TELEVISIONE di QUALITA`, come realizzarla
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TELEVISIONE di QUALITA`, come realizzarla
TELEVISIONE di QUALITA’, come realizzarla (nota di E. Giardino- forum DAC) Piero Angela - persona qualificata e stimata, che da anni opera in TV per la divulgazione scientifica con successo - ha diffuso un suo interessante scritto su un tema, spesso evocato ma poco indagato: La TV di qualità. Il suo scritto “pro-memoria sulla TV di qualità” è ricco di spunti e di proposte utili a tutti coloro che vogliano approfondire l’argomento con spirito libero e critico. Intendo qui commentare i temi e le soluzioni che Piero Angela propone. Egli parte da dati oggettivi ed allarmanti del censimento 1991 - oltre il 50% della popolazione italiana ha un’istruzione scolastica dalla 5° elementare in giù, 2 italiani su 3 hanno difficoltà a capire un testo - perchè c’è un gigantesco problema di conoscenza che la TV in primo luogo deve affrontare (dal momento che il 90% delle persone trae le sue conoscenze da questo mezzo). Sostiene poi che i programmi di qualità penalizzano l’ascolto TV, per cui il gestore - pubblico o privato - che li facesse sul serio, avrebbe un danno economico che non può permettersi. Ecco perché abbondano in TV programmi “spazzatura”, d’evasione stupida, di fiction deteriore, ecc. Ecco perché programmi di qualità vera non si trasmettono nel “prime time” della TV. Ecco perché il contratto di servizio RAI definisce come “TV di qualità “ film di bassa qualità (prevalentemente Statunitensi), telefilm violenti, programmi sexy ed altra immondizia che conosciamo. Non so se questa equazione sia del tutto fondata, lo stesso Angela ottiene e riporta dati di ascolto di sue trasmissioni che vanno in senso opposto. Vi è anche da considerare la truffa dell’Auditel, documentata in libri recenti (di R. Gisotti, di E. Giardino e di altri) e conferenze pubbliche, molto qualificate e documentate. Mi sento di dire che un’eventuale competizione pubblico-privato potrebbe avvenire ad un buon livello di qualità, invece che ad uno infimo. Se accade, non è affatto casuale, come sappiamo. Ma ammettiamo pure che l’equazione di Angela sia vera: più qualità in TV = minore audience ed entrate. La RAI per ogni punto di share in meno, perde 100 ML di lire (50 ml di euro). Basta questo dato per capire quanto può incidere la truffa dell’Auditel sulle risorse RAI, finto “competitore” di Mediaset. Qual è allora la soluzione strutturale a questo problema? Angela ne suggerisce alcune, che a me sembrano un po' deboli e macchinose. Quelli che Angela chiama “paradossi”, non sono tali: sono le conseguenze logiche e strutturali della mercificazione al ribasso della TV monopolistica di Berlusconi e di Murdock. Nel mio libro “Diritto a comunicare e sovranità popolare” ed. Frilli (2003) ed in altri documenti, il problema delle conoscenze di massa e della qualità dell’offerta radiotelevisiva viene affrontato alla radice, sulla base del DIRITTO universale e costituzionale a COMUNICARE, un diritto elementare - attivo e passivo insieme - finora negato, presupposto di ogni processo di conoscenza, formazione, informazione e comunicazione individuale e collettivo. Su questo diritto si basa ogni altro diritto civile e politico di “sovranità popolare “ reale – vale a dire cosciente e non pilotata. Ogni attività umana - materiale ed immateriale - è condizionata dal riconoscimento e dall’esercizio concreto di questo diritto universale inalienabile che vale per popoli, cittadini, utenti, lavoratori, ecc. Combinando quest’approccio costituzionale con l’economia e le tecniche della comunicazione e dei mass-media - come è inevitabile - si trovano subito soluzioni strutturali e razionali, non evadibili per un qualsiasi Paese evoluto. Soluzioni invece scomode per i monopolisti commerciali che hanno bisogno di propaganda politica e pubblicità per vendere la loro “merce avariata e costosa” ad un universo di persone soggiogate e parcellizzate (clienti). Persone soggiogate da ricatti, mancanza di tempo e di cultura (soprattutto politica e mediatica), mancanza di strumenti di decodifica e di comprensione della realtà, ecc. Facciamo qualche esempio, rinviando ai progetti DAC di riassetto del sistema comunicativo integrato (SIC) e dei suoi segmenti, di cui la radiodiffusione è parte rilevante (progetti TV.DAC e RAI.DAC). 1.Economia, qualità e quantità: I programmi TV di qualità, cioè qualificati, anche se diretti a tutti i cittadini costano: gli altri sarebbe bene non produrli e non trasmetterli. Ciò vale per qualsiasi programma. Le moderne tecniche digitali ed altri accorgimenti economici (es. scambi e coproduzioni ) possono abbassarne i costi, ma non azzerarli. Sono sempre i cittadini-utenti a pagare questi costi, con canoni, pubblicità, tempo d’ascolto. I normali prodotti commerciali debbono rispondere a determinate specifiche di etichetta: ciò deve valere a maggior ragione per i programmi TV che l’utente non può conoscere e selezionare “a monte”. Se si vuole qualità bisogna ridurre la quantità, a parità di risorse disponibili: è l’esatto contrario di quanto si sta facendo. A cosa servono 100 programmi spazzatura se ne posso vedere solo uno alla volta? 2.Offerta, diritti ed interessi dei cittadini paganti: Cosa serve ad un cittadino-utente che guarda la TV o ascolta la radio? Quali diritti ha, mentre paga tutto? La risposta è semplice ed ovvia, ma questa domanda non viene mai posta da alcuno. Perché viene assunto il punto di vista particolare dei gestori-monopolisti, non quello generale dei cittadiniutenti. L’offerta TV è riferibile a generi diversi, nonché ad ambiti territoriali diversi: mondiali, nazionali, regionali, locali. Varietà e complementarietà oraria sono ciò che serve a ciascuno di noi. Se ad esempio mi arrivano 10 programmi contemporanei diversi il mio interesse è ricevere il massimo di varietà e di complementarietà di generi, sui 4 livelli territoriali detti. Quindi notizie veritiere e complete provenienti da fonti significative, affidabili e dialettiche relative ai 4 livelli territoriali indicati. Le notizie non mi debbono provenire solo dal “palazzo” e da “fonti” di comodo, ma anche da associazioni e movimenti che lottano, agiscono e propongono cose nell’interesse generale. Programmi di divulgazione culturale, artistica e scientifica di buona qualità, riferiti ad ogni ambito dell’attività umana: sociale, politica, scientifica, artistica, tecnologica, economica, ecc. Programmi di spettacolo e fiction: film, telefilm, sport, documentari, satira politica, comici, teatrali, ecc. Programmi di approfondimento e di riflessione su problemi e fatti del mondo moderno, in cui compaiano “testimoni qualificati ed affidabili” riferiti al problema - non giornalisti, tuttologi, leader di partito e loro amici, invitati che organizzano teatrini di promozione personale. Se lo Stato impegna risorse collettive e pubbliche deve garantire qualità adeguate nei 4 generi citati. Infatti da questo grado di qualità/varietà dell’offerta derivano le CONOSCENZE di massa: nessuno Stato “decente” dovrebbe volere che tali conoscenze siano impedite, distorte o ribaltate. Anche il gestore più commerciale del mondo, che fa profitto economico e politico con la TV, non deve essere esentato da questi obblighi di qualità: essi sono diritti costituzionali dei cittadini-utenti. I gestori che ci forniscono questi programmi possono, e debbono, avere, per il principio del pluralismo, natura e status diversi, ma non debbono mai dare disvalori: “immondizia”, “falsità”, “ignoranza”, cretinismo, “violenza”, qualunquismo, illegalità, ecc. Questi sono gli imperativi che debbono valere per le comunicazioni di massa di matrice costituzionale. Un capitalista che vuole farsi propaganda personale o aziendale - quale che sia il mezzo usato - se la deve pagare con i suoi profitti d’impresa e l’utente deve sapere da chi arriva il messaggio e per quali finalità “propagandistiche-private”. Ciò non deve essere finanziato dai soldi dei consumatori e degli utenti. Questa non è più comunicazione di massa, ma comunicazione aziendale o personale privata. Le tecniche digitali e da satellite - come sappiamo - moltiplicano i canali trasmissivi disponibili: ciò consente di dare spazio e visibilità alla comunicazione aziendale privata, altra e diversa da quella di massa. Siamo agli antipodi della situazione descritta, come sappiamo e vediamo. 3.Garanzie di qualità dell’offerta stabilita in Concessione Ogni Stato deve volere che determinati generi siano presenti nell’offerta radiotelevisiva globale, in qualità e quantità. Esso ha gli strumenti per farlo: selezionare il GESTORE che vuole farlo, impegnarlo con un Atto di Concessione, consentirgli l’accesso a risorse adeguate alla finalità comunicativa stabilita. Questo implica una pianificazione delle finalità e degli obblighi comunicativi, quindi delle risorse. Seppoi l’offerta - almeno quella della RAI e delle emittenti “no profit” - venisse organizzata per aree tematiche (Ambiente, Lavoro, Scienza, Istituzioni, ecc.) vi sarebbe un riscontro diretto di qualità, a vari livelli. A livello istituzionale, da parte dei garanti della Concessione. A livello associativo, da parte di soggetti accreditati o affidabili nelle tematiche indicate. A livello utenza, con un giudizio di qualità e di gradimento dell’offerta e dei programmi. Ma l’indice di ascolto e di qualità di un programma deve essere riferito al genere: non è la stessa cosa valutare un evento spettacolare e un programma scientifico. Entrambi servono ai cittadini, ma non potranno mai avere lo stesso volume d’ascolto. La valutazione di qualità di un programma - lungi da essere una censura sui contenuti - è necessaria allo stesso gestore per migliorare la sua offerta e renderla più gradita e quindi più diffusa. Le prestazioni (oggettive) di un gestore - pubblico o privato - potrebbero essere premiate o penalizzate in termini di risorse, di ruolo e di spazio occupato nel settore. Quindi le risorse complessive - danaro, frequenze, mezzi, operatori - di un sistema comunicativo e radiotelevisivo debbono essere considerate d’interesse e di natura pubblica e collettiva, a prescindere dallo status del gestore: pubblico, privato, comunitario o cooperativo. Uno scenario radiotelevisivo nazionale produttivo e qualificato (di qualità) Questi tre esempi bastano per capire dove potremmo arrivare, pur riconoscendo al privatocommerciale il suo margine di profitto economico (tanto più alto, quanto più è bravo a produrre a costi competitivi). Lo Stato - garante della Costituzione, dei diritti civili e politici, dell’economia nazionale - deve pianificare le risorse globali da destinare al sistema, stabilire le caratteristiche dell’offerta necessaria - per generi e per gestori - ai vari livelli territoriali. Definire standard di qualità minimi dei programmi e fare in modo che la ripartizione delle risorse (soldi, pubblicità, mezzi, persone) sia tale da garantire a ciascun gestore l’adempimento degli obblighi di Concessione. Gli Atti di Concessione vanno dunque articolati per gestori e per caratteristica dell’offerta. Così un gestore - pubblico o privato - potrebbe volere offrire tutti i 4 generi detti sopra: l’Atto di Concessione disciplinerà questa tipologia d’offerta, assicurando le risorse per garantirla. E’ questo il caso della RAI pubblica e di un gestore privato di rilievo nazionale ed internazionale. Un altro gestore potrebbe voler offrire un solo genere (es. sport) con una Concessione specifica. Tutto questo implica - come detto - una pianificazione della ripartizione degli obblighi e delle risorse. E’ anche pensabile una “modulazione “ degli obblighi tra gestori: massimi per gestori pubblici e “no profit”, minimi per gli altri. Incentivi e disincentivi - fiscali o d’altra natura, che lo stesso Angela propone- possono realizzare una tale modulazione. Il gestore pubblico non deve fare profitti, il privato si. Va anche detto che nel campo della comunicazione di massa - per motivi costituzionali - non si possono usare criteri “merceologici”, come per le fabbriche di scarpe o di detersivi. Vi sono poi fattori “discutibili “ che fanno lievitare i costi dei programmi, tra questi i “diritti d’autore” ed i “diritti di trasmissione ” di programmi spettacolari e sportivi. Per i diritti sportivi, i gestori che vogliano acquisirli e che hanno titolo per trasmettere lo sport, possono benissimo accordarsi in modo che i loro oneri siano “ragionevoli e ripartiti”, non speculativi e giocati al rialzo. Sappiamo invece che oggi la cosa va in modo opposto (asta speculativa). Per i “diritti d’autore” siamo ad una pratica arcaica ed inaccettabile. L’autore che consente che la sua opera sia diffusa in TV, deve essere pagato una sola volta: non deve essere pagato per l’eternità. Vale già per medici, architetti, ingegneri e simili. Una volta messa in rete, la sua opera diventa di dominio pubblico, anche per suo interesse, e può essere utilizzata - in tutto o in parte - da altri operatori e gestori. Questo sistema non penalizza alcun gestore. A turno, ciascuno paga quello che trasmette per la prima volta. Negare l’uso delle immagini ad un produttore indipendente, oppure costringerlo a pagare somme elevate, significa negare alla radice il diritto a comunicare dal quale siamo partiti. Al contrario l’uso degli archivi pubblici deve essere pressoché gratuito, e di basso costo se privati. Queste brevi note - riferite alla lettura del testo di Piero Angela - indicano come sia possibile uscire dalla disastrosa ed anticostituzionale situazione nella quale siamo oggi. Spiegano come sia possibile, necessario e giusto, riportare il sistema radiotelevisivo di massa ad uno standard di qualità accettabile in ciascuno dei generi che lo costituiscono e per qualsiasi gestore. Operando in questo modo si premia il lavoro qualificato, le professionalità e la produzione competitiva, con ritorni possibili per scambio o vendita di programmi a scala mondiale e nazionale. I programmi di qualità - di qualsiasi genere e di qualsiasi gestore - sono richiesti ed utili in ambiti diversissimi (scuole, Istituzioni, associazionismo, ecc.). Quindi hanno un valore culturale ed economico significativo. Al contrario, i programmi di bassa o infima qualità sono dannosi, non servono a nessuno, se non a chi vuole “modellare al ribasso” le menti e le sensibilità dei cittadiniutenti. Oggi sono lo Stato, i cittadini-utenti (canoni), i cittadini-consumatori (pubblicità), i cittadinicontribuenti (sussidi ) a finanziare questa “immondizia commerciale privata”. Non solo, essi stanno anche subendo un’omologazione al ribasso dei programmi e dei gestori migliori. Così è avvenuto per la RAI ed i suoi programmi; così avviene per i programmi “di qualità” dei gestori comunitari e “no profit”. Io credo che una quantità crescente di cittadini sia stufo dell’andazzo monopolistico attuale e quando avrà consapevolezza di poter “spegnere” imbonitori e propagandisti, comunque etichettati, lo farà. La ricerca e la selezione dei programmi migliori - nonostante tutto - è già cominciata: sta a noi stimolarla e rafforzarla nell’interesse del Paese. Il mio libro (citato) e l’opuscolo “Inganni elettronici: come difendersi dalla (dis)informazione pianificata”, vanno appunto in questa direzione. Roma 16 novembre 2004