Laura Seragnoli Dispense del corso aa 2001-2002
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Laura Seragnoli Dispense del corso aa 2001-2002
Laura Seragnoli il NEOLITICO Dispense del corso a.a. 2001-2002 1. il CONCETTO di NEOLITICO All’inizio del XIX secolo la periodizzazione della Preistoria si basava sul cosiddetto “sistema delle Tre Età”. Messo a punto dallo studioso danese Christian Thomsen 1, esso prevedeva una successione di tappe caratterizzate rispettivamente dall’uso della pietra, del bronzo e del ferro. Le scoperte dei decenni seguenti indussero l’archeologo britannico Sir John Lubbock a creare un’ulteriore suddivisione nell’ambito dell’età della Pietra. Nel suo saggio Prehistoric Times, del 1865, egli introdusse infatti per la prima volta i concetti di Paleolitico e di Neolitico2, caratterizzando le due epoche in termini essenzialmente tecnologici. Il Paleolitico risultò dunque essere il periodo della pietra scheggiata, in opposizione al Neolitico, durante il quale fu introdotta quella levigata. Questa divisione veniva avvalorata anche dai dati paleontologici, poiché il Paleolitico aveva conosciuto la diffusione di faune pleistoceniche poi estinte e, dunque, assenti nei complessi neolit ici. Dal punto di vista climatico il Neolitico si colloca infatti nell’etàolocen ica, durante il periodo Atlantico (secondo la suddivisione di BlyttSernander), cioè in un periodo di opt imum climatico, caratterizzato da un clima caldo e umido, dalla massima trasgressione marina e dalla diffusione di boschi di latifoglie (soprattutto del querceto misto). Successivamente, grazie all’opera dell’archeologo australiano V. Gordon Childe, fu possibile precisare meglio i caratteri del Neolitico e comprendere appieno la sua portata innovativa, non solo dal punto di vista tecnologico (es. introduzione della pietra levigata e della ceramica) ma, soprattutto, sul piano economico (transizione da un’economia parassitaria di caccia e raccolta a modalità di produzione del cibo) e sociale (processi di sedentarizzazione delle comunitàe di strat ificazione interna della società). Una volta riconosciuti i tratti distintivi del periodo, la riflessione si è spostata sulle modalità di diffusione di tali caratteri da uno o più centri genetici. Questo dibattito si inseriva nel contesto delle speculazioni teoriche che hanno caratterizzato il pensiero antropologico e archeologico del XX secolo e che si sono concentrate soprattutto sull’interpretazione dello sviluppo e della trasmissione culturale. Il sistema delle tre età fu utilizzato dal Thomsen a partire dal 1812 per la sist emazione e l’edizione delle collezioni archeologiche danesi del Museo Reale di Copenhagen e fu pubblicato nel 1836. 2 Il termine “Mesolitico” è invece di origine poco più recente e il suo uso sistematico risale all’inizio del XX secolo. Questo periodo andava a colmare la cesura tra Paleolitico e Neolitico che si era precedentemente ipotizzata. 1 2 Il Diffusionismo Con il termine “Diffusionismo” si indica l’atteggiamento di pensiero (molto diffuso in antropologia a partire dal XIX secolo e nella prima metàdel XX) secondo cui le varie tappe del progresso tecnologico e, in generale, i diversi tratti culturali, avrebbero avuto un solo luogo d’origine, da cui si sarebbero poi irradiati mediante scambi commerciali, contatti (di natura più o meno pacifica) e, soprat tutto, migrazioni di popoli. Al concetto di una “evoluzione” abbastanza continua delle culture (che partiva dal presupposto che tutta l’umanitàcondividesse un uguale potenziale innovativo), questo modello interpretativo contrapponeva quello della “introduzione” di tratti culturali originatisi in particolari centri genetici che, per quanto riguarda le culture pre- e protostoriche, erano solitamente individuati nel Vicino Oriente3. Il Diffusionismo, corroborato dagli studi etnografici e antropologici che nel frattempo venivano condotti tra popolazioni indigene dell’America, dell’Africa o dell’Oceania, fu talvolta spinto sino a posizioni molto radicali (“Iperdiffusionismo”), che vedevano un’unica origine addirittura per fenomeni molto distanti tra loro nel tempo e nello spazio (es. le piramidi egizie e gli edifici precolombiani dell’America Centrale), talaltra smorzato in posizioni più moderate (“diffusionismo modificato”). L’Iperdiffusionismo fu un atteggiamento di marca soprattutto germanica (tedesca e austriaca) e britannica: lo studioso australiano di origine inglese Sir Grafton Elliot Smith (1871-1937), che aveva soggiornato per poco meno di un decennio al Cairo come docente di anatomia, si era formato l’idea che all’origine del progresso del mondo antico si dovesse collocare la civiltàegizia dei Faraoni. Nelle sue pubblicazioni degli anni Dieci-Venti (The Migration of Early Cultures, 1915; The Ancient Egyptians and the Origins of Civilization, 1923; In the Beginning: the Origin of Civilization, 1928) egli partiva dal presupposto che l’inventiva dell’uomo e la cultura potessero attivarsi e nascere indipendentemente solo in circostanze del tutto particolari, quali erano quelle che, appunto, si erano verificate nell’Antico Egitto (ca. 6000 anni fa). In seguito all’avvento della navigazione, l’ondata civilizzatrice si sarebbe poi estesa da questa “culla” di civiltà ad altri territori, smorzando via via la sua portata innovativa. Questa visione così rigidamente dogmatica fu indicata come “Eliocentrismo” e adottata soprattutto nell’ambiente cattolico: al TRIGGER 1989. L’Autore mette in evidenza come il modello diffusionista trovasse terreno fertile nel clima scettico e conservatore dell’ultimo ventennio del XIX secolo, quando i problemi sociali ed economici, scaturiti in Europa occidentale dalla Rivoluzione Industriale, sembravano gettare pesanti ombre sul concetto stesso di progresso. 3 3 motto di ex Oriente lux, il concetto di una culla di civiltà orientale sembrava infatti proporre una visione del progresso umano in sintonia con la versione biblica4. Un’impostazione meno radicale era quella proposta a inizio secolo in area tedesca e austriaca: ideata da Friedrich Ratzel (18441904), elaborata dal suo allievo Leo Frobenius (1873-1938), verificata e applicata da Fritz Graebner (1877-1934) nei suoi studi condotti in Oceania5, la teoria dei Kulturkreise o delle “cerchie culturali” (dal tedesco Kultur = cultura e Kreis = cerchio, cerchia, ambito) ipotizzava che nel mondo antico fossero esistiti più centri genetici, da cui poi i singoli tratti culturali si sarebbero diffusi per migrazione come complesso unico. Il modello interpretativo diffusionista, con la sua ideologia etnocentrica, ebbe un notevole successo nel periodo tra le due guerre mondiali: negando l’esistenza di un potenziale di sviluppo culturale comune a tutti i popoli, di fatto sembrava legittimare il dominio da parte delle civiltàpiù “evolute” su quelle che ancora vivevano nella “barbarie” giustificando, per esempio, il colonialismo europeo di quegli anni. La crisi del Diffusionismo: acculturazione e assimilazione La scuola di pensiero diffusionista è stata messa in crisi nel secondo dopoguerra, soprattutto a partire dagli anni Cinquanta: ai concetti di “diffusione” e di “sostituzione” si cominciarono infatti a preferire quelli di “acculturazione” e “assimilazione”. Ciò avvenne sicuramente per riserve di natura ideologica, ma anche in concomitanza con la cosiddetta “rivoluzione radiocarbonica”. Il nuovo metodo di datazione, ideato da W. Libby nel 1948 e basato sul principio del decadimento dell’isotopo radioattivo 14C del carbonio, consentiva infatti di ottenere datazioni assolute che, in molti casi, smentivano o ridimensionavano la affermata precocità degli sviluppi tecnologici e culturali del Vicino Oriente rispetto a quelli dell’Europa. Nell’immediato dopoguerra (1948), lo studioso americano A. L. Kroeber, allievo di Franz Boas, che negli anni Trenta si era occupato dello studio di comunità di Indiani della California 6, definì come “acculturazione” i processi di cambiamento indotti in una cultura per influsso da parte di un’altra. Secondo questa prospettiva, se l’influsso è reciproco il risultato sarà quello di una progressiva som iSignificativo, a questo proposito, il titolo dell’opera del 1928 In the Beginning, che parafrasa il primo versetto del Genesi e del Vangelo di Giovanni. 5 F. GRAEBNER 1903, Kulturkreise and Kulturschicten in Ozeanien in „Zeitschrift für Ethnologie“, 37. 6 A. L. K ROEBER, Cultural and Natural Areas of Native North America, 1939. 4 4 glianza delle due culture; allorché invece tale processo risulti unidirezionale, esso porterà all’estinzione di una delle due culture, ass orbita dall’altra. Al concetto di una improvvisa sostituzione di una cultura da parte di un’altra, legata a episodi bellici o a vaste migrazioni, si veniva a sostituire l’idea di una trasformazione graduale e potenzialmente condivisa. A corroborare e a integrare questa teoria, di matrice prevalentemente nordamericana, sono giunti studi sui fenomeni di immigrazione recenti, come quello dei gruppi di immigranti europei che si trasferivano negli Stati Uniti a cavallo tra i due secoli e sui rapporti tra le minoranze etniche. Proprio in questo settore, negli anni Sessanta, Milton Gordon ha elaborato il concetto di “assimilazione”: t ale processo parte dalla acculturazione e segue una serie di stadi progressivi. Un individuo può dirsi pienamente “assimilato” quando è in grado di ottenere una certa posizione sociale, economica, politica e culturale nell’ambito della societàdominante. Viceversa egli sarà semplicemente “acculturato”, in quanto ha appreso il li nguaggio, le abitudini, i valori della cultura dominante, nell’ambito della quale non riesce comunque a raggiungere posizioni di prest igio. La “Rivoluzione Neolitica” Lo studio del Neolitico e, in particolare, quello della sua genesi costituiscono uno degli ambiti su cui si è maggiormente sviluppato il dibattito teorico sui concetti di cultura e di trasmissione culturale in termini di diffusione o di acculturazione. La prima storica sintesi sulla portata delle innovazioni (tecnologiche, economiche, sociali…) che accompagnarono la comparsa dei primi agricoltori si deve all’archeologo e teorico australiano V. Gordon Childe. Nato a Sidney nel 1892, professore di Archeologia a Edimburgo (1927-1946) e poi direttore dell’Institute of Archaeology dell’Università di Londra (dal 1947 sino a lla morte, avvenuta per suicidio quando si gettò da una scogliera nell’ottobre 1957), Gordon Childe si occupò della preistoria e protostoria europea, mettendo a fuoco gli apporti delle civiltà del Vicino Oriente e Vere Gordon Childe 5 del Mediterraneo che avrebbero fornito il loro contributo all’“alba” della civiltàeuropea 7. Nelle sue opere individuò almeno due grandi svolte nella storia dell’umanitàprima della Rivoluzione Industriale: la “rivoluzione neolitica”, basata sull’introduzione dell’agricoltura, e quella “urbana”, che vide la nascita della città. In una delle sue ultime opere (The Prehistory of European Society, 1957), interrogandosi sul perché le popolazioni europee di quattrocinquemila anni fa (cioè ai tempi della “rivoluzione urbana”) avessero raggiunto un livello tecnologico ed economico così elevato e così precoce rispetto ai Nativi del Nord America o agli aborigeni della Nuova Guinea, individuava le ragioni di questo maggiore sviluppo nella vicinanza dell’Europa all’Egitto e alla Mesopotamia. Scriveva infatti: «…è soltanto nella valle del Nilo e del delta del Tigri e dell’Eufrate che poteva esser realizzata l’organizzazione politica ed economica indispensabile alla nascita di un’industria metallurgica. È col sorgere di questa che, cinquemila anni or sono, fu mosso in realtà il primo passo verso quel “progresso” che ha reso il vecchio mondo così diverso dal nuovo. I barbari europei beneficiarono dei frutti di questa scoperta, ed uscirono dall’Età della Pietra»8. In alcune sue pubblicazioni precedenti, Gordon Childe, in sintonia con il “diffusionismo” allora dominante, aveva notevolmente enfatizzato il contributo orientale alla civilizzazione dell’Europa9; in seguito, tuttavia, influenzato anche dall’ideologia marxista, smorzò tali posizioni aderendo piuttosto al cosiddetto “diffusionismo modificato”. Questo respingeva come inverosimili i collegamenti a lunga distanza dei “diffusionisti eliocentrici” e, pur continuando ad asserire la precocitàdi alcune scoperte nel Vicino Oriente, acce ttava la possibilità di fenomeni di conv ergenza (cioè di invenzioni tra loro complet amente indipendenti, avvenute in aree diverse). Il progresso più evidente nel passaggio da Paleolitico e Mesolitico a Neolitico fu, secondo Gordon Childe, di natura economica: da un’economia di caccia e raccolta, cioè di tipo parassit ario/predatorio, si passò a un’economia imperniata sulla produzione organizzata del cibo, mediante coltivazione di alcune specie vegetali e addomesticamento di alcuni animali. Le comunità del primo Neolitico avrebbero ricercato una maggiore garanzia di sicurezza economica sottraendo le basi del loro sostentamento alimentare al capriccio della Natura e affidandosi a una collaborazione con V. GORDON C HILDE 1925 (6a ed. 1957), The Dawn of European Civilization. V. GORDON C HILDE, La Preistoria della società europea, Sansoni Editore, Firenze 1979 (traduzione di J. P. le Divelec), p. 5. 9 V. GORDON C HILDE 1925, The Dawn of European Civilization. Altre opere dello stesso Autore: New Light on the Most Ancient East (1929, 1954); What happened in History(1942). 7 8 6 quest’ultima, volta ad aumentare la produttivitàdelle piante co mmestibili e a favorire la riproduzione degli animali. Le nuove risorse alimentari e la loro relativa sicurezza avrebbero indotto un rapido incremento demografico che, mutatis mutandis, sarebbe paragonabile solo a quello verificatosi nell’Inghilterra della Rivoluzione Industriale. La prat ica dell’agricoltura avrebbe inoltre contribuito a “radicare” le comunità al territorio, favorendo la s edentarietà e la costruzione di grandi villaggi d estinati a ospitare comunitàpiuttosto consistenti. Il termine “rivoluzione” adottato da Gordon Childe, nell’evidenziare la carica straordinariamente innovativa e gravida di conseguenze del fenomeno, ne sottolineava la relativa rapidità di affermazione. Queste innovazioni avranno conseguenze la cui portata giustifica l’idea di una vera e propria “rivoluzione”, benché essa non si sia configurata come fenomeno improvviso e inaspettato ma, piuttosto, risulti elaborata durante una lunga fase preparat oria. Appare infatti sempre più evidente che le diverse innovazioni non comparvero simultaneamente ma, piuttosto, per stadi, in una evoluzione lenta e graduale. Per questo motivo, al concetto di una “rivoluzione neolitica” è a poco a poco subentrato quello di un lento processo di “Neolitizzazione”. «Nelle regioni di invenzione i diversi elementi del complesso neolit ico sono stati elaborati progressivamente, gli uni dopo gli altri, nel corso di un’evoluzione senza contrasti, che vede il naturale prolungarsi dei complessi culturali preesistenti. Al contrario, il termine “rivoluzione” può essere applicato legittimamente nelle regioni che non hanno partecipato a questo processo formativo, nelle quali il Neolitico è stato introdotto come un insieme globale, coerente e strutturato, rendendo talvolta quasi indistinguibili gli eventuali accenni di un’evoluzione locale verso i nuovi modi di vita»10. J. LECLERC E L. TARRÊTE 1991 (1988), Neolitico, in “Dizionario di Preistoria”, diretto da A. Leroi-Gourhan, Torino, Einaudi. 10 7 2. il NEOLITICO del VICINO ORIENTE Nella ricostruzione di Gordon Childe la “Rivoluzione Neolitica” avrebbe visto l’introduzione di una serie di innovazioni, tecnologiche e culturali, indicata spesso con l’espressione di “pacchetto neolit ico”: • selezione di piante locali a ciclo annuale sino a renderle domestiche, ricavando vari tipi di orzo, frumento e lino; • domesticazione di pecore, capre, bovini e suini; • predisposizione di arnesi per mietere; • allestimento di strutture per l’immagazzinamento del raccolto e per la sua trasformazione; • introduzione della ceramica; • relativa stabilitàdell’insediamento; • forme incipienti di stratificazione sociale. Secondo un modello interpretativo determinista, la maggiore complessità s ociale era letta come fenomeno conseguente la sedentarietà, a cquisita, a sua volta, grazie alla pratica della agricoltura. Gordon Childe intuì che l’epicentro della Rivoluzione Neolitica doveva essere localizzato nell’Asia sudoccidentale, in un’area favorita da particolari condizioni ambientali, che si estende dall’Iran alla Palestina, alla Turchia meridionale (la cosiddetta “Mezzaluna Fertile”); solo in un secondo momento le novità si sarebbero diffuse in Europa. 8 A riprova di questa interpretazione diffusionista veniva indicata una serie di fattori: • la mancanza di specie spontanee di frumento selvat ico, che potessero essere considerate antenate di quelle coltivate nel Neolitico, portava a escludere che la domesticazione dei vegetali fosse avvenuta in Europa11; • la loro presenza nell’area della Mezzaluna Fertile faceva supporre che la domesticazione dei cereali si fosse sviluppata per la prima volta nell’Asia sudoccidentale; • considerazioni analoghe venivano proposte per la domesticazione della capra/pecora12; • le più antiche attestazioni di pratiche agricole, risalenti al Preboreale e al Boreale (cioè a periodi in cui l’Europa era ancora caratterizzata dai complessi mesolitici) erano localizzate in Asia sudoccidentale (es. Gerico I e II); In assenza di pratiche di irrigazione, i terreni esaurivano presto il loro potenziale, costringendo così le prime comunitàdi contadini a forme di agricoltura mobile e alla continua ricerca di suoli vergini da dissodare. Proprio questo fattore avrebbe contribuito alla diffusione del Neolitico in aree diverse. Lo spostamento delle comunità non fu l’unico dei modelli invocati per spiegare l’origine dell’agricoltura in Europa, per la quale l’Autore non escluse l’ipotesi dell’adozione da parte di ex cacciatori/raccoglitori convertitisi a una forma economica più vantaggiosa13. Le ipotesi di Gordon Childe furono messe alla prova nel secondo dopoguerra mediante una serie di spedizioni e di ricerche multidisciplinari, che coinvolsero diverse aree della “Mezzaluna fertile”, dalle pendici dei Monti Zagros a quelle dei Monti Tauri, alla costa mediterranea: A queste conclusioni era giunto nel 1948 Robert J. Braidwood, dell’Oriental Institute di Chicago. Egli ipotizzò per la prima volta che le origini dell’agricoltura andassero ricercate nelle aree in cui esistevano forme selvatiche antenate delle specie coltivate (RENFREW & BAHN 1991, p. 242; BRAIDWOOD & HOWE, 1960). Solo nei Balcani meridionali esisterebbe un tipo di frumento selvatico spontaneo, antenato del Triticum monococcum, cioè del meno redditizio dei cereali, coltivato nel Neolitico solo in associazione con forme di qualità superiore (come il Triticum dicoccum e derivati, i cui antecedenti selvatici sono presenti solo nell’area della Mezzaluna fertile, insieme a monococcum e a orzo selvatico). 12 La distinzione tra i due generi (Ovis e Capra) sulla base dei soli resti scheletrici che si rinvengono nei livelli archeologici è molto difficile, se non impossibile: capra e pecora si differenziano infatti principalmente per il diverso numero di cromosomi, per le diverse ghiandole olfattive, per la presenza o assenza della “barbetta”. Per questo motivo si preferisce parlare genericamente di “capra/pecora” o di caprovini. 13 GORDON C HILDE 1957, op. cit. 11 9 R. J. Braidwood condusse le sue ricerche in Iraq, F. Hole in Iran, K. Kenyon e J. Perrot in Palestina, J. Cauvin e H. de Contenson in Siria e J. Mellart in Turchia. L’interesse per gli aspetti paleoeconomici favorì lo sviluppo di metodi di indagine sempre più sofisticati, che, per esempio, prevedevano la raccolta di resti organici (botanici e microfaunistici) mediante la flottazione14. Il sito pluristratificato di Qualat Jarmo, nel Nord dell’Iraq, fu indagato da Braidwood e da una équipe di vari specialisti (geomorfologi, palinologi, paleobotanici, archeozoologi etc.) e presto divenne uno dei principali punti di riferimento per la ricostruzione del clima, oltre che per lo studio della domesticazione delle specie vegetali e animali. Su un’area di 140 x 80 m si scavò un deposito dello spessore di 7 m, formato dai resti di sedici insediamenti successivi. Negli undici livelli più antichi si trovarono in media venticinque abitazioni per ogni fase, caratterizzate da una pianta rettangolare e da strutture infossate interpretabili come silos e focolari. L’assenza di suppellettili ceramiche permise di inquadrare tali livelli nel Neolitico cd. Preceramico15. Nel frattempo nell’area levantina (Libano, Siria, Israele, Giordania) venivano scoperti villaggi pre-agricoli della cultura “natufiana”16, che dimostravano come la sedentarietàavesse preced uto la coltivazione e l’allevamento, mentre gli scavi stratigrafici condotti da Kathleen Kenyon durante gli anni Cinquanta a Jericho (l’odierna Tell Sultan, nella valle del Giordano) confermavano l’esistenza di almeno due stadi neolitici caratterizzati da un’economia produttiva ma privi di ceramica (Neolitico Preceramico o PPN = Pre Pottery Neolithic)17. Ancora una volta si tratta di un sito pluristratificato, identificato alla base di un tell18, circostanza particolarmente propizia per la ricostruzione di una sequenza cronologica delle tappe che scandirono la comparsa del Neolitico. Lo studio delle sequenze stratigrafiche e le datazioni radiometriche, che si andavano ottenendo per i diversi livelli indagati in vari 14 Il procedimento della flottazione è finalizzato al recupero di resti organici di dimensioni molto piccole, che sfuggirebbero all’occhio dello scavatore. Esso consiste nel rimescolamento in acqua di campioni di sedimento: durante l’operazione i resti organici, grazie al loro basso peso specifico, galleggeranno sulla superficie dell’acqua e potranno così essere schiumati mediante un setaccio a trama più o meno fitta. 15 Cfr. infra. 16 Cfr. infra. 17 Cfr. infra. 18 Il termine “tell” in arabo indica una collina artificiale. Si tratta di rialzi di terreno di natura antropica (determinati cioè dall’uomo) caratteristici dell’Asia occidentale e dell’area balcanica, formatisi per la ripetuta sovrapposizione di livelli di abitato e dall’accumulo del materiale di scarico e di disfacimento delle abitazioni. 10 siti del Vicino Oriente, modificarono almeno in parte la ricostruzione di Gordon Childe: da un lato emergeva in modo sempre più chiaro come in alcune aree i diversi elementi del “pacchetto neolitico” fossero apparsi scaglionati gradualmente e non contemporaneamente; dall’altro si osservava come la sedentarietà avesse prec eduto di qualche millennio l’introduzione dell’agricoltura. Il quadro attuale mostra una situazione estremamente complessa, dalla quale emerge come per il Vicino Oriente sia opportuno parlare di un lento processo di Neolitizzazione, che probabilmente ha avuto più di un focolaio di origine19, mentre solo in aree in cui il Neolitico risulta essere un fenomeno di importazione si può parlare di una vera e propria “rivoluzione”, con adozione contemporanea di tutte le principali novitàpreviste dal “pacchetto”. Tra i vari elementi innovativi se ne sono di volta in volta selezionati alcuni, a cui è stato attribuito un particolare rilievo. Per alcuni st udiosi il carattere distintivo del Neolitico consisterebbe in una serie di cambiamenti sociali e ideologici, evidenziati da nuovi rituali, oggetti di culto e dall’architettura funeraria20. Altri hanno posto l’accento su caratteri tecnologici (es. comparsa di una nuova tecnologia nella lavorazione della pietra, introduzione della ceramica…). Per altri ancora si tratterebbe semplicemente di uno st adio evolutivo delle societàumane. Il carattere composito della definizione di Gordon Childe (accentuata diffusione culturale, vita sedentaria, domesticazione di piante e animali, introduzione della ceramica e della pietra levigata) la rende poco operativa; per questo motivo alcuni hanno preferit o utilizzare come principale parametro indicatore della Neolitizzazione il passaggio a un’economia di tipo agro-pastorale. Resta ancora irrisolta la questione in merito all’esistenza di uno o più focolai di origine per questi fenomeni: il corso del Medio e Alto Eufrate deve aver giocato un ruolo importante, dal momento che in questa regione si può osservare una evoluzione graduale e senza interruzioni dalla fase più antica del Neolitico Preceramico (PPN A) sino alla comparsa della ceramica mentre, come si vedrà, la situ azione nell’area palestinese presenta momenti di cesura che lasciano spazio alle ipotesi di una diffusione di taluni elementi a partire dalle terre del Nord21. 19 20 21 GUILAI NE 2000. C AUVIN 1994. GUILAINE 2000. 11 6000 7000 8000 9000 10000 11000 12000 BP PLEISTOCENE OLOCENE Oscillazione Dryas Optimum climatico di Allerød Recente Miglioramento climatico Freddo secco secco + - SEDENTARIETA’ MANIPOLAZIONE CEREALI LEGUMINOSE PASTORALISMO PPN B 12 PN B Neolitico Preceramico PN A PPN A Mesolitico PPN C NATUFIANO CERAMICA Neolitico ceramico e Secondo una recente sintesi il processo di neolitizzazione del Vicino Oriente può essere suddiviso in sei tappe22: PERIODI TAPPE della NEOLITIZZAZIONE 5 8500-7500 BP Comparsa della ceramica nella “Mezzaluna fertile”; culture aceramiche (PPN B finale) nelle zone desertiche; nomadismo agro-pastorale; diffusione verso il deserto e l’Europa (mediterranea e centrale). 4 7500-7000* 8500-8000 BP PPN B recente 3b 8200-7500* 9200-8500 BP PPN B medio 3a 8700-8200* 9500-8500 BP PPN B antico sull’Eufrate Nuove specie vegetali domestiche: frumento, orzo svestito, lino; aumento demografico generalizzato ; diffusione del Neolitico verso il litorale e l’Anatolia occidentale. architetture rettangolari standardizzate; cereali e leguminose domestiche ovunque; domesticazione di capra, montone, bue, porco; diffusione del PPN B verso il Levante meridionale. Case rettangolari, nuovo armamento; agricoltura predomestica; persistenza del PPN A nel Levante meridionale. 2b PPN A: Sultaniano, Aswadiano, Mureybe9500-8700* tiano 10000-9500 BP Grandi villaggi con capanne rotonde; prime strutture rettangolari sull’Eufrate; agricoltura predomestica sull’Eufrate (Mureybetiano); diffusione del Mureybetiano verso l’Anatolia sudorientale. 2a 10000-9500* 10200-10000 BP 1 12000-10000* 12200-10200 BP KHIAMIANO Prime punte di freccia; caccia-pesca-raccolta diversificate. NATUFIANO del LEVANTE Primi villaggi sedentari in fosse rotonde; strumentario microlitica; caccia-pesca-raccolta diversificate. * = a. C. calibrate 22 (da Aurenche et al. 1981) AURENCHE ET AL., 1981 ; HOURS ET AL., 1994. 13 Le tappe del processo di Neolitizzazione LA SEDENTARIETA’ il Natufiano (12.000-10.000 BC) La civiltàNatufiana 23, databile tra 12.000 e 10.000 a.C. ( 14C cal.), è una cultura mesolitica particolarmente evoluta che, per molti versi, preannuncia quella “Capsiana” che si svilupperàcirca 2000 anni dopo lungo le coste del Nord Africa. L’industria litica è caratterizzata da microliti geometrici tipicamente mesolitici (segmenti e triangoli), ricavati con la tecnica del microbulino e derivanti dal precedente Kebariano geometrico (localizzato tra Israele, Libano, Siria e Giordania). Rispetto ad altre culture del Mesolitico, quella Natufiana dell’area del Carmelo e della Galilea si caratterizza per la presenza di grandi villaggi di capanne rotonde o ovali, con piccoli muretti di sostegno e pavimento spesso lastricato (es. Aï n Mallaha in Israele, Abu Hureyra e Tell Mureybet in Siria, Rosh Zin, Rosh Horesha). Questo nuovo modo di vita, sedentario, deve essere risultato in qualche modo attraente perché popolazioni vicine si sforzassero di imitarlo, adattandolo a condizioni ambientali molto meno favorev oli rispetto a quelle mediterranee che lo avevano inizialmente permesso24. L’area è geograficamente e climaticamente disomogenea e la sedentarietànatufiana se mbra dettata da una particolare forma di adattamento all’ambiente. Non tutti i siti si prestavano a questa forma di insediamento che, di fatto, risulta limitata solo al Levante mediterraneo e, forse, alla sola Galilea e all’area del Carmelo. Nel Natufiano antico di Mallaha le abitazioni sono a pianta circolare o semicircolare (diam. 5÷7 m), seminterrate, molto ampie (circa 25 mq), allineate in modo regolare. Quelle di Hayonim risultano invece addossate le une alle altre in prossimitàdell’apertura di una gro t ta, secondo una planimetria “agglutinata”. Mallaha: la casa 131 (da Valla) Nel Natufiano recente di Mallaha le case sono più numerose e di ampiezza minore: la maggior parte di esse copre infatti meno di 10 23 24 Il Natufiano prende nome dal sito eponimo di Wadi Natuf, in Palestina. VALLA 2000 14 mq. Nelle case sono presenti fosse adibite a sepolture, focolari e mortai. Nella fase finale si accentua la tendenza a costruire capanne di dimensioni minori (7÷10 mq), che richiedevano un minor dispendio di risorse. Mallaha: le case 200-208 e 203 (da Valla) J. Cauvin, che ha scavato il sito di Tell Mureybet, ha potuto osservare che i villaggi sono ubicati nei punti di cerniera tra più territori, con risorse alimentari complementari. Essi prediligono inoltre grotte precedute da terrazzi e situate vicino a sorgenti (es. Mallaha, grot ta di Hayonim, El Ouad, Nahal Oren…)25. Nella zona inospitale del Negev si preferiva l’insediamento su alture, per sfruttare terreni più umidi (es. Erq el-Ahmar, Rosh Zin). In questi casi i siti sembrano tuttavia riflettere aggregazioni st agionali di gruppi costretti a disperdesi periodicamente per insufficienza delle risorse26. L’economia si basava prevalentemente sulla pesca, sulla raccolta di molluschi e crostacei, sulla caccia e sulla raccolta di cibi vegetali, tra cui semi di cereali selvatici e leguminose. Ci si è chiesto se i Natufiani non avessero iniziato ad addomest icare le gazzelle, una delle prede preferite nei grandi villaggi del Carmelo e della Galilea, e se non siano stati i primi coltivatori di cereali. Oggi la prospettiva è mutata e pare che i Natufiani non abbiano praticato una domesticazione delle gazzelle, ma, piuttosto, una caccia intensiva e forse eccessiva, che avrebbe poi provocato una degenerazione nelle popolazioni di questa specie. Accanto a resti di gazzelle si trovano quelli di daino, cervo, bue, capriolo, cinghiale, stambecco, onagro, volpe, coniglio e vari uccelli, forse cacciati mediante trappole. Migliaia di vertebre di pesce rinvenute a Mallaha ev idenziano il ruolo importante della pesca e la dieta natufiana prevedeva anche il consumo di tartarughe, serpenti, lucertole e molluschi. I resti faunistici mostrano dunque una economia predatoria orientata verso uno spettro di risorse quanto più vasto e vario possibile. Anche la pratica della frantumazione delle ossa per l’estrazione del midollo (che non è praticata presso le comunitàdi allevatori) depone a favore della caccia piuttosto che della domesticazione27. 25 26 27 HENRY 1988. VALLA 2000. L’unico caso provato di domesticazione è quello del cane (cfr. infra). 15 Le risorse vegetali non si conservano altrettanto bene nei livelli archeologici, ma erano verosimilmente ricercate con la stessa cura con cui si ricercavano quelle animali. Resti di vegetali carbonizzati sono stati recuperati in molti siti natufiani (Mureybet, Abu Hureyra, Hayonim etc. ): ad Abu Hureyra e a Mallaha sono documentati resti di mandorle e pistacchi, ad Hayonim alcuni legumi (lupini, lenticchie, piselli) e alcuni cereali (soprattutto grani d’orzo). Nel passato si è molto insistito sull’uso dei cereali da parte dei Natufiani. Prove indirette di un utilizzo intenso dei cereali erano ravvisate nella presenza di pezzi di selce con lustro (sickle gloss)28, dei cosiddetti “coltelli da mietitore”, di grandi mortai in basalto o in calcare e di macine piatte (es. a Nahal Oren, Hatula, Kebara, Beidha). Un altro indizio erano le fosse di Mallaha, interpretate come silos di stoccaggio, che avrebbero permesso di conservare i grani da un raccolto all’altro, assicurando così un certosurplus alimentare. Di fatto ora si sa che la maggior parte di queste fosse erano tombe o rifiutaie, ma una piccola fossa sulla terrazza di Hayonim, foderata di pezzi di calcare, poteva in effetti avere questa funzione. I resti vegetali rinvenuti nei siti natufiani conservano comunque la loro morfologia naturale e non si hanno prove né di domesticazione né di uno stoccaggio sistematico su vasta scala. I dati disponibili portano a concludere che i Natufiani si sono limitati a raccogliere ciò che la natura offriva loro spontaneamente, secondo modalità ancora di tipo predatorio. La pratica del t aglio con il falcetto, della caccia intensiva alla gazzella e dell’uccellagione, unite agli altri indizi presentati, indicano comunque che queste risorse spontanee erano sfruttate in modo più intenso e con una maggiore efficacia rispetto alle epoche precedenti. Caccia e raccolta comportavano ancora una certa mobilità, ma la presenza di villaggi strutturati depone a favore di una sedentarietà molto precoce e precede nte l’introduzione 29 dell’agricoltura . Con l’espressione sickle gloss (o “lustro”) si indica una particolare usura lucida (gloss) presente su alcune lame in selce che erano inserite nei falcetti (sickle) o nei coltelli da mietitura. Lo sfregamento ripetuto del margine tagliente della lama sugli steli dei cereali, ricchi di particelle silicee, determina infatti un’abrasione caratteristica dall’aspetto estremamente lucido (cfr. infra). 29 Tra le diverse prove della sedentarietà delle comunità natufiane vengono spesso citate le sepolture all’interno dei villaggi. Si è inoltre osservato come, delle due specie di topi che vivono ancora oggi nel Levante (Mus spicilegus e Mus musculus) quella selvatica (Mus spicilegus) evita le nicchie ecologiche disturbate dalla presenza dell’uomo, nelle quali prospera invece il Mus musculus. Basandosi sullo studio delle diverse dimensioni del molare inferiore delle due differenti specie, è stato possibile rilevare che dal Paleolitico antico sino al Natufiano in Israele esistono solo topi selvatici, mentre proprio dal Natufiano in poi compare il Mus musculus, che vive in una sorta di simbiosi con le comunità umane sedentarie. (Tchernov, in BAR YOSEF &VALLA 1991). La nicchia ecologica creata dall’uomo intorno ai suoi villaggi stabili avrebbe attirato anche piccole popolazioni di lupi, che avrebbero assunto caratteri parti28 16 Quello che in passato era stato interpretato anche da Gordon Childe come epifenomeno delle pratiche di produzione del cibo verrebbe dunque a costituire piuttosto uno dei presupposti che determinarono l’adozione di tali pratiche30. La sedentarietànon sarebbe dunque stata indotta dalla pratica della agricoltura (che farà il suo ingresso p iù tardi), ma dalla ricchezza di risorse animali e vegetali fornite dall’ambiente, a sua volta favorita dal rialzo della temperatura e dell’umidità. Una volta stabiliti, i villaggi hanno esercitato nelle loro vicinanze una pressione alimentare sulla natura, ogniqualvolta i “prelievi” hanno superato le capacitàdi rinnovamento dei territori. Secondo una ipotesi determinista le comunitàpreistoriche sare bbero state costrette a ricorrere sempre più spesso a cibi che si ricostituivano velocemente, per esempio i semi delle piante erbacee annuali e i legumi. Nell’arco di due millenni la parabola natufiana si esaurisce e i primi villaggi vengono abbandonati, compresi quelli nella regione del Carmelo e della Galilea. I gruppi neolitici non si insedieranno più nella zona mediterranea del Levante, ma al margine delle steppe, lungo il medio corso dell’Eufrate, nel bacino di Damasco e nella basse valle del Giordano31. colari. Vi sono prove della domesticazione del cane da parte dei Natufiani, e della sua introduzione non solo nei villaggi ma anche nelle tombe (per esempio a Mallaha). Il cane era dunque simbolicamente assimilato all’uomo (TCHERNOV & VALLA 1997). 30 C AMPS 1985, pp. 241 e ss. 31 VALLA 2000. 17 LA DOMESTICAZIONE delle PIANTE Anche la domesticazione delle piante, così come quella del bestiame, si configura come un processo di lunga durata, scandito da una serie di tappe. Alla fine dell’Ottocento, A. de Candolle individuò alcuni parametri utili ai fini dell’individuazione delle aree di origine delle specie domestiche. Secondo questo studioso, perché un sito potesse essere identificato come nucleo originario della domesticazione dov evano essere soddisfatte cinque condizioni: 1. esistenza, allo stato selvatico, delle specie progenitrici di quelle domestiche; 2. clima mite; 3. temperature elevate almeno per una parte dell’anno; 4. presenza di insediamenti umani; 5. insufficienza delle altre risorse alimentari (caccia, raccolta etc.). Sulla base di questi elementi l’interesse dei ricercatori si concentrò soprattutto su alcune aree geografiche e, anche alla luce degli studi più moderni, l’ipotesi di un’origine orientale dell’agricoltura è confermata: i resti più antichi che attestano la raccolta di cereali selvatici sono documentati nel Vicino Oriente, un’area caratterizzata da un clima particolarmente favorevole e da una grande abbondanza di risorse spontanee. Il sito di Ohalo II, in Galilea, ha restituito semi di frumento, orzo e lenticchie allo stato selvatico, risalenti alla fine del Paleolitico Superiore (ca. 20.000 a.C. in cronologia radiocarbonica calibrata)32. Come si è visto, una forte intensificazione nella raccolta dei resti spontanei si registra intorno a 12.500 a.C. (cal.), in concomitanza con il Natufiano. Molti siti di questa cultura hanno dato resti vegetali carbonizzati, altri invece hanno fornito indizi indiretti della loro raccolta, come lame di falcetto, macine etc. Macina e macinello KISLEV ET AL. 1992, Epipalaeolithic (19,000 BP) cereal and fruit diet at Ohalo II, Sea of Galilea, Israel, in “Review of Palaeobotany and Palynology, 73, pp. 161166. W ILLCOX 2000. 32 18 Come si è detto, un indizio a volte interpretato a favore di una raccolta intensiva di graminacee spontanee è la presenza di lame di selce che presentano una particolare usura lucida (“lustro” o sickle gloss), attribuita al taglio degli steli dei cereali, ricchi di particelle silicee (fit oliti)33. Al di làdella fossa foderata in calcare di Hay onim, non si hanno invece indizi sicuri in merito allo stoccaggio dei prodotti selvat ici all’interno di strutture sottoescavate (silos). Esempio di lama in selce con usura lucida lungo il margine sinistro (da Calani) Esempi di falcetti. Le lame litiche erano solitamente montate in serie e l’analisi della dislocazione e dell’ampiezza dell’usura lucida consente di ricostruire il tipo di immanicatura. (da Calani) I fitoliti sono corpi microscopici di silice, che formano lo scheletro di alcuni vegetali e che non si alterano durante la decomposizione della pianta. La formazione dei fitoliti è dovuta al fatto che la membrana delle cellule dei tessuti funzionali delle piante si impregna di composti silicei. È bene ricordare che attualmente il lustro presente sulle lame in selce non è più ritenuto un valido indicatore della pratica della raccolta dei cereali; prove sperimentali (ANDERSON 2000, p. 100) hanno infatti dimostrato che usure lucide, analoghe al cosiddetto sickle gloss, si possono produrre anche mediante attività di diverso tipo (lavorazione della pietra, dell’argilla, della pelle, etc.). 33 19 In seguito, in una fase compresa tra il 9500÷8000 a.C. (cal.), si verifica il lento passaggio dalla raccolta intensiva di cereali selvatici alla loro coltivazione e, probabilmente solo in seguito, alla loro domest icazione. Dalla mappa di distribuzione dei siti tra 9000 e 8500 si può vedere come essi siano situati lungo il cosiddetto “corridoio levantino” e come, a seconda della loro ubicazione e del clima, prediligano specie di cereali diverse. In alcune località è stato possibile recuperare resti di malerbe caratteristiche (avena, centaurea, papaveri etc.), che solitamente si sviCarta di distribuzione dei siti tra 9500 e luppano accanto a specie 8000 a.C. (cal.) con la percentuale di coltivate e in terreni preparapresenza dei diversi tipi di cereali (senza distinzione tra specie domestiche e selti; il fatto che siano associate vatiche) a specie morfologicamente (da Willcox, rielaborato) ancora selvatiche induce a ipotizzare che la coltivazione di queste abbia preceduto la loro domesticazione34. Il paleobotanico danese H. Helbaek, che ha studiato molti dei resti recuperati nel Vicino Oriente (es. Çatal Hüyük, Beidha, Tell - es Aswan, Hacilar…), ha operato una distinzione tra i concetti di colt ivazione e di domesticazione: con il termine “coltivazione” si intende infatti un’attivitàche (mediante preparazione del terreno, drena ggio, estirpazione delle malerbe etc.) altera l’ecologia nat urale, cercando di favorire la crescita di una o più specie, non necessariamente domestiche. Viceversa, la domesticazione consiste nella selezione di alcuni mutanti tra le specie selvatiche, che, mediante la coltivazione, vengono protetti in modo speciale affinché non soccombano per selezione naturale. La domesticazione è stata definita anche come “un processo che ricorre per coltivazione in popolazioni di piante selvatiche e seminate in origine con semi raccolti da piante selvatiche” 35. Ne consegue, dunque, che mentre una W ILLCOX 2000. G. C. HILLMAN & M. STUARD DAVIES 1992, Domestication rate in wild wheats and barley under primitive cultivation: preliminary results and archaeological implications of field measurments of selecion coefficient, in “Préhistoire de l’agricolture” (a c. di P. Anderson), monographie du C.R.A. n. 6, Paris, 1992, pp.113 e ss. 34 35 20 pianta coltivata non è necessariamente domestica, una pianta domesticata è necessariamente colt ivata. Questo processo arreca vantaggio a piante poco mutanti, che sono prive delle caratteristiche (soprattutto riproduttive) necessarie per la sopravvivenza allo stato selvatico e continua sino a quando i tipi mutanti non dominano nella popolazione e quelli selvatici non sono eliminati. Le specie domestiche divengono così dipendenti dall’intervento umano per la loro sopravvivenza. Il processo della domesticazione provoca dei cambiamenti nel genotipo di intere popolazioni di piante (o di animali) ed è stato al centro di un forte interesse scientifico già dal secolo scorso: risale infatti al 1868 il saggio del naturalista inglese Charles Darwin On The variation of animals and plants under domestication. 21 Differenze tra specie selvatiche e specie domestiche Come si è detto, la domesticazione induce alcune modifiche a livello di genotipo. I resti archeologici solitamente conservano tratti morfologici diagnostici, sulla base dei quali è possibile distinguere gli esemplari selvatici da quelli domestici. Esistono tuttavia specie in cui la morfologia della pianta non cambia in modo significativo (o comunque le modifiche non risultano apprezzabili sulla base dei resti che si conservano nei livelli archeologici). Solitamente la determinazione viene effettuata osservando le v ariazioni anatomiche su resti macrobotanici e risulta più semplice per i cereali, più complessa per i legumi. Anche lo studio dei fitolit i36 può fornire indicazioni utili: sembra infatti che quelli di alcune specie domestiche risultino presentare dimensioni maggiori rispetto agli antenati selvatici. Recentemente la ricerca dei caratteri domestici viene condotta anche mediante un approccio biomolecolare, attraverso lo studio del DNA. Gli studi sulle origini dell’agricoltura nel Vicino Oriente hanno messo in evidenza la domesticazione (più o meno contemporanea) di otto specie di piante, a partire da predecessori selvatici annuali autoimpollinanti: SELVATICO Triticum dicoccoides DOMESTICO Triticum turgidum subsp. Dicoccum Triticum boeoticum Triticum monococcum Hordeum spont aneum Hordeum vulgare Lens orientalis Lens culinaria Pisum humile Pisum sativum Cicer reticulatum Cicer arietinum Vicia ervilia Vicia sativa Linum bienne Linum usitatissimum Farro Farricello Orzo Lenticchia Pisello Cece Veccia Lino I fitoliti, derivanti dall’assorbimento di silice da parte della membrana cellulare, conservano l’impronta della cellula nella quale si sono formati e consentono di identificare famiglia e genere vegetale di appartenenza. 36 22 Secondo D. Zohary37 durante la domesticazione le 8 specie, comparate ai rispettivi progenitori, mostrano adattamenti paralleli che si possono così sintetizzare: • Mutamento nelle modalitàdi dispersione dei semi Si tratta della novitàpiù significativa e carica di co nseguenze: nelle specie selvatiche la dispersione dei semi avviene in momenti diversi e in modo irregolare, in modo tale da garantire il successo riproduttivo. Gli steli dei cereali selvatici presentano dunque un rachide fragile, che si spezza facilmente rilasciando i semi che vengono poi dispersi dagli agenti naturali; le leguminose selvatiche hanno baccelli deiscenti, cioè che tendono ad aprirsi spontaneamente, mentre il lino selvatico è caratterizzato da capsule che si rompono in modo automatico. Viceversa, le specie domestiche sono caratterizzate da rachide più robusto, baccelli non deiscenti e capsule che non si dividono. In questo modo, per esempio, le spighe ritengono i loro semi sino al momento della mietitura (fat to che si traduce, per il coltivatore, in un raccolto più abbondante). • Mutamento nella regolazione della germinazione La germinazione ritardata e irregolare è una strat egia di sopravvivenza essenziale per la maggior parte delle specie annuali. Nelle specie selvatiche si usano meccanismi di “seed dormancy” (“letargo del seme” o “inibizione della germinazione”) per diffondere la germinazione in un certo lasso di tempo. Nelle specie coltivate questi meccanismi si perdono e si va verso una germinazione rapida e regolare. • Mutamento nelle dimensioni del seme Nei legumi e nel lino coltivati si ha un netto aumento delle dimensioni dei semi, mentre nei cereali essi appaiono più rigonfi. • Mutamento del potenziale produttivo Nelle specie domestiche i fiori diventano molto fertili, aumentando le loro dimensioni o il numero di infiorescenze. • Sviluppo di forme relativamente rette o più robuste adattate alla monocoltura, con distribuzione uniforme delle file di semi. D. ZOHARY 1992, Domestication of the Neolithic Near Eastern crop assemblage, in “Préhistoire de l’Agricolture” (a cura di P. Anderson), monographie du CRA n. 6, Paris, 1992, pp. 81 e ss. 37 23 Confrontando tra loro nel dettaglio forme domestiche e selvat iche di cereali è possibile osservare una serie di caratteri che presentano variazioni significative: - nei cereali selvatici il rachide maturo (fragile) si disarticola nelle varie spighette che si autoimpiantano nel terreno. La disarticolazione avviene in modo graduale a partire dall’alto. Nelle forme domestiche, al contrario, il rachide (robusto) non riesce a segmentarsi da solo; - al contrario di quanto si osserva nelle forme domestiche, la spighetta dei cereali selvatici è dotata di caratteri che ne favoriscono l’impianto nel terreno: § spine lunghe e flessibili dotate di barbe retroverse; § glume a forma di freccia con barbe retroverse; § peluria retroversa sul rachide § cicatrice di disarticolazione liscia e smussata; - le spighette dei cereali domestici non sono sufficientemente protette dai predatori e stentano a riprodursi se impiantate in terreni non preparati. 24 (da Hillman & Stuart Davies) 25 (da Hillman & Stuart Davies) 26 Moderni studi di genetica dimostrano che questi sviluppi necessitano di poche mutazioni: perché si abbia uno sviluppo verso una maggiore ritenzione del seme, per esempio, è sufficiente la mutazione di un solo gene. Trattandosi di specie autoimpollinanti, la selezione ha effetto su mutazioni sia recessive che dominanti e bastano pochi anni dalla comparsa della mutazione perché si abbia una evidente modifica a livello di genotipo. È dunque molto probabile che lo sviluppo di quest i tratti sia da leggere come il risultato di una forma di selezione inconsapevole o automatica. Del resto, i mutanti dovevano essere piuttosto rari, non facilmente distinguibili dagli esemplari non mutanti e facile preda per gli uccelli. Solo quando la percentuale dei mutanti aumentò sensibilmente essi dovettero apparire più evidenti e solo allora sarà stata loro applicata una sel ezione volontaria38. Anche gli studi sperimentali di G. D. Hillman e di M. Stuart Davies39 hanno dimostrato come singoli fattori (come la modalitàe l’epoca di mietitura) siano sufficienti per operare selezioni inconsapevoli di individui dotati di particolari caratteristiche (per esempio di rachide robusto o di semi più gonfi). Dobbiamo quindi immaginare che i raccoglitori, privilegiando la raccolta di cereali a chicchi più rigonfi e a spiga ancora integra, abbiano effettuato una selezione inconsapevole di individui in cui già si erano manifestate queste mutazioni; in segu ito, seminando questi semi, avranno favorito la riproduzione di individui che presentavano questi caratteri vantaggiosi. L’introduzione della domesticazione nel Vicino Oriente Le più antiche evidenze di domesticazione dei vegetali provengono dal sito di Tell Abu Hureyra, lungo il medio corso dell’Eufrate, e da Tell-Aswad, nel bacino di Damasco40: in queste due localitàs ono stati recuperati semi di farro e di orzo, ma anche di malerbe che solitamente accompagnano le specie coltivate, datati in anni calendarici a 8500 BC ca. ( 14 C 7800 bc)41. HILLMAN & STUART DAVIES 1992. Anche Darwin era dell’avviso che la domesticazione dei vegetali fosse il frutto di una selezione inconsapevole. 39 HILLMAN & STUART D AVIES 1992. 40 Secondo certi Autori alcune circostanze sembrerebbero indicare la coltivazione dell’orzo nel sito di Netiv Hagdud (nella valle del Giordano) già a patire da 8700 a.C., tuttavia non si hanno prove sicure al riguardo (SMITH 1998). Recentemente, al convegno di Groningen del 1998, G. Hilllman ha segnalato la presenza di segale ad Abu Hureyra databile a 10.700 a.C. (cal.) che potrebbe essere di forma già domestica; si tratterebbe di un unicum in quanto gli altri cereali risultano in quel periodo ancora selvatici e forme di segale selvatica sono state identificate nei siti di Jerf el Ahmar e di Mureybet (Siria) per un periodo successivo (9500 a.C. cal., cfr. W ILLCOX 2000). 41 Queste date si riferiscono a esemplari già pienamente domestici. È comunque probabile che vi sia stato un periodo di pre-domesticazione. Non tutti i tipi di selezione privilegiano le forme a rachide resistente e questo si traduce in un ritardo nella domesticazione (HILLMAN & STUART DAVIES 1992). 38 27 Il tell di Abu Hureyra (Siria), occupato intensamente giàdal Mes olitico, è stato scavato a partire dai primi anni Settanta da Andrew Moore. La tecnica della flottazione ha permesso di recuperare un notevole assemblage di resti vegetali carbonizzati (studiati da Hillman), mentre con la setacciatura si sono raccolte decine di migliaia di frammenti di ossa identificabili. La lunga durata dell’occupazione del sito ha consentito di notare interessanti variazioni in senso diacronico. Si è così potuto osservare che, mentre i livelli mesolitici erano carat terizzati da vegetali esclusivamente selvatici, già a partire da quelli del Neolit ico Preceramico erano presenti cereali pienamente domesticati, accompagnati da piante infestanti caratteristiche. da Renfrew & Bahn 1991 L’introduzione delle prat iche agricole comportò una forte riduzione nello spettro delle risorse alimentari di origine vegetale, che da 150 passarono a 8 42. Lo studio dei resti animali ha invece messo in evidenza come, sia nei livelli epipaleolitici/mesolitici che in quelli del primo Neolitico, la fauna fosse dominata dalla gazzella (80% delle ossa recuperate). Dunque, nel periodo in cui fu introdotta la coltivazione di piante morfologicamente domestiche, la caccia giocava ancora un ruolo cruciale nell’economia del sito; è infatti solo nel corso del VII millennio che si registra una brusca inversione, con un declino delle gazzelle (20%) e un forte aumento della capra/pecora (80%). HILLMAN G. C., COLLEDGE S. M., HARRIS D. R. 1990, Plant-food economy during Epi-Palaeolithic period at Tell Abu Hureyra, Syria: Dietary diversity, seasonality and modes of exploitation, in “Foraging and Farming: The evolution of Plant Exploitation” (a cura di D. R. Harris & G. C. Hillman), Unwin Huyman, London. 42 28 Poco più recenti rispetto alle attestazioni di Abu Hureyra sono quelle di Jericho, a cui fanno seguito, a qualche secolo di distanza, quelle di Çayönü e di Ganj Dareh (cfr. tabella). È dunque possibile osservare che le tracce più antiche di domesticazione dei cereali sono concentrate nel cosiddetto “Corridoio Levantino”, che sembra costituire l’area della prima transizione all’agricoltura. Sito Regione Netiv Hagdud Valle del Giordano Abu Hureyra Medio Eufrate Aswad Bacino di Damasco Jericho Valle del Giordano Çayönü Mezzaluna fertile Ganj Dareh Monti Zagros (da Harlan 1995; Smith 1998) Data 8700 BC 8500 BC 8500 BC 8300 BC 8000 BC 8000 BC Pianta Orzo? Farro, orzo Farro, orzo Farro, orzo Farro Orzo Quest’area era caratterizzata da una grande abbondanza di piante selvat iche, che ben si prestavano alla domesticazione: tra queste, le piante erbacee con grani relativamente pesanti e voluminosi, la cui struttura genetica muta con facilità. L’orzo (diploide) è la pianta che presenta la struttura più favorevole per la domesticazione e anche il farro si modifica con facilitàin forme a stelo rob usto. (da Zohary & Hopf, rielaborata) 29 I primi agricoltori si sono dunque concentrati su piante che, come dimostrano anche i moderni studi genetici, potevano essere facilmente domesticate: le tre specie più significative sono il Triticum dicoccum, l’ Hordeum vulgare e il Trit icum monococcum , tuttavia la loro domesticazione è stata accompagnata dall’introduzione di almeno 5 piante addizionali (lenticchie, piselli, lino, veccia e ceci). • Triticum Dicoccum (farro) Se ne sono trovati vari semi nei livelli di abitazione di Tell Aswad, a 25 km a SE di Damasco. È interessante notare che negli stessi livelli non ci sono resti del progenitore selvatico (Triticum dicoccoides); il clima at tuale è infatti troppo arido per questa specie e probabilmente lo era anche 10.000 anni fa. È pertanto probabile che al momento della sua introduzione nel bacino di Damasco (non più tardi di 7800 bc), il farro fosse già stato pienamente domesticato altr ove. A partire dal 7500 bc (ca. 8800 BC cal.) si hanno resti anche da Tell Abu Hureyra (Siria nordorientale) e da un livello preceramico (PPN B) di Jericho. • Hordeum vulgare (orzo) Sembra comparire nei livelli del Neolitico Preceramico (PPN A) di Netiv Hagdud nella valle del Giordano (a Nord di Jericho) intorno a 7775 e a Gilgal tra 8000÷7800. Si tratta di attestazioni piuttosto controverse (cfr. supra): si sono recuperati semi e resti di internodi carbonizzati, che mostrano un frammento basale di un internodo superiore ancora attaccato. Si trattava dunque di orzo distico a rachide non fragile. Altri frammenti mostrano invece la tipica cicatrice di disarticolazione e coincidono morfologicamente con l’orzo spontaneo fragile (che ancora è presente nella zona allo stato selvatico). • Triticum monococcum Compare solo alla fine dell’ VIII millennio ed è documentato soprattutto nel VII. A Tell Aswad non ve ne sono tracce nei livelli della fase I, mentre è presente nella fase II, risalente al VII millennio. È documentato anche nei livelli PPN B di Jericho (7300-6500), lontano dall’area di diffusione del suo antecedente spontaneo, circostanza che fa propendere per una sua introduzione come forma già domestica. 30 • Lens culinaris (lenticchia) Introdotta a partire dal VII millennio bc, presenta dimensioni del seme (2,5÷3 mm) abbastanza simili a quelle della varietàspo ntanea ( Lens orient alis). A Yiftah’el in Israele si è scoperto un deposito di lenticchie (con 1.400.000 semi) in un livello del PPN B datato a 6800 bc. • Pisum sativum (pisello) Le prove della sua domesticazione sono solo indiret te, basate sulla texture del rivestimento del seme, che risulta ruvida nelle specie selvatiche e liscia in quelle coltivate. Piselli a rivestimento liscio provengono da Çayönü (6500 bc) e da Çatal Hüyük (5850÷5600 bc). • Linum usitatissimum (lino) È riconoscibile dal tipo selvatico per le maggiori dimensioni del seme. È attestato a Tell Ramad, in Siria tra 6250÷5950 bc e nella grotta di Nahal Hemar, presso il mar Morto, sono stati trovati resti di lino intrecciato in livelli del PPN B, datati alla seconda metàdel VII millennio. • Cicer arietinum (cece) Compare alquanto sporadicamente. A Jericho è documentato intorno a 6500 bc, lontano dall’area di diffusione della forma selvatica (che è endemica della Turchia sudorientale). • Vicia ervilia (veccia) Anche questa leguminosa compare raramente, ma si trova in vari siti del Neolitico aceramico della Turchia meridionale. Come si è visto, in molte aree l’assenza di progenitori selvatici induce a ipotizzare una provenienza alloctona per le specie domestiche coltivate. Questa interpretazione è particolarmente sostenuta da D. Zohary, che esclude che vi possano essere state successive domesticazioni di ciascuna specie, mentre è più probabile che si sia avuta una diffusione di forme domesticate giàes istenti43. ZOHARY D. 1996, The mode of domestication of the founder crops of Southwest Asia agriculture, in D. R. Harris, 00. 142-158. 43 31 LA DOMESTICAZIONE ANIMALE La domesticazione degli animali prevede un controllo umano sui loro meccanismi di accoppiamento e riproduzione, mediante la pratica di incroci; esistono tuttavia forme di controllo del gregge che non prevedono incroci selet tivi. A differenza di quanto accade per le specie vegetali, è piuttosto difficile indicare i cambiamenti fisici diagnostici indotti dalla domesticazione: la natura del record archeologico (che conserva generalmente solo ossi e denti) riduce molto le possibilità di analisi. Tra i vari parametri proposti vi sono le dimensioni dei denti e della mandibola, ma queste potrebbero riflettere la naturale variabilitàtra i ndividui e non risultare in alcun modo probanti. Alcuni studiosi hanno iniziato a studiare la microstruttura ossea esaminando sezioni sottili degli ossi: l’analisi di alcuni campioni, provenienti da siti della Turchia, ha mostrato come l’ampiezza delle lacune interne, cioè delle cavità che formano la struttura cellulare, fosse completamente differente tra specie selvatiche e specie domest iche. Una prova dell’interferenza da parte dell’uomo può essere vista nell’introduzione di animali domestici in aree in cui non vi sono forme indigene dei loro antenati selvatici. A complicare ulteriormente il quadro vi sono però fenomeni di rinselvatichimento dopo una prima domesticazione. Un altro indizio, spesso utilizzato in passato come indicatore di domesticazione, sarebbe costituito dall’alto tasso di individui giov ani nel record faunist ico. In realtàora è n oto che anche i predatori tendono a concentrarsi sugli individui più deboli, dunque non si può escludere che accumuli di resti faunistici di individui giovani o di sesso femminile sia dovuto all’opera di altri carnivori. La domesticazione degli animali prende sicuramente avvio da una millenaria promiscuitàtra u omo e prede e da forme di caccia sempre più selettive nei confronti di determinate specie e di individui scelti in base al sesso e all’età. A poco a poco, a una riprod uzione casuale, realizzata all’interno di gruppi vari mantenendo l’unità della specie, si sostituiscono degli incroci che gioc ano sulla circolazione di un pool genico ridotto per selezione dall’uomo, determinando così dei cambiamenti morfologici a lungo termine. Si tratta dunque di un fenomeno etologico prima ancora che economico. Dopo quella del cane da parte dei Natufiani, si afferma la domesticazione dei caprovini , dei bovini e dei suini. Resti di montone domestico sono attestati intorno al 7500 in una vasta area del Vicino Oriente, dalla costa (Ras Shamra) alle terre del corso superiore dell’Eufrate, ai margini della Mesopotamia. I focolai di domesticazione potrebbero essere stati vari e si hanno pro32 ve in questo senso per il nord dell’Afghanistan all’inizio dell’VIII millennio (grotta Köprük). La domesticazione dei caprini è attestata in Iran occidentale a Ganj Dareh a partire da 7800 a.C. e si hanno esempi anche in Palestina: a Jericho e a Beidha, ad Abu Hureyra sull’Eufrate Si è sempre ipotizzato che la domesticazione animale fosse apparsa più tardi rispetto a quella delle specie vegetali e che quella dei caprovini avesse preceduto quella del bue e del porco. Recenti scavi sull’isola di Cipro, condotti da J. Guilaine nel sito di Shillourokambos, mostrano invece un quadro differente: prima del Neolitico sull’isola non erano presenti forme che possano essere st ate progenitrici di quelle che saranno poi le principali specie domestiche. Nel sito neolitico di Shillourokambos si sono invece rinvenuti resti di porci, buoi, montoni, capre e daini. Sono stati inoltre portati alla luce resti di palizzate che, con ogni probabilità, devono essere interpretati come recinti per il bestiame. A quest’epoca (8200 ca.) solo i suini presentano giàuna morfologia domestica, i bovini hanno una taglia leggermente inferiore rispetto ai loro antecedenti selvatici, mentre capre e montoni sono ancora indistinguibili dal muflone e dalla capra selvatica. Tali osservazioni permettono di concludere che queste specie erano giàa llevate prima di aver raggiunto un carattere domestico morfologicamente evidente e che, probabilmente, il loro allev amento, che sull’isola è documentato a partire da 8200, deve essere stato ancor più precoce sulla terraferma e, presumibilmente, va collocato nella medesima fase in cui si iniziavano le prime pressioni selettive su cereali e leguminose. Il caso di Cipro sembra inoltre capovolgere la tradizionale visione secondo la quale la domesticazione dei caprovini avrebbe preceduto quella di ovini e suini44. 44 GUILAINE 2000. 33 Le diverse ipotesi sull’origine dell’agricoltura Come si è potuto osservare, la transizione dall’economia di caccia/raccolta verso le pratiche agricole comporta una serie di nuovi rapporti tra uomo, territorio, vegetazione e fauna. Nel 1989 D. R. Harris ha presentato un modello di transizione basato su 4 st adi45: 1. semplice procacciamento di cibo selvatico attraverso normali pratiche di caccia e raccolta; 2. mantenimento di popolazioni vegetali in territori incolti; semi di piante selezionate, con caratteristiche desiderabili, vengono introdotti in nuovi habitat ; cattura e mantenimento di animali; 3. coltivazione con sistematica preparazione del terreno; comparsa di nuovi genotipi, che soddisfano in modo più efficace i bisogni umani; 4. agricoltura. Quest’ultima, a sua volta, presuppone una serie di attivitàprincipali: - propagazione - allevamento - raccolta - stoccaggio. Una volta ricostruite le tappe, occorre spiegare per quale motivo sia stato intrapreso il cammino che ha condotto alla produzione del cibo mediante le pratiche agricole: i confronti etnografici dimostrano infatti che esse non sono né meno faticose né molto più produt tive rispetto alle attivitàdi raccolta 46. Le proposte fatte sono molte e, di volta in volta, chiamano in causa motivazioni di natura ambientale, economica, culturale etc. Secondo alcuni Autori l’origine dell’agricoltura andrebbe ricercata negli squilibri indotti dal brusco raffreddamento del clima durante la fase del Dryas recente dell’ultima glaciazione. Secondo l’ipotesi formulata dapprima da R. Pumpelly nel 190847 e accolta anche da Gordon Childe nel 193548, l’estinzione dei grandi mammiferi (mammut, rinoceronte lanoso etc.) e il generale degrado climatico (inaridimento) avrebbero costretto i cacciatori/raccoglitori, le piante e gli animali a ritirarsi in poche “oasi” ricche di risorse e, so45 HARRIS D. R. 1989, An evolutionaruy continuum of people-plant interaction, in “Foraging and farming: the Evolution of Plant Exploitation” (a cura di Hillman e Harris), London. 46 REDMAN C.1978, The rise of Civilization: from Early Farmers to Urban Society in the Ancient Near East, San Francisco, W. H. Freeman and Company 47 P UMPELLY , 1908. 48 GORDON C HILDE V. 1935, New Light on the Ancient Near East, London, Routledge and Paul. 34 prattutto, di acqua (es. le valli del Nilo, del Tigri e dell’Eufrate). La forzata prossimitàavrebbe portato a forme di ada ttamento entro l’ecosistema, che sfociarono poi nella domesticazione vegetale e animale (“teoria dell’oasi”)49. Si deve invece a R. J. Braidwood l’ipotesi della “nuclear zone”: secondo questo Autore, che negli anni Cinquanta era impegnato negli scavi a Jarmo50, l’agricoltura sarebbe infatti nata in un’area precisa, quella della Mezzaluna fertile, tra l’Anatolia e l’Iran, dove già dal tardo Pleistocene conv ivevano piante e animali selvatici potenzialmente domesticabili. Abbandonando dunque l’idea di un impulso di natura climatica, l’ipotesi di Braidwood riconosceva meccanismi culturali e strategie innovative di procacciamento del cibo già nel Paleolitico Superiore. Nei primi tempi post -glaciali la ricchezza delle risorse avrebbe gradualmente favorito la sedentarietà e quest’ultima avrebbe facilitato l’osservazione del comportamento, dei meccanismi e dei cicli di riproduzione e crescita di piante e animali. Dopo un periodo di sperimentazione (incipient agriculture) si sarebbe passati a un’economia di tipo pienamente agricolo. Uno dei limiti del modello di Braidwood consiste tuttavia nella mancata spiegazione del perché l’agricoltura fu introdotta in quel preciso momento e non in un altro: l’Autore sosteneva che, in precedenza, non fossero ancora maturate le necessarie premesse culturali per raggiungerla. Nel dibattit o tra Braidwood e Gordon Childe entrò anche quello sulle datazioni dei siti di Jarmo e di Jer icho: una maggiore antichità del primo (ubicato nel Kurdistan ir aqueno) rispetto al secondo avrebbe infatti avvalorato l’ipotesi di Braidwood, viceversa la maggiore antichità di Jericho, ubicato in un’oasi della valle del Giordano, avrebbe confermato la teoria dell’oasi51. Un altro noto modello, proposto da Cohen nel 197752, pone l’accento sulla pressione demografica: la nascita dell’agricoltura sarebbe dovuta a una crisi alimentare, in risposta alla quale i cacciatori-raccoglitori avrebbero dovuto adottare strategie di gestione del cibo più efficaci. Non ci sono però prove in tale senso e anche i 49 “… Le condizioni di incipiente inaridimento alle quali abbiamo accennato avranno fornito uno stimolo verso l’adozione di un’ economia di produzione del cibo. La concentrazione forzata presso le rive di corsi d’acqua e l’affioramento di sorgenti avrà comportato una ricerca più intensiva di mezzi di nutrimento. Animali e uomini si saranno radunati insieme in oasi che stavano diventando sempre più isolate da tratti di deserto. Questa giustapposizione forzata avrà promosso quella sorta di simbiosi tra uomo e animale implicata nel termine “domesticazione”. E in Afrasia piante nobili e animali adatti per la domesticazione crescevano selvatici, pronti per l’uomo” (GORDON C HILDE 1954, New Light on the Most Ancient East). 50 cfr. infra 51 cfr. Infra. 52 C OHEN M. N. 1977, The food Crisis in Prehistory: overpopulation and the origins of Agriculture, New Haven, Academic Press. 35 resti scheletrici umani non sembrano presentare tracce di una significativa degenerazione nella salute delle comunità di cacciatori raccoglitori preneolitici. A questi modelli interpretativi deterministi, di stampo ancora positivista, è riconducibile anche quello proposto dallo st orico inglese A. J. Toynbee53, secondo il quale i principali progressi dell’umanitàs arebbero il risultato di meccanismi di sfida e risposta (challenge and response). Secondo questo e altri Autori è proprio nelle aree in cui le specie selvatiche sono meno rappresentate che il “colpo d’avvio” dell’agricoltura ha potuto essere determinante, allorché l’uomo, per bisogno, ha dovuto cercare di supplire alle carenze della nat ura: vengono interpretate in questo senso le testimonianze del sito di Beidha, nell’area inospitale del Negev, o di Ali Kosh, nel Khuzistan. Al contrario, altri studiosi sottolineano come i primi esempi di domest icazione provengano da aree caratterizzate da una grande abbondanza di specie selvatiche (come nel caso delle controverse attestazioni di Netiv Hagdud o di Tell Aswad). Lo sviluppo delle pratiche agricole potrebbe essere stato favorito dall’incremento nell’umidità (fattore climatico), mentre alcuni st udiosi hanno proposto interpretazioni in chiave religiosa e culturale (per esempio la prat ica di banchetti competitivi tra gruppi rivali). Come si vedrà in seguito, a proposito del Neolitico europeo, le opinioni degli studiosi sono divise anche in merito alle motivazioni e alle modalitàdi diffusione dell’agricoltura a partire dai centri gen etici dell’Asia sudoccidentale. 53 TOYNBEE A.J., A Study of History, 1947-1957. 36 Il Neolitico Preceramico (9500-7000 BC) La domesticazione delle specie vegetali e animali è dunque avvenuta gradualmente, in una fase giàNeolitica, successiva alla s edentarizzazione e precedente l’introduzione della ceramica. Nel villaggio di Jericho, ai livelli inferiori, natufiani, si sovrappongono due livelli neolitici privi di ceramica (Jericho I e Jerico II). Come si è detto in precedenza, questa sequenza stratigrafica suggerì all’archeologa Kathleen Kenyon di inserire tra Natufiano e Neolitico propriamente detto un “Neolitico Preceramico” ( Pre Pottery Neolithic), suddiviso in due fasi (A e B), corrispondenti alle fasi Jericho I e Jericho II. L’archeologa inglese K. Kenyon (19061978). Insieme al suo maestro, Sir. M. Wheeler, fu tra i pionieri dello scavo stratigrafico. Il PPN A (9500-8700 BC) Nell’arco di 800 anni, tra 9500 e 8700 a.C., tre culture coeve (Mureybetiano, Aswadiano e Sultaniano), eredi del Natufiano, risultano aver praticato (forse in modo del tutto indipendente) le prime esperienze agricole. Si tratterebbe semplicemente della semina di grani prelevati da cereali selvatici e di pratiche di diserbamento, volte a favorire la germinazione dei semi. I prodotti così ottenuti non presentano caratteri particolari e distintivi rispetto alle specie selvatiche e solo 1000 anni più tardi si potranno osservare caratteri pienamente domest ici54. Durante questa fase (PPN A) l’indust ria litica è ancora simile a quella natufiana, ma abbandona progressivamente il microlitismo. I villaggi sono costituiti da case a pianta circolare e ospitano sepolt ure con defunti rannicchiati, nelle quali sono attestate anche prat iche di deposizione secondaria (per esempio dei crani). In campo artistico si diffondono le figurine femminili. Jericho I Ubicato in un’oasi nella valle del Giordano, circa 16 km a NW del Mar Morto, il sito di Jericho (l’attuale cittadina di Tell Sultan) presenta una potente stratigrafia che attesta una occupazione pressoché continua per diversi millenni. Alla base della stratigrafia del saggio E si trovano strati del Natufiano (per una potenza complessiva di circa 4 metri), a cui si sovrappone il Neolitico Preceramico A (8350-7370 54 W ILLCOX 1999. STOURDEUR 2000, p. 36. 37 bc)55, evidenziato anche nei saggi I e II, immediatamente al di sopra dello sterile. In questa fase il villaggio, molto più ampio di quelli precedenti (circa 4 ettari), venne circondato da un muro di pietra alto quasi 4 m (spessore medio 3 m), che si è potuto seguire per circa 8 metri e che risulta essere stato frequentemente rimaneggiato. A questa struttura era collegata la grande torre di pietra, del diametro di 10 m per 8,5 m di altezza, munita di una scala interna. Secondo una recente ipotesi (Bar-Yosef) la funzione di questa potente struttura non sarebbe di natura difensiva/militare ma, piuttosto, protettiva nei confronti delle inondazioni causate da un vicino torrente56. Le capanne dislocate all’interno avevano una pianta circolare, erano leggermente infossate nel terreno ed erano state edificate con mattoni di argilla a sezione piano-convessa. L’economia si basava sulla coltivazione di frumento, orzo e lenticchie, mentre la parte più consistente della comLa torre di Jericho (dal sito: ponente proteica della dieta era www.ancientnearast.tripod.com ) costituita da specie selvatiche, tra cui gazzella, cinghiale e capra. Una serie di recinzioni costruite in prossimitàdella torre ha fatto pens are alla presenza di granai per lo stoccaggio comune dei cereali; si dovrebbe in questo caso ammettere la produzione di un surplus di alimenti utile a sfamare una comunità n umerosa, nell’ambito della quale alcuni individui pot evano essere impegnati nella realizzazione di grandi infrastrutture (come il muro e la torre) e quindi svincolati dalla produzione del cibo. 55 Le prime datazioni radiometriche furono ottenute quando la tecnica del 14C era ancora agli albori e vengono oggi scartate come imprecise (6850 ± 160 bc; 6775 ± 210 bc). Ulteriori determinazioni sono state effettuate dai laboratori del British Museum (BM) e di Philadelphia (p), utilizzando campioni provenienti dalle stesse fasi. Le date delle due serie risultano però differire di 500÷600 anni. La fase immediatamente seguente la costruzione del muro e della torre è datata 8350 ± 500 bc (BM-250) e 8300 ± 200 bc (BM-105), mentre a Philadelphia si è ottenuta una data 7825 ± 110 bc (p-378). Si dispone poi di una serie di date per la fase finale del PPN A: 8350 ± 200 bc (BM-106), 8230 ± 200 bc (BM-110), 7705 ± 84 bc (p379). Le differenze tra le determinazioni ottenute nei due laboratori sono verosimilmente legate a un diverso trattamento di preparazione dei campioni (MOORE). 56 L’ipotesi, suggerita dall’archeologo israeliano O. Bar-Yosef, tende a escludere che si possano riconoscere tracce di militarizzazione nella società neolitica. La guerra non farebbe dunque parte del “pacchetto neolitico". 38 Durante il PPN A i morti erano sepolti in posizione rattratta all’interno di fosse scavate circa 1 m al di sotto del livello pavimentale delle abitazioni, secondo una prassi che, come si visto, era già in vigore dal Mesolitico. Sono attestate pratiche rituali che r ivelano una particolare attenzione per i crani dei defunti: in un caso sette crani erano stati posti intorno a un ottavo, in un altro caso vari gruppi di tre crani ciascuno erano stati sepolti vicini. Una terza attestazione consisteva in vari crani infantili, associati a uno scheletro infantile completo. La cultura materiale del villaggio del PPN A era costituita da strumenti in selce e in osso, oggetti di ornamento, macine e asce in pietra. Il PPN B (8700-7000 BC) Con il PPN B si registrano il consolidamento dell’economia agricola e l’inizio della domesticazione animale, che (almeno secondo l’ipotesi tradizionale) inizialmente coinvolge solo capre e montoni, poi anche bue e porco57. Le case sono ora prevalentemente di forma rettangolare e i rituali funerari risultano più complessi, prevedendo, tra l’altro, la modellazione del cranio (es. Jericho, Aï n Ghazal). Jericho II Dopo l’abbandono il sito di Jericho non fu occupato per vari secoli, sino al PPN B (datato 7220-5850 bc)58. Le abitazioni di questa fase presentano una pianta rettangolare, con pavimenti in terra battuta scottata e pareti intonacate. Erano costruite con mattoni di argilla a facce parallele con spigoli smussati, talvolta su fondazioni in pietra. Le stanze, piut tosto ampie, erano disposte intorno a un cortile e suddivise da tramezzi. (dal sito: http://www.mcc.cc.fl.us/) Una costruzione separata dalle altre, con una nicchia aperta nella parete terminale, nei pressi della quale è stato trovato un pilastro di roccia vulcanica, è stata interpretata dalla Kenyon come tem57 HELMER ET AL. 1998. Sulla cronologia della domesticazione animale si veda infra a proposito di Cipro. 58 Le date radiocarboniche ottenute per il livelli di PPN B sono di difficile interpretazione. Anche in questo caso i laboratori coinvolti sono due (British Museum e Philadelphia). I laboratori del British Museum hanno fornito sei date: 7220 ± 200 bc (BM-115), 6760 ±150 bc (BM-253) = PPN B medio. Anche in questo caso le datazioni ottenute a Philadelphia risultano più giovani: 7006±103 bc (p-382). In generale si può pensare che il villaggio sia stato impiantato intorno a 7000 bc e occupato sino a 6500 bc o poco oltre. 39 pio, anche se non si hanno indicazioni precise. Dal punto di vista economico si registra una maggiore varietà e incidenza delle sp ecie coltivate ed è probabile che la pecora fosse giàdomesticata. I defunti erano sepolti al di sotto delle abitazioni o nel riempimento di edifici abbandonati. Le tombe erano spesso collettive e in alcuni casi i cadaveri risultavano disarticolati e privi del cranio. Sotto la pavimentazione di una casa si è trovato un deposito di sette crani da cui erano state rimosse le mandibole e che erano stati ricoperti di gesso modellato in modo realistico, a riprodurre le sembianze del defunto. Due conchiglie (es. Ciprea) erano collocate nelle orbite oculari. Questi (dal sito : http://courses.unc.edu/clar0 crani e altri analoghi (in tutto una de47/sg1Neol.html cina) sono stati recentemente attribuiti a individui adulti di sesso maschile. La pratica della modellazione del cranio è attestata solo a Jericho, Tell Ramad, Aï n Ghazal e Beisamun. L’industria litica è varia e, oltre agli strumenti in selce scheggiata, presenta macine e pestelli, martelli, lisciatoi, recipienti scavati nel calcare tenero locale, pesi da telaio. Tra i reperti più significativi di questa fase si annovera una serie di figurine antropomorfe stilizzate in gesso e in argilla. Come per i crani modellati, anche in questo caso gli occhi erano spesso costituiti da valve di conchiglie. (dal sito: http://www.mcc.cc.fl.us/) Dopo il PPN B c’è uno iato nell’occupazione del sito, che riprenderà a essere occupato nel tardo Neolitico e durante l’etàdel R ame. A partire dalla sua fase media, il Neolitico Preceramico B conosce una rapida diffusione59 e con il PPN recente, intorno a 7500 a.C., si può dire che le società dell’Asia sudoccidentale siano già pienamente neolitiche: l’economia agricola è ormai diffusa in tutto Risale a questo periodo, per esempio, la colonizzazione dell’isola di Cipro da parte di comunità che vi introdussero alcune specie animali in via di domestic azione (cfr. infra) 59 40 il Vicino Oriente, dai Monti Zagros (Jarmo, Karim Shahir) all’Anatolia (Hacilar). Come si è visto in precedenza, il sito pluristratificato di Qualat Jarmo, nel Nord dell’Iraq (Kurdistan iraqueno), fu oggetto di scavi pluridisciplinari da parte di una équipe guidata da Braidwood: su un’area di 140 x 80 m si scavò un deposito dello spessore di 7 m, costituito dai resti di sedici insediamenti successivi. Negli undici livelli più antichi (PPN) si trovarono in media venticinque abit azioni per ogni fase, caratterizzate da una (da Hawks) pianta rettangolare (analoga a quelle di Jericho II) e da strutture infossate, interpretabili come silos e focolari. L’economia del sito era basata sulla coltivazione di orzo e di farro (Tr. dicoccum ) sicuramente addomesticati e lungamente selezionati. I resti della cultura materiale consistono in macine, asce in pietra levigata, statuette fittili crude, stampi e sigilli in terracotta, mentre non è attestato l’uso della ceramica per la produzione del vasellame, che continua a essere fabbricato in pietra. Nel sito di Hacilar sono stat i messi in luce set te livelli di Neolitico Preceramico (datati intorno al 7000 a.C.). Qui i villaggi erano cost ituiti da case rettangolari con fondazioni in pietra, formate da un solo ambiente e da cortili contenenti silos e focolari. Sono presenti tracce di coltivazione di orzo e lenticchie ma non di allevamento. (da Mellaart) Verso la fine del periodo le societàrisultano m eglio organizzate e strutturate in villaggi sempre più grandi, con capanne di forma standardizzata e con costruzioni di prest igio. 41 LA CERAMICA Intorno al 7000 il processo di Neolitizzazione può dirsi ormai completato: con l’adozione della ceramica risultano infatti presenti tutti i caratteri (economici, tecnologici, sociali) del Neolitico. La scoperta della ceramica è legata alla conoscenza del fuoco e delle sue proprietà, affinatasi nel corso dei millenni. La produzione di vasellame è senza dubbio preceduta da una lunga fase preparat oria, durante la quale si era iniziato a sperimentare, forse in modo accidentale, il risultato del surriscaldamento di superfici in terra bat tuta o di intonaci argillosi. La produzione della ceramica risulta del resto successiva rispetto a quella di statuine fittili, giàdocumentate nel PPN (es. Jericho, Mureybet, Aswad etc.) ed eccezionalmente presenti addirittura nei complessi gravettiani dell’Europa Orientale (es. Dolní Vestonice, in Moravia)60. A Mureybet la fase di sperimentazione è giàprecocemente d ocumentata nel X millennio, con la produzione di figurine in argilla, ma non sembra dare esiti immediati. Nell’area siro-palestinese, dove esisteva una lunga tradizione nella produzione di vasi in pietra, la transizione alla ceramica avviene solo all’inizio del VII millennio. All’inizio del periodo, tra 7000 e 6500, l’adozione della ceramica non è ancora generalizzata e in alcuni villaggi si continuano a produrre recipienti in pietra, calce e gesso. Le prime attestazioni di stoviglie plastiche sono quelle di una terraglia di colore biancastro (vaisselle blanche), modellata con una sorta di calcina calcarea non sottoposta a cottura61. Questo tipo di produzione non può ancora considerarsi ceramica, sia perché non è ricavata da argilla, sia perché non è cotta. I primi esemplari di veri e propri vasi in terracotta provengono da Tell Mureybet (Siria; sull’Eufrate): si tratta di piccoli vasetti cilindrici con decorazione incisa. (da Guilaine) 60 Le più antiche ceramiche sono note in Giappone intorno all’XI millennio, in contesti caratterizzati da un’economia ancora di tipo predatorio, basata su caccia, pesca e raccolta, ma in fase di incipiente neolitizzazione Anche nell’Africa sahariana la ceramica, che si colloca nell’VIII millennio, risulta precedere l’introduzione dell’agricoltura. L’origine della ceramica nel Vicino Oriente non ha legami con queste attestazioni più antiche e deve essere considerato come un fenomeno di convergenza. 61 Recipienti di questo tipo sono presenti, per esempio, a Byblos, in Libano. C AMPS G., La Prehistoire, 1982 ; BALFET M., LAFUMA H., LUNGUET M., TERRIER P. 1969, Une invention néolithique sans lendemain. Vaisselles précéramiques et sols enduits de quelques sites du Proche-Orient, in « Bulletin de la Société préhistorique française », 66, pp. 188-192 ; DE C ONTENSON H., COURTOIS L. C., A propos de vases en chaux. Recherches sur leur fabrication et leur origine, in « Paléorient », 5, 1979, pp. 177-181. 42 Anche in questo caso l’invenzione rimase senza seguito e i livelli superiori risultano ancora aceramici. La definitiva affermazione di culture provviste di ceramiche si ha intorno al 6000 a.C. ( Ramad III, 5930 ± 55; Bouqras III, 5990 ± 60). La ceramica si sviluppa e si diffonde molto rapidamente nel Vicino Oriente, propagandosi anche verso il Mediterraneo. La velocità della diffusione fa pensare a una origine poligenica. Sull’origine della ceramica e sulle motivazioni della sua adozione esistono ancora molti dubbi. Di fatto essa appare successivamente alla sedentarizzazione, ma in una fase molto tardiva. È stata messa in relazione con l’agricoltura e anche con la necessità di avere contenitori resistenti al fuoco per la cottura dei cibi (che peraltro poteva avvenire anche in recipienti di cuoio o di legno mediante pietre riscaldate, pratica confermata da alcuni confronti etnografici). Il Neolitico ceramico Accanto a comunità sedentarie sono att estati gruppi di pastori nomadi, soprattutto nelle zone più aride delle steppe desertiche. Si sono identificate diverse culture locali, che tuttavia non risultano ancora ben conosciute. Come si è detto, nel corso dell’VIII millennio, gruppi di agricoltori preceramici dell’area siro-palestinese intrapresero la colonizzazione dei territori sudorientali dell’Anatolia. Proprio in quest’area è ubicato il sito di Çatal Hüyük. Çatal Hüyük Questo tell, che domina la piana di Konya nella Turchia meridionale, fu esplorato da J. Mellaart negli anni Sessanta e durante gli scavi venne alla luce un esteso villaggio (dell’ampiezza di circa 12÷13 ettari). Il tell aveva una potenza di circa 17 m e comprendeva 12 livelli abitativi. Quelli più antichi si collocano a cavallo tra VIII e VII millennio e i più recenti risalgono alla fine del VII millennio. A ttualmente non si conoscono livelli preceramici. L’economia del villaggio era ampiamente basata sull’agricoltura (orzo, cereali vari e leguminose), probabilmente irrigua, sull’ allevamento di caprini e sulla caccia ad alcune specie selvatiche: cervi, cinghiali e stambecchi. L’importanza del sito era anche legata allo sfruttamento e al commercio (da Mellaart) della ossidiana anatolica. 43 La cultura materiale è dunque principalmente costituita da industria litica su selce e ossidiana, da strumenti in pietra levigata, vasi di legno e panieri, mentre nelle fasi più antiche l’uso della ceramica è ancora sporadico. I caratteri più singolari del villaggio sono legati alla sua architettura e al suo singolare impianto urbanistico: le case erano addossate le une alle altre, senza che vi fossero strade intermedie. Si è dunque ipotizzato che l’accesso avvenisse dall’alto, attraverso scale e terrazze. Per la costruzione si erano utilizzati mattoni crudi. Pitture e rilievi con figure femminili in atto di partorire e teste di toro, statuette muliebri in pietra, figurine fittili maschili o animali hanno suggerito l’ipotesi che alcuni ambienti fossero adibiti a pratiche di culto. (da Mellaart) (dal sito: http://inform.umd.edu (da Mellaart) 44