
SOCIETA' Società in genere
La condizione di inesigibilità del credito posta dalla lettera dell'art. 2467, comma 2, c.c. può essere
eccepita dagli amministratori nei confronti del socio finanziatore soltanto laddove il finanziamento sia
stato disposto e il rimborso richiesto in presenza di una situazione di specifica crisi della società, in
quanto la disciplina normativa mira ad evitare che i soci - non conferendo capitale ma assumendo la veste
di creditori - possano traslare il rischio di impresa sugli altri creditori, così proseguendo l'attività sociale
in danno di questi ultimi.
Trib. Milano Sez. Specializzata in materia di imprese, 15-01-2014
D.A.R. s.r.l. c. Falzarego s.r.l. e altri
SOCIETA' Società in genere
La postergazione dei finanziamenti dei soci di cui all'art. 2467 c.c. si atteggia come “qualità intrinseca”
dei crediti dei consociati insorti in determinate circostanze: pertanto, non può fondatamente sostenersi che
l'uscita dalla compagine sociale del socio finanziatore possa comportare l'automatica esclusione dalla
disciplina ex art. 2467 c.c. delle somme da questo erogate alla società, posto che la disciplina in esame è
posta a salvaguardia delle aspettative del ceto creditorio, e su questa non possono evidentemente incidere
le vicende successive e soggettive del socio mutuante, pena l'inaffidabilità del regime medesimo o, in
altre parole, l'inutilità dell'istituto, che si presterebbe a facili elusioni in danno di creditori e terzi.
In contrario, tuttavia, si registra:
Cass. civ. Sez. I, 13-07-2012, n. 12003 (rv. 623449)
Eurocredit 99 S.p.A. c. Fall. Interklim Sistemi s.r.l. in Liquid e altri
SOCIETA' Società a responsabilità limitata
SOCIETÀ - Di capitali - Società a responsabilità limitata - Capitale sociale - Conferimenti - In genere Finanziamenti dei soci - Crediti di rimborso - Artt. 2467 e 2497 quinques cod.civ. - Portata - Nuova
disciplina di diritto sostanziale - Configurabilità - Effetti retroattivi - Esclusione - Crediti sorti
anteriormente al 1° gennaio 2004 - Applicabilità - Esclusione - Fondamento
Gli artt. 2467 e 2497 quinques cod. civ., nel testo introdotto dalla riforma societaria di cui al d.lgs. 17
gennaio 2003, n. 6, postergando in casi determinati il credito di rimborso dei soci, hanno introdotto una
nuova disciplina di diritto sostanziale, non avente natura interpretativa, né processuale, ed applicabile in
sede di liquidazione della società, incidendo in modo diretto sugli effetti giuridici del negozio di
finanziamento; ne consegue che, in mancanza di una diversa disciplina sulla efficacia nel tempo in deroga
all'art. 11 disp. prel. cod. civ., le predette norme non si applicano ai crediti dei soci nei confronti della
società sorti per effetto di finanziamenti anteriori al 1° gennaio 2004, data di entrata in vigore della
riforma. (Cassa con rinvio, Trib. Pavia, 06/10/2009)
3. Utilizzabilità nelle operazioni sul capitale dei diversi tipi di versamento.
3a) In particolare: i versamenti in conto capitale o in conto patrimonio.
i.
Aumento di capitale a pagamento: generando a bilancio una riserva di patrimonio netto, tali versamenti
non possono essere utilizzati per aumento “reale”/oneroso del capitale, poichè tecnicamente non sono
conferimenti ma, appunto, riserve. E ciò anche ove effettuati in maniera non proporzionale.
Contro tale impostazione, parte minoritaria della dottrina (PORTALE) ritiene che nel caso di
versamenti non proporzionali, essi siano suscettibili di generare riserve c.d. personalizzate (“targate”).
La personalità o targatura della riserva generata, che sarebbe indissolubilmente collegata alla persona
del socio versante, potrebbero essere utilizzate solamente a beneficio esclusivo di quest’ultimo con
conseguente qualificazione dell’aumento come oneroso.
Le soluzioni prospettabili potrebbero essere due quando chiamati a redigere un verbale di aumento: o si
progetta l’aumento come gratuito, prevedendo delle cautele quali la introduzione di una riserva
statutaria da crearsi fino al corrispondente importo versato dal socio in misura non proporzionale, onde
evitare “espropriazioni di valore”; oppure si progetta l’aumento come misto (in parte oneroso ed in
parte gratuito), a seconda della tesi accolta ed in base a quanto emerge dal bilancio.
Triveneto H.L.1
ii. Aumento gratuito del capitale: detti versamenti sono utilizzabili per aumenti gratuiti di capitale. Occorre
comunque fare attenzione al fatto che, nel caso in cui la società decida di utilizzare tali versamenti ad
aumentare il capitale sociale, nell’ipotesi in cui detti versamenti siano stati effettuati solo da taluni soci,
le relative azioni (o quote) dovranno essere attribuite a tutti i soci, ossia anche a quelli che non hanno
preso parte al versamento.
Consiglio notarile di Milano n. 102, Triveneto H.L.2
iii. Riduzione del capitale per perdite: sono utilizzabili per ripianare le perdite, in quanto costituiscono una
riserva iscritta in bilancio.
Consiglio notarile di Milano n. 102, Triveneto H.L.2
iv. Riduzione reale del capitale: vale quanto osservato prima per i versamenti fuori capitale in generale.
L’eventuale restituzione ai soci, ove consentita, non costituisce una operazione rilevante ai fini della
riduzione del capitale sociale.
Cass. 24 luglio 2007 n. 16393
Versamenti in conto capitale o in conto patrimonio (la dottrina commercialistica parla di
versamenti a fondo perduto)
Aumento a pagamento
NO (eccezione: PORTALE)
Aumento gratuito
SI
Riduzione per perdite
SI
Riduzione reale
NON RILEVA
3b) … segue: Versamenti a fondo perduto (la dottrina commercialistica parla di versamenti a
copertura perdite).
v. Aumento di capitale a pagamento: logicamente, essi sono inutilizzabili per il fatto della contestualità del
loro utilizzo. Ciò non tanto perché è tendenzialmente impossibile aumentare il capitale sociale in
presenza di perdite (a conclusioni diverse, infatti, potrebbe far giungere la Massima Milano n. 102) ma
quanto perché detti versamenti, per loro funzione, sono immediatamente “consumati” in sede di
ripianamento perdite. Per tale motivo, è di tutta evidenza che non residua alcuno strascico di posta
attiva utilizzabile.
vi. Aumento gratuito del capitale: parimenti, essendo un versamento destinato ad esaurirsi al momento della
sua esecuzione, non sono suscettibili di essere utilizzati per aumenti gratuiti del capitale.
vii. Riduzione del capitale per perdite: in tale ipotesi, va fatta qualche riflessione. E’ ben vero che i versamenti
in parola sono destinati alla copertura delle perdite senza operare sul capitale, ma tale operazione è atta
ad “occultare” il vero stato di salute della società dinanzi a creditori e terzi. Occultando le perdite, i
creditori e i terzi potrebbero essere indotti a pensare che la società svolga la sua attività “con profitto”,
per così dire, e non verranno mai a conoscenza delle perdite medesime. Per tale motivo, mentre i
versamenti in parola potrebbero tranquillamente essere effettuati nei casi di riduzione facoltativa del
capitale (ovvero nel caso in cui le perdite “fisiologiche”, ossia inferiori ad 1/3 del capitale sociale, che
il legislatore non considera rilevanti in quanto rientranti nel range di rischio della società che sta in una
soglia di tollerabilità), per le ipotesi di riduzione obbligatoria del capitale (ovvero nel caso in cui le
perdite non siano giuridicamente rilevanti, ossia superiori ad 1/3 dopo il c.d. “anno di grazia”, come
disciplinto dagli artt. 2446 co. 2 e 2447 c.c.).
viii.
Riduzione reale del capitale: è ripercorribile quanto osservato per i versamenti fuori capitale in genere.
La specifica destinazione dei versamenti in parola non consente alcun utilizzo ai fini dell’operazione in
oggetto.
Versamenti a fondo perduto (la dottrina commercialistica parla di versamenti a copertura
perdite).
Aumento a pagamento
NO
Aumento gratuito
NO
Riduzione per perdite
Facoltativa AMMESSA.
Obbligatoria NON AMMESSA (eccezione:
Massima Milano n. 102)
Riduzione reale
NON RILEVA
3c) Versamenti in conto futuro aumento di capitale (chiamati anche “riserve targate”).
ix. Aumento di capitale a pagamento: il versamento in conto futuro aumento di capitale non costituisce
sottoscrizione anticipata ma soltanto versamento anticipato (BUSI, CAMPOBASSO).
Il socio vedrà imputato a capitale le somme già versate e sino a concorrenza delle stesse.
Quesito CNN 193/2013/I
H.G.4 - (AUMENTO DI CAPITALE CON VERSAMENTI SOCI IN CONTO CAPITALE - 1° pubbl. 9/04)
Non è necessaria la stima se si procede all’aumento mediante passaggio a capitale del fondo soci-aumento di
capitale, o soci-conto capitale, trattandosi di mezzi propri della società.
x. Aumento gratuito del capitale: costituendo, per quanto sinora detto, un conferimento anticipato e non una
riserva disponibile (che all’opposto sarebbe liberamente utilizzabile per aumenti gratuiti del capitale
sociale), tali versamenti sono utilizzabili solo per aumento oneroso.
E’ ovviamente fatto salvo il caso (assai remoto) in cui il socio versante acconsenta all’eliminazione del
vincolo di destinazione (della “targatura” della riserva) alla copertura del futuro aumento
“trasformando” l’apporto da versamento in conto futuro aumento a versamento in conto capitale, che
non ha vincoli di destinazione ed è un apporto definitivamente acquisito a patrimonio sociale.
xi. Riduzione del capitale per perdite: non costituendo riserva in senso proprio, non sono suscettibili di
“ammortizzare” l’impatto di eventuali perdite e, dunque, non sono utilizzabili per la copertura di
eventuali perdite (CAMPOBASSO).
Trib. Napoli 25 febbraio 1998
Trib. Lecce 23 aprile 1985
xii. Riduzione reale del capitale: è ripercorribile quanto osservato per i versamenti fuori capitale in genere. La
specifica destinazione dei versamenti in parola non consente alcun utilizzo ai fini dell’operazione in
oggetto.
Versamenti in conto futuro aumento di capitale (chiamati anche “riserve targate”).
Aumento a pagamento
SI
Aumento gratuito
NO (salva eliminazione della destinazione da
parte del socio versante che “libera” la riserva)
Riduzione per perdite
NO
Riduzione reale
NON RILEVA
3d) Finanziamento soci.
xiii.
Aumento di capitale a pagamento: presupposto essenziale per comprendere gli aspetti della loro
utilizzabilità in una simile operazione di aumento è, come detto, partire dal fatto che i finanziamenti
soci (come un normale finanziamento di terzi, es. Banche) costituisce un prestito e genera un rapporto
obbligatorio di debito (in testa alla società) – credito (da restituzione, in testa al socio).
L’aumento a pagamento mediante utilizzo della posta “finanziamento soci” si lega alla normale
utilizzabilità del credito per aumenti di capitale. A tale proposito, la modalità principe di utilizzo del
finanziamento passa attraverso l’istituto della compensazione (che si ricorda essere una modalità di
adempimento dell’obbligazione diversa dall’adempimento diretto): in sede di deliberazione
dell’aumento (che dovrà essere progettato come passibile di sottoscrizione “anche attraverso modalità
diverse dall’adempimento diretto”), il socio che ha effettuato il finanziamento potrà compensare il
debito da conferimento - originato dalla sottoscrizione del deliberato aumento - con il debito da
restituzione del prestito che grava sulla società.
xiv.
Aumento gratuito del capitale: non utilizzabili in quanto trattasi di un debito della società, e non una
posta attiva. Unico caso in cui è possibile effettuare un aumento gratuito mediante l’utilizzo di questa
posta di debito è un necessario, preventivo, passaggio remissorio: ai sensi dell’art. 1236 c.c. il socio
dovrà dichiarare di rimettere il debito della società; in tal modo si genera una riserva disponibile,
utilizzabile per tale operazione.
La cura di chi consiglierà questa operazione (che cronologicamente si articola in remissione del debito
ed utilizzo della riserva così contestualmente creata per l’aumento gratuito) sarà quella di non far
emergere la remissione poiché, in caso contrario, il Fisco tasserà come “finanziamento”.
xv. Riduzione del capitale per perdite: essendo un debito della società, e non una posta di riserva iscritta in
patrimonio netto, non possono coprire eventuali perdite sociali.
xvi. Riduzione reale del capitale: in generale, i versamenti fuori capitale non costituiscono apporti capitalizzati
e, quindi, non rilevano ai fini della riduzione reale del capitale sociale.
Versamenti in conto futuro aumento di capitale (chiamati anche “riserve targate”).
Aumento a pagamento
SI: compensazione (per alcuni, novazione del
prestito in deposito)
Aumento gratuito
NO (salva preventiva remissione del debito)
Riduzione per perdite
NO
Riduzione reale
NON RILEVA
4) Il finanziamento nelle società di capitali e nelle start-up innovative: obbligazioni, titoli di debito e
mini-bond.
Accanto ai classici canali di approvvigionamento di risorse patrimoniali e finanziarie presso banche e/o
propri soci, le società hanno a disposizione alcuni strumenti alternativi che consentono di raggiungere una
“fetta” di investitori privati.
La diversificazione delle fonti di approvvigionamento che consentono, tra l’altro, di ridurre la dipendenza
dal sistema bancario ed evitano si attua diversamente a seconda della tipologia di società.
Volendo schematizzare il discorso, è possibile evidenziare tre tipologie principali di mezzo tecnico per il
reperimento di risorse presso il pubblico dei risparmiatore, senza impingere in alcun divieto posto dai
limiti alla raccolta del risparmio più sopra analizzati:
-
obbligazioni, con riguardo alle SPA
-
titoli di debito, con riguardo alle SRL
-
mini-bond, con riguardo alle start-up innovative.
LE OBBLIGAZIONI
Sono titoli di credito (nominativi o al portatore)2 che rappresentano frazioni di uguale valore nominale e
con uguali diritti di un’unitaria operazione di finanziamento a titolo di mutuo. Tale mutuo è riconducibile
allo schema del mutuo collettivo che trova il proprio titolo in un unico atto societario che è rappresentato
dalla delibera di emissione.
Il soggetto che sottoscrive un’obbligazione versa una somma alla società a titolo di prestito e, in cambio,
riceve un titolo con cui gli viene attribuito il diritto al pagamento periodico degli interessi e, alla scadenza
pattuita, al rimborso del valore nominale del titolo.
Le obbligazioni rappresentano il tipico e tradizionale strumento per la raccolta del c.d. capitale di prestito
da parte della S.p.A. (consentito anche per le S.a.p.a. e per le cooperative ex art. 2526 c.c.; le S.r.l.,
invece, possono emettere i titoli di debito).
AZIONI
OBBLIGAZIONI
1) l’azione attribuisce la qualità di socio;
1) l’obbligazione attribuisce la qualità di creditore e
non rappresenta una quota di partecipazione al
capitale;
2) l’azionista partecipa ai risultati (positivi o 2) l’obbligazionista ha diritto ad una remunerazione
negativi) dell’attività di impresa;
periodica fissa (interessi), normalmente svincolata
dai risultati della società finanziata;
2
Anche per le obbligazioni, come per i titoli azionari, vi è una particolare attenuazione del requisito della letteralità del titolo
di credito. Pertanto, per poter determinare compiutamente il rapporto cartolare, è richiesta la cognizione di fonti esterne al
documento cartaceo e che si rinvengono nella delibera di emissione del prestito. In ogni caso, però, alle obbligazioni sono
applicabili le norme relative ai titoli di credito quali ad esempio: l’art. 1992 c.c. (funzione legittimante del documento), l'art.
1993 c.c. (eccezioni opponibili al portatore), l’art. 1994 c.c. (principio di autonomia del diritto in sede di circolazione), l’art.
1999 c.c. (conversione dei titoli), l’art. 2000 c.c. (possibilità di riunione o frazionamento).
3) l’azionista ha diritto al rimborso del suo 3) l’obbligazionista ha diritto al rimborso del
apporto solo in sede di liquidazione della società capitale prestato alla scadenza pattuita;
e sempreché residui un attivo netto dopo che sono
stati soddisfatti tutti i creditori, compresi gli
obbligazionisti;
4) la quota di liquidazione dell'azionista può 4) l’obbligazionista ha diritto al rimborso del valore
essere uguale, superiore o inferiore al valore nominale del capitale prestato.
nominale del conferimento eseguito.
TIPI DI OBBLIGAZIONI
I più diffusi tipi speciali di obbligazione sono:
1. obbligazioni subordinate Æ sono rimborsabili solo dopo l'integrale soddisfacimento degli altri
creditori. Tali obbligazioni sono previste dall’art. 24111 c.c., per il quale «il diritto degli
obbligazionisti alla restituzione del capitale ed agli interessi può essere, in tutto o in parte,
subordinato alla soddisfazione dei diritti di altri creditori della società». Da tale norma si ricava
che il rimborso degli obbligazionisti può essere subordinato solo a quello «di altri creditori» per
cui non è possibile prevedere che gli obbligazionisti siano soddisfatti dopo o contestualmente al
rimborso «dei soci»;
2. obbligazioni partecipanti Æ i tempi e le entità degli interessi variano in dipendenza
dell'andamento economico della società (art. 24112 c.c.: «i tempi e l’entità del pagamento degli
interessi possono variare in dipendenza di parametri oggettivi anche relativi all’andamento
economico della società»)3;
3. obbligazioni convertibili in azioni Æ attribuiscono all’obbligazionista la facoltà di trasformare il
proprio credito in partecipazione azionaria (art. 2420 bis c.c.);
4. obbligazioni con warrant Æ attribuiscono all’obbligazionista il diritto di sottoscrivere o
acquistare azioni, ferma restando la posizione di creditore per le obbligazioni possedute (ciò le
distingue dalle obbligazioni convertibili);
5. obbligazioni a premio Æ attribuiscono all’obbligazionista utilità aleatorie (in denaro o in natura)
da assegnare mediante sorteggio o con altro sistema;
3
È discusso in dottrina se la decisione relativa all’emissione di tali tipi di obbligazioni debba essere riservata all’assemblea
straordinaria, così come avviene per le obbligazioni convertibili, atteso che l’emissione di obbligazioni partecipanti, nelle quali
il rendimento sia parametrato agli utili conseguiti dalla società emittente, incide sulle aspettative patrimoniali dei soci. È
stato, tuttavia, osservato che diritto alla partecipazione agli utili e diritto alla conversione sono elementi eterogenei, tali da
escludere ogni analogia tra loro con riferimento alla competenza all’emissione. Pertanto la competenza alla emissione delle
obbligazioni partecipanti è degli amministratori, salvo che lo statuto non disponga diversamente, secondo il principio
generale stabilito dall’art. 24101 c.c.
6. obbligazioni irredimibili Æ hanno diritto al rimborso solo alla scadenza della società;
7. obbligazioni indicizzate Æ obbligazioni il cui tasso di interesse e/o il valore di rimborso è
ancorato ad indici di varia natura, quali una moneta estera, il costo della vita, ecc. Mirano a
neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria e ad adeguare il rendimento dei titoli
all'andamento del mercato finanziario.
Sono previste dall’art. 24112 c.c. Æ «i tempi e l'entità del pagamento degli interessi possono variare in
dipendenza di parametri oggettivi». A differenza del 1° comma, che fa riferimento alla restituzione «del
capitale ed agli interessi», il 2° comma fa riferimento solo al pagamento «degli interessi». È discusso,
pertanto, se sia possibile pure la c.d. indicizzazione del capitale, in altri termini se sia possibile prevedere
che i titoli siano rimborsabili alla scadenza non secondo l’importo nominale, ma secondo un importo
variabile in relazione all’indice (un esempio è rappresentato dalle obbligazioni in valuta estera, che
rientrano sostanzialmente nell’ampio concetto di indicizzazione del capitale):
9 tesi negativa minoritaria Æ è possibile solo l’indicizzazione del tasso di interesse, per i
seguenti motivi:
• argomento letterale;
• le obbligazioni hanno natura giuridica di mutuo, nel quale l’indicizzazione del
capitale non sarebbe possibile;
9 tesi positiva maggioritaria Æ è possibile indicizzare non solo il tasso di interesse, ma anche
il rimborso del capitale, per i seguenti motivi:
• il limite all'emissione delle obbligazioni ex art. 2412 c.c. non ha funzione di
garanzia, ma risponde all'esigenza di proporzione tra capitale di rischio e capitale
di prestito. Per verificare se c'è equilibrio occorre far riferimento solo al valore di
emissione e non a quello di rimborso;
• l’art. 24113 c.c. ammette l'indicizzazione del capitale per gli strumenti finanziari.
Sebbene la norma sia chiara nel precisare che si tratta di strumenti finanziari e non
di obbligazioni, si può sottolineare che la disposizione non vieta in alcun modo di
denominare obbligazioni detti strumenti.
LA DELIBERA DI EMISSIONE
L’art. 2410 c.c. prevede che «se la legge (così per le obbligazioni convertibili l’art. 2420 bis c.c., che
prevede la competenza dell’assemblea straordinaria) o lo statuto (il quale preveda la competenza
dell’assemblea) non dispongono diversamente, l’emissione di obbligazioni è deliberata dagli
amministratori», e che «in ogni caso la deliberazione di emissione deve risultare da verbale redatto da
notaio (per cui è soggetta a controllo di legalità da parte dello stesso) ed è depositata ed iscritta a norma
dell’articolo 2436».
La deliberazione di emissione deve contenere tutti gli elementi idonei ad identificare i titoli da emettere.
A tale proposito, dispone l’art. 2414 c.c. che «i titoli obbligazionari devono indicare: 1) la denominazione, l’oggetto e la sede della società, con l'indicazione dell’ufficio del registro delle imprese
presso il quale la società è iscritta; 2) il capitale sociale e le riserve esistenti al momento dell’emissione;
3) la data della deliberazione di emissione e della sua iscrizione nel registro; 4) l'ammontare complessivo
dell’emissione, il valore nominale di ciascun titolo, i diritti con essi attribuiti, il rendimento o i criteri per
la sua determinazione e il modo di pagamento e di rimborso, l'eventuale subordinazione dei diritti degli
obbligazionisti a quelli di altri creditori della società; 5) le eventuali garanzie da cui sono assistiti; 6) la
data di rimborso del prestito e gli estremi dell’eventuale prospetto informativo».
> tesi maggioritaria (Campobasso, Cavallo Borgia): la mancata indicazione di uno o più elementi
non provochi l’invalidità del titolo ma piuttosto la sua irregolarità, con conseguente diritto del
sottoscrittore ad ottenere un nuovo titolo formalmente regolare;
> tesi minoritaria (Cottino): le indicazioni ai punti 1), 4), 5) dell’art. 2414 c.c. avrebbero carattere
essenziale.
Nella prassi notarile si usa allegare al verbale il regolamento del prestito obbligazionario, contenente tutte
le condizioni del prestito stesso.
È il caso di precisare che il prezzo di emissione delle obbligazioni può essere anche inferiore al valore
nominale (l'obbligazione è emessa cioè «sotto la pari»). Ad esempio, il sottoscrittore versa alla società 90
per avere una obbligazione del valore nominale di 100: alla scadenza pattuita gli sarà rimborsato il valore
nominale di 100 per cui egli, oltre agli interessi periodici, lucra l’ulteriore somma di 10.
COMPETENZA A DELIBERARE L’EMISSIONE DEL PRESTITO OBBLIGAZIONARIO
1) semplice
La prima questione sulla quale è intervenuto il legislatore della riforma attiene all’individuazione
dell’organo competente a deliberare l’emissione delle obbligazioni. L’attribuzione della competenza, che
nella disciplina post riforma viene sottratta all’assemblea straordinaria per essere appuntata in capo
all’organo amministrativo, è stata oggetto di una precisa scelta del legislatore della riforma.
; Ante riforma l’emissione del prestito obbligazionario rivestiva una tale importanza nell’economia dei
rapporti sociali da imporre che la sua adozione fosse di competenza dell’assemblea straordinaria
(organo sovraordinato per eccellenza).
; Post riforma, invece, il legislatore, rimettendo la competenza all’organo amministrativo,
implicitamente ha riconosciuto che la decisione di emettere obbligazioni è un mero atto di carattere
gestorio, atteso che, quantomeno per le obbligazioni non convertibili, il rapporto che si crea tra la
società emittente e gli obbligazionisti è un semplice rapporto di credito. Il legislatore, tuttavia, ha
accompagnato a questa modifica del testo (trasferendo la competenza dall’assemblea ordinaria
all’organo amministrativo) l’inciso «se la legge o lo statuto non dispongono diversamente», cioè ha
lasciato, in questa materia, spazio all’autonomia privata. Ci si è chiesti, dunque, quali siano le
possibili ipotesi con la quale l’autonomia privata può esplicare la sua facoltà di scelta, nel senso di
quali siano gli organi ai quali, in alternativa all’organo amministrativo, può essere statutariamente
attribuita la competenza.
Si ritiene legittimo attribuire la competenza all’emissione delle obbligazioni semplici:
~ all’assemblea straordinaria, come accadeva pre riforma;
~ all’organo amministrativo preceduto da un’autorizzazione dell’assemblea ordinaria, ai sensi
dell’art. 2364 n. 5) c.c.;
~ al comitato esecutivo oppure all’amministratore delegato (ossia, ad una compagine più ristretta
nell’ambito dell’organo amministrativo) (Campobasso e Marchetti).
Si ritiene, invece, illegittimo attribuire tale competenza:
~ all’assemblea ordinaria, in quanto, nel modello della S.p.A., è escluso che l’assemblea
ordinaria possa compiere atti di gestione, i quali sono di esclusiva competenza degli
amministratori4;
~ all’organo di controllo in quanto, pur essendo il testo della norma sufficientemente ampio da
potervi, astrattamente, includere l’ipotesi in analisi, la funzione espletata dall’organo di
controllo confligge con la natura del compito che gli verrebbe affidato. In altri termini, sarebbe
incongruente affidare la decisione in ordine all’emissione del prestito obbligazionario ad un
organo che in ogni caso non si occupa di gestione della società, ma del suo controllo.
La società (per mano del suo organo amministrativo), allorché decida di emettere un prestito
obbligazionario semplice, palesa l’esigenza di reperire risorse finanziarie, da soci o da terzi, senza,
tuttavia, né aumentare il capitale sociale né ricorrere al finanziamento bancario. In altri termini tra la
società emittente e gli obbligazionisti non convertibili si instaura (in attuazione di un ordinario atto
gestorio) un normale rapporto di finanziamento. Gli obbligazionisti sono allettati da un tasso di interesse
attivo che rende per loro interessante fornire nuovi mezzi finanziari alla società che ne necessiti.
Ex art. 24102 c.c., la deliberazione di emissione, da qualunque organo sia adottata, deve essere
verbalizzata dal notaio e il verbale deve essere iscritto, ai sensi dell’art. 2436 c.c., nel Registro delle
Imprese.
4
Contra Campobasso, secondo cui è legittima la clausola statutaria che attribuisca tale competenza all’assemblea ordinaria.
2) convertibile con procedimento diretto
L’emissione del prestito obbligazionario convertibile, tanto nella disciplina ante riforma quanto in quella
successiva, è rimessa alla competenza dell’assemblea straordinaria (art. 2420 bis c.c.) in quanto sotteso a
tale operazione non vi è solo un rapporto di finanziamento, ma anche - sussistendo la facoltà per
l’obbligazionista convertibile di diventare socio e dovendosi, all’uopo, deliberare un aumento di capitale a
servizio della futura conversione - un potenziale mutamento della struttura societaria che è opportuno
passi per l’organo decisionale della società.
3) convertibile con procedimento indiretto
Il legislatore non disciplina la competenza all’emissione del prestito obbligazionario sottoposto alla c.d.
conversione indiretta. In tale l’ipotesi la società emette il prestito obbligazionario convertibile non in
proprie azioni, ma in azioni di un’altra società. I due effetti del prestito obbligazionario convertibile si
scindono, in quanto
⇒ il rapporto di finanziamento resta tra la società emittente e l’obbligazionista sottoscrittore,
⇒ il rapporto societario, che si crea tra l’obbligazionista che decida di esercitare il proprio diritto
potestativo alla conversione e la società che “subisce” la conversione, si pone tra una società terza
e l’obbligazionista che, quindi, ne diventa socio.
Spesso tra le due società esiste un rapporto che legittima il ricorso al procedimento di conversione
indiretto come, per esempio, un rapporto di gruppo.
La carenza di disciplina ha fatto sorgere dubbi al riguardo. Si ritiene che:
→ nella società in cui si delibera l’emissione del prestito obbligazionario convertibile (atteso che per
tale società l’operazione non assolve ad altre finalità se non a quella di finanziamento), la
competenza è dell’organo amministrativo, salva diversa previsione dello statuto;
→ nella società in cui si delibera l’aumento di capitale a servizio della conversione, la competenza è
dell’assemblea straordinaria.
Tale soluzione, pur non trovando riscontro diretto nel dato positivo, pare ragionevole:
• avuto riguardo alla natura dei rapporti che sorgono tra i soggetti interessati all’operazione;
• alla luce dell’art. 12 T.U.B. (d.lgs. 385/1993), il quale fissa la competenza all’emissione, in caso
di prestito obbligazionario convertibile con procedimento indiretto, in materia bancaria, in capo
all’organo amministrativo della banca emittente.
LIMITI ALLA EMISSIONE
L’art. 24121 c.c. indica il limite quantitativo all’emissione del prestito obbligazionario, cioè il limite oltre
il quale la società non può più chiedere il finanziamento. Dal momento che tale operazione serve ad
ottenere mezzi finanziari dai terzi, questi devono sapere qual è il limite di indebitamento raggiunto dalla
società emittente.
Nella disciplina ante riforma tale limite era fissato nell’ammontare del capitale sociale «versato (al netto
di eventuali decimi ancora da versare) ed esistente (al netto di eventuali perdite)», risultante dall’ultimo
bilancio approvato.
Ratio dell’art. 2412 c.c.
Sotto il vigore della disciplina ante riforma lo stato della dottrina era il seguente:
• tesi 1 (Montesano): la ratio risiede, attesa la finalità di finanziamento sottesa all’operazione, nella
garanzia, apprestata dal legislatore in favore degli obbligazionisti, per il rimborso dei mezzi
finanziari forniti alla società. In altri termini, Montesano riteneva che il limite individuato
nell’entità del capitale fungesse da garanzia per il rimborso delle obbligazioni;
• tesi 2 (Campobasso e Ferri): la ratio risiede nella volontà del legislatore di imporre alla società un
equilibrio tra le varie forme di finanziamento a cui poteva accedere (il finanziamento proveniente
dai soci attraverso la capitalizzazione della società e il finanziamento proveniente da terzi
attraverso la sottoscrizione del prestito obbligazionario);
• tesi 3 (Cavallo Borgia, Galgano, Trib. Genova 13 maggio 1987, Trib. Trieste 24 febbraio 1994): la
ratio può essere tanto nell’una (garanzia degli obbligazionisti) quanto nell’altra (equilibrato
rapporto tra fonti diverse di finanziamento) esigenza sottolineata dalle due tesi precedenti.
Post riforma:
• tesi 1 (Carrero): la ratio risiede nella garanzia degli obbligazionisti;
• tesi 2 (Relazione al codice civile, Genghini, Campobasso): la ratio risiede nell’esigenza di porre
un equilibrato rapporto tra fonti diverse di finanziamento. La ratio non è la funzione di garanzia
in senso proprio degli obbligazionisti, ma l’esigenza di proporzione tra capitale di rischio e
capitale di prestito. Si vuole evitare che società con un patrimonio esiguo emettano obbligazioni
per un ammontare di gran lunga superiore alla propria consistenza patrimoniale, facendo gravare il
rischio d’impresa sugli obbligazionisti in misura di gran lunga maggiore che sugli azionisti
(sovvertendo i principi propri delle società di capitali).
Ai sensi dell’art. 24121 c.c. «la società può emettere obbligazioni al portatore o nominative per somma
complessivamente (cioè tenendo conto pure di eventuali prestiti obbligazionari pendenti; inolre, ai sensi
dell’art. 24124 c.c., «Al computo del limite di cui al primo comma concorrono gli importi relativi a
garanzie comunque prestate dalla società per obbligazioni emesse da altre società, anche estere») non
eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti
dall’ultimo bilancio approvato. I sindaci attestano il rispetto del suddetto limite (cioè del limite di cui al
1° comma e non pure del limite di cui ai commi successivi)».
Nella disciplina post riforma il legislatore fa riferimento, allo scopo di fissare il limite all’emissione del
prestito obbligazionario, alla misura del doppio della somma (e non dal doppio del capitale sociale + la
riserva legale + le altre riserve disponibili5) di questi tre elementi:
1) CAPITALE SOCIALE: la norma non precisa più che il capitale debba essere «versato ed
esistente».
→ «Versato»: nella disciplina post riforma si deve tener conto del capitale sottoscritto (è,
quindi, possibile emettere obbligazioni semplici anche se il capitale non è stato
interamente versato, al contrario delle obbligazioni convertibili in cui, ex art. 2420 bis,
secondo periodo, c.c., la delibera di emissione non può essere nemmeno adottata se il
capitale non è stato interamente versato6);
→ «Esistente»: resta fermo che il capitale è quello esistente, ma la dottrina è divisa in ordine
alla valutazione delle eventuali perdite (cioè sul se il capitale vada calcolato al netto delle
perdite o meno):
o tesi 1 (Audino, Cavallo Borgia, Genghini): la norma, anche nel silenzio del
legislatore, va interpretata con riferimento, come accadeva in passato,
all’ammontare del capitale sociale al netto delle perdite le quali sarebbero rilevanti
a prescindere dalla loro entità. Alla luce del nuovo tenore dell’art. 2412, infatti,
che considera (oltre al capitale) anche le riserve, non ha più senso distinguere tra
perdite superiori o inferiori al terzo del capitale: ormai si devono considerare tutte
le perdite verificatesi fino alla delibera di emissione7;
o tesi 2 (Santangelo): la norma fa riferimento - in assenza di un dato positivo analogo
a quello rinvenibile sotto il vigore della disciplina ante riforma, che faceva
riferimento al capitale esistente - soltanto al capitale sottoscritto, risultando,
5
IL CALCOLO CORRETTO, secondo l’interpretazione unanime che trova fonte nella Relazione alla Riforma, È:
(CAPITALE + RISERVA LEGALE + RISERVE DISPONIBILI) X 2 = ENTITÀ DELLE OBBLIGAZIONI EMETTIBILI.
NON (CAPITALE X 2) + RISERVA LEGALE + RISERVE DISPONIBILI= ENTITÀ DELLE OBBLIGAZIONI EMETTIBILI.
6
Se la società Alfa S.p.A. ha un capitale sociale sottoscritto per 1.000.000 di euro, versato per 750.000 euro, riserva legale
per 200.000 euro e riserve disponibili per 100.000 euro,
− il prestito obbligazionario semplice (p.o.s.) può essere emesso per massimi euro 2.600.000, ossia il doppio della somma
di capitale sottoscritto, riserva legale e riserve disponibili;
− istintivamente si potrebbe pensare che il prestito obbligazionario convertibile (p.o.c.) possa essere emesso per massimi
euro 2.100.000 euro (ossia il doppio della somma di capitale versato, riserva legale e riserve disponibili), in realtà, ai
sensi dell’art. 2420 bis c.c., la delibera di emissione di tale prestito obbligazionario, finché il capitale sociale non è
interamente versato, non può essere proprio assunta.
7
H.K.4 - (DETERMINAZIONE DI EMISSIONE DI OBBLIGAZIONI DA PARTE DELL’AMMINISTRATORE UNICO E ASSISTENZA DEI
SINDACI - 1° pubbl. 9/06)
La determinazione dell’amministratore unico di emissione di obbligazioni assunta ai sensi dell’art. 2410 c.c. non necessita
della contestuale assistenza dei sindaci finalizzata a rendere l’attestazione di cui all’art. 2412, comma 1, c.c.
Detta ultima disposizione, infatti, impone che i sindaci attestino il rispetto del limite quantitativo di legge in relazione alla
emissione di obbligazioni e non anche che detta attestazione sia contestuale alla decisione di emissione o resa nella stessa.
dunque, irrilevanti, ai fini dell’emissione del prestito obbligazionario, le cc.dd.
perdite fisiologiche, cioè quelle che, essendo inferiori al terzo, non assumono
immediata rilevanza giuridica. Le perdite superiori al terzo, invece, per prudenza,
devono essere sottratte al capitale sociale nella fase di calcolo che precede
l’emissione del prestito obbligazionario.
La differenza operativa tra le due ricostruzioni è notevole come si comprende da questo esempio: società
Alfa S.p.A. con capitale sociale sottoscritto di euro 200.000, priva di riserve e con una perdita di euro
20.000, cioè inferiore al terzo e, come tale, giuridicamente irrilevante. Si potrebbe emettere un prestito
obbligazionario:
o tesi 1: per massimi euro 360.000 (200.000 – 20.000 = 180.000; 180.000 x 2 =
360.000);
o tesi 2: per massimi euro 400.000 (200.000 x 2 = 400.000), cioè il doppio del
capitale sociale al quale, preso atto della loro irrilevanza giuridica, non andrebbero
sottratte le perdite.
2) RISERVA LEGALE.
3) RISERVE DISPONIBILI (sono esclude, quindi, quelle indisponibili). Trattandosi di riserve
disponibili, si ritiene che
I.
possano essere computati:
o la riserva da sovrapprezzo azioni, in quanto, pur non essendo distribuibile, dovrebbe
essere disponibile;
o gli utili di periodo8;
II.
non possano essere computati:
o i versamenti in conto futuro aumento di capitale, in quanto, dal punto di vista
tecnico, non rappresentano delle vere e proprie riserve;
o gli importi già sottoscritti e versati per un aumento di capitale inscindibile ancora
aperto, in quanto tali somme sono versate nelle casse sociali sotto la condizione
8
In tal caso è opportuno essere prudenti in quanto l’utilizzabilità dell’utile di periodo è stata riconosciuta dalla Cassazione,
attesa la loro “volatilità”, soltanto ai limitati fini della riduzione del capitale per perdite.
risolutiva che, entro il termine previsto per l’aumento di capitale, tutti abbiano
sottoscritto l’aumento stesso. Quindi, ancorché versate nelle casse sociali, sono
somme destinate ad un periodo di incertezza.
Nozione di «ultimo bilancio approvato»: Il legislatore pone l’«ultimo bilancio approvato» come
riferimento da cui debbano risultare tali elementi. Ci si chiede se sia sufficiente l’ultimo bilancio
approvato (che, quindi, potrebbe essere piuttosto risalente rispetto alla delibera di emissione del prestito
obbligazionario) o se occorra una situazione patrimoniale aggiornata.
1. tesi maggioritaria (giurisprudenza ante riforma, Consiglio Notarile di Milano9, Genghini,
Campobasso, Cavallo Borgia): non deve necessariamente essere l’ultimo bilancio di esercizio
approvato, ma si può far riferimento anche ad un bilancio straordinario redatto in funzione della
emissione dei titoli, per le seguenti argomentazioni:
i. dato che anche il testo previgente parlava di «ultimo bilancio approvato», possono essere,
ancora oggi, ritenute valide le considerazioni svolte dalla giurisprudenza sotto il vigore
della precedente disciplina. La giurisprudenza assolutamente unanime imponeva la
adozione di una situazione patrimoniale aggiornata quando l’ultimo bilancio approvato
non fosse più attuale;
ii. non è mutata la ratio sottesa all’art. 2412 c.c.; anzi, oggi, risulta maggiore l’esigenza di
aggiornamento dei dati contabili preso atto del fatto che il legislatore non fa più
riferimento solo al capitale, ma anche alla riserva legale e alle riserve disponibili.
Anche se la disposizione si riferisce all'«ultimo» bilancio, in realtà, valgono le considerazioni che saranno
svolte per le operazioni sul capitale: il bilancio deve essere aggiornato a non oltre 120 giorni, termine che
si ricava dall’art. 2364 c.c. in tema di approvazione del bilancio e dall’art. 2501 quater c.c. in tema di
fusione. Di conseguenza:
→ nel caso in cui tra la data di chiusura dell’esercizio (e non già di approvazione del relativo
bilancio) e la data della delibera di emissione del prestito sono trascorsi meno di 120
giorni, si può fare riferimento alle risultanze del bilancio di esercizio;
→ nel caso in cui tra la data di chiusura dell’esercizio (e non già di approvazione del relativo
bilancio) e la data della delibera di emissione del prestito sono trascorsi più di 120 giorni, è
necessario che gli amministratori redigano un bilancio straordinario ad hoc.
Una volta chiarito che l’«ultimo bilancio approvato» può essere anche un bilancio straordinario, la
dottrina (Campobasso) ed il Comitato Triveneto dei Notai10 ritengono che la emissione di un prestito
9
78 : Limiti di emissione delle obbligazioni e ultimo bilancio approvato.
Per la determinazione del limite all'emissione di obbligazioni previsto dall'art. 2412 c.c., il riferimento all'ultimo bilancio
approvato, contenuto nel primo comma della norma, va interpretato nel senso che l'importo complessivo per cui possono
essere emesse le obbligazioni - non eccedente il doppio della somma del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve
disponibili - deve essere determinato in base all'ultimo bilancio di esercizio approvato ovvero in base all'eventuale bilancio
straordinario (se del caso approvato anche ai fini della stessa emissione) che costituisce, temporalmente, l'ultimo bilancio
approvato. Eventuali perdite risultanti dall'ultimo bilancio approvato devono essere imputate al patrimonio netto in
conformità ai principi generali in materia e quindi a partire dalle riserve non vincolate o meno vincolate.
10
H.K.1 - (EMISSIONE DI OBBLIGAZIONI NEL PRIMO ESERCIZIO - 1° pubbl. 9/04)
obbligazionario possa essere deliberata anche nel corso del primo esercizio sociale (quando il bilancio
ordinario ancora non è stato approvato).
2. tesi minoritaria: è sufficiente l’utilizzo dell’ultimo bilancio approvato, quand’anche risalente nel
tempo.
A sostegno di questa tesi, oltre al tenore letterale, depone l’ultima parte dell’art. 24121 c.c. Il legislatore
evoca, infatti, l’intervento dei sindaci, i quali devono attestare il rispetto «del suddetto limite»:
→ se il ruolo che spetta all’organo di controllo si limita al controllo formale ed algebrico
sull’ammontare dell’emissione [(capitale + riserva legale + riserve disponibili) x 2 = entità
delle obbligazioni emettibili], il legislatore ha ridotto notevolmente il ruolo di quest’organo;
→ se, invece, il legislatore ha posto questa precisazione nell’art. 24121 c.c. per affidare
all’organo di controllo un controllo di tipo sostanziale (come, nel caso delle operazioni sul
capitale, quello rimesso agli amministratori i quali devono dichiarare l’insussistenza di fatti
di rilievo dopo la redazione della situazione patrimoniale aggiornata), la norma, venendo
riempita di significato, assumerebbe maggior senso.
Per dare un significato più compiuto alla norma, i sindaci devono attestare il rispetto dei limiti a cui
soggiace l’emissione del prestito obbligazionario proprio con riferimento al lasso di tempo che intercorre
dall’ultimo bilancio approvato alla delibera di adozione del prestito. L’organo di controllo, in ultima
analisi, dovrà confermare che il rapporto di 2:1, tra obbligazioni e elementi del patrimonio netto
utilizzabili (cioè somma di capitale, riserva legale e riserve disponibili), è stato rispettato. Quanto più
venga valorizzato, in quest’ambito, il ruolo dei sindaci, tanto più facilmente si potrebbe sostenere la
possibilità di utilizzare in ogni caso l’ultimo bilancio di esercizio, perché anche se questo fosse
particolarmente risalente, l’attestazione dei sindaci che i limiti sono stati rispettati equivarrebbe alla
persistenza di validità di quei dati contabili e, quindi, alla non necessità di un loro aggiornamento.
Superamento dei limiti legali: vi sono alcuni casi in cui è possibile superare il limite legale ex art. 24121
c.c.:
1. art. 24122 c.c. Æ «il limite di cui al 1° comma può essere superato se le obbligazioni emesse in
eccedenza sono destinate alla sottoscrizione da parte di investitori professionali (banche, società
finanziarie, imprese di assicurazione) soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi
speciali. In caso di successiva circolazione delle obbligazioni, chi le trasferisce risponde della
solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali». La
ratio della norma non è nella circostanza che gli investitori professionali sono soggetti
particolarmente qualificati e dotati di specifiche cognizioni che li mettono nella condizione di
La società può deliberare l’emissione di un prestito obbligazionario anche nel corso del primo esercizio. In tal caso
l’assemblea deve approvare un bilancio straordinario.
poter valutare l’opportunità ed i rischi dell’investimento, atteso che permane, anche in questo
caso, la necessità di mantenere un corretto equilibrio tra capitale di rischio ed obbligazioni così
come indicato dalla relazione alla riforma. Piuttosto è da ritenere che la ratio sia nella circostanza
che gli investitori professionali, nel caso di successiva circolazione dei titoli e di trasferimento ad
acquirenti che non rivestono tale qualifica, rispondono della solvenza della società.
È stato, inoltre, evidenziato come sia necessario che la delibera di emissione di obbligazioni destinate alla
sottoscrizione da parte di investitori professionali preveda espressamente tale destinazione, potendosi
riscontrare, in caso contrario, la responsabilità degli amministratori della società emittente per tale
omissione.
È, infine, opportuno che tale destinazione risulti anche dal contesto letterale del titolo in considerazione
delle conseguenze legate alla sua circolazione (cfr. Marchetti);
2. art. 24123 c.c. Æ obbligazioni garantite da ipoteca;
3. art. 24125 c.c. Æ «I commi primo e secondo non si applicano alle emissioni di obbligazioni
destinate ad essere quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione
ovvero di obbligazioni che danno il diritto di acquisire ovvero di sottoscrivere azioni»;
4. art. 24126 c.c. Æ «quando ricorrono particolari ragioni che interessano l’economia nazionale, la
società può essere autorizzata con provvedimento dell'autorità governativa, ad emettere
obbligazioni per somma superiore a quanto previsto nel presente articolo, con l’osservanza dei
limiti delle modalità e delle cautele stabilite nel provvedimento stesso».
L’EMISSIONE DI OBBLIGAZIONI GARANTITE DA IPOTECA
Ai sensi dell’art. 24123 c.c. «non è soggetta al limite di cui al 1° comma, e non rientra nel calcolo al fine
del medesimo, l’emissione di obbligazioni garantite da ipoteca di primo grado (primo requisito
dell’ipoteca) su immobili di proprietà della società (secondo requisito dell’ipoteca11), sino a due terzi del
valore degli immobili medesimi»12.
Ratio: consentire alle società dotate di un consistente patrimonio immobiliare l’emissione di obbligazioni
per un ammontare superiore a quello permesso sulla base del solo computo delle riserve e del capitale,
contando sulle garanzie offerte dagli immobili di proprietà sociale.
11
Alcuni autori (Tamburino) hanno sostenuto che gli immobili possano essere anche di proprietà di altra società, interamente
controllata dalla società emittente. Si ricorda inoltre che parte della giurisprudenza di merito (App. Milano 14 aprile 1962 e
Trib. Udine 30 marzo 1989) ha sostenuto che agli immobili di proprietà della società possano essere equiparati anche
immobili di proprietà di terzi.
12
Ad esempio, se la società avesse immobili in proprietà per un valore pari a 900.000 euro e volesse emettere obbligazioni
garantite ipotecariamente con tali immobili, fino a concorrenza di 600.000 euro (cioè, 2/3 di 900.000 euro) potrebbe
emettere obbligazioni indipendentemente dal calcolo di cui al primo comma (cioè a prescindere dall’entità di capitale sociale,
riserva legale e riserve disponibili). Quando in un secondo momento la società, in costanza del primo prestito obbligazionario,
ne volesse emettere un altro, potrebbe farlo calcolando l’entità del secondo prestito obbligazionario sulla base delle regole
del primo comma (cioè dal doppio di capitale sociale, riserva legale e riserve disponibili), in quanto il primo prestito
obbligazionario troverebbe garanzia nella concessione di ipoteca su immobili di proprietà sociale.
L’inciso «non rientra nel calcolo al fine del medesimo» significa che è ammesso il cumulo del valore del
capitale più riserve con il valore dei due terzi degli immobili ipotecati.
Il codice civile si riferisce all’«ipoteca», ma in realtà si discute se si sia in presenza di un’unica ipoteca,
oppure se si abbiano tante ipoteche quanti siano i titoli garantiti, ed altresì se la garanzia debba riguardare
l’intero ammontare del prestito o solo l’eccedenza rispetto al doppio del capitale sociale e delle riserve:
) ante riforma parte della giurisprudenza (Trib. Milano 5 maggio 1997 e App. Milano 27 giugno
1997) e della dottrina (Ferrara-Corsi) avevano ritenuto che la garanzia ipotecaria dovesse coprire
l’intero prestito e non potesse limitarsi a garantire l’eccedenza rispetto al limite rappresentato dal
capitale sociale versato ed esistente;
) altra parte della giurisprudenza (Trib. Roma 13 dicembre 1988) e della dottrina (Campobasso,
Pettiti e Sarale) ritiene, invece, che la garanzia ipotecaria possa limitarsi a coprire l’eccedenza
rispetto al doppio del capitale sociale e delle riserve.
Quanto al «valore» da assegnare agli immobili ipotecati, secondo la giurisprudenza si tratta del valore di
mercato e deve essere comprovato con una perizia di stima da allegarsi al verbale notarile.
Inoltre, ai sensi dell’art. 24141 bis c.c. «la deliberazione di emissione di obbligazioni che preveda la
costituzione di garanzie reali a favore dei sottoscrittori deve designare un notaio che, per conto dei
sottoscrittori, compia le formalità necessarie per la costituzione delle garanzie medesime». La
disposizione si riferisce alla necessità di compiere le formalità «per la costituzione delle garanzie».
L’ipoteca, infatti, non è concessa con la delibera di emissione del prestito, ma occorre un ulteriore atto di
concessione dell’ipoteca.
In sintesi l’iter da seguire è il seguente:
a) la delibera si limita a prevedere la emissione di obbligazioni da garantire con ipoteca;
b) il legale rappresentante della società, in esecuzione della delibera medesima, si costituisce in atto
pubblico e concede l’ipoteca. Ove si tratti del presidente del consiglio di amministrazione e
l'emissione del prestito sia deliberata dall’assemblea, sorge il dubbio che, per concedere l'ipoteca,
sia necessaria la delibera dello stesso consiglio di amministrazione. Nella prassi notarile, tuttavia,
si ritiene superflua tale delibera, in quanto il negozio di concessione dell’ipoteca è deciso
dall’assemblea che delibera l’emissione del prestito, e non già dall’organo amministrativo. In altri
termini, non si tratta di eseguire una decisione del consiglio di amministrazione, ma una decisione
dell’assemblea.
c) sulla base dell’atto notarile di concessione dell’ipoteca, l’ipoteca è costituita mediante l'iscrizione
nei registri immobiliari13.
Quanto alla designazione di «un notaio» che, per conto dei sottoscrittori, compia le formalità per la
costituzione dell’ipoteca:
> secondo un autore (Lovato-Avanzini) questo notaio sarebbe diverso da quello che riceve l’atto
pubblico di concessione dell’ipoteca. Praticamente, vi sarebbero due notai: quello che riceve l’atto
13
L’iscrizione di ipoteca a favore di titoli obbligazionari è disciplinata dagli artt. 28313 c.c., 2839, n. 1) e 2845, commi 2° e 3°
c.c. e la sua particolarità è data da una eccezionale deroga al principio di nominatività della iscrizione ipotecaria, in quanto
essa risulta essere nominativa solo per la società emittente, mentre è unitaria a favore della massa degli obbligazionisti.
di concessione dell’ipoteca, e quello che, per conto dei sottoscrittori, compie le formalità per la
costituzione dell’ipoteca. L’atto di concessione dell’ipoteca sarebbe un atto bilaterale, nel quale i
comparenti sono sia il legale rappresentante della società, sia il notaio designato a compiere le
formalità per la costituzione dell’ipoteca;
> è preferibile, invece, ritenere che il notaio designato a compiere le formalità per la costituzione
dell’ipoteca possa essere il medesimo notaio che riceve l’atto pubblico di concessione
dell’ipoteca. In altri termini, il notaio è unico. Deve ritenersi, infatti, che tale notaio possa essere il
medesimo notaio che ha ricevuto il verbale della deliberazione di emissione delle obbligazioni,
senza che ciò comporti violazione dell’art. 28, n. 3, l.not. (per il quale «il notaio non può ricevere
o autenticare atti:... 3) se contengano disposizioni che interessino lui stesso...»).
L'ORGANIZZAZIONE DEGLI OBBLIGAZIONISTI
L'organizzazione di gruppo degli obbligazionisti è articolata in due organi:
1. assemblea14;
2. rappresentante comune.
Il gruppo organizzato degli obbligazionisti è considerato una forma associativa ex lege, e precisamente
esso è stato identificato:
ª da alcuni autori (Cottino e Ferrara-Corsi) in un consorzio ex lege, diverso dalla società e dalla
comunione;
ª da altri autori (Campobasso) in una associazione non riconosciuta.
1) L'ASSEMBLEA
Ex art. 24151 c.c. delibera su:
1) nomina e revoca del rappresentante comune;
2) modificazioni delle condizioni del prestito15: la dottrina (Campobasso, Cavallo Borgia) ritiene che:
• è modificabile a maggioranza qualsiasi modalità del prestito, purché giustificata da una
ragione oggettiva della società che la rende necessaria nell'interesse degli obbligazionisti;
14
Duplice finalità:
1)
assicurare una più efficace tutela degli interessi comuni degli obbligazionisti nei confronti della società;
2)
consentire modifiche a maggioranza delle originarie condizioni del prestito, così sollevando la società dalla necessità
di ottenere il consenso dei singoli obbligazionisti.
15
H.K.7 - (PROCEDIMENTO DI MODIFICA DELLE CONDIZIONI DI UN PRESTITO OBBLIGAZIONARIO E DETERMINAZIONE DEL
MOMENTO DI EFFICACIA DELLA MODIFICA - 1° pubbl. 9/10)
Le modifiche alle condizioni di un prestito obbligazionario devono necessariamente essere approvate sia dalla società,
tramite l’organo legalmente o statutariamente competente, sia dall’assemblea degli obbligazionisti, senza che assuma alcun
rilievo l’ordine di adozione delle due deliberazioni.
Le modifiche saranno efficaci solo dopo che sarà stata iscritta nel registro imprese la delibera della società ex art. 2436 c.c.
(richiamato dall’art. 2410, comma 2, c.c.) e sia stata adottata la conforme delibera dell’assemblea degli obbligazionisti,
ancorché
non
iscritta.
Tale ultima delibera, infatti, pur essendo soggetta a iscrizione nel registro imprese, acquista efficacia immediata, non
potendosi ad essa applicare il disposto dell’art. 2436 c.c. per assenza di richiamo.
• è, invece, sottratta al potere dispositivo della maggioranza
strutturali di quel determinato prestito obbligazionario.
l'alterazione dei caratteri
Alla luce di tali considerazioni deve ritenersi che la delibera dell'assemblea degli obbligazionisti:
i. non è necessaria nel caso in cui l'assemblea dei soci assuma una delibera che incide su
tutti i soci e non solo sugli obbligazionisti (es. in tema di obbligazioni convertibili,
l'aumento oneroso di capitale con esclusione dell'opzione);
ii. è necessaria nel caso di modifica delle modalità del prestito, cioè di diritti generalizzati
degli obbligazionisti (es. proroga del termine di rimborso; modifica del tasso di interesse;
rinunzia a parte delle garanzie; prolungamento della durata del prestito; ecc.);
iii. non è sufficiente, ma è necessario il consenso unanime di tutti gli obbligazionisti uti
singuli nel caso in cui siano lesi i diritti individuali degli obbligazionisti (es. rimborso
anticipato del prestito; in caso di obbligazioni convertibili, rinuncia all’opzione su un
aumento oneroso, o rinuncia al diritto di conversione; soppressione del diritto al rimborso
del capitale; ecc.).
3) proposta di amministrazione controllata e di concordato;
4) costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e sul rendiconto
relativo;
5) altri oggetti di interesse comune degli obbligazionisti.
L’art. 24153 c.c. detta le regole di funzionamento dell’assemblea degli obbligazionisti, stabilendo in
particolare che «si applicano all'assemblea degli obbligazionisti le disposizioni relative all’assemblea
straordinaria dei soci e le sue deliberazioni sono iscritte, a cura del notaio che ha redatto il verbale, nel
registro delle imprese»16. Secondo il Comitato Triveneto dei Notai17 le delibere dell’assemblea degli obbligazionisti, pur dovendo avere le forme previste per le assemblee straordinarie (verbale redatto da
notaio), non sono soggette a controllo di legittimità da parte del notaio.
Superando le incertezze sollevate dalla previgente disciplina, l’art. 2416 c.c. estende alle delibere
dell’assemblea degli obbligazionisti l’intera disciplina dettata per le delibere assembleari nulle ed
annullabili.
2) IL RAPPRESENTANTE COMUNE
È controversa in dottrina è la natura giuridica di tale figura:
16
H.K.8 - (PRESIDENZA DELL’ASSEMBLEA DEGLI OBBLIGAZIONISTI - 1° pubbl. 9/10)
In mancanza del rappresentante comune, l’assemblea degli obbligazionisti può essere presieduta dal presidente della società
o da altro soggetto nominato direttamente dagli intervenuti.
17
H.K.2 - (CONTROLLO DI LEGITTIMITÀ DELLE DELIBERE DEGLI OBBLIGAZIONISTI - 1° pubbl. 9/04)
Le delibere dell’assemblea degli obbligazionisti non sono soggette a controllo di legittimità da parte del notaio ma devono
avere le forme previste per le assemblee straordinarie (verbale redatto da notaio).
Ö parte della dottrina (Salafia e Frè) ritiene che il rappresentante comune sia riconducibile ad un
mandatario con poteri di rappresentanza;
Ö altra parte della dottrina (Campobasso e Cavallo Borgia) ritiene che esso possa essere considerato
a ragione un organo in senso tecnico, in quanto il rappresentante comune è investito di autonomi e
specifici poteri che non sono semplicemente riconducibili alla sola esplicazione di atti
rappresentativi dell'assemblea in senso proprio.
> art. 24171 c.c. Æ NOMINA
Può essere:
• un non obbligazionista;
• una persona giuridica autorizzata all'esercizio dei servizi di investimento, nonché una società
fiduciaria.
Non può essere e, se nominato, decade dall'ufficio:
• un amministratore, un sindaco, un dipendente della società debitrice e colui che si trovi nelle
condizioni previste dall’art. 2399 c.c.
> art. 24172 c.c. Æ «Se non è nominato dall'assemblea a norma dell’articolo 2415, il rappresentante
comune è nominato con decreto dal tribunale su domanda di uno o più obbligazionisti o degli
amministratori della società».
> Art. 24173 c.c.
•
DURATA: il rappresentante comune dura in carica per non più di tre esercizi sociali e può
essere rieletto;
•
COMPENSO: è fissato dall'assemblea degli obbligazionisti;
•
PUBBLICITÀ: entro 30 giorni dalla sua nomina il rappresentante comune deve richiedere
l'iscrizione nel registro delle imprese.
> Art. 2418 c.c.
•
OBBLIGHI:
1. eseguire le deliberazioni dell'assemblea degli obbligazionisti;
2. tutelare gli interessi degli obbligazionisti nei rapporti con la società;
3. assistere all'operazione di sorteggio delle obbligazioni.
•
POTERI:
Essendo un diritto e non un obbligo, la sua presenza non
è necessaria ai fini dell'assemblea totalitaria.
1. diritto di assistere all'assemblea dei soci;
2. rappresentanza processuale.
VICENDE DELLA SOCIETÀ IN PENDENZA DEL PRESTITO
L’esistenza di un prestito obbligazionario può incidere in vario modo sulla vita della società. Occorre
pertanto analizzare le singole vicende sociali in pendenza del prestito:
RIDUZIONE VOLONTARIA DEL CAPITALE: ai sensi dell’art. 24131 c.c. «salvo i casi previsti dal
terzo, quarto e quinto comma dell’articolo 2412, la società che ha emesso obbligazioni non può ridurre
volontariamente (il riferimento è solo alla riduzione reale ex art. 2445) il capitale sociale o distribuire
riserve se rispetto all’ammontare delle obbligazioni ancora in circolazione il limite di cui al primo
comma dell’articolo medesimo non risulta più rispettato».
Ratio: garantire che il rapporto fra la somma del capitale più riserve (legale e disponibili) e le
obbligazioni, fissato dall’art. 24121 c.c., permanga per tutta la durata del prestito obbligazionario.
La riduzione volontaria del capitale non è vietata sempre, ma solo «se» il limite non risulta più rispettato.
La riduzione volontaria è, in altri termini, possibile ove non intacchi il rapporto che deve sussistere tra
capitale e riserve da un lato e obbligazioni dall’altro; si pensi, ad esempio, ai casi in cui le obbligazioni
siano state emesse al di sotto del limite di legge o dopo l’emissione del prestito il capitale sociale sia stato
aumentato o una parte delle obbligazioni sia stata già rimborsata.
È, tuttavia, ammessa la riduzione reale mediante riservizzazione, la quale, risolvendosi in un semplice
mutamento dell’allocazione contabile delle poste di patrimonio netto, non determina alcuna alterazione
rilevante ai sensi dell’art. 2412 c.c.
Quanto alla nozione di riduzione «volontaria» del capitale, si intende solo la riduzione reale ex art. 2445
c.c. Il dubbio nasce dalla considerazione che il 1° comma si riferisce alla riduzione «volontaria» del
capitale (che è quella reale ex art. 2445 c.c.), mentre il successivo 2° comma riguarda la riduzione
«obbligatoria» (in cui rientra la riduzione per perdite obbligatoria ex artt. 24462 e 2447 c.c.).
Praticamente nessuno dei due commi contempla la riduzione facoltativa per perdite ex art. 24461 c.c. (alla
quale deve essere equiparata la riduzione per perdite inferiori al terzo del capitale). Ebbene, deve ritenersi
che la riduzione facoltativa per perdite ex art. 24461 c.c. (e per perdite inferiori al terzo del capitale18) non
rientri nel campo di applicazione del 1° comma, bensì in quello del 2° comma. Ciò anche per coerenza
18
Secondo Cavallo Borgia, invece, la riduzione del capitale per perdite inferiori al terzo deve essere assimilata all’ipotesi di
riduzione volontaria ai sensi dell’art. 24131 c.c. e, come tale, è da considerarsi vietata, a meno che, dopo la riduzione per
perdite inferiori al terzo, il limite di cui all’art. 2412 c.c. risulti ancora rispettato.
con quanto si dirà sub art. 2420 bis c.c. (ove il 4° comma si riferisce alla riduzione «volontaria» ed il 5°
comma alla riduzione «per perdite», per cui la riduzione facoltativa per perdite ha la stessa disciplina
delle altre ipotesi di riduzione per perdite).
RIDUZIONE OBBLIGATORIA DEL CAPITALE: ai sensi dell’art. 24132 c.c. «se la riduzione del
capitale sociale è obbligatoria (in realtà vi sono comprese pure la riduzione facoltativa per perdite ex art.
24461 e la riduzione per perdite inferiori al terzo del capitale), o le riserve diminuiscono in conseguenza
di perdite, non possono distribuirsi utili finché l’ammontare del capitale sociale e delle riserve non
eguagli la metà dell’ammontare delle obbligazioni in circolazione (cioè finché non viene ripristinato il
rapporto fra obbligazioni, da un lato, e capitale più riserve, dall’altro lato)». Il legislatore, a fronte di
un’operazione necessitata, non può imporre un divieto sull’operazione di riduzione obbligatoria, giacché
la deliberazione non è nella disponibilità della società, la quale, anche nell’interesse dei terzi, si limita a
prendere atto del fatto che ci sono state delle perdite. Per questa ragione il legislatore pone una regola che
tende a mitigare gli effetti negativi scaturenti da tale situazione rendendo gli utili non distribuibili fino a
che non sia ripristinato il rapporto fisiologico fissato dall’art. 2412 c.c. Solo con il ripristino di tale
rapporto gli utili torneranno ad essere distribuibili.
Ratio: è (anche in tal caso) garantire che il rapporto fra capitale più riserve ed obbligazioni, fissato
dall’art. 2412 c.c., permanga per tutta la durata del prestito obbligazionario, anche in considerazione del
dato che l’evento è sottratto alla disponibilità degli interessati e richiede una soluzione di compromesso
tra la tutela degli obbligazionisti e l’esigenza della società.
Quanto alla nozione di riduzione «obbligatoria» del capitale, in realtà vi è compresa pure la riduzione per
perdite facoltativa ex art. 24461 c.c. (alla quale ipotesi deve essere equiparata la riduzione per perdite
inferiori al terzo del capitale). In sintesi il 2° comma si applica:
i. alla riduzione «obbligatoria» per perdite ex artt. 24462 e 2447 c.c.;
ii. alle ipotesi di riduzione «obbligatoria» diverse dalla riduzione per perdite (quali la riduzione del
capitale conseguente a revisione della stima ex art. 23434 c.c., la riduzione del capitale per
morosità dell’azionista ex art. 2344 c.c., la riduzione del capitale in caso di mancata alienazione
delle azioni proprie acquistate in violazione dei limiti di legge ex art. 2357 c.c., ecc.);
iii. alla riduzione per perdite facoltativa ex art. 24461 c.c., alla quale deve essere equiparata la
riduzione per perdite inferiori al terzo del capitale.
TRASFORMAZIONE: a differenza della fusione e della scissione, la trasformazione in pendenza di un
prestito obbligazionario non è disciplinata dal legislatore. Né può applicarsi la disciplina dettata in tema
di fusione e di scissione, che è inadeguata in caso di trasformazione della società, ove il problema non è la
tutela degli obbligazionisti, quanto piuttosto la stessa sopravvivenza del prestito obbligazionario.
Il principio, affermato dalla Cassazione ed avallato dalla dottrina prevalente è che non è possibile la
trasformazione di una S.p.A. (che ha in corso un prestito obbligazionario) in società che non possono
emettere obbligazioni (società di persone o S.r.l.). Al fine di procedere alla trasformazione sono necessari
alternativamente:
a) la novazione del prestito in mutuo ordinario (che richiede il consenso unanime degli
obbligazionisti, poiché altera la struttura stessa del prestito);
b) il rimborso anticipato del prestito: tale soluzione è più diffusa e più semplice.
È pacifico che (salvo che il regolamento del prestito già prevedesse il rimborso anticipato in caso di
trasformazione) la società non possa procedere al rimborso anticipato unilateralmente. Ciò che è discusso
è se sia sufficiente l’approvazione dell’assemblea degli obbligazionisti oppure se sia necessario il
consenso di tutti gli obbligazionisti uti singuli19. È preferibile ritenere necessario il consenso di tutti gli
obbligazionisti uti singuti, in quanto non si tratta di modificare le condizioni del prestito, ma di incidere
sugli elementi strutturali del medesimo.
È solo il caso di precisare che, oggi che la S.r.l. può emettere titoli di debito, ci si chiede se sia ammessa
la trasformazione di una S.p.A. che ha in corso un prestito obbligazionario in S.r.l.
Ö tesi 1) (Marchetti, Luoni e il Consiglio Notarile dei distretti riuniti di Firenze, Pistoia e Prato20):
oggi vi sarebbe una soluzione in più rispetto alla novazione del prestito ed al rimborso anticipato:
la società potrebbe trasformarsi in S.r.l. a condizione che ai titolari delle obbligazioni siano date le
stesse garanzie di cui all’art. 2483 c.c. (praticamente i titoli restano in circolazione - non devono
essere ritirati - ma uno dei soggetti di cui all’art. 2483 c.c. rilascia ai possessori una fideiussione);
Ö tesi 2) (Cavallo Borgia): sulla considerazione che i titoli di debito sono diversi dalle obbligazioni,
si deve ritenere che la trasformazione non sia possibile se non previa novazione del prestito o
rimborso anticipato.
FUSIONE E SCISSIONE: stando alla lettera del codice civile, in caso di fusione e scissione, agli
obbligazionisti, in quanto creditori sociali, spetta il «normale» diritto di opposizione ex art. 2503 c.c.
Dispone infatti l’art. 25031 bis c.c. (applicabile anche alla scissione in forza del rinvio ex art. 2506 ter
c.c.) che «i possessori di obbligazioni (semplici o convertibili che siano) delle società partecipanti alla
19
Contra Campobasso, secondo cui, a differenza che nell’ipotesi di novazione, è sufficiente l’approvazione a maggioranza
dell’assemblea degli obbligazionisti, in quanto il rimborso anticipato si traduce in una mera modifica della data di scadenza
del prestito obbligazionario.
20
Consiglio Notarile dei distretti riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, massima del 21 settembre 2011, Trasformazione (fusione e
scissione) di s.p.a. che ha emesso obbligazioni in s.r.l. «Una s.p.a. che ha emesso obbligazioni può trasformarsi in
(partecipare ad una fusione la cui risultante sia una/scindersi dando luogo ad una) società a responsabilità limitata anche
senza estinguere o novare il prestito obbligazionario, purché lo statuto della società trasformata preveda la possibilità di
emettere titoli di debito e, alternativamente: a) le obbligazioni siano state emesse ai sensi dell’art. 2412, 2° comma, c.c., (in
misura eccedente i limiti di cui al Io comma del medesimo articolo ma siano destinate alla sottoscrizione da parte di investitori
professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali) ed i soci-obbligazionisti, ove presenti, abbiano
prestato il loro consenso; b) un soggetto avente le caratteristiche dell’investitore professionale presti una garanzia
fideiussoria in ordine alla solvenza della società trasformata avente le caratteristiche di cui all’articolo 2483 c.c.».
fusione possono fare opposizione a norma dell’art. 2503, salvo che la fusione sia approvata
dall’assemblea degli obbligazionisti (nel qual caso gli obbligazionisti non hanno diritto di opposizione)».
In realtà, la disciplina dettata dal legislatore non è applicabile ad ogni ipotesi di fusione o scissione.
Infatti, se il prestito obbligazionario è assegnato a favore di una società che non può essere titolare di
obbligazioni, la disciplina dell’art. 2503 bis c.c. è inadeguata, perché il problema non è la tutela degli
obbligazionisti, quanto piuttosto la stessa sopravvivenza del prestito obbligazionario. Il prestito
obbligazionario non può sopravvivere a favore della società assegnataria, perché non può essere titolare di
obbligazioni. Deve, pertanto, applicarsi a questa fattispecie il medesimo principio affermato dalla
Cassazione in tema di trasformazione: non è possibile la fusione o la scissione di una S.p.A. (che ha in
corso un prestito obbligazionario) in società che non possono emettere obbligazioni. Al fine di procedere
alla fusione o scissione sono necessari alternativamente:
a) la novazione del prestito in mutuo ordinario,
b) il rimborso anticipato del prestito,
in entrambi i casi previo consenso uti singuli di tutti gli obbligazionisti21.
Le obbligazioni convertibili in azioni
NOZIONE, FUNZIONE, E NATURA GIURIDICA
Nozione: le obbligazioni convertibili sono le obbligazioni che attribuiscono il diritto potestativo di
sottoscrivere azioni della società, in base ad un prefissato rapporto di cambio, utilizzando come
conferimento le somme già versate al momento dell’acquisto delle obbligazioni. Chi esercita il diritto di
conversione cessa di essere obbligazionista e diventa azionista della società. Il capitale investito non è più
capitale di debito ma diventa capitale di rischio. Le obbligazioni convertibili si distinguono da:
¾ le obbligazioni con warrant, che attribuiscono il diritto di sottoscrivere azioni di nuova emissione
ferma restando la qualità di obbligazionista;
¾ i titoli c.d. reverse convertibile, nei quali l’esercizio dell’opzione spetta non già al portatore, bensì
alla società emittente, ovvero avviene in maniera automatica alla scadenza del prestito, per effetto
del superamento di parametri o indici di riferimento predeterminati nel regolamento dei titoli.
La funzione delle obbligazioni convertibili è quella di favorire la raccolta di nuove risorse finanziarie
offrendo al titolare il tempo di decidere, secondo l’evolversi della situazione, se restare obbligazionista
(nel qual caso il valore nominale di rimborso subisce l’inflazione) o diventare azionista (nel qual caso c’è
più rischio ma anche maggiori possibilità di guadagno).
Quanto alla natura giuridica delle obbligazioni convertibili:
ƒ la dottrina prevalente (Forte-Imparato, Cottino, Galgano, Cavallo Borgia, Delucchi) individua un
duplice rapporto: la società e l’obbligazionista sottoscrivono un contratto di mutuo al quale si
aggiunge un contratto di opzione contenente la proposta (irrevocabile), da parte della società, di
21
Cfr., tuttavia, in senso contrario gli orientamenti in materia societaria del Consiglio Notarile dei distretti riuniti di Firenze,
Pistoia e Prato, massima del 21 settembre 2011.
una novazione del rapporto avente causa di finanziamento in un rapporto avente causa di
conferimento sociale:
a) da un Iato, il rapporto di mutuo, comune ad ogni obbligazione, è immutabile senza il
consenso degli obbligazionisti;
b) dall’altro lato, il diritto di conversione ha natura di opzione, in forza del quale il possessore
ha il diritto potestativo di novare il rapporto da mutuo a partecipazione sociale (è
un’opzione di novazione22 da rapporto di mutuo a rapporto di partecipazione sociale). Il
diritto di conversione può mutare in relazione alle vicende della società;
ƒ la dottrina minoritaria (Simonetto) configura la fattispecie come negozio unitario a causa
complessa, la quale consterebbe di un elemento attuale e certo (quello proprio del negozio
obbligazionario) e di un elemento eventuale (quello sociale).
CONDIZIONI E DELIBERA DI EMISSIONE
Per quanto riguarda le condizioni per l’emissione del prestito, da un lato è necessario rispettare i limiti
dettati per ogni tipo di obbligazioni, e, dall’altro lato, devono ricorrere le stesse condizioni previste per
l’aumento di capitale. Pertanto:
a) è necessario rispettare i limiti all’emissione dettati dall’art. 2412 c.c. per ogni tipo di obbligazioni;
b) ex art. 24201 bis c.c. «la deliberazione non può essere adottata se il capitale sociale non sia stato
interamente versato»:
) a differenza che nell’aumento oneroso23, ove la deliberazione non può essere eseguita, ma
può essere adottata (art. 2438 c.c.), nel caso di obbligazioni convertibili la delibera non
può essere neppure «adottata»;
22
Secondo altra parte della dottrina (Casella), invece, la dichiarazione di conversione sarebbe da ricondurre alla figura della
proposta irrevocabile. L’autore, infatti, ravvisa nel prestito obbligazionario convertibile un rapporto di mutuo sul quale si
innesta una proposta irrevocabile, proveniente dalla società emittente, avente ad oggetto la sottoscrizione dell’aumento
deliberato a servizio della conversione. L’esercizio del diritto di conversione, dunque, assumendo la valenza giuridica di
sottoscrizione dell’aumento di capitale a servizio, determinerà l’insorgenza di un debito in capo al soggetto che lo ha
esercitato. Il debito in questione, di conseguenza, concorrerà con il credito vantato nei confronti della società, a causa di
mutuo, dal soggetto che ha convertito. La situazione soggettiva attiva e quella passiva potranno reciprocamente elidersi per
compensazione.
Secondo altra parte della dottrina (Di Sabato) la dichiarazione di conversione sarebbe da ricondurre alla figura
dell’obbligazione alternativa con facoltà di scelta rimessa al creditore, il quale avrebbe diritto alla somma od all’assegnazione
dei nuovi titoli azionari.
Infine è da indicare un’ulteriore qualificazione dottrinaria (Nobili-Vitale: tale definizione - elaborata in assenza di una
normativa specifica - in seguito all’introduzione dell’art. 2420 bis c.c. ad opera della legge n. 216 del 7 giugno 1974, per
giudizio concorde della dottrina, conserva più che altro un interesse storico), secondo la quale il diritto stabilito a favore del
titolare di obbligazioni convertibili dovrebbe essere ricostruito in termini di contratto preliminare unilaterale (che sorgerebbe
all’atto della sottoscrizione), in virtù del quale la società si obbliga a stipulare il contratto definitivo di cessione, mentre
l’obbligazionista è libero di chiedere, o no, la conversione e, quindi, di concludere, o no, il definitivo.
23
La differenza si spiega con il fatto che nel caso contemplato dall’art. 2438 c.c., a differenza di quanto accade in caso di
prestito obbligazionario convertibile, l’organo amministrativo conserva il controllo della situazione, in quanto, ove venisse
deliberato un aumento di capitale in presenza di un precedente aumento non integralmente liberato, l’organo
amministrativo, qualora volesse dare esecuzione anche al secondo aumento, potrebbe chiedere il versamento ai singoli soci
di quanto necessario a liberare il primo. Nel caso di deliberazione del prestito obbligazionario convertibile l’organo
amministrativo, invece, dopo la sua esecuzione, non avrebbe più il controllo della situazione, in quanto la determinazione in
ordine all’esercizio del diritto di conversione (il quale vale sottoscrizione per l’aumento del capitale a servizio) spetta, in
esclusiva, agli obbligazionisti, i quali potranno, mediante il diritto di conversione, dare esecuzione all’aumento del capitale.
) al pari che nell’aumento oneroso, per «capitale sociale» si intende il capitale sottoscritto, e
non quello semplicemente deliberato, con la conseguenza che è possibile deliberare la
emissione di obbligazioni convertibili:
i. in pendenza del termine per la sottoscrizione di un aumento oneroso di capitale,
purché non sia stato sottoscritto nemmeno in parte o la parte di aumento già
sottoscritta sia stata interamente versata (tale integrale versamento dovrà risultare
da un bilancio, sia esso ordinario o straordinario, atteso che si è ritenuta non
sufficiente la semplice attestazione degli amministratori o del collegio sindacale:
cfr. App. Firenze 27 aprile 1982);
ii. in pendenza del termine per la conversione di un ulteriore prestito convertibile, in
quanto l’aumento di capitale a servizio del primo prestito sarà sottoscritto solo con
la conversione (e comunque si tratta di un aumento già interamente liberato). Ciò è
d’altronde espressamente consentito dall’art. 24411 c.c., per il quale «le
obbligazioni convertibili in azioni devono essere offerte in opzione ai soci... Se vi
sono obbligazioni convertibili il diritto dì opzione spetta anche ai possessori di
queste...»;
iii. contestualmente ad una delibera di aumento oneroso di capitale: ovviamente, ai
fini del limite ex art. 2412 c.c., si tiene conto del vecchio capitale (salvo che
l’aumento di capitale sia contestualmente sottoscritto e interamente versato);
c) la società non deve versare nelle condizioni previste dagli artt. 2446 e 2447 c.c.;
d) si ricorda poi che ex art. 24411 c.c. «le obbligazioni convertibili in azioni devono essere offerte in
opzione ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute». Di conseguenza, nel verbale di
emissione deve essere indicato il termine per l’esercizio dell’opzione (non invece il termine di
sottoscrizione, perché esso coincide con il termine per l’esercizio del diritto di conversione).
La competenza a deliberare l’emissione di obbligazioni convertibili spetta all’assemblea straordinaria, e
non all’organo amministrativo (tuttavia si ammette la possibilità di delegare tale potere agli
amministratori ex art. 2420 ter c.c.) come per le obbligazioni semplici, perché vi è da aumentare il
capitale a servizio del prestito (art. 24201 bis c.c.).
La deliberazione di emissione delle obbligazioni convertibili deve, secondo quanto prescritto dall’art.
24201 bis c.c., determinare il rapporto di cambio e il periodo e le modalità della conversione. Solo il
rapporto di cambio è, però, un elemento essenziale della deliberazione di emissione, mentre periodo e
modalità della conversione ne costituiscono elementi naturali ma non imprescindibili. Difatti in caso di
mancata indicazione di questi ultimi la conversione potrà essere esercitata dagli obbligazionisti in ogni
momento e sino alla scadenza del prestito (c.d. conversione continua).
Il RAPPORTO DI CAMBIO
Il rapporto di cambio indica il numero ed il valore nominale delle azioni che è possibile ottenere in
cambio di un determinato numero di obbligazioni convertibili, aventi un dato valore nominale. Esso deve
essere determinato dalla delibera di emissione del prestito (art. 24201 bis c.c.). E si ricorda, inoltre, che
«le obbligazioni convertibili in azioni devono indicare in aggiunta a quanto stabilito nell’articolo 2414, il
rapporto di cambio e le modalità della conversione» (art. 2420 bis, ult. comma, c.c.).
È fondamentale precisare che il «rapporto di cambio» è un rapporto «tra valori» e non solo «tra numero
di titoli», per cui consta non solo di a) un numero di azioni in conversione per ogni obbligazione (ad
esempio: 1 azione per ogni 2 obbligazioni), ma anche di b) del valore nominale delle azioni e delle
obbligazioni (ad esempio: 1 azione da 2 euro per ogni 2 obbligazioni da 1 euro).
Il rapporto di cambio ha la stessa funzione del sovrapprezzo e (nel silenzio della legge) l’assemblea ha la
massima discrezionalità nel determinarlo: l’unico limite è rappresentato dall’art. 23465 c.c.,
espressamente richiamato dall’art. 2420 bis c.c.
Emissione di obbligazioni con disaggio: l'art. 24202 bis c.c. dispone che «si applicano, in quanto
compatibili, le disposizioni del 2°, 3°, 4° e 5° comma dell’articolo 2346». A tale proposito occorre
considerare che:
− da un lato, la riforma del 2003 non ha riprodotto il precedente 3° comma dell’art. 2420 bis c.c.,
che stabiliva che «le obbligazioni convertibili in azioni non possono emettersi per somma
inferiore al loro valore nominale»,
− dall’altro lato, è richiamato il «5° comma» dell’art. 2346 c.c. il quale dispone che «in nessun caso
il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del
capitale sociale».
In sostanza, oggi non vi è più il divieto di emissione delle obbligazioni convertibili sotto la pari, ma solo
il divieto che il valore dei conferimenti sia inferiore al capitale. Per tali considerazioni, si ritiene legittima
la emissione di obbligazioni convertibili con disaggio (cioè per una somma inferiore al loro valore
nominale), purché le condizioni di conversione non comportino violazione dell’art. 23465 c.c.
E discusso, però, quando le condizioni di conversione non comportino violazione dell’art. 23465 c.c.
1. La dottrina, muovendo dal presupposto che la copertura del deliberato aumento di capitale a
servizio della conversione avviene mediante utilizzo della somma di denaro versata dal
sottoscrittore al momento in cui ha sottoscritto le obbligazioni convertibili, ritiene necessario (al
fine di non violare l’art. 23465 c.c.) coprire la differenza tra il prezzo di emissione ed il valore
nominale delle azioni da attribuire in conversione con riserve disponibili della società. Tali riserve
disponibili non sono utilizzate subito, ma sono vincolate a servizio della conversione. Di
conseguenza:
; in caso di conversione, l'aumento di capitale a servizio del prestito è coperto in parte con le
somme sborsate dagli obbligazionisti e per la differenza con la riserva vincolata a servizio
della conversione;
; in caso di mancata conversione, la riserva non è più vincolata a servizio della conversione e
diventa disponibile24.
24
È solo il caso di ricordare che l’utilizzabilità di una simile tecnica non è pacifica (per la tesi favorevole Portale, Cavallo
Borgia, non ammette, invece, tale possibilità: Buonocore), in quanto le riserve disponibili destinate a servizio della
conversione sarebbero distribuite a coloro che convertono le obbligazioni, a danno di coloro che non sottoscrivono il prestito
o che, pur avendolo sottoscritto, non convertono. Praticamente si subordina la possibilità di ciascun socio di partecipare alla
distribuzione della riserva al fatto che egli provveda ad un ulteriore esborso a favore della società (con la sottoscrizione delle
2. Secondo il Consiglio Notarile di Milano25, invece, l’emissione di obbligazioni convertibili per
somma inferiore al loro valore nominale è legittima senza che sia necessario coprire la differenza
tra il prezzo di emissione ed il valore nominale delle azioni da attribuire in conversione con
riserve disponibili della società. È sufficiente che il valore nominale delle azioni da emettere in
sede di conversione non ecceda il credito che spetterebbe agli obbligazionisti a titolo di rimborso
delle obbligazioni stesse per il caso di mancata conversione (credito al rimborso che è pari al
valore nominale dei titoli per cui, in caso di emissione con disaggio, è superiore alla somma
sborsata dagli obbligazionisti per l’acquisto del titolo). Ciò in quanto il Consiglio Notarile di
Milano ritiene che «la copertura del deliberato aumento di capitale a servizio della conversione
avviene... mediante utilizzo del credito che il sottoscrittore delle obbligazioni vanta nei confronti
della società nel caso di mancata conversione, e non con la somma di denaro versata dal
sottoscrittore al momento in cui ha sottoscritto le obbligazioni convertibili, versamento che
costituisce solo un antecedente storico irrilevante in sede di conversione».
3. Si colloca in una posizione intermedia, invece, altra parte della dottrina, la quale ritiene
ammissibile l’emissione di obbligazioni con disaggio, purché il valore delle azioni offerte in
conversione non ecceda la somma originariamente versata dagli obbligazionisti a titolo di prestito
(cfr. Giannelli; ante riforma Casella).
L’AUMENTO DI CAPITALE A SERVIZIO DEL PRESTITO
Ai sensi dell’art. 24202 bis c.c. «contestualmente (per cui non è possibile che l’assemblea si riservi di
aumentare il capitale al momento della conversione) la società deve deliberare l’aumento del capitale
sociale per un ammontare corrispondente alle azioni da attribuire in conversione...».
È questo il c.d. aumento di capitale a sevizio del prestito obbligazionario, che è un «aumento»:
i. oneroso, perché avviene contro un conferimento rappresentato dalle somme versate dagli
obbligazionisti per l’acquisto dei titoli. Pertanto si ha un aumento sia del capitale nominale, sia del
patrimonio della società (considerato che, in conseguenza della conversione, la società non deve
più rimborsare il prestito);
ii. deliberato, non sottoscritto (perché l’eventuale sottoscrizione avverrà solo con la conversione), ma
iii.
già versato (perché quale versamento si utilizza la somma pagata al momento dell’acquisto delle
obbligazioni);
necessariamente ad esecuzione differita e progressiva;
obbligazioni) ed alla conversione. Nulla quaestio ove vi sia il consenso di tutti i soci. È invece discusso se una simile tecnica
possa essere adottata a maggioranza dei soci per la considerazione che il potenziale danno per chi è già socio, derivante
dall’utilizzazione delle riserve in favore degli obbligazionisti convertibili, è eliminato dall’offerta dei titoli in opzione ai soci.
25
61. Emissione di obbligazioni convertibili con disaggio (art. 2420-bis c.c.)
Si reputa legittima la deliberazione di emissione di obbligazioni convertibili anche per somma inferiore al loro valore
nominale, purché le condizioni di conversione non comportino violazione dell'art. 2346, comma 5, c.c. e quindi purché il
valore nominale delle azioni da emettere in sede di conversione non ecceda il credito che spetterebbe agli obbligazionisti a
titolo di rimborso delle obbligazioni stesse per il caso di mancata conversione.
iv.
necessariamente scindibile (in quanto, essendo ben possibile che solo alcuni obbligazionisti
convertibili esercitino il diritto di conversione, ove fosse prevista l’inscindibilità la volontà di
conversione di alcuni sarebbe rimessa alla mercé del diniego di altri obbligazionisti convertibili
che non intendano esercitare il diritto di conversione);
v. non revocabile fino a quando non sia decorso il termine per la conversione (l’eventuale successiva
deliberazione di revoca dell’aumento di capitale rivolto alla conversione sarebbe nulla per illiceità
dell’oggetto).
L’aumento di capitale a servizio è di ammontare «corrispondente alle azioni da attribuire in
conversione» e non al valore nominale delle obbligazioni. Se le azioni sono senza valore nominale,
invece, si deve far riferimento al c.d. valore inespresso delle stesse.
Sul piano redazionale si pone la questione se l'assemblea che delibera l'aumento di capitale a servizio
possa, o no, modificare la clausola dello statuto relativa al capitale. Poiché l’aumento di capitale a
servizio è un aumento scindibile, non è possibile sapere quale sarà la nuova cifra del capitale (essa
dipende dal numero delle obbligazioni che saranno convertite), per cui non è possibile modificare fin da
subito lo statuto sociale con la nuova cifra del capitale sociale, anche in considerazione del testuale
richiamo dell’art. 24202 bis c.c. all’art. 2444 c.c.
L’unica modifica dello statuto, che (al momento) è possibile, è una modifica provvisoria, con la quale si
mantiene inalterata la cifra attuale del capitale sociale, e si fa menzione della esistenza di un aumento di
capitale deliberato ma non ancora sottoscritto. Poiché vi è una modifica (sia pure provvisoria) dello
statuto, al verbale notarile può essere allegato lo statuto aggiornato.
Obbligazioni convertibili in azioni proprie già emesse: contestualmente alla delibera di emissione del
prestito, la società «deve» deliberare l’aumento di capitale a sevizio del prestito obbligazionario (art.
24202 bis c.c.). In realtà l’aumento di capitale a servizio non è sempre necessario.
Se la società possiede azioni proprie in portafoglio, si ritiene (Campobasso, Forte, Comitato Triveneto dei
Notai26) possibile che, in luogo di azioni di futura emissione, la società offra in conversione le azioni
proprie già emesse. In altri termini, la società possiede azioni proprie ed emette obbligazioni convertibili
in azioni proprie.
Procedimento indiretto di emissione: il codice civile disciplina solo il c.d. procedimento diretto di
emissione, che si ha quando le azioni da attribuire in conversione sono quelle della stessa «società»
emittente. Non è invece disciplinato, ma si ritiene lecito27, il c.d. procedimento indiretto di emissione
26
H.K.10 - (OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI IN AZIONI PROPRIE GIÀ EMESSE E DETENUTE IN PORTAFOGLIO DALLA SOCIETÀ
EMITTENTE - 1° pubbl. 9/11 - motivato 9/11)
Si ritiene ammissibile l’emissione di obbligazioni convertibili in azioni proprie già emesse e detenute in portafoglio dalla
società
emittente.
In tal caso, posto che l’emissione non necessita di una contemporanea delibera di aumento di capitale, la competenza a
deliberare l’emissione delle obbligazioni convertibili spetta all’organo amministrativo (salvo diversa disposizione
statutaria), secondo la regola generale dell’art. 2410, comma 1, c.c., ovviamente nel rispetto dell’art. 2346 c.c. (e non
all’assemblea straordinaria ex art. 2420 bis, comma 1, c.c.) e previa delibera dell’assemblea ordinaria che autorizzi la
dismissione delle azioni proprie ex art. 2357 ter c.c.
27
L’unica voce contraria tra gli autori (che, pur giustificandosi nel periodo storico in cui fu avanzata, risulta oggi destituita di
ogni fondamento logico e normativo) è quella di Simonetto, il quale nega che nel nostro ordinamento possa essere
riconosciuta cittadinanza a tale procedimento. L’opinione prende le mosse dal fatto che fino al 1974 l’unico procedimento ad
essere stato disciplinato dal legislatore era proprio quello indiretto. Con la riforma del 1974, invece, il legislatore, innovando
(frequente nel fenomeno dei gruppi di società), che si ha quando le obbligazioni emesse da una società
sono convertibili in azioni di un’altra società.
Le circostanze che consentono il procedimento indiretto di emissione sono sostanzialmente due:
1) la società che emette le obbligazioni convertibili ha già nel proprio portafoglio le azioni dell’altra
società da attribuire in conversione. In tal caso, non vi è aumento di capitale a servizio della
conversione, ma la società che ha emesso le obbligazioni assegna in conversione (agli
obbligazionisti) le azioni dell'altra società che ha nel proprio portafoglio28. È opportuno precisare
nel verbale che le azioni dell’altra società sono sottoposte ad un vincolo di indisponibilità per tutto
il termine di conversione;
2) la società che emette le obbligazioni convertibili non ha nel proprio portafoglio le azioni dell’altra
società da attribuire in conversione, per cui è necessario che questa seconda società deliberi un
aumento di capitale a servizio della conversione delle obbligazioni emesse dalla prima società.
Sarà necessario un accordo29 tra le due società, in forza del quale la prima società emette
obbligazioni convertibili in azioni della seconda società e la seconda società delibera un aumento
di capitale a servizio del prestito emesso dalla prima società. L’aumento dovrà espressamente
escludere il diritto di opzione in favore dei soci originari della società che lo delibera in modo che
trovi, a tal riguardo, applicazione l’art. 2441 c.c. per il caso di esclusione del diritto di opzione.
Ci si chiede come debba essere coperto l’aumento di capitale, visto che le somme versate dagli
obbligazionisti sono state versate alla società che ha emesso il prestito, e non a quella che aumenta il
capitale. Ebbene, vi sarà un accordo contrattuale tra le due società, per il quale la società che ha emesso il
prestito dovrà corrispondere alla società che ha aumentato il capitale a servizio le somme sborsate dagli
obbligazionisti che esercitano il diritto di conversione. L’accordo contrattuale può essere anche di altro
tipo: ad es. preliminare di vendita di azioni proprie possedute dalla società che non ha emesso il prestito
obbligazionario.
IL PROCEDIMENTO DI CONVERSIONE
La conversione è l’atto con cui il titolare dell’obbligazione convertibile perfeziona il contratto di
sottoscrizione delle azioni, esercitando il diritto (potestativo) derivantegli dalla posizione di oblato
dell’opzione, realizzando una novazione che produce, da un lato, la estinzione del rapporto di mutuo e,
dall’altro, la costituzione del rapporto societario.
È discusso a chi spetti il diritto di conversione, ove le obbligazioni convertibili siano costituite in pegno o
usufrutto, ed il termine per la conversione scada dopo l'estinzione del vincolo:
il sistema, ha esplicitamente consentito il procedimento diretto, ma non ha più fatto menzione di quello indiretto,
escludendo, dunque, ad opinione dell’autore, che il procedimento indiretto possa considerarsi ammissibile.
28
Più precisamente nella operazione anzidetta la società emittente destina le azioni dell’altra società in portafoglio ad una
gestione speciale, assumendo l’impegno di non disporne e vincolarle in alcun modo per tutto il periodo della convertibilità. Si
sottolinea che una eventuale violazione dell’obbligo da parte della società emittente, salva la responsabilità risarcitoria a
carico di quest’ultima, non incide in alcun modo sulla validità dell’acquisto effettuato dal terzo estraneo al rapporto tra
sottoscrittore ed emittente.
29
Forte-Imparato sottolineano che si tratta, probabilmente, di un contratto a favore di terzo per il quale l'obbligazionista
acquista il diritto alla conversione delle obbligazioni emesse da un soggetto, in azioni emesse dall’altro.
| tesi 1) (Jannuzzi): il diritto di conversione potrebbe essere esercitato dal creditore pignoratizio o
dall’usufruttuario;
| tesi 2) (Cavallo Borgia): la conversione, in quanto atto dispositivo, spetterebbe senza dubbio al
nudo proprietario, e ciò anche in virtù della applicazione analogica dell’art. 2352 c.c., il quale
attribuisce il diritto di opzione in caso di aumento oneroso al nudo proprietario delle azioni;
| tesi 3) (Campobasso): in considerazione della complessità della fattispecie, l’esercizio del diritto
di conversione richiede l’accordo del nudo proprietario e del titolare del diritto reale.
Quanto al procedimento di conversione dei titoli:
a) se la delibera di emissione non ha fissato particolari cadenze temporali per l’esercizio della
conversione, gli obbligazionisti possono esercitare la conversione in ogni momento e fino alla
scadenza del prestito (c.d. conversione continua). In tal caso trova piena applicazione l’art. 24203
bis c.c. per il quale «nel primo mese di ciascun semestre gli amministratori provvedono
all’emissione delle azioni spettanti agli obbligazionisti che hanno chiesto la conversione nel
semestre precedente. Entro il mese successivo gli amministratori devono depositare per
l’iscrizione nel registro delle imprese un’attestazione dell’aumento del capitale sociale in misura
corrispondente al valore nominale delle azioni emesse. Si applica la disposizione del secondo
comma dell’articolo 2444»;
b) normalmente, però, la delibera di emissione fissa particolari cadenze temporali per l’esercizio
della conversione (es. dal primo al 30 novembre di ciascun anno). In tal caso l’art. 24203 bis c.c.
deve essere adattato e l’emissione delle azioni avverrà nel mese successivo alla scadenza di
ciascun termine.
LA DELEGA ALL’ORGANO AMMINISTRATIVO PER L’EMISSIONE DI OBBLIGAZIONI
CONVERTIBILI
La decisione di procedere all’emissione di obbligazioni convertibili rientra nelle competenze
dell’assemblea. Così come previsto per gli aumenti di capitale, la competenza dell’assemblea non ha
tuttavia carattere inderogabile: ai sensi dell’art. 2420 ter c.c., infatti, «lo statuto può attribuite agli
amministratori la facoltà di emettere in una o più volte obbligazioni convertibili30, fino ad un ammontare
determinato (primo limite; secondo la dottrina la mancata indicazione dell’ammontare massimo
determinerebbe la nullità della delega) e per il periodo massimo di cinque anni (secondo limite) dalla
data di iscrizione della società nel registro delle imprese. In tal caso la delega comprende anche quella
relativa al corrispondente aumento del capitale sociale»31. Tale facoltà «può essere attribuita anche
mediante modificazione dello statuto, per il periodo massimo di cinque anni dalla data della
deliberazione» (e non dalla iscrizione nel Registro delle Imprese). Infine, «si applica il secondo comma
dell’articolo 2410».
30
Gli amministratori hanno ampia libertà, sia in merito all’opportunità di deliberare il prestito, sia in merito alle
caratteristiche delle obbligazioni convertibili (quali ad esempio gli interessi, la durata, le garanzie, il rapporto di cambio, ecc.).
Inoltre la delega comprende anche il potere di proporre all’assemblea degli obbligazionisti eventuali modificazioni delle
condizioni del prestito in pendenza del termine per il rimborso o la conversione.
31
Tale delega è applicabile solo all’emissione di obbligazioni convertibili da realizzarsi con il procedimento diretto e non al
prestito obbligazionario ove sono offerte in conversione azioni già detenute dalla società emittente o da attuarsi mediante il
procedimento indiretto.
La disposizione prevede la delega solo per l’emissione di «obbligazioni convertibili» (e non pure per
l’emissione di obbligazioni semplici) perché l'emissione di obbligazioni semplici è già di competenza
dell’organo amministrativo (art. 2410 c.c.). Qualora però lo statuto preveda (per l’emissione di
obbligazioni semplici) la competenza dell’assemblea, si ritiene ammissibile la delega all’organo
amministrativo anche per l’emissione di obbligazioni semplici.
Per il resto, valgono le medesime considerazioni che saranno svolte in merito alla delega all’aumento di
capitale. In particolare:
a) la ratio della norma è quella di rimettere agli amministratori la scelta del momento più adatto per
l’emissione dei titoli;
b) il limite di cui all’art. 2412 c.c. deve essere calcolato al momento della decisione dell’organo
amministrativo di emissione del prestito, e non al momento della delega;
c) quando la delega all’organo amministrativo della facoltà di aumentare il capitale sociale è inserita
nello statuto successivamente, mediante «modificazione dello statuto», si tratta di un’unica delega,
e cioè di una delega concreta;
d) la delega non spoglia l’assemblea del potere di modificare lo statuto sociale: di conseguenza,
permane in capo all’assemblea una «competenza concorrente» con quella dell’organo
amministrativo.
VICENDE SOCIALI IN PENDENZA DEL PERIODO DI CONVERSIONE
La legge si preoccupa di tutelare (durante il periodo di conversione) due esigenze:
1. da un lato, la esigenza di tutelare i possessori delle obbligazioni convertibili di fronte ad
operazioni sociali che possono alterare la loro eventuale posizione di futuri azionisti;
2. dall’altro Iato, l’esigenza di tutelare la libertà di decisione della società, cioè l’esigenza di
modificare la struttura della società in relazione ai mutamenti nel tempo.
Il legislatore risolve tale «conflitto»:
− a volte (aumento gratuito di capitale, riduzione di capitale per perdite) con la modifica del
rapporto di cambio;
− altre volte (riduzione reale di capitale, fusione e scissione) con Fattribuzione della facoltà di
conversione anticipata.
A ben vedere, sembra che il legislatore (tra le due esigenze) privilegi quella di tutelare la libertà di
decisione della società.
Ciò premesso, è possibile analizzare le singole vicende sociali in pendenza del prestito.
AUMENTO ONEROSO DI CAPITALE: ai sensi dell’art. 24411 c.c. «se vi sono obbligazioni
convertibili il diritto di opzione spetta anche ai possessori di queste, in concorso con i soci, sulla base del
rapporto di cambio (inteso in senso sostanziale e non formale)».
Ratio: consentire all’obbligazionista di mantenere inalterata la futura partecipazione alla società.
Il diritto di opzione spetta agli obbligazionisti convertibili in quanto «possessori» dei titoli e non in
quanto soci, talché per esercitare l’opzione gli obbligazionisti convertibili non devono prima esercitare il
diritto di conversione e diventare soci.
Nel caso in cui vi siano obbligazionisti convertibili e la società intenda, in pendenza di un prestito
obbligazionario convertibile, deliberare l’aumento oneroso del capitale sociale, gli obbligazionisti
convertibili, in concorso con i soci, hanno il diritto di opzione in proporzione al rapporto di cambio.
Esempio:
• La Società Alfa S.p.A. ha un capitale sociale di 200.000 euro diviso in 200.000 azioni del valore
nominale di 1 euro;
• emette un prestito obbligazionario convertibile con procedimento diretto per 100.000 euro: il
valore di ciascuna obbligazione è di 1 euro e il rapporto di cambio è fissato in 2:1, cioè per ogni
due obbligazioni si otterrà un’azione;
• contestualmente delibera l’aumento a servizio per 50.000 euro; pertanto, l’obbligazionista che
converta avrà 1/5 sul capitale sociale post aumento a servizio, cioè 50.000 azioni da 1 euro a
fronte di un capitale sociale di 250.000 euro;
• in seguito delibera, in pendenza del prestito obbligazionario convertibile, un aumento oneroso per
100.000 euro: l’opzione spetterà per 4/5 (80.000 euro) ai soci e per 1/5 (20.000)
all’obbligazionista convertibile; se entrambe le classi esercitano il diritto di opzione il nuovo
capitale sociale sarà di 300.000 euro ripartito in 280.000 euro ai soci e 20.000 euro
all’obbligazionista convertibile;
• se l’obbligazionista convertibile eserciterà il diritto di conversion,e il capitale sociale, a seguito
della sottoscrizione dell’aumento deliberato a servizio del prestito, diventerà 350.000 di cui
280.000 ai soci originari e 70.000 (50.000 + 20.000) al soggetto che convertendo è diventato
socio (così è rispettato il rapporto sostanziale di cambio fissato in 1/5).
Nel momento in cui sorge il diritto di opzione in capo all’obbligazionista convertibile, costui,
ovviamente, non è ancora un socio (se non in termini potenziali) e non è detto che, alla scadenza del
prestito, desideri acquisire tale status. L’obbligazionista convertibile, pertanto, si troverebbe nella
condizione di esercitare il diritto di opzione sull’aumento oneroso che gli farebbe acquisire la qualità di
socio prima ed indipendentemente dall’esercizio della conversione. Sul punto la dottrina è divisa:
1. tesi minoritaria (Cavallo Borgia): la sottoscrizione dell’aumento di capitale, in attuazione del
diritto di opzione riservato all’obbligazionista convertibile, sarebbe subordinata alla condizione
risolutiva della mancata conversione al termine del prestito. Per questa ragione ove
l’obbligazionista convertibile abbia esercitato il diritto di opzione sull’aumento di capitale e poi,
alla scadenza del prestito obbligazionario, si determini ad esercitare il diritto di conversione sarà
socio a tutti gli effetti, mentre nel caso in cui, pur avendo sottoscritto l’aumento di capitale in
esecuzione del diritto di opzione, non voglia, alla scadenza del prestito obbligazionario, esercitare
tale diritto perderà, con effetto retroattivo, lo status acquistato (che dà, medio tempore, a tutti i
correlativi diritti);
2. tesi maggioritaria: l’obbligazionista che, pendente il prestito obbligazionario, sottoscriva, in
esecuzione del diritto di opzione, un aumento del capitale sociale acquista la qualità di socio
ancorché poi, alla scadenza del prestito, non eserciti il diritto di conversione. La società, dunque,
corre il rischio, deliberando un aumento oneroso del capitale sociale in presenza di un prestito
obbligazionario convertibile, di vedere mutata la compagine sociale a causa della sottoscrizione di
soggetti che poi decidano di non convertire.
È pacifico che il diritto di opzione non «spetta» agli obbligazionisti convertibili sempre, in quanto (anche
in presenza di obbligazioni convertibili) è possibile l’esclusione del diritto di opzione medesimo. Ciò che
è discusso è se l’esclusione dell’opzione possa essere decisa unilateralmente dalla società, o se invece sia
necessaria l'approvazione dell’assemblea degli obbligazionisti. È opinione prevalente in dottrina quella
secondo cui per l’esclusione dell’opzione non è necessaria l’approvazione dell’assemblea degli
obbligazionisti, in quanto:
1) l’esclusione dell’opzione non realizza una «modificazione delle condizioni del prestito» tale da
richiedere l’intervento dell’assemblea ex art. 2415 n. 2, c.c.;
2) (come si è visto sub art. 2415 c.c.) l’assemblea degli obbligazionisti è necessaria per le decisioni
che pregiudicano solo gli obbligazionisti, mentre qui la decisione pregiudica anche i soci.
È solo il caso di precisare che diversa dalla esclusione dell’opzione è la rinuncia all’opzione, per la quale
è necessario il consenso di tutti gli obbligazionisti uti singuli.
Ai sensi dell’art. 24413 c.c. «coloro (sia gli azionisti che gli obbligazionisti convertibili) che esercitano il
diritto di opzione... hanno diritto di prelazione nell’acquisto delle azioni e delle obbligazioni convertibili
in azioni che siano rimaste non optate...». Si ritiene che il diritto di prelazione sull’inoptato spetti
all’interno di ciascuna categoria (azionisti e obbligazionisti), cioè gli obbligazionisti avranno il diritto di
prelazione sulla parte di capitale loro riservata e rimasta inoptata; idem per gli azionisti.
È discusso se la disciplina dei limiti al diritto di opzione, prevista letteralmente solo per l’emissione di
azioni, si applichi anche nel caso di emissione di nuove obbligazioni convertibili:
→ tesi negativa minoritaria (Rivolta): parte della dottrina si è espressa in senso negativo aderendo al
dato letterale della norma;
→ tesi positiva maggioritaria (Cavallo Borgia, Marchetti, Genghini): anche in caso di emissione di
obbligazioni convertibili sussistono gli stessi interessi che possono giustificare l’esclusione del
diritto di opzione.
AUMENTO GRATUITO DI CAPITALE: ai sensi dell’art. 24205 bis c.c. «nei casi di aumento del
capitale mediante imputazione di riserve... il rapporto di cambio è modificato in proporzione alla misura
dell’aumento..».
Ratio: mantenere inalterata la futura partecipazione alla società degli obbligazionisti convertibili, in
quanto, se non fosse previsto un meccanismo di adeguamento del rapporto di cambio, i sottoscrittori del
prestito obbligazionario risulterebbero danneggiati dall’operazione di aumento gratuito, poiché il numero
di azioni alle quali avrebbero diritto in sede di conversione risulterebbe pari ad una percentuale minore
rispetto a quella iniziale. Pertanto, il rapporto di cambio è modificato in senso più favorevole agli
obbligazionisti.
La modifica del rapporto di cambio teoricamente è automatica32; in pratica, è opportuno che la delibera di
aumento gratuito precisi quale sia in concreto il nuovo rapporto di cambio.
Occorre domandarsi in cosa consista la «modifica» del rapporto di cambio. A tale proposito, si deve
distinguere a seconda delle modalità di attuazione dell’aumento:
a) se l’aumento è attuato mediante emissione di nuove azioni, vi sarà un aumento del numero delle
azioni da attribuire in conversione (fermo restandone il valore nominale), realizzato mediante la
modifica numerica del rapporto di cambio;
b) se l’aumento è attuato mediante aumento del valore nominale delle azioni in circolazione, il
rapporto di cambio resta immutato quale rapporto numerico, ma vi sarà l’aumento del valore
nominale delle azioni da attribuire in conversione.
Il codice civile si riferisce solo alla necessità di modificare il rapporto di cambio; generalmente la dottrina
con il termine «rapporto di cambio» identifica esclusivamente il rapporto numerico tra obbligazioni e
azioni e, conseguentemente, è costretta ad affermare che la modifica dei rapporto di cambio è necessaria
solo nel caso di aumento gratuito con emissione di nuove azioni. Se si aderisce alla nozione di «rapporto
di cambio» riferita non solo al rapporto numerico tra titoli (obbligazioni-azioni) ma riferita anche al
rapporto dei valori tra i titoli medesimi, è possibile affermare che il rapporto di cambio (non in senso
numerico) si modifica anche in caso di aumento gratuito di capitale realizzato con aumento del valore
nominale delle azioni.
La modifica del rapporto di cambio comporta un aumento della quota di capitale a servizio del prestito, e
tale aumento della quota di capitale a servizio deve essere coperto con una corrispondente riserva
patrimoniale. In sintesi dottrina e giurisprudenza ritengono necessario, oltre alla modifica del rapporto di
cambio, costituire un’apposita riserva (c.d. «riserva da conversione»), destinata a coprire l’aumento della
quota di capitale a servizio. A tal fine, la prassi notarile ha elaborato due tecniche, che si distinguono a
seconda del momento in cui è formata la riserva da conversione, e delle risorse utilizzate per formare tale
riserva:
→ con la prima tecnica (il c.d. doppio aumento) la riserva da conversione è formata al momento della
conversione, utilizzando le somme pagate quale eventuale sovrapprezzo dagli obbligazionisti che
convertono;
→ con la seconda tecnica (il c.d. aumento in parte accantonato) la riserva da conversione è formata
subito, accantonando a riserva una parte dell’aumento gratuito.
C.d. doppio aumento: la prima tecnica per coprire l’aumento della quota di capitale a servizio è quella
del c.d. doppio aumento. È meno diffusa rispetto a quella dell’aumento in parte accantonato, e non è
utilizzabile sempre, ma solo nel caso in cui il rapporto di cambio azioni/obbligazioni sia tale che le azioni
risultino emesse con sovrapprezzo, e che quest’ultimo sia sufficiente a coprire l’aumento della quota di
capitale a servizio. In questo caso, il valore nominale delle azioni attribuite in conversione è inferiore al
32
H.K.5 - (MODIFICA DEL RAPPORTO DI CAMBIO DELLE OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI IN SEGUITO AD AUMENTI GRATUITI O
A RIDUZIONI PER PERDITE DEL CAPITALE SOCIALE 1° pubbl. 9/07)
La modifica proporzionale del rapporto di cambio delle obbligazioni convertibili, nei casi di aumento del capitale mediante
imputazione di riserve o di riduzione del capitale per perdite, avviene automaticamente ai sensi dell’art. 2420 bis, penultimo
comma, c.c., senza necessità che la delibera relativa a dette operazioni lo preveda espressamente.
valore nominale delle obbligazioni convertite. Al momento della conversione delle obbligazioni, si
formerà pertanto una riserva (c.d. riserva da conversione) pari alle somme pagate quale sovrapprezzo. La
tecnica del doppio aumento si articola nelle seguenti fasi:
− si delibera un primo aumento gratuito di capitale a favore dei soli soci, destinandovi (a differenza
che nell’aumento in parte accantonato) l’intero importo che si intende imputare a capitale;
− contestualmente si aumenta la quota di capitale a servizio e si prevede che, al momento della
conversione, la riserva da conversione sia imputata a copertura dell’aumento della quota di
capitale a servizio;
− modifica del rapporto di cambio;
− gli obbligazionisti esercitano il diritto di conversione e (con la conversione) si forma la c.d. riserva
da conversione;
− la riserva da conversione è imputata a capitale, così realizzando un secondo aumento gratuito a
favore dei soli obbligazionisti.
C.d. Aumento in parte accantonato: la tecnica più semplice, più diffusa e preferibile per coprire
l’aumento della quota di capitale a servizio, è quella del c.d. aumento in parte accantonato. Essa ricorre
quando, dell'importo che si vuole imputare a capitale: una parte (quella spettante ai soci) è imputata a
capitale subito; un’altra parte (quella spettante agli obbligazionisti convertibili) è accantonata a riserva e
sarà imputata a capitale al momento della conversione. L’intera operazione si configura nel seguente
ordine:
− si delibera un primo aumento gratuito di capitale a favore dei soli soci destinandovi solo una parte
dell’importo che si intende imputare a capitale;
− contestualmente si aumenta la quota di capitale a servizio e la restante parte dell’importo è
accantonata a riserva (c.d. riserva da conversione) a favore degli obbligazionisti che dovessero
decidere di convertire;
− modifica del rapporto di cambio;
− attribuzione a coloro che esercitano la conversione, delle azioni loro spettanti mediante passaggio
della riserva da conversione a capitale. Tale riserva è una riserva:
a) indisponibile, perché è vincolata a servizio della conversione;
b) speciale, perché le perdite incidono sulla medesima solo al pari che sul capitale.
Se gli obbligazionisti non convertono, la riserva diventa disponibile (c.d. «riserva da mancata
conversione»).
RIDUZIONE DEL CAPITALE PER PERDITE: preliminarmente occorre ricordare che, come per
ogni tipo di obbligazione, anche per le obbligazioni convertibili trova applicazione il principio generale
dell’art. 24132 c.c., secondo cui «se la riduzione del capitale sociale è obbligatoria... non possono
distribuirsi utili sinché l’ammontare del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili
non eguagli la metà dell'ammontare delle obbligazioni in circolazione».
Ciò premesso, ai sensi dell’art. 24205 bis c.c. «nei casi... di riduzione del capitale per perdite
(obbligatoria o facoltativa33), il rapporto di cambio (nonché la quota di capitale a servizio) è modificato in
proporzione alla misura... della riduzione».
Ratio: evitare che chi converte acquisti una quota di partecipazione maggiore di quella offertagli al
momento dell’emissione del prestito convertibile, mantenendo inalterata la futura partecipazione alla
società degli obbligazionisti convertibili.
II rapporto di cambio è modificato in senso sfavorevole34 agli obbligazionisti.
Al pari di quanto visto per l’aumento gratuito, la modifica del rapporto di cambio teoricamente è
automatica; in pratica, è opportuno che la delibera di riduzione precisi quale sia in concreto il nuovo
rapporto di cambio.
Occorre domandarsi in cosa consista la «modifica» del rapporto di cambio. A tale proposito, occorre
distinguere a seconda delle modalità di attuazione della riduzione:
a) se la riduzione è attuata lasciando inalterato il valore nominale delle azioni, ma riducendone il
numero (c.d. raggruppamento), vi sarà una correlativa riduzione del numero delle azioni da
attribuire in conversione, realizzato mediante la modifica numerica del rapporto di cambio;
b) se la riduzione è attuata mediante riduzione del valore nominale delle azioni in circolazione, il
rapporto di cambio resta immutato quale rapporto numerico, ma vi sarà la riduzione del valore
nominale delle azioni da attribuire in conversione (fermo restandone il numero).
AZZERAMENTO DEL CAPITALE: l’art. 24205 bis c.c. menziona solo la «riduzione» del capitale per
perdite, ma è pacifico che la medesima disciplina si applichi anche in caso di azzeramento del capitale: in
tal caso a seguito della completa riduzione del valore nominale o del numero delle azioni offerte in
conversione, è azzerato il rapporto di cambio.
33
Per riduzione del capitale «per perdite» si intende: la riduzione «per perdite» obbligatoria ex artt. 24462 e 2447 c.c.; la
riduzione «per perdite» facoltativa ex art. 24461 c.c. (alla quale è equiparata la riduzione per perdite inferiori al terzo del
capitale); può discutersi se la norma possa applicarsi per analogia anche alle ipotesi di riduzione «obbligatoria» diverse dalla
riduzione «per perdite» (quali la riduzione del capitale conseguente a revisione della stima ex art. 23434 c.c., la riduzione del
capitale per morosità dell’azionista ex art. 2344 c.c., la riduzione del capitale in caso di mancata alienazione delle azioni
proprie acquistate in violazione dei limiti di legge ex art. 2357 c.c., ecc.).
In merito cfr. Comitato Triveneto dei Notai, massima H.K.11. - RIDUZIONE FACOLTATIVA PER PERDITE IN PENDENZA DI
PRESTITO OBBLIGAZIONARIO CONVERTIBILE «L’ipotesi di riduzione del capitale sociale per perdite facoltativa (non
obbligatoria ex artt. 2446-2447 cod. civ., per quanto volontaria) rientra nell’ambito di applicazione dell'art. 2420 bis, 5°
comma, cod. civ. e non del 4° comma di detto articolo. È infatti da ritenersi che l’espressione "riduzione volontaria" di cui al 4°
comma dell'art. 2420 bis cod. civ. riguardi solo le ipotesi di riduzione reale del capitale sociale».
34
In realtà è discusso se il rapporto di cambio debba essere modificato in senso favorevole, oppure in senso sfavorevole agli
obbligazionisti.
> tesi minoritaria (Valgavi): la modifica sarebbe in senso favorevole agli obbligazionisti, cioè agli obbligazionisti
dovrebbe essere attribuita la stessa quota di capitale a servizio di prima. Ciò in quanto gli obbligazionisti sono
creditori, per cui non devono risentire delle perdite;
> tesi maggioritaria (Campobasso, Fazzuti, Forte-Imparato), il rapporto di cambio deve essere modificato in senso
sfavorevole agli obbligazionisti. In altri termini deve essere ridotta la quota di capitale a servizio, in quanto:
i.
il rapporto di forze deve rimanere inalterato;
ii.
le perdite devono gravare pure sugli obbligazionisti convertibili, per il principio di parità di trattamento tra soci
attuali e soci futuri (da notare che, a seguito della modifica del rapporto di cambio, agli obbligazionisti
convertibili non converrà più convertire, perché se convertono subiscono le perdite, mentre se non
convertono restano creditori per cui non subiscono le perdite).
È discusso, tuttavia, se (una volta azzerato il capitale ed il rapporto di cambio) gli obbligazionisti
convertibili abbiano il diritto di opzione sul contestuale aumento (ricostituzione) del capitale:
) secondo parte della dottrina (Fazzuti, Tedeschi) gli obbligazionisti convertibili non avrebbero
l’opzione sull’aumento perché, azzerato il rapporto di cambio, non hanno più il diritto di
conversione: sono cioè diventati obbligazionisti semplici, ai quali non spetta il diritto di opzione;
) altra parte della dottrina (Cavallo Borgia), invece, afferma, applicando analogicamente l’art. 24204
bis c.c., che occorrerebbe offrire agli obbligazionisti convertibili la facoltà di convertire
anticipatamente, al fine di permettere loro di partecipare quali azionisti alla delibera di
ricostituzione del capitale sociale. Tale ricostruzione è criticabile per i seguenti motivi:
i. non si comprende l’esatta portata del diritto alla conversione, visto che il rapporto di
cambio si è completamente azzerato;
ii. non è equo imporre agli obbligazionisti di rinunciare al proprio credito verso la società,
acquisendo la veste di azionisti al solo fine di poter esercitare il diritto di opzione;
) secondo la dottrina preferibile e prevalente (Campobasso, Casella, Nobili-Vitale) ed il Comitato
Triveneto dei Notai35, i portatori di obbligazioni convertibili perdono il diritto di conversione, ma
mantengono quello di opzione sul successivo aumento volto a ricostituire il capitale sociale. Infatti
non vi è ragione per diversificare la loro posizione da quella dei soci (anche i soci sono titolari di
azioni che valgono zero, eppure hanno il diritto di opzione sulla ricostituzione del capitale). In
altri termini, le obbligazioni convertibili diventano semplici non per effetto del mero azzeramento
del rapporto di cambio, ma solo a seguito della ricostituzione del capitale (abbiano, o no,
esercitato l’opzione).
Ovviamente l’opzione sarà proporzionale alle obbligazioni (e alle azioni) possedute prima
dell’azzeramento.
RIDUZIONE VOLONTARIA DEL CAPITALE: preliminarmente occorre ricordare che:
a) essendo i titolari di obbligazioni convertibili creditori sociali, gli stessi hanno il diritto di
opposizione ex art. 2445 c.c.;
b) come per ogni tipo di obbligazione, anche per le obbligazioni convertibili si applica il principio
generale dell’art. 24131 c.c., secondo cui «salvi i casi previsti dal 3°, 4° e 5° comma dell’art.
2412, la società che ha emesso obbligazioni non può ridurre volontariamente il capitale sociale...
se rispetto all’ammontare delle obbligazioni ancora in circolazione il limite di cui al 1° comma
dell’articolo medesimo non risulta più rispettato».
Ciò premesso, ai sensi dell’art. 24204 bis c.c. «fino a quando non siano scaduti i termini fissati per la
conversione, la società non può deliberare (l’eventuale successiva delibera che, in assenza dell’avviso o
della mancata concessione del diritto di conversione anticipato, riducesse il capitale sociale, sarebbe
affetta da nullità) ... la riduzione volontaria (cioè la riduzione reale ex art. 2445 c.c.) del capitale
sociale... salvo che ai possessori di obbligazioni convertibili sia stata data la facoltà, mediante avviso
35
H.K.3 - (DIRITTI DEGLI OBBLIGAZIONISTI CONVERTIBILI IN CASO DI AZZERAMENTO DEL CAPITALE SOCIALE - 1° pubbl. 9/04
- modif. 09/07)
In caso di azzeramento del capitale sociale i portatori di obbligazioni convertibili perdono il diritto di conversione ma
mantengono quello di opzione sul successivo aumento volto a ricostituire il capitale sociale.
depositato presso l’ufficio del registro delle imprese almeno novanta giorni prima della convocazione
dell'assemblea di esercitare il diritto di conversione nel termine di trenta36 giorni dalla pubblicazione».
In sintesi, l’assemblea che riduce volontariamente il capitale è svolta dopo la conversione, per cui l’iter è
il seguente:
a) gli amministratori propongono di ridurre il capitale;
b) è pubblicato l’avviso contenente la facoltà di conversione anticipata;
c) gli obbligazionisti convertono;
d) l’assemblea riduce il capitale.
Attraverso la facoltà di conversione anticipata, gli obbligazionisti possono diventare soci, e così
partecipare, sia alla decisione se ridurre, o no, il capitale, sia (in caso positivo) al rimborso del capitale
medesimo.
È necessario precisare che, poiché ai possessori di obbligazioni convertibili è dato non un obbligo, ma
solo «la facoltà» di convertire anticipatamente, è possibile:
a) che convertano, nel qual caso essi partecipano (quali soci) alla deliberazione di riduzione
volontaria37;
b) che non convertano, nel qual caso la società può deliberare la riduzione volontaria.
È notevolmente discusso se gli obbligazionisti che non esercitano la facoltà di conversione conservino, o
no, il diritto di conversione. Tale problema è espressamente risolto in caso di fusione, per la quale l’art.
25033 bis c.c. stabilisce che «ai possessori di obbligazioni convertibili che non abbiano esercitato la
facoltà di conversione devono essere assicurati diritti equivalenti a quelli loro spettanti prima della
fusione...», cioè gli obbligazionisti conservano il diritto di conversione. Una analoga previsione, invece,
non è dettata per la riduzione volontaria del capitale.
36
XIII. Derogabilità del termine di pubblicazione dell'avviso di conversione anticipata di obbligazioni convertibili (artt.
2420-bis, comma 5, e 2503-bis, comma 2, c.c.)
Il preavviso di tre mesi stabilito per la conversione delle obbligazioni convertibili previste dagli artt. 2420-bis, comma 5, e
2503-bis, comma 2, c.c. è derogabile purché:
(a) sia concesso agli obbligazionisti almeno un mese rispettivamente dal deposito o dalla pubblicazione dell'avviso per
richiedere la conversione e
(b) sia assicurata l'emissione delle azioni rivenienti dalla conversione in tempo utile per la partecipazione alle assemblee in
relazione alle quali è prevista la facoltà di conversione anticipata.
La facoltà di conversione anticipata è comunque rinunziabile con il consenso unanime ed informato dei portatori delle
obbligazioni.
H.K.9 - (DEROGABILITA’ DEI TERMINI PER LA CONVERSIONE ANTICIPATA DELLE OBBLIGAZIONI DI CUI ALL’ART. 2420 BIS,
COMMA 4, C.C. - 1° pubbl. 9/11 - motivato 9/11)
L’art. 2420-bis comma 4 c.c. prevede un termine di complessivi 90 giorni per il procedimento di conversione anticipata delle
obbligazioni nel caso in cui, prima della scadenza dei termini fissati per la conversione, la società voglia deliberare la
riduzione reale del capitale sociale o modificare le disposizioni dello statuto concernenti la ripartizione degli utili.
Detto termine di 90 giorni deve intendersi solo per i primi 30 giorni a favore degli obbligazionisti convertibili (trattandosi del
periodo in cui possono richiedere la conversione), mentre il rimanente periodo di 60 giorni è un termine ordinatorio da
considerarsi stabilito nell’interesse della società e quindi derogabile senza il consenso degli obbligazionisti, purché sia
assicurato il diritto di intervento in assemblea di coloro che nel frattempo hanno convertito le obbligazioni in azioni.
37
Da notare che se, dopo che gli obbligazionisti hanno convertito, l’assemblea non delibera più la riduzione volontaria, ormai
gli obbligazionisti convertibili sono diventati soci e tali restano (Forte-Imparato,Casella).
Contra Simonetto, secondo il quale sarebbe possibile la riconversione tout court delle azioni in obbligazioni; Nobili-Vitale, i
quali ritengono che il venir meno del presupposto della conversione sarebbe motivo per la risoluzione del contratto che ha
prodotto l’acquisto delle azioni.
Ö Parte della dottrina sostiene che gli obbligazionisti che non esercitano la facoltà di conversione
conservano il diritto di conversione, perché altrimenti il termine concesso per la conversione
anticipata sostituirebbe quello inizialmente pattuito, in altri termini la società unilateralmente
anticiperebbe il termine di conversione, in violazione del principio per cui il rapporto obbligatorio
è immutabile senza il consenso degli obbligazionisti.
Ö Secondo la dottrina prevalente, gli obbligazionisti che non esercitano la facoltà di conversione
perdono il diritto di conversione, e diventano obbligazionisti semplici. In sostanza, il termine
concesso per la conversione anticipata sostituisce quello inizialmente pattuito.
A sostegno di tale teoria, depongono le seguenti argomentazioni:
i. il silenzio del legislatore, a differenza che nel caso di fusione, non dispone che ai
possessori di obbligazioni convertibili, che non abbiano esercitato la facoltà di
conversione, devono essere assicurati diritti equivalenti;
ii. se essi mantenessero il diritto di conversione vi sarebbero difficoltà ad individuare il nuovo
rapporto di cambio, in quanto, da un lato, non si può sostenere che il rapporto di cambio
resti uguale (si altererebbe il rapporto di forze), e, dall’altro lato, nessuna norma consente
di modificare il rapporto di cambio;
iii. gli obbligazionisti convertibili sono comunque tutelati dal diritto di opposizione ex art.
2445 c.c.38;
iv.
per quanto attiene all’argomento della anticipazione unilaterale del termine, è facile
obiettare che la unilateralità è espressamente prevista e consentita dal legislatore (art.
24204 bis c.c.).
Modificazione delle disposizioni dello statuto concernenti la ripartizione degli utili: ai sensi dell’art.
24204 bis c.c. «fino a quando non siano scaduti i termini fissati per la conversione, la società non può
deliberare... la modificazione delle disposizioni dello statuto concernenti la ripartizione degli utili, salvo
che ai possessori di obbligazioni convertibili sia stata data la facoltà, mediante avviso depositato presso
l’ufficio del registro delle imprese almeno novanta giorni prima della convocazione dell’assemblea di
esercitare il diritto di conversione nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione».
Attraverso la facoltà di conversione anticipata, gli obbligazionisti sono messi nella condizione di
diventare soci e di potere così partecipare, sia alla decisione se ripartire, o no, gli utili, sia {in caso
positivo) alla distribuzione degli utili medesimi.
È discusso in dottrina se l’art. 24204 bis c.c. si applichi anche in presenza di una delibera di emissione di
azioni privilegiate nella ripartizione degli utili o di risparmio:
→ parte della dottrina (Nobili-Vitale e Campobasso) ha escluso che l’emissione di azioni privilegiate
o di risparmio possa far sorgere il diritto di conversione anticipata, in quanto gli obbligazionisti
convertibili sarebbero già tutelati dall’attribuzione del diritto di opzione ex art. 24411 c.c.;
38
È vero che, seguendo la teoria prevalente, la società unilateralmente anticipa il termine di conversione, per cui certamente
vi è un pregiudizio degli obbligazionisti. Ma evidentemente il legislatore, fra le due scelte (non consentire la riduzione
volontaria, salvo il consenso unanime degli obbligazionisti, ovvero consentirla, anticipando il termine di conversione) ha
ritenuto preferibile questa ultima, ritenendo che il sacrificio degli obbligazionisti non sia eccessivo, ciò a conferma di una
tendenza del legislatore a privilegiare la libertà decisionale della società.
→ altri autori (Simonetto e Cavallo Borgia) ritengono invece che nella fattispecie in esame si applichi
l'art. 24204 bis c.c., poiché la norma comprende anche la modificazione indiretta delle disposizioni
statutarie in materia di ripartizione degli utili;
→ sostiene la cumulatività delle due norme Casella.
È il caso di precisare che anche in tal caso si ripropone (nei medesimi termini) il problema se gli
obbligazionisti, che non esercitano la facoltà di conversione anticipata, conservino, o no, il diritto di
conversione.
TRASFORMAZIONE: in caso di trasformazione della società, valgono le medesime considerazioni
svolte per il caso di obbligazioni semplici e cioè il principio per cui non è possibile la trasformazione di
una società per azioni (che ha in corso un prestito obbligazionario) in società che non possono emettere
obbligazioni, a meno che non si proceda alternativamente:
a) alla novazione del prestito in mutuo ordinario,
b) al rimborso anticipato del prestito,
in entrambi i casi previo consenso uti singuli di tutti gli obbligazionisti.
Il fatto che le obbligazioni siano convertibili non muta i termini della questione, in quanto il problema
non è la posizione degli obbligazionisti quali futuri soci, quanto piuttosto la stessa sopravvivenza del
prestito obbligazionario, semplice o convertibile che esso sia. Né (se il prestito obbligazionario è
convertibile) è necessario garantire agli obbligazionisti la facoltà di conversione anticipata, perché si
tratta di una soluzione prevista solo per la fusione e la scissione e inadeguata in caso di trasformazione
(non avrebbe senso attribuire la facoltà di conversione anticipata quando comunque è necessario il
consenso uti singuli di tutti gli obbligazionisti).
FUSIONE E SCISSIONE: in caso di fusione o scissione (la disciplina dell’art. 2503 bis c.c. è
applicabile anche alla scissione in forza del rinvio ex art. 2506 ter, ult. comma, c.c.), preliminarmente, al
pari degli obbligazionisti semplici, gli obbligazionisti convertibili (in realtà solo quelli che non hanno
convertito) «… possono fare opposizione a norma dell'art. 2503, salvo che la fusione sia approvata
dall’assemblea degli obbligazionisti» (art. 25031 bis c.c.).
Ciò premesso, «ai possessori di obbligazioni convertibili deve essere data facoltà, mediante avviso da
pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana (e non nel registro delle imprese, come
invece prevede l’art. 24204 bis c.c. in caso di riduzione volontaria del capitale) almeno novanta giorni
prima della iscrizione del progetto di fusione, di esercitare il diritto di conversione nel termine di trenta
giorni dalla pubblicazione dell’avviso39» (art. 25032 bis c.c.).
39
È evidente che al momento della pubblicazione dell’avviso molti elementi, anche rilevanti, del progetto di fusione o
scissione non sono stati ancora definiti, per cui sarà sufficiente indicare genericamente il tipo di fusione e le società
partecipanti.
Secondo il Comitato Triveneto dei Notai, massima L.A.10. - AVVISO AGLI OBBLIGAZIONISTI CONVERTIBILE IN CASO DI
FUSIONE O SCISSIONE DI S.P.A. «In caso di fusione o ài scissione di spa che ha in essere un prestito obbligazionario
convertibile, nell’avviso di cui all’art. 2503 bis cod. civ. dovrà darsi notizia della decisione della società di sottoporre alla
propria assemblea un progetto di fusione o di scissione con altra determinata società, sema precisare le modalità della
fusione o della scissione».
Contra Cacchi Pessani, secondo cui è necessario in ogni caso un sintetico ragguaglio delle principali caratteristiche
dell’operazione, specie intorno al rapporto di cambio di riferimento.
Attraverso la facoltà di conversione anticipata, gli obbligazionisti possono diventare soci, e così
partecipare alla decisione di fusione/scissione.
È solo il caso di precisare che, poiché ai possessori di obbligazioni convertibili è dato non un obbligo, ma
solo «la facoltà» di convertire anticipatamente, è possibile:
a) che convertano, nel qual caso essi partecipano (quali soci) alla deliberazione di
fusione/scissione40;
b) che non convertano, nel qual caso la società può deliberare la fusione/scissione.
In caso di riduzione volontaria di capitale è notevolmente discusso se gli obbligazionisti che non
esercitano la facoltà di conversione conservino, o no, tale diritto; il problema è espressamente risolto in
caso di fusione: l’art. 25033 bis c.c. stabilisce che «ai possessori di obbligazioni convertibili che non
abbiano esercitato la facoltà di conversione devono essere assicurati diritti equivalenti41 a quelli loro
spettanti prima della fusione, salvo che la modificazione dei loro diritti42 sia stata approvata
dall'assemblea prevista dall’articolo 2415».
È infatti opinione consolidata e condivisibile43 che l’espressione «devono essere assicurati diritti
equivalenti»44 significa che gli obbligazionisti conservano il diritto dì conversione45.
40
La conversione esercitata dall’obbligazionista è irrevocabile ed irretrattabile anche nel caso di mancata approvazione della
fusione o addirittura di mancato avvio del procedimento.
41
Secondo la dottrina prevalente (Spolidoro, Domenichini) la norma si applica esclusivamente agli obbligazionisti della
incorporata e delle società fuse in un nuovo ente, non, invece, agli obbligazionisti della incorporante.
Altra parte della dottrina (Lamberti) interpreta estensivamente la norma ritenendo che anche gli obbligazionisti della
incorporante abbiano diritto di conseguire una percentuale di partecipazione equivalente a quella che avrebbero conseguito
in mancanza della fusione. Corollario di tale impostazione è che il rapporto di cambio dovrebbe essere calcolato prevedendo
un ulteriore aumento di capitale a fronte delle possibili future conversioni, con ciò svalutando la relativa quota di concambio
da destinare ai nuovi soci.
Tale impostazione è criticabile considerato che gli obbligazionisti in parola sarebbero trattati meglio di quanto lo siano in
altre operazioni societarie come, ad esempio, l’aumento di capitale a pagamento a fronte di un conferimento in natura per il
quale non compete il diritto di opzione né alcuna modifica del rapporto di conversione (la fusione per incorporazione, infatti,
può essere equiparata ad un aumento di capitale ove è conferito l’intero patrimonio della incorporata).
42
Deve ritenersi che l’espressione «modificazione dei loro diritti» coincida con quella «modificazione delle condizioni del
prestito» ex art. 2415, n. 2, per cui non vi rientra la soppressione del diritto di conversione, possibile solo ove consti il
consenso unanime dei possessori delle obbligazioni (Marchetti).
Contra, Pisani il quale ritiene sufficiente la delibera dell'assemblea degli obbligazionisti adottata a maggioranza.
43
L.A.12 - (EQUIVALENZA DEI DIRITTI DEGLI OBBLIGAZIONISTI CONVERTIBILI IN CASO DI FUSIONE O SCISSIONE DI S.P.A. - 1°
pubbl. 9/05 ??\" motivato 9/11)
Salvo che gli obbligazionisti convertibili non abbiano autorizzato la modifica dei loro originari diritti con deliberazione presa ai
sensi dell’art. 2415 c.c., in caso di fusione o scissione di spa il disposto dell’art. 2503 bis, ultimo comma, c.c., postula
l’attribuzione di titoli aventi caratteristiche equivalenti a quelli originariamente spettanti nella società emittente.
Sotto il profilo economico l’equivalenza dipenderà dal rapporto di cambio e pertanto:
a) con particolare riguardo alla fusione per incorporazione, le semplificazioni di cui agli artt. 2505 e 2505 bis c.c., si
potranno applicare solo quando l’incorporante detenga (per l’intero o almeno per il 90%) non solo le azioni, ma
anche le obbligazioni convertibili della società incorporanda;
b) con particolare riguardo alle scissioni, si potrà omettere (ai sensi dell’art. 2506 ter, comma 3, c.c.) la redazione della
relazione sulla congruità
del rapporto di cambio del/degli esperto/i nominato/i ai sensi dell’art. 2501 sexies c.c., solo quando la scissione avvenga
mediante la costituzione di una nuova società e non siano previsti criteri di attribuzione diversi da quello proporzionale tanto
delle azioni, quanto delle obbligazioni convertibili (ciò a tutela dei diritti degli obbligazionisti). Quando, invece, il criterio di
attribuzione delle obbligazioni convertibili non sia proporzionale, sarà sempre necessaria la redazione della relazione sulla
congruità del rapporto di cambio del/degli esperto/i nominato/i ai sensi dell’art. 2501 sexies c.c., e l’equivalenza economica
dei diritti spettanti agli obbligazionisti dovrà essere garantita attraverso corrette determinazioni di nuovi rapporti di cambio
per la conversione dei titoli.
La disciplina dell’art. 2503 bis, non è applicabile integralmente ad ogni ipotesi di fusione o scissione.
Infatti, se il prestito obbligazionario è assegnato a favore di una società che non può essere, titolare di
obbligazioni, esso non può sopravvivere in capo alla società assegnataria: il problema, in tal caso, non è la
tutela degli obbligazionisti, quanto piuttosto la stessa sopravvivenza del prestito obbligazionario
(semplice o convertibile che sia). Vale allora il medesimo principio affermato in tema di trasformazione:
il principio che non è possibile la fusione o scissione di una società per azioni (che ha in corso un prestito
obbligazionario) in società che non possono emettere obbligazioni, a meno che non si proceda: o alla
novazione del prestito in mutuo ordinario; o al rimborso anticipato del prestito; in entrambi i casi previa
consenso uti singuli di tutti gli obbligazionisti. Non si applicano il 1° e 3° comma dell’art. 2503 bis c.c.; si
può applicare soltanto il 2° comma, e dare agli obbligazionisti convertibili la facoltà di conversione
anticipata. In altri termini: agli obbligazionisti convertibili è data la facoltà di conversione anticipata e,
per i soli obbligazionisti che non hanno esercitato la facoltà di conversione, vi sarà la novazione o il
rimborso anticipato, previa consenso uti singuli.
È discusso se la disciplina analizzata sia applicabile anche alle obbligazioni convertibili emesse con il c.d.
procedimento indiretto. Preliminarmente occorre ribadire che anche nel procedimento indiretto, in quanto
creditori, gli obbligazionisti convertibili hanno il diritto di opposizione ai sensi dell’art. 2503 c.c.
In linea generale, è stato ritenuto che siano applicabili, in via analogica, le norme inderogabili che
regolano la fattispecie tipica. Ma in realtà occorre analizzare le varie ipotesi che in concreto si possono
riscontrare:
− fusione della società emittente il prestito con società terza: in tale ipotesi è prevalente l’opinione
che non spetti il diritto di conversione anticipata in quanto gli obbligazionisti hanno interesse a
partecipare all'assemblea della società di cui possono ricevere le azioni, che in tale fattispecie
rimane estranea all’operazione;
− fusione della società le cui azioni devono essere assegnate a coloro che hanno convertito: in tal
caso le soluzioni si diversificano ulteriormente nel caso in cui le azioni da offrire ai convertisti
siano già emesse e si trovino nel portafoglio della società emittente oppure non siano state emesse,
ma ci sia solo l’impegno tra le due società circa l’emissione. Nella prima fattispecie si potrebbe
sostenere che non sorga la facoltà di conversione anticipata, in quanto la fusione della società, di
cui gli obbligazionisti dovrebbero ottenere le azioni, rimane estranea al rapporto che lega la
società emittente con i suoi obbligazionisti; nella seconda fattispecie, invece, si dovrebbe
44
Il prestito obbligazionario della incorporata o delle società fuse è «ereditato» dalla società risultante dalla fusione e
pertanto quest ultima deve prevedere un aumento di capitale per conservare l’equivalenza dei diritti. Più precisamente
occorre modificare il rapporto di cambio fissandolo sulla base di due rapporti (c.d. doppio rapporto dì cambio)', quello tra le
obbligazioni convertibili e le azioni dell’originaria società emittente, e quello tra le azioni di tale società e le azioni della
società incorporante o risultante dalla fusione.
45
L.A.11 - (SORTE DELLE OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI IN CASO DI FUSIONE O SCISSIONE TRA S.P.A. - 1° pubbl. 9/05 motivato 9/11)
Salvo che gli obbligazionisti non abbiano autorizzato la modifica degli originari periodi di conversione con deliberazione presa
ai sensi dell’art. 2415 c.c., in caso di fusione o di scissione tra spa la facoltà di conversione anticipata riconosciuta agli
obbligazionisti convertibili ai sensi dell’art. 2503 bis, comma 2, c.c., si aggiunge e non si sostituisce agli altri periodi di
conversione originariamente previsti per il prestito. Consegue la necessità di prevedere - già nel progetto di fusione o di
scissione - un aumento di capitale a servizio del prestito obbligazionario convertibile da parte della spa che subentrerà nella
titolarità del prestito.
ammettere la conversione anticipata, atteso che la società che deve assegnare le azioni è parte del
rapporto che si instaura tra la società emittente ed i suoi obbligazionisti.
LE
ULTERIORI
VICENDE
SOCIETARIE
IN
PENDENZA
DEL
PRESTITO
OBBLIGAZIONARIO CONVERTIBILE:
il codice non disciplina alcune vicende societarie che potrebbero influire negativamente sulla posizione
degli obbligazionisti convertibili:
ƒ modifica dell’oggetto sociale: nonostante lo svolgimento da parte della società di una attività
diversa ed eventualmente più rischiosa, e senza dubbio suscettibile di incidere sulla garanzia
patrimoniale degli obbligazionisti, questi si limiteranno a valutare la mutata situazione al
momento dell’esercizio del diritto di conversione, senza potersi spingere al punto di vantare tutele
che possano paralizzare la vita economica della società emittente46;
ƒ scioglimento della società: nel caso in cui la società si sciolga anticipatamente in pendenza del
prestito obbligazionario convertibile, i sottoscrittori conservano il loro diritto di conversione
secondo i tempi e le modalità originariamente previste dal prestito, anche durante la procedura di
liquidazione47;
ƒ fallimento della società: in caso di fallimento della società si applica la disciplina dagli artt. 552 e
58 della legge fallimentare r.d. 16 marzo 1942, n. 267.
I TITOLI DI DEBITO
Con la riforma del 2003 è sostanzialmente caduto il divieto per le S.r.l. di emettere obbligazioni e, quindi,
di emettere titoli di credito di massa (valori mobiliari) anche per la raccolta di capitale di credito. L'attuale
disciplina consente, infatti, alla S.r.l. di emettere titoli di debito. L’art. 2483 c.c. non specifica in che cosa
debbano consistere i titoli di debito, amaramente la relativa determinazione all'autonomia statutaria:
l'unico limite è rappresentato dal fatto che essi devono incorporare un diritto del sottoscrittore alla
restituzione della somma capitale prestato alla società (l’art. 24833 c.c. li definisce, infatti, prestito e
modalità del rimborso).
Natura giuridica dei titoli di debito: è necessario distinguere a seconda che es la si assumano la forma di
un titolo di credito:
 se la società fa ricorso all'emissione di titoli di credito, questi, al pari delle obbligazioni e dei titoli
di debito pubblico, costituiscono titoli causali ed a letterarietà incompleta;
46
Contra Casella, secondo cui la delibera di mutamento dell'oggetto sociale, alterando le prospettive sostanziali derivanti
dalla conversione, è da considerarsi nulla.
47
Contra Bussoletti, secondo cui, in caso di scioglimento anticipato, si applicherebbe l’art. 24204 bis c.c. con conseguente
attribuzione agli obbligazionisti convertibili del diritto a convertire anticipatamente, poiché la delibera di scioglimento
mutando Io scopo da lucrativo a liquidatorio, modificherebbe le disposizioni concernenti la distribuzione degli utili.
 se, invece, i titoli di debito assumono la forma di meri documenti di legittimazione del credito
sottostante, essi saranno svincolati dalla disciplina relativa alla circolazione dei titoli di credito e
saranno assoggettati direttamente alle norme proprie della cessione del credito.
In ogni caso, i titoli di debito sono una sottospecie del più ampio genere degli strumenti finanziari e,
precisamente, sono titoli di massa, anche atipici, fondati su un rapporto di mutuo, le cui caratteristiche
sono di volta in volta fissate all'atto di emissione e sono normalmente rappresentative di una frazione di
un'unitaria operazione economica di finanziamento della S.r.l.
I titoli di debito sono sostanzialmente assimilabili alle obbligazioni, dalle quali si differenziano per alcuni
aspetti.
S.P.A.
S.R.L.
1) la possibilità di emettere obbligazioni è riconosciuta 1) l'emissione di titoli di debito è consentita solo «se
direttamente dalla legge (art. 2410 c.c.)
l'atto costitutivo prevede» e, in tal caso, è sempre l'atto
costitutivo che «attribuisce la relativa competenza ai
soci o agli amministratori determinando gli eventuali
limiti, le modalità e le maggioranze necessarie per la
decisione» (art. 24831 c.c.). A tale proposito, il Comitato
Triveneto dei Notai48 ha stabilito che la previsione
dell'atto costitutivo che autorizza una S.r.l. ad emettere
titoli di debito:
& da un lato, deve obbligatoriamente contenere
l'attribuzione della relativa competenza,
& dall'altro
lato,
obbligatoriamente
non
deve
limiti,
prevedere
modalità
e
maggioranze necessarie per la decisione, perché,
in caso di difetto di tali previsioni, sarà la
decisione di emettere titoli di debito che
determinerà limiti e modalità dell'emissione e la
decisione medesima sarà adottata con le
maggioranze
ordinarie
previste
dall'atto
costitutivo;
2) le obbligazioni possono essere liberamente collocate 2) i titoli di debito non possono essere collocati
sul mercato;
direttamente presso il pubblico dei risparmiatori, ma
«possono essere sottoscritti soltanto da investitori
professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma
48
I.J.1 - (CONTENUTO MINIMO DELLA CLAUSOLA CHE AMMETTE L’EMISSIONE DI TITOLI DI DEBITO - 1° pubbl. 9/04 motivato 9/11)
La previsione dell’atto costitutivo che autorizza una s.r.l. ad emettere titoli di debito ex art. 2483 c.c. deve obbligatoriamente
contenere l’attribuzione della relativa competenza agli amministratori o ai soci, mentre non vi è alcun obbligo di prevedere
limiti, modalità e maggioranze necessarie per la decisione.
In caso di difetto di tali previsioni la decisione di emettere i titoli di debito determinerà limiti e modalità dell’emissione e sarà
adottata con le maggioranze ordinarie previste dall’atto costitutivo.
delle leggi speciali (es. banche, società di investimento
mobiliare, società di gestione del risparmio, SICAV,
fondi pensione, imprese di assicurazione, ecc.). In caso
di successiva circolazione dei titoli di debito, chi li
trasferisce risponde della solvenza della società nei
confronti degli acquirenti che non siano investitori
professionali ovvero soci della società medesima» (art.
24832 c.c.). La disposizione prevede che l'investitore che
ha sottoscritto i titoli «risponde della salvezza della
società» e, circa la natura della garanzia, è discusso se
essa coincida con quella prevista, in materia di cessione
del credito, a carico del cedente che ha garantito la
solvenza del debitore ceduto (art. 12671 c.c.), con la
conseguenza che il trasferente risponderebbe nei limiti
di quanto ricevuto;
3) le obbligazioni possono essere nominative o al 3) dato il predetto obbligo di garanzia della solvenza, il
portatore (art. 24121 c.c.)
C.N.N. ed il Comitato Triveneto dei Notai49 ritengono
che i titoli di debito di cui all'art. 2483 c.c. non possano
essere emessi al portatore, ma debbano essere
necessariamente nominativi;
4) sono previsti limiti all'emissione di obbligazioni 4) non sono previsti limiti all'emissione di titoli di
(art. 2410 c.c.);
debito. Di conseguenza, in caso di riduzione di capitale
di una S.r.l. che abbia emesso titoli di debito, non si
applica l’art. 2413 c.c.;
5) è possibile emettere obbligazioni convertibili in 5) è notevolmente dubbia la possibilità di emettere titoli
azioni (art. 2420 bis c.c.).
di debito convertibili in partecipazioni sociali, dato il
divieto di «offerta al pubblico di prodotti finanziari» di
cui all'art. 24681 c.c.
Art. 24833 c.c. Æ «La decisione di emissione dei titoli prevede le condizioni del prestito e le modalità del
rimborso ed è iscritta a cura degli amministratori presso il registro delle imprese (poiché, da un lato la
decisione di emissione non costituisce modifica dell'atto costitutivo e, dall'altro, la sua iscrizione nel
registro delle imprese è rimessa dalla legge agli amministratori e non al notaio, a questa decisione non si
applicano gli artt. 2480 e 2436 c.c. e, pertanto, la stessa può essere assunta senza che il relativo verbale
debba essere redatto da notaio). Può altresì prevedere che, previo consenso della maggioranza dei
possessori dei titoli, la società possa modificare tali condizioni e modalità».
Art. 24834 c.c. Æ «Restano salve le disposizioni di leggi speciali relative a particolari categorie di
società e alle riserve di attività».
49
I.J.2 - (TITOLI DI DEBITO AL PORTATORE - 1° pubbl. 9/05 - motivato 9/11)
Si ritiene che i titoli di debito di cui all’art. 2483 c.c. non possano essere emessi al portatore.
SCHEMA IN SINTESI
Obbligazioni
Strumento di raccolta del capitale di prestito.
Titolo di credito: titolo che incorpora un diritto di credito pecuniario alla percezione di interessi e
al rimborso del valore nominale, generalmente assoggettato alla disciplina del mutuo.
Emissione generalmente di competenza dell’organo amministrativo e deve risultare da verbale di
notaio (2410).
Differenze
Azioni
Obbligazioni
Attribuiscono la qualifica di socio
Attribuiscono la qualifica di creditore
Determinano partecipazione al rischio di
impresa
Determinano
solo
una
remunerazione
periodica svincolata (di base) dai risultati
dell’attività sociale
Diritto al rimborso solo eventuale ed in sede di
liquidazione e a valore reale, perché
rappresentano frazione dell’attivo patrimoniale
Diritto al rimborso del capitale prestato alle
scadenze previste e a valore nominale, perché
non rappresentano una frazione dell’attivo
patrimoniale.
Limiti all’emissione
2412: società non può emettere obbligazioni per una somma eccedente il doppio di capitale
sociale + riserva legale + riserve disponibili.
Funzione del limite: si vuole evitare eccessivo indebitamento che farebbe gravare il rischio di
impresa sugli obbligazionisti anziché sugli azionisti; T. Trieste ’94: ha funzione di garantire agli
obbligazionisti la restituzione del prestito.
Si ritiene che il capitale debba essere sottoscritto ed esistente (= al netto delle perdite
giuridicamente rilevanti -non delle perdite di periodo, perché non formalizzate, transeunti e
riassorbibili nel corso dell’attività-) ma non anche interamente versato (CAMPOBASSO).
Tale valore deve risultare dall’ultimo bilancio approvato, ma si ritiene possibile che risulti anche
da un bilancio straordinario (situazione patrimoniale aggiornata) con la conseguenza che si
permette emissione di prestito obbligazionario anche prima della chiusura del primo esercizio
sociale (Milano, Triveneto).
I limiti possono essere superati nei casi previsti dal 2412.
Particolare: co. 3 Æ dal tenore letterale si evince che l’ipotesi si cumula con quella del co. 1, per
cui la società, in virtù della deroga, potrà emettere obbligazioni per un ammontare massimo pari a:
somma del doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili + 2/3 del
valore degli immobili di sua proprietà non gravati da ipoteche preesistenti all’emissione.
Serve perizia di stima ex 2343 da allegare Æ gli immobili devono essere 1) di proprietà della
società emittente –prudenzialmente è meglio non considerare quelli di proprietà di una società
partecipata al 100% dalla emittente poiché formalmente sono immobili in titolarità della
partecipata e non della partecipante emittente; 2) prudenzialmente, meglio tenere conto del valore
di bilancio e non quello di mercato, che va considerato solo quando ciò sia imposto dalla legge; 3)
“puliti”, ovverosia immobili sui quali non sussista alcuna formalità (nemmeno ipoteca perenta)
perché l’ipoteca a garanzia del delta in più rispetto al limite del co. 1 deve essere di primo grado.
Æ rispettate tali specificità, la società (avente patrimonio immobiliare) potrà sforare il limite del
co. 1 per un valore pari a 2/3 del valore –di bilancio- degli immobili: tale plusvalore (e non l’intero
prestito obbligazionario) andrà garantito da ipoteca sugli immobili stessi.
A livello operativo, ove si voglia sfruttare cumulativamente il limite del comma 1 e la deroga del
co. 3 vi sono due strade possibili
Emissione di unico prestito obbligazionario
(unica emissione di titoli di massa) in cui le
emittende obbligazioni siano rappresentate da
due distinte serie, aventi uguale scadenza e
fruttanti lo stesso interesse di cui:
- la prima serie non assistita da particolari
garanzie
- la seconda serie garantita da ipoteca di primo
grado sugli immobili della società.
Diversifico prestito obbligazionario in
obbligazioni garantite da ipoteca e
obbligazioni non garantite da ipoteca.
Tenere formalmente distinte le due emissioni:
- una prima emissione garantita dal limite
dell’art. 2412 co. 1;
- una seconda serie di obbligazioni ex art. 2412
co. 3 per la quale sola vale la garanzia
ipotecaria.
Organizzazione del gruppo degli obbligazionisti
- assemblea degli obbligazionisti: 2415.
A maggioranza le modifiche del pr
estito giustificate da oggettivo interesse sociale; all’unanimità quelle che alterano i caratteri
strutturali del prestito.
Delibera di approvazione della delibera di assemblea generale da parte della assemblea speciale:
i) non necessaria quando la delibera generale incida su tutti i soci e su tutti gli obbligazionisti;
ii) necessaria quando le modifiche adottate incidono sulle modalità del prestito
iii) necessaria delibera + necessario consenso uti singuli di ciascun obbligazionista se modifiche
incidono su diritti individuali.
- rappresentante comune: 2417, 2418.
Diritto di assistere alle assemblee dei soci.
Tipi di obbligazioni
Subordinate
2411 co. 1: diritto al rimborso che, in tutto o in parte, è subordinato
alla soddisfazione dei diritti di altri creditori della società
Indicizzate
2411 co. 2: tasso di interesse è ancorato ad indici esterni, a parametri
oggettivi (es. valuta estera, costo della vita)
Partecipanti
2411 co. 2: tasso di interesse è ancorato a parametri oggettivi relativi
all’andamento economico della società
Irredimibili
Diritto al rimborso alla cessazione della società
A premio
2420: rendimento è aleatorio (sorteggio o sistema similare)
Con warrant (o con
opzione sulle azioni)
2412 co. 5: ferma la qualifica di creditore, danno all’obbligazionista
il diritto di sottoscrivere o acquistare azioni. A differenza delle
obbligazioni convertibili, attribuiscono il diritto cumulativo (e non
alternativo) all’ottenimento delle azioni.
Esistenza di prestito
obbligazionario semplice
può incidere sulla vita
sociale, in particolar modo
in caso di operazioni
straordinarie
Riduzione volontaria del capitale: non può incidere sui limiti
quantitativi del 2412
Riduzione per perdite: vietata la distribuzione degli utili finchè non
sia ripristinata la proporzione tra mezzi propri e indebitamento
Trasformazione: nel silenzio del legislatore, si ritiene che la società
che ha emesso un prestito obbligazionario non può trasformarsi in
una società che non può emettere obbligazioni Æ il prestito
obbligazionario deve essere novato in prestito semplice (contratto di
mutuo) o estinto anticipatamente con rimborso anticipato della
somma capitale Æ in tal caso necessario consenso uti singuli di
ciascun obbligazionista.
N.B.: consiglio notarile Firenze dice che è possibile la
trasformazione in presenza di prestito obbligazionario di una s.p.a.
in una s.r.l. attribuendo agli obbligazionisti dei titoli di debito.
Fusione e scissione: agli obbligazionisti spetta il diritto di
opposizione perché sono creditori (2503bis c.c.).
Se fusione e scissione sono anche trasformative si applica anche la
disciplina della trasformazione.
Convertibili
Attribuiscono, in aggiunta al diritto di credito pecuniario (interessi +
rimborso del capitale prestato al valore nominale) il diritto
potestativo di sottoscrivere azioni della società emittente
(procedimento diretto) o di altra società (procedimento indiretto)
sulla base di un rapporto di cambio predeterminato, utilizzando
come conferimento le somme versate all’atto di acquisto delle
obbligazioni e novando il rapporto di prestito partecipazione sociale
(opzione di novazione).
Il rapporto sottostante si configura, quindi, duplice: contratto di
mutuo da un lato e patto di opzione (avente ad oggetto la novazione
del rapporto di mutuo in rapporto di società) dall’altro, in rapporto
di collegamento negoziale tra loro.
Il rapporto di cambio indica la partecipazione azionaria che è
possibile ottenere “convertendo”, e dunque “in cambio” di un
determinato numero di obbligazioni convertibili aventi un dato
valore nominale (= indica il rapporto numerico tra azioni ed
obbligazioni e anche il rapporto tra i valori delle stesse) .
Disciplina
Competenza all’emissione spetta all’assemblea straordinaria, salvo delega all’organo
amministrativo (2420ter).
La delibera di emissione contiene l’indicazione del rapporto di cambio (elemento essenziale) e il
periodo le modalità di conversione (elementi naturali: in mancanza si può convertire comunque in
ogni momento e fino alla scadenza del prestito, c.d. conversione continua) e ad essa è allegato il
regolamento del prestito obbligazionario.
Alla delibera di emissione delle obbligazioni convertibili si acc1ompagna una delibera di aumento
di capitale a servizio dell’emissione, con efficacia condizionata alla conversione delle
obbligazioni; detto aumento, corrispondente alle azioni da attribuire in conversione, è:
AS1) oneroso Æ perché liberato con le somme versate a titolo di prestito
AS2) solo deliberato al momento dell’emissione del P.O.C., non sottoscritto, ma già versato Æ
perché liberato anticipatamente con le somme versate a titolo di prestito ma sottoscritto solo
all’atto della successiva conversione
AS3) ad esecuzione differita e progressiva (o frazionata) Æ differita nel tempo, secondo il
programma temporale di conversione delle obbligazioni e frazionata, perché non tutti gli
obbligazionisti possono convertire nello stesso istante.
AS4) scindibile Æ non si applica il 2439 co. 2 sulla inscindibilità perché alla fine il capitale della
società risulterà automaticamente aumentato di un importo non predeterminabile, ma variabile in
funzione del numero degli obbligazionisti che decideranno di esercitare il diritto di conversione.
AS5) irrevocabile
N.B.: circa l’aumento di capitale a servizio del prestito obbligazionario deve essere osservato che:
1) se generalmente le obbligazioni sono convertite con azioni di nuova emissione della stessa
società emittente (a supporto della quale, appunto, si richiede l’aumento a servizio) vi sono casi in
cui la conversione può avvenire con azioni proprie (che la società già detiene in portafoglio) Æ
non è necessario, in tutto o in parte, l’aumento a servizio;
2) caso particolare: c.d. procedimento indiretto di emissione, frequente in operazioni infragruppo; le obbligazioni sono convertite con azioni di altra società.
In questo caso:
(2a) se la società E emittente il prestito ha già in portafoglio le azioni della società C, nessun
aumento sarà necessario;
(2b) se la società E emittente non le detenga, è necessario che all’aumento a servizio vi proceda la
società C la cui compagine sociale potrà eventualmente risentire della conversione e dell’ingresso
nella compagine sociale degli obbligazionisti convertibili, in genere sulla base di accordi pregressi
fra le società coinvolte nell’operazione; la società E non dovrà assumere nessuna decisione di
aumento a servizio.
Operazioni straordinarie e P.O.C.
Aumento oneroso
Diritto di opzione e di prelazione sull’inoptato spetta anche agli
obbligazionisti convertibili e senza necessità di previa conversione: ciò
consente di mantenere inalterata la futura partecipazione sociale.
Diritto di opzione può essere escluso: ciò non configura modifica delle
condizioni del prestito e pertanto non richiede la preventiva delibera
autorizzativa dell’assemblea speciale degli obbligazionisti.
Aumento gratuito
Rapporto di cambio è aumentato in proporzione della misura
dell’aumento. Anche qui si mantiene inalterata la futura partecipazione
sociale.
L’aumento del rapporto di cambio comporta una maggiorazione
dell’aumento a servizio del prestito obbligazionario convertibile che può
essere attuato con due tecniche:
- tecnica del doppio aumento: l’aumento servizio è coperto con la
riserva da conversione formata all’atto della conversione utilizzando le
somme pagate come sovrapprezzo dagli obbligazionisti che convertono;
- tecnica dell’aumento in parte accantonato: l’aumento a servizio è
coperto con la riserva da conversione formata subito mediante
accantonamento di parte delle riserve da utilizzarsi per l’aumento
gratuito.
Riduzione volontaria
Diritto di opposizione è fermo: 2445.
La società non può procedere a riduzione se prima non dà agli
obbligazionisti la facoltà di convertire anticipatamente: ciò consente a
loro di partecipare alla delibera di riduzione reale.
CAMPOBASSO dice che se non convertono, perdono il diritto di
convertire e diventano obbligazionisti semplici.
Tale facoltà di conversione anticipata va dato anche nella ipotesi di
modifica di disposizioni statutarie concernenti la ripartizione degli utili.
Riduzione per perdite
Rapporto di cambio modificato in base alla misura della riduzione.
Nel caso di azzeramento del capitale sociale si ritiene che gli
obbligazionisti perdano il diritto di conversione e diventino
obbligazionisti semplici: mantengono solo il diritto di opzione
sull’aumento volto alla ricostituzione del capitale (Triveneto).
Trasformazione
Nel silenzio del legislatore, si ritiene che la società che ha emesso un
prestito obbligazionario non può trasformarsi in una società che non può
emettere obbligazioni Æ il prestito obbligazionario deve essere novato
in prestito semplice (contratto di mutuo) o estinto anticipatamente con
rimborso anticipato della somma capitale Æ in tal caso necessario
consenso uti singuli di ciascun obbligazionista.
N.B.: consiglio notarile Firenze dice che è possibile la trasformazione in
presenza di prestito obbligazionario di una s.p.a. in una s.r.l. attribuendo
agli obbligazionisti dei titoli di debito.
Fusione e scissione
Diritto di opposizione è fermo: 2503 bis.
La società non può procedere a riduzione se prima non dà agli
obbligazionisti la facoltà di convertire anticipatamente.
Se non convertono anticipatamente, a differenza del caso di riduzione
reale, gli obbligazionisti non perdono il diritto di convertire: il
legislatore prevede espressamente che debbano essere assicurati diritti
equivalenti.
Per la fusione e scissione anche trasformative si applica anche la
disciplina della trasformazione.
I MINI-BOND
1. INTRODUZIONE – PMI e quadro italiano
Nell’ambito delle recenti misure adottate per la crescita e lo sviluppo economico dello Stato (con il
Decreto Sviluppo – d.l. n. 83/2012, il Decreto Sviluppo bis – d.l. n. 179/2012 - e il Decreto Destinazione
Italia n. 145/2013), è stato introdotto un pacchetto di disposizioni volte a rafforzare le forme di
finanziamento a medio e lungo termine alternative o complementari a quelle bancarie per le piccole e
medie imprese (PMI).
In particolare tali interventi legislativi sono volti ad accrescere la capacità delle società di capitali non
quotate di media e piccola dimensione di attrarre finanziamenti per la propria attività corrente e
straordinaria attraverso l’emissione di titoli di debito a breve termine (le cambiali finanziarie) e a medio e
lungo termine (titoli obbligazionari).
Si tratta conseguentemente di misure urgenti e strutturali finalizzate a stimolare la crescita, rafforzare la
competitività, la ripresa della domanda ed il dinamismo imprenditoriale.
2. Mercato obbligazionario: gli strumenti di finanziamento delle PMI
Per offrire alle aziende una risorsa di finanziamento complementare al canale bancario, il Governo ha
definito una serie di agevolazioni fiscali e rimosso alcuni ostacoli amministrativi per permettere anche
alle imprese non quotate di accedere al mercato obbligazionario attraverso, tra l’altro, i mini-bond, ossia
strumenti di debito a medio lungo termine.
3. I Mini-bond
3.1 Principali caratteristiche
I mini-bond sono titoli di credito, nello specifico obbligazioni, che possono essere emessi da un’impresa
non quotata, il cui principale obiettivo è quello di raccogliere nuove risorse finanziarie, realizzando una
diversificazione delle proprie fonti di finanziamento a titolo di debito con conseguente attenuazione dei
rischi connessi alla forte dipendenza dai canali bancari.
I mini bond possono essere emessi da società di capitali, società cooperative e mutue assicuratrici diverse
dalle banche e dalle micro-imprese, come definite dalla Raccomandazione 2003/361/CE (Nello specifico ai
sensi dell’articolo 2 della Raccomandazione 2003/361/CE si definisce “microimpresa” un’impresa che occupa meno di 10 persone e
realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di Euro. Da ultimo la Direttiva 2012/6/UE ha
introdotto la definizione di “microentità” indicando le società che alla data di chiusura del bilancio non superano i limiti numerici di due
dei tre criteri seguenti: (i) totale dello stato patrimoniale 350.000 Euro; (ii) importo netto del volume di affari 700.000 Euro; (iii) numero di
dipendenti occupati in media durante l’esercizio 10).
Si tratta di un valido canale di funding non necessariamente alternativo ma complementare al sistema
bancario. Gli indici di liquidità e di struttura finanziaria delle imprese rappresentano infatti elementi
importanti nell’area di valutazione del bilancio aziendale, nell’ambito dei modelli di rating interno delle
banche e conseguentemente sono in grado di migliorare le valutazioni del merito creditizio da parte del
sistema bancario.
Un’altra caratteristica degli strumenti in esame consiste nell’avere scadenza medio-lunga, ciò consente,
da un lato, un allungamento della durata media delle fonti di finanziamento dell’impresa emittente e,
dall’altro, una maggiore coerenza tra la scadenza media dell’attivo patrimoniale e la durata media del
passivo, con un generale miglioramento degli indici di bilancio, i quali misurano la coerenza tra la
liquidità degli investimenti e il grado di esigibilità delle fonti di finanziamento15.
Al fine di compiere un quadro esaustivo dei mini-bond è opportuno infine considerare che l’emissione
degli stessi comporta, da un lato, un aumento della trasparenza nei confronti degli investitori, nonché i
costi legati all’analisi di fattibilità dell’operazione e alla gestione dell’emissione potrebbero risultare
maggiori rispetto ad altre fonti di finanziamento ed infine che le tempistiche di attivazione sono
generalmente più ampie rispetto a quelle richieste per l’erogazione dei finanziamenti bancari.
3.2 L’emissione dei mini-bond
Le emissioni basate su questi strumenti sono iniziate nel novembre 2012, anche se solo di recente lo
strumento ha iniziato a diffondersi presso le PMI.
Le fasi principali verso l’emissione di mini-bond da parte di società non quotate nell’ambito di
un’operazione che ne preveda la ammissione alla negoziazione sul segmento professionale del Mercato
ExtraMOT denominato “ExtraMOT PRO”, organizzato e gestito da Borsa Italiana, sono:
• emissione dei mini-bond da parte della società emittente subordinatamente all’assolvimento degli
adempimenti normativi e regolamentari;
• ammissione dei mini-bond alla negoziazione sul Segmento ExtraMOT PRO;
• immissione dei mini-bond nel sistema di gestione accentrata presso Monte Titoli.
Se la società emittente è una società a responsabilità limitata, lo statuto deve prevedere la possibilità per
la società di emettere titoli di debito nonché indicare l’organo competente a deliberare in merito
all’emissione dei titoli di debito e gli eventuali limiti, le modalità e le maggioranze necessarie per la
decisione. Qualora la società emittente sia una società per azioni non è necessario che lo statuto preveda
la possibilità per la società di emettere titoli di debito e, se non c’è diversa previsione statutaria, l’organo
competente a deliberare l’emissione di obbligazioni è l’organo amministrativo.
L’organo competente delibera in merito all’emissione dei mini-bond, all’ammissione degli stessi alla
negoziazione sul Segmento ExtraMOT PRO nonché al conferimento dei poteri di esecuzione della
delibera stessa.
Se la società emittente è una società per azioni, la delibera deve risultare da verbale redatto da Notaio ed
essere depositata e iscritta a cura degli amministratori presso il registro delle imprese competente.
Diversamente, nel caso in cui la società emittente fosse una società a responsabilità limitata, non è
necessaria la redazione del verbale in forma notarile.
Viene istituito dall’emittente il cosiddetto “libro delle obbligazioni”, nel caso di società per azioni, ovvero
il registro dell’emittente, nel caso di società responsabilità limitata nel quale vengono indicate
l’ammontare dei mini-bond emessi e di quelli estinti, il nominativo dei titolari dei mini-bond (in caso di
titoli nominativi) nonché i trasferimenti e i vincoli relativi ai mini-bond.
I termini e le condizioni relativi ai mini-bond sono inclusi in un “regolamento del prestito” che contiene
inter alia (i) le caratteristiche dei mini-bond, quali la natura, la forma, l’importo, il valore nominale e i
limiti di circolazione; (ii) le modalità di pagamento degli interessi e di rimborso del capitale; (iii) i diritti
dei titolari dei mini-bond e (iv) gli obblighi dell’emittente (ove necessario).
L’emittente e il sottoscrittore stipulano un contratto di sottoscrizione con cui vengono convenute le
modalità, le condizioni e i termini di sottoscrizione.
L’incarico di svolgere tutte le attività relative, tra l’altro, ai pagamenti dovuti all’emittente in favore dei
titolari dei mini-bond viene conferito a una banca da parte dell’emittente. Quest’ultimo consegna inoltre
al sottoscrittore all’atto di emissione e sottoscrizione dei mini-bond alcuni certificati, quali il certificato di
solvenza sottoscritto dal legale rappresentate della società volto ad attestare la solvenza della società, il
certificato di vigenza rilasciato dalla competente camera di commercio, che attesta assenza di procedure
di insolvenza nei confronti della società, e il certificato fallimentare rilasciato dalla competente sezione
del tribunale fallimentare che attesti l’assenza di procedure di insolvenza in capo alla società.
4. La disciplina fiscale indiretta.
Con l’inserimento del nuovo articolo 20-bis50 nel medesimo DPR è stata estesa l’applicabilità
dell’imposta sostitutiva di cui agli articoli 15-20 del DPR 601/1973 anche alle modificazioni o estinzioni
dei finanziamenti strutturati come prestiti obbligazionari nonché ad essi accessori quali garanzie, surroghe
e postergazioni e rendendone opzionale l’applicazione. Ai sensi del comma 1, il regime dell’imposta
sostitutiva si applica alle garanzie “di qualunque tipo, da chiunque e in qualsiasi momento prestate
all’atto di emissione delle obbligazioni o titoli similari (ai sensi dell’articolo 44, comma 2, lettera c)
T.U.I.R.), nonché alle loro eventuali surroghe, sostituzioni, postergazioni, frazionamenti e cancellazioni
anche parziali, ivi comprese le cessioni di credito stipulate in relazione alle stesse nonché ai trasferimenti
di garanzie anche conseguenti alla cessione delle predette obbligazioni e alla modificazione o estinzione
di tali operazioni.”.
L’imposta sostitutiva torna inoltre a recuperare la funzione agevolativa con cui era stata concepita
mediante la modifica degli articoli 15 e 17 del DPR 601/1073 che rendono tale imposta opzionale.
Ai sensi del nuovo articolo 20-bis si prevede che l’opzione per l’imposizione sostitutiva sia esercitata
nella deliberazione di emissione e vengono individuati i soggetti passivi dell’imposta, ossia gli
intermediari finanziari incaricati delle attività di promozione e collocamento delle obbligazioni, ovvero,
nel caso in cui non intervengano intermediari, le società emittenti.
50
Art. 20-bis Operazioni di finanziamento strutturate (43)
1. Gli articoli da 15 a 20 si applicano anche alle garanzie di qualunque tipo, da chiunque e in qualsiasi momento prestate in relazione alle
operazioni di finanziamento strutturate come emissioni di obbligazioni o titoli similari alle obbligazioni di cui all'articolo 44, comma 2,
lettera c), del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, da
chiunque sottoscritte, alle loro eventuali surroghe, sostituzioni, postergazioni, frazionamenti e cancellazioni anche parziali, ivi comprese le
cessioni di credito stipulate in relazione alle stesse, nonché ai trasferimenti di garanzie anche conseguenti alla cessione delle predette
obbligazioni, nonché alla modificazione o estinzione di tali operazioni.
2. L'opzione di cui all'articolo 17, primo comma, è esercitata nella deliberazione di emissione o in analogo provvedimento autorizzativo.
3. L'imposta sostitutiva è dovuta dagli intermediari finanziari incaricati, ai sensi del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, delle attività
di promozione e collocamento delle operazioni di cui al comma 1, ovvero, nel caso in cui tali intermediari non intervengano, dalle società
che emettono le obbligazioni o titoli similari con riferimento ai quali è stata esercitata l'opzione. Il soggetto finanziato risponde in solido con
i predetti intermediari per il pagamento dell'imposta.
4. Gli intermediari finanziari e le società emittenti tenute al pagamento dell'imposta sostitutiva dichiarano, secondo le modalità previste
dall'articolo 20 del presente decreto e dall'articolo 8, comma 4, del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla
legge 26 giugno 1990, n. 165, l'ammontare delle obbligazioni collocate.
5. Alle operazioni di cui al presente articolo non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 3, commi 3 e 3-bis, del decreto-legge 13
maggio 1991, n. 151, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 202.