Extrait de la publication

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Virgolette / 50
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Nels Anderson
IL VAGABONDO
Sociologia dell’uomo senza dimora
Introduzione di Raffaele Rauty
Traduzione di Caterina Dominijanni
DONZELLI EDITORE
Extrait de la publication
Titolo originale: The Hobo. The Sociology of the Homeless Man
© 1996, 1997, 2011 Donzelli editore, Roma
via Mentana 2b
INTERNET www.donzelli.it
E-MAIL [email protected]
ISBN 978-88-6036-590-3
Extrait de la publication
IL VAGABONDO
Indice
p.
XI
«Vagabondi» nella storia. La Scuola di Chicago
e la ricerca di Nels Anderson
Introduzione di Raffaele Rauty
LVII
LXXI
3
Bibliografia delle principali opere di Nels Anderson
e delle altre opere citate nell’Introduzione
Prefazione di Robert E. Park (1923)
Introduzione alla seconda edizione (1961)
I.
19
Hobohemia, la casa dell’uomo senza casa
I.
20
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22
23
25
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29
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
II.
29
32
33
36
39
41
43
45
Definizione di Hobohemia
Le giungle: l’uomo senza casa all’aperto
1.
2.
3.
4.
III.
Main stems
Il «mercato degli schiavi»
Luoghi di divertimento
Bughouse Square
Una «giungla» sul lungolago
Perché gli uomini vengono a Chicago
Definizione del problema in termini quantitativi
Collocazione e tipologia delle giungle
Le leggi della giungla
Un giorno nelle giungle
Il crogiolo dei vagabondi
Le camere d’affitto: l’uomo senza casa a casa
1. La flophouse
2. Ristoranti e sale da pranzo
3. Botteghe di abbigliamento e scambi di vestiario
V
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Anderson, Il vagabondo
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4.
5.
6.
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8.
9.
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IV.
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I.
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II.
93
III.
Lavori saltuari
Vendere per «tirare avanti»
Ciarlatani di strada
Truffe vecchie e nuove
Lavorarsi i parenti
Mendicanti in colletto bianco
Prestiti ed elemosina
Rubare
Jack Rolling
Tirare avanti d’inverno
Il gioco di tirare avanti
Tipologia dei vagabondi
Perché lasciano la loro casa?
1.
2.
3.
4.
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6.
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«Tirare avanti» a Hobohemia
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
II.
Banchi dei pegni
Cinema e spettacoli di varietà
Scuole per barbieri e barbieri
Librerie
Saloons e chioschi di bibite
Il problema dell’alloggio
Lavoro stagionale e disoccupazione
I disadattati dell’industria
Difetti della personalità
Problemi della vita privata
Discriminazioni di razza e nazionalità
Wanderlust
Una spiegazione complessa
Lo hobo e il tramp
1. Il lavoratore stagionale
2. Lo hobo
3. Il vagabondo
La guardia territoriale e il barbone
1.
2.
3.
4.
La guardia territoriale
Il barbone
Altri tipi di uomini senza dimora
I dati delle varie tipologie
VI
Indice
103 IV.
III.
117
I.
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Il lavoro
1.
2.
3.
4.
5.
6.
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114
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Il problema hobo
La salute
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
II.
La caccia al lavoro tra i lavoratori avventizi
Agenzie private di collocamento
Agenzie pubbliche di collocamento
Il carattere saltuario del lavoro
Un problema nazionale
Un centro di smistamento
Condizioni fisiche imperfette
La salute sul luogo di lavoro
La salute sullo stem
Infermità e malattie
Malattie veneree
Alcolismo e salute
Il problema della salute
La vita sessuale
1.
2.
3.
4.
5.
Il vagabondo e i rapporti con le donne
Lo hobo e la prostituzione
La perversione tra i vagabondi
La perversione e i giovani
I comportamenti dei pervertiti
137 III.
Lo hobo in quanto cittadino
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1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
IV.
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I.
Nascita, naturalizzazione, patriottismo
Lo hobo e il voto
L’uomo senza dimora e la legge
La polizia privata
Quello che il vagabondo pensa della polizia privata
Atteggiamenti della polizia privata
Le autorità civili e i vagabondi
Come lo hobo affronta il suo problema
Celebrità di Hobohemia
1. James Eads How, lo «hobo milionario»
2. Ben L. Reitman, il «re degli hobos»
VII
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Anderson, Il vagabondo
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3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
John X. Kelly, oratore di strada e attivista sindacale
Michael C. Walsh, organizzatore e attivista sindacale
Daniel Horsley, «professore» e libraio
A. W. Dragstedt, lo «hobo intellettuale»
Charles W. Langsman, sostenitore dell’amore
John Van de Water, l’amico di coloro che lo meritano
Il generale di brigata J. E. Atkins e gli alberghi
dell’Esercito della salvezza
10. Johnston Myers e il programma Immanuel
11. I Greenstein e il «Ristorante di Mamma»
12. La leadership degli hobos
161
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II.
La vita intellettuale dello hobo
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1. Lo scrittore hobo
2. Industrial Solidarity
3. Hobo News
173 III.
Canzoni e ballate dello hobo
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191
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1.
2.
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195 IV.
Il podio improvvisato e l’«open forum»
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1.
2.
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V.
Wanderlust
Poesie di protesta
Riflessioni e osservazioni sulla vita
Canti di lotta
Versi leggeri
Poesia e solidarietà
Comizi di strada a Hobohemia
Educare il proletariato
Un pomeriggio di discorsi dal podio improvvisato
Etica e tattiche del podio improvvisato
Versatilità
L’open forum
Il podio improvvisato e le opinioni degli hobos
Organizzazioni sociali e politiche
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
La Industrial workers of the world
Fascino della Iww
Chicago e la Iww
International brotherhood welfare association
Lo «Hobo College»
Cooperative di alloggi
Il ruolo di James How
La Migratory workers’ union
VIII
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216
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9.
10.
11.
12.
223 VI.
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229
229
232
Missioni e organizzazioni assistenziali
235
1.
2.
3.
4.
5.
6.
La United brotherhood of american laborers
Il Benevolent and protective order of ramblers
Movimenti cooperativi
Fallimento delle organizzazioni hobo
Tipi di missioni
Conversioni
Conversioni definitive, periodiche e temporanee
La fila per il pane davanti alle missioni
Organizzazioni di assistenza sociale
Lo homeless e la religione
Appendice. Documenti e materiali
IX
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IL VAGABONDO
«Vagabondi» nella storia.
La Scuola di Chicago e la ricerca di Nels Anderson
Introduzione di Raffaele Rauty
1. Un libro indimenticabile.
Il destino degli individui si lega spesso a episodi, vicende, occasioni,
la cui importanza si dilata nel tempo e travalica nettamente il peso attribuito inizialmente a quei fatti dagli stessi protagonisti. C’è chi, addirittura, finisce per sentirsi «perseguitato» da un determinato episodio o da
una particolare vicenda che condizionano, per così dire, il resto della
sua esistenza. È questo il caso di Nels Anderson, sociologo per consiglio più che per vocazione, figlio di immigrati di origine svedese, che
passa a Chicago, insieme con i suoi numerosi fratelli, alcuni anni cruciali della sua adolescenza e giovinezza, tra il 1906 e la prima guerra mondiale, facendo il vagabondo senza dimora – o, come si dice nel gergo di
quella comunità, lo hobo. Divenuto poi allievo del Dipartimento di Sociologia dell’Università di Chicago, Anderson redige, negli anni tra il
1922 e il 1923, una ricerca che resterà il suo libro più famoso. The Hobo
è in effetti, come scriverà lo stesso autore, «un libro che non mi è stato
mai concesso di dimenticare»1. Tutta la sua cospicua produzione successiva non gli varrà la fama e l’attenzione suscitata, anche a distanza di
molti anni, da questo primo lavoro.
In effetti, non solo dal punto di vista del Dipartimento di Chicago ma
anche da quello della produzione complessiva del suo autore, The Hobo
sembra il frutto di un’occasione e di un momento particolari, destinati a
modificarsi anche in relazione alla vita di Anderson, ma che fissano comunque una vicenda in maniera irrevocabile. Quando nel 1923 Anderson
termina il suo lavoro durato circa un anno e consegna a Park e Burgess il
manoscritto con la ricerca sugli hobos, certo non immagina di dare un
contributo sostanziale all’avvio dell’attività di ricerca del Dipartimento di
Sociologia e Antropologia dell’Università di Chicago in quel periodo degli anni venti che lo consegnerà alla storia della sociologia. La pubblica1
Anderson 1940, p. 1.
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Raffaele Rauty
zione del volume da parte della University of Chicago Press, nella Sociological Series, primo contributo di una collana di studi sulla realtà urbana,
segnerà in modo irreversibile il destino del libro, andando senza dubbio
molto al di là delle aspettative che erano state alla base della sua elaborazione. Esso sarà il primo studio, come scrive Park nella Prefazione, teso a
«descrivere i cambiamenti che hanno luogo nella vita della città e della
sua popolazione», e ad analizzare i problemi della città e le condizioni di
vita dei suoi abitanti alla luce di quei cambiamenti. Per questa ragione
Anderson cerca anzitutto di vedere lo hobo nel suo habitat, nell’ambiente
sociale che si è creato all’interno della comunità più vasta da cui è circondato ma rispetto alla quale è in gran parte un «estraneo»2.
The Hobo appartiene dunque a quella fase di ricerca del Dipartimento volta alla «scoperta di un modello fisico della città», dell’assetto, dell’«ordine» e del «controllo sociale» che la regolano, quali si sono venuti
determinando lungo i suoi cambiamenti e il suo sviluppo3. I sociologi di
Chicago hanno di fronte una metropoli dalle molte etnie, nella quale si
sono concentrati progressivamente fino al 1890 tedeschi, irlandesi e svedesi, con un mercato della forza lavoro che vede poi sommarsi l’arrivo di
polacchi, cecoslovacchi e italiani e che dal 1900 registra un incremento
della percentuale dei neri residenti4. Una città sviluppatasi a dismisura,
passata da circa 30 000 abitanti nel 1850 a più di 500 000 nel 1880, a
1 100 000 nel 1890, a 1 600 000 circa nel 1900 (quando i nativi di Chicago
sono ridotti al 21,7%) ed infine ai 2 700 000 del 1920, quando l’intera
area metropolitana contiene più di tre milioni e mezzo di abitanti5. Una
città centro commerciale, industriale, di cultura, incrocio di collegamenti
viari, ferroviari e marittimi, nella quale immaginario e realtà individuale
si sommano nell’angoscia e nella positività dell’esistenza.
Dal New York, dal Vermont, dal New Hampshire, dal Maine era giunta
una strana gente, seria, paziente, determinata, ignara perfino dei più elementari
principi di civiltà, affamata d’un qualcosa il cui significato, quando c’era, non
sapeva nemmeno immaginare. Uomini desiderosi di esser chiamati grandi, e decisi a esserlo senza nemmeno saper come […]. Una città i cui cittadini per nascita erano appena una manciata; una città rimpinzata fino alle mura di tutta la
schiuma d’un migliaio d’altre città. […] Tutti i sogni e la brutalità del giorno
sembravano raccolte per divertire (e divertivano) in questo recente miracolo di
vita metropolitana dell’Ovest.
Park 1961, cfr. in questo volume p. LXXII.
Park 1915.
Hauser - Kitagawa 1953.
5
Burgess - Newcombe 1931; Cressey 1938; U. S. Bureau of Census 1975.
2
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«Vagabondi» nella storia
Così Dreiser ci descrive con parole indimenticabili il senso della città
all’inizio del secolo6. In questa realtà il Dipartimento lavora, in collaborazione anche con il Council of Social Agencies (nato nel 1914 come centro di coordinamento della maggior parte delle agenzie urbane di assistenza sociale), alla individuazione delle differenze tra i quartieri e le periferie della città, degli insediamenti esistenti, delle dinamiche sociali in
atto. È un gruppo eterogeneo di agenzie quello che sostiene i progetti di
ricerca dei sociologi di Chicago (organizzazioni civiche e di assistenza
sociale, istituzioni finanziarie, associazioni per la lotta contro il crimine)7, in un rapporto per molti versi connesso con lo strutturarsi del potere, con il governo della città, con la dimensione del controllo, nel bisogno di «conoscere» in forma puntuale, anzitutto, l’organizzazione e la
disorganizzazione sociale. La lezione teorica ed empirica di Thomas,
raccolta nell’indagine sul contadino polacco, e lo studio dei processi della disorganizzazione sociale e della riorganizzazione ad essa connessa8
era ancora viva e fruttuosa anche dopo la sua espulsione dall’università
(1919) e rappresentava la prima eredità sostanziale in un Dipartimento
che si trovava di fronte, alla fine della guerra mondiale, anche una realtà
sociale complessa dal punto di vista degli stati d’animo. La costruzione
di «mappe» specifiche dei vari settori e delle varie zone di Chicago doveva perciò costituire lo strumento per passare da una conoscenza generica
ad una indagine più approfondita9 e fu adottato come vero e proprio
metodo in gran parte delle tesi di dottorato (Mowrer 1924; Reckless
1925; Cavan 1926; Thrasher 1926; Wirth 1926), tutte poi ritradotte, a distanza di più o meno tempo, in monografie, con titoli pressoché analoghi, pubblicate nella Sociological Series10.
Così, dopo la prima esperienza rappresentata dall’indagine di Johnson
sulla rivolta nera del 1919, svolta di fatto sotto la direzione di Park e
completata nel 192211, il Dipartimento tende a consolidare la propria presenza in forme continue e diffuse in quel «laboratorio nel quale studiare
la natura umana ed i processi sociali in modo conveniente e proficuo»12.
Esso fa diventare «metodo» di analisi il proprio processo di osservazione
di quella realtà e fa della continuità e della cumulabilità dell’indagine nella
Dreiser 1925, p. 15.
Carey 1975.
8
Thomas - Znaniecki 1918-20.
9
Burgess - Bogue 1964, p. 9.
10
Mowrer 1927; Thrasher 1927; Cavan 1928; Wirth 1928; Reckless 1933.
11
Chicago Comission 1922.
12
Park 1915, p. 612.
6
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Raffaele Rauty
città l’elemento realmente innovativo rispetto a quanto, in forma meno
articolata, era già stato realizzato in passato nel contesto urbano13.
La ricerca di Anderson è dunque, all’inizio di questa fase, un’occasione per il Dipartimento per allargare i propri obiettivi, con la collaborazione del Comitato dei senzacasa (costituito il 16 giugno 1922, a ricerca avviata) e del Consiglio delle agenzie sociali di Chicago che ne vogliono fare una base conoscitiva per l’analisi e l’intervento sul problema degli hobos. Un lavoro di questo tipo avrebbe superato, tramite il carattere
«partecipato» della ricerca, l’approccio meramente statistico che aveva
caratterizzato sino ad allora l’attenzione al problema (ma Anderson acquisirà la consapevolezza del fatto che l’approccio della città al problema
ha avuto un carattere superficiale, tanto che la Municipal Lodging House, luogo dove alloggiare a poco prezzo, era stata chiusa nel 1918 e non
più riaperta, nonostante fossero trascorsi inverni molto rigidi).
In questo senso l’indagine di Anderson, per il cui svolgimento vengono trovati 300 dollari grazie al contributo di Ben Reitman14, faceva
parte della fase di decollo del Dipartimento. Essa, come ricorda Burgess,
fu pubblicata verso la fine di quel periodo «con pochi fondi», ma le difficoltà di finanziamento sarebbero state superate in quello stesso 1923
grazie a un contributo di 21 000 dollari, ricevuto dall’Università di Chicago dal Social Science Research Council, e la conseguente costituzione
della Laura Spellman Rockefeller Foundation, cui facevano capo la
School of Social Service ed i Dipartimenti di economia, scienza politica e
sociologia: quest’ultimo fu il primo a beneficiare di tali fondi per le pro13
Oberschall 1972, p. 238. Proprio rispetto alla proclamata analisi urbana svolta all’interno del Dipartimento di sociologia di Chicago, sono stati invece evidenziati i limiti quantitativi della ricerca svolta dagli studenti di Chicago nella loro attenzione alle strutture pubbliche
della città: «Delle 221 tesi di M. A. e Ph. D. discusse tra il 1915 ed il 1931 solo cinque possono,
ad una attenta considerazione, essere considerate come rivolte agli assetti pubblici della città:
Hayner Norman, The Sociology of Hotel Life, 1923; Anderson Nels, The Hobo, 1925; Cressey Paul G., The Closed Dance Hall in Chicago, 1929; Russell Daniel, The Roadhouse: A
Study of Commercialized Amusements in the Environs of Chicago, 1931; Weinberg Kirson S.,
A Study of Isolation Among Chicago Shelter-House Men, 1935» (Lofland 1983, p. 498).
14
Reitman, hobo ad 11 anni, aveva lavorato a Berlino, con Virchow, il primo grande studioso di sifilide, ed a Parigi, all’Istituto Pasteur. Aveva creato a Chicago la prima clinica municipale per la cura delle malattie veneree, aveva tenuto dibattiti all’Università di Chicago, alla
Northwestern, al Seminario McKormick di Teologia e altrove. Medico, molte volte a titolo
gratuito, di prostitute, definito il «re degli hobos», era sostenitore dello Hobo News, giornale
dello Hobo College, in Congress Street (Beck 1956, pp. 72-4). Era anche fondatore dello Hobo
College con James Eads How, un ricco laureato in medicina a Harvard che aveva scelto di non
esercitare la professione ma di dedicare la sua vita e la sua ricchezza alle classi disagiate. Notizie sulla lunga esperienza di Reitman a Chicago da prima dell’inizio del secolo e sul suo lavoro con gli hobos, nel ricordo di Herbert Blumer, sono in Lofland 1980. E infine è da tenere
presente la biografia di Reitman scritta da Bruns (1987).
XIV
Extrait de la publication
«Vagabondi» nella storia
prie ricerche15. Era l’inizio dell’intervento diretto e continuo della filantropia (di Rockefeller nel caso specifico) a sostegno non più soltanto della
istituzionalizzazione nell’insediamento universitario, ma anche della professionalizzazione delle scienze sociali e della sociologia in particolare16.
Oggetto del volume di Anderson sono gli hobos, i «vagabondi», gli
uomini senza dimora che popolano tre zone specifiche di Chicago costituenti Hobohemia. In quell’area gli hobos intrecciano le loro esistenze, «con una vita sociale specificamente loro propria, un gruppo di uomini molto differente dagli altri gruppi di lavoratori. Erano una società
con una cultura propria»17. Uomini che si sottraggono al senso di appartenenza moderno e all’organizzazione sociale, privi di famiglia e di
carriera, che coniugano la saltuarietà dei propri legami con i caratteri
della propria mobilità e del proprio lavoro. Uno studio «unico», ricorderà Park, «perché analizza il lavoratore occasionale nel suo habitat,
cioè in una regione della città nella quale i suoi interessi e i suoi costumi
si sono, per così dire, istituzionalizzati»18. Park sottolinea ripetutamente
la presenza, nella dimensione urbana, delle regioni morali, aree nelle
quali «gli impulsi vaganti e soppressi, le passioni e gli ideali si liberano
dell’ordine morale dominante»19. Una ricerca, perciò, interna alla descrizione dei caratteri della comunità urbana, emblematica nella rappresentazione di una di quelle «aree di isolamento» che «tendono a mantenere e, laddove esiste un pregiudizio razziale, a intensificare i legami di
intimità e la solidarietà dei gruppi locali e di vicinato»20. Un’indagine,
evidenziò ancora Park assolutizzando la propria valutazione, che investe la realtà di alcune di quelle aree sociali eterogenee che «non sono
riuscite a stare al passo con il progresso industriale», dunque di «quel
gruppo di rifiuti umani» che riempie con la propria presenza «le aree
dei bassifondi»21. In questa «sociologia dell’uomo senza dimora», se15
Nella riunione di primavera il Presidente dell’Università Ernest Burton annunciò che
l’Università aveva ricevuto una donazione di 21 000 dollari per compiere ricerche sperimentali «allo scopo di verificare la possibilità, per la ricerca sociale, di usare la città di Chicago
come laboratorio», donazione che stavano utilizzando per obiettivi di ricerca i Dipartimenti
di economia, scienza politica e sociologia, e rispetto alla quale Burton sperava che la cittadinanza potesse vedervi l’occasione per l’Università di Chicago «di servire la città e di contribuire alla creazione di una Chicago migliore» («American Journal of Sociology» 1923, p. 97).
16
Burgess - Bogue 1964, p. 6; Bulmer 1984; Rauty 1990.
17
Anderson 1940, p. 2.
18
Park 1929, p. 9.
19
Park 1915, p. 610.
20
Park, Burgess, McKenzie 1967, p. 12.
21
Ibid., p. 97.
XV
Extrait de la publication
Raffaele Rauty
condo il sottotitolo che lo stesso Park assegnò alla ricerca22, l’ossequio
alla legge ecologica dell’assetto urbano e del progresso naturale fondato
sulla competizione sembra far dimenticare a quella tradizione giornalistica di cui Park era esponente qualificato, non solo il carattere dell’analisi del giornalismo di denuncia sociale dei muckrakers ma anche la lezione realista, quanto meno circa la completezza dell’osservazione sociale ed il suo ruolo nel «diritto di interessarsi ai deboli […] ai fiacchi
[…] ai vinti che levano le braccia disperate»23, e infine quella dimensione
di denuncia sociale che aveva animato, dalla seconda metà del XIX secolo, una serie di indagini sulla condizione urbana, tra le quali spiccavano i lavori di Jacob Riis, quello della Addams e degli operatori della
Hull House e la ricerca di Paul Kellogg24.
Sembra in questo senso giusto quanto è stato rilevato a proposito di
Park, e cioè che egli, pur all’interno di una acuta sistematizzazione della
vita urbana, articolata nella individuazione dei «mondi sociali» in essa
presenti, restò ai margini di una corretta ed approfondita spiegazione
dei caratteri della società americana che si stava realizzando negli anni
venti25. L’interpretazione che Park ne diede era da un lato palesemente
«ottimista» nel suo legame con lo spirito evolutivo (e questo rappresenta un punto di contrasto oggettivo con i risultati delle ricerche che i
suoi allievi vennero compiendo); dall’altro «carente di una prospettiva
storica»26 in un modo che impediva di cogliere interamente le forze che
si muovevano all’interno delle dinamiche sociali ed economiche, che
potevano alla meglio essere descritte con un accurato senso giornalistico, ed infine anche, paradossalmente, venata di antiurbanesimo. Nella
sua battaglia per l’affermazione della scientificità del ruolo del sociologo, Park lottava contro la tendenza di buona parte dei suoi studenti a
vedere i social problems come un elemento da dover trattare politicamente o sul terreno della social reform. Questo rappresentava per lui un
venire meno al compito dello scienziato: «Nello sviluppare le tecniche
della sociologia – affermava – dobbiamo sfuggire tanto alla storia quanto all’applicazione pratica»27. Del resto la sociologia correva continuamente il pericolo, nel suo rapporto costante con la riforma sociale, di
trasformarsi in una disciplina che si opponeva alle molte D: drink,
Anderson 1981, p.18.
Verga 1881.
24
Riis 1890, Residents of Hull-House 1895, Kellogg 1910-14.
25
Smith 1988, p. 132.
26
Gouldner 1976, p. 138.
27
Citato da Raushenbush 1979, p. 97 (corsivo mio).
22
23
XVI
«Vagabondi» nella storia
drugs, disease, desertion, delinquency, disorganization (il bere, le droghe, le malattie, le condizioni di abbandono, la criminalità, la disorganizzazione), e che, come diceva Anderson, sembrava essere superata da
una ricerca che non aveva posto per le crociate, ma che tutt’al più si legava all’intervento sociale in vista di una trasformazione di queste
realtà28. Nel fare questo però vi era anche il rischio di non cogliere le radici e le direttrici determinanti dello sviluppo urbano e del comportamento sociale che ne poteva derivare, anche nelle sue forme «devianti».
È stato giustamente osservato che l’affidare il processo della trasformazione, e la disorganizzazione sociale conseguente, ad una dinamica «naturale», «contribuiva a depoliticizzare l’immagine dei social problems»
che ne derivavano29 e che finivano così per rimanere estranei ad ogni
processo storico, trovando la propria genesi solo a livello individuale.
Si pensi per esempio a come dalla città moderna di Park sembra essere escluso uno dei fondamenti stessi della modernità, il tempo urbano
connesso al potere, quel tempo in sintonia con il fordismo, sostanzialmente differente e contrapposto a quello rurale, strettamente interno ed
interrelato alla mobilità ed ai suoi caratteri, un tempo che scandisce in
modo diverso dal passato l’essere e l’identità degli uomini, il loro stare
ed il loro muoversi. Un tempo da cui si sentono estranei gli uomini di
Hobohemia, nel quale sono di fatto immersi e che pure in qualche modo contrastano tanto nel periodo in cui stanno nelle «giungle» quanto
con il loro desiderio di interrompere il carattere continuato del lavoro.
E non si deve dimenticare, per tornare al tema generale della città,
l’ambivalenza di fondo che unisce/contrappone il sentimento di molti
intellettuali americani, tra i quali Park, verso la grande realtà urbana30,
un sentimento che in qualche modo appartiene anche al Dipartimento
di Chicago. Ci si rende conto della irreversibilità della attuale dimensione urbana ma le si continuano a preferire i valori della piccola città31,
perché, sotto l’influenza dell’ambiente urbano, «è probabile la rottura
dei legami locali e l’indebolimento delle coercizioni e delle restrizioni
all’interno dei gruppi primari, largamente responsabili dell’incremento
del vizio e del crimine»32. Nella città si compie il processo della trasforCitato ibid., p. 96.
Pfohl 1985, p. 143.
30
White 1962.
31
Bramson 1961, p. 79.
32
Park 1915, p. 595. Il testo è stato ripubblicato, oltre che in White-Smith 1929, anche, con
lo stesso titolo ma con una serie di modifiche, e con la data di pubblicazione originaria sbagliata
(compare 1916 e non 1915), in Park 1952, pp. 13-52.
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XVII
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Raffaele Rauty
mazione moderna ma in essa si realizza anche, parallelamente all’alterarsi delle condizioni tradizionali dell’ordine e del controllo sociale, la
«corruzione» definitiva ed irreversibile di uno spirito americano che era
stato, e per buona parte restava, almeno nella propria coscienza, legato
alla realtà rurale e a quei valori comunitari.
2. Lo hobo nella società e nella cultura americana.
Ma gli hobos, nel loro spostarsi a piedi e su treni merci da una fattoria all’altra e da una comunità o da una città all’altra, coniugando ricerca
del lavoro e mobilità, non rappresentavano uno spaccato esistenziale
proprio solo della Chicago degli anni venti: diffusi fin dalla seconda
metà del XIX secolo, costituivano una realtà presente da decenni nella
società e nella cultura americana e nella storia del suo lavoro e del suo
sviluppo industriale. Una realtà ovviamente coessenziale e connaturata
a quello sviluppo e pure contemporaneamente in sempre maggiore contrasto, nella propria «arretratezza», nel proprio «preindustrialismo»,
con il progresso e l’assetto sociale che quello sviluppo, cui il loro lavoro
contribuiva, veniva determinando.
Così la figura degli homeless e il loro insediamento sociale erano stati
oggetto di analisi già prima del lavoro di Anderson. Tra gli altri, anche
prima del breve saggio di Jack London e dei suoi romanzi1, Josiah Flynt,
poliziotto itinerante, aveva, intorno alla fine del secolo, raccolto e steso
testimonianze sulla loro vita2, mentre anche qualche voce femminile
emergeva all’interno di un universo che sembrava presentarsi come unicamente maschile3. E poi c’era stato, nei primi anni del secolo, come ricorda anche Anderson, il lavoro molto dettagliato della Solenberger.
Ma la figura dello hobo descritta da Anderson evidenzia un tipo
specifico di «vagabondo» cui l’autore rivolge un’attenzione particolarmente positiva: «il vero hobo era il lavoratore in posizione provvisoria,
che, disposto ad andare dovunque per cogliere l’opportunità di un lavoro, era ugualmente disposto a lasciarlo in seguito. Il suo ruolo provvisorio era collegato alle due frontiere»4. A partire da questa definizione
Anderson differenzia lo hobo da altre figure sociali, pure interne a que1904.
Flynt 1899 e 1900.
Higgs 1906 e 1924; Lynn 1917.
4
Cfr., in questo volume, p. 11.
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XVIII
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«Vagabondi» nella storia
sta realtà marginale, dalle quali tende in qualche modo a prendere le distanze: sono le figure del tramp, del bum, dell’home guard, dello stagionale, tutti soggetti che fanno parte di un unico universo ma ne incarnano la sostanza in modo diverso. Pur condividendo in linea di massima
le definizioni date da Ben Reitman o da John Tucker, già presidente dell’«Hobo College», Anderson precisa che lo hobo è un lavoratore migrante, e ciò che lo distingue dagli altri homeless è «che preferisce lavori
fuori città»5. Un vagabondo (tramp) è un non-lavoratore migrante,
mentre l’home guard è colui che sempre più tende a divenire stanziale,
ad omologarsi alla maggioranza della popolazione. Un barbone (bum) è
un non-lavoratore stanziale, di solito ubriacone. Anderson accentua
cioè il senso della disponibilità, della volontà, della necessità di movimento che caratterizza lo hobo e che lo differenzia irrimediabilmente
dalle altre figure: in lui, si potrebbe dire, il senso della mobilità sembra
essere esistenzialmente connaturato. Alla radice di questi comportamenti orientati ad una continua mobilità stanno motivazioni eterogenee, spesso interagenti. In ogni caso «Hobohemia […] apparteneva ad
una varietà di tipi» dice Anderson, «ma lo hobo […] le ha dato delle caratteristiche irripetibili di cosmopolitismo»6.
Analizzato nella sua presenza a Chicago, in West Madison o in Bum
Park, lo hobo viene colto comunque in buona parte in un insediamento
esterno alla sua dinamica esistenziale integrale (il suo percorrere a piedi
le strade americane o il suo «saltare sui treni»), che riporta invece alla
mobilità, al viaggio verso o di ritorno dal lavoro, a quel suo essere «senza dimora» che lo colloca in una dimensione più ampia, non delimitabile alla realtà urbana. Lo hobo, che è paradossalmente un protagonista
esasperato di quella stessa mobilità che Park aveva riconosciuto come
uno degli elementi centrali della città e della modernità, che è partecipe
di stimoli molteplici, che appartiene ad una specifica «regione morale»7,
pure non ritiene di potersi confinare in quell’ambito: «Il muschio non
cresce sulle pietre che rotolano» proclama uno hobo, e solo lungo quel
rotolare c’è spazio per vivere, la sua mobilità è parte essenziale della sua
esistenza. Del resto, ricorda Anderson, «sullo scenario americano la
mobilità era obbligatoria, altrimenti la frontiera sarebbe ancora una distesa desolata»8.
Anderson 1983, p. 402.
Anderson, Introduzione, cfr., in questo volume, le pp. 12-3.
Park, Burgess, McKenzie, 1967, p. 38.
8
Anderson, Introduzione, cfr., in questo volume, le pp. 10-1.
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