Rosso, per amore o per forza - Fondazione Internazionale Menarini
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Rosso, per amore o per forza - Fondazione Internazionale Menarini
n° 324 - marzo 2006 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it Rosso, per amore o per forza Il rosso, colore che stimola sensazioni di energia, coraggio, passione, pericolo, gioia, potere, ha seguito il cammino dell’uomo fin dall’origine. E’ il primo colore riconosciuto dai neonati e il primo cui tutti i popoli hanno attribuito un nome. Rosso è il termine che compare nelle lingue primitive a indicare un colore diverso da chiaro e scuro, da bianco e nero, o meglio, nei confronti di questa dicotomia assume il ruolo di “colorato” rispetto al “non colorato”. Su questi tre elementi, fino in pieno Medioevo, si organizzano tutti i codici sociali e la maggior parte dei sistemi di rappresentazione costruiti sul colore. Riferibile al fuoco e al sangue, è istintivamente legato al principio della vita, e perciò protagonista dei racconti della creazione, simbolo di vita e vitalità, colore dello spirito e delle divinità creatrici e protettive. Nel mito e nelle cerimonie rituali, pertanto, il sangue (poi anche il vino) e il colore rosso sono potenziatori e glorificatori della vita. Nell’Antico Testamento con l’argilla rossa è forgiato Adamo, l’Uomo il cui nome in ebraico significa sia “rosso” sia “vivente”. I corpi dei defunti venivano dipinti con argilla rossa al fine di ridonare loro la vita. Il mito nel quale il rosso trionfa più di ogni altro come colore, come sangue e come vino, è certamente quello dionisiaco e Dioniso veniva rappresentato con il mantello o il viso rosso e glorificato con riti sfrenati e selvaggi, esempi di furore orgiastico. Lo stretto legame con l’energia, la creazione e l’intensità dei sentimenti legano da sempre il rosso, nelle sue tonalità più forti, all’erotismo, dall’amore al sesso: nella Grecia pre-ellenistica è il colore del grande dio Eros. Anche nell’arte si sfrutta questa simbologia: Marc Chagall, per esempio, lo sceglie come il colore che riesce a trasmettere il sentimento di eros cosmico dei suoi dipinti, il coronamento dell’unione degli amanti, il trionfo dell’amore sopra un mondo sempre minacciato dal caos. Le associazioni vanno dall’amore sacro e puro delle dee dell’amore, all’amore profano: Maria Maddalena che ne è l’immagine cristiana spesso, infatti, è vestita di rosso. Il riferimento all’eros si smorza quando il colore vira al porpora, per effetto di un lieve avvicinamento in direzione del blu, assume un atteggiamento meno violento, più maestoso e solenne. D’altra parte il concetto di rosso abbraccia una vasta gamma di sfumature. Nell’antichità, spesso si parla di “porpora” indicando una tintura che va da un bluastro a un rosso cupo, è la frequente associazione al sangue che chiarisce che in generale si fa riferimento a una sfumatura di rosso scuro o carminio: «Il colore di Tiro - scrive Plinio - è più pregevole quando ha il colore del sangue coagulato, scuro alla luce riflessa e brillante in quella diretta». Tiro è la città fenicia che, fin dal XV secolo a.C., vanta la produzione della porpora. Il nome stesso della città deriva dal greco e significa “gente del paese della porpora”. La tintura si estrae da due specie di molluschi originari del Mediterraneo, in latino, buccinum e purpura. Una leggenda fenicia narra che: «Il dio Merkart, passeggiando lungo la spiaggia in compagnia del suo cane si accorse che il muso dell’animale s’era colorato di rosso. Spinto dalla curiosità il dio poté accertarsi che quel colore proveniva da certi molluschi abbandonati sulla spiaggia, che il cane aveva annusato. Il dio Merkart, per fare una cosa gradita all’amante, la ninfa Tyros, pensò allora di donarle una tunica tinta da lui stesso col vivace colore dei murici, trasformandosi nel primo tintore della porpora». Ogni mollusco fornisce una sola goccia di colorante che per questo diventa più prezioso dell’oro e sinonimo di potere. La porpora, esportata in tutto il Mediterraneo, nella Roma repubblicana e imperiale diventa il colore riservato ai personaggi di alto rango e l’uso è regolamentato da norme precise e severe. Nei mosaici di San Vitale a Ravenna, del VI secolo, sono le tessere di color porpora quelle riservate al manto dell’imperatore Giustiniano I e dell’imperatrice Teodora e dato che gli imperatori bizantini sono considerati rappresentanti di Cristo sulla terra è naturale trasferire questo colore regale allo stesso Gesù che, infatti, indossa una veste Giotto: Crocefissione (part.) - Strasburgo, Museo di Belle Arti Mosaico Bizantino - Ravenna, San Vitale pag. 2 porpora. Questo legame contribuisce a confermare nei secoli successivi l’uso del rosso per gli abiti del Cristo. In molte religioni i simbolismi del rosso e del fuoco uniscono i loro significati di energia per configurare la più efficace delle esperienze purificatrici: l’inferno. Il rosso quindi oltre che colore divino è anche colore diabolico, andando così a coprire l’intero arco delle espressioni dello spirito. Nel Medioevo si assiste alla sensazionale ascesa del colore blu, che conquista il primato di pigmento più pregiato. Il rosso di conseguenza perde la supremazia, ma mantiene il suo valore allegorico e il suo prestigio, lo dimostra per esempio il San Francesco rinuncia all’eredità del Sassetta (1437), dove l’atto della rinuncia corrisponde a quello di gettar via un prezioso mantello rosso. Nella contemporanea Madonna del cancelliere Rolin di Jan Van Eyck, invece si misura nel terreno che è proprio del blu, il culto mariano, qui, infatti, l’abito della Vergine è costituito da splendidi drappeggi rosso cremisi. Dal Medioevo il rosso si contrappone al blu nei valori simbolici che si riferiscono agli aspetti di nobiltà e prestigio, contrapposizione che a fasi alterne sopravvive ancora oggi. Nel Rinascimento è a Venezia che si coltiva una particolare sensibilità nei confronti del colore. Forse è perché vi penetra l’arte bizantina, perché vi approdano i pigmenti esotici, per la natura e per il clima della città che si determina il cosiddetto stile veneziano. Qui, infatti, si elabora un’interpretazione originale del Rinascimento: il problema della rappresentazione del volume non si risolve come in Toscana con linea e chiaroscuro, ma attraverso colore e luce dando vita alla cosiddetta prospettiva tonale. Giovanni Bellini e Giorgione sono i principali artefici di questa arte sensibile, ricca di passione e sensualità, in contrapposizione ai criteri razionali di Firenze. In questo ambiente si forma Tiziano accogliendo anche le novità del linguaggio manieristico: i volumi scultorei, le pose artificiose, gli scorci arditi, i forti contrasti chiaroscurali, ma assimilandole in un proprio e originale linguaggio. Rifiuta la freddezza e l’astrazione degli artisti toscani e ravviva le composizioni con un uso naturalistico e sensuale della luce e del colore. I contrasti sono forti, ma magistralmente controlla e concilia le tonalità stridenti e il suo rosso brillante e potente è rimasto nella memoria diventando un colore a sé: il rosso Tiziano. Il colorismo veneto e l’opera di Tiziano affascinano e ispirano anche l’opera del maestro fiammingo Rubens: i suoi colori sfavillanti ce lo fanno ricordare come il suo erede barocco. L’influsso veneto si sente nell’uso dei colori primari e di come vengono modulati nell’applicarli: nel Sansone e Dalila, significativa è la scelta e l’uso del colore rosso per l’abito di Dalila, scelta che conferisce una forte carica sensuale al contesto e accresce la sensazione di pericolo della scena. Il rosso è il colore dell’energia che si manifesta con forza, vigore e potenza che può però raggiungere anche l’aggressività, l’ostilità e la rivolta: il rosso del berretto frigio, le camicie rosse garibaldine e le bandiere rosse della rivoluzione proletaria. Nell’arte come nella realtà, partecipa sempre come elemento di forza, serve a sottolineare e a potenziare un’azione, a nobilitare e rendere solenne un personaggio. Quale colore migliore quindi, per interpretare l’irruenza e il carattere di un pittore come Caravaggio? Egli, pur sovvertendo l’impalcatura iconografica tradizionale, mette a frutto la forza simbolica del colore e della luce: il rosso, infiammato dai fasci luminosi, sottolinea un gesto come nella Vocazione di San Matteo; evidenzia un personaggio come nella Cena in Emmaus; direziona e cattura l’attenzione come nella Conversione di San Paolo e potenzia la drammaticità della scena come nella Morte della Vergine. Un contributo ad attirare l’attenzione sugli aspetti psicologici del colore piuttosto che su quelli puramente fisici, si deve all’opera “pseudoscientifica” di Johann Wolfgang Goethe. Per lui, chiaro e scuro equivalgono ai due soli colori puri: il giallo e l’azzurro. Il rosso, dice, non è «un colore individuale, ma… una proprietà che può riferirsi all’azzurro e al giallo». In- Pittura murale - Pompei, Villa dei Misteri Caravaggio: Cena in Emmaus - Londra, National Gallery Vasilij Kandinskij, Tormento interiore New York, Guggenheim Museum George Grosz: Metropoli New York, Gallery R.L. Feigen pag. 3 sistendo inoltre sulle polarità (maschile-femminile, caldo-freddo) concorre a consolidare l’idea dei colori complementari, tanto importante per gli artisti del XIX secolo. L’arte, infatti, continua la sua rivoluzione proseguendo proprio sulla via del colore. Colore che disegna, costruisce, vibra, esprime, che si lega alle emozioni personali del pittore e trasmette emozioni. L’avvicinamento alla natura cominciato col Romanticismo prosegue nell’Impressionismo e anche se vengono privilegiati i colori che maggiormente si trovano in natura, il rosso mantiene intatta la sua forza espressiva e serve ogni qualvolta si deve dare risalto, forza, gridare le emozioni. «Ho cercato di esprimer le terribili passioni dell’umanità… ovunque un contrasto di rossi e di verdi più discordanti… non è un colore ambientale vero… ma è un colore che suggerisce certe sensazioni di un temperamento ardente» questo racconta Vincent Van Gogh al fratello Theo per descrivere quello che considera uno dei suoi quadri preferiti il Caffè di notte (1888). Il quadro infatti, è un totale delirio di complementari rossi e verdi, immersi in una luce giallo acido. Solo il verde e il giallo potevano resistere alla drammaticità di quei muri “rosso sangue”. Queste angosce urlate col colore, forniscono le basi per il lessico del norvegese Edvard Munch e poi dell’Espressionismo tedesco. Munch, fa eco proprio a Van Gogh quando a proposito de L’urlo del 1893 osserva: «Ho… dipinto le nuvole come sangue vero. I colori gridavano». Nel 1911 il pittore Vasilij Kandinskij pubblica Lo spirituale nell’arte che in poco tempo diventa “le livre de chevet” di quella generazione di artisti. Vuol essere il proclama di un’epoca nuova, l’età dello spirito, il risveglio dell’anima. L’arte è espressione dello spirito e fondamentale è il colore, che non è soltanto una qualità della superficie, ma qualcosa che viene dal didentro e rivela l’essenza delle cose, qualcosa da sentire col corpo e con la mente. Il rosso, sostiene Kandinskij, porta sempre con sé una potenza enorme, «suscita una sensazione di forza, energia, tensione, decisione, gioia, trionfo ... In campo musicale ricorda il suono delle fanfare» e riconduce anche ai toni «appassionati, medi e gravi del violoncello». Ogni colore produce un effetto particolare sull’anima e il rosso, per la sua somiglianza al sangue, può provocare l’effetto della sofferenza dolorosa come probabilmente interpreta nel suo Tormento interiore del 1925. Henri Matisse, conquistato dall’intensità del nuovo rosso di cadmio, prima importante innovazione nei pigmenti rossi dalla lacca di carminio del XVI secolo, dichiara: «La mia scelta dei colori non poggia su una teoria scientifica; si basa sull’osservazione, sul sentimento … Cerco semplicemente di trovare un colore che si addica alle mie sensazioni». Il fascino nei confronti di questo rosso e l’apprezzamento per un uso del colore piatto e non modellato che ne preservi l’integrità e la purezza, ha prodotto opere bellissime come Interno rosso: natura morta su tavolo blu, Grande interno rosso o La stanza rossa. Tutti i colori hanno aspetti positivi e negativi, il rosso li esprime entrambi con violenza: è il colore delle forti contrapposizioni: esprime forza e annuncia pericolo, è divino ed è diabolico; rappresenta spirito e materia, sussurra amore e grida eros. E’ il colore della virilità eppure è il preferito dai bambini, comunica a voce alta fino a gridare ogni espressione della vita. In ogni manifestazione attrae e coinvolge. Nel pensiero comune, il rosso è un riferimento simbolico senza tempo che ignora epoche e culture. Cos’è che resta nella memoria della pittura pompeiana? Il rosso; il rosso che fa da sfondo alle scene di vita come un drammatico presagio. Nella corrida, intrattiene simbolicamente e riassume l’insieme tematico coinvolto: allo stesso tempo, infatti, è il colore del toro, della virilità, della prova di forza e del sangue che scorre. Così quando il matador rotea la cappa nell’arena toro e spettatori sono catturati da quel gesto. E’ il movimento di quella macchia rossa che catalizza l’attenzione dei presenti. francesca bardi Marc Chagall: Cantico dei cantici IV Alberta, Musée National Message Biblique Henri Matisse: La chambre rouge San Pietroburgo, Ermitage Pablo Picasso - Toros