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Il vento e la fiamma
Ogni riferimento a fatti, personaggi ed episodi, è frutto della fantasia.
(L’INQUIETUDINE)
di Enrico Giacometti
Agli amici di sempre.
Agli amici perduti
A quelle poche donne
che mi hanno amato veramente
Era un quaderno di brutta copia. Bene, e allora?...
... era qualcuno che aveva vissuto per davvero, e la vita
va sempre in brutta copia, così come ci tocca subirla,
non abbiamo mai il tempo di trascriverla in bella
(Carmen Martìn Gaite - Lo strano è vivere)
www.enricogiacometti.com
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
I
Era una sera di maggio tiepida e profumata, coi grilli che già
invocavano la grande madre estate. Mi avevano invitato ad una
festa in un’antica villa sui colli.
L’atmosfera era vivace, la musica carica. La gente chiacchierava
allegramente, beveva, ballava, si ubriacava.
Non era male come serata. Ma io, nonostante i due Negroni bevuti, non riuscivo ad entrare in sintonia. Mi sentivo un’isola sperduta
in un mare sconfinato.
La musica mi estraniava e nonostante il frastuono, mi appariva
remota, quasi provenisse da un’altra epoca.
No, non era serata...
Avrei dovuto stare a casa, lo sapevo.
Ma i miei amici avevano insistito. E anche Antonella.
Avevo passato la serata scambiando qualche saluto e chiacchiere
di convenienza con dei conoscenti e per tutto il tempo non avevo
fatto altro che guardare con bramosia la porta aperta che dava sul
balcone. Una brezza leggera e delicata gonfiava sinuosamente le
tende. Avevo voglia d’aria, soprattutto il mio animo, appesantito
dalle tensioni tra me e Antonella degli ultimi tempi.
Sapevo che stava finendo, ma il pensiero dell'estate imminente con
le sue lusinghe di avventure rallentava un po’ la caduta del mio
umore.
Ma sì, avrei superato anche questa.
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La guardavo dall’altro lato della sala, mentre chiacchierava e rideva.
Era davvero bella, con quei lunghi capelli neri e quegli occhi verdi
e brillanti che non nascondevano la vitalità esuberante del suo carattere.
Era una donna libera, quello era il suo fascino. E io sapevo che
non si poteva averla per più di una notte o di due battiti del suo
cuore. Il mio rapporto con lei era stato guidato dallo stesso spirito
che ti spinge verso isole tropicali: poter assaporare brevi istanti di
Paradiso.
Avevo scelto il sogno...
Ma si sa, viene un'alba per ogni sogno.
L'importante è trovarne subito un altro, ancor più bello, ancor più
splendente, perché il breve intervallo tra un sogno e l'altro, è segnato dalla nostalgia per ciò che si è perduto ed offuscato dalle
ombre inquietanti della realtà.
La musica faceva un gran chiasso, ancor più dei miei pensieri.
Mi presi un altro Negroni e uscii sul terrazzo a cercare un po' di
quiete.
C'era già qualcuno, ne intravedevo il profilo nero sul cielo rischiarato dalla luna.
Mi appoggiai al parapetto e respirai profondamente, restando lunghi minuti in silenzio a contemplare la notte.
Sparpagliate sulle colline lontane, lucine di case tremolavano al
vento. Diffondevano un piacevole senso di leggerezza.
Ad un certo punto l'ombra si animò e mi disse:
"Credevo di essere l'unico qui, ad apprezzare la quiete".
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Il vento e la fiamma
"Beh, di solito amo la compagnia...
Ma questa sera non sono dell'umore più adatto… ", tagliai corto.
Bevvi un lungo sorso del mio Negroni, come per ricacciare i pensieri che continuavano ad affacciarsi.
"Ti capisco, con una ragazza come Antonella, s’impara ad apprezzare la tranquillità".
Infine ci eravamo incontrati...
Antonella me ne aveva parlato spesso e mi aveva incuriosito, perché non era consueto, né che parlasse di qualche suo "ex ", né che
ne parlasse bene.
Contrariamente a ciò che era successo con gli altri, erano rimasti
ottimi amici, cosa non facile con un caratterino come il suo.
Quando ne parlava riusciva a dire solo che era un tipo speciale. Si
fermava un po', riflettendoci sopra, cercando un termine più adatto, poi tornava a dire semplicemente, speciale, un tipo speciale...
Mi voltai cercando di inquadrare meglio l'ombra che mi parlava.
"Se la conosco?...
Sorrisi tra me e me, ripensando a quella strana presentazione.
In un certo senso anch'io appartenevo ormai al passato. Era solo
questione di tempo.
Amen..., dissi tra me e me, mandando giù un altro sorso.
Sì, la conosco ...la conosco...
"Temo che anch'io diventerò presto un "EX"...
È una ragazza speciale...
"Sul serio?"
Appartiene solo a se stessa... è il suo fascino..."
"Sì"
Nella penombra non riuscivo a vedere bene i tratti di colui che mi
parlava.
Sospirò. "Che ci vuoi fare? Ci vuol pazienza, hombre! Purtroppo
niente è eterno a questo mondo..."
"Come fai a sapere di me e di lei?".
"Già, proprio così"
"Vi ho visti prima. Immagino che tu sia il suo nuovo... ragazzo...
Io sono. . . ehm. . .
...sono quello vecchio... Ma, per carità, senza risentimento, eh?".
"Beh, su con la vita! e facciamo un brindisi al nostro club!".
"Conosci Antonella?"
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"Quale club?"
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"Il Club dei Cuori Infranti da Antonella".
"Ah. Io sono Enrico, ma non ho soprannomi particolari... Tutt'al
più, mi chiamano Henry".
"Ah, beh...
Credi che abbia molti soci?"
"Beh, nel corso degli anni, finirà per averne sicuramente parecchi!", disse con un gran sorriso, alzando il bicchiere per il brindisi.
Dopo un attimo di perplessità, mi venne da ridere.
Pensa un po’ che tipo...riflettevo tra me e me.
"Ok, al nostro club, allora", risposi alzando il bicchiere.
"Al nostro club"
“Salute”
La nostra amicizia cominciò in questo modo semplice e forse banale, come spesso accade per le cose importanti.
Era una di quelle persone che ti sembra di conoscere da sempre, o
forse di quelle che hai sempre desiderato incontrare.
Una cosa che mi colpì subito, fu la sua voce seria e profonda,
spesso interrotta senza preavviso da una risata scherzosa, come se
in lui vi fosse una componente di vitalità che si sforzava di contenere, ma che non riusciva a controllare completamente.
Sotto la calma apparente del suo viso, uno sguardo più attento rivelava un fremito, una tensione interiore che ti turbava. In questo
mondo vissuto alla superficie non è una cosa consueta.
Ricordava qualcosa di indefinibile e di perduto.
Qualcosa che non ho più ritrovato in nessun altro.
Mandammo giù un sorso e ci facemmo una gran risata.
Dopo, mi sentivo meglio, e in quel momento mi fu chiaro che è
fondamentale imparare a ridere delle cose, perché si dà loro il giusto peso.
Era simpatico il tipo, un bel tipo. Un tipo originale.
Mi tese la mano e mi disse: "Beh, io sono Franco, ma tutti mi chiamano Dan".
"Come mai Dan? "
"E' per via del cognome ".
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II
Un giorno di fine primavera, Antonella volò via, sospinta dal vento possente e implacabile di libertà che le donava quell'aria sensuale e romantica che la rendeva unica.
Antonella... quanti ricordi...
L’avevo conosciuta a lezione di tango.
Al corso spiccava su tutte le altre e non riuscivo a distogliere lo
sguardo da lei. Per quanto cercassi di controllarmi, finivo per tornare a guardarla. Se n’era accorta e ogni tanto mi buttava
un’occhiata divertita e maliziosa.
A me, purtroppo, era capitata una ballerina scialbina e legnosa,
che sentiva il tempo solo quando aveva la sciatica.
Fortunatamente, ogni tanto, gl’insegnanti ci facevano cambiare
compagna per migliorare la nostra guida. Quando mi capitò Antonella, feci un mezzo disastro, perché non riuscivo a concentrarmi
con lei tra le braccia, contrariamente al solito che me la cavavo.
Per fortuna era di spirito, e ci facemmo un sacco di risate.
D’altronde nemmeno a lei era capitato un gran ballerino. Comunque, passato il momento, ci trovammo bene, anzi scoprimmo di
avere un’ottima intesa e con noncuranza, mollammo i nostri partner e finimmo per fare coppia fissa.
Faceva l’indossatrice ed era spesso in giro per sfilate, ma riusciva
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a venire al corso con una certa costanza.
Quando i suoi impegni lo permettevano, andavamo a ballare in giro per locali. Passavo a prenderla a casa e trascorrevo serate
d’incanto.
Inutile dire che mi ero preso una bella cotta.
Oltre a essere bella, non era affatto superficiale. Mi trovavo bene a
parlare con lei. Fu una conferma del mio sospetto che la storia delle belle stupide, e delle brutte simpatiche e intelligenti, è una balla
inventata dalle befane, che spesso sono pure acide.
Il nostro rapporto, però, stava pericolosamente scivolando verso
una semplice amicizia. Me ne rendevo conto, ma non riuscivo a
cogliere il momento giusto. Non so, la sua bellezza m’intimidiva...
e ogni volta che la riaccompagnavo a casa senza averci provato,
passavo la notte quasi insonne, dandomi del cretino, consapevole
che non stavo agendo bene e rischiavo di giocarmela. Infatti sapevo per esperienza, che quando temporeggiavo, finiva che poi non
riuscivo a combinare niente.
Ma, finalmente, una fredda notte d’inverno, in auto davanti a casa
sua, sotto una pioggia sferzante mista a neve, mentre ci stavamo
salutando, i nostri visi indugiarono vicini...
Tutto accadde automaticamente, senza sforzo... i nostri volti si
sfiorarono... le nostre labbra si cercarono... i nostri cuori si trovarono...
Fu un sogno.... davvero un sogno... arrivai a mille, forse a un milione...
Quando la baciai tutto quello che mi circondava, semplicemente...
scomparve... come se avessero spento tutto.
Avevo la sensazione di essere diventato puro spirito.
Salii da lei in un animo trasognato.
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Non mi sembrava nemmeno di essere io ad agire. Era un sogno...
non riesco a dire altro...
Il suo profumo... la sua pelle... i suoi capelli... Ero come ubriaco...
...accarezzavo... baciavo... toccavo... la spogliavo...
Esploravo angoli nascosti...
Gambe lunghe... seno giusto... un sedere scultoreo... fianchi stretti...
Un viso che non potevi far altro che innamorarti...
...ricordando tutte le serate a ballare insieme, tutta la musica di
tango che aveva impregnato la nostra storia fin dall'inizio, potrei
descriverla...
...come un tango...
...sì...
...un tango...
Già...
Ho bisogno di un Cuba Libre...
Ecco adesso va meglio... Un altro sorso e ricominciamo...
La mente fa strani scherzi, se tendo l'orecchio mi sembra addirittura di sentirlo...
Fu un periodo magico. C'era una grande intesa tra noi, facevamo
l'amore, ci coccolavamo, passavamo tarde ore di notte a parlare
delle nostre vite.
Andavamo al cinema, a teatro, a concerti, a ballare.
A forza di lezioni e di esercizio eravamo diventati bravi, e, a detta
di alcuni compagni di corso, era un piacere vederci danzare.
Non dovrei dirlo, ma mi sentivo molto orgoglioso quando passeggiavo per strada tenendola per mano. Tutti la guardavano. Ero fiero d'averla al mio fianco.
Aveva davvero un fascino fuori dal comune.
Sì, lo sapevo, lo sapevo da subito che era un sogno... soltanto un
sogno...
Ma avevo voluto sognare lo stesso fino in fondo.
...un'aria sensuale di violini... un bandoneon lieve, sentimentale,
sognante...
...in una fredda notte d'inverno era stata attratta come una
farfalla notturna alla finestra del mio cuore dove, già da tempo,
molto calore trapelava per lei e l'attendeva.
Il gelo ed il cielo basso e oscuro di nubi l'avevano costretta a cercare riparo dalla notte cupa e solitaria...
Secondo movimento...
...l'armonia fluisce...i violini cantano all'unisono e il bandoneon
duetta con loro...
La trovai, mi trovò... ci trovammo ...fu l'amore ...due anime, un
cuore solo ...il cielo e ancor più su...
Un attimo sospeso nel tempo.
Vissi la mia poesia, la nostra poesia.
Ricordando la nostra relazione...
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Illusioni d'eternità.
.....
III
Terzo movimento...
...la pace dei violini s'incrina, l'armonia del bandoneon viene turbata ...il ritmo incalza....
Ma con la bella stagione il ghiaccio si era sciolto, l'azzurro di cieli
liberi e il verde di spazi aperti l'avevano chiamata in un modo a cui
lei non avrebbe saputo resistere a lungo...
Quarto movimento...
...la pace svanita... il tempo crudo... gli archi gemono, un bandoneon stride sbrecciato...
I silenzi si allungavano ...stridevano ...le incomprensioni si moltiplicavano, le distanze s'ingrandivano...
Allora, ripensando ai bei momenti passati, per salvare almeno
quelli, in modo comprensivo, anche se mi costò uno sforzo maggiore di quanto facessi apparire, sciolsi il nodo che ci legava, e
l'osservai uscire dalla mia vita...
Quinto e ultimo movimento...
...adagio... lamento di un bandoneon triste e solitario...
... dissolve in lontananza...
L'estate che seguì, scivolò via silenziosamente, prendendosi un'altra piccola parte di noi in modo discreto ed inesorabile.
Era bastato lasciarsi ammaliare, e distrarsi un attimo, accarezzati
dal torrido abbraccio del sole, per ritrovarsi tra le prime foglie
strappate dal vento.
E di una stagione che declinava ad ovest, rimanevano solo i ricordi
dei suoi fuggevoli giorni, vuoti per le illusioni svanite e carichi di
nuove inquietudini, che sotto i raggi dell'ultimo sole si addensavano alle nuvole violacee dell'autunno.
Gli anni si contano con le estati che finiscono.
Sì, la fine di un’estate è sempre tempo di bilanci. Il pensiero, disorientato, si volta indietro, fruga nella memoria, riappaiono brevi
scene che furono, momenti smarriti nel gorgo del tempo, che si
mischiano e si confondono, e alla fine non sai più che anno era e
come si chiamava quella ragazza e dov’era quella luna, così che
non ti sembrano nemmeno veri.
S’illuminò la memoria di un’estate lontana, di una storia d’amore
ormai trascinata via dal fiume degli anni, un periodo in cui i miei
sogni si libravano alti nel cielo.
..silenzio........
.........
....
..
L’avevo conosciuta nel sole di fine Luglio di molte stagioni fa.
Sembra quasi un’altra vita...
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In un certo senso lo era davvero.
Camminavo nella luce rovente del mezzogiorno, quando l’energia
ti scorre con un brivido giù per la schiena.
La incontrai là dove finisce la terra e incomincia il mare.
Sdraiata sulla sabbia umida, mille gocce d'acqua sul suo corpo
scintillavano nel sole.
Non so più dire se fosse così bella come la ricordo... L'ho riimmaginata troppe volte ed è trascorso troppo tempo. Nella mia memoria è un modello ineguagliabile.
Dorati come la sabbia, i capelli le scendevano su una spalla fin sul
seno e i suoi occhi rispecchiavano il mare.
Il suo sorriso, nei miei ricordi, è una luce in mezzo a tante ombre.
Lei era l'eterna gioia di vivere, contrapposta ai miei frequenti malumori. Si adombrava se il sole le inaridiva la pelle o se la luce le
arrossava gli occhi, ma solo per un attimo. Sul mio umore gravavano spesso nuvole grigie ed uniformi che duravano giorni interi.
La rivedo mentre ride in riva al mare sotto una tettoia di canne intrecciate, nel torrido silenzio di Luglio, amplificato dal brusio delle cicale e dallo sciabordare sommesso delle onde.
Il sole sull'acqua, frammentato in una miriade di specchi luminosi,
si rifletteva nei nostri animi.
La vita sembrava acquisire innumerevoli profondi significati in
quella brezza calda e nei suoi occhi azzurri.
In quegli attimi sembrava evidente l'esistenza di Dio.
Credevo che saremmo rimasti così per sempre, io e lei, in una
spiaggia luminosa sotto un caldo sole eterno.
Ma i momenti di splendore ardono in fretta...
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Una mattina ripartì, portandosi via tutto quello che la vita sembrava aver trovato, e la luce confortante dei suoi sorrisi divenne presto un ricordo lontano.
È al momento della separazione che ti accorgi realmente
dell’importanza d’una persona.
La sua vita sembra arrestarsi nell’attimo della partenza.
E non riesco proprio ad immaginarla vivere la vita di ogni giorno,
nella sua città, tra i suoi amici.
Ogni volta che penso a lei, la rivedo ritratta in uno dei suoi incantevoli sorrisi, fissata in un ritaglio di situazione che abbiamo vissuto insieme, come in quell'unica fotografia rimasta.
Le esistenze degli uomini sono simili alle scie delle rondini che
volavano in quei giorni di fine estate: s’incrociano per caso, rimangono unite intrecciandosi per un attimo e poi si separano.
In quei momenti trascorsi con lei mi sembrava di aver sentito
qualcosa... che tutto avesse un significato ancora più profondo di
quello che mi era apparso, che ci fosse stato un ritmo fuggente, ma
importantissimo, che non ero riuscito ad afferrare, forse il significato stesso della mia esistenza, un piccolo ultimo gradino davanti
a me, che, smarrito nell'attimo, non ero riuscito a salire.
Quando partì era ancora estate e ascoltando il mare e le rondini,
pensai che forse si poteva recuperare ancora qualcosa di ciò che
mi era sfuggito. Il sole era ancora caldo, un po' più debole, ma
sempre vigoroso.
Presi quel cielo azzurro e quel sole, un vecchio che suonava una
fisarmonica triste su una panchina tra le tamerici in riva al mare,
cercai di fermare le rondini che già volavano a sud-ovest e afferrai
per la coda l'estate che se ne andava a ritmo di walzer.
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Mi mancava così poco... ne ero certo... così poco... un piccolo scalino ancora da salire...
IV
Ma non ci riuscii. E per lungo tempo la mia vita restò in una specie di animazione sospesa.
Anni dopo, passeggiando da solo sulla stessa spiaggia vuota, ho
immaginato spesso che lei, come in una scena d'un film, mi corresse incontro e mi si buttasse tra le braccia, e mi accorgessi che
era sempre stata lì: si era solo nascosta per scherzo.
Ma non sono regista della mia vita e non posso cambiare le scene
a piacimento.
Di tutto quello rimase solo un malinconico ricordo e l’eco di un
rimpianto inestinto.
Sì, a volte il passato diventa invadente, sproporzionato, occupa
grandi parti della nostra vita, fino a diventare ossessivo, con voci
maligne che sussurrano all’orecchio che di quei momenti non se
ne vivranno più.
Ciò che ci sostiene fragilmente, è la speranza che vengano nuove
estati a ravvivare una vita scialba nei giorni comuni e che le dita
del destino, finalmente, intreccino fili di luce anche alla nostra esistenza.
Per questo scegliamo di continuare ad inseguire il miraggio luminoso e suadente dei nostri desideri, fingendo di non vedere le ombre inquietanti che ci lasciamo alle spalle.
Una sera, seguendo le imperscrutabili vie del caso ci rincontrammo in un locale all'aperto.
Era stata una serata tranquilla, come tante altre, di quelle che si
dimenticano in fretta.
Mentre assieme ad alcuni amici mi stavo avviando all'uscita, sentii
una voce che mi chiamava.
Mi voltai, ma sul momento non riuscii a riconoscere chi fosse.
"Ciao, Henry!" con una pacca sulla spalla come fossimo stati
grandi amici.
Dopo un attimo di stupore.
"...?!?... Ciao, Dan!",
"Come va?"
"Bene, grazie".
"Allora, che mi racconti di bello? Che novità ha portato questa
breve estate?", mi chiese.
Feci cenno ai miei amici che mi trattenevo ancora un po' .
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"Beh, niente di ché...
...sai, come da copione... la mia storia con Antonella...", tracciai
una croce con due dita, "...é terminata...".
"Senti... a proposito... ieri ho conosciuto due ragazze... Dovrei uscire con loro, ma i miei amici. . . ", e con un gesto indicò tre figure sedute ad un tavolino, ". . . sono già "ammogliati". Stavo giusto
cercando qualcuno che fosse libero domani sera. Che ne dici?"
Strinse le labbra e mi guardò serio.
Si percepiva solo il brusio di sottofondo e la notte sembrava più
profonda.
Lo guardai con aria diffidente. " Al solito una è carina e l'altra inguardabile?".
"Mi dispiace", rispose, "Sul serio. Mi spiace...”
"No, no, sono carine tutt'e due. Non ti fidi?".
Scrollai le spalle.
"Stavo scherzando, un’uscita con delle nuove ragazze non si può
rifiutare!... Anzi, grazie!".
“Te l’aspettavi però...", continuò.
"Allora ci posso contare?"
"Sì, ma tra immaginare e vivere c’é differenza".
"Sicuro!"
"Dai, su! Non vorrai mica buttarti di sotto, vero?
E poi una ne va, cento ne vengono! Il mondo è pieno di donne!"
"Come lei non ce ne sono tante..."
"Ma dai! Vedrai che ne troverai un’altra ancora meglio, e un giorno quando ti parleranno di lei, dirai: Antonella chi?...".
"Speriamo. Per ora non ho trovato granché in giro".
"Beh, ti sei appena lasciato.Vedrai che quando meno te l’aspetti..."
"Ma sì...".
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Ci scambiammo i numeri di telefono e me ne andai.
Rivedere Dan mi aveva messo addosso uno strano umore.
Il ricordo di Antonella era ritornato prepotente.
Non che riuscissi a dimenticarla a lungo in quel periodo. L’avevo
sempre al margine dei miei pensieri, ma mi venne una nostalgia
più forte che mai.
Rientrando verso casa, mi fermai in un posto isolato in collina,
lontano dalle luci della città, ad osservare la notte.
Non avevo fretta di andare a letto. Non avevo voglia che il sonno
mettesse subito la parola FINE ad un'altra giornata. Restai ancora
un po' ad assaporare le ultime gocce dell'estate e ad osservare l'o20
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rizzonte oscuro. Gli uccelli notturni gridavano nella notte e la luna
compassionevole stendeva i suoi raggi benevoli sui campi vuoti a
rincuorare i suoi figli per la fine d'un altro ciclo.
I grilli avevano un canto maledettamente malinconico...
A breve mi attendevano un altro autunno insulso, seguito presto da
un nuovo inverno spietato e interminabile.
Ma la notte era ancora tiepida, perciò, senza guardarsi indietro, si
poteva immaginare di essere ancora all'inizio dell'estate con davanti tutta una stagione di promesse sussurrate...
Però l’incantesimo durava poco. Subito ritornava il pensiero che
Antonella era partita, e con lei buona parte dei miei sogni. Era dura.
Feci forza su me stesso.
"Che importanza ha, in fondo, Henry? Tutto si trasforma... l’hai
sempre saputo... perché farne una tragedia? Ciò che è inevitabile
va accettato e basta..."
Una leggera brezza profumata di fiori mi accarezzava il viso.
Mi guardai intorno; fioche luci lontane, sagome di alberi, colline
sfumate all’orizzonte, la realtà stessa mi appariva rarefatta...
Ebbi una strana, assurda sensazione...
"E poi chissà se tutto questo è reale...?”, pensai.
All’improvviso la prospettiva girò su se stessa. Tutto mi apparve
differente. La realtà mi apparve fluida, evanescente, piena di infinite possibilità...
Mi prese inaspettatamente un senso di ebbrezza.
Presi fiato e per un attimo pensai: "Ma certo, è tutto un sogno!
Adesso mi risveglio e mi ritrovo in quarta liceo, alla fine della
scuola!
Ho sognato tutto!
Che bello! In realtà ho ancora diciassette anni e tutto deve ancora
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accadere!".
Fu un attimo bellissimo pieno di immense opportunità.
Mi venne da sorridere.
"Certo, è così! ...Adesso chiudo gli occhi e svanisce tutto!"
Chiusi gli occhi.
Ma quando li riaprii...
...mi risvegliai nel sogno...
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un vestitino verde. Aveva un carattere aperto e chiacchierando allegramente, iniziò subito una conversazione animata con Dan.
Elena aveva lunghi capelli castani e lisci, occhi grandi e bruni, e
vestiva un abito leggero rosa pallido. Aveva un carattere più riservato anche se non la si poteva definire timida.
Mi raccontò che gli ultimi anni erano stati segnati da una lunga
storia d'amore.
V
Il giorno seguente trascorse in un clima di attesa per la serata.
C'eravamo dati appuntamento in piazza dopo cena.
Quando arrivai, da lontano scorsi tre piccole figure al centro della
piazza incorniciata da antichi palazzi imponenti e sovrastata da
una miriade di stelle tremolanti. Una brezza delicata rendeva leggere le cose come se dovessero levitare da un momento all'altro.
"Ecco Henry!" disse Dan.
Quando fui vicino, mi dette una pacca sulla spalla con aria di
complicità: "Loro sono Elena e Francesca"
Facemmo le presentazioni con sorrisi e strette di mano, e come al
solito, dimenticai subito i nomi delle ragazze.
Sembravano carine, ma nella penombra della piazza non riuscivo a
vederle bene.
Visto che la sera era mite, andammo in un locale all'aperto appena
fuori città, sulle colline.
I tavolini erano illuminati da candele che irraggiavano una luce riposante e al centro un’orchestrina suonava in maniera ovattata e
un po’ malinconica. Attorno c'era un ampio prato, e in fondo, circondato dagli alberi, un laghetto da cui giungeva debolmente il
gracidare delle rane.
Dan aveva ragione, le ragazze erano tutt'e due molto femminili e
molto carine.
Francesca aveva capelli castani e mossi, occhi azzurri e indossava
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"Pensa che quando l’ho conosciuto, non avevo nemmeno voglia di
una nuova relazione; non ne avevo proprio voglia. Non solo non la
stavo cercando, ma anzi la evitavo proprio.
La storia precedente mi aveva lasciato una grande delusione e un
senso... un senso...
...di disgusto... ecco...
...vedere un rapporto trasformarsi così... passare dall’amore ai litigi ...le ripicche ...mi aveva nauseato..."
"Con Alex, è stato differente... Ci siamo subito trovati bene insieme. Ho capito immediatamente che era qualcosa di diverso da come mi batteva il cuore."
Le brillavano gli occhi.
Le donne sempre romantiche.... pensai.
Quando pare a loro...
"Ero alle stelle. Un sogno... davvero un sogno...
Troppo bello...".
I suoi occhi presero un’espressione triste.
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Ci fu un’ampia pausa. Dan stava scherzando con Francesca.
Chiacchierando, e ridendo tra una battuta e l’altra, cercavano continuamente il contatto delle mani. Erano già avanti...
Aspettavo che Elena ricominciasse, ma sembrava smarrita nei suoi
ricordi.
Ne abbiamo parlato più volte, ma non è che gli stessi col fiato sul
collo!...
Un giorno mi ha detto che non mi meritava... che una come me si
meritava di meglio... che avevo bisogno di un ragazzo con la testa
a posto..."
"Perché è finita?"
Le solite scuse per mollare una, quando non ne trovi altre... pensai.
"Già... Perché? Me lo domando anch’io...
...la versione ufficiale... è che aveva paura del futuro... delle scelte
da farsi... non era il momento di fare progetti... non era pronto..."
"Volevi sposarti?"
"Beh, sì.... certo... mi sarebbe piaciuto... Stavo bene con lui... Mi
sarebbe piaciuta una vita insieme...
...ma lui ha detto che era uno spirito libero... che non si sentiva
pronto per un passo così importante... che non era ancora il momento..."
"Insomma si è sentito col fiato sul collo...", dissi.
"Fiato sul collo!... Non esageriamo! Non gli ho mica fatto delle
pressioni..."
Non gli hai fatto delle pressioni!... pensai, sorridendo dentro di me
M’immagino!... quando vi ci mettete, voi donne, con queste cose...
“Certo, mi avrebbe fatto piacere sposarmi... io speravo solo che
prendesse una decisione...
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"Per me fu davvero una mazzata... Mi sembrò che tutto il castello
di felicità e di progetti che avevamo costruito insieme, mi crollasse
addosso...
...a lungo ho sperato che ci ripensasse. E invece..."
"Quanto tempo è passato?", le chiesi.
"Ormai è un anno...
...mi sono rassegnata ...da un pezzo...
È stata dura...
Ma poco a poco, sono tornata alla vita.
Mi sono dovuta rifare anche delle nuove amicizie, perché avevamo frequentato sempre il giro dei suoi amici, e così...
...inoltre buona parte delle mie vecchie amiche sono fidanzate ...o
hanno messo su famiglia...
È stato un periodo difficile.
Poi per fortuna ho conosciuto Francesca. Ci siamo subito trovate
benissimo, insieme.
Ma senti, dimmi di te, piuttosto! Ho parlato solo io!".
Ordinai un altro Negroni.
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"Beh non c’è molto da raccontare... Mi sono lasciato qualche mese
fa..."
Ad un certo punto, Dan disse: "Noi andiamo a vedere il lago, venite?".
Le raccontai di sfuggita di Antonella e di come avevo conosciuto
Dan.
"Vi raggiungiamo subito", risposi. E li lasciai incamminare.
La conversazione cominciava a languire in pause sempre più ampie e la serata aveva preso un tono nostalgico. Perciò dopo che furono passati parecchi minuti, proposi di raggiungerli.
Attraversammo silenziosamente il prato, soffice sotto le scarpe e
velato di rugiada.
Vicino al lago distinguemmo due figure abbracciate.
Bravo Dan!, pensai.
Elena si voltò verso di me e mi sorrise. Le sorrisi. La guardai nel
profondo degli occhi, come se fosse veramente possibile guardare
l’anima. La sua espressione si fece più seria e mi sembrò che il
suo sorriso si sfumasse di malinconia.
C’era un’atmosfera sognante. Forse era la notte o la musica. Suonavano in lontananza un’aria che mi pareva famigliare...
"Le volevi bene?", mi guardò con occhi dolci.
"Certo".
"È stata una storia importante?"
"Beh..."
"Dì la verità!"
Bevvi un sorso di Negroni.
"Sì"
Un alito di vento agitò la fiamma della candela. Una civetta cantava in lontananza.
"...ti manca molto?"
Non risposi.
Mentre i pensieri fluivano nella notte, le stelle mutavano posizione, disegnando nuove forme geometriche nell'oscurità.
Le rane cantavano più forte.
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♪ la, la-la laa la ♫... cos’è pure?... ♪ la, la-la laa la ♫... ♫ la, lala♪ ...?
..Sì, sì, la conosco! Com’è che fa pure?... ♪ la, la-la laa la ♫
...non... eppure... Com’è che dice?... ♫ la, la-la ... ♪...the rainbow... Ecco! ...sì!
...Over the rainbow!....... oltre l’arcobaleno ...
... mi sembra perfetta...
La guardai negli occhi lucidi sotto i raggi della luna, cercando di
capire i suoi pensieri.
28
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Il suo sguardo era pieno di malinconia, ne ero certo.
Mi sembrò ancora più bella e il suo viso poco alla volta si confuse
con quello della donna che avevo amato da sempre.
Le rane scandivano sempre più forte il pulsare della natura.
Le accarezzai il volto passandole una mano tra i capelli e avvicinai
il mio viso al suo.
Quando le nostre labbra si toccarono, improvvisamente le rane sospesero il canto, le stelle si spensero e il lago e il parco svanirono:
rimasero solo due anime perdute tra di loro nell'oscurità.
VI
Elena aveva cicatrici grandi e profonde nell’anima. L’amore
sbrecciato aveva lasciato dei solchi.
Aveva una gran paura di soffrire di nuovo, come chi sa bene cosa
vuol dire un amore che finisce.
Mi faceva tenerezza. Mi sembrava così sola e sperduta... Ti osservava con grandi occhioni tristi, inerme e spaurita come se da un
momento all’altro si aspettasse una bastonata.
La coccolavo, curavo le sue ferite. Cercavo sempre di farla ridere
e sorridere.
Piano piano le ombre sul suo umore svanivano, ricominciava a
splendere un po’ di luce. Le ferite cominciavano a guarire. Lentamente cominciava ad aprirsi.
"Sono stata fortunata a trovarti", diceva, "non speravo più
d’incontrare uno come te.
Ho avuto tante delusioni... ma tu sei diverso...
Se dovessi scoprire che mi stai prendendo in giro pure tu...
Da te non me l’aspetto... da te, proprio no...”
La ricolmavo di affetto. Il mio amore per troppo tempo era rimasto
inespresso e inutile.
Con Elena si ricominciava.
Un nuovo amore... una nuova vita...
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Si ricominciava, ma mai esattamente dall’inizio.
Fare l’amore con una nuova ragazza è sempre intrigante.
All’inizio prevale l’attrazione per la novità, la curiosità per un
nuovo corpo, un nuovo mistero da svelare. Poi però ti rendi conto
che si apre un territorio sconosciuto e straniero.
Bisogna ricominciare, cambiare il volto amato con quello di
un’altra, sovrapporre i visi, e confonderli e confondersi, fino a
convincersi che... ma sì, in fondo, è sempre quell’amore...
La prima ragazza è un universo a parte. Non hai punti di
riferimento, non hai mappe, è un mondo completamente
Il primo amore lascia il segno. Il suo modo di baciare diventa uno
inesplorato.
schema familiare. L’odore della sua pelle lascia una traccia da inseguire.
È il Grande Amore... il “sentimento immortale”... che nelle nostre
mentalità irragionevoli, dovrebbe durare più di quelli che lo provano...
Ma ci pensa il tempo a destarci dal sogno.
Il tempo trita, cancella, frantuma. In un soffio, un giorno, il Grande Amore immortale si spegne.
Com’è possibile? Il Grande Amore non può finire... non può morire... non può andarsene così... Ti ci aggrappi, cerchi di trattenerlo,
di non farlo svanire, ce la metti davvero tutta...
Ma va in frantumi lo stesso, assieme al tuo cuore e alle tue illusioni.
È una delle prime dure lezioni della vita: niente dura, nemmeno
l’amore.
L’impari lasciandoci un pezzo di cuore, un pezzo della tua carne,
un pezzo della tua vita che si dissolve in una nebbia di dolore.
Ma forse non l’hai davvero imparata la lezione... Il prossimo sarà
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diverso, ti dici.
E allora cerchi di rintracciare in un’altra quel che hai perduto.
Ma con la nuova non è mai come prima. Devi abituarti a nuove carezze, a un nuovo modo di baciare a un nuovo modo di amare.
Quella voce, non è la Sua voce... Quel tocco non è il Suo tocco...
Alcuni stupiscono per la rapidità con la quale in apparenza riescono a ritrovare quell’amore perduto. In verità, hanno solo l’abilità
di trasformare nella fantasia la prima incontrata a immagine e somiglianza del primo amore, riuscendo a rivivere a piacimento una
messa in scena interminabile con attrici diverse.
Altri finiscono per passare un’intera vita alla ricerca di
quell’amore perduto. Ma in fondo in fondo, sono disillusi da subito: hanno intuito che nessun’altro sarà mai più come quello.
Ogni volta si ha sempre più difficoltà a lasciarsi andare. Tutto si
ferma sulla pelle. D’altronde come potrebbe raggiungere il cuore,
se ferita dopo ferita non ne è rimasto quasi più?
Così l’amore finisce per sembrare soltanto una cosa puramente fisica. Si passa dall’una all’altra; poi ce ne sarà un’altra, e un’altra
ancora. Tanto che importa? Che differenza fa, a questo punto?
Quando il Grande Amore è finito, tutto è andato a puttane.
E allora avanti... indietro non si torna...
Avanti pure....
Si ricominciava, pronto a rimettermi in gioco un’altra volta.
Con Antonella mi ero ripromesso che non mi sarei lasciato coinvolgere più di tanto e che non mi sarei lasciato strappare un altro
pezzo di carne.
Ma non era andata così... Erano gli anni in cui credevo ancora
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
all’amore come a qualcosa di spirituale e non solo una questione
d’opportunità e d’attrazione fisica. Era il tempo in cui speravo ancora nel Grande Amore.
La lezione non l’avevo ancora imparata...
Con Elena non avevo voglia di lasciarmi andare. Così diceva la
mia parte razionale.
Ma l’altra mia parte mi bisbigliava, seducente, che potevo ancora
ritrovare ciò che avevo perduto... Che non sarebbe stato come le
altre volte... Che c’era ancora spazio per sognare... Che potevo ritrovare quel sentiero perduto tanto tempo fa...
C’era ancora tempo per un altro desiderio...
VII
A quell'epoca studiavo Architettura e abitavo da solo in una casa
di campagna sulle colline, tutta immersa nel verde del bosco che si
arrampicava sui dolci pendii della valle.
La mattina quando uscivi era come se salutassi il mondo intero.
In primavera le robinie riempivano la valle di un profumo dolcissimo, allegri cespugli gialli di ginestre si aggrappavano sull’arida
arenaria e i calanchi erano tinti di rossa sulla.
In alto, verso la cima delle colline c’erano dei castagni che in estate ingiallivano di fiori e profumavano l’aria di un sentore amarognolo. Nel fondovalle scorreva un piccolo ruscello che non si seccava neanche d'estate.
Spesso scendevo fin sulla riva e mi sedevo tra le fronde, immobile
ad osservare i pesci nell'acqua limpidissima.
Ascoltare il mormorio del ruscello e il canto degli uccelli del bosco era come un massaggio per lo spirito e, nel mutare dei colori e
della vegetazione, seguivo i saggi ritmi dimenticati delle stagioni,
che si susseguivano con calma pacata, a dispetto delle frenesie degli uomini.
Dan frequentava il conservatorio, e lavorava come pianista in vari
locali eleganti della città, cosa che faceva soprattutto per passione,
perché con le varie proprietà lasciategli in eredità dai genitori, avrebbe potuto vivere agiatamente di rendita.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Abitava in un attico in pieno centro, a fianco di una grande cattedrale gotica. Il palazzo era più alto degli edifici circostanti e godeva di un panorama splendido. La vista spaziava dai tetti rossi della
città vecchia, dove cresceva una pittoresca selva di antenne e di
camini, fino alle colline pallide che ad ovest facevano da sipario ai
maestosi archi rampanti della cattedrale.
Da quella posizione dominavi la città e ti sembrava di essere più
spettatore che attore della vita che scorreva sotto nelle strade.
Ci trovavamo spesso là, alla fine delle nostre serate, quando il buio
della notte più profonda avvolgeva i nostri animi, attutendo i sensi
ed ovattando i rumori.
Lassù, cancellati con una mano di colore nero tutti gli stupidi problemi quotidiani, in bilico sul ciglio dell'immenso vuoto che avvolge l'universo e che la notte, dissolvendo il velo del giorno, ci
mostrava in tutta la sua profondità, riuscivamo ad intravedere
sprazzi di una realtà che ci appariva molto più vera di quella che
sembra essere fatta solo di lavoro, impegni futili e di quella trita
routine che sembra volerci malvagiamente piegare e incatenare a
sé sempre più saldamente.
La realtà del giorno striscia e quella della notte vola.
E noi ci facevamo tentare dall’ebbrezza del volo.
A volte parlavamo a lungo. Altre volte, invece, il silenzio dominava la nostra conversazione, ciascuno immerso nel proprio inquieto
mondo interiore.
A volte si sedeva al pianoforte e le note si intrecciavano, dolci e
malinconiche, accarezzando e accompagnando per mano i pensieri, verso memorie impolverate dagli anni.
E ognuno rivisitava il proprio passato, ascoltando la stessa musica,
che per ciascuno suonava diversa.
E volavano ore e sogni, finché la stanchezza ci riportava a terra,
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svuotandoci di tutti i pensieri ed avvolgendoci in una piacevole
aura di indifferenza che ci estraniava completamente dal mondo,
come se niente ci riguardasse.
Allora, prima che il sonno mi sopraffacesse del tutto, tornavo verso casa e non mi curavo delle stelle o della pioggia, in una sorta di
atarassia spicciola, tagliata su misura.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
VIII
Ho innumerevoli ricordi di Dan al pianoforte.
La prima volta che lo sentii suonare, fu qualche sera dopo l'incontro con Elena e Francesca.
Era un locale intimo con luci soffuse, pervaso dal fumo delle sigarette, che come una nebbiolina leggera sfumava i contorni delle
cose.
Un applauso accolse Dan, vestito con un bel completo chiaro. Si
sedette al pianoforte, le luci si abbassarono e il mormorio di sottofondo si quietò.
Ricordo che mi colse una strana sensazione, sentendo le prime note, e che mi concentrai sulla scena come se avesse avuto un significato più profondo, un significato celato che mi sfuggiva.
Le note cominciarono a riempire la sala con la triste melodia di
una vecchia canzone francese, piena di spaziose pause e di rallentamenti. "♫ ...on oublie le visage et on oublie la voix...♪"
Tante immagini venivano rievocate come evanescenti fantasmi dei
giorni andati, ombre che rendono la vita apparentemente degna di
essere vissuta e greve da sopportare. Il pubblico sembrava trattenere il respiro per paura che potessero svanire. "♫...et l’ont se sent
blanchi comme un cheval fourbu...♪"
E i fantasmi lentamente si muovevano e danzavano, per ciascuno
diversi, ma osservandoli insieme, simili, come simili sono i ricordi
degli uomini. Perché‚ cambiando solo i nomi, e i volti che si con37
fondono, si possono scrivere le storie di tutti, e raccontare quell'immensa agitata moltitudine di memorie che sottilmente, partendo da piccoli avvenimenti e drammi personali, hanno creato la
Storia.
L'atmosfera ci aveva coinvolto profondamente. Elena era molto
seria; Francesca aveva gli occhi lucidi. Mi resi conto che era innamorata di Dan.
Rimasi perplesso dall'apparente cambiamento di Dan. Facevo fatica a conciliare l'immagine di allegra persona superficiale che mi
ero fatta di lui, appena conosciuto, con quella sentimentale e malinconica che scaturiva dal suo pianoforte.
38
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
splendore. Ma, nostalgicamente, mantiene anche invischiati a ricordi, probabilmente fasulli, di cose che comunque non saranno
mai più.
E per contrasto, spesso ci fa sembrare ben misero il presente.
IX
Non c’è molto altro da raccontare di quel periodo, solo serate in
giro per locali e il dolce fluire del tempo tra i baci di Elena e le
canzoni di Dan, ed è intessuto più da stati d'animo e da sensazioni,
che da episodi concreti, per poter essere adeguatamente descritto e
suscitare qualche interesse.
Posso solo dire che a tratti ho avuto l’impressione di percepire di
nuovo quel ritmo fuggente udito tanto tempo fa.
Più di una volta ho pensato di aver ritrovato i frammenti di un paradiso perduto in cui un uomo poteva ritrovare la sua giusta dimensione.
Più di una volta ho sperato che il tempo si fermasse lì.
Ma il futuro progettava diversamente, e il divenire indifferente,
continuava la sua corsa imprevedibile, accrescendo e sgretolando
le sue fragili, effimere creazioni.
Molte immagini si sovrappongono nei miei ricordi di quei giorni
con Elena...
Che strana cosa il ricordo... Spezzetta la realtà, ne estrae frammenti, spesso scegliendo solo i più belli e luccicanti, ignorando quelli
banali...
Tutto è così splendente, lucente, circondato da un aura luminosa...
Sembra una fortuna, perché fa sembrare la vita passata soltanto
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Rivedo brevi lampi... Il suo sorriso enigmatico. Prati verdi e giorni
di pioggia. Il vestitino rosa che aveva quando l'ho conosciuta e i
suoi capelli castani. La rivedo ridere e parlare di cose serie.
Poi però, la prospettiva cambia, e mi ricordo degli ultimi tempi...
Già, gli ultimi tempi...
Aveva cominciato a comportarsi in maniera strana. Si era fatta taciturna e pensierosa.
Non riuscivo a capire. Pensavo che fossero solo malumori passeggeri dovuti al clima autunnale. Le donne sono frequentemente
soggette a tristezze, spesso incomprensibili anche a loro stesse.
Le domandavo: "Che c’è che non va?".
E lei ogni volta, con un mezzo sorriso, rispondeva "Niente".
Un giorno di fine autunno che ero da lei e i silenzi erano diventati
più lunghi ed insostenibili che mai, domandai ancora:
"Elena, cos’è che non va?"
Mi guardò con gli occhi lucidi e cominciò a piangere.
Colto di sorpresa la abbracciai e le passai la mano tra i capelli della nuca, accarezzandola con tenerezza.
"Ma che c’è, Elena?"
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Tirò su col naso. Parlava con voce malferma.
Pianse per un po’, mentre l’abbracciavo.
"Eh? che c’è? Me lo vuoi dire?", dissi con dolcezza e grande pazienza.
Singhiozzò ancora un po’.
Poi tirò su col naso e si schiarì la voce.
“...all’inizio non volevo vederlo... ma lui insisteva per chiarire le
cose...
Alla fine qualche giorno fa ci siamo incontrati, e abbiamo parlato
a lungo...”
Per farla breve, l'aveva pregata di tornare, le aveva detto che gli
anni trascorsi insieme dovevano pur avere un senso... che non si
poteva lasciar morire così quello che c’era stato tra di loro... bla,
bla, ecc. ecc. ...insomma, le solite stronzate che si dicono quando
si cerca di riprendersi una ragazza...
Lasciai l’abbraccio e mi distanziai da lei.
" ...mi ha chiamato Alex..."
"Chi?..."
"Alex...
...mi ha telefonato Alex..."
"E tu?", chiesi secco.
Fui colto alla sprovvista.
Allentai l’abbraccio. La guardai in viso.
Teneva lo sguardo basso.
"Non so... sono confusa… non so cosa pensare…"
Mi aveva colto di sorpresa. Mi aveva così spiazzato che non riuscivo nemmeno ad arrabbiarmi.
“Alex?”
Le dissi solo qualcosa del tipo: "E io? ... E noi?... E adesso....?"
“Sì...
Mi ha telefonato varie volte... Voleva parlarmi...”
"…non so... Non mi capisco più…" e piangeva.
Cercavo di guardarla negli occhi, ma mi sfuggivano.
Singhiozzava.
Le voltai le spalle e me ne andai alla finestra. Fuori c’era il tramonto di un giorno freddo e cupo.
“E tu...?”
"Che vuoi fare?", la mia voce uscì brusca.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Le prime luci pallide e fioche cominciavano ad accendersi qua e
là.
Dovevo uscire.
Amen...., dissi tra me e me. Presi la giacca e mi avviai alla porta.
"... non so... sono confusa..."
"Henry! Henry, aspetta!..."
La notte avanzava nebbiosa come una cappa opprimente sulla città.
Chiusi la porta e uscii in strada.
Vagai per tutta la sera senza meta. Poi mi stancai e decisi di
rincasare.
Quando rientrai, trovai una decina di suoi messaggi in segreteria.
"Che vuoi fare?"
"... non so ...ho bisogno di riflettere…"
"...?? ci sei, Henry? ...se ci sei rispondi... ci sei?...chiamami dai..."
AVANTI DILLO, CAZZO!, pensai.
Cancellai tutto.
Mi lasciò ancora vari messaggi per qualche giorno... le solite frasi... un po’ di pianto...
"...Quindi?..."
Un cane solitario abbaiava in lontananza.
"...forse è meglio... se vado a stare un po’ da mia sorella ...ho bisogno di riflettere... di stare un po’ da sola...".
Ecco!
Mi abbracciò da dietro e ricominciò a singhiozzare.
Avrei voluto dire tante cose, ma non mi venne niente di coerente.
"Non dici niente?", chiese. "Eh?”
Sfuocati per la nebbia brillavano già i primi addobbi natalizi. Ormai il Natale era alle porte.
L’atmosfera mi opprimeva.
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E infine, un giorno "Henry... ci sei?...
Ci sei? ...domattina parto, vado da mia sorella..."
Il giorno seguente andai davanti a casa sua. Volevo parlarle, ma
quando fui là davanti, mi misi a sedere su una panchina.
Non so nemmeno io cosa stessi pensando. I pensieri sembravano
nuvole sulla cima di una montagna: si addensavano, si contorcevano, si dissolvevano.
Ad un certo punto si fermò un taxi, e lei uscì.
Quando la rividi giù in strada salire sul taxi che l’avrebbe portata
in stazione, mi prese un nodo alla gola, un misto di rabbia e disperazione.
Non andai a salutarla, non mi feci nemmeno vedere, mi girai sem44
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
plicemente e me ne andai.
X
Quando la mia relazione con Elena terminò, l'inverno con i suoi
bianchi veli cominciava già a ricoprire i prati delle colline più alte.
Era il periodo delle nebbie, ed il desiderio d’infinito e di spazi aperti era schiacciato da quella fumosa incombente massa grigia.
Il freddo si sentiva dentro e rendeva le persone taciturne e cupe,
mentre passavano veloci per le strade, rannicchiate nei cappotti
con lo sguardo basso.
Erano i giorni più corti dell'anno e sembrava che non finissero
mai.
L'estate appariva come un pensiero astratto, completamente inconcepibile.
Nelle poche mattine serene, il sole sorgeva tardi e col buio e il
freddo, il risveglio aveva un senso d’ansia e d’oppressione. L'aurora sembrava urlare col suo colore porpora sul cielo nero. La sagoma scura del grande cedro nel giardino, nel cupo lucore dell'alba,
sembrava un mostro maligno in agguato, un oscuro presagio di
sventura. Perfino il canto del gallo, in lontananza, aveva un suono
sinistro.
Solo io so quanto ho odiato quei momenti cupi da canti gregoriani
in una cripta.
Ricominciava il solito duro periodo da discoteca, quando, per tentare di scrollarci di dosso il grigiore e l'umidità delle sere nebbiose
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
con la depressione dilagante negli animi, cercavamo il frastuono di
suoni e di luci squillanti.
Per questo nelle cupe sere invernali sfidavamo la nebbia, il gelo e
la distanza riversandoci sulle lunghe strade buie fino ai locali più
lontani, inseguendo l'unica illusione di divertimento che ci attraeva
come falene ad una luce artificiale.
Vivevamo di sogni, soltanto di sogni.
Non avevamo altro in fondo... Proiettati perennemente in un immaginario futuro luminoso per sfuggire lo squallido presente.
Sognando, riuscivamo a mantenere un precario equilibrio al disopra del nulla spaventoso sempre in agguato sullo sfondo...
Sì, meglio mantenersi impegnati in mille attività inutili, meglio vivere di sogni di latta, di plastica dorata, che guardare in faccia al
vuoto.
Quando uscivamo, a inizio serata, il futuro si stendeva davanti a
noi con tutte le sue apparenti infinite potenzialità. Il vento era giusto e i sogni volavano alti: sogni di ragazze bellissime tutte calze
nere, vestitini aderenti e tacchi a spillo. Sogni di avventure che avevano noi e loro come protagonisti, progetti di vacanze invernali
su bianche spiagge tropicali al caldo tra le palme...
Intanto eravamo avvolti dalla nebbia e dal freddo, e le fate meravigliose erano solo fate di rimmel e di rossetto, false come quello
sguardo fatale con cui cercavano di nascondere le occhiaie e
l’insicurezza.
Comunque, la fantasia rimediava a quello che la realtà non offriva
e anche i sogni erano pur sempre qualcosa...
In quel periodo io e Dan, con qualche amico occasionale, andavamo in locali molto sostenuti, molto alla moda e molto cari, dove le
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ragazze avevano un'aria molto snob come se fossero state fotomodelle da copertina.
Tutte si sentivano estremamente belle, irraggiungibili e nobili, soprattutto le segretarie.
Nonostante l'aria sdegnosa ed indifferente, l'emancipazione femminile e il sessantotto, erano tutte in caccia di marito coi soldi, che
magari le rapisse sulla sua Porsche fiammante così da far crepare
d’invidia le colleghe d’ufficio.
Tutti avevano un’aria posata ed ognuno recitava la propria parte:
noi da uomini importanti, loro da dive del cinema. Alla fine il nobile figlio del fornaio conquistava la divina parrucchiera, ma, con
un pizzico d’ironia, andava bene lo stesso: l'importante era poter
sognare.
Ma la vita dispensa il divertimento a piccole dosi, troppo piccole
per i nostri animi insoddisfatti e alla fine della maggior parte delle
serate era la delusione a restare nel fondo.
L'amarezza si accumulava e poco a poco offuscava i pensieri e le
speranze, così che alcune sere desideravi solo sprofondare nel
sonno con l'intenzione di dissolverti nel nulla.
Ogni giorno speravamo che succedesse qualcosa che potesse colorare la lunga schiera di giorni grigi che rendono squallida l'esistenza. Ma la realtà con le sue mani grossolane sciupava tutti i sogni.
Ci sentivamo perseguitati dal destino, credevamo che ci avesse
fatto grandi ingiustizie negandoci malignamente tante cose che sarebbe stato giusto ricevere assieme alla vita. Così ci dovevamo
confondere continuamente tra divertimenti e passatempi per eludere le grigie ragnatele letali della noia.
Ma i divertimenti sono come una droga, danno assuefazione e devi
averne dosi sempre più massicce, perché la soglia di reazione di48
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
venta più elevata e più pericolosa la depressione che segue.
Non ci sapevamo accontentare della serenità come un saggio maestro antico ci aveva suggerito.
Volevamo la felicità.
Ma per un minuto di felicità occorrono spesso giorni di frustrazione e di sofferenza.
E noi, allora, dissennatamente, eravamo pronti a rischiarli.
Allora non sapevamo ancora che la felicità è un rapido fuggente
divenire, e non uno stato. Pensavamo di poter raggiungere la felicità perpetua.
Però alla fine Dan aveva capito che la felicità non è che un apice,
una posizione instabile, che dev’essere breve e acuta, per essere
intensa.
E non aveva esitato ad andare fino in fondo.
XI
Si ricominciava...
La mia vita aveva fatto un nuovo giro completo, anche se non ero
esattamente al punto di partenza. Avevo piuttosto compiuto un giro a spirale, come la puntina che segue la traccia di un vecchio disco e si avvicina un po’ di più alla fine del brano.
Ero tornato alla vecchia, apparentemente interminabile routine di
sempre.
Non so quante serate in tanti anni abbia trascorso a ballare, è impossibile contarle... Quando ci ripenso, mi sembra che sia stata
un’unica interminabile serata, con personaggi che si avvicendano,
ma sono sempre gli stessi, in fondo.
Ricordo ancora gli anni delle prime uscite, proprio i primi anni...
..tutto era divertente, tutto appariva bello e fresco, e la vita scorreva in un largo fiume a portata di mano. C'era, è vero, qualche ombra cupa ogni tanto, ma non ci facevamo troppo caso. Il mondo ci
appariva una grande festa e noi eravamo gli invitati di riguardo.
A quel tempo compagni fissi di avventura erano il Dottore e Gigler e qualche altro in formazione variabile.
Il Dottore, all'epoca non aveva ancora questo soprannome, ma fu
chiamato così perché fu il primo a laurearsi.
Di carattere era molto nervoso ed aveva la tendenza ad essere pessimista. Gli piaceva scherzare, ed era divertente, ma il suo umore
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
di fondo era l'arrabbiatura, un'arrabbiatura cosmica, non personale,
che esprimeva con continue imprecazioni.
Gigler l’avevamo chiamato così dal nome storpiato di un pezzo
del carburatore, perché aveva la mania per tutto ciò che aveva un
motore e, in particolare, per le moto.
Di carattere era tranquillo ed era spesso soggetto ai colpi di sonno.
Viveva alla giornata, un po' come tutti noi del resto, ma in modo
ancora più accentuato, viveva al minuto, all'istante. Le sue previsioni non superavano mai le ventiquattrore e inventava i giorni di
momento in momento.
Era la sua dote migliore, anche perché così era praticamente sempre di buon umore. Sono infatti pochi i momenti presenti realmente brutti. È il pensiero del futuro che genera preoccupazioni.
Di solito andavamo tutti assieme verso la meta, compiendo parecchie decine di chilometri col furgone bianco sporco di Gigler, che
era passato a ruolo di autobus della compagnia.
Ogni chilometro con quel vecchio rudere che emetteva una densa
nube nera e scricchiolii inquietanti da banchisa al disgelo, era un
rischio non indifferente. Abbiamo infatti rischiato la vita più di
una volta, un po' per i colpi di sonno di Gigler, un po' per la sua
guida spericolata, sempre al limite, giù per i tornanti dei colli o
sulle lunghe provinciali.
Durante i viaggi, di solito stavo davanti di fianco a Gigler, soprattutto al ritorno quando tutti dormivano, Gigler compreso. Il mio
compito era di risvegliarlo con uno scossone ad ogni curva perché
potesse sterzare e si riuscisse così ad arrivare a casa senza problemi.
All'andata l'euforia regnava incontrastata, aiutata anche da vari alcolici. Facevamo infatti varie tappe durante il viaggio nei bar in51
fimi di provincia per "carburarci" come diceva Gigler, cioè per
tracannare Negroni, Scotch & Scotch, B52 e altri cocktails.
Io bevevo poco, perché bere, più che mettermi allegria, mi fa addormentare e dovevo, tra l'altro, stare sveglio al ritorno.
A quel tempo le mete erano discoteche di massa, tipo bolgia dantesca, dove un carnaio sudato ed alienato urlava e si dimenava.
I lampi allucinogeni delle stroboscopiche ti facevano barcollare e,
con la violenta musica frastornante, ti estraniavano dalla realtà.
Orde di persone ti urtavano e ti spintonavano, e l'aria era satura di
fumo e bollente come all'inferno. I ragazzi sembravano degli indemoniati nel delirio della danza a ritmo martellante, e le pi-erre,
che dall'alto dei cubi mostravano le mutandine compiaciute, sembravano diavolesse che incitavano i dannati.
A volte ti sentivi sperduto e fuori luogo come un invitato di convenienza dell'ultimo minuto ad una festa in cui non c'entri niente.
L'ambiente ti appariva ostile e tutti sembravano osservarti e disapprovare; allora ti buttavi su un divanetto in un angolo, aspettando
con bramosia l'ora di ritornare a casa.
Altre volte, forse anche con un pizzico in più di alcool nelle vene,
ti sentivi a tuo agio, quasi fra amici. La musica si mescolava ai
tuoi pensieri, li rielaborava e li riordinava creando nuove fantasie;
ti riempiva di euforia, ti sentivi pieno di idee e di possibilità, e
cominciavi a danzare, posseduto dal ritmo, incurante di ciò che ti
circondava, un satanasso tra i tanti.
I frequentatori di quei locali erano per lo più ragazzini, ma impasticcati e violenti, che giocavano a fare i duri e facevano scoppiare
spesso delle risse, cosicché, a volte era la polizia a metter fine alla
52
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
festa. Per lo più, fortunatamente il bilancio dei danni era di qualche bicchiere e naso rotto; ma ogni tanto, purtroppo, spuntava un
coltello e accadeva che qualcuno non si rialzasse da terra...
Comunque, per quanto violento, quello era il mondo che noi conoscevamo allora, il Nostro mondo, e bello o brutto che fosse, eravamo perfettamente adattati per viverci e quasi a nostro agio.
Ci sentivamo una grande compagnia di grandi amici. Amicizia eterna di una compagnia eterna.
Ci credevamo davvero.
C’eravamo noi, gli eletti, un gruppo di amici immortali e inossidabili. E poi c’era il mondo, a parte.
Avevamo visto molte compagnie sfasciarsi col tempo, ma noi ci
credevamo differenti.
Ci credevamo davvero...
Mi rivedo ancora, tutti insieme a ridere e far casino sul palcoscenico del vecchio furgonaccio di Gigler...
Che nostalgia!...
Il vecchio furgonaccio bianco, per anni e anni fedele compagno di
infinite avventure...
Mi viene da sorridere a pensarci. E anche parecchia malinconia.
Ci si abitua presto alle cose, diventano parte di noi, del nostro essere, quasi dovessero durare per sempre...
Quante illusioni d’eternità, in questo mondo!
Il vecchio furgone sembrava indistruttibile, anche se temevamo
che un giorno o l'altro avrebbe terminato la sua esistenza assieme
alla nostra, contro qualche tir o giù da qualche strapiombo.
Un giorno, invece, senza preavviso, gli venne una brutta tosse
convulsa. Lì per lì pensammo che fosse qualcosa di temporaneo
53
come spesso gli accadeva.
Invece no: in due minuti si fuse tutto.
Non ci fu più niente da fare. Fu accompagnato tristemente nell'ultimo viaggio a traino e sepolto tra le fredde lamiere d'uno sfasciacarrozze.
Fu quasi un funerale. Vederlo là in mezzo a tante altre carcasse
sfasciate e anonime mi mise una gran malinconia, quasi come se
un pezzetto di noi se ne fosse andato.
E fu proprio così, in qualche modo segnò la fine di un epoca.
Adesso che sono passati vari anni, con Gigler, il Dottore e gli altri
ci vediamo solo di tanto in tanto e sempre più di rado. Ognuno ha
la propria vita, il proprio lavoro, la propria donna, la propria famiglia, e c'è poco tempo e spazio per gli altri. Soprattutto il lavoro ha
occupato larghe fette della vita di ciascuno e ha intristito ed ingrigito tutti con la logica smaniosa dell'efficienza e della produttività.
Ogni tanto si riprova a fare qualche rimpatriata dove si finisce per
riparlare nostalgicamente del passato: sempre gli stessi racconti
impagliati.
Sì, me ne rendo conto: è stata una storia di una qualunque compagnia, con amicizie credute eterne che si dissolvono, amici che si
disperdono, il presente incalzante che irrimediabilmente confina e
cancella il passato.
Ognuno per la propria via. Rimane solo una triste stanza vuota tra
i ricordi, ingombra di malinconici avanzi e di squallide cartacce,
come accade quando la festa è finita.
54
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Un giorno proprio ad un passo dal Natale, mentre passeggiavo per
le strade lucide della città vecchia in un indefinibile stato d'animo,
tra colonne, fiocchi di neve e mille volti anonimi, sentii una voce
che mi chiamava.
XII
"Henry?!"
L’inverno avanzava velocemente e l’anno volgeva ormai al termine.
La neve aveva cominciato a scendere candida in sciami di lenti
fiocchi. Con tanta pazienza ricopriva il triste paesaggio invernale
di un uniforme candore che ne nascondeva le macchie e le asperità, gettando sul mondo un velo di purezza di cui si era perduta
memoria.
Le luci natalizie riempivano le strade adornando e incorniciando le
case e i negozi, e gettavano ponti luminosi tra i palazzi. Brillavano
fredde nel buio come apparizioni miracolose. La gente camminava
in interminabili file vocianti, tra le vetrine illuminate e gli addobbi. Gli archi dei portici, come rapiti da un sentimento mistico,
sembravano volersi spingere più in alto, in uno slancio maestoso.
Vetrine piene di addobbi, pacchi di regali dorati e argentati, con
nastri rossi e blu, babbi natale, pupazzetti, alberi di natale luccicanti, file di gente vociante, automobili, gente che entrava e usciva
dai negozi piena di pacchi.
Mi piaceva camminare là in mezzo inosservato come un fantasma.
Passeggiavo distrattamente, osservando senza trattenere niente.
Smarrendomi tra la folla di persone indaffarate mi sembrava che
svanissero anche i miei pensieri.
55
Mi girai.
"Henry!"
"...? ...!"
"Henry, come va?"
"Ciao Jeanne! Che sorpresa!... come stai?"
"Bene", rispose tutta sorridente, "e tu?"
Per la sorpresa ero quasi senza parole. Era come un raggio di luce,
un tono di colore in un mondo in bianco e nero.
"Bene!, bene...."
Jeanne....
...mi ero preso una cotta per lei al tempo del liceo e, nei sogni, aveva colorato molti miei giorni grigi...
Alla mattina andavo a scuola contento, perché sapevo che l'avrei
rivista, e quando mi parlava, il sole rideva anche nella pioggia.
Davanti a quei grandi occhi verdi m’incantavo e mi perdevo. Ma,
56
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
nonostante i miei sogni, lei non ricambiava il sentimento.
Ma la speranza non é mai ragionevole. E io continuavo a sperare e
ad aspettare.
Così, aspettando e sperando, gli anni trascorsero, il liceo terminò e
incominciò il mediocre periodo universitario.
Ormai non ci vedevamo quasi più, ma mi faceva sempre piacere
rincontrarla, anche se sapevo che poi mi sarebbe rimasta una sottile malinconia.
"No, ... no... Sono single..."
"Com’è? ...uno come te non dovrebbe aver difficoltà...".
"Beh, mi sono lasciato da poco..."
"Scusa, mi spiace..."
"Che mi racconti, Henry?"
"Niente, niente... ormai acqua passata..."
"Mah, niente di ché... nessuna novità interessante.... le solite cose... Studio, esco la sera..."
"Dai, vedrai che l’anno nuovo porterà delle novità..."
"Speriamo. E tu cosa mi racconti?"
"Come va l’università?"
"Bene, dai. Ormai siamo verso la fine"
"Mah? ...novità... Boh? ...dunque...
Beh, sì ...mi sono laureata..."
"Bene"
"Grande! E dici niente!.. E adesso che fai?"
"Per il resto faccio qualche lavoretto per guadagnare due soldi...
vado a ballare... Solita vita... niente di nuovo..."
"Adesso lavoro presso un commercialista".
"Bene, sono contento! Quante novità!".
"Dove lavori?"
"Mah, aiuto un architetto a fare dei disegni quando si trova ingolfato... guadagno due soldi, giusto per arrotondare e per abituarmi
al lavoro. "
"Ti sei fidanzato?"
57
"E poi...", disse con un sorriso, "tra un paio di mesi...
...mi sposo!..."
Sapevo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato, ma queste cose colgono sempre un po’ impreparati.
Fu come un’altra porta che si chiudeva definitivamente dietro di
58
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
me.
Era la fine di un’epoca...
...che in realtà era già finita da un pezzo...
Il Liceo... anni incredibili... e tanti, tanti ricordi sempre più lontani
e intangibili...
Certo, ogni giorno, anzi, ogni momento finisce un’epoca... Avrei
dovuto saperlo... e lo sapevo...
Eppure si fa una fatica così grande a lasciar andare le cose e le
persone...
Non credevo che dopo tanto tempo mi avrebbe fatto ancora un effetto così. Sforzandomi di non mostrare l'inesprimibile tristezza e
malinconia che mi erano ripiombate addosso assieme al grigiore
del cielo nevoso, con le parole che si annodavano in gola riuscii a
dirle: "Bene... Bene... Sono contento per te, ti auguro tanta felicità..."
L’abbracciai e le baciai le guance con molta tenerezza.
E la osservai di nuovo perdersi tra la folla, mentre la neve continuava a cadere lenta, fiocco a fiocco, uno per ogni momento svanito, uno per ogni occasione perduta.
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XIII
La vigilia di Natale la mia famiglia era andata ad una cena da vecchi amici e parenti lontani, di quelli che si vedono solo una volta
all'anno e ti dicono sempre che sei cresciuto.
Non avevo proprio lo spirito per affrontarli, e me ne restai a casa
da solo.
Con l’accorciarsi delle giornate ed il progressivo rabbuiarsi della
stagione, anche il mio animo si era adombrato.
Lo spirito del Natale avrebbe raggiunto altre persone più degne; io
ero ormai troppo cinico e smaliziato. E a me, per assurdo, avrebbe
portato solo tristezza: per tutte le cose che dovrebbero esserci e
non ci sono, per tutto quello che bisognerebbe avere e non si ha.
Nel mio Natale non c'erano alberi, non c'era presepe, non c'erano
cene al lume di candela: solo una poltrona davanti al camino, un
pacchetto di sigarette e un bicchiere di duro, ma sincero whiskey,
di quelli che ti raccontano com’è realmente la vita.
Ma sì, in fondo, andava bene anche così. Avevo fatto talmente
l’abitudine a quella profonda e diffusa malinconia, che era quasi
piacevole.
Attendevo semplicemente il momento in cui il sonno compassionevole prende il sopravvento e le maligne voci interiori si fanno
sempre più lontane ed inconsistenti e poi svaniscono.
Ero già mezzo assopito, quando sentii bussare alla finestra.
Mi affacciai.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
...Antonella...
"...???... Ciao Dan!!! ...Cosa fai qui?".
Si fermò sull'uscio con un sorriso imbarazzato.
"Ciao Henry! All’ultimo è saltata la serata nel locale dove avrei
dovuto suonare".
"Come mai?"
"Problemi burocratici... Amen!...
Così ho pensato : "Vado a fare un salutino a Henry, così la smette
di stare da solo in quella cripta"".
"Quale cripta?"
"Ciao Henry..."
Diventava sempre più bella.
Dopo alcuni lunghissimi momenti di sorpresa le tesi le mani e mi
si buttò tra le braccia.
Non avevo più parole. Stavamo semplicemente abbracciati sulla
porta.
"Allora, entrate o avete intenzione di gelare la casa?", disse Dan
dopo un po’.
"Questa!! Mi sembra un funerale! Coraggio, su, un po’ di allegria!
Allora mi apri o no?"
"Subito!"
"Eccoci!", risposi, richiudendo l’uscio.
Dan aveva portato anche un alberello di Natale e una grande cesta
piena di zampone, lenticchie, panettone, datteri, torroni, frutta secca, cioccolatini, champagne...
Si guardò attorno.
"Che sorpresa!" dissi con una pacca su una spalla.
"E non è finita! Guarda chi c'è...".
"Ma ti sembra un Natale questo?
Ma hai fatto una scommessa con qualcuno?...
Stai facendo un fioretto?... Ma dico io!...
...Vabbé ...Ragazze ...Azione! Operazione Natale!"
Nella penombra comparve il viso di Francesca.
"Grande! Ragazzi non sapete che piacere mi fa vedervi!"
L’abbracciai forte e la baciai, ma mentre l'abbracciavo, vidi che
c’era qualcun altro fuori...
Avrei giurato che....
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Antonella e Francesca si misero ad addobbare la stanza e ad apparecchiare.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
"Allora, ci prepari qualcosa da mangiare?", chiese, mentre metteva
nello stereo una musica d’atmosfera.
"Subito!"
Misi a lessare lo zampone, le patate per il purè e preparai delle
tartine di salmone affumicato.
Mi riempiva d'allegria sentire il vocio delle ragazze che scherzavano con gli addobbi natalizi, avvolgendosi coi nastri argentati, e
appendendosi alle orecchie le palline, mentre posavano per le foto
di Dan.
Francesca e Antonella sembravano andare molto d'accordo.
Cantammo a lungo a voce sommessa tante vecchie canzoni che ci
misero in uno strano umore romantico. Quando ci stancammo rimanemmo in silenzio ad ascoltare lo scoppiettio delle braci.
La realtà tornava ad apparirmi piena di significato come mi accadeva di rado, quasi avesse una dimensione celata che si svelava
solo in alcuni momenti benedetti.
Antonella appoggiò teneramente la guancia sulla mia spalla e io
posai le labbra sui suoi capelli, inebriandomi del suo profumo.
Rimanemmo così per un tempo che mi sembrò eterno, e trascorsi
inaspettatamente un Natale profondo e puro.
Presi un attimo in disparte Dan: "Ma Francesca e Antonella...?"
"Ho detto che Antonella è ...una tua ex... E siete rimasti buoni amici..."
"E immagino che..."
"...non ho aggiunto altro...", disse con un sorriso furbesco.
Brindammo con lo champagne e cenammo alla luce soffusa delle
candele e del caminetto, chiacchierando a voce bassa per non
sciupare l'atmosfera. Un'aura fatata ci aveva avvolto come bambini in attesa di Babbo Natale. I bicchieri e i nostri occhi scintillavano alla luce fioca delle candele. C’incantavamo a guardare le
fiamme guizzanti e le bollicine dello champagne che si seguivano
in processione verso l'alto.
Finito il disco insistettero perché andassi a prendere la chitarra.
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64
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
A-MA!"
XIV
"Sì, certo, sai quante hanno detto così? Ma è solo un’infatuazione.
Adesso crede di amarmi, ma presto si renderà conto che era solo
un’infatuazione passeggera".
L'incantesimo durò poco e tutto tornò rapidamente come prima.
Antonella era sparita di nuovo. Dan e Francesca si lasciarono a fine Gennaio.
Fu lui a volere interrompere la relazione senza una ragione precisa. Lei lo amava davvero, questo era evidente, ma Dan sembrava
non rendersene conto.
Era veramente disperata, mi telefonava in continuazione e mi domandava sempre se aveva fatto qualcosa di sbagliato. Io la rassicuravo che non aveva colpe, ma quando mi domandava perché, non
sapevo cosa rispondere, o forse l’intuivo, ma non era nulla che potesse consolarla.
In quella situazione facevo ancora più fatica a non pensare ad Elena. Perciò una sera decisi di prendere la situazione di petto e affrontai il discorso con Dan. Gli raccontai delle telefonate di Francesca, della sua disperazione, del suo amore per lui, del male che
le stava facendo ed era ingiusto.
Era seduto al pianoforte. Si girò verso di me e si accese una sigaretta.
"Mi dispiace, sai, non credevo l'avrebbe presa così. Ma le passerà
presto, vedrai".
"No, non le passerà presto! Ti ama! Questo non lo vuoi capire: ti
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"No, Dan, non è un’infatuazione!", risposi accalorato, "Non capita
tutti i giorni di trovare una donna che ti ama. Ed è perfino molto
bella! Ma tu non te ne vuoi rendere conto. Ma perché?"
Rimase in silenzio per un po’ con aria assorta.
"Lo sai, Henry, di ragazze ne ho avute tante.
In tutte ho apprezzato qualcosa... ma non ho mai avuto una storia
importante.
A molte ho voluto bene e sono rimasto in buoni rapporti di amicizia, ma non ne ho mai amata nessuna".
"Nemmeno una?"
"Beh, sì, di una sono stato innamorato, se così si può dire, ma ero
molto giovane. Avevo diciassette anni.
Non ne ha mai voluto sapere di me... E avrei fatto qualsiasi cosa
per lei... Tipico...
Ma a dir la verità era un’infatuazione: alla fin fine non la conoscevo affatto. Ma lo capisci solo dopo, quando non sei più innamorato. Quando ci sei dentro non comprendi che non è amore vero.
In realtà amavo quello che mi sarebbe piaciuto trovare in lei. Era
molto più bella nella fantasia che nella realtà.
Da quella volta non mi sono più innamorato.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Certo, ti resta sempre il maledetto dubbio che se avessi incontrato
quella giusta, se avesse avuto quelle determinate caratteristiche,
allora chissà...
Ma col tempo ti rendi conto che, alla fin fine, è solo una questione
di attrazione fisica.
In ogni modo, sono contento di non aver trovato la donna della
mia vita, e spero di non incontrarla mai".
"Perché dici così?".
stessa vita di prima, come hai sempre fatto con tutte le ragazze che
hai avuto!"
"Dai, Henry, sai bene anche tu che le donne non sono così ragionevoli!... Tutte quelle che ho avuto, dopo un primo periodo di apparente arrendevolezza, hanno sempre cercato di cambiare qualcosa in me o nel mio modo di vivere... Dopo non va più bene questo,
non va più bene quello...
No, una donna mi sarebbe d’intralcio”
"Sai come sono fatto. Sai come mi piace vivere. Non mi piacciono
le cose fisse, prestabilite...
Se la incontrassi, che farei, poi? La sposerei?
Darei un calcio a tutto questo?
Oppure riuscirei a continuare una storia alla giornata, senza un
percorso, senza meta, senza contorni?
Aspetterei semplicemente che la routine mettesse la parola fine al
nostro rapporto? ".
Si fermò un attimo, aspirando profondamente il fumo dalla
sigaretta, abbassò lo sguardo e scosse lentamente la testa con l'aria
di chi sa di essere votato ad un impresa troppo grande, al di là
della propria portata.
"Ma chi può dire di aver saputo come sarebbe andata a finire una
relazione?
Domandalo a mille coppie assieme da anni! Tutto è casuale.
E poi perché ti spaventa tanto il pensiero di convivere con una
donna? Se ti trovi bene il problema non si pone".
“Hai visto anche tu”, continuò, “molte persone spegnersi e rassegnarsi ad una vita alla quale non credevano, lasciandosi trascinare
dagli eventi, come se arrivate ad un certo punto mancasse loro la
spinta per andare oltre.
E adesso siedono in un angolo di un bar a bere e a lamentarsi.
E giù ad inventarsi mille scuse...
"Ah, mi sarebbe piaciuto fare quella cosa e quell’altra cosa... Andare in quel tal posto... vivere in quel modo..
Ma, cosa vuoi mai... Sono soltanto sogni... La realtà è ben diversa... "
Ma come "soltanto sogni"? Maledizione, se una cosa ti piace, im-
"Si pone, invece! Dovrei forse abbandonare tutto, rinnegare i miei
amici, la mia vita, le mie serate, la mia carriera, lasciare tutto per
seguire i capricci di una donna?"
"Ma potresti continuare a frequentare i tuoi amici, e continuare la
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"Ci sono troppe cose da fare... troppi luoghi da visitare... troppi
momenti da vivere... per fermarsi e rinunciarvi...
Io vivo di tutto questo", disse con un ampio gesto della mano.
68
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
pegnati, sforzati di ottenerla! Se ami un certo modo di vivere, almeno provaci! Se rinunci hai già perso!
La verità è che le barriere più difficili da superare sono quelle nella propria testa.
No, Henry, non voglio confondermi anch'io nelle grigie schiere di
gente senza identità...
E mi domando se non ne faccio già parte...
Me lo domando davvero...".
Non disse più niente. Abbassò gli occhi soffiando fuori il fumo,
spense la sigaretta, si girò e cominciò a suonare un notturno di
Chopin che esprimeva tutto ciò che si poteva dire sulla vita, anche
quello che non era possibile con le parole.
XV
Facevamo di tutto per sfuggire alla monotonia. Fuggivamo dalla
vita comune e dalla sua triste e grigia inutilità affaccendata, affannata, frenetica. Angosciata. Dalla vana ricerca di produzione, come se il prodotto potesse dare uno scopo all'azione.
Eravamo perennemente alla ricerca di un’occasione, della mitica
Grande Occasione, che, si dice, prima o poi arriva e ti cambia per
sempre la vita...
La Grande Occasione…
Un sogno sempre tre passi davanti a te...
Una sera, Dan mi aveva detto: "Sai, Henry, inseguendo il successo, a parte i calci nel culo, gli sputi in faccia, e le porte che ti sbattono sul grugno, quello che ti abbatte di più sono spesso le persone
che hai vicino, parenti, amici, conoscenti che ti punzecchiano, anche bonariamente, ma che danno un fastidio che nemmeno immagini! Magari alcuni non lo fanno con cattiveria, ma ti mandano
sempre quelle frecciatine che ti fiaccano, ti fanno proprio arrivare
al limite, soprattutto quando sei già sovraccarico.
Nessuno di loro capisce lo sforzo per farsi conoscere, inventarsi
una carriera, crearsi uno spazio, quando tutti cercano di escluderti.
Nessuno capisce i giorni e giorni di bocconi amari che devi mandare giù.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Queste non sono come quelle carriere preconfezionate in cui tu entri in un’azienda e ne esci dopo trent’anni salendo di gradino in
gradino... Qui è molto più difficile, devi inventarti tutto, crearlo
dal niente, e non hai falsarighe da seguire.
Gli impresari non ti danno udienza, nessuno si arrischia con un esordiente, anzi spesso ti dicono proprio che fai schifo e di cambiare mestiere. Oppure si prodigano nel darti consigli su come stravolgere la canzone: più ritmo, più sound, un testo più commerciale…
E dopo tutto questo, trovi anche le persone vicine, che invece di
incoraggiarti e di sostenerti, sono pronte a renderti la vita più difficile.
C’è chi ti tira fuori la storia di uno che ha provato ed ha fallito... di
un altro che, correndo dietro al suo sogno, è finito in miseria... di
un tale che si è arreso, ha mollato tutti i suoi sogni inverosimili ed
“è sceso coi piedi per terra”. E adesso è una persona stimata... ha
una moglie, due figli, un bell’impiego statale, la tredicesima, la
quattordicesima, le ferie pagate... Magari non racconta a nessuno,
nemmeno a sé stesso, che è infelice e frustrato...
Ma questo non importa... Il mondo vive solo di facciate...
Tutti sono lì pronti a prodigarsi nel narrare questi cento episodi
fatti apposta per demoralizzare.
Altri ti danno dei consigli del tipo: "…Trovati un posto in banca...
Come si fa a vivere così...?
... Ad un certo punto devi mettere la testa a posto...
Devi essere realista…".
È come se oltre a dover remare contro vento e contro corrente ti si
attaccassero addosso anche delle remore.
...e se non bastasse ci fossero pure le malevole vocine delle sirene
che ti gracchiano all’orecchio "Non ce la fai, non ce la fai! Arren71
diti!". Ecco, mi sembra davvero che siano queste voci maligne
quelle che danno più fastidio.
Nessuno che t’incoraggi mai, nemmeno una buona parola! Nessuno che ti racconti di qualcuno che ha tenuto duro contro tutti i pronostici ed è riuscito...
Anzi, se gli fai un esempio, ti vengono a dire che quel tale è riuscito solo perché ha avuto fortuna!... Fortuna!!! Manco avesse vinto
un terno al lotto!!!...
E ti fa intendere quanto sono gretti e ignoranti... veramente ignoranti, che non sanno e non capiscono quanto impegno e quanta fatica è stata necessaria per avere successo...
Ma io ho imparato ad ignorarli e alcuni ho deciso di evitarli proprio fisicamente... E alla fine la pelle mi è diventata più dura.
Tutto questo tempra il carattere, t’indurisce, sembra una specie di
prova a cui ti sottopone il mondo, come se ti dicesse "vediamo se
hai le palle! Vediamo quanti colpi puoi sopportare prima di andare a tappeto!".
Ma io nonostante tutto, nonostante la mia carriera non sia avanzata
d’un passo, nonostante suoni ancora in questi locali da quattro soldi, nonostante non veda ancora uno sbocco alla situazione, voglio
tenere duro...
Non voglio trovarmi un giorno a chiedermi cosa avrei potuto diventare...
Non permetterò che mi capiti. Voglio almeno poter dire: ho provato in tutti i modi...
La musica per me è tutto, è la mia realizzazione. Niente mi da altrettanta soddisfazione.
Sarebbe come un suicidio... un suicidio spirituale...
Non posso arrendermi...".
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
"E fai bene, Dan! Approvo completamente. Non ti devi arrendere
per nessun motivo!
Questo come regola generale...
Per di più le tue canzoni sono molto belle. Devi solo trovare la situazione giusta.
Fregatene di quelli che ti hanno rifiutato e ti hanno criticato.
Verrà il giorno in cui brinderai alla loro salute!".
Mi sorrise e mi guardò con affetto, appoggiandomi una mano su
una spalla.
"Lo so, Henry, lo so. Sei il solo che mi sostiene e che mi capisce.
Non hai neanche idea di quanto te ne sono grato. Non sai nemmeno quanto mi è utile nei momenti difficili..."
"Be’, non è vero, non sono il solo, c’è anche Francesca. Anche lei
ha sempre creduto in te..."
"Ma lei crede in me più per affetto che per altro... Lo fa perché mi
vuole bene. Non è obiettiva..."
suonava come se fosse stato nel posto migliore del mondo, dando
tutto se stesso. Gli dicevano che il rock era ormai fuori moda... che
solo l’inglese era la lingua giusta ...gli consigliavano di cambiar
genere... E mille altre obiezioni simili. Ma lui non ha ascoltato
nessuno, ha tenuto duro contro ogni difficoltà...
E adesso è una grande rock star, esattamente così come aveva voluto e si era immaginato. E ora se lo litigano le case discografiche...
Questo è il potere di una grande forza di volontà, dei sogni, dei desideri profondi radicati, che non ammettono vie di mezzo.
Diceva anche, che è molto importante non avere successo subito:
così l’arte si affina e ha tempo di maturare e perfezionarsi. A volte
un successo troppo rapido è più pericoloso d’un insuccesso temporaneo.
Diceva che nelle cose bisogna crederci, bisogna crederci veramente, ciecamente. Bisogna avere Fede.
Se si ha Fede davvero e si persevera, si riesce sempre, diceva.
Ma la Fede vedo che non ti manca...
Sono certo che riuscirai, Dan, al cento per cento.
E non te lo dico solo per incoraggiarti".
Si rasserenò aprendosi in uno dei suoi sorrisi larghi e raggianti.
"No, Dan, ti sbagli. Oltre a volerti bene, le piacciono veramente le
tue canzoni. Le capisce molto meglio di quanto credi...".
"Ok"
"Tempo fa”, continuai, “ho letto in un giornale l’intervista ad un
grande cantante rock che è riuscito a dispetto di tutti, tra mille difficoltà... Aveva cominciato in locali d’infima categoria, ma lui
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Riflettendo su quello che mi aveva detto, mi resi conto che diventava comprensibile l’atteggiamento astioso, scorbutico, altero di
molte persone di successo. Ne avevano passate tante, troppe, avevano mangiato troppa polvere e… peggio... Diventavano comprensibili gli eccessi, le droghe, l’alcool, le stravaganze, le follie,
tutti espedienti per soffocare l’ansia, i complessi acquisiti in anni
d’insuccessi e di brutti ricordi. Per affogare il ricordo della mise74
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
ria; la fame a volte...
E molti erano infine arrivati lassù, trainati dall’illusione che fosse
la fine di tutti i loro problemi. Ed invece i problemi che si portavano dentro irrisolti, col successo diventavano ancora più grandi,
smisurati, eccessivi.
Alcuni diventavano bramosi, smaniosi di vita e di sensazioni, come animali insaziabili. Ingurgitavano, inghiottivano, fagocitavano
tutto.
Altri si erano guardati intorno ed avevano detto "Tutto qui?
È dunque tutto qui? Tanta strada ...per questo?..."
E avevano finito per cadere nello sconforto e nella depressione.
Nessuno di loro aveva imparato come riuscire ad essere veramente
felice.
Mi resi conto che il successo è forse una delle cose più pericolose
che può capitare ad un uomo.
Non è facile sopravvivergli.
XVI
Trascorsi l’intero inverno, desiderando che accadesse qualcosa.
Qualcosa... che so... qualche novità, nuove possibilità, un tocco di
colore, una trasformazione, un cambiamento... Qualcosa, insomma...
Non è piacevole quando non sei in grado di far nulla, dover semplicemente attendere che qualcosa cambi. La vita è particolarmente dura quando sembra opporre quest’inerzia al cambiamento.
Sei preso in un tiro alla fune: non riesci a vivere il presente perché
è troppo squallido, e il futuro di salvezza è solo un miraggio oltre
la tua portata, che non si sa se verrà mai. Così sei lacerato dentro:
vorresti essere altrove, e al tempo stesso ti senti in colpa perché
stai sprecando il presente...
Le cose inevitabilmente mutano prima o poi, ma intanto se ne è
andato anche un pezzetto della tua vita.
Per aiutare la sorte facevo quel che potevo: uscivo alla sera, frequentavo nuove ragazze, andavo a ballare, studiavo. E aspettavo.
Ma l’attesa era snervante in quelle lunghe gelide notti stellate con
la neve ghiacciata che serrava tutto in un silenzio opprimente.
Ancora una volta mi domandavo cosa ci stessi a fare in quel posto.
Ero stanco di aspettare passivamente per quasi sei mesi, cioè per
metà della mia vita, che il clima si ristabilisse.
Odiavo con tutto me stesso l’inverno, il freddo e l’oscurità. Ero
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76
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
un figlio dell’Estate, del sole, della luce, del caldo e non riuscivo
proprio a farci l’abitudine. Arrivavo sempre provato alla fine
dell’inverno.
Ogni volta mi ripromettevo che quello sarebbe stato l’ultimo, che
mi sarei impegnato al massimo per trovare un modo, e che l'inverno successivo l’avrei vissuto al tepore di un paese tropicale, senza
più essere in balia delle stagioni.
Ma intanto ero costretto a subire ancora le ingiurie del clima.
Ma il tempo, una volta tanto si può dire per fortuna, non si arresta
mai.
E finalmente l’inverno mollò la sua morsa. Le giornate si allungarono, divennero più miti e luminose e le nuvole si aprirono, lasciando spazio all’azzurro del cielo.
Ed il mio umore col sole tornò a risollevarsi.
In una di quelle miti sere limpide e ventose di primavera, leggere e
speranzose, in cui veramente tutto appare possibile e realizzabile,
e per un istante senti che il mondo esiste anche per te, udii bussare
alla porta.
Ero sdraiato mezzo addormentato sul divano.
Mi alzai trasognato e andai ad aprire senza nemmeno chiedere chi
fosse: era certamente il Caso che veniva a farmi visita.
Mi trovai davanti Antonella, bella e splendente come un'apparizione.
Mi guardò negli occhi e mi sorrise con un'aria triste.
Non dissi niente, la guardai semplicemente nel viso e le sorrisi teneramente, pensando, "sei soltanto un sogno, ma sono contento lo
stesso di sognarti".
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Sì, certo, stavo solo sognando...
Allungai una mano lentamente per accarezzarle una guancia, incerto, pensando di vederla svanire all’improvviso. Ma quando le
sfiorai il viso, invece di dissolversi come un miraggio, mi si buttò
tra le braccia e si strinse a me.
Il contatto del suo corpo mi ricondusse alla realtà.
Antonella era imprevedibile, arrivava come lo scirocco di primavera che soffia miraggi di luoghi esotici e lontani, ti parla d’Africa
e di spazi immensi. Per un attimo ti scompigliava la vita, rimescolando le carte dei giorni qualunque, riportando violentemente emozioni a lungo dimenticate.
Così, in un attimo, si riallacciarono tutti i fili che sembravano irrimediabilmente sciolti e tornammo intimi amici ed amanti come
se non ci fossimo mai lasciati e tutto il tempo trascorso, non significasse niente.
Lasciammo comunicare i nostri corpi col loro linguaggio di baci e
di carezze.
Avevo voglia di dirle e di chiederle tante cose e forse anche lei,
ma avevamo quasi paura di spezzare l’incantesimo e di destarci
dal sogno.
Fu una lunga notte d'amore, e ci addormentammo solo verso mattina.
Quando mi risvegliai, d'istinto la cercai con la mano, temendo che
se ne fosse già andata come faceva a volte. Ma era ancora lì, e accorgendosi del mio gesto, si raggomitolò contro di me, appoggiando il capo sulla mia spalla. Posai le labbra sulla sua testa respirando il profumo dei suoi capelli e rimanemmo così a lungo, in silenzio.
Era tanto tempo che non mi sentivo così bene.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Saremmo stati legati sempre, anche separati, anche in posti lontani.
Ci sono relazioni fatte di durata e altre d'intensità.
Ora mi rendo conto che l’intensità del nostro amore risalta su tutte
le altre mie memorie.
La baciai ancora una volta, poi le nostre mani si separarono, pur
cercando il contatto fino all'ultimo, scivolando fino alla punta delle dita, poi il tocco svanì e, con un rapido movimento dei suoi capelli, l'osservai uscire ancora una volta dalla mia vita.
"Avevo paura che non mi amassi più", disse.
La strinsi più forte a me col desiderio di diventare parte di lei.
"Come puoi pensarlo? Ti ho amato sempre, lo sai".
"Adesso lo so". Si strinse ancora di più.
Rimase da me tre giorni.
Una mattina, cercandola nel letto, sentii il freddo del vuoto dalla
sua parte.
Mi destai. Aveva già raccolto le sue cose.
Mi guardò tristemente.
"Speravo di non svegliarti".
"Te ne vai già...?", chiesi.
Sorrise senza dire niente.
"...tornerai?"
"Certo, lo sai", disse con un sorriso triste.
Era sincera, lo vedevo nei suoi occhi.
Seguì un abbraccio lungo, forte e un po’ disperato, ma meno di
quello con cui l'avevo lasciata la volta prima.
Stavolta ero sicuro che sarebbe tornata. Quando... era solo un dettaglio...
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
avevo ricominciato a stare bene.
E adesso questa telefonata...
Le donne, quando meno te l’aspetti, hanno di queste nostalgie imprevedibili, soprattutto le ex...
XVII
"Come stai, Henry?"
Un giorno di metà primavera, giunse inattesa una telefonata.
"Bene... E tu?"
"Henry?..."
"Bene..."
"Sì? ...Chi parla?"
Parlammo del più e del meno e solo qualche frase e domanda banale interruppero, a tratti, lunghi silenzi imbarazzati, come capita
quando si hanno troppe cose da dire, senza sapere da dove iniziare.
"Sono Elena...”, disse con voce incerta.
Quando sentii la sua voce l’emozione mi sopraffece, tanti pensieri
si mischiarono e si confusero.
Dopo qualche giro di parole mi disse: "Henry... io e te ci siamo lasciati così... su due piedi senza spiegazioni... Avrei voluto parlarti,
ma non me ne hai dato la possibilità... non abbiamo mai chiarito...
“Come va, Henry?... Come stai?..."
A lungo avevo atteso quella telefonata e per un certo periodo ogni
volta che avevo sentito squillare il telefono, avevo sperato fosse
lei.
Certo, avrei potuto chiamarla io, ma non ero affatto sicuro che avesse voglia di sentirmi, né che riparlarle mi avrebbe fatto bene.
Non chiedevo nemmeno notizie a Francesca, che da parte sua cercava di evitare ogni riferimento a lei.
Sapevo comunque che alla fine era tornata assieme all’ex fidanzato...
I mesi erano trascorsi, e finalmente avevo smesso di pensarci, e
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Ci ho pensato a lungo... non so se faccio bene... però preferivo dirtelo di persona.
Ti considero una brava persona, matura e ragionevole. Preferisco
che tu lo sappia direttamente da me..."
Pausa.
.....
Non capivo dove volesse andare a parare...
"Io...
....
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Passò qualche secondo. Si schiarì la voce, ma aveva la voce ancora incrinata.
...Alex e io...
...
"...tu....
Io e Alex...”
...tu mi hai dato tanto...
Il silenzio sembrava interminabile.
.......
........
...io...
“ ....ci sposiamo..."
....ho preso e basta...
...........
.........
.......
....
..
...lo ammetto... e mi dispiace...
.....
...non sarebbe dovuta andare così...
.
Mi misi a sedere. Le parole mi morirono in gola ed i pensieri si affievolirono e svanirono come fumo.
"...ci sposiamo tra un mese...
Non so se ho fatto bene a dirtelo... ...non vorrei che lo interpretassi
male... però...
... ci tengo a te e alla tua amicizia... sei stata una persona importante per me... mi hai aiutato e mi sei stato vicino... mi hai ridato la
voglia di vivere... la forza di vivere... in un momento molto difficile...
... sul serio...
...lo so... non mi sono comportata bene con te...
...ti chiedo scusa, davvero....", disse singhiozzando.
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......però... era un momento duro... Non mi giustifica, lo so...
...però è così che è andata...
Sei una gran brava persona.... non meritavi questo...
Scusa se te l’ho detto così all’ultimo... ma ci ho pensato a lungo
prima di dirtelo...
Ho invitato Francesca e Dan e hanno detto che vengono...
...forse è chiedere troppo, e non vorrei che lo interpretassi male...
...ma...
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
...vorrei...
"Certo... Capisco."
...vorrei ...invitarti al matrimonio...
"... mi ero messo d’accordo con degli amici per fare una settimana
al mare in quel periodo..."
...ti invito come una persona amica che mi ha dato tanto...
....come una persona a cui tengo, che ha fatto molto per me...
...non so... non so se faccio bene... non vorrei che lo interpretassi
male... ma è per dirti che non ti ho dimenticato...
... vorrei che restassimo amici... Forse è chiedere troppo...
Se non accetti, capisco e non fa niente..."
"Sì, be’ certo... non ti preoccupare... In fondo te l’ho detto
all’ultimo momento...
Comunque mi ha fatto piacere sentirti, e spero davvero che non
me ne vorrai...
...spero che rimarremo in buoni rapporti...
...sei un gran bravo ragazzo... scusami ancora...
... ti meriti davvero il meglio...
Ti voglio bene ...sinceramente", ricominciò a singhiozzare
"...scusa.....mi ha fatto piacere sentirti... ...ciao"
Ci fu una lunga pausa
Riattaccai.
"...Henry?"
"...Sì?"
"Hai sentito quel che ho detto?..."
"Ho sentito..."
Non saprei dire cosa mi stava passando per la testa.
Cercai di raccogliere i pensieri.
"...Elena...non so se riuscirò... devo...
...mi devo liberare da alcuni impegni..."
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
XVIII
Le settimane successive furono tormentate dagli spettri del passato
che si rivelavano in tutto il loro grottesco squallore. Tutti i momenti trascorsi insieme mi apparivano ora immensamente inutili e
assurdi. Mi sembravano il simbolo di un mio ennesimo fallimento,
anzi l’ennesima riprova di un unico ripetuto fallimento.
Tentavo di trovare un equilibrio, ma il mio umore era troppo sbilanciato.
Finalmente, come in molti altri casi, fu il tempo a porre termine a
quella situazione trascinandomi a ridosso del giorno del matrimonio e sbattendomi di fronte alla nuda realtà, inevitabile.
All’ultimo momento decisi di andare.
Fu forse una mossa stupida, ma volevo dimostrare di essere un tipo tosto, mica facile da abbattere.
E poi volevo vedere coi miei occhi la situazione per farmene una
ragione, un po’ come quando si va nella camera ardente a vedere
una persona cara...
Dan mi passò a prendere alla mattina, togliendomi da una notte agitata.
Parlammo poco durante il viaggio, entrambi immersi ad ascoltare
un album di vecchie, tristi canzoni francesi, di quelle che non si
capisce se curino o allarghino le ferite.
La chiesa era piena di gladioli rosa e bianchi e il sole entrava pre87
potente da una vetrata con un fiotto di luce che inondava l'altare e
gli sposi.
Il suo viso era pieno di commozione e d’amore e la rendeva ancora più bella, benché sapessi che non era amore per me.
Era certo il giorno di suo massimo splendore, l'apice che si sfiora
per breve tempo in una vita.
Quando sentii suonare la marcia nuziale, mi gravò addosso una tale quantità di emozioni inesprimibili, che avrei voluto fuggire lontano anni luce. Da quel giorno trovo sempre mille scuse per evitare i matrimoni.
Al rinfresco c'erano molte persone e riuscii ad intravederla solo un
paio di volte in tutta la giornata.
Me ne stavo in un angolo a bere con Dan.
Francesca continuava a cercare Dan con lo sguardo, e a me ogni
tanto gettava occhiate compassionevoli.
Alla fine, quando la maggior parte della gente se n’era andata, Elena venne da me.
Parlammo poco e restammo lunghi momenti in silenzio a guardarci, tenendoci le mani. Lo sposo ci osservava con aria interrogativa
da lontano, mentre parlava con alcuni parenti. Chissà che cosa gli
aveva raccontato di me...
Mi abbracciò forte. Un abbraccio d'addio.
"Mi ha fatto piacere Henry. Davvero un gran piacere. Sei una gran
brava persona. La ragazza che saprà conquistarti sarà davvero fortunata".
Già, un bel discorso che mi hanno fatto altre volte... proprio identico... pensai tra me e me.
...ma poi, non so perché, va sempre tutto a puttane...
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Aveva gli occhi lucidi, un po’ per l’emozione del momento, e forse un po’ per ciò che rappresentavo, perché sapeva che si voltava
pagina, si chiudeva un altro capitolo della sua vita, e la fine del
romanzo lasciava meno spazio all'immaginazione.
XIX
"Fatti viva ogni tanto" le dissi.
"...ma certo...", rispose con voce commossa, asciugandosi gli occhi.
Non so che ne sia stato di lei: scomparve dalla mia vita, e le nostre
strade non si sono incrociate mai più.
A volte mi domando perché, così a distanza di tempo, mi ricordi
ancora di una ragazza con cui ho avuto una relazione tanto breve...
Non so darmi una risposta precisa.
Forse perché quello che non avevo vissuto con lei nella realtà l'avevo vissuto in molteplici sogni, anche se, per l’ennesima volta,
erano finiti in niente. O forse perché ogni persona che si allontana
dalla mia vita è come una porta che viene chiusa sulla via che collega il presente al passato. E questo avvicendarsi, scandisce una
serie di cupi rintocchi che rendono più evidente e drammatico lo
scorrere del tempo...
Sì, ora me ne rendo conto: mi sono sempre attaccato a cose e persone come mi aggrappavo alla vita, temendo che mi sfuggisse, mi
scivolasse di mano inavvertitamente, senza essere riuscito a capirla.
89
Dan si era accorto del mio periodo giù, anche se non molti
l’avrebbero notato. Non sono mai stato il tipo da fare scene tragiche, e non mi è mai piaciuto far pesare sugli altri i miei problemi:
li ho sempre considerati dei conti da regolare in privato con se
stessi.
Perciò, apparentemente, ero l’Henry di sempre, se ciò significa
qualcosa.
Dan venne da me il Sabato successivo al matrimonio.
Era una giornata bellissima, tersa, con qualche nuvola bianca a
forma di piuma.
Ero sdraiato sull’amaca e osservavo il cielo tra le foglie del noce.
Ci sedemmo al tavolino sotto il ciliegio e ci stappammo un paio di
birre. Dopo aver parlato della bellezza del tempo e delle previsioni
per la Domenica, finalmente si decise ad affrontare il discorso.
"Cos’è che non va, Henry? Mi sembri molto giù. Cos’è successo?".
Bevvi una lunga sorsata di birra gelata che mi pizzicò tutta la gola.
"Eh? Cos’è che non va?", insisté.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
"Cos’è che funziona, mi dovresti domandare!
Cosa non va? Tutto a posto! Elena si è sposata, Antonella è sparita
completamente, ho un esame tra un mese e non riesco a studiare...".
"Ecco, e poi dici che non conosci delle ragazze. Sei diventato
troppo pessimista, tutto qui. Ed è pure carina".
"Allora escici tu, se vuoi ti do il numero".
"Dài non farla tragica! Sono momenti così.
Ci vuol pazienza...
A proposito, ho conosciuto delle nuove ragazze... Ce ne sono un
paio che sono veramente carine...
Se vuoi domani sera organizziamo e..."
"Ma no, non importa, grazie".
"Ecco che sragioni! Volevo semplicemente dire che mi sembrava
una ragazza interessante. Dico male? E’ carina o no?"
"Ma sì, è carina. Ma non m’interessa".
"Ma se l’hai appena conosciuta! Come fai a dirlo? Frequentala, poi
si vedrà..."
"Come sarebbe a dire : non importa...?! Ecco il problema! Non
vuoi reagire, non vuoi uscire dal tuo stato! Stai lì a macerarti".
"Sta a vedere che sono io che me le vado a cercare... guarda un
po’!".
"Non ne ho voglia Dan, non ho l’umore adatto...
Sono stanco... stanco...
Mi sembra tutto tempo perso...".
"Non dicevi mica così, quando ci siamo conosciuti!".
"No, le cose capitano... belle e brutte...
Semplicemente non vuoi reagire.
Anche la ragazza che hai conosciuto un paio di settimane fa, come
si chiamava... non era mica male...
L’hai più sentita?"
"Chi, Barbara?"
"Sì, proprio lei".
"Sono cambiate tante cose... adesso sono stanco...
...stanco...
...mi sento...
...mi sento ... una spossatezza...
...una stanchezza spirituale...
Mi sembra di non essere più padrone della mia vita...".
Finii la bottiglia con un’ultima grande sorsata, lanciai il vuoto nel
bidone e me ne aprii un’altra.
"No, non le ho più telefonato".
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
"Solo perché ti è andata male un paio di volte?...
È vero che ogni tanto ci si sente in balia degli eventi ...
Ci sono periodi che sembra proprio di non azzeccarne una... Fai
una cosa e va male... Ne fai un’altra e va peggio...
Ma poi comincia a girare di nuovo per il verso giusto.
"Il futuro non è completamente nostro, ma nemmeno completamente non nostro...” Ricordi?
Mai disperare! Mai lasciarsi andare!".
col Cielo le cose potessero cambiare..."
"Senti Dan... tu la fai facile... devi far questo ...devi reagire..."
"Non è per criticare, ma solo per farti ragionare... Fai dei discorsi
che...
...parli come un uomo finito, un disperato!..."
"Senti, facciamola finita con questi discorsi, eh?! Basta!".
"Sì, parole sagge... Però quel saggio antico consigliava anche di
astenersi dalle passioni amorose, di vivere ritirato, lontano dalle
preoccupazioni, dalle passioni violente che turbano l’animo...
Mi sembra che abbiamo personalizzato un po’ troppo la sua teoria...
E poi Elena ed Antonella mi sembrano l’emblema della mia vita
sentimentale: un fallimento dietro l’altro..."
"Bene, bravo! Crogiolati nella tua autocommiserazione!
Non vuoi reagire, ecco il problema! La conosco anch’io, la malinconia: si autoalimenta. Si accresce da sola, si nutre di se stessa...
Scrollatela di dosso! Gettala via! Reagisci!"
"Non è che non voglio... ci sono dentro!... Come faccio ad essere
felice?... Niente è andato come desideravo!... Non sono riuscito a
governare la mia vita... "
"E pensi che migliori stando qui a macerarti? Pensi che la situazione cambi? Pensi che impersonando la parte del reietto, del maledetto dalla sorte, la tua situazione migliori?
Invece di reagire, te la prendi col Destino... come se arrabbiandoti
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"Va bene, però pensa a quello che ti ho detto".
"Sì, va bene, va bene".
"Ora devo andare. Ma tu smettila di pensare a queste stupidaggini.
La situazione non è assolutamente drammatica, neanche alla lontana.
Lo può diventare solo se la vedi così. Allora puoi inciampare anche su un filo d’erba", mi disse appoggiandomi una mano sulla
spalla.
"Cerca di reagire. Stare qui da solo non ti fa bene. Capisci cosa
voglio dire?".
"Sì"
"E allora staccati da questi pensieri negativi! Va’ fuori, va a trovare qualche amico, va a pescare, fatti un giro al mare, va a donne,
portatene a letto un paio... Fa quel cacchio che ti pare, ma reagisci,
cazzo! Ok?"
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
"Ok"
XX
"Mi spiace che oggi non posso, ma i prossimi giorni ti porto fuori
a forza! E’ una promessa! D’accordo?"
"D’accordo".
Rimasto solo, con calma, assaporando una sigaretta sul far della
sera, che si prospettava molto limpida, ripensai a quello che mi
aveva detto.
Forse non aveva tutti i torti...
Ma che ne sapeva Dan dell’amore?
In fondo non si era mai innamorato.
Come poteva comprendere?
Decisi che non aveva capito niente. Ero troppo sbilanciato per osservarmi dentro con un’ombra di obiettività.
Nei giorni seguenti il matrimonio di Elena il mio umore era in caduta libera, e io non potevo, né volevo far niente per fermarlo.
Non aveva senso. Niente per me aveva senso.
Tutto mi appariva opprimente e sfocato come in un incubo.
Non mi importava più niente di niente, della mia vita, del mio futuro, di niente. Era andato male tutto troppe volte.
Ero come un leone chiuso in gabbia che si avventa assurdamente
contro le sbarre, carico di odio e di rabbia verso il mondo intero.
Avevo solo un grande furioso desiderio di spaccare tutto.
Non potevo continuare così, dovevo reagire.
Avevo bisogno di sfogare quella carica di energia negativa. Decisi
di andare in palestra.
Quando arrivai era presto e non c'era ancora nessuno. Feci un po’
di corda; poi mi misi i guanti, mi piazzai davanti al sacco e cominciai a picchiarvi contro, sempre più forte, con tutta la forza che avevo, un pugno per ogni sbaglio, un pugno per ogni rimpianto, un
pugno per ogni cosa che non andava.
E colpivo e colpivo e colpivo.
Il respiro diventava affannoso, ma continuavo a colpire. I muscoli
mi si intorpidivano, ma continuavo a colpire, il cuore era impazzito e lo sentivo martellarmi nelle tempie. Il sudore mi colava negli
occhi annebbiandomi la vista, ma continuavo.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Cominciavo a vedere nero ...le forze mi abbandonavano...
"Ancora, dài, ancora, dài! dài! dài!
.........
ancora!
...dai!...
Avevo voglia di spaccare tutto.
Cuore, spaccati, dài! bastardo, spaccati anche tu! così la facciamo finita! Dài, bastardo! spaccati, dài!
Ancora, ancora, colpisci, COLPISCI, DÀI!".
Continuavo a picchiare, ma solo la forza della disperazione mi sosteneva.
Diventavo sempre più lento, le braccia sempre più pesanti.
" FORZA DAI! Ancora, dài, ancora, dài! dài! dài! Un altro ancora... ancora.....
...ancora uno.....
Non so per quanto tempo continuai così, ma andai ben oltre il mio
limite.
Non riuscivo quasi più a respirare.
Mi appoggiai con la fronte al sacco mentre tiravo una serie di
montanti e di ganci.
...ancora!...
....
...ancora!.....
........
...ancora uno!.....
.....
.........
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Abbracciai il sacco.
Non respiravo bene.
Cercai di aggrapparmici, ma scivolai giù.
Vedevo tutto nero.
Il cuore mi scoppiava in gola. La tempie martellavano.
Mi sdraiai a terra.
Rimasi a terra per parecchi minuti.
Pian piano il cuore rallentò. Ricominciai a respirare.
Finalmente c’era un gran silenzio dentro di me.
Non c’erano più pensieri, solo silenzio. E pace.
Finalmente.
Pace...
.....
....
..
Mi sollevai a sedere.
Non era ancora arrivato nessuno. Mi alzai a fatica e mi trascinai
sotto la doccia.
L'acqua fresca lavava via il sudore, e assieme a quello se ne andavano gli avanzi della mia collera e della mia disperazione.
Tutti i miei pensieri di prima mi sembravano adesso una follia in98
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
comprensibile, come se mi fossi svegliato da un brutto sogno.
Dopo la doccia rimasi a lungo avvolto nell’accappatoio, sulla panca, curvo, svuotato, coi gomiti appoggiati sulle gambe.
Poi mi rivestii e m'incamminai con la borsa sulle spalle verso
l’auto, con passo incerto.
Tornai a casa e mi sedetti a mangiare, assaporando distrattamente
il cibo senza pensare a niente. Poi mi buttai sul divano e mi misi
ad osservare un programma qualsiasi alla tivù, lasciando passare le
immagini attraverso me senza trattenere nulla, come un vetro, finché mi addormentai.
brava completamente assurda, un vero e proprio auto-inganno.
Siamo noi stessi ad inventarci e a coltivare questi desideri, e ci incoraggiano a nutrirne fin da piccoli per vincere la noia e perché
non ci colga mai il terribile, spaventoso pensiero dell'assurdità dell'esistenza, che ristagna sempre nel fondo.
Molto meglio rimanere in superficie, meglio gettarsi nell'azione,
nelle cento piccole cose inutili, indispensabili.
E non sarebbe criticabile se poi non finissero per prevaricare il
proprio compito, così da sembrare lo scopo ultimo dell'esistenza,
da perseguire a tutti i costi, e non soltanto un espediente...
Assurdità dell'esistenza...
Qualcosa però si doveva essere rotto davvero dentro di me.
Nei giorni successivi non ero più depresso, non ero più triste, né
angosciato.
Mi stavo riprendendo. Non perché le cose effettivamente stessero
andando meglio, ma perché, come una rivelazione, si era fatto largo in me un pensiero dalla potenza incredibile: la consapevolezza
della futilità e dell'assoluta irrilevanza di tutto ciò che riguarda l'esistenza, il mondo intero, la mia stessa vita.
Era il pensiero supremo e, nonostante non fosse nuovo, in quei
momenti lo sentivo veramente con tutta la mia essenza, non come
a volte accadeva quando me lo ripetevo stancamente senza convinzione.
Aveva operato un cambiamento istantaneo di prospettiva. Tutto mi
appariva differente e quei problemi che si chiamano denaro, donne, carriera, successo e che sembrano più indispensabili dell'aria,
in quei momenti mi apparivano meschini e vani.
La sofferenza stessa per la mancanza tali cose effimere mi sem99
Ma perché poi un pensiero terribile?
Se l’esistenza non ha scopo, tutto è irrilevante, perfino l'esistere o
il non esistere.
Ma il vero dono contenuto nella rivelazione era che si poteva addirittura ricominciare da capo, perché se niente ha un senso, perde
significato anche il problema del fare o del non fare.
Si poteva persino ritornare esattamente alla vita di prima, ma con
più calma e spirito più leggero, e finalmente ridato il giusto peso
alle cose, finalmente liberi dal peso del "fare", poteva diventare
pure piacevole, vivere.
Allora si poteva restare in pace osservando passare le giornate, con
serenità, senza più essere presi dalla smania di agire. Si poteva
ritrovare la vita anche lì, proprio in quel momento, in quel luogo,
ovunque si fosse... nei colori del cielo, nelle mille sfumature della
luce, in ogni odore dell’aria, nel volo casuale degli insetti, nel
semplice esistere, finalmente consapevoli dell’eterno movimento
100
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
anche nell’apparente quiete.
XXI
Mi sembrava così semplice in quei momenti.
Credevo davvero che fosse facile perpetuare quel momentaneo
stato di Grazia.
Ma un simile pensiero non è facile da mantenere, quando tutti
sembrano prendere le cose estremamente sul serio.
Era solo un luminoso lampo, in mezzo all'oscurità della vita.
Finalmente dopo tanto tempo, ricominciai a sentirmi in armonia
con l’esistenza.
I miei pensieri correvano dietro alle rondini. Si libravano lievi e
spensierati sulle loro ali, in un cielo vertiginoso d’un blu infinito.
Sfrecciavano sui tetti rossi delle case, inseguendosi in spericolate
acrobazie tra antenne e camini, sulla cima di antiche torri diroccate
coperte di rampicanti, fino a dissolversi nel blu. E poi giù in picchiata con le ali tese, ebbre di velocità e di libertà.
Era estate. Ancora estate. Un'altra estate.
Le rondini collegavano con un esile filo quell'estate con le precedenti e, anzi, come per incanto, mi sembrava che l’estate non fosse
mai terminata. Era sempre stato caldo, sempre sole, luce e armonia
e l’inverno era stato solo un brutto sogno. Il tempo trascorso non
contava niente.
Una sera io e Dan eravamo andati a cercare un po' di fresco in un
chiosco di gelati sui colli. Una serata tranquilla senza pretese: un
bel gelato, quattro chiacchiere e a dormire. Routine rilassante.
Era una bella serata, i tigli in fiore spandevano il loro profumo
lungo le strade della notte e le siepi erano colme di lucciole che
scintillavano nel buio facendo il verso alle stelle.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Ad un tavolino vicino a noi erano sedute due ragazze che inizialmente non avevo notato.
Una di loro era molto attraente. Aveva un'espressione sensuale con
un piccolo neo all'angolo della bocca.
Rimasi incantato a guardarla. Lei se ne accorse e mi buttò di soppiatto un'occhiata maliziosa con un mezzo sorriso sulle labbra,
mentre parlava con l’amica.
Subito un turbinio di voci interiori mi affollò i pensieri.
"Devi assolutamente conoscerla!".
"Ma cosa le dico? "
"Vai! Vai! Dì quel che ti pare, la prima cosa che ti viene in
mente, ma vai! Non bisogna pensarci troppo, ricordati cosa
ti diceva il tuo amico, non devi perdere l'attimo, qualcosa
troverai, ma vai subito, accidenti! Altrimenti non la rivedrai
più".
Una volta tanto, detti ascolto al mio istinto e anticipai Dan, che era
generalmente il trascinatore. Infatti notai che rimase un attimo
sbalordito, anche perché troncai a metà un discorso. Ma Dan capiva queste cose e non se ne offendeva.
Mi alzai ed andai a sedermi al tavolino delle ragazze. Interruppero
la conversazione e mi guardarono e si guardarono sorprese. Le salutai e poi scossi la testa ridendo: "Bene... la verità è che stavo
cercando un modo carino per attaccare discorso... Potrei provare a
dire tante sciocchezze divertenti... però la verità, riassumendo...",
dissi rivolto a quella che mi piaceva, "...è che mi piacerebbe conoscerti..."
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Che brutta partenza! Il disastro era quasi completo.
La bella rispose con un mezzo sorriso canzonatorio, "Fai sempre
così?"
"No, solo quando c’è qualcosa che mi colpisce...
C’è qualcosa in te che mi ha attirato... forse il tuo sguardo... o il
tuo modo di sorridere... Mi sono detto: devo assolutamente conoscere quella ragazza...
...be', comunque, io sono Enrico. Henry, se volete", dissi tendendo
la mano.
"Annalisa", rispose stringendomi la mano.
"Marina", disse l'altra.
A quel punto intervenne Dan, che presentandosi, rimediò alla partenza disastrosa.
Tutto sommato l’approccio era andato, anche perché non c’è mai
uno stile preciso: effettivamente la cosa veramente importante è
cominciare.
Poco alla volta, prendendo confidenza, un po’ ridendo, un po’
scherzando, la conversazione cominciò a fluire, aiutata anche dalla
tiepida brezza rilassante della notte.
Chiacchierando, venni a sapere che Annalisa frequentava l'ultimo
anno di lettere.
Fu una fortuna, perché cominciai a parlare di romanzi e di scrittori, senza fingere di essere interessato all’argomento.
Mi fece una buona impressione, e anche io a lei, e alla fine non mi
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
fu difficile avere il suo numero di telefono.
Da quella sera iniziò un periodo agitato.
Era parecchio che non avevo una ragazza, e fino a quel momento,
non ne avevo conosciuta nessuna che mi interessasse o accendesse
la mia fantasia. Associando questo alla noia, sapevo quanto fosse
pericolosa la situazione, perché sono i tipici momenti in cui, alla
prima un po' carina che conosci, finisci per prenderti delle pericolose infatuazioni.
Il meccanismo è semplice ed efficace: nei vari tempi morti, per
renderti meno pesante l'opprimente nulla quotidiano, non fai altro
che pensare a quella ragazza che magari ti ha semplicemente sorriso un po' quella data sera. E a misura dell'incalzare della noia,
pensi a lei sempre più spesso, aggiungendo toni di colore e abbellendo quelli che ha già, così che finisci per ridipingerla completamente con la fantasia, fino ad averne una bellissima immagine che
purtroppo non corrisponde affatto all'originale.
Sfortunatamente molto spesso l'innamoramento è solo un fatto
strettamente personale.
Dopo cominciano le sofferenze.
La sera dell'appuntamento, quando passai a prenderla, ero emozionato come non mi accadeva da tempo, quasi un liceale al primo
appuntamento. Ma quando la vidi venirmi incontro tutta sorridente, ancora più bella di come la ricordavo, mi calmai come dopo un
sospiro.
La portai in un locale all’aperto con un pergolato di glicine e di
gelsomino che ci proteggeva dal vuoto vertiginoso del cielo sopra
di noi.
Non ricordo di cosa parlammo: ero assorto completamente nei
suoi occhi.
A volte sviava lo sguardo, un po’ imbarazzata per i miei sguardi
forse troppo intensi. M’infuse speranza di piacerle.
Un mio amico che se ne intende, sostiene che il momento più difficile è quello del bacio.
"Il successo sta nella scelta del momento giusto", diceva, "devi
cercare di cogliere un luccichio fuggente negli occhi. Un brillio.
Se lo vedi, è fatta! ".
Perciò ero agitato da un'altalena di voci interiori che dicevano:
"Baciala!".
Perciò nei brevi momenti di fredda lucidità, mi rendevo conto del
pericolo, visto che pensavo a lei in continuazione.
Le avevo telefonato il giorno successivo e c’eravamo messi
d’accordo per uscire una sera di qualche giorno dopo.
Gigler, mi aveva dato un consiglio da fabbro: "Il ferro va battuto
finché caldo!".
Sapevo quindi che il tempo giocava a mio sfavore ed il fatto che
fosse passato qualche giorno, m’innervosiva.
105
"No, non è il momento giusto"
"Sì, invece!"
"E dov’è il luccichio?"
"Perderai l'occasione!"
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
La sera dopo le telefonai, ma, le dispiaceva, doveva andare ad una
cena da amici di famiglia.
"No, è ancora presto!"
Non so scelsi il momento più adatto, non so se vidi quel luccichio
veramente o fu solo il riflesso di un’auto di passaggio, però ad un
certo punto, non potendone più di quella tensione interiore e approfittando di un momento di pausa nel discorso, avvicinai il mio
viso al suo e la baciai.
Dapprima le sfiorai quasi le labbra e lei rimase immobile come
una statua, tanto che temevo mi arrivasse uno schiaffo. Ma poi si
rilassò e rispose al bacio. Seguirono altri baci più intensi, abbracci
e carezze.
Dopo, nel riaccompagnarla, rimanemmo ancora a lungo a baciarci
sotto casa sua. Poi ci salutammo.
Dapprima ero contento per la riuscita della serata, poi, a mente
fredda, mi davo del cretino per non aver nemmeno accennato a
chiederle di salir da lei.
"Sì, va bene, diamo tempo al tempo, ci saranno altre volte".
"Ah, sì, eh? Perdi pure del tempo! L’hai mandata a casa
senza nemmeno provarci, non stai giocando bene!".
Così mi diceva la mia voce interiore.
La sera dopo mi telefonò e mi chiese se avevo voglia di andare a
bere qualcosa in un locale dove suonavano jazz.
Accettai e anche questa volta, mi limitai a qualche bacio e carezza,
senza nemmeno allungare una mano. A mente lucida non mi pareva vero di aver sprecato un’altra occasione.
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"Ecco che ti ha scaricato! Hai perso troppo tempo. Te l'avevo detto, fesso!".
Il giorno successivo ero nell'indecisione più totale.
Pensavo: "Le telefono..
No è meglio di no, non puoi rischiare di apparire appiccicoso
Ma per una semplice telefonata?
E’ come negli affari, il primo che parla ha perso!
Uffa, quante complicazioni! Ma non si può esser spontanei?
Ci sono delle regole in queste cose, lo sai"...
Continuavo a lottare tra di me in questo modo.
Per fortuna nel pomeriggio mi telefonò per invitarmi a mangiar
qualcosa a casa sua, visto che la sorella era via per il fine settimana.
Non stavo più nella pelle dalla contentezza, e la sera, appena mi
aprì la porta, la abbracciai e la baciai senza nascondere la gioia di
rivederla.
Fu colta un po' di sorpresa, ma poi si lasciò coinvolgere dalla mia
felicità.
Fu un crescendo senza sosta: ci baciammo appassionatamente, cademmo sul divano, cominciarono a volare via camicia e reggiseno,
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
e facemmo l'amore sul tappeto. Avevo troppa voglia di lei.
Poi la presi in braccio e la portai in camera da letto.
"Dài basta!", disse con il viso imbronciato, "non vale, Uffa!"
"Allora confessa!", dissi recitando con aria cattiva da aguzzino.
Mangiammo la cena, ormai fredda da un pezzo, a notte fonda,
quando le nostre pance cominciarono a brontolare troppo.
Poi tornammo a letto e ci addormentammo abbracciati.
La mattina seguente mi svegliai prima di lei e rimasi a guardarla e
riguardarla un po’ stupito: era parecchio che non mi capitava di
svegliarmi con una ragazza accanto, e pure molto bella.
Quando si svegliò rimase a lungo in silenzio a guardarmi negli occhi, sorridente.
"Va bene... va bene...” disse ridacchiando.
“Non ero riuscita a capire che tipo fossi... Generalmente bisogna
tenervi a bada le prime uscite, e non capivo se facevi il
gentleman... oppure …"
"Oppure…?"
"A cosa pensi?", le chiesi.
"…se eri il tipico bravo ragazzo"
"A niente, così..."
"In che senso bravo ragazzo?
Cosa volevi che fossi, un criminale?"
"Dài, dimmelo!"
"Ma no! Dai, il tipico bravo ragazzo... insomma ...nel senso di
quello che piace tanto alle mamme… ma non alle figlie..."
"Ma no, non è niente d'importante"
"Su, avanti, dimmelo", le dissi, facendole il solletico.
Cominciò una lotta sghignazzante e arruffata nel letto.
"Eh???"
"Ma sì, dai ...quello che non allunga mai una mano perché ti rispetta.... e che appena conosciuta vuole sposarti, fare tre figli, e
metterti ai fornelli...".
"Va bene, va bene, mi arrendo"
"Allora avanti!",
Poiché esitava, le mimai il gesto di farle il solletico muovendo le
mani come due granchi. La cosa la fece ricominciare a ridere.
"Azz!... un vero incubo! Ti avevo fatto un’impressione così?
Però!..."
"Cioè, all’inizio eri venuto da me spavaldo... insomma ti eri pre-
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
sentato in un certo modo... e poi... boh, non riuscivo a inquadrarti..."
recchio.
In quei momenti avrei voluto abbracciarla così forte da fondere insieme le cellule dei nostri corpi.
"E adesso che impressione ti ho fatto?"
"Da bravo ragazzo che piace alle mamme… no!".
"E da gentleman? "
"Solo finché non ti sale il sangue alla testa. Sei un po’ troppo caliente per esserlo davvero".
Così il mio spirito tornò a volare in alto, molto in alto, sempre più
su. Sapevo che prima o poi mi sarebbe toccata la pena che ha
sempre colpito tutti quelli che hanno voluto volare troppo in alto e
troppo vicino alla luce...
Ma non m'importava, pensavo che fosse sempre meglio qualche
giorno di luce abbagliante in mezzo a giorni bui, che un'uniforme
grigia monotonia.
Ed ero pronto a rischiare anche l'oscurità.
"E ti dispiace? "
Mi baciò sorridendo: "No, no, nient’affatto".
Dopo quella sera ero proprio spacciato.
Generalmente dopo aver fatto l'amore una prima volta con una ragazza, mi calmavo.
Con lei fu diverso. Ormai pensavo a lei in continuazione e non vedevo l'ora d’incontrarla. Aspettavo tutto il giorno l'ora dell'appuntamento e studiavo male. Non desideravo altro che vederla, mi bastava anche solo tenerla per mano, passeggiare con lei.
Avevo infranto tutti i miei propositi di prenderla con calma e di
pensarci bene prima di farmi coinvolgere in una nuova relazione.
Ma non mi importava.
C'erano dei piccoli gesti di lei che mi facevano impazzire, come ad
esempio quando si pettinava i capelli con la mano dietro ad un o111
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
nata, che non nascondeva il mio stupore.
XXII
"Sì, siamo proprio noi, non fantasmi!", disse Francesca.
"Mi fa piacere vedervi, ragazzi. Ero solo un po' addormentato".
Luglio, col canto delle cicale che quietava lo spirito e rendeva più
ampio il cielo, aveva riportato la pace e l’armonia.
Il sole in quei lunghi pomeriggi torridi sembrava stiracchiarsi, sbadigliando in preda ad un languido torpore, come il mio gatto rosso
all'ombra del ciliegio.
Passavo i pomeriggi sull'amaca a sonnecchiare e a bere birra
ghiacciata, ascoltando vecchi blues. Annalisa mi raggiungeva verso sera, appena finito di studiare, si sdraiava sull'amaca di fianco a
me, e restavamo abbracciati a dondolarci.
Non mi preoccupavo più degli esami, né del tempo che scorreva
inesorabile, né del mio futuro. In quei momenti non pensavo a nulla e credevo di aver raggiunto un buon equilibrio tra l'esistere ed il
non esistere.
Un sabato, inaspettatamente, mentre ero in giardino sull'amaca con
Annalisa, nel languore del dopopranzo, arrivarono Dan e Francesca.
Quando li vidi, alzai la testa semiaddormentato e strabuzzai gli occhi cercando di mettere a fuoco meglio. Ero molto sorpreso di vederli arrivare insieme: credevo che fossero mesi che non si sentivano. Li salutai goffamente e non riuscivo a smettere di guardare
l'uno e l'altra interrogativamente.
Ridacchiavano divertiti per la mia espressione assonnata e stralu113
Presentammo le ragazze, che, stranamente, si trovarono simpatiche. Soprattutto Annalisa non era molto socievole con le altre
donne.
Passammo buona parte del pomeriggio a chiacchierare piacevolmente all’ombra del giardino.
In città si moriva dal caldo e dall’umido, ma lì sotto le fronde del
ciliegio soffiava una brezza delicata che ti sembrava di rinascere.
La compagnia di alcuni buoni amici... un po’ di birra ghiacciata...
la frescura del verde: mi sentivo davvero in sintonia con la vita.
Mi persuasi definitivamente che la chiave della felicità sta nelle
cose semplici.
"Si sta proprio bene qui”, disse Dan, “Era un po’ che non ci vedevamo e mi ero quasi dimenticato di quanto era bello stare assieme.
Perché non andiamo in vacanza tutti insieme?".
"Grande idea!", dissi io.
"Perchè no?", rispose Francesca.
Guardai Annalisa. "Per me va bene", disse.
"E dove andresti?", chiese Francesca
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
"Boh?", rispose Dan. “Si potrebbe...”
"Sono strette, piene di curve e di strapiombi. Sarebbe meglio andarci in moto"
"Aspetta che vado a prendere un atlante", dissi.
"Ad averla..."
Tornai con una carta dell’Europa.
"No, Spagna, no. Troppo casino d’agosto!".
"Vabbè, niente Corsica. Peccato, perché è bellissima: mare e montagna in pochi chilometri.
Sui monti ci sono chiazze di neve anche d’estate. E dalla montagna vedi il mare a due passi!".
"Corsica?"
"Allora Sardegna?"
"Bella!"
"Sì, però ci vorrebbe una barca".
"Sì, ad agosto... auguri!
Avremmo dovuto prenotare il traghetto tre mesi fa... E poi c’è
troppo casino ad agosto. Molto meglio a giugno o a settembre"
"Uè, adesso! E chi ce l’ha?"
"Però è sempre bella"
"Si potrebbe affittare..."
"Ci sono già stata dieci volte"
"Bisognava organizzare prima"
"Turchia?"
"Già..."
"Dev’essere bella, ma è troppo in là".
"Andiamo in auto che è meglio".
"Sì è un po’ in là effettivamente..."
"Si vede che non conosci le strade".
"Allora.... Grecia!"
"Cos’hanno le strade?"
"Grecia..."
"Che ne dite della Spagna?"
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116
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
"Perchè no!"
Alla fine scegliemmo un’isoletta dell’Egeo, non lontano da dove
ero stato alla fine del liceo.
Grecia... Al pensiero fui avvolto dalla nostalgia.
“È dalla fine del liceo che non ci vado... Quanti ricordi...
Sembra un’altra vita... proprio un’altra vita...
...un bar sulla spiaggia... alla fermata degli autobus...
.. c’era una tettoia in riva al mare...
Suonavano sempre vecchie canzoni ...Hey Jude!... Yesterday...
...quanto tempo...
...non mi sembra nemmeno di averle vissute io, ‘ste cose...
Quanti amici che non vedo da tanto..."
"Ecco che Henry è partito coi suoi ricordi!"
"Vabbè, come non detto. Però per me va bene, rivedo sempre volentieri la Grecia"
"Anche per me va bene"
Ci imbarcammo per la Grecia un giorno di fine luglio, entrando
subito, come d'incanto, in un'altra dimensione. Ci lasciammo alle
spalle il caos e lo stress della vita di città, i nostri abituali modi di
pensare, le nostre remore, le preoccupazioni.
Per l’ennesima volta compresi quanto sia importante viaggiare per
staccarsi dai pensieri ricorrenti, triti e ritriti e vedere che appena
dietro l’orizzonte ci sono altre possibilità. Viaggiare è Vita. Rinnovamento. Guardi oggetti nuovi, paesaggi nuovi, facce nuove,
con aria stupita, come ritornare bambini, quando tutto appare novità e le cose non sono ancora catalogate in categorie ordinate, né
ricoperte di polvere e di noia.
E al ritorno appaiono in una luce nuova anche le vecchie cose di
sempre, alle quali avevi fatto l’abitudine e davi troppo per scontate.
"Idem"
"Allora vada per la Grecia!"
"In Grecia... ma dove?..."
"Beh, se non vogliamo usare l’auto, è meglio andare su un’isola.
Là ci si può muovere facilmente con delle moto in affitto o in autobus..."
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L'isola, appariva poco più di un rossastro scoglio brullo, dove sul
granito rosa levigato dal vento, spuntavano radi cespugli bruni e
gialli in mezzo a tanta luce.
Sulla cima della collina un paesino di case saracene, imbiancate a
calce, sembrava una spruzzata abbacinante di neve. Attorno un
mare d'un blu così scuro da sembrare nero, che mutava in toni di
celeste tropicale sui fondali bassi in prossimità della riva.
Il maestrale caldo e teso increspava di spuma bianca la sommità
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
delle onde e il rovente sole virile ondeggiava sull'acqua sprizzando
riflessi gioiosi. La luce schietta e pura accendeva forti chiaroscuri.
L’aria era così tersa che il cielo era viola, quasi come ad essere
nello spazio.
Su un versante protetto dell'isola crescevano ulivi argentati che digradavano dolcemente verso una baia di acqua calma e azzurra di
trasparenze tropicali. I campi erano divisi da bassi muretti a secco
che confinavano greggi di pecore e buffi somari apatici che appoggiavano il muso sul muro ad osservarti con le orecchie basse.
Trascorrevamo le ore più calde in riva al mare sotto una tettoia di
canne intrecciate su cui si arrampicava un'allegra buganvillea violetta. Sulle rocce attorno, i fichi d'india e le agavi fiorite si protendevano nel blu.
C’era grande intesa tra noi.
Dan e Francesca sembravano aver riallacciato bene la loro relazione.
Io e Annalisa andavamo a mille. Le ragazze avevano fatto amicizia.
Era un bel periodo, uno dei migliori della mia vita. Tutto era perfetto, armonia, purezza: avevo la mia ragazza, una bella ragazza
che mi amava, due buoni amici, era estate, faceva caldo, c'era il
mare con i gabbiani alti nel cielo, le rondini e le cicale.
Era il mio momento.
Mi sentivo sereno e nella giusta sintonia con l'esistenza.
Un pensiero prese forma in me: che la vita potesse trovare un significato nel vivere momenti come quello. Raccogliere e collezionare momenti belli, completarne l'album, fare della mia vita, nella
memoria, un'opera d'arte, una specie di quadro a cui continuare ad
aggiungere toni di colore ed abbellimenti, perché non sorga mai il
dubbio di non aver vissuto.
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Ma un pensiero che dipende dalle cose possedute è estremamente
instabile, perché ne subisce le alterne fortune.
Mi sono rimaste tante fotografie di quei giorni. Ma ora che è passato tanto tempo, che male che fa riguardarle! Che nostalgia e che
malinconia!...
Ogni tanto ci riprovo, le osservo e, poco a poco, quel paesaggio
entra in me e mi assalgono tutti i vecchi ricordi. Vedo quegli ulivi,
quegli alberi di fico e quella luce buona che trapela dalle fotografie: un vecchio marinaio dalla barba bianca che riposa in una carriola di legno con un fiore dietro all'orecchio, due asini tristi legati
ad un fico nel polveroso sole del mezzogiorno estivo, Annalisa che
ride alle smorfie che faceva Dan per farla sorridere e la foto con
l'autoscatto di noi quattro sulla spiaggia, mentre cerchiamo di darci un contegno, trattenendo le risa.
A volte vorrei poter entrare e vivere in quella fotografia, arrestare
la mia vita a quel giorno d'estate in riva al mare con Dan, Francesca, e Annalisa, diventare anch'io immagine come gli altri, così
che, guardando la foto, si vedrebbero sempre soltanto quattro amici, eternamente insieme.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
XXIII
L’estate finì con venti freddi e umidi e temporali violenti che ammutolirono le cicale.
Giunse settembre, le giornate si accorciarono rapidamente e si ritirarono fuori le giacche e le felpe.
Mi sentivo in un’atmosfera da fine delle vacanze scolastiche,
quando ti rendi conto che l’estate è ormai un ricordo e ti riattendono i compiti e le interrogazioni.
Pensavo a come era cambiata, da quei lontani giorni, la prospettiva
da cui osservavo il mondo. Fare la cartella, architettare strategie
per evitare le interrogazioni, inventare nuovi scherzi, l'agitazione
per i compiti in classe, i festeggiamenti per gli scioperi dei professori. Tutte cose che mi sembravano distanti anni luce.
Non riuscivo più ad immedesimarmi in quella mentalità, tanto che
a volte non mi sembrava nemmeno vero che mi fosse appartenuta.
Inavvertitamente nella vita si cambia, anche se non ce ne accorgiamo. I pensieri trasmutano continuamente, cambiando la nostra
percezione del mondo.
Solo la mia nostalgia non è cambiata mai. Già al tempo della scuola, sul finire delle vacanze, percepivo un'atmosfera da anni che
passano, la parte più bella e fresca della vita che si dissolve e svanisce.
Mille inquietudini mi riassalivano, come un improvviso accordo
minore al culmine d'una gioiosa sinfonia.
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Però, al rientro in classe, era bello rincontrare i vecchi compagni e
le ragazze segretamente amate, che studiavamo attentamente per
vedere se fossero diventate più donne... un po' più di seno, una
curva più accentuata, un trucco più aggressivo... e per capire se
avessero avuto qualche amore durante le vacanze.
Poi c'era sempre l'incognita dei nuovi compagni e dei nuovi professori.
Purtroppo, in generale, non avevamo nemmeno la parvenza d'un
rapporto umano con gl’insegnanti. Si sentivano molto superiori, ti
guardavano con aria di sufficienza e non si poteva assolutamente
contraddirli, nemmeno quando erano in torto evidente.
Ricordo con piacere solo il professore di filosofia, un simpatico
omino con due baffetti neri e occhi azzurri e vispi che si smarriva
nei suoi profondi interminabili monologhi parlando di Nietzsche.
Mi sarebbe piaciuto incontrarlo per fare una partita a biliardo e bere un bicchiere tra un discorso e l'altro come un tempo. Ma chissà
dov'era... C’eravamo persi di vista qualche anno dopo il liceo.
Peccato.
Ci pensavo spesso. Era un uomo di grande cultura ed era sempre
piacevole conversare con lui. Sapeva prendere la vita con ironia e
ridacchiava sempre sotto i suoi baffi.
Ci fermavamo spesso a chiacchierare, e seguendo il filo delle sue
riflessioni, i grumi dello spirito si dissolvevano e l'animo diventava più leggero. Si entrava in una dimensione diversa da quella
quotidiana, eppure parallela e coesistente , ma molto più profonda,
anche se fuggevole.
Ho sempre dentro di me l'eco di tanti discorsi fatti insieme.
Sì, come diceva lui, la vita è proprio una gran puttana: paghi per
ogni cosa che desideri e spesso molto di più di quel che vale. La
paghi nelle notti malinconiche per sentirti meno solo, e ti vende
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
speranze e fumo che sale a volute dalle sigarette. Una mattina ti
alzi, e vedi che se ne è già andata, portandosi dietro una valigia di
sogni...
Ma il liceo era ancora il tempo delle grandi speranze. Suonavo la
chitarra e le giornate trascorrevano con aria da sabato pomeriggio.
Cantavo qualche canzone che avevo scritto per la ragazzina di cui
ero segretamente innamorato.
Sognavo ad occhi aperti mille avventure che avevano me e lei come protagonisti. Sognavo che sentendo le mie canzoni si innamorasse perdutamente di me. Ma quando suonavo ero sempre solo...
L’avevo conosciuta alle scuole medie. Chissà come sarebbe cambiata la mia vita se fossi riuscito a baciare quella ragazzina...
E' da allora, da quel momento, di fronte ad un campo rosso di papaveri in un mare di grano dorato, sotto le fronde d'un albero mosse da una leggera brezza, è da quell'istante preciso che ho conservato un marchio, una specie di difetto di costituzione che non sono
più riuscito ad eliminare completamente.
Mi vedo là, in un giorno di fine primavera, il momento alto, sospeso sopra il campo di grano, fissato in tutto quell'azzurro del cielo,
una nota di diapason che già vibra ed aspetta solo di essere suonata.
Una pausa nell'universo, il tempo fermo per un istante...
Un battito di cuore...
portanza e profondità tolgono il respiro e non ci si riesce a rendere
conto che si stanno vivendo davvero.
E mi continuo a rivedere in una replica infinita: lei che abbassa gli
occhi e allontana il viso, si alza e se ne va, ed il momento che precipita rantolando con fragore di specchi rotti, in un'agonia senza
rimedio.
In confronto, la prima volta che ho fatto l'amore con una ragazza,
è stata una sciocchezza.
Successe tutto all'improvviso: ci siamo incontrati su una spiaggia
d'agosto, ci siamo piaciuti, abbiamo passeggiato un po' tenendoci
per mano, ci siamo baciati e abbiamo fatto l'amore in una grotta in
riva al mare. Mi sembrò una cosa bella e normalissima, come se
l'avessi fatto da sempre, e la cosa che mi stupisce di più è che non
ero affatto sorpreso.
Poi ognuno è tornato alla propria strada e non ci siamo incontrati
mai più. Non so chi fosse quella ragazza, non ricordo il suo nome,
né il suo volto... Due ore d'amore in un giorno d'estate, tutto all'improvviso, dopo aver sognato e immaginato mille volte come
sarebbe stato...
Il destino o il caso, che dir si voglia, ha veramente degli ineffabili
sentieri con delle variazioni di ritmo improvvise.
E nella vita sono tanti gli avvenimenti di cui non riesco a montare
i pezzi, come se avessero confuso i fotogrammi di più film e non
si riuscisse a ricostruire una storia.
...e l'attimo che se ne fugge per sempre...
E' in quel momento che forse si è giocata la sorte della mia vita
sentimentale, in un campo di grano, in un giorno di quasi estate.
Ma in verità, è errato dire abbia vissuto quell'attimo. Molti momenti, non appartengono realmente al presente, perché la loro im123
Gli anni del liceo erano gli anni leggeri, non c'erano seri problemi:
ma i giorni volavano con una rapidità preoccupante. Già allora
quando li vivevo, li rimpiangevo, perché li sentivo passare in fretta
e sapevo che mi sarebbero mancati. Presto ci saremmo divisi per
altre strade, anche se volevamo credere che avremmo continuato
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
ad uscire insieme per sempre.
Credo che se tutti avessero sentito quello che sentivo io, sarebbe
successo davvero.
Invece bastò un solo anno dopo il liceo per perdersi del tutto.
Alcuni di tanto in tanto li rivedevo, ma posso dire che non ne riconoscevo nessuno.
Quelli che avevo conosciuto io erano scomparsi per sempre, travolti dal fiume della vita ad inseguire sogni più adulti, molto più
bassi e meno splendenti, e già si facevano ricoprire da un alone
grigio di polvere ed inutilità.
XXIV
Alla fine di settembre quando già qualche foglia cominciava a
staccarsi dagli alberi ed il sole indugiava in lenti tramonti rossi,
Antonella ricomparve all'improvviso come era solita fare.
Sentii suonare alla porta e me la trovai davanti.
"Ciao Henry, come va?" disse semplicemente, dopo mesi, abbracciandomi, come se ci fossimo visti il giorno prima.
La strinsi a me e rimanemmo abbracciati per un po’. Poi piegò indietro la testa e mi guardò a lungo negli occhi in silenzio. Avvicinò il viso al mio e mi baciò sulla bocca.
Si staccò da me di colpo.
“Che c’è che non va?”
Mi baciò di nuovo.
"Non sei contento di vedermi? Sei freddo come il ghiaccio!
Allora è vero che hai un’altra!...
Stavolta ti sei innamorato davvero...
Non t'importa più niente di me?...Eh? Non t’importa più niente di
me?", disse, accarezzandomi il viso.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
"Lo sai, che ti voglio bene... ma..."
"Beh, a dire il vero..., non è stata una mia idea...”
"E allora cos'é che non va?", disse riavvicinandosi a me, con aria
maliziosa, "E' davvero tanto carina?".
Mi prese il viso tra le mani e mi baciò.
Non risposi al bacio.
Si staccò da me con uno scatto di stizza come se l'avessi morsa e
mi guardò con aria furiosa.
“E di chi...?”
“...è stata un'idea …di Antonella".
"Antonella?"
"Sì"
"Antonella..." riuscii appena a dire, che mi aveva già voltato le
spalle e se ne andava sbattendo il cancello.
"...ANTONELLA... ASPETTA!! ".
Salì sulla macchina e se ne andò.
"Anche una pazza, mi doveva capitare! CAZZO!", dissi tra me e
me, scuotendo la testa.
Capii che era il suo modo di fare pace.
La sera della festa eravamo una cinquantina di persone e con piacere incontrai molta gente che era parecchio che non vedevo.
Mi intrattenei un po' a salutare il tal ed il tal altro. Poi, non vedendo Antonella, approfittai d'una pausa della conversazione per allontanarmi e domandare a Dan dove fosse.
"Sul terrazzo", mi indicò col pollice.
Nei giorni seguenti provai a telefonarle, ma era sempre occupato.
Pensai che sarebbe stato meglio non insistere ed aspettare un po'.
Dopotutto non avevo fatto niente di male: era lei la lunatica, mica
io.
Passarono un paio di settimane.
Un pomeriggio Dan mi telefonò per invitarmi ad una festa a casa
sua.
"Bravo hai avuto un’ottima idea Dan!"
127
Uscii sul terrazzo. L’aria era fresca e un po’ umida.
C’era un sentore di aria buona, pulita. Si vedevano le luci di tutta
la città: insegne rosse e blu, lucine gialle, semafori, un aereo che
passava in lontananza ammiccando.
"Antonella"
Si voltò. Mi guardò con aria imbarazzata.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
"Ciao, Henry"
"Eh sì, se non si creano queste occasioni, finisce che passano i mesi e gli anni senza vedersi mai".
Ci abbracciammo forte.
Restammo in silenzio. Un silenzio che diceva tante cose.
"...ho visto la tua ragazza...è davvero molto carina...".
"Eh già... Il tempo passa... quasi impercettibile... ma giorno dopo
giorno..."
Mi staccai a guardarla. Aveva gli occhi lucidi.
"...♫ la vita se ne va... ♪", cantò Dan con aria poco seria.
"Sai, l'altra volta, ...non..."
"Già... proprio come nella canzone."
"Ssssh", le dissi mettendole un dito sulle labbra, "non fa niente", la
riabbracciai e le baciai la fronte.
Sorrise.
"Vabbé, ragazzi adesso devo andare a cambiare musica", e tornò
dentro.
Ci fu una pausa mentre Dan al microfono salutava e ringraziava
tutti per aver partecipato. Seguì un applauso.
C’era una sirena in lontananza.
Si strinse forte. Lacrime le rigavano le guance.
Cercava di trattenersi, ma ogni tanto singhiozzava.
Un’auto curvò a tutta velocità facendo stridere le gomme.
"Su! Smettila adesso, che mi metti in imbarazzo".
"Grazie, grazie! Adesso, per un attimo, cambiamo genere...
...Questo brano lo dedico a due cari amici..."
"Ok", disse con un sospiro.
Dalla sala giunsero le note d'un tango.
Parlammo un po’ del più e del meno.
Ad un certo punto uscì Dan.
"Ascolta! Un tango! Nessuno sa ballare di là... Questo l’ha messo
Dan per noi! Dan... è unico!.. Ti va di ballare, Anto?".
"Allora Henry, come va?"
"Ma no, devo far paura..."
"Bene!, bella festa Dan! C’è un sacco di gente che era tanto che
non vedevo..."
"Macché, sei a posto".
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
"Sicuro? Devo avere una faccia..."
Stavamo abbracciati dolcemente con movimenti appena accennati...
Le sorrisi e le allungai un fazzoletto.
La quiete si spezzò. Il ritmo cominciò ad incalzare. Percorrevamo
la sala ad ampi passi con continui controtempi. I nostri piedi si
cercavano, dapprima con amore, poi bisticciavano.
"Di là è così buio che nessuno si accorgerà di niente. Vieni".
"Ma la tua ragazza non sarà gelosa?".
Ora i violini e il bandoneon violentavano l’armonia...
La gamba di lei scattava indispettita verso l'alto scalciando l'aria
sotto la mia gamba...
L’allontanavo e tornavo a trarla a me.
"Per un tango?".
"Ma non ha mai visto come lo balliamo noi".
"Andiamo", le dissi sorridendo.
Il tango faceva parte della nostra storia stessa. Ci aveva fatti conoscere, ci aveva unito e ci aveva accompagnato... La sua musica
nostalgica e profonda ci riconduceva ad una dimensione celata
dell'esistenza, che traspariva solo in alcuni rari momenti.
Nella sala le luci erano basse, ma nessuno ballava.
Qualcuno già mormorava per il cambio imprevisto.
Quando ci mettemmo al centro della sala, abbracciati guancia a
guancia, tutti ci guardarono sorpresi : erano pochi a sapere che sapevamo ballare il tango.
C’era un violino leggero.... un crescendo scivolato... Lei abbracciata a me, guancia a guancia, descriveva piccoli cerchi sul pavimento con un la punta d’un piede...
Seguendo la musica i nostri passi presero a muoversi lentamente.
Una pausa, quasi il silenzio.... Il lamento malinconico d’un bandoneon lontano.
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Quando finimmo abbracciati teneramente guancia a guancia
sull’ultima nota che dissolveva, scoppiò un applauso.
C’inchinammo al pubblico improvvisato.
Annalisa venne da me così stupita che non sapeva se far una scenata o no. La anticipai presentandole Antonella.
"Ah, è questa la famosa Antonella..."
"Sono famosa?"
"Sì, ho sentito parlare di te ..." disse con le mani sui fianchi.
"Parlare bene... spero...", rispose Antonella.
Annalisa frenò un sorriso un po' velenoso e non rispose.
"Non mi avevi mai detto che sapevi ballare il tango", rivolta a me.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
"Ci siamo conosciuti a lezione di tango", le rispose Antonella con
un sorriso fasullo.
XXV
"Ciao, adesso devo andare, ci vediamo", disse con un sorriso malizioso, accarezzandomi teneramente una guancia, con civetteria.
Dentro di me, mi scappava da ridere per questi scambi di simpatia
tra donne, ma sapevo che Annalisa non l'avrebbe presa con spirito.
Per fortuna intervenne Dan, vecchia volpe, che avendo capito la
situazione, chiamò Annalisa a cantare al pianoforte, distraendola e
scongiurando scenatacce.
Ad ottobre, sotto un cielo uggioso, Dan e Francesca si lasciarono
un’altra volta.
Francesca riprese l’abitudine di venire da me a confidarsi, a chiedermi di Dan, a piangere a volte.
Ci incontravamo quasi di nascosto, perché Annalisa, da quando
Francesca non stava più assieme a Dan, era diventata molto gelosa
di lei, anche se per me era solo un’amica.
Si prendono degli atteggiamenti veramente assurdi in nome della
gelosia. Più ci ripenso, più mi convinco che sia figlia più del desiderio di possesso e dell’istinto di territorialità, che dell’amore.
Francesca aveva ricominciato con i soliti pensieri e discorsi
dell’inverno prima.
Tutte le volte che veniva da me, mi chiedeva sempre le stesse cose.
"Sono brutta?", mi domandava piagnucolando, "eh, Henry? E’
perché sono brutta?"
E io le ripetevo ogni volta, accarezzandole la testa : "No, non sei
affatto brutta, anzi, sei una ragazza molto attraente e desiderabile".
E non lo dicevo solo per consolarla, lo era davvero.
Poi riprendeva : "Allora perché Dan fa così? Non capisco dove ho
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
sbagliato..."
"Ci siamo incontrati ieri sera, mi ha telefonato lui".
"Non hai sbagliato niente, Francesca. E’ il suo carattere".
Ci fu una pausa dove la si sentiva trattenere il pianto.
"Ma ci sarà un motivo!".
"Vabbé, vai avanti!".
"No, è il suo temperamento. E’ un solitario, un uomo libero che
non ama i legami. Si comporterebbe allo stesso modo anche con la
ragazza più bella del mondo".
Fece un’altra pausa e ricominciò a singhiozzare.
"Cos’è successo insomma?".
Poi ogni volta provava a tirarmi fuori delle informazioni riservate.
Cominciava a trasmettermi l’agitazione.
"Tu le hai viste le ragazze che frequenta adesso?"
"Siamo usciti insieme..."
"No".
"Bene, sono contento! Ma perché piangi?"
"Ma ha un’altra?"
"Senti, ti posso dire soltanto con certezza che non ha nessuna storia seria in giro".
"Ma non capisci? Sono una cretina. Mi ero ripromessa di controllarmi, e invece... gli sono caduta tra le braccia come una scema".
"Continuo a non capire il problema...".
Un giorno venne da me in lacrime.
"Cos’è successo stavolta?".
"Ho rivisto Dan", disse, asciugandosi delicatamente il margine inferiore degli occhi per non stingere il trucco.
"E...?".
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"Chissà che idea ha di me.
Ormai mi considererà la ragazza più facile che ci sia!..
Sta senza farsi sentire per settimane, poi mi ritelefona, e io ci vado
a letto! Che cretina! Non riesco proprio a controllarmi con lui.
Sai come si diverte ad esercitare il potere che ha su di me! Basta
che schiocchi le dita e io gli corro dietro. Chissà come parla di me
ai suoi amici! Ormai mi considererà una troietta, una di quelle
troiette che conosce in giro per locali e si porta a letto per una not136
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
te..."
l’assoluzione.
E continuava a piangere.
"Grazie, Henry. Sei un vero amico. Non ti ringrazierò mai abbastanza. Vengo sempre ad annoiarti con i miei problemi..."
"Senti, Francesca, Dan non è il tipo. Non va in giro a vantarsi delle
conquiste fatte. E poi, al massimo, si vanterebbe delle nuove conquiste. Tu non sei una nuova conquista...."
Non sapevo bene cosa dire per consolarla, né dove volevo arrivare. Infatti ne uscì una difesa un po’ ingarbugliata di Dan. In ogni
caso penso che il solo fatto di parlare, e che ci fosse qualcuno che
l’ascoltava, le facesse bene, a prescindere dai consigli.
"Secondo te, perché Dan fa così, perché ritorna, poi se ne va, poi
torna di nuovo...".
"Non lo so. So solo che non l’ha mai fatto con nessun’altra, nemmeno con Antonella. E’ uno dei suoi cardini, di cui va fiero : "Non
sono mai tornato due volte con la stessa ragazza", ha sempre detto. Secondo me ti vuole bene, anche se non vuole ammetterlo. Dovrai avere molta pazienza..."
"Non mi annoi".
"Sei fin troppo gentile con me".
"Siamo amici, no?".
"Sì. A volte quando le cose vanno male e comincio a farmi una
pessima opinione degli uomini, mi ricordo di te e mi passa..."
"Uau!! Se vuoi c’è la chitarra. Puoi farmi anche una serenata, già
che ci sei!..."
Cominciò a ridere.
"Che sciocco!... Era solo per dirti che ti voglio bene", disse abbracciandomi.
Sospirò forte. Dopo essersi ripresa un po’, mi chiese :
"Cosa pensi di me? Che sono una stupida? Che mi comporto come
non dovrei?".
"Penso solo che tu sia innamorata, e ti comporti come si comporterebbe qualsiasi ragazza innamorata", le dissi sorridendole con tenerezza e accarezzandole una guancia.
Mi abbracciò teneramente, più serena, ora che le avevo dato
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Il vento e la fiamma
XXVI
Dopo un’estenuante, interminabile attesa, alla fine arrivò.
Ripensandoci non ci furono grandi indizi rivelatori...
Era una serata come tante...
...Dan suonava nello stesso locale come tutti i mercoledì: solito
pubblico, solita selezione di canzoni famose, alternate a pezzi
suoi... soliti applausi...
Un tipo che era stato silenzioso in un angolo tutto il tempo, a fine
serata si fece avanti e gli fece un mucchio di elogi e di complimenti. Gli fece molte domande su di lui e sulle sue canzoni.
Alla fine si presentò e disse che lavorava per una casa discografica.
Così, dopo anni ed anni di attesa, dopo innumerevoli serate a suonare in piccoli locali, dopo aver inutilmente parlato con cento impresari, dopo avere riempito cartelle di canzoni, si sbloccò una situazione che sembrava senza uscita.
Come spesso avviene, una volta che si è finalmente riusciti a partire, il resto accadde molto rapidamente.
A metà inverno festeggiammo l'uscita del primo disco.
Poi partì per una tournée promozionale in varie città, con un pub139
blico che ad ogni appuntamento cresceva.
Fu un grande successo.
Dan era a mille, forse un miliardo.
Raggiungere lo scopo principale che ci si è prefissi nella propria
vita conferisce una coerenza ed una solidità interiore che non ha
eguali.
Dan era sempre sorridente, disponibile, sempre carico. Dava il
massimo.
Mi dispiaceva vederlo sempre più di rado, ma al tempo stesso ero
molto felice per il suo successo.
Seguivo sempre le sue notizie sui giornali e alla televisione.
Mi faceva uno strano effetto ascoltare per radio quelle canzoni che
avevo sentito suonare nei locali dove lavorava, o quando eravamo
tra pochi amici.
Ogni volta che ci vedevamo gli dicevo le stesse cose.
“Hai visto Dan!?! Hai visto che ce l’hai fatta!?! Ce l’hai fatta!!”,
ero veramente felice per lui. Era come se fosse capitato a me.
Era una fonte di grande meraviglia e di gioia. Vidi coi miei occhi
il sogno di un uomo diventare realtà. Vidi che era davvero possibile.
Avevo udito molti racconti di seconda mano di gente che aveva
avuto successo dopo infinite difficoltà, ma Dan era un esempio
concreto, proprio sotto gli occhi, che la possibilità di successo al di
là di ogni pronostico, esiste davvero.
Anch’io per riflesso mi sentivo pieno di possibilità e di opportunità. Sognavo in grande e la mia vita fluiva in armonia. Scavalcavo
facilmente i momenti grigi.
Il mio spirito si librava alto nel cielo come un grande aquilone.
Era un momento di Grazia.
Ero grato per questa vita.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Non era un sentimento che mi era consueto. Normalmente mi
sembrava di subirla, così come capitava.
Ma ora mi pareva di avere ancora una tela vergine da poter colorare e dipingere a piacimento.
Mi sembrava che tutto, proprio tutto, fosse ancora possibile.
XXVII
Durante la primavera e l’estate successiva io e Dan ci incontrammo solo tre, quattro volte in tutto, e solo per poche ore, giusto il
tempo per due chiacchiere veloci parlando del più e del meno.
Io ed Annalisa ci vedevamo tutte le sere e restavamo in casa da soli. Anche se ciò era contrario ai miei principi, ero andato progressivamente ed inavvertitamente isolandomi, chiudendomi sempre
più in un rapporto di coppia.
L'autunno che seguì fu molto cupo e piovoso e trascorse senza
grandi accadimenti. Ripensandoci, quei mesi volarono via come se
avessero fatto frusciare rapidamente il calendario tra il pollice e
l'indice.
Ricordo solo che ci furono due lauree e il battesimo del figlio di
un amico, e poi delle percezioni fuggenti colte qua e là ...la scala
dei miei nonni pervasa dall'odore del vino nuovo che saliva dalla
cantina ...i fumi delle caldarroste nelle strade, la brina scintillante
nei prati... l'odore dei clementini tra le bancarelle nelle precoci sere autunnali ...il piacere di entrare a casa di Annalisa al caldo, dopo aver passeggiato sotto i portici nel buio piovigginoso e ovattato
dalla nebbia, e di sdraiarmi sul divano con lei sotto una coperta.
Della primavera successiva ricordo solo che fu molto piovosa,
quasi un prolungamento dell’inverno. Nelle poche giornate di sole
i narcisi ed i tulipani fiorirono e sfiorirono rapidamente come in
immagini accelerate.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Finalmente venne la buona stagione, anche se non riuscii a godermela più di tanto, visto che ero impegnato a preparare gli ultimi
esami.
"Cosa?"
Solo a settembre riuscimmo a trascorrere una settimana al mare
insieme, io e Dan.
Andammo a sud dove l’estate era ancora intensa e resisteva
all’avanzare dell’autunno. Rispetto a dove abitavamo noi sembrava di essere ancora in pieno agosto.
Alloggiavamo in un grande hotel su una scogliera a picco sul mare, ormai spopolato a fine stagione.
Si stava veramente bene poiché il caldo afoso era diminuito e le
spiagge erano semideserte. Le giornate erano più corte, ma ancora
molto luminose. C'erano sere incredibilmente tiepide che si abbandonavano a lunghi tramonti rossi e arancio sul mare.
Dal salone dell'albergo, si accedeva ad una grande terrazza, appena sopra le chiome dei pini del giardino, da dove si vedeva tutta la
baia.
C'era un grande pianoforte a coda, e a volte verso sera, Dan si metteva a cantare i tramonti nella brezza delicata che veniva dal mare.
Nell'albergo erano rimaste solo alcune coppie di vecchi turisti tedeschi vestiti di bianco che si fermavano ad ascoltare, composti e
silenziosi, e alla fine applaudivano soddisfatti.
"Meglio così", gli risposi, un po' cinicamente, mentre facevo saltare dei sassi sull'acqua, "se no ci annoieremmo a morte".
Un giorno mentre camminavamo sulla spiaggia deserta nel tardo
pomeriggio, guardando i gabbiani sul mare e la sera che sopraggiungeva rapida da est, mi disse con aria pensierosa:
"Tutto".
"Sì, forse hai ragione. Ma mi sembra tutto così veloce... troppo veloce. Non c'è tempo per ragionare, per capire..."
"Non c'è niente da capire”, risposi lanciando un sasso, “Tutto è estremamente semplice.
Siamo solo noi che complichiamo le cose e cerchiamo significati
anche dove non ci sono", dissi lanciando con forza un altro sasso.
Non disse niente. Si accese un sigaretta, si sedette su una barca rovesciata e continuò a guardare i gabbiani.
Era stranamente taciturno. Sembrava preoccupato. Ormai lo conoscevo, sapevo che aveva i suoi tempi ed i suoi ritmi per affrontare
i discorsi.
Pensavo che avrebbe dovuto essere contento: le sue canzoni e la
sua carriera stavano andando a gonfie vele.
Attribuii il problema a un po’ di stanchezza accumulata durante la
tournée.
Infine, azzardai : "Che c’è Dan?"
"Come?"
"Passa in fretta, eh?".
"Cosa c’è che non va?"
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Il vento e la fiamma
ria...
Sono peggio di pugnalate. Meglio per loro se fossero morti nel
pieno splendore ".
"Niente"
"E allora? Stai lì serio e pensieroso. Non sei contento? Tutto sta
andando bene"
"Dici?"
"Ma certo. Stai avendo un successo davvero insperato".
"Ma succede anche a quelli che non sono stati famosi, Dan! Ci sono canzoni che sono pugnalate e sono sovraccariche di ricordi anche senza averle scritte di persona. Rimangono legate inscindibilmente a periodi della propria vita e rammentano anni ormai passati, ragazze perdute, sogni caduti ... tutto quello che avrebbe potuto
essere e non è stato..."
"Sì, ma per quanto?"
Mi guardò e mi sorrise.
"Cosa?"
"Quanto pensi possa durare?".
"Non so, sei appena all’inizio..."
"Mah?... Ho ben presente gli scaffali di dischi anche degli autori
più famosi, con sopra due dita di polvere... Non mi faccio illusioni. La polvere inesorabilmente ricopre tutto...
E già è una fortuna se avviene dopo che sei morto.
Pensa a quanti autori osannati e acclamati dal pubblico come degli
dèi sono finiti nel nulla dopo qualche stagione soltanto. E le nuove
generazioni non ne hanno mai sentito parlare.
Ne ho conosciuto vari personalmente. Fanno una pena...
Non hanno più un pubblico. Nessuno li ascolta più.
Immaginati a passare in un bar in un giorno d’estate, e
all’improvviso sentire per radio la propria canzone.... e tutti i ricordi e i sogni di gloria svaniti... Magari alcuni sono quasi in mise145
"È la vita che è così", continuai, "Tutto passa. Anche noi... Ogni
successo è destinato al fallimento. Anche la più grande vittoria,
anche la più grande guerra vinta è destinata ad essere persa. Lo
sappiamo fin dall’inizio, ancor prima di combattere la battaglia. È
per questo che ci appassioniamo tanto alle vittorie degli eroi. Perché sappiamo che inesorabilmente sono degli sconfitti come tutti
noi, nonostante i loro grandi trionfi. Sono destinati ad essere sconfitti dal tempo e dagli anni. La vecchiaia incombe su di loro e la
polvere li aspetta implacabile.
Le nostre vite finiscono. Non ci vogliamo pensare, non ne vogliamo diventare consapevoli, ma lo sappiamo bene nel profondo. Siamo uomini... soltanto uomini... inesorabilmente destinati alla
sconfitta. Il tempo ci passa come in un tritacarne. Di noi non resterà nemmeno la polvere... Eppure andiamo avanti, andiamo avanti
lo stesso. Il nostro urlo arriverà fino al cielo. Si commuoveranno
fin lassù, prima o poi. Se c’è qualcuno, lo faremo piangere..."
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Il vento e la fiamma
Mi guardò serio.
Mi accesi una sigaretta. Sbuffai fuori il fumo.
XXVIII
"Comunque, ogni cosa a suo tempo! C’è un momento per ogni cosa. Le cose vanno godute quando ci sono, finché ci sono. Ora è il
momento di festeggiare. Sei appena all’inizio Dan, non ti avvelenare anche questi momenti"
Mi appoggiò una mano sulla spalla, sorridendo.
"Sono contento di essere in vacanza con te".
"Anch’io" risposi con una pacca sulla schiena. "Andiamo a bere
qualcosa".
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Durante l’inverno uscì un nuovo album di canzoni di Dan che ebbe subito grande successo.
Per il resto, non ci furono avvenimenti degni di nota.
Da tempo avevo smesso di andare a ballare, di uscire alla ricerca
di divertimenti e non facevo più nemmeno tardi. Piano piano avevo perso lo slancio del cacciatore.
La mia vita aveva acquisito una regolarità insolita. Mi alzavo al
mattino, facevo colazione, studiavo, pranzavo, tornavo a studiare,
cenavo e alla sera andavo da Annalisa.
È proprio nella consuetudine e ritualità quotidiana che la vita se ne
va un giorno in fila all’altro. Tra lavoro, famiglia, portare a spasso
il cane, e innumerevoli altre piccolezze, la vita si dissolve inavvertitamente.
Gli esempi attorno non sono di grande aiuto. La gente vive di abitudini, avanza per inerzia, senza sapere il perché di ciò che fa.
Forse non c’è davvero niente da capire. Eppure non mi abbandonava la maledetta sensazione, che dovesse esserci qualcosa di più,
sotto sotto.
Ad ogni modo, mi ero adagiato e tutto sommato mi trovavo bene
nella vita che conducevo. Credevo di aver trovato un buon equilibrio tra i miei desideri e la realtà.
Era solo quando mi fermavo a guardarmi indietro che mi prendeva
un senso d’inquietudine per il tempo già trascorso.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Ma cercavo di non farci troppo caso, mi rigiravo e guardavo avanti.
accompagnava in quel periodo stressante di concerti.
“Dimmi Dan, ti vedo inquieto... cos’è che non va?”
L’unico vero cambiamento fu che a inizio primavera finalmente
mi laureai.
Da un certo punto di vista fu una liberazione. La mia lunga vita da
studente volgeva finalmente al termine. Stavolta si scriveva davvero la parola fine ad un periodo della mia vita che forse era durato
fin troppo.
In un certo senso ero contento. Ma al tempo stesso ero preso
dall’inquietudine. Si apriva una nuova fase, piena d’incertezze. Mi
sarei dovuto cercare un impiego, e avrei dovuto cambiare completamente modo di vivere.
Sapevo bene che il lavoro trasforma la vita e modifica la prospettiva. Finché ero studente potevo sognare liberamente... ma ora...
...ora finiva il tempo dei sogni...
Cominciava la realtà.
Ma alla realtà che mi si prospettava e che vedevo concretizzarsi
nella vita delle persone attorno a me, non ero affatto sicuro che sarei riuscito ad abituarmi.
E il mio aquilone cominciava rapidamente a perdere quota...
Un giorno che sentiva l'estate arrivare e la pioggia aveva lasciato il
posto al sole e al profumo dei fiori, rividi Dan.
Parlammo del più e del meno, come un giorno qualunque. Però
notai che aveva un'aria inquieta. La attribuii alla stanchezza che lo
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Si accese una sigaretta. Aspirò una boccata di fumo come per raccogliere i pensieri.
"Sono perplesso... Ti ho mai parlato della mia compagnia di amici
d’un tempo?".
"Sì, me ne hai accennato..."
Era sempre stato evasivo al riguardo. Capivo che c'era stato qualcosa di spiacevole.
"Era la mia compagnia storica... C'eravamo conosciuti da bambini.
Abitavamo nello stesso quartiere alla periferia della città. Abbiamo fatto la scuola assieme, abbiamo amato le stesse ragazzine...
Siamo stati compagni di monellate... dalle battaglie a colpi di cerbottana... alle gite al fiume di nascosto... dai primi motorini fregati
ai fratelli maggiori... alle automobili sottratte ai genitori senza averne l'età, per fare i freno a mano sulla neve fresca..."
Sorrideva con nostalgia quando ne parlava.
"Quando eravamo più grandi facevamo delle scorribande a caccia
di ragazze in giro per i locali di tutta la regione... Che casini che
abbiamo combinato! Cose da film!
Ci divertivamo un sacco.
Che ricordi!...
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Il vento e la fiamma
Insomma siamo cresciuti insieme.
I miei amici avevano la passione delle auto e delle moto e nel
gruppo non si parlava d'altro. Io amavo la musica.
Trovavamo un interesse comune soltanto nelle donne.
Su quello andavamo perfettamente d'accordo", disse con aria ironica.
"Sì, insomma c’erano delle differenze, ma si stava bene insieme lo
stesso. L’amicizia prendeva il sopravvento”.
Poi divenne più serio.
"Però una cosa che non ho mai sopportato sono i comportamenti
contrari all'amicizia. Se c'era qualcuno che non si comportava bene, glielo dicevo chiaramente in faccia...
Ma la lealtà è raramente apprezzata se, pur dicendo cose vere, dice
cose sgradevoli...
E' più apprezzato quello che, pronto ad assecondarti, ha sempre un
sorrisetto falso sulle labbra, anche se poi magari ti frega quando
meno te l'aspetti. E così, vengono preferiti quelli che fanno i simpaticoni, anche se alla fin fine non sono amici di nessuno.
Forse ero eccessivamente severo, troppo polemico, però per me
l’amicizia è una cosa seria. Perciò, a volte dicendo quello che pensavo, davo fastidio.
Così col tempo è finita che mi chiamavano di meno per uscire, ed
è capitato addirittura che cambiassero programma senza nemmeno
avvertirmi. Una volta che se ne sono andati senza aspettarmi, ho
deciso di smettere di frequentarli.
E nessuno si è più fatto vivo...
Così, amaramente, ho capito che avevo sognato ad occhi aperti e
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l'amicizia era stata solo un'illusione...
Nessuno si è più fatto sentire per quasi quattro anni. Fino a ieri...
Ieri uno di loro mi ha telefonato. Sono rimasto così sorpreso dopo
tanto tempo che non sapevo cosa dire... Proprio non me
l’aspettavo più...
Mi ha invitato ad una festa per sabato sera ...una rimpatriata con
tutti i ragazzi...
Ho risposto che non sapevo se sarei riuscito a liberarmi dagl'impegni.
Ora, la domanda è questa: perché mi hanno telefonato? Vogliono
vedermi solo perché un pizzico di celebrità ha colorato la mia vita? Oppure che alla fine abbiano sentito nostalgia, nostalgia di noi,
e del passato trascorso insieme?..."
Si accese un'altra sigaretta.
"Che dici, devo andare?"
"Ma sì", gli risposi, "anche a me è successa una cosa simile con
amici che non rivedevo da anni. Ricordi? Te ne ho parlato.
Anch'io avevo delle perplessità ed ero molto disilluso, ma ti posso
assicurare che mi hanno fatto una grande festa e c'era un'atmosfera
nostalgica e commossa il giorno che ci siamo rincontrati.
Ogni tanto accadono anche i miracoli.
E' stata davvero una sera indimenticabile, una di quelle rare volte
che traspare l’animo umano.
Poi ciascuno è ritornato alla propria vita, come prima... Ma è stata
una serata incantata.
Forse i tuoi amici si sono ricordati quali siano le cose davvero importanti".
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Il vento e la fiamma
Sorrise.
XXIX
"Ma sì hai ragione, forse è davvero il mio momento...
Forse tornano perfino vecchi amici che credevo perduti..."
Dan mi chiese di accompagnarlo alla festa dei suoi amici di un
tempo.
Era nel parco d'una elegante villa sui colli, non lontano da dove ci
eravamo conosciuti qualche anno prima.
Quando arrivammo la festa era già iniziata da parecchio, e tutti
rimasero sorpresi perché pensavano che ormai Dan non sarebbe
più arrivato.
C'era un certo imbarazzo tangibile nell’aria e tutti si limitavano a
salutarlo, a sorridere e a chiedere come va?
Poi, come se si fosse cambiato tempo e scena, cominciarono a parlare e scherzare normalmente, quasi si fossero visti il giorno prima.
Il mio senso di discrezione mi fece allontanare e rimanere un po'
in disparte a bere e a mangiucchiare qualche tartina, osservando la
gente che ballava. Ogni tanto gettavo un'occhiata a Dan che parlava coi suoi amici.
Passati i primi momenti vidi che le espressioni per un po’ si fecero
più serie. Ma poi tornarono a sorridere.
Credo che avessero semplicemente deciso di passare sopra tutto,
più che cercare di spiegare i perché, come è meglio fare in questi
casi. Non so come mai queste cose accadano, ma accadono, anche
con i veri amici. Forse fa parte dell’innata difficoltà degli esseri
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Il vento e la fiamma
umani a volersi bene.
D'un tratto vidi Francesca, agitata, che mi veniva incontro.
Era parecchio che non la vedevo e l'incontro non poteva essere casuale... Ci eravamo sentiti alcune volte per telefono e sapevo che
l'ultima volta che aveva rotto con Dan, si erano lasciati male.
Gliene aveva dette di tutti i colori.
Poi ovviamente passata la sfuriata, se n'era pentita e non sapeva
più che fare. Telefonargli sarebbe stato umiliarsi troppo.
Io stesso la sconsigliai di farlo: l'orgoglio è sempre meglio lasciarlo perdere, non ha mai dato buoni frutti, ma la dignità ci vuole. E'
una forma di rispetto verso se stessi.
Non si erano più sentiti fino a qualche sera prima, quando le aveva
telefonato per chiederle se andava alla festa dei suoi amici che erano anche amici di lei.
Gli aveva risposto che aveva degli impegni e non sapeva se sarebbe riuscita a liberarsi. In realtà era già stata invitata alla festa, ma
non sapeva che ci sarebbe stato anche lui.
Mi accorsi che era molto agitata. Salutandola, la abbracciai per
farle coraggio, poi quando si fu un po' rilassata, la accompagnai da
Dan.
Francesca non resse più, e gli si buttò tra le braccia con gli occhi
lucidi.
Stavolta ero troppo coinvolto dalla storia perché la discrezione potesse prendere il sopravvento. Sentii spezzoni di frasi: "...sai non
volevo...", e lei, "... perché fai così?... ".
Gli altri si erano allontanati ed evitavano di passare di là.
Io ero troppo contento e non mi sfiorò nemmeno il pensiero di essere di troppo.
Avevo sempre pensato che fossero una bella coppia.
Credo che Dan alla fine avesse capito che, per quanto negli alberghi, durante la tournée, le ragazze non gli mancassero mai, l'amore
era un'altra cosa.
Quelle erano attratte da lui come falene e cercavano solo la luce
che gli splendeva attorno.
Lei lo aveva amato quando ancora non era nessuno, per quello che
era e aveva sofferto per quell'amore. Forse era l’unica che lo avesse davvero conosciuto e capito. Questo la rendeva diversa e superiore a tutte le altre.
"Mi ami ancora?" le chiese guardandola negli occhi bagnati dalle
lacrime, col rimmel stinto che le rigava le guance.
"Guarda un po' chi c'é, Dan".
Lei si ributtò tra le sue braccia e ricominciò a piangere "Certo,
scemo! " e non smetteva di singhiozzare.
"Ciao Frenci", disse con un sorriso.
"Ciao Dan", rispose con voce un po’ incerta ed un mezzo sorriso
imbarazzato.
"… sai che sono fatto così... per me la libertà...."
A quel punto me ne andai.
Passeggiando per il parco, più tardi, da lontano, vidi che si bacia-
La baciò sulle guance.
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vano.
La festa aveva raggiunto il suo culmine.
sa mi preoccupava nel suo modo di fare...
Più tardi, Dan e Francesca mi vennero incontro. Lei mi salutò abbracciandomi e baciandomi una guancia col viso stanco e segnato
dalle emozioni della sera.
Dan andò a salutare i suoi vecchi amici e poi tornò a salutare me.
Era raggiante, ma i suoi occhi mi facevano un po’ paura, sembravano spiritati.
"L'apice", disse, "l'apice, Henry, l'acuto che non si può tenere a
lungo..."
Sul momento non capii, pensavo che parlasse di musica, e mi limitai ad annuire.
"Grazie, Henry, sei un amico", mi disse abbracciandomi e dandomi delle pacche sulla schiena.
"Anche tu Dan sei davvero un grande amico, il migliore!"
Rispose con un grande sorriso raggiante. Poi più serio, con un sorriso un po' malinconico, mi disse: "Ciao Henry, non ti dimenticare
mai di questa sera. I miracoli accadono davvero, come hai detto
tu”.
Mi strizzò l'occhio e mi appoggiò una mano sulla spalla. Poi se ne
andò senza voltarsi indietro. Accese il motore e l'autoradio, partendo a grande velocità.
Mi mordevo le labbra mentre se ne andava, ero perplesso, qualco157
158
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Il telefono.
XXX
Mi svegliai di soprassalto, sudato, con un sapore di ferro in bocca.
“Pronto?...”
Era una valle scura. Un uomo tentava disperatamente di salire su
un pendio viscido di fanghiglia, stentando ad avanzare. Si arrampicava affannosamente con tutta la forza della disperazione. In
fondo, da una caverna stava uscendo un drago color verde marcio
con occhi malvagi e fiammeggianti, e un ghigno feroce sulle fauci.
Gli aveva quasi afferrato una gamba, quando giunse sulla cima.
Sull'altro versante cominciò a scivolare velocemente sul ventre
lungo un ripido fosso sdrucciolevole. Cercò di rallentare, ma non
ci riuscì. Precipitò con un salto in un fiume d’acqua scura. La corrente lo travolse per minuti interminabili. Annaspando, riuscì a
raggiungere la riva.
Dalla sponda si estendeva un vasto prato su cui in lontananza si
ergeva un’antica torre diroccata.
Si trascinò fino alla torre. All’interno c'era una scala di legno pericolante, senza parapetto, che saliva a spirale. Cominciò ad arrampicarsi. I vecchi scalini gemevano e si deformavano.
Era quasi in cima, quando un gradino si schiantò.
Si aggrappò disperatamente ad un appiglio, penzolando nel vuoto
con uno sforzo immenso, ma sentiva che stava cedendo.
Poi un suono improvviso... una specie di allarme...
...forse...
159
“...Henry? Sono Anto...”
“...Dimmi Anto... che ore sono? ...che c’è?... Che è successo?...”
“:..Henry, c’è stato un incidente...”
“...che incidente?... come stai?...”
“....Bene, bene... io sto bene ...non so... mi hanno telefonato che
c’è stato un incidente... Forse è Dan...”
Saltai in piedi.
“Arrivo subito!...”
Mi vestii rapidamente e mi precipitai in auto.
Era poco prima dell’alba e c'era un buio da incubo. Tremavo dal
freddo e dall'agitazione. Non riuscivo a scaldarmi.
Passai a prendere Antonella.
Mentre ci dirigevamo sul luogo dell'incidente mi raccontò che le
aveva telefonato un amico che era stato alla festa della sera prima
e, tornando a casa, aveva visto tutto un andirivieni di pompieri e di
polizia che lo avevano incuriosito. Stavano cercando di tirar su da
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
una scarpata una macchina tutta bruciata ed ancora fumante che
temeva fosse la spider di Dan.
Pregavo che fosse un falso allarme. Mi sembrava di vivere un incubo peggiore di quello di prima.
Ma quando arrivammo sul posto e la polizia ci mostrò la targa dell'automobile, staccatasi nell'impatto, capii che ogni ulteriore speranza sarebbe stata vana.
Il conducente procedeva a velocità troppo elevata, perdendo il
controllo della vettura. Precipitava in una scarpata dove il veicolo
si incendiava. Non vi sono altri veicoli coinvolti. Non risultano
tracce di urti o di frenate. Si ipotizza un colpo di sonno...
Questo secondo la ricostruzione della polizia.
Ma la spiegazione non mi soddisfaceva... io conoscevo Dan e sapevo che guidava bene. E poi se ne era andato via presto, senza
nemmeno bere...
Non so... ho ripensato infinite volte a quella sera...
Ricordo il suo sguardo spiritato... la frase che mi aveva detto prima di partire "..l'acuto che non si può tenere a lungo..." E continuano a risuonarmi nella mente le parole che Dan mi disse una sera: "Pensa se la vita finisse in un giorno di grande splendore, prima che ridiscenda l'oscurità. In quegli ultimi istanti ti sembrerebbe
di aver sempre vissuto in una luce continua senza ombre..."
"Quand'ero al liceo", aveva proseguito, "tra i miei primi maldestri
161
tentativi di scrivere canzoni, ce n’era una di cui ricordo praticamente solo la fine... Diceva: "...e prima di sera, soffiar la luce d'un
fiato, fiamma di candela al vento...”
Bisognerebbe finire così, nel massimo splendore... un soffio di
vento e poi più nulla..."
No, non ho mai creduto ad un semplice incidente...
Quella sera si era sentito veramente in armonia con la vita, con gli
amici, con Francesca, era nel pieno splendore del successo...
Quanto poteva durare?...
Dopo forse solo il ricordo di fugaci giorni di gloria in mezzo al
grigiore o all'oscurità, il baluginare di una lanterna rimasta indietro
e non più raggiungibile, la luce di una stella estinta da tempo che
continua assurdamente ad arrivare dal passato, e tanta venefica nostalgia...
In quei momenti, di fronte al pensiero del destino dell'uomo, della
brevità e fuggevolezza dell'esistenza, che rende insensato assumere atteggiamenti intransigenti, aveva perdonato tutto a tutti, e in
ultimo, cosa più difficile, anche a se stesso.
Aveva capito che siamo tutti assillati e travolti dai nostri piccoli
problemi che distorcono la nostra visione del mondo, i nostri atteggiamenti e le nostre azioni, così che ciascuno è sommerso da
questa mole più grande di sé e costretto a scelte spesso indesiderate, che però non si riescono ad evitare.
Era un momento di grande armonia. Nell'ebbrezza della velocità e
dell'esistere, la morte deve essergli apparsa come qualcosa di nient'affatto spaventevole, ma anzi come qualcosa di desiderabile, come nella fuga d'una orchestra all'apice di una grande sinfonia che
cerca il silenzio vibrante dopo l'ultimo accordo fragoroso.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
L'oscuro abisso vertiginoso ed inebriante deve averlo chiamato
con voce imperiosa dal fondo del precipizio al di là dell'ultima
curva, in un modo a cui sarebbe stato impossibile resistervi.
Allora, mentre un rapido pensiero fuggiva sotto il cielo stellato,
inseguendo per l'ultima volta i ricordi, con un ultimo stridore di
acciaio e di vita, il silenzio invocato scese su di lui...
XXXI
Ci furono vari trafiletti sul giornale e qualche servizio in televisione con immagini di repertorio.
Per qualche tempo per radio non trasmisero altro che le canzoni di
Dan.
Avevo addirittura staccato la spina del televisore per evitare di accenderlo per sbaglio.
Poi gli articoli sul giornale si diradarono, le canzoni alla radio furono trasmesse sempre meno, e il mondo cominciò presto a
dimenticare.
Ma io avevo dappertutto oggetti che mi ricordavano Dan e mi facevano star male. Ormai quando entravo in casa non sapevo più
dove guardare: evitavo la foto sulla credenza di noi quattro al mare, in camera da letto il poster di un concerto, distoglievo lo sguardo dai dischi sulla scrivania.
Era questo il dilemma: ricordare? E sentirsi male? Aveva senso?
Cose finite e lontane nel tempo che non sarebbero state mai più...
Dimenticare, cancellando e perdendo anni della mia vita per tornare a sopravvivere?
Un pomeriggio reagii con rabbia a quel senso di malinconia e di
nostalgia insopportabile, mi feci forza e raccolsi i dischi di Dan, le
fotografie fatte insieme, i poster, le riprese video nonché altri oggetti e ricordi e ne riempii un baule.
Lo caricai in auto e mi diressi verso il cassonetto dell’immondizia.
163
164
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Ma quando fui là davanti, mi prese una gran malinconia, ancora
più forte, al pensiero che, prima o poi, tutti i cocci di una vita finiscono in una discarica.
Rimasi al volante di fronte al cassonetto, indeciso per un gran pezzo.
Pioveva, le lacrime di un giorno grigio come una vita senza ricordi.
Ticchettavano le gocce sul vetro, come un mormorio di vecchie
memorie inquiete.
Sorrisi riguardando tutte quelle cianfrusaglie.
L’intera storia mia e della mia famiglia in oggetti.
Pensai che là sarebbero stati in buona compagnia e sarebbero stati
bene.
Richiusi la botola della soffitta e finalmente ebbi un po’ di pace.
No, non era ancora tempo...
Sospirai, feci manovra e tornai a casa.
Trascinai il baule su in soffitta e lo seppellii in mezzo a vecchie
bambole della nonna, antiche macchine da cucire, le gabbie dei
canarini del nonno. Assieme all’uniforme da soldato, gli stivali e
la gavetta della Grande Guerra, a vecchi album delle colonie
d’Africa, ad un manichino da sarta, agli spartiti di mio zio, agli
scritti del nonno. Vicino all’albero di Natale finto che non facevo
da anni, alle lucine natalizie, al bue, l’asinello e Gesù bambino.
Accanto alle mie macchinine, al leoncino di pezza che mi aveva
regalato mio padre, alla collezione di conchiglie e di farfalle. Vicino ad un vecchio crocefisso, dietro la vecchia macchina da scrivere del nonno, tra vecchi libri polverosi, bauli pieni di corredi
della mamma, ereditati dalla bisnonna. Tra vecchi lampadari avvolti in giornali ingialliti con notizie e previsioni del tempo inutili,
e pubblicità di marche dimenticate...
...di fianco ad un vecchio giradischi, alla collezione di riviste di
animali e di viaggi, ai vecchi quaderni delle elementari, ai libri del
liceo. Tra vetusti abiti in naftalina...
165
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
...poi cercano di gettarci dentro anche gli altri...
XXXII
Altro sospiro.
Che pazienza che ci vuole... perché non può starsene in pace come
me, e lasciarmi in pace?
La relazione tra me ed Annalisa durò un altro anno.
Tutto era andato ad ali spiegate piene di vento per lungo tempo,
con molti alti e pochi bassi; poi, senza una ragione precisa, il nostro legame si sfibrò.
Non saprei dire il perché: in queste cose non è sempre facile capirlo.
I segni rivelatori non furono grandi sfuriate o incompatibilità evidenti, ma piccole inquietudini, silenzi più duraturi, un solco, dapprima un segno leggero, che andava aprendosi tra di noi, anche se
forse non volevo vederlo ed attribuivo tutto questo solo ad un po'
di stanchezza passeggera, dovuta alle vicissitudini della vita.
Una domenica di primavera eravamo in giardino. Stavo leggendo
un libro sull’amaca, godendomi il tepore del pomeriggio.
Annalisa era taciturna e ogni tanto sbuffava in un sospiro.
I silenzi diventavano pesanti, e io, presentendo guai, non chiedevo
niente.
Stavo così bene! Una grande pace mi avvolgeva. Una mite domenica di sole in giardino sull’amaca, dopo una bella grigliata. Una
birra fresca... una buona lettura... che altro di più?
Ma Annalisa bolliva come una pentola.
Le donne sono abilissime a costruirsi degli inferni di pensiero...
167
Facevo finta di non accorgermi di niente. Non avevo voglia di discussioni soprattutto durante la fase digestiva del dopopranzo.
Allora si decise a parlarmi.
"Henry?"
"Henry...". Lungo silenzio.
"...io non posso continuare così..."
Ci siamo...
Smisi di leggere
"???"
"Così non va"
"Cosa?"
"Tra noi ...tra me e te"
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
"Cos’è che non va?"
"Non so... più piatto..."
"Ti sembra che vada bene?"
"A te no?"
"Perché "Piatto"? Non stiamo bene qui? C’è il sole, è domenica, ci
siamo fatti una bella grigliata... Cos’è che non va?"
"Quindi va bene secondo te?"
"Non so... mi sembra che le cose siano cambiate..."
"Perché, secondo te cos’è che non va bene?"
"In che senso?"
"Insomma, smettila di rispondere a domande con domande!"
"Non so... non si fanno più progetti..."
"Cosa dovrei dire?"
"Non ne abbiamo già parlato delle vacanze?"
"Insomma, rispondi!"
"Ma no, tra noi, intendo dire..."
"Ma a cosa?"
"Che progetti?"
"Insomma, ti ho chiesto: ti sembra che le cose vadano bene tra
noi?"
"Mi sembra che non ci sia più quell’entusiasmo dei primi tempi..."
"Beh, non so... le cose non possono sempre andare a mille... Ci
sono delle fasi più alte e altre più tranquille..."
"Ma sì, normale. Secondo te non va bene?"
"Secondo me, no".
"Sì, se capita dopo vent’anni... ma se siamo messi in questo modo
dopo così poco tempo, cosa sarà tra dieci anni?"
"Perché?"
"Non lo so... mi sembra che sia diventato tutto più... più..."
"Tra dieci anni? Non so nemmeno se sarò vivo domani!... figurati
tra dieci anni!".
"Più?"
"Ecco, vedi come sei, tiri sempre fuori dei discorsi assurdi!"
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
"Quali discorsi assurdi? È vero: chi può dire cosa sarà domani?
Bisogna vivere al presente, che è certo, non al futuro che è
un’incognita"
"E allora che vuoi fare? Tiri a campare? Vaghi senza una meta,
senza obiettivi? Vuoi vivere alla giornata?"
Uffa che pazienza.!!!.. le donne sono campionesse di rottura di
coglioni quando ci si mettono!!!!
"Allora che dici?"
"Che devo dire? Hai già deciso tutto tu!"
"Perché fai così?"
"No, a dire il vero, sto provando a vivere all’istante. Vorrei provare a vivere momento per momento. Ma non mi riesce bene come
vorrei. Continuo a pensare al passato e al mio futuro, anche se mi
sforzo di non farlo".
"Così come?"
"Perché la prendi così?"
"Mi sembra che ti riesca benissimo, invece!".
"???"
Stetti in silenzio.
Bevvi un sorso di birra e ripresi a leggere il libro.
"Quindi?"
"Gli anni passano. Non possiamo continuare a vivere come dei ragazzini. Non possiamo andare avanti così.
Bisogna che pensiamo anche al nostro futuro...
Bisogna che ci chiariamo le idee su cosa vogliamo fare..."
Così magari riesci a capire meglio di cosa stai parlando!, pensai
tra me e me.
"Forse è meglio se non ci vediamo per un po’...
...magari stando un po’ da soli riusciamo a capire meglio la situazione "
171
Quindi, come si dice in francese: Foute moi la paix!
Che pazienza! Che pazienza!, pensai tra me e me.
Non sono mai stato il tipo da fare scene madri. Può darsi che con
qualche bella frase ad effetto da telenovela, pronunciata con aria
drammatica, sarei riuscito a toccare il suo sentimentalismo: le
donne apprezzano sempre queste commedie.
Ma non è mai stato il mio stile.
Inoltre continuavo a pensare che fosse soltanto un tipico capriccio
femminile passeggero, magari legato al ciclo... e che le sarebbe
passata presto.
E poi, forse, ero un po’ stanco anch’io.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
"Come vuoi, Annalisa. ...se credi che sia bene così..."
"Enrico...
Non ho visto nessun miglioramento da parte tua..."
Stette un attimo abbandonata sulla sedia, poi scosse la testa, si alzò, raccolse le sue cose, mi salutò di sfuggita e se ne andò.
Finalmente un po’ di pace: tutto quel che desideravo in quel momento.
Forse non compresi bene il senso di quel che stava accadendo. Il
sole stava tramontando su una domenica che era cominciata tranquilla ed era finita quasi in litigio.
Mi misi l’animo in pace e decisi di lasciare passare un po’ di tempo: volevo che riflettesse davvero e si schiarisse le idee.
Così, mi dedicai alle cose che avevo un po’ trascurato e ricominciai a frequentare di più i miei amici.
Provavo uno strano senso di libertà, come non mi capitava da
tempo.
Sì, forse un po’ di assenza ci avrebbe fatto bene.
"Ma quale miglioramento? Cosa devo migliorare?"
"Te l’ho già detto: ti sei spento, non hai più entusiasmo, né vitalità".
"Beh, adesso stai esagerando. Tutto in un colpo, non va più bene
un cazzo! Sono io che adesso non capisco più te!!".
"È da un pezzo che non mi capisci più".
"Senti Annalisa, se vogliamo discutere di niente...
...non so nemmeno esattamente di cosa stiamo discutendo..."
"Sì, infatti vedo che non vuoi capire..."
I giorni passavano e si accumulavano. Credevo ormai che fosse il
solito gioco a chi resiste di più senza sentire l’altra.
Infine i giorni, in fila uno dietro l’altro, divennero settimane.
Un sabato, visto che la cosa andava per le lunghe e il gioco mi aveva stancato, le telefonai.
Mi accolse molto freddamente.
Le chiesi come stava, parlai per un po’ del più e del meno, mentre
mi rispondeva a monosillabi. Quando esaurii gli argomenti, visto
che non mi veniva in aiuto, ma anzi c’erano pause glaciali
dall’altra parte, affrontai la situazione direttamente.
Tutto questo mi stava venendo a noia. Mi cresceva dentro una
grande nausea, mista ad un senso di fastidio e di stizza.
Basta, basta! non avevo più voglia di tutte queste farse da donna.
Scene viste e riviste, in una ripetizione infinita, monotona e tediosa. Con le donne a un certo punto non va più bene un accidenti e
più ti dai da fare e t’impegni per migliorare le cose e per assecondare i loro desideri, o meglio, i loro capricci, e peggio va. Ti fai un
mazzo così, e poi tutto va a puttane lo stesso.
No, non avrei più fatto gli stessi errori. Una coppia va sostenuta in
due.
"Insomma, hai deciso che non ci dobbiamo vedere più... Eh?"
"Vabbé Annalisa, io non ci sto capendo un cazzo! E ti dirò che ho
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
anche esaurito la pazienza! Quando hai voglia di parlare coerentemente e se hai voglia di chiarire le cose tra noi, mi telefoni, ma
prima è meglio che ti schiarisci le idee, ok?"
XXXIII
"Schiarisci le idee? Io le idee le ho chiarissime! Sei tu che non hai
le idee chiare!"
"Vabbé, adesso non riusciamo a comunicare. Pensa a quel che ti
ho detto, e quando hai voglia di parlarmi, mi chiami tu. Adesso ti
saluto"
Riagganciai.
Passò altro tempo, ma non si fece viva.
La chiamai un paio di volte senza trovarla e le lasciai dei messaggi
in segreteria.
Ma non mi richiamò.
Ancora una volta restai sorpreso da quanto velocemente si trasforma un “Grande Amore”.
Ripensai a tutto quello che avevo vissuto con lei i primi tempi, tutti i progetti, tutti i sogni...
Partiti con miraggi d’eternità...
...e tutto rapidamente nell’immondezzaio.
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Ormai niente mi tratteneva più lì.
Non avevo più legami e i soliti luoghi mi erano divenuti ostili.
Dovevo prendere decisioni importanti sulla mia vita e sul mio futuro e non ne avevo affatto voglia. Da qualsiasi punto la guardassi,
non mi sentivo affatto ottimista.
E poi non ne potevo più di sentire le canzoni di Dan trasmesse a
tradimento da una maledetta radio di un centro commerciale o da
una finestra aperta, mentre passeggiavo in centro, in un giorno di
primavera. Era come sale gettato su ferite aperte.
Perciò decisi di partire.
Intrapresi un lungo viaggio a data aperta per la Vecchia Europa,
non per ritrovare me stesso, ma per perdermi.
Avevo voglia di dimenticarmi, smarrirmi, confondermi con altre
vite, così da non essere più io.
Visitai solo i posti dove non ero mai stato: volevo evitare i ricordi
legati ai luoghi del passato. Non sempre fa bene ricordare.
Vagai a zig zag per l’Europa. Seguivo l’istinto e mi fermavo dove
capitava. Mi guidavano un gruppo di alberi, una collina, una chiesa, vecchie rovine. Conobbi molta gente: un navigatore di terra
solitario attira sempre la curiosità. A volte sulle coste della
Bretagna mi fermavo nei pascoli a picco sulle falesie in riva
all’Atlantico a chiacchierare con vecchi contadini. C’era tanta
umidità e paesaggi nebbiosi e scuri come quadri di vecchi pittori
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
nebbiosi e scuri come quadri di vecchi pittori fiamminghi.
Altre volte nel profondo della notte, mi trovavo in vecchie taverne
fumose sul porto a conversare e a bere con dei pescatori. La solitudine e la birra, assieme ad una soffusa malinconia, erano il filo
conduttore dei nostri discorsi.
Così cercai di sfuggire me stesso.
Non sapevo ancora quale impresa disperata fosse, perché, per
quanto ci sforziamo, siamo destinati a scontrarci contro le pareti
anguste del nostro Io e a ricadere inevitabilmente in noi stessi.
Mi ritrovavo ovunque; sui canali di Amsterdam, sulle rive della
Loira, sulle coste malinconiche della Bretagna, nei bistrot di Parigi, sui grandi laghi della Svizzera. Ero io, sempre io,
maledettamente io.
Non potevo sfuggirvi, il mio io mi perseguitava, era la mia maledizione, il mio peggior nemico, e anche il bere era un rimedio temporaneo che non migliorava di molto il mio umore. C'era di buono
che mi faceva addormentare.
L'ombra del Console mi era più vicina che mai in quei giorni. A
volte davanti alle vette delle montagne scintillanti di neve in lontananza, quasi fossero vulcani, mi sembrava di poterlo vedere sorridermi compassionevole.
Era terribile, fare migliaia di chilometri per ritrovarmi sempre là
ad attendermi. Ero lo spettro persecutore di me stesso.
No, non si può eludere a lungo la propria natura.
A volte, guardando un tramonto sui tetti rossi di Amsterdam, o il
lento scorrere della Loira sotto i ponti di Angers, o gli archi rampanti d'una cattedrale gotica sul blu del cielo spazzato da venti im177
petuosi, o il trapelare della luce dalla vetrina di un bar in un paesino francese in un giorno di primavera, oppure sentendo una cornamusa in lontananza sulle brumose scogliere della Bretagna, o un
odore, o le note d'una canzone, mi tornavano in mente altre immagini di altri posti e di altre situazioni del passato.
L'Europa è un luogo tremendamente malinconico: memorie millenarie incombono in ogni pietra, in ogni roccia, in ogni metro di
terra.
Così a volte mi sembrava di essere già stato in quel posto e di aver
già vissuto quel momento.
Ero stanco di scappare.
Spesso il rifugio migliore è l'angolo più buio della tana del nemico.
Per questo alla fine, quando l'autunno arrivò con tutto il suo deprimente squallore, decisi di ritornare a casa.
Sotto quel cielo cupo e tenebroso, inaspettatamente mi sentivo a
mio agio, lontano da tutti i ricordi dolorosi che la luce del sole
portava con sé.
Da allora ho cominciato a scrivere. Non perché credessi di aver
qualcosa d’importante o di originale da raccontare, ma semplicemente perché ho visto che scrivere mi fa bene.
Riverso sui fogli tutte le mie malinconie e mi sono accorto che in
parte me ne purifico.
E' una specie di esorcismo che allontana la tristezza e la nostalgia.
Spero in questo modo di riuscire a ricrearmi quell'agognato vuoto
interiore.
Ma a volte, purtroppo, la malinconia non si riesce a rinchiudere tra
178
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
le pagine d'un diario...
XXXIV
Ho giocato e rischiato troppo con la poesia.
Ma avevo avuto paura della noia, avevo rifiutato il grigiore, avevo
cercato i colori. Ma il verde risalta bene col rosso ed il blu con l'arancione... Così, scegliendone uno, ottenevo anche il suo opposto.
Spesso era maledettamente malinconico, ma ad ogni modo, serviva a colorare il nulla, così che mi sembrava di riuscire a trovare
uno spessore, una profondità al di sotto della superfluità del quotidiano.
" ...anche se cattiva la poesia è sempre meglio della vita".
Così pensavo.
L'esistenza, il mondo acquisivano una pregnanza che non avevano
e che io donavo loro.
Mi rifiutavo di vedere il nudo squallore, la desolante vacuità, la
prosaica crudezza della realtà... che poi, in verità, non è niente di
tutto ciò, ma è soltanto un semplice susseguirsi di eventi casuali,
senza significati particolari.
Non facevo nessuno sforzo però. Mi era facile cogliere gli aspetti
più romantici, più maledetti, ed abbinarli così da crearmi delle storie struggenti.
Ma ero io a creare gli avvenimenti, la mia fantasia: non accadeva
niente di particolare nella realtà.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Perciò molti dei fatti raccontati non sono probabilmente andati
come li ricordo, e persino la successione di molti avvenimenti potrebbe essere variata senza cambiare senso alla storia, se un senso
ce l’ha.
...come in fondo è avvenuto nella mia memoria che ha fuso e confuso tante cose e ha appallottolato il foglio dei ricordi.
Ma non si decide a buttarlo via...
XXXV
Un tempo pensavo che i ricordi accumulati negli anni donassero
spessore e pienezza all'esistenza.
Pensavo che ad aver "vissuto una vita bella" e ad "averne sicuro
possesso nella tranquilla gioia del ricordo”, come aveva suggerito
un saggio maestro antico, si potesse esser felici.
Ma non c'é tranquillità, né gioia.
Non avevo fatto i conti con la malinconia che credevo soffusa e
facilmente sopportabile, e non struggente.
A volte basta poi poco perché le emozioni ti sommergano: un profumo nell'aria, una leggera sfumatura nella luce, ed ecco che il ricordo si schiude in un lampo colorato, come i fuochi d'artificio che
sbocciavano nelle notti di metà agosto, quand’ero bambino.
Di colpo appaiono brevi sprazzi di un’età idilliaca, un lontano
tempo mitico...
...le rapide stelle cadenti nella notte di San Lorenzo, i bagni di
mezzanotte, l'odore di pece per lo scafo della barca, le reti ad asciugare al sole, le giostre sfavillanti nell’oscurità, un vecchio pescatore, via di mezzo tra Braccio di Ferro e Mastro Geppetto, che
mi portava in barca a recuperare le nasse, e suonava tristi walzer
con la fisarmonica, nelle fatate notti di mezz'estate, dense di stelle
e d’incanto...
Dettagli insignificanti, ma incastonati come gemme nella memo181
182
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
ria. Perché tutti i momenti, anche i più banali e mediocri, una volta
relegati irrimediabilmente in un passato intangibile, acquistano un
valore per la loro irripetibilità e si colorano presto di un’aura leggendaria.
Ma a ben pensarci, non sono mai stato un bambino felice e spensierato, se non per brevi momenti.
Ho sempre avuto l’impressione di avere molti più anni di quelli
che avevo. A volte mi sentivo addosso secoli.
All'asilo già sapevo leggere e scrivere e la maestra mi faceva esercitare, quasi avessi dovuto diventare un genio, invece di farmi divertire assieme agli altri bambini coi soliti giochi.
Così ero spesso solo.
Quando uscivo nei freddi pomeriggi invernali, abissi di buio mi
sovrastavano, mentre camminavo negli squallidi viali trafficati con
la mia cartellina sulle spalle.
Questo è uno dei ricordi principali della mia infanzia.
Poi un appartamento angusto al settimo piano d’un palazzone di
periferia, a cui mi sorprendo a pensare con affetto, dove si svolgeva il resto della giornata.
Vi era un balconcino da cui osservavo tristemente la città e le auto
che fluivano nelle strade e partivano per chissà dove.
L'unico rimedio era la fantasia. Mi creavo grandi avventure fantastiche e fregavo il mondo mediocre usando l'immaginazione come
una bacchetta magica che mi trasportava in un mondo molto più
affascinante e adatto a me.
E' un difetto che non ho mai perso del tutto, come accade con le
abitudini prese da piccoli.
La mia vecchia zia mi diceva che avevo fantasia da vendere.
Quando ero all'ospedale, da bambino, la zia m’incantava raccon183
tandomi delle favole che inventava lì per lì. Ma la maggior parte
del tempo ero io a raccontare delle favole che inventavo per lei, e
che la facevano addormentare.
Allora mi fermavo un po', poi la svegliavo per farmi raccontare
quello che aveva sognato. Lei iniziava un racconto, poi vinta di
nuovo dal sonno, tornava ad assopirsi, e andavamo avanti così tutto il pomeriggio.
La vecchia zia... quanti ricordi...
...vedova da anni, in una stanza in penombra nella sua dimora invecchiata assieme a lei, circondata da mille ricordi, riviveva e rinventava i "bei tempi", quando abitava col suo amato marito nella
villa appartenuta ad un famoso poeta...
La rivedo sempre sorridente coi suoi capelli bianchi avvolti da una
reticella, i suoi occhiali dorati e lo sguardo bonario e rasserenante.
Ne è passato di tempo, ma mi manca sempre tanto.
Era l'unica persona che da bambino si occupasse realmente di me.
Gli altri erano troppo impegnati.
Mi prendeva per mano e mi accompagnava un po' curva e sorridente ai giardini a vedere il laghetto. E io lanciavo briciole nell'acqua, i pesci e le papere accorrevano ed ero felice e spensierato.
Anche se da adulto non ci vedevamo spesso come un tempo, saperla sempre là ad aspettarmi, era rassicurante, e rivederla era rivisitare i momenti dell'infanzia, quelli belli, una porticina magica
che collegava al passato, come se non fosse estinto per sempre.
Sì, fu fin da bambino che imparai a fuggire dalla realtà.
Non l’ho mai considerato un difetto, ma anzi, un rimedio.
Molti, seriosi ed inquadrati, mi guarderebbero con disprezzo come
un disertore.
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
Ma io mi sono sempre sentito un prigioniero ingiustamente incarcerato.
XXXVI
E poi le fantasticherie non sono dissimili dai ricordi. Anche i ricordi sono proprio come favole, perché quando il passato è stato
scalzato dal presente, non è più reale d'un sogno.
In fondo tutto avviene soltanto dentro di noi: sono solo evanescenti immagini prodotte da fragili circuiti di cellule, percorsi da flebili
correnti elettriche.
Ed è proprio lì e soltanto lì che risiede veramente il passato: solamente dentro di noi.
Ecco di cos’è realmente fatta la vita d’un uomo: fantasie, vaghe
impressioni colte qua e là, fantasmi di oggetti, ombre di paesaggi,
sagome di volti, scatti rubati al tempo. Un’accozzaglia di memorie
più o meno immaginarie che danno "spessore" alle nostre esistenze.
Sì, la vita d’un uomo è davvero fatta di niente, piccolo nulla che
decora un grande vuoto.
Eppure quel niente vibra dentro di noi in memorie inquiete che
non vogliono essere dimenticate...
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Nel periodo in cui gli anni ancora da vivere si stendono davanti a
noi come uno sconfinato campo fertile dove seminare le proprie
fantasie a volontà, la vita mi appariva come un’immensa, meravigliosa giostra di suoni, di luci e di colori, di volti e di paesaggi, e
di avventure fantastiche che non avrebbero permesso alla noia e
alla malinconia di corrompere il mio animo.
Ma la realtà è molto più cruda di qualsiasi incubo, anche perché
non ci si può svegliare, e di giorno in giorno mi vedo spingere
sempre di più in una parte anonima, dove si annaspa in una palude
di trita quotidianità.
Il teatro del caso non assegna parti da protagonista a tutti e, a volte, è persino difficile capire quale sia la propria parte e quale sia il
proprio personaggio.
Negli anni passati mi sono domandato spesso se sarei riuscito ad
affrontare una monotona vita ordinaria.
Chino su una scrivania per tutto il giorno, mentre il telefono squilla in continuazione ed è la signora comesichiama che mi dice che
le mattonelle sono più scure di quello che pensava, o il signor taldeitali che mi chiede se si può fare un appartamento col bagno in
cortile...
Aspettare la sera per poter racimolare una misera dose di vita.
Guadagnare anche discretamente, ma sempre scarso tempo libe186
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
ro...
E poi sposarsi?
Ma dopo che hai un lavoro e ti sei sposato, che incognite restano
nella vita d'un uomo?
Mi ero innegabilmente avvicinato al pensiero di Dan.
E allora tutte quelle possibilità che hai intravisto leggendo libri,
guardando film e studiando?
Tutte quelle possibili vite alternative, quei sogni che ti hanno mostrato: spiagge tropicali, tramonti nel deserto, le grandi foreste del
nord, i leoni nella savana, i vulcani scintillanti di neve... Tutte illusioni?
A cosa è servito conoscere tutte queste cose se devi vivere qui, in
questo modo mediocre?
Deve pur venire l'occasione giusta, la Grande Occasione!
Ora mi rendo conto di come, a volte, tutte le infinite potenzialità
d'un uomo finiscano in un angolo d'un oscuro ufficio di provincia.
Adesso ho cominciato a lavorare come apprendista presso uno
studio privato. Faccio molti disegni e molti calcoli. Non si guadagna male.
Non ho molto tempo libero. Meglio così.
Il lavoro mi distoglie per tutto il giorno dai miei pensieri ricorrenti. E' un rimedio grossolano, ma mi serve pure questo.
Quando i sentimenti cercano di sopraffarmi, scrivo.
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XXXVII
Da quando la mia storia con Annalisa è terminata, non ho più cercato nuove relazioni.
Francesca è sempre al mio fianco e ci vediamo spesso. Si è rivelata davvero una buona amica, e il nostro legame è molto forte. C'é
stato anche un momento in cui ho pensato di mettermi insieme a
lei. Dan ne sarebbe stato contento, ne sono certo, ma poi ho pensato che sesso e amicizia difficilmente vanno d’accordo, e non ho
voluto rischiare di sciupare un bellissimo rapporto.
Ci troviamo di sera al tavolo di qualche locale a bere. Cerchiamo
gli angoli più bui dove, fra le tenebre, i ricordi fanno fatica a trovarci. E stiamo là seduti, ognuno solo con se stesso, lo sguardo
basso concentrato sui riflessi del bicchiere e sulle mille bollicine
che salgono, anche se nel fondo dei pensieri percepiamo la presenza rassicurante dell'altro.
Parliamo poco, quasi niente.
Ogni tanto, soffiando il fumo in basso in una specie di sospiro, alzo gli occhi ed i nostri sguardi s’incrociano. Ci sorridiamo in un
modo un po' malinconico come a dire: "Così è l'esistenza", e
quando vedo che diventa un po' troppo triste e gli occhi le diventano lucidi le accarezzo i capelli.
In quei momenti mi fa una tenerezza che le donerei anche tutti
quei brevi momenti felici della mia vita per vederla sorridere di
gioia.
Al terzo, quarto bicchiere, finalmente il malevolo chiacchiericcio
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Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
interiore si quieta e l'umore si risolleva lieve, in un mondo danzante di luci fioche, ma buone.
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Adesso vedo spesso anche Antonella. Compare all'improvviso
come è solita fare, ma con una certa frequenza ultimamente.
E' diventata quasi una relazione.
A volte facciamo l'amore, a volte stiamo abbracciati in silenzio, a
volte parliamo, ma le parole escono difficili quando si hanno sentimenti troppo profondi da esprimere o si ha un peso troppo grosso
sullo spirito.
Però ci capiamo, ci capiamo sempre.
Poi se ne va di nuovo, ma mai troppo lontano o troppo a lungo.
E' forse lei la vera donna della mia vita, l'ho capito solo adesso,
perché nel profondo siamo molto più simili di quanto appaia, anche se reagiamo in maniera diversa. Lei sa mantenere la giusta
tensione emotiva nella nostra relazione, non lascia spazio alla routine o al prevedibile, e non permette che la stanchezza s’insinui nel
nostro rapporto. Antonella sa che amare è giocare a farsi male,
giocare a darsi la vita e a togliersela, per poi ridonarsela più bella e
più intensa di prima.
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Benché sia già passato parecchio tempo, i sentimenti sono ancora
troppo densi, troppo viscosi, ma spero che sprofondando in una vita inerte come quella che conduco ora, si possano diluire così che
sia più facile rimuoverli.
Adesso sono ancora troppo sbilanciato, ma mi rendo conto che è
bene che ritrovi quella saggia e serena indifferenza verso il mondo
che mi aveva indicato il Maestro.
Ma non è facile eludere la propria natura, e per quanto mi sforzi, ci
sono dei momenti che, senza preavviso, i ricordi sgorgano come
un fiotto e mi sommergono.
Rivedo il passato, ne individuo i bivi, le direzioni alternative, e
cerco d’immaginare cosa potrei essere se avessi scelto altre strade.
Ma alla fine, di tutte queste storie possibili con finali inventati e
sfumati, di tutti i bivi sbagliati per colpa del caso o per colpa mia,
rimane solo una serie di inizi abbozzati privi di senso che formano
la storia, quella vera, la mia storia.
E sotto questo cielo pallido ed umido di primavera verso la sera
foschiosa, non è un senso di esaltazione o di mistero, come davanti
alle grosse nuvole viola portate dello scirocco, a pervadere l'animo, ma un senso d’incertezza e di smarrimento, come se si fosse
perso il contatto con ciò che è vero e non solo possibile.
La natura umana è predisposta a cercare il significato anche dove
non esiste. Così, a volte, mi sembra d’individuare un filo impalpa190
Enrico Giacometti
Il vento e la fiamma
bile, un destino in tutto ciò, una specie d’iniziazione per qualche
ineffabile scopo...
Ma quando alla fine si sarà sgretolato tutto, quando anche l'ultima
cosa creduta vera, apparirà come è ...soltanto un ombra ...allora ci
apparirà l'uomo nella sua essenza, nella sua nuda realtà, così come
è stato creato: solo nel vuoto.
In quel momento potremo ricominciare da capo smettendo di cercare il vero ed il significato nelle cose e potremo osservare la vita
con occhi trasparenti senza esprimere giudizi, come se si trattasse
d'un film e fossimo soltanto spettatori.
spiaggia dei ricordi.
Bologna, agosto 1986 – Tours – Bologna, agosto 1994.
Rev. 14/02/2015
E magari, alla fine, riusciremo anche a fare un applauso...
ATTENZIONE: questo testo è tutelato dalle norme sul diritto di autore. Ai navigatori di questo
Penso spesso alle innumerevoli persone che hanno lasciato dietro
di sé storie di vita degne di essere ricordate che sono svanite con la
loro esistenza senza lasciare tracce, e mi domando perché mai
qualcuno dovrebbe ricordarsi di noi...
sito ne è concessa unicamente la lettura rimanendo all'autore la piena ed esclusiva proprietà
dell'opera nonché il diritto di utilizzazione economica in qualsiasi forma e modo.
Un giorno il mio orologio biologico batterà colpi sempre più lenti,
sempre più scanditi, finché l'intervallo prima dell'ultimo rintocco
sarà eterno.
Quel giorno tutti questi piccoli, inutili ricordi saranno finalmente
liberi di essere dimenticati, e quelle sottili strisce di molecole che
li custodivano gelosamente, saranno libere di scindersi e di essere
riutilizzate dall'universo per più alti scopi.
In fondo sono soltanto un uomo, uno dei tanti, e questa è solo una
delle infinite storie che il mondo scrive ogni giorno, e che il mare
del tempo sbiadisce e cancella, come semplici parole segnate sulla
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