Lavoro atipico e vulnerabilità sociale
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Lavoro atipico e vulnerabilità sociale
. LAVORO “ATIPICO” E VULNERABILITÀ SOCIALE. UNA RICERCA SU TIPOLOGIE EMERGENTI DI LAVORATORI NON STANDARD Danilo Catania Gianfranco Zucca1 1. Premessa: flessibilità del lavoro e vulnerabilità sociale Tra i mutamenti intervenuti all’interno del sistema produttivo capitalistico, la flessibilizzazione è la dimensione attraverso la quale si evidenzia come, accanto alle macrostrutture economiche (capitali, mercati e grandi assetti aziendali), si vadano modificando anche le relazioni micro-sociali (occupazione, produzione delle risorse e consumi) collegate alla sfera del lavoro (Gorz, 1998; Sennett, 1998; Beck, 2000; Gallino, 2001). D’altro canto, con l’intensificazione dei processi di globalizzazione (mondializzazione dei mercati e degli scambi, delocalizzazione ed informatizzazione della produzione – Reich, 1993; Hirst Thompson, 1997; Rifkin, 2000; Castells 2002), la flessibilità, da potenzialità organizzativa, è divenuta la parola d’ordine dell’impresa, sino a definire il nuovo paradigma in base al quale orientare politiche del lavoro, strategie di contenimento della disoccupazione e piani di riordino economico (Gallino, 1998). A fronte di questi ampi processi che a vario titolo interessano il mondo della produzione, anche la riorganizzazione delle forme d’impiego è soggetta a scomposizione e frammentazione. Il ricorso diffuso a forme di flessibilizzazione introduce elementi di novità, tanto nella forma quanto nel contenuto del lavoro (orari, plurimansionalità, scadenza del contratto ecc.), tali cambiamenti verificandosi all’interno di una dimensione del sistema sociale tradizionalmente percepita come salda e rigidamente strutturata possono essere analizzati secondo un’ottica di mutamento sociale. Il passaggio ad un sistema di produzione che può infatti, anche, non contemplare una forza lavoro stabilmente e continuativamente impiegata, segna un deciso cambiamento di prospettiva per quote sempre più consistenti di occupati (Barbier - Nadel, 2003). La soppressione di una delle dimensioni fondamentali del lavoro: la “continuità”, nel tempo, nello spazio e nella forma di retribuzione (il salario) (Bologna – Fumagalli, 1997), spinge gli individui ad organizzare la propria vita (in termini 1 Danilo Catania e Gianfranco Zucca, sono ricercatori dell’IREF (Istituto di Ricerca Educative e Formative): al primo è da attribuire il paragrafo 3, 5 al secondo i paragrafi 1, 2, 4. Questo articolo è una sintesi di un lavoro di ricerca più vasto conclusosi con la realizzazione di un volume sull’argomento. Cfr. D. Catania, M. C. Vaccaro, G. Zucca (a cura di), Una vita tanti lavori. L’Italia degli “atipici” tra vulnerabilità sociale, reti familiari e auto-imprenditorialità, Milano, Franco Angeli, 2004. tanto di accesso e riproduzione delle risorse quanto di corsi d’azione e strategie) su elementi discontinui (Touraine, 2000). In breve, la flessibilità occupazionale assegna loro il compito di mantenere quella continuità che non è più presente in quello che ne è il suo stesso presupposto: il lavoro (Accornero, 1997). Certamente, la perdita di consistenza delle biografie lavorative è un fenomeno solo in parte dipendente dalle dinamiche strutturali di destandardizzazione del lavoro; difatti, il progressivo sfaldamento dell’insieme di relazioni connesse al lavoro (relazioni tra lavoratore e lavoratore, lavoratore/datore di lavoro), la crescente problematicità dei percorsi di inserimento lavorativo stabile, la relativa inconsistenza delle forme di supporto e tutela dei “nuovi” lavoratori, sono tutti elementi che intensificano l’incidenza della “flessibilità” nei vissuti individuali (Ranci, 2002; Ceri, 2003). Inoltre, con la svolta flessibile del mercato del lavoro, viene a verificarsi un altro fenomeno rilevante. Sembra che si vada creando un doppio sistema: da una parte i lavoratori a tempo indeterminato e dall’altra i lavoratori flessibili i quali scontano alcune delle contraddizioni dell’attuale sistema occupazionale (salari più bassi, inferiore copertura previdenziale e impossibilità di certificare le competenze acquisite). Di fronte alla polarizzazione delle mansioni lavorative, delle figure professionali e delle retribuzioni (a parte chi, in virtù di un alto livello professionale, sceglie la flessibilità) la maggioranza dei lavoratori atipici non ha alternativa. Se a ciò si aggiungono fenomeni come la compressione dei salari reali e la perdita del potere d’acquisto dei redditi, si può facilmente affermare che la progressiva precarizzazione delle condizioni di vita (materiali e non) sia una delle conseguenze più evidenti del nuovo regime occupazionale (Castel, 1991). Dunque, le dinamiche cui si è accennato portano la flessibilità occupazionale al centro dell’attualità politica e sociale: i regimi di inserimento e integrazione sociale, i meccanismi di accesso e distribuzione delle risorse, il mantenimento di quote sostenibili di spesa sociale, sono tutti problemi che hanno tanto a che fare con i processi di riorganizzazione del mercato del lavoro quanto con i nuovi termini della coesione sociale (Ranci, 2002; Pavolini, 2003). Per affrontare questo genere di questioni, le scienze sociali cominciano a far convergere l’analisi sulla categoria di “vulnerabilità”, intesa come ampliamento delle possibili fonti di destabilizzazione sociale ed esistenziale (Ranci, 2003; Borghi, 2002). La funzionalità del concetto di vulnerabilità è data dalla sua dimensione previsionale; in poche parole, facendovi riferimento, si cerca di evidenziare come l’elevata esposizione a 2 condizioni di rischio2 possa condurre a stati di marginalità. Piuttosto che riferirsi a condizioni già verificatesi, con il termine “vulnerabilità sociale” si individuano tuttavia processi che, per quanto in evoluzione e relativamente reversibili (Chicchi, 2002; 2003), a seguito dell’intervento di fattori ulteriori di pressione potrebbero sfociare in condizioni permanenti. Queste dinamiche vengono ben sintetizzate nella definizione data da Ranci. Secondo lo studioso la vulnerabilità sociale sta ad indicare “una situazione di vita in cui l’autonomia e la capacità di autodeterminazione dei soggetti è permanentemente minacciata da un inserimento instabile dentro i principali sistemi di integrazione sociale e di distribuzione delle risorse” (Ranci, 2003, p. 546)3. Alla luce di quanto argomentato sinora, ci sembra che il concetto di vulnerabilità sociale sia un efficace strumento (anche se non il solo) per interpretare il peso che i processi di riorganizzazione del mondo del lavoro hanno nella riproduzione dell’ordine sociale. La profonda attualità del concetto in questione consente infatti di definire un’ipotesi di lavoro che sostanzialmente cerca di rendere conto della molteplicità dei fattori che intervengono nella gestione di una condizione occupazionale flessibile. L’idea è che sia il differente livello di vulnerabilità sociale a marcare il discrimine tra soggetti che riescono a gestire (o a ricavare un “continuo” vantaggio da) una condizione lavorativa flessibile e chi, al contrario, in termini di strategie e progettualità, si trova a dover subire la flessibilità. Fornire un sostegno empirico al cosiddetto flexibility divide (Ceri, 2003) è stato uno degli intenti che ha guidato il nostro lavoro di ricerca sul campo. Trasformando in termini operativi il concetto di vulnerabilità sociale si è cercato di definire quali siano le capacità che intervengono nella gestione di un contratto di lavoro “flessibile”; d’altro canto, utilizzare la categoria di vulnerabilità consente di individuare i vettori che conducono all’incremento tanto delle fasce deboli tradizionali quanto di quelle emergenti (La Rosa, 2002). In questo senso, nelle pagine seguenti verranno proposti i risultati di una ricerca condotta su un panel di mille lavoratori atipici tra maggio e giugno 2003. 2 Il concetto di “rischio” è uno dei più fortunati della sociologia contemporanea: alcuni tra i maggiori teorici attuali gli hanno dedicato importanti contributi cfr. Bauman, 1999; Beck, 2000b; Giddens, 1994; Luhmann, 1996. 3 Sempre secondo Ranci la fenomenologia della vulnerabilità sociale si dispiega a partire da a partire da tre fattori di pressione: la precarizzazione del mercato del lavoro, la progressiva individualizzazione della vita sociale e la rigidità dei sistemi di welfare (Ranci, 2003). 3 2. La ricerca: disegno complessivo e metodologia Dal punto di vista metodologico, una delle difficoltà preliminari è stata la definizione operativa di lavoro atipico da adottare nel corso dell’indagine4. All’interno della varietà delle accezioni di lavoro non standard che affiorano dalla recente produzione scientifica (Reyneri, 2003) è estremamente complesso giungere ad una definizione univoca e non controversa5. La soluzione da noi scelta ha cercato di “aggirare” il problema delle sovrapposizioni semantiche interne al termine, partendo dalle dimensioni strutturali di un qualsiasi lavoro (Reyneri, 1996): la durata temporale (determinato o indeterminato); la presenza di un rapporto fra datore di lavoro e lavoratore (regolato da una forma di contratto implicita o esplicita) in cui la prestazione d’opera di quest’ultimo, contribuisce alla produzione di beni e servizi; infine, il fatto che tale rapporto abbia come presupposto, quello di prevedere una qualche forma di contropartita economica, in natura o di altro tipo. Quindi per lavoro atipico abbiamo inteso: una forma di occupazione regolata da un rapporto di lavoro remunerato, la cui durata del contratto è a termine. Prendendo forma all’interno delle dimensioni strutturali del lavoro, questa definizione, sebbene generica, ci consente di circoscrivere in modo chiaro l’universo di riferimento6. In particolare, sono state escluse dall’analisi tutte quelle forme di lavoro non standard che presuppongono un carattere formativo del rapporto d’impiego (stage, tirocini, apprendistato). All’opposto, sono stati inseriti nell’indagine i rapporti di lavoro atipico remunerati definiti dall’OCSE “a termine” (OCSE, 2002), si tratta in questo caso di dipendenti con contratto a tempo determinato (part-time o full-time); lavoratori con contratto di collaborazione (sia continuativa che occasionale); lavoratori interinali, lavoratori stagionali in agricoltura. Infine, oltre alle tipologie contrattuali sopra citate, si è tenuto conto anche dei lavoratori con partita IVA7. 4 Il problema della classificazione delle forme di lavoro “atipico”, si avverte soprattutto nell’analisi comparative a livello internazionale. A tal proposito, sono stati realizzati dei sistemi internazionale di classificazione – come il System of National Accounts (SNA) delle Nazioni Unite o il Sec95 (Sistema europeo dei conti). 5 In un saggio (Kalleberg, 2000) di qualche anno fa Arne Kalleberg, a partire dalle aggettivazioni che il termine work riceve nella recente letteratura scientifica, ha individuato tre dimensioni costitutive dei lavoro non standard. (1) Il lavoro atipico è un lavoro incerto e non tutelato; (2) é un lavoro “malleabile”, ossia soggetto ai mutamenti del mercato; (3) infine, è un lavoro anomalo rispetto a quello considerato tradizionale ovvero a tempo pieno. 6 Non sono stati contemplati tutti quei rapporti di lavoro che prevedono una remunerazione che sia inferiore o uguale alle spese sostenute dal lavoratore per lo svolgimento delle proprie mansioni lavorative come vitto e alloggio, rimborsi spese, formazione. 7 Anche se tradizionalmente inseriti nel lavoro autonomo, e quindi non formalmente rientranti nella definizione di lavoratore atipico, è pur vero che negli anni il mondo delle libere professioni ha subito un profondo mutamento, dovuto principalmente all’affermarsi di nuovi settori produttivi: ad esempio, quelli 4 Una volta definita l’unità d’analisi si è passati alla definizione del piano di campionamento. Dal punto di vista statistico, ci siamo avvalsi di un campione ragionato di mille intervistati di età compresa fra i 18 e i 40 anni, estratti dalla lista delle dichiarazioni dei redditi del 20018 (circa 14 mila dichiarazioni), fornitaci dai centri di assistenza fiscale delle Acli service9. Rispetto a tale elenco l’estrazione dei nominativi è stata realizzata, suddividendo la popolazione di riferimento in quote proporzionate all’intera popolazione dei co.co.co iscritti all’INPS: utilizzando come variabili discriminanti il sesso, l’età in anni compiuti (da 18 a 29 anni, da 30 a 40 anni) e la ripartizione geografica (Nord-Est, Nord Ovest, Centro, Sud ed Isole). In totale, la popolazione di riferimento dell’istituto di previdenza nazionale, in base ai criteri sopra esposti, ammonta a circa 700 mila posizioni contributive10. Per la raccolta dati è stato utilizzato un questionario con modalità di risposta predefinite. La rilevazione sul campo, è stata realizzata dalla società Codres di Roma utilizzando il metodo CATI (Computer Assisted Telephone Interview) per la registrazione in matrice delle risposte. Gli intervistati, selezionati in base ai criteri sopra illustrati, sono stati invitati a rispondere ad una serie di quesiti (organizzati in base ad un criterio temporale). La scelta di un criterio di organizzazione temporale risponde all’esigenza di considerare la “flessibilità” nel suo progressivo stratificarsi all’interno dei vissuti riguardanti l’erogazione di servizi alle imprese altamente specializzati. Questo cambiamento ha portato sulla scena un nuovo modello di professionista (il lavoratore autonomo di seconda generazione; Bologna Fumagalli, 1997) che fa della gestione del tempo di lavoro e della professionalizzatone i propri elementi qualificanti. In questo senso, i nuovi professionisti sono caratterizzati da modalità di lavoro più dinamiche e fluide rispetto ai tradizionali lavoratori autonomi (commercianti, artigiani, piccoli imprenditori, ecc.). Difatti, la seconda generazione di lavoratori indipendenti ha rapporti di consulenza e collaborazione che per tempi, luoghi, e modalità di esercizio li rende figli legittimi del nuovo corso flessibile del lavoro. 8 A tal proposito, la scelta del 2001 come anno di riferimento, è dettata dalla necessità di selezionare i redditi derivanti da contratti di collaborazione da quelli di altra natura. Difatti, fino alla modulistica 730 del 2001, il Quadro D (“Altri redditi”), nello specifico, il rigo D4 (“Redditi da lavoro autonomo”) consentiva di individuare i redditi da Collaborazione Coordinata e Continuativa, indicando il codice 1 nel riquadro sottostante. Dopo il 2001, i redditi da collaborazioni sono stati assimilati a quelli da lavoro dipendenti (Quadro C). La modulistica fiscale successiva al 2001, essendo caratterizzata da un cambiamento della natura reddituale dei co.co.co. (da lavoro autonomo a quello subordinato), non offre la possibilità di discriminare le posizioni dei collaboratori. Rispetto a questi due parametri di partenza (anno di dichiarazione dei redditi – 2001-, la scelta di costruire il campione su un determinato rapporto di lavoro non-standard – co.co.co.-) si è ricostruita la successione dei contratti sottoscritti dagli intervistati fino a giungere al contratto in cui erano inquadrati nel periodo di rilevazione dell’indagine (maggio 2003) . Rispetto alla tipologia dell’ultimo contratto si è stabilito il criterio di eleggibilità dell’intervistato: non ammettendo coloro che durante la rilevazione sono passati ad un contratto che fosse diverso dalla definizione da noi proposta, nelle pagini precedenti, di lavoro atipico. 9 Gli autori desiderano ringraziare il CAF-ACLI, in particolare Diego Defant e Gianpaolo Cirioni, per il prezioso contributo offertoci, affinché la presente indagine andasse a buon fine. 10 Si deve aggiungere che la presente indagine è stata effettuata prima dell’entrata in vigore della Riforma del mercato del Lavoro introdotta dall’attuale governo; quindi, non sono state prese in esame le figure contrattuali previste dalla nuova normativa (la cosiddetta Legge Biagi). 5 individuali. Tale scelta ha come presupposto l’idea che il nesso tra vulnerabilità e lavoro “atipico” sia dipendente anche dalla sua durata e che le traiettorie d’impiego possano evidenziare vari aspetti connessi al vissuto occupazionale. Di seguito è riportata la struttura tematica del questionario: - area del pregresso (passato occupazionale): tipo di contratto (domanda di screening del campione11), mansioni svolte e canali attivati nella ricerca del lavoro; - dimensione attuale (presente occupazionale): valutazione della propria condizione di lavoratori atipici, in base alla retribuzione, alle mansioni, ai meccanismi di previdenza, al coinvolgimento dei rispondenti rispetto ad una serie di eventi rischiosi concernenti il lavoro (inattività lavorativa, difficoltà economiche, incapacità di adattarsi ai cambiamenti del mercato del lavoro ecc.). Tramite l’indicazione della quota di risparmio annuale e la possibilità, da parte dell’intervistato, di attivare le reti parentali e/o amicali in caso di bisogno, si è potuto determinare la disponibilità di risorse (economiche e relazionali) del campione in oggetto; - dimensione futura (futuro occupazionale): sono state inserite in questa terza area una serie di domande volte a raccogliere le opinioni dei rispondenti in merito all’evoluzione futura, sia della loro condizione occupazionale (strategie lavorative nel breve periodo) che, in generale, del loro progetto di vita (scenari esistenziali a lungo termine); - infine, nell’ultima parte del questionario, sono state collocate le domande di struttura (sesso, età, titolo di studio, status civile, tipologia del nucleo familiare ecc.). 11 Dal momento che a livello nazionale non vi è una base dati che contenga l’insieme dei lavoratori inquadrati nei contratti che definiscono le unità d’analisi da noi considerate (Interinali, Collaborazioni continuative ed occasionali, a tempo determinato e stagionali) ciò ha imposto che durante l’intervista si ricostruisse la traiettoria contrattuale del soggetto contattato. In altre parole, partendo dal dato certo al 2001, ossia che ogni intervistato era inquadrato nel 2000 in un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, nel corso dell’intervista si è domandato a costoro l’attuale tipologia contrattuale. Tale domanda, è stata considerata criterio di eleggibilità del campione: considerando come popolazione campionaria coloro che, pur cambiando il tipo di contratto (da collaboratore ad altra tipologia contrattuale), hanno attivato un rapporto di lavoro rientrante nelle unità d’analisi; viceversa, escludendo dall’indagine i lavoratori che avendo attivato un diverso contratto non sono più lavoratori atipici (ad esempio, chi è stato assunto con contratto a tempo indeterminato). Ovviamente chi, a tutt’oggi, è in una condizione contrattuale di collaborazione, è da considerarsi facente parte dell’indagine. 6 Sulle risposte date alle domande del questionario dagli intervistati è stata effettuata un’analisi per gruppi12. Questa è una tecnica di sintesi delle informazioni utilizzata prevalentemente per definire dei raggruppamenti di intervistati (casi) che abbiano come caratteristica principale quella di essere contraddistinti da profili di risposta simili. In questa sede, l’utilizzo di tale tecnica è coerente con l’adozione di un approccio d’indagine di tipo descrittivo il quale, implicitamente, rimanda ad un campionario di tecniche di analisi multuivariata (analisi del discriminante, analisi in componenti principali e in corrispondenze multiple, ecc.), capaci di fornire informazioni sintetiche volte ad esplorare le caratteristiche principali di un determinato fenomeno13. In questo senso, i cluster (Salvati, Sommersi, Sospesi e Novizi) sono stati definiti attraverso un set di variabili che ripercorrono l’ossatura tematica del questionario sopra descritto: condizione lavorativa attuale; rappresentazioni del lavoro; risorse a disposizione; percezione del livello di sicurezza lavorativa; strategie lavorative; opinioni, obiettivi e progetti futuri. Le variabili appena enunciate definiscono dunque le dimensioni che possono condurre a situazioni di vulnerabilità sociale. Di seguito, proponiamo l’analisi delle quattro tipologie di lavoratori non standard; nell’interpretazione dei dati sarà possibile intravedere come la flessibilità sia collegata a diversi livelli di vulnerabilità sociale. 3. Quattro tipologie di lavoratori non standard 3.1 I Salvati. Il percorso che si snoda lungo l’asse della flessibilità lavorativa e della vulnerabilità sociale, trova in questo gruppo una prima rappresentazione (tab.1). Nel cluster in questione, si delinea un’immagine del lavoro caratterizzata da posizioni lavorative tutto sommato forti. In questo primo raggruppamento, si collocano, così, prevalentemente gli intervistati che hanno ormai acquisito esperienze, abilità e conoscenze tali da consentire loro di gestire il proprio destino lavorativo. I salvati sono in prevalenza lavoratori di lunga durata, in una fascia d’età compresa tra i 35 e i 39 anni (31,8% contro il 23,6% del campione), che hanno costituito nel tempo un proprio nucleo familiare (20,8% nel gruppo e 13,1% nel totale) e residenti soprattutto nel Nord Ovest del paese (+4,7% rispetto al totale degli intervistati). Il livello elevato di professionalità raggiunto e la condizione lavorativa dei salvati (svolgono 12 L’analisi dei gruppi è stata realizzata attraverso un criterio di aggregazione dei casi misto (gerarchico, nogerarchico (Biorcio, 1993), utilizzando come package statistico SPAD (ver. 5.0). 13 Sulla diversa accezione fra analisi descrittiva ed analisi volta a controllare un modello d’indagine e sull’adozione di “tecniche” e “modelli”di analisi multivariata, si veda Di Franco, 1997. 7 mansioni ad alta professionalità il 40,2% degli intervistati rispetto al 25,5% del totale), si riflettono sull’immagine che essi hanno del lavoro, in cui la possibilità di esprimere a pieno la propria professionalità risulta essere un tratto peculiare (+ 17,7% sul totale). Questa immagine, tuttavia, trova ugualmente dei fattori di ostacolo al “pieno” dispiegamento della professionalità acquisita: assenza di una certificazione delle competenze (20,4% nel gruppo, 15,4% del campione), mancanza di una programmazione delle attività ed elevata pressione fiscale e contributiva (con scarti dal totale rispettivamente di +3,3% e +2,9%). Inoltre, il mantenimento dei livelli di benessere (economico e professionale) di tale gruppo, poggia anche su una duplice modalità d’intervento: investimento nella formazione continua (62%), accantonamento di denaro (risparmio oltre il 10% del reddito 34,1%). Pertanto, i salvati attraverso le leve della formazione e del risparmio, creano i presupposti per la loro stabilità lavorativa ed economica. Accanto a ciò, le strategie lavorative poste in essere dai rappresentanti del gruppo in oggetto, prendono forma su un doppio livello d’azione: relazionale e (in)formativo. Nel primo criterio, la costruzione di una rete di rapporti di lavoro stabili nel tempo (78,6%) e la tendenza a lavorare con più committenti (35,9%), permettono di definire una piattaforma professionale multidimensionale, in cui la trama dei “legami deboli” (Granovetter, 1974; 1991) è elemento strategico nella ricerca di nuove opportunità occupazionali. Il secondo criterio verte sulla possibilità di tenersi informati sui cambiamenti del mercato del lavoro (43,7%) e sull’investimento nella formazione continua (51,3%); queste strategie, risultano essere determinanti nell’implementazione del potere contrattuale del cluster in oggetto. Pertanto, i salvati sono tali in quanto fuoriescono da una concezione negativa della flessibilità (precarietà, marginalità, instabilità lavorativa); per loro, la flessibilità è l’elemento costitutivo della propria espressività professionale che nei fatti si declina in strategie composite rivolte sia all’esterno (definendo incessantemente relazioni), sia all’interno (investendo nella formazione e nell’informazione del proprio ambito lavorativo). Un agire flessibile capace di governare l’imprevisto calmierando, altresì, il prezzo dell’insicurezza lavorativa: questi intervistati dichiarano che per loro è poco o per niente probabile vivere per un lungo periodo in gravi difficoltà economiche (81,1%); rimanere a lungo inoccupato (70,4%); infine, incapacità di adattarsi ai cambiamenti del mondo del lavoro (82,9%). Una vulnerabilità che viene mitigata perseguendo alcuni obiettivi futuri: ampliare la durata del contratto (13,8%) e comprare casa (21,4%). 8 Tab. 1 - I Salvati (29,9%) Media Media nel nel gruppo campione Variabili di struttura 31,8 23,6 35/39 anni 20,8 13,1 Coppia con figli 40,3 35,6 Nord ovest La condizione attuale 40,2 75,6 Modalità Variabile Fascia di età Tipologia nucleo familiare Ripartizione geografica 25,5 62,7 Ad alta professionalità No Mansioni svolte L’attuale condizione lavorativa è un ostacolo a quello che voleva fare 17,8 3,4 2,8 15,4 Possibilità di esprimere a pieno la mia professionalità Assenza di una programmazione Elevata pressione fiscale e contributiva L’assenza di una certificazione delle competenze Aspetti positivi del lavoro Rappresentazioni del lavoro 35,5 6,7 5,7 20,4 Risorse a disposizione 62,0 48,7 Si 34,1 19,5 Oltre il 10% del reddito Percezione del livello di sicurezza lavorativa 81,1 57,4 Poco/per niente probabile 70,4 82,9 27,2 63,4 Poco/per niente probabile Poco/per niente probabile Aspetti negativi del lavoro Partecipazione a corsi di formazione Quota di risparmio Vivere per un lungo periodo in grave difficoltà economica Rimanere a lungo inoccupato Incapacità di adattarsi ai cambiamenti del mondo del lavoro Strategie lavorative 78,6 46,7 51,3 26,0 43,7 29,6 35,9 29,6 Opinioni, obiettivi e progetti futuri Costruire una rete di relazioni lavorative Investire nella formazione continua Rimanere informato sul mondo del lavoro Lavorare con più committenti 53,4 41,2 Poco d'accordo 13,8 21,4 7.9 15,1 Ampliare l’orizzonte temporale del contratto Comprare casa Tipo di strategia Affermazioni sul futuro: sono troppo immerso nei problemi quotidiani per pensare al futuro Obiettivi a breve termine Progetti di vita 3.2 I Sospesi Il secondo cluster di lavoratori flessibili (tab. 2) che è stato possibile individuare rappresenta il 27,6% del campione. Gli individui che compongono questo gruppo occupano una posizione intermedia: sono attori pienamente coinvolti nei processi contraddittori di flessibilizzazione del lavoro, in prevalenza Co.Co.Co. (66,8% a fronte di un quota campionaria del 57%). I sospesi nell’universo del lavoro flessibile, occupano una posizione relativamente privilegiata, poiché dispongono di una forma contrattuale che può anche abbracciare un arco temporale ampio. Nonostante ciò, sembrano vivere le contraddizioni dell’odierno mercato del lavoro: instabilità e discontinuità delle prestazioni, scarsa normazione del settore, e frammentarietà dell’impiego. In generale, la metà di questi intervistati (50,1%, +13,5% sul totale del campione) afferma che la condizione occupazionale ha rappresentato un ostacolo rispetto ai propri progetti: la perfetta spaccatura del gruppo introduce una caratteristica che qualifica fortemente il loro profilo. I sospesi 9 rappresentano il volto tipico e non ancora conciliato della flessibilità: all’interno di questo gruppo l’ambivalenza e la coesistenza di aspetti contraddittori, confermano la temporanea impasse di una soluzione che risolve tanti problemi almeno quanti ne produce. La flessibilità lascia sospesi tra un lavoro che oggi c’è e domani potrebbe non esserci. Stilandone un profilo socio-anagrafico, questi collaboratori sono giovani-adulti (il 32,6% a tra i 25 e i 29 anni), che vivono in famiglia (61,0%) e in un quarto dei casi (25,2%) risiedono nel Sud e nelle Isole. La loro rappresentazione della lavoro è ambivalente: costi e vantaggi del regime di produzione flessibile, sono percepiti con chiarezza. Rispetto alla professione, le possibilità di crescita e di evoluzione, date da un impiego di collaborazione, operano sia dal punto di vista delle motivazioni personali (uno stimolo per crescere professionalmente 17,2 %, +5,4%), sia per la dimensione interpersonale (possibilità di stabilire contatti sociali 12,3%, +4,8%). Le indiscutibili opportunità che offre il frequentare ambienti lavorativi differenti vengono considerate anche alla luce dei costi e delle problematicità. Infatti, essere dei collaboratori impone di conciliare tempi di vita e tempi di lavoro: non sempre il compromesso riesce. Questo aspetto viene considerato rilevante dal 10% degli appartenenti al gruppo (+3,9% rispetto al totale degli intervistati). Le difficoltà di una posizione lavorativa stimolante, ma instabile, vengono affrontate riservando una quota, per quanto limitata (inferiore al 5% annuo), di reddito al risparmio: strategia attuata dal 30% degli appartenenti al cluster (con un significativo scarto del +10,9% rispetto alla media del campione). Visto che l’assenza di una certificazione delle competenze acquisite viene indicata come una criticità significativa dal 21,8% dei sospesi, i problemi originati da un lavoro in cui occorre continuamente reinventarsi non sono sostenibili solo attraverso il risparmio, occorre quindi attivare la propria rete di sostegno informale (strategia perseguita dal 37,8% degli intervistati). Amicale o parentale che sia, avere una rete di sostegno assolve un’importante funzione. Le strategie individuali dei collaboratori dimostrano come, per questi intervistati, l’impiego “atipico” sia vissuto una come difficile opera di equilibrismo, sul filo teso della flessibilità: il cadere è una possibilità che va messa in conto: le opinioni rispetto alla propria sicurezza lavorativa si concentrano sulla probabilità (media) che situazioni negative, come la non disponibilità economica e l‘inoccupazione prolungata si verifichino. In particolare, la consapevolezza che la disoccupazione sia una situazione possibile, se non probabile, è alquanto sentita (58,1% contro 27,2%; più del doppio rispetto al campione, +30,8%); di conseguenza è normale che secondo i sospesi, i problemi 10 economici rappresentino una preoccupazione reale (35,9%). Questi timori sono fondati su un’analisi lucida dell’attuale momento economico. Tab. 2 - I Sospesi (27,6%) Media nel gruppo Variabili di struttura 32,6 61,0 25,2 La condizione attuale Media nel campione Modalità Variabile 29,4 56,1 18,1 25/29 anni In famiglia Sud ed isole Fascia di età Tipologia nucleo familiare Ripartizione geografica 57,0 36,6 Co.Co.Co Si Condizione occupazionale L’attuale condizione lavorativa è un ostacolo a quello che voleva fare 17,2 12,3 11,8 7,5 Aspetti positivi del lavoro 10,0 6,1 21,8 Risorse a disposizione 15,0 Uno stimolo per crescere professionalmente Possibilità di stabilire contatti con tanti ambienti professionali Difficoltà di conciliare i tempi di vita con quelli lavorativi L’assenza di una certificazione delle competenze 66,8 50,1 Rappresentazioni del lavoro 30,0 19,1 Inferiori al 5% del reddito 37,8 26,8 Si Percezione del livello di sicurezza lavorativa Aspetti negativi del lavoro Quota di risparmio Attivazione rete informale 35,9 21,8 Mediamente probabile Vivere per un lungo periodo in grave difficoltà economica Rimanere a lungo inoccupato Incapacità di adattarsi ai cambiamenti del mondo del lavoro Impossibilità di ricevere una pensione adeguata Mancanza di tempo libero da dedicare agli affetti e alla cura dei familiari 58,1 42,3 27,2 21,9 Mediamente probabile Mediamente probabile 72,6 63,7 Molto/Abbastanza probabile 45,9 33,5 Mediamente probabile 36,6 Rendersi disponibile ad ogni richiesta del datore di lavoro Strategie lavorative 57,5 Tipo di strategia Opinioni, obiettivi e progetti futuri 29,5 21,0 Abbastanza d’accordo 54,9 40,4 Abbastanza d’accordo 23,5 17,2 Fare rinnovare il contratto Affermazioni sul futuro: sono troppo immerso nei problemi quotidiani per pensare al futuro Affermazioni sul futuro: fare esperienze interessanti nel presente è per me più importante che pianificare il futuro Obiettivi a breve termine L’altra faccia della flessibilità, è la rapida obsolescenza delle competenze e delle conoscenze: la corsa al ricambio e all’aggiornamento delle professionalità, secondo i nostri intervistati, avverrà sulle spalle di chi a questi cambiamenti si deve adattare. Il 42,3% pensa sia ragionevole aspettarsi che a un certo punto della propria vita professionale non ci sarà più bisogno di loro. Per il 57,5% (con un eloquente +20,9% rispetto al campione) una strategia a breve termine è accettare qualsiasi genere di richiesta dal proprio datore di lavoro, atteggiamento quest’ultimo, funzionale all’obiettivo di farsi rinnovare il contratto (priorità futura del 23,5% dei sospesi). 11 La continua rincorsa alla conferma del contratto richiede una gestione quasi quotidiana della propria condizione lavorativa. Tutto ciò, ovviamente, a scapito del proprio tempo libero e dei propri affetti che vengono visti a rischio di fagocitazione da parte degli affanni professionali: secondo il 45,9% del gruppo, contro un più contenuto 33,5% del campione (+12,4%). Essere sospesi sul filo teso della flessibilità, è un esercizio impegnativo che necessità attenzioni e cautele e che impegna gran parte delle energie dei lavoratori a scapito della progettualità per il futuro. Stare concentrati sul qui ed ora è una necessità: il 29,5% dei sospesi dichiara di essere troppo occupato con i problemi quotidiani per poter pensare al futuro. Tale ripiegamento sul presente, è confermato anche da un dato apparentemente in controtendenza; “fare esperienze interessanti nel presente” è importante per il 54,9% del cluster (nel totale del campione: 40,4%). Sfruttare il più possibile l’oggi, è l’atteggiamento che connota i sospesi, tanto più che il domani promette poco di buono: il 72,6 % dei sospesi è convinto di non riuscire a ricevere una pensione adeguata. 3.3 I Novizi Il profilo strutturale di questo gruppo consente di identificare gli individui in esso inseriti come appartenenti ad una ben determinata categoria (tab. 3): i giovanissimi; infatti il 33,8% ha tra i 20 e i 24 anni, vivono per lo più in famiglia (58,1%) e abitano in gran parte nel Nord Ovest (71,9%). Volendo chiarire sin dall’inizio il quadro, si potrebbe dire che i giovani alle prese con la flessibilità lavorativa non sembrano farsi tanti problemi, la prendono per quello che è: un’occasione tra le altre. La flessibilità spesso viene indicata come la porta d’ingresso nel mondo del lavoro, un approccio soft, preliminare ad impegni ben più consistenti. La flessibilità è perfettamente adeguata alle esigenze di persone che, oltre al lavoro, hanno altre priorità, come il coltivare relazioni interpersonali, finire gli studi, e presumibilmente anche divertirsi. Cosa rappresenta, dunque, per questi giovani il lavoro (flessibile)? Semplicemente, una parte della propria vita, spesso nemmeno la più importante. Difatti, per il 21,3% svolgono lavori saltuari (+6,5% rispetto al campione), a bassa professionalità nel 60,8% dei casi (a fronte di un equilibrato 48,4% totale) e cosa più significativa, per l’88,2% degli appartenenti al gruppo, la propria condizione lavorativa non rappresenta un ostacolo rispetto ai propri progetti. Il lavoro intermittente, per tempi ed impegno, consente loro di conciliare tempi di vita e tempi di lavoro (53,3%); i giovani, non pensando al futuro, ritengono dunque che il lavoro non possa intaccare il tempo da dedicare ad affetti ed interessi (81,2%, +43,2% rispetto al totale degli intervistati). 12 Tab. 3 - I Novizi (20,3%) Media nel gruppo Variabili di struttura 33,8 58,1 71,9 La condizione attuale Media nel campione Modalità Variabile 19,9 56,1 35,6 20/24 anni In famiglia Nord Ovest Fascia di età Tipologia nucleo familiare Ripartizione geografica 14,8 48,4 62,7 Svolgo lavori saltuari A bassa professionalità No Condizione occupazionale Mansioni svolte L’attuale condizione lavorativa è un ostacolo a quello che voleva fare 53,3 31,0 Aspetti positivi del lavoro 43,6 Risorse a disposizione 22,0 Possibilità di conciliare i tempi di vita con quelli lavorativi Discontinuità nei pagamenti 50,8 59,9 36,5 50,8 Nessuna No 21,3 60,8 88,2 Rappresentazioni del lavoro Quota di risparmio Partecipazione a corsi di formazione professionale Attivazione rete informale 56,5 36,7 No Percezione del livello di sicurezza lavorativa 74,5 57,4 Poco/per niente probabile 78,1 93,1 47,2 63,4 Poco/per niente probabile Poco/per niente probabile 43,2 22,1 Mediamente probabile 81,2 38,0 Poco/per niente probabile Aspetti negativi del lavoro Vivere per un lungo periodo in grave difficoltà economica Rimanere a lungo inoccupato Incapacità di adattarsi ai cambiamenti del mondo del lavoro Impossibilità di ricevere una pensione adeguata Mancanza di tempo libero da dedicare agli affetti e alla cura dei familiari Strategie lavorative Non significative ad un valor test inferiore a 2 Opinioni, obiettivi e progetti futuri 29,5 21,0 Abbastanza d’accordo 54,9 40,4 Abbastanza d’accordo 23,5 17,2 Fare rinnovare il contratto Affermazioni sul futuro: sono troppo immerso nei problemi quotidiani per pensare al futuro Affermazioni sul futuro: fare esperienze interessanti nel presente è per me più importante che pianificare il futuro Obiettivi a breve termine Impegnati come sono nel vivere la propria vita, i giovani dimostrano interesse per il rinnovo del contratto (23,5%) poiché esso è la condizione necessaria per perseguire un obiettivo per loro significativo: l’autonomia. Data la giovane età, si tratta di un’autonomia rispetto alla famiglia; il desiderio di emanciparsi è ostacolato solo dalla discontinuità nei pagamenti che rappresenta un problema per ben il 43,6% dei rappresentanti il cluster. L’emancipazione non sembra comunque percepita come un progetto a lunga scadenza: è un’autonomia per l’oggi, parziale e per lo più finanziaria. La saltuarietà dell’impiego, la discontinuità dei pagamenti, la non presenza di quote dedicate al risparmio (50,8% dei casi) non consentirebbero di certo un’uscita definitiva dalla famiglia d’origine: questo desiderio 13 d’autonomia, sembra più rispondere alla necessità di avere “qualche soldo in tasca”, piuttosto che di un concreto desiderio di fuoriuscita dal nucleo familiare. La percezione che in questo caso i giovani hanno del proprio impiego, è decisamente non problematica; essi non si sentono affatto esposti alle intolleranze del mercato flessibile: il 74,5% non pensa sia possibile vivere un periodo prolungato di ristrettezze economiche; il 78,1% non ritiene plausibile rimanere a lungo inoccupato (entrambe le posizioni ed, in particolare, la seconda hanno scarti robusti rispetto al totale +17,1 e + 30,9%). In buona sostanza questo 21,7% del campione ritiene che come ha trovato il lavoro attuale ne potrà trovare un altro. La sicurezza nelle proprie capacità di adattamento ai cambiamenti del mercato è pressoché completa (93,1%), al punto da non richiedere strategie lavorative significative. Il lavoro è per loro intercambiabile e quasi automatico: nel 59,9% dei casi non attivano risorse come la formazione, ne la rete di sostegno informale (il 56,5%). Vivendo in famiglia ed essendo in età giovane, queste reti sono attive autonomamente; solo che i giovani non ne sono probabilmente consapevoli poiché, date le prospettive di vita concentrate sul presente, non ne hanno bisogno. L’immagine che emerge da questi intervistati è che il futuro sia lontano, l’oggi è ben più importante: nonostante il presente sia problematico e nel 29,5% dei casi assorba gran parte dei loro interessi, rappresenta uno stimolo continuo a fare nuove esperienze (54,9% contro 40,4%). La leggerezza con cui viene affrontata la professione consente di affermare che la flessibilità professionale non sia un problema per questi giovani, dal momento che il lavoro in genere non ha ancora acquisito un ruolo centrale nella loro vita. Ciò non toglie che in termini di vulnerabilità sociale, questo gruppo rappresenti una quota sensibile di potenziali soggetti a rischio: per ora, fin quando il lavoro è saltuario e serve ad arrotondare le entrate, essere lavoratori flessibili ed intercambiabili non rappresenta un problema, in futuro, quando sentiranno la necessità di passare da un’autonomia di nome ad una di fatto, non è detto rimangano della stessa opinione. 3.4 I Sommersi Il viaggio nella flessibilità occupazionale, trova nei sommersi un punto di arrivo (tab. 4). Il gruppo dei sommersi è composto in prevalenza da giovani lavoratori (20/24 anni, 25,7% contro il 19,9% del campione) che vivono in famiglia (70,1% rispetto al 56,1% del totale) e residenti nel Sud ed Isole (33,1% nel gruppo, 18,1% nel campione). La condizione lavorativa attuale è percepita in modo penalizzante nella realizzazione del loro progetto 14 lavorativo (e di vita): infatti, i sommersi oscillano tra l’inattività lavorativa (11%) e l’impiego saltuario (33,7% nel cluster contro il 13,9% nel campione), svolgendo perlopiù mansioni a bassa professionalità (80,6%, con uno scarto positivo dal valore medio di 32,2 punti percentuali). La fragilità della condizione occupazionale dei sommersi, è acuita dalla carenza delle risorse a loro disposizione: non risparmiano (il 72,5% di loro) perché probabilmente non possono permettersi di risparmiare; e non partecipano a corsi di formazione (63,2%). Tab. 4 - I Sommersi (22,2%) Media Media nel nel gruppo campione Variabili di struttura 25,7 19,9 20/24 anni 70,1 56,1 In famiglia 33,1 18,1 Sud ed isole La condizione attuale 33,7 11,0 80,6 70,5 Modalità Variabile Fascia di età Tipologia nucleo familiare Ripartizione geografica 13,9 4,3 48,4 36,6 Svolgo lavori saltuari Attualmente non lavoro A bassa professionalità Si Condizione occupazionale 41,8 57,3 Risorse a disposizione 9,4 30,4 Non vedo aspetti positivi Instabilità del posto del lavoro Aspetti positivi del lavoro Aspetti negativi del lavoro 72,5 63,2 36,5 50,8 Nessuna No Quota di risparmio Partecipazione a corsi di formazione professionale Attivazione rete informale Mansioni svolte L’attuale condizione lavorativa è un ostacolo a quello che voleva fare Rappresentazioni del lavoro 38,3 25,6 Si Percezione del livello di sicurezza lavorativa 71,5 19.9 Molto/Abbastanza probabile Vivere per un lungo periodo in grave difficoltà economica Rimanere a lungo inoccupato Incapacità di adattarsi ai cambiamenti del mondo del lavoro Impossibilità di ricevere una pensione adeguata Mancanza di tempo libero da dedicare agli affetti e alla cura dei familiari 86,9 47,0 23,8 13,2 Molto/Abbastanza probabile Molto/Abbastanza probabile 90,9 63,8 Molto/Abbastanza probabile 36,0 26,4 Molto/Abbastanza probabile 53.2 21,4 Accettare qualsiasi mansione 58,8 26,6 Non porre problemi di natura contrattuale 50,9 35,6 43,0 17,6 Rendersi ad ogni richiesta del datore di lavoro sacrificando all’occorrenza il proprio tempo libero Lavorare a buon mercato Strategie lavorative Strategie lavorative Opinioni, obiettivi e progetti futuri 41,4 21,9 Abbastanza d’accordo 43,6 35,3 32,0 25,3 Aumentare la remunerazione Crearmi con il risparmio un piccolo patrimonio che mi dia sicurezza 15 Affermazioni sul futuro: sono troppo immerso nei problemi quotidiani per pensare al futuro Obiettivi a breve termine Progetti di vita più rilevanti La sopravvivenza di questi lavoratori è garantita dalla rete informale (parenti ed amici), che assume nel 38,3% dei casi una funzione di contenitore della marginalità occupazionale. Quello dei sommersi sembra essere un patto generazionale silenzioso al cui interno si agitano gli spettri dell’insicurezza lavorativa: inoccupazione prolungata (86,9%); incapacità di adattarsi ai cambiamenti del mondo del lavoro (47%); impossibilità di ricevere una pensione (90,9%), vivere in gravi difficoltà economiche (71,5%). Ciò si riverbera sulla rappresentazione della propria condizione lavorativa, in cui affiora un pessimismo diffuso (non vedo aspetti positivi nel mio lavoro, 41,8%), alimentato dall’instabilità dell’impiego (57,3% nel gruppo contro il 30,4% del campione). Da queste prime analisi, si delinea un tipo di flessibilità che nei fatti non è flessibile, poiché in questo caso le possibilità di scelta e di autodeterminazione dell’individuo sono limitate da uno stato permanente di bisogno che comporta un indebolimento nella forza contrattuale di questi lavoratori atipici. Accettare qualsiasi mansione (53,2%, +31,8% rispetto al campione); non porre problemi di natura contrattuale (58,8% contro il 26,6% nel totale); lavorare a buon mercato (43% rispetto al 17,6% dei rispondenti) e rendersi disponibile alle richieste del datore di lavoro sacrificando all’occorrenza il proprio tempo libero (50,9%, +15,3% dal totale), sono le strategie poste in essere dai sommersi per il mantenimento del posto di lavoro. In questa ottica, i lavoratori afferenti a tale gruppo sono preda di un mercato (quasi) sommerso in cui i diritti vengono sacrificati sull’altare di una fragile continuità lavorativa. In tal senso, i sommersi non guardano al futuro, presi dalla risoluzione dei problemi di un quotidiano incerto (41,4%); le loro prospettive, sono legate “al giorno per giorno” con l’obiettivo di incrementare il loro livello di benessere economico per poter così costituire un piccolo patrimonio che gli permetta di sentirsi più sicuri. 4. L’attualità del lavoro non standard: tra auto-imprenditorialità e reti di sostegno I salvati, unitamente ai sommersi, sono i due estremi della flessibilità. L’elevata professionalità e l’investimento nella formazione sembrano mettere i primi al riparo dalle repentine oscillazioni del mercato del lavoro; al contrario, i secondi, causa la bassa professionalità e la mancanza di risorse (formative, relazionali ed economiche), sono esposti alle ricadute della propria posizione lavorativa. Il gruppo dei sospesi ha una posizione in via di definizione: il rafforzamento del loro status è legato alla capacità che avranno di bilanciare i fattori di vulnerabilità conquistandosi una sicurezza che, ad oggi, 16 risulta essere provvisoria ed ancorata ad equilibri passeggeri. Sullo sfondo, una schiera di nuove leve (i novizi), forze produttive che ancora non sembrano essere consapevoli delle occasioni e delle problematicità che comporta un lavoro flessibile. Certamente, le tipologie analizzate non rappresentano quattro condizioni permanenti, quanto, piuttosto un tentativo di descrivere la varietà delle situazioni possibili attraverso un’istantanea che definisca quali siano le linee di congiunzione e mediazione tra condizione occupazionale e vulnerabilità sociale. Nel percorso delineato nelle pagine precedenti, si è fatto più volte riferimento alla dotazione di mezzi materiali e simbolici (reddito, quote di risparmio, formazione, relazioni): a partire dalla personale dotazione di risorse economiche, sociali e culturali di cui ogni individuo è possibile scalare i profili dei lavoratori “flessibili” lungo un continuum che ha come estremi l’autoimprenditorialità, e una forma, non tanto nascosta, di subordinazione. Su questo asse si sostanziano diverse definizioni di flessibilità: in particolare, la dotazione di capitale sociale relazionale14 diviene il fattore cruciale nel posizionamento degli individui su questo continuum. Infatti, la comunicazione, l’informazione e le relazioni professionali diventano elementi funzionali alla definizione delle singole strategie lavorative. Tali elementi integrano il bagaglio tradizionale di conoscenze istituzionalizzate, consentendo al lavoratore flessibile di definire percorsi occupazionali più o meno al riparo dalle perturbazioni di un lavoro intermittente. Sicché, la possibilità di investire nella formazione, l’esigenza di definire reti professionali dense, l’opportunità di essere continuamente aggiornati sui cambiamenti del mercato del lavoro, consente all’atipico, non solo di gettare le basi per una vita professionale “autonoma” sia nei rapporti di lavoro sia dai condizionamenti esterni, ma anche di essere più reattivo alle mutate esigenze del mercato del lavoro, precorrendo in altri termini il cambiamento, per non trovarsi in una situazione di “spiazzamento” lavorativo. Comunque volendo individuare un dato generale, è possibile affermare che il nesso tra vulnerabilità e flessibilità si concreta a livello individuale e dipende dalle capacità e dotazioni personali; in questo senso, la sovraesposizione cui è costretto il lavoratore evidenzia come dietro i processi di mutamento del lavoro comincino ad emergere linee di tensione cui gli individui debbono far fronte in prima persona, legando il mantenimento 14 Sul concetto di capitale sociale, definito come una risorsa per l’azione “che non è depositata né negli individui né in mezzi di produzione, (ma intrinseca) alla struttura delle relazioni tra due o più persone” cfr. Coleman, 1990, p. 302. 17 della propria posizione nello spazio sociale alla stabilità della propria centralità professionale. Allo stesso tempo, dall’analisi per gruppi è emerso che la contrapposizione tra chi vive la flessibilità come una prescrizione (il “flessibilizzato”) e chi al contrario vi aderisce liberamente (il “flessibile”), non è così netta. Nonostante, si sia evidenziato che il flexibility divide sia dipendente dal capitale materiale, culturale e relazionale (Bourdieu, 1979) di cui si dispone e che si è capaci di produrre; ogni biografia lavorativa si sviluppa nell’interazione tra fattori soggettivi (rappresentazioni del lavoro, percezione del livello di sicurezza lavorativa, progettualità professionale) e dimensioni contestuali (l’attivazione di reti professionali, di sostegno, comunicative). D’altro canto, altre ricerche sull’argomento focalizzano l’attenzione sul nesso individuo/contesto15. In particolare, in una recente indagine sui co.co.co. (Rizza, 2003), attraverso l’assunzione di un impianto teorico imperniato sul concetto di embeddedness, (Granovetter, 1991) evidenzia il ruolo giocato dal contesto socioculturale e dalle istituzioni nella definizione dei corsi lavorativi degli individui. Nello specifico, in base ad una serie di dimensioni connesse ai contenuti del rapporto di lavoro (ad esempio: grado di autonomia, professionale; livello di competenze richieste; effettiva libertà nell’auto-organizzazione della prestazione) l’autore circoscrive nella sua analisi tre diverse forme di collaborazione, che rimando a tre differenti tipologie d’intervistati: i collaboratori interni, che si contraddistinguono per una scarsa autonomia nella propria attività lavorativa e per un basso livello di formazione; i collaboratori specializzati, di contro, sono caratterizzati da profili professionali ad elevata formazione e da una limitata indipendenza nelle decisioni riguardanti l’organizzazione delle prestazioni lavorative; infine, i collaboratori autonomi, che oltre a distinguersi per un alto livello di formazione, godono anche di una reale autonomia sia nella gestione, programmazione del proprio lavoro che nella contrattazione con il committente dei propri compensi16. 15 In particolare segnaliamo di seguito due interessanti studi che adottano una prospettiva d’analisi centrata sul rapporto individuo/contesto. In un saggio del 2000, Bertolini analizza le diverse strategie occupazionali poste in essere dai co.co.co. al fine di approdare ad un lavoro stabile (Bertolini, 2000). Inoltre è interessante menzionare l’indagine di Magatti e Fullin, i quali hanno analizzato le principali traiettorie occupazionali tracciate dai soggetti intervistati in base alla combinazione di aspettative ed obiettivi professionali connessi alla propria condizione occupazionale (Magatti – Fullin, 2002). 16 È facile scorgere nella classificazione di Rizza delle analogie con i risultati della presente indagine, seppur con le dovute distinzioni: il collaboratore interno sembra molto prossimo, per condizione lavorativa e formativa, al sommerso da noi analizzato; cosi anche, nel gruppo dei sospesi si intravede la sagoma del collaboratore specializzato di Rizza, un lavoratore che assomma in sé sia alcuni tratti del collaboratore interno (dipendenza formale) sia altre caratteristiche del collaboratore autonomo (alta formazione); infine, il lavoratore salvato che affiora dalla nostra indagine, trova una evidente corrispondenza con la figura del collaboratore autonomo. 18 L’impatto di una condizione occupazionale instabile sulla vita privata degli individui, è quantificabile solo prendendo in considerazione anche la dimensione relazionale del lavoratore, i legami che egli intrattiene con l’ambiente in cui è inserito17. In tal senso, nei cluster dei sospesi e dei sommersi (ed in maniera implicita anche in quello dei novizi) si è evidenziato come l’intervento della famiglia di origine sia un espediente spesso necessario. In questo modo, la famiglia si ritrova ad essere il luogo in cui si tenta la mediazione tra discontinuità occupazionale e ripartizione dei carichi: in alcuni casi, i genitori continuano a mantenere dei figli che pur lavorando non possono permettersi di abbandonare il nucleo familiare d’origine (ne tanto meno di farsene uno proprio); l’equilibrio è tanto stabile quante sono le risorse (economiche, culturali e relazionali) a disposizione. In conclusione, l’intensificazione del ruolo di sostegno assolto dalla famiglia sembra seguire i ritmi di percorsi professionali irregolari o quantomeno poco lineari; ovviamente, l’intervento è legato all’intensità delle situazioni di crisi, ma rimane il fatto che il meccanismo di resistenza legato alla famiglia rappresenti un aggiustamento funzionale indotto dalle caratteristiche dell’odierno mercato del lavoro: una delle competenze tradizionali delle famiglie (il sostegno materiale dei figli) subisce una dilatazione (temporale) che se protratta riproduce legami di dipendenza che, teoricamente, il lavoro dovrebbe contribuire ad allentare. Allo stato attuale, il sostegno materiale (ma anche simbolico ed emotivo) della famiglia è un termine imprescindibile per lo sviluppo (anche parziale) di strategie di risposta alla precarietà lavorativa. 5. Il welfare alle prese con la flessibilità: alcune proposte Il fatto che le famiglie risultino essere il referente principale di chi lavora con forme contrattuali “a scadenza”, diviene anche uno dei nodi da sciogliere per lo stato sociale del futuro. A riguardo particolarmente significativa ci sembra la diagnosi di Gøsta Esping Andersen, secondo il quale: “la dipendenza dalla famiglia può in realtà infiacchire la ricerca del lavoro. Essa ritarda inoltre la conquista dell’indipendenza, la formazione di una nuova famiglia e le scelte di procreazione” (Esping Andersen, 2000, p. 266). La tesi appena proposta nella sua radicalità evidenzia il fatto che il ruolo di sostegno svolto dalla famiglia nei confronti dei propri congiunti non risolve, ma paradossalmente può concorrere ad 17 In un’altra ricerca (Bellentani – Borghi, 2002), si pone invece l’accento sulle relazioni lavorative (sia orizzontali che gerarchiche) all’interno delle quali emergono forme di solidarietà fra lavoratori. Al contrario in altri recenti lavori di ricerca sul tema del lavoro flessibile ci sembra che la dimensione contestuale del lavoratore sia posta sullo sfondo (Dall’Agata - Grazioli, 2001; Samek - Semenza, 2001; Briolini - Golini, 2003). 19 aggravare, la condizione di debolezza dei lavoratori atipici. Ragionando nei termini del futuro assetto del welfare state occorre, quindi, cominciare a prendere in considerazione questo genere di dinamiche, lasciando da parte l’idea che tale impasse possa essere superato riducendo o estendendo gli ambiti di intervento; a tal proposito, sempre secondo EspingAndersen, bisogna modificare il rapporto tra stato e mercato, e stato e famiglie, poichè “la familizzazione dei rischi sociali” - come, ad esempio, la disoccupazione - genera, anche se in maniera indiretta, ulteriori problemi. (Esping-Andersen, 2000, p. 277) Va da sé che tematizzare la flessibilità in un’ottica di riforma dello Stato sociale significa prendere atto di questi fenomeni emergenti e spostare il punto di vista sul quale sino ad oggi si sono edificati i sistemi di welfare per il lavoro: il destinatario finale non è più il lavoratore “astratto” (appartenente a specifici settori economici), ma un individuo con definite peculiarità, capacità e risorse, inserito in un determinato contesto (familiare, culturale e sociale). In prima analisi, tale spostamento implica la revisione del principio di parità che sottende la definizione degli strumenti di protezione sociale: occorre, cioè, passare dall’eguaglianza di trattamento, all’eguaglianza delle condizioni di partenza18, garantendo così all’individuo la possibilità di scegliere e portare a compimento il personale progetto di vita. Queste considerazioni divengono fondamentali se si vuole andare nella direzione di un mercato del lavoro “realmente” flessibile, poiché come sostiene Alain Supiot: “per essere efficiente, la flessibilità deve basarsi sulla sicurezza degli individui” (Supiot, 2003, p. 192). Su questo aspetto, studiosi, anche dal differente orientamento disciplinare, rimarcano la necessità di definire un quadro normativo che, oltre a prevedere politiche attive per l’impiego (favorendo l’“occupabilità” dei soggetti fuoriusciti dal mercato del lavoro), contempli anche una serie di misure “passive” di sostegno e redistribuzione del reddito, in assenza delle quali la flessibilità rimarrà una condizione rischiosa, difficilmente sopportabile dal singolo lavoratore19. Certamente, l’esigenza di misure passive atte a ripristinare una eguaglianza nelle condizioni di partenza dei singoli lavoratori deve concretizzarsi in un sistema di tutele che siano il più possibile personalizzate altrimenti si 18 In passato il diritto del lavoro era egualitario in senso orizzontale perché, come rileva bene Romagnoli, “fin dall’origine ha puntato sull’unificazione dei trattamenti minimi inderogabili in ambiti tendenzialmente omogenei” (Romagnoli, 1995, p. 201). Al contrario con l’individualizzazione del lavoro indotta dalla flessibilità c’è l’esigenza di un nuovo principio di parità. 19 Supiot ad esempio fa riferimento all’introduzione di “diritti sociali universali”, che siano fondamento irrinunciabile nella definizione delle politiche del lavoro (Supiot, 2003); Andrè Gorz, va ancora oltre, proponendo un “reddito di esistenza” come misura capace di contrastare fenomeni di emarginazione sociale (Gorz, 2003). 20 lascerebbe aperta la possibilità che il legame di dipendenza dell’individuo dal nucleo d’origine venga replicato a seconda delle diverse situazioni familiari. Sulla strada della determinazione di un welfare che risponda efficacemente ai diversi bisogni dei cittadini, è interessante una recente proposta delle ACLI. Nel “Manifesto per una flessibilità sostenibile” (ACLI, 2002) si prospetta l’introduzione di tre misure atte a fornire i lavoratori atipici di quelle “sicurezze” di cui parla Supiot: reddito minimo di garanzia; conto individuale di sicurezza sociale e rimodulazione degli ammortizzatori sociali. La prima misura (reddito minimo di garanzia) è finalizzata a ridurre la condizione di emarginazione sociale, a cui possono andare incontro i lavoratori atipici, attraverso la concessione temporanea di benefici economici, a quei cittadini che versano in una situazione di povertà. Accanto a tale strumento, vengono proposti una serie di programmi di attivazione per l’inserimento sociale e lavorativo dei soggetti interessati. Si tratta, pertanto, di un provvedimento a carattere universalistico che è collegato alla “prova dei mezzi” della famiglia del lavoratore flessibile e non20. La seconda misura (conto individuale di sicurezza sociale), è una forma di aiuto economico erogato a quei lavoratori precari, che rischiano di non raggiungere determinate soglie minime di retribuzione. L’attivazione di tale fondo, è posta in relazione all’istituzione di una serie di misure complementari, come: la dotazione di una somma annua fruibile dal lavoratore atipico qualora, attraverso l’attività lavorativa ed il reddito da disoccupazione, non raggiunga una soglia minima di reddito; la riforma dell’indennità di disoccupazione, con requisiti ridotti per i tempi di inattività tra un periodo e l’altro di lavoro21; l’integrazione della copertura assicurativa, per far maturare requisiti pensionistici accettabili. La terza misura (rimodulazione degli ammortizzatori sociali), poggia su logiche di tipo universalistiche, tali da trattare in modo uguale situazioni analoghe, a prescindere dunque da protezioni di categoria o di settore produttivo. Nello specifico, la riforma degli ammortizzatori sociali dovrà essere realizzata rispetto ad un duplice piano d’azione: 20 Per dare concreta attivazione a tale misura è necessario: (1) dimensionare i servizi sociali a livello territoriale; (2) dare efficacia all’azione dell’ente deputato all’accertamento e alla rilevazione delle capacità economiche, tramite la definizione di un soggetto istituzionale che abbia accesso alle diverse fonti informative, per verificare la posizione di chi usufruirà del reddito minimo di garanzia; infine, (3) la concessione della prestazione economica prevista, deve avvenire sulla base della costruzione di progetti individualizzati di inserimento sociale e lavorativo. 21 A fronte di un numero di giornate minime di lavoro, si otterrebbe una indennità di disoccupazione, pari alle giornate lavorate, entro la copertura massima dell’intero anno. 21 definire uno strumento che unifichi le prestazioni previste per la disoccupazione e la mobilità; unificare ed estendere i programmi di sostegno al reddito nelle ipotesi di difficoltà temporanea delle imprese (sospensione con diritto alla Cassa integrazione guadagni ordinaria) e nelle ipotesi di ristrutturazione e conversione delle medesime (Cassa integrazione guadagni straordinaria). A ben vedere, il reddito minimo di garanzia, il conto individuale di sicurezza sociale e la rimodulazione degli ammortizzatori sociali, sono misure che potrebbero garantire quelle certezze che ad oggi, per chi è in una situazione occupazionale flessibile, sono in relazione alle risorse e alla libera iniziativa del singolo. In sostanza, le tre proposte appena illustrate, poggiando su criteri universalistici e, allo stesso tempo, di valutazione delle situazioni specifiche del singolo lavoratore, potrebbero consentire di costruire corsi di vita armonici, calmierando i costi sociali di una vita lavorativa intermittente. In questo modo, le conclusioni a cui siamo pervenuti nel corso dell’analisi empirica potrebbero trovare una parziale smentita. 22 Riferimenti bibliografici: - - - Accornero A., Era il secolo del lavoro, Bologna, Il Mulino, 1997. ACLI, Un Manifesto per la flessibilità sostenibile, Roma, Editoriale Aesse, 2002. Barbier J. 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