Laura Seragnoli Dispense del corso aa 2001-2002

Transcript

Laura Seragnoli Dispense del corso aa 2001-2002
Laura Seragnoli
il
NEOLITICO
Dispense del corso
a.a. 2001-2002
1. il CONCETTO di NEOLITICO
All’inizio del XIX secolo la periodizzazione della Preistoria si basava
sul cosiddetto “sistema delle Tre Età”. Messo a punto dallo studioso
danese Christian Thomsen 1, esso prevedeva una successione di
tappe caratterizzate rispettivamente dall’uso della pietra, del bronzo e del ferro.
Le scoperte dei decenni seguenti indussero
l’archeologo britannico Sir John Lubbock a creare un’ulteriore suddivisione nell’ambito dell’età della Pietra. Nel suo saggio Prehistoric
Times, del 1865, egli introdusse infatti per la prima volta i concetti di
Paleolitico e di Neolitico2, caratterizzando le due epoche in termini
essenzialmente tecnologici. Il Paleolitico risultò dunque essere il periodo della pietra scheggiata, in opposizione al Neolitico, durante il
quale fu introdotta quella levigata.
Questa divisione veniva avvalorata anche dai dati paleontologici, poiché il Paleolitico aveva conosciuto la diffusione di faune pleistoceniche poi estinte e, dunque, assenti nei complessi neolit ici. Dal
punto di vista climatico il Neolitico si colloca infatti nell’etàolocen ica, durante il periodo Atlantico (secondo la suddivisione di BlyttSernander), cioè in un periodo di opt imum climatico, caratterizzato
da un clima caldo e umido, dalla massima trasgressione marina e
dalla diffusione di boschi di latifoglie (soprattutto del querceto misto).
Successivamente, grazie all’opera dell’archeologo australiano V.
Gordon Childe, fu possibile precisare meglio i caratteri del Neolitico
e comprendere appieno la sua portata innovativa, non solo dal
punto di vista tecnologico (es. introduzione della pietra levigata e
della ceramica) ma, soprattutto, sul piano economico (transizione
da un’economia parassitaria di caccia e raccolta a modalità di
produzione del cibo) e sociale (processi di sedentarizzazione delle
comunitàe di strat ificazione interna della società).
Una volta riconosciuti i tratti distintivi del periodo, la riflessione si è
spostata sulle modalità di diffusione di tali caratteri da uno o più
centri genetici. Questo dibattito si inseriva nel contesto delle speculazioni teoriche che hanno caratterizzato il pensiero antropologico
e archeologico del XX secolo e che si sono concentrate soprattutto
sull’interpretazione dello sviluppo e della trasmissione culturale.
Il sistema delle tre età fu utilizzato dal Thomsen a partire dal 1812 per la sist emazione e l’edizione delle collezioni archeologiche danesi del Museo Reale di
Copenhagen e fu pubblicato nel 1836.
2 Il termine “Mesolitico” è invece di origine poco più recente e il suo uso sistematico risale all’inizio del XX secolo. Questo periodo andava a colmare la cesura
tra Paleolitico e Neolitico che si era precedentemente ipotizzata.
1
2
Il Diffusionismo
Con il termine “Diffusionismo” si indica l’atteggiamento di pensiero (molto diffuso in antropologia a partire dal XIX secolo e nella
prima metàdel XX) secondo cui le varie tappe del progresso tecnologico e, in generale, i diversi tratti culturali, avrebbero avuto un solo luogo d’origine, da cui si sarebbero poi irradiati mediante scambi commerciali, contatti (di natura più o meno pacifica) e, soprat tutto, migrazioni di popoli.
Al concetto di una “evoluzione” abbastanza continua delle culture (che partiva dal presupposto che tutta l’umanitàcondividesse
un uguale potenziale innovativo), questo modello interpretativo
contrapponeva quello della “introduzione” di tratti culturali originatisi in particolari centri genetici che, per quanto riguarda le culture
pre- e protostoriche, erano solitamente individuati nel Vicino Oriente3.
Il Diffusionismo, corroborato dagli studi etnografici e antropologici
che nel frattempo venivano condotti tra popolazioni indigene
dell’America, dell’Africa o dell’Oceania, fu talvolta spinto sino a
posizioni molto radicali (“Iperdiffusionismo”), che vedevano
un’unica origine addirittura per fenomeni molto distanti tra loro nel
tempo e nello spazio (es. le piramidi egizie e gli edifici precolombiani dell’America Centrale), talaltra smorzato in posizioni più moderate (“diffusionismo modificato”). L’Iperdiffusionismo fu un atteggiamento di marca soprattutto germanica (tedesca e austriaca) e britannica: lo studioso australiano di origine inglese Sir Grafton Elliot
Smith (1871-1937), che aveva soggiornato per poco meno di un
decennio al Cairo come docente di anatomia, si era formato l’idea
che all’origine del progresso del mondo antico si dovesse collocare
la civiltàegizia dei Faraoni.
Nelle sue pubblicazioni degli anni Dieci-Venti (The Migration of
Early Cultures, 1915; The Ancient Egyptians and the Origins of Civilization, 1923; In the Beginning: the Origin of Civilization, 1928) egli
partiva dal presupposto che l’inventiva dell’uomo e la cultura potessero attivarsi e nascere indipendentemente solo in circostanze
del tutto particolari, quali erano quelle che, appunto, si erano verificate nell’Antico Egitto (ca. 6000 anni fa). In seguito all’avvento
della navigazione, l’ondata civilizzatrice si sarebbe poi estesa da
questa “culla” di civiltà ad altri territori, smorzando via via la sua
portata innovativa.
Questa visione così rigidamente dogmatica fu indicata come
“Eliocentrismo” e adottata soprattutto nell’ambiente cattolico: al
TRIGGER 1989.
L’Autore mette in evidenza come il modello diffusionista trovasse terreno fertile
nel clima scettico e conservatore dell’ultimo ventennio del XIX secolo, quando i
problemi sociali ed economici, scaturiti in Europa occidentale dalla Rivoluzione
Industriale, sembravano gettare pesanti ombre sul concetto stesso di progresso.
3
3
motto di ex Oriente lux, il concetto di una culla di civiltà orientale
sembrava infatti proporre una visione del progresso umano in sintonia con la versione biblica4.
Un’impostazione meno radicale era quella proposta a inizio secolo in area tedesca e austriaca: ideata da Friedrich Ratzel (18441904), elaborata dal suo allievo Leo Frobenius (1873-1938), verificata
e applicata da Fritz Graebner (1877-1934) nei suoi studi condotti in
Oceania5, la teoria dei Kulturkreise o delle “cerchie culturali” (dal
tedesco Kultur = cultura e Kreis = cerchio, cerchia, ambito) ipotizzava che nel mondo antico fossero esistiti più centri genetici, da cui
poi i singoli tratti culturali si sarebbero diffusi per migrazione come
complesso unico.
Il modello interpretativo diffusionista, con la sua ideologia etnocentrica, ebbe un notevole successo nel periodo tra le due guerre
mondiali: negando l’esistenza di un potenziale di sviluppo culturale
comune a tutti i popoli, di fatto sembrava legittimare il dominio da
parte delle civiltàpiù “evolute” su quelle che ancora vivevano nella
“barbarie” giustificando, per esempio, il colonialismo europeo di
quegli anni.
La crisi del Diffusionismo:
acculturazione e assimilazione
La scuola di pensiero diffusionista è stata messa in crisi nel secondo dopoguerra, soprattutto a partire dagli anni Cinquanta: ai concetti di “diffusione” e di “sostituzione” si cominciarono infatti a
preferire quelli di “acculturazione” e “assimilazione”.
Ciò avvenne sicuramente per riserve di natura ideologica, ma
anche in concomitanza con la cosiddetta “rivoluzione radiocarbonica”. Il nuovo metodo di datazione, ideato da W. Libby nel 1948 e
basato sul principio del decadimento dell’isotopo radioattivo 14C
del carbonio, consentiva infatti di ottenere datazioni assolute che,
in molti casi, smentivano o ridimensionavano la affermata precocità
degli sviluppi tecnologici e culturali del Vicino Oriente rispetto a
quelli dell’Europa.
Nell’immediato dopoguerra (1948), lo studioso americano A. L.
Kroeber, allievo di Franz Boas, che negli anni Trenta si era occupato
dello studio di comunità di Indiani della California 6, definì come
“acculturazione” i processi di cambiamento indotti in una cultura
per influsso da parte di un’altra. Secondo questa prospettiva, se
l’influsso è reciproco il risultato sarà quello di una progressiva som iSignificativo, a questo proposito, il titolo dell’opera del 1928 In the Beginning,
che parafrasa il primo versetto del Genesi e del Vangelo di Giovanni.
5 F. GRAEBNER 1903, Kulturkreise and Kulturschicten in Ozeanien in „Zeitschrift für
Ethnologie“, 37.
6 A. L. K ROEBER, Cultural and Natural Areas of Native North America, 1939.
4
4
glianza delle due culture; allorché invece tale processo risulti unidirezionale, esso porterà all’estinzione di una delle due culture, ass orbita dall’altra. Al concetto di una improvvisa sostituzione di una cultura da parte di un’altra, legata a episodi bellici o a vaste migrazioni, si veniva a sostituire l’idea di una trasformazione graduale e
potenzialmente condivisa.
A corroborare e a integrare questa teoria, di matrice prevalentemente nordamericana, sono giunti studi sui fenomeni di immigrazione recenti, come quello dei gruppi di immigranti europei che si
trasferivano negli Stati Uniti a cavallo tra i due secoli e sui rapporti
tra le minoranze etniche. Proprio in questo settore, negli anni Sessanta, Milton Gordon ha elaborato il concetto di “assimilazione”: t ale processo parte dalla acculturazione e segue una serie di stadi
progressivi. Un individuo può dirsi pienamente “assimilato” quando
è in grado di ottenere una certa posizione sociale, economica, politica e culturale nell’ambito della societàdominante. Viceversa egli
sarà semplicemente “acculturato”, in quanto ha appreso il li nguaggio, le abitudini, i valori della cultura dominante, nell’ambito
della quale non riesce comunque a raggiungere posizioni di prest igio.
La “Rivoluzione Neolitica”
Lo studio del Neolitico e, in particolare, quello della sua genesi
costituiscono uno degli ambiti su cui si è maggiormente sviluppato
il dibattito teorico sui concetti di cultura e di trasmissione culturale
in termini di diffusione o di acculturazione.
La prima storica sintesi sulla portata delle innovazioni (tecnologiche, economiche, sociali…) che accompagnarono la comparsa
dei primi agricoltori si deve all’archeologo e teorico australiano V.
Gordon Childe.
Nato a Sidney nel 1892, professore di
Archeologia a Edimburgo (1927-1946) e
poi direttore dell’Institute of Archaeology
dell’Università di Londra (dal 1947 sino a lla
morte, avvenuta per suicidio quando si
gettò da una scogliera nell’ottobre 1957),
Gordon Childe si occupò della preistoria e
protostoria europea, mettendo a fuoco gli
apporti delle civiltà del Vicino Oriente e
Vere Gordon Childe
5
del Mediterraneo che avrebbero fornito il loro contributo all’“alba”
della civiltàeuropea 7. Nelle sue opere individuò almeno due grandi
svolte nella storia dell’umanitàprima della Rivoluzione Industriale: la
“rivoluzione neolitica”, basata sull’introduzione dell’agricoltura, e
quella “urbana”, che vide la nascita della città.
In una delle sue ultime opere (The Prehistory of European Society,
1957), interrogandosi sul perché le popolazioni europee di quattrocinquemila anni fa (cioè ai tempi della “rivoluzione urbana”) avessero raggiunto un livello tecnologico ed economico così elevato e
così precoce rispetto ai Nativi del Nord America o agli aborigeni
della Nuova Guinea, individuava le ragioni di questo maggiore sviluppo nella vicinanza dell’Europa all’Egitto e alla Mesopotamia.
Scriveva infatti:
«…è soltanto nella valle del Nilo e del delta del Tigri e dell’Eufrate
che poteva esser realizzata l’organizzazione politica ed economica
indispensabile alla nascita di un’industria metallurgica. È col sorgere di questa che, cinquemila anni or sono, fu mosso in realtà il primo
passo verso quel “progresso” che ha reso il vecchio mondo così diverso dal nuovo. I barbari europei beneficiarono dei frutti di questa
scoperta, ed uscirono dall’Età della Pietra»8.
In alcune sue pubblicazioni precedenti, Gordon Childe, in sintonia con il “diffusionismo” allora dominante, aveva notevolmente
enfatizzato il contributo orientale alla civilizzazione dell’Europa9; in
seguito, tuttavia, influenzato anche dall’ideologia marxista, smorzò
tali posizioni aderendo piuttosto al cosiddetto “diffusionismo modificato”. Questo respingeva come inverosimili i collegamenti a lunga
distanza dei “diffusionisti eliocentrici” e, pur continuando ad asserire la precocitàdi alcune scoperte nel Vicino Oriente, acce ttava la
possibilità di fenomeni di conv ergenza (cioè di invenzioni tra loro
complet amente indipendenti, avvenute in aree diverse).
Il progresso più evidente nel passaggio da Paleolitico e Mesolitico
a Neolitico fu, secondo Gordon Childe, di natura economica: da
un’economia di caccia e raccolta, cioè di tipo parassit ario/predatorio, si passò a un’economia imperniata sulla produzione
organizzata del cibo, mediante coltivazione di alcune specie vegetali e addomesticamento di alcuni animali. Le comunità del primo
Neolitico avrebbero ricercato una maggiore garanzia di sicurezza
economica sottraendo le basi del loro sostentamento alimentare al
capriccio della Natura e affidandosi a una collaborazione con
V. GORDON C HILDE 1925 (6a ed. 1957), The Dawn of European Civilization.
V. GORDON C HILDE, La Preistoria della società europea, Sansoni Editore, Firenze 1979 (traduzione di J. P. le Divelec), p. 5.
9 V. GORDON C HILDE 1925, The Dawn of European Civilization. Altre opere dello
stesso Autore: New Light on the Most Ancient East (1929, 1954); What happened
in History(1942).
7
8
6
quest’ultima, volta ad aumentare la produttivitàdelle piante co mmestibili e a favorire la riproduzione degli animali.
Le nuove risorse alimentari e la loro relativa sicurezza avrebbero
indotto un rapido incremento demografico che, mutatis mutandis,
sarebbe paragonabile solo a quello verificatosi nell’Inghilterra della
Rivoluzione Industriale. La prat ica dell’agricoltura avrebbe inoltre
contribuito a “radicare” le comunità al territorio, favorendo la s edentarietà e la costruzione di grandi villaggi d estinati a ospitare
comunitàpiuttosto consistenti.
Il termine “rivoluzione” adottato da Gordon Childe,
nell’evidenziare la carica straordinariamente innovativa e gravida
di conseguenze del fenomeno, ne sottolineava la relativa rapidità
di affermazione. Queste innovazioni avranno conseguenze la cui
portata giustifica l’idea di una vera e propria “rivoluzione”, benché
essa non si sia configurata come fenomeno improvviso e inaspettato ma, piuttosto, risulti elaborata durante una lunga fase preparat oria. Appare infatti sempre più evidente che le diverse innovazioni
non comparvero simultaneamente ma, piuttosto, per stadi, in una
evoluzione lenta e graduale. Per questo motivo, al concetto di una
“rivoluzione neolitica” è a poco a poco subentrato quello di un lento processo di “Neolitizzazione”.
«Nelle regioni di invenzione i diversi elementi del complesso
neolit ico sono stati elaborati progressivamente, gli uni dopo
gli altri, nel corso di un’evoluzione senza contrasti, che vede il
naturale prolungarsi dei complessi culturali preesistenti. Al
contrario, il termine “rivoluzione” può essere applicato legittimamente nelle regioni che non hanno partecipato a questo
processo formativo, nelle quali il Neolitico è stato introdotto
come un insieme globale, coerente e strutturato, rendendo
talvolta quasi indistinguibili gli eventuali accenni di
un’evoluzione locale verso i nuovi modi di vita»10.
J. LECLERC E L. TARRÊTE 1991 (1988), Neolitico, in “Dizionario di Preistoria”, diretto
da A. Leroi-Gourhan, Torino, Einaudi.
10
7
2. il NEOLITICO del VICINO ORIENTE
Nella ricostruzione di Gordon Childe la “Rivoluzione Neolitica”
avrebbe visto l’introduzione di una serie di innovazioni, tecnologiche e culturali, indicata spesso con l’espressione di “pacchetto
neolit ico”:
• selezione di piante locali a ciclo annuale sino a renderle domestiche, ricavando vari tipi di orzo, frumento e lino;
•
domesticazione di pecore, capre, bovini e suini;
•
predisposizione di arnesi per mietere;
•
allestimento di strutture per l’immagazzinamento del
raccolto e per la sua trasformazione;
•
introduzione della ceramica;
•
relativa stabilitàdell’insediamento;
•
forme incipienti di stratificazione sociale.
Secondo
un
modello interpretativo determinista, la maggiore
complessità
s ociale era letta
come fenomeno
conseguente
la
sedentarietà, a cquisita, a sua volta, grazie alla pratica della agricoltura.
Gordon Childe intuì che l’epicentro della Rivoluzione Neolitica
doveva essere localizzato nell’Asia sudoccidentale, in un’area favorita da particolari condizioni ambientali, che si estende dall’Iran alla
Palestina, alla Turchia meridionale (la cosiddetta “Mezzaluna Fertile”); solo in un secondo momento le novità si sarebbero diffuse in
Europa.
8
A riprova di questa interpretazione diffusionista veniva indicata
una serie di fattori:
• la mancanza di specie spontanee di frumento selvat ico, che potessero essere considerate antenate di quelle coltivate nel Neolitico, portava a escludere che la
domesticazione dei vegetali fosse avvenuta in Europa11;
• la loro presenza nell’area della Mezzaluna Fertile faceva supporre che la domesticazione dei cereali si fosse
sviluppata per la prima volta nell’Asia sudoccidentale;
• considerazioni analoghe venivano proposte per la domesticazione della capra/pecora12;
• le più antiche attestazioni di pratiche agricole, risalenti
al Preboreale e al Boreale (cioè a periodi in cui
l’Europa era ancora caratterizzata dai complessi mesolitici) erano localizzate in Asia sudoccidentale (es. Gerico I e II);
In assenza di pratiche di irrigazione, i terreni esaurivano presto il
loro potenziale, costringendo così le prime comunitàdi contadini a
forme di agricoltura mobile e alla continua ricerca di suoli vergini
da dissodare. Proprio questo fattore avrebbe contribuito alla diffusione del Neolitico in aree diverse. Lo spostamento delle comunità
non fu l’unico dei modelli invocati per spiegare l’origine
dell’agricoltura in Europa, per la quale l’Autore non escluse l’ipotesi
dell’adozione da parte di ex cacciatori/raccoglitori convertitisi a
una forma economica più vantaggiosa13.
Le ipotesi di Gordon Childe furono messe alla prova nel secondo
dopoguerra mediante una serie di spedizioni e di ricerche multidisciplinari, che coinvolsero diverse aree della “Mezzaluna fertile”,
dalle pendici dei Monti Zagros a quelle dei Monti Tauri, alla costa
mediterranea:
A queste conclusioni era giunto nel 1948 Robert J. Braidwood, dell’Oriental
Institute di Chicago. Egli ipotizzò per la prima volta che le origini dell’agricoltura
andassero ricercate nelle aree in cui esistevano forme selvatiche antenate delle
specie coltivate (RENFREW & BAHN 1991, p. 242; BRAIDWOOD & HOWE, 1960). Solo nei
Balcani meridionali esisterebbe un tipo di frumento selvatico spontaneo, antenato del Triticum monococcum, cioè del meno redditizio dei cereali, coltivato nel
Neolitico solo in associazione con forme di qualità superiore (come il Triticum dicoccum e derivati, i cui antecedenti selvatici sono presenti solo nell’area della
Mezzaluna fertile, insieme a monococcum e a orzo selvatico).
12 La distinzione tra i due generi (Ovis e Capra) sulla base dei soli resti scheletrici
che si rinvengono nei livelli archeologici è molto difficile, se non impossibile: capra
e pecora si differenziano infatti principalmente per il diverso numero di cromosomi, per le diverse ghiandole olfattive, per la presenza o assenza della “barbetta”.
Per questo motivo si preferisce parlare genericamente di “capra/pecora” o di
caprovini.
13 GORDON C HILDE 1957, op. cit.
11
9
R. J. Braidwood condusse le sue ricerche in Iraq, F. Hole in Iran, K.
Kenyon e J. Perrot in Palestina, J. Cauvin e H. de Contenson in Siria e
J. Mellart in Turchia.
L’interesse per gli aspetti paleoeconomici favorì lo sviluppo di metodi di indagine sempre più sofisticati, che, per esempio, prevedevano la raccolta di resti organici (botanici e microfaunistici)
mediante la flottazione14. Il sito pluristratificato di Qualat Jarmo, nel
Nord dell’Iraq, fu indagato da Braidwood e da una équipe di vari
specialisti (geomorfologi, palinologi, paleobotanici, archeozoologi
etc.) e presto divenne uno dei principali punti di riferimento per la
ricostruzione del clima, oltre che per lo studio della domesticazione
delle specie vegetali e animali. Su un’area di 140 x 80 m si scavò un
deposito dello spessore di 7 m, formato dai resti di sedici insediamenti successivi. Negli undici livelli più antichi si trovarono in media
venticinque abitazioni per ogni fase, caratterizzate da una pianta
rettangolare e da strutture infossate interpretabili come silos e focolari. L’assenza di suppellettili ceramiche permise di inquadrare tali livelli nel Neolitico cd. Preceramico15.
Nel frattempo nell’area levantina (Libano, Siria, Israele, Giordania) venivano scoperti villaggi pre-agricoli della cultura “natufiana”16, che dimostravano come la sedentarietàavesse preced uto la
coltivazione e l’allevamento, mentre gli scavi stratigrafici condotti
da Kathleen Kenyon durante gli anni Cinquanta a Jericho (l’odierna
Tell Sultan, nella valle del Giordano) confermavano l’esistenza di
almeno due stadi neolitici caratterizzati da un’economia produttiva
ma privi di ceramica (Neolitico Preceramico o PPN = Pre Pottery
Neolithic)17. Ancora una volta si tratta di un sito pluristratificato,
identificato alla base di un tell18, circostanza particolarmente propizia per la ricostruzione di una sequenza cronologica delle tappe
che scandirono la comparsa del Neolitico.
Lo studio delle sequenze stratigrafiche e le datazioni radiometriche, che si andavano ottenendo per i diversi livelli indagati in vari
14 Il procedimento della flottazione è finalizzato al recupero di resti organici di
dimensioni molto piccole, che sfuggirebbero all’occhio dello scavatore. Esso
consiste nel rimescolamento in acqua di campioni di sedimento: durante
l’operazione i resti organici, grazie al loro basso peso specifico, galleggeranno sulla superficie dell’acqua e potranno così essere schiumati mediante un setaccio a
trama più o meno fitta.
15 Cfr. infra.
16 Cfr. infra.
17 Cfr. infra.
18 Il termine “tell” in arabo indica una collina artificiale. Si tratta di rialzi di terreno di natura antropica (determinati cioè dall’uomo) caratteristici dell’Asia occidentale e dell’area balcanica, formatisi per la ripetuta sovrapposizione di livelli di
abitato e dall’accumulo del materiale di scarico e di disfacimento delle abitazioni.
10
siti del Vicino Oriente, modificarono almeno in parte la ricostruzione
di Gordon Childe: da un lato emergeva in modo sempre più chiaro
come in alcune aree i diversi elementi del “pacchetto neolitico”
fossero apparsi scaglionati gradualmente e non contemporaneamente; dall’altro si osservava come la sedentarietà avesse prec eduto di qualche millennio l’introduzione dell’agricoltura.
Il quadro attuale mostra una situazione estremamente complessa, dalla quale emerge come per il Vicino Oriente sia opportuno
parlare di un lento processo di Neolitizzazione, che probabilmente
ha avuto più di un focolaio di origine19, mentre solo in aree in cui il
Neolitico risulta essere un fenomeno di importazione si può parlare
di una vera e propria “rivoluzione”, con adozione contemporanea
di tutte le principali novitàpreviste dal “pacchetto”.
Tra i vari elementi innovativi se ne sono di volta in volta selezionati alcuni, a cui è stato attribuito un particolare rilievo. Per alcuni st udiosi il carattere distintivo del Neolitico consisterebbe in una serie di
cambiamenti sociali e ideologici, evidenziati da nuovi rituali, oggetti
di culto e dall’architettura funeraria20. Altri hanno posto l’accento
su caratteri tecnologici (es. comparsa di una nuova tecnologia nella lavorazione della pietra, introduzione della ceramica…). Per altri
ancora si tratterebbe semplicemente di uno st adio evolutivo delle
societàumane.
Il carattere composito della definizione di Gordon Childe (accentuata diffusione culturale, vita sedentaria, domesticazione di piante
e animali, introduzione della ceramica e della pietra levigata) la
rende poco operativa; per questo motivo alcuni hanno preferit o utilizzare come principale parametro indicatore della Neolitizzazione il
passaggio a un’economia di tipo agro-pastorale.
Resta ancora irrisolta la questione in merito all’esistenza di uno o
più focolai di origine per questi fenomeni: il corso del Medio e Alto
Eufrate deve aver giocato un ruolo importante, dal momento che
in questa regione si può osservare una evoluzione graduale e senza
interruzioni dalla fase più antica del Neolitico Preceramico (PPN A)
sino alla comparsa della ceramica mentre, come si vedrà, la situ azione nell’area palestinese presenta momenti di cesura che lasciano spazio alle ipotesi di una diffusione di taluni elementi a partire
dalle terre del Nord21.
19
20
21
GUILAI NE 2000.
C AUVIN 1994.
GUILAINE 2000.
11
6000
7000
8000
9000
10000
11000
12000
BP
PLEISTOCENE
OLOCENE
Oscillazione Dryas
Optimum climatico
di Allerød
Recente
Miglioramento
climatico
Freddo
secco
secco
+
-
SEDENTARIETA’
MANIPOLAZIONE
CEREALI
LEGUMINOSE
PASTORALISMO
PPN B
12
PN B
Neolitico Preceramico
PN A
PPN A
Mesolitico
PPN C
NATUFIANO
CERAMICA
Neolitico ceramico
e
Secondo una recente sintesi il processo di neolitizzazione del Vicino Oriente può essere suddiviso in sei tappe22:
PERIODI
TAPPE della NEOLITIZZAZIONE
5
8500-7500 BP
Comparsa della ceramica nella “Mezzaluna fertile”;
culture aceramiche (PPN B finale) nelle zone desertiche;
nomadismo agro-pastorale;
diffusione verso il deserto e l’Europa (mediterranea
e centrale).
4
7500-7000*
8500-8000 BP
PPN B recente
3b
8200-7500*
9200-8500 BP
PPN B medio
3a
8700-8200*
9500-8500 BP
PPN B antico sull’Eufrate
Nuove specie vegetali domestiche: frumento, orzo
svestito, lino;
aumento demografico generalizzato ;
diffusione del Neolitico verso il litorale e l’Anatolia
occidentale.
architetture rettangolari standardizzate;
cereali e leguminose domestiche ovunque;
domesticazione di capra, montone, bue, porco;
diffusione del PPN B verso il Levante meridionale.
Case rettangolari, nuovo armamento;
agricoltura predomestica;
persistenza del PPN A nel Levante meridionale.
2b
PPN A: Sultaniano, Aswadiano, Mureybe9500-8700*
tiano
10000-9500 BP
Grandi villaggi con capanne rotonde;
prime strutture rettangolari sull’Eufrate;
agricoltura predomestica sull’Eufrate (Mureybetiano);
diffusione del Mureybetiano verso l’Anatolia sudorientale.
2a
10000-9500*
10200-10000
BP
1
12000-10000*
12200-10200
BP
KHIAMIANO
Prime punte di freccia;
caccia-pesca-raccolta diversificate.
NATUFIANO del LEVANTE
Primi villaggi sedentari in fosse rotonde;
strumentario microlitica;
caccia-pesca-raccolta diversificate.
* = a. C. calibrate
22
(da Aurenche et al. 1981)
AURENCHE ET AL., 1981 ; HOURS ET AL., 1994.
13
Le tappe del processo di Neolitizzazione
LA SEDENTARIETA’
il Natufiano (12.000-10.000 BC)
La civiltàNatufiana 23, databile tra 12.000 e 10.000 a.C. ( 14C cal.),
è una cultura mesolitica particolarmente evoluta che, per molti versi, preannuncia quella “Capsiana” che si svilupperàcirca 2000 anni
dopo lungo le coste del Nord Africa. L’industria litica è caratterizzata da microliti geometrici tipicamente mesolitici (segmenti e triangoli), ricavati con la tecnica del microbulino e derivanti dal precedente Kebariano geometrico (localizzato tra Israele, Libano, Siria e
Giordania).
Rispetto ad altre culture del Mesolitico, quella Natufiana
dell’area del Carmelo e della Galilea si caratterizza per la presenza
di grandi villaggi di capanne rotonde o ovali, con piccoli muretti di
sostegno e pavimento spesso lastricato (es. Aï n Mallaha in Israele,
Abu Hureyra e Tell Mureybet in Siria, Rosh Zin, Rosh Horesha).
Questo nuovo modo di vita, sedentario, deve essere risultato in
qualche modo attraente perché popolazioni vicine si sforzassero di
imitarlo, adattandolo a condizioni ambientali molto meno favorev oli rispetto a quelle mediterranee che lo avevano inizialmente permesso24.
L’area è geograficamente e climaticamente disomogenea e la
sedentarietànatufiana se mbra dettata da una particolare forma di
adattamento all’ambiente. Non tutti i siti si prestavano a questa
forma di insediamento che, di fatto, risulta limitata solo al Levante
mediterraneo e, forse, alla sola Galilea e all’area del Carmelo.
Nel Natufiano antico di Mallaha le abitazioni
sono a pianta circolare o semicircolare (diam.
5÷7 m), seminterrate, molto ampie (circa 25
mq), allineate in modo regolare. Quelle di
Hayonim risultano invece addossate le une alle altre in prossimitàdell’apertura di una gro t ta, secondo una planimetria “agglutinata”.
Mallaha: la casa 131 (da Valla)
Nel Natufiano recente di Mallaha le case sono più numerose e di
ampiezza minore: la maggior parte di esse copre infatti meno di 10
23
24
Il Natufiano prende nome dal sito eponimo di Wadi Natuf, in Palestina.
VALLA 2000
14
mq. Nelle case sono presenti fosse adibite a sepolture, focolari e
mortai.
Nella fase finale si accentua la
tendenza a costruire capanne di
dimensioni minori (7÷10 mq), che
richiedevano un minor dispendio
di risorse.
Mallaha: le case 200-208 e 203 (da
Valla)
J. Cauvin, che ha scavato il sito di Tell Mureybet, ha potuto osservare che i villaggi sono ubicati nei punti di cerniera tra più territori,
con risorse alimentari complementari. Essi prediligono inoltre grotte
precedute da terrazzi e situate vicino a sorgenti (es. Mallaha, grot ta di Hayonim, El Ouad, Nahal Oren…)25.
Nella zona inospitale del Negev si preferiva l’insediamento su alture, per sfruttare terreni più umidi (es. Erq el-Ahmar, Rosh Zin). In
questi casi i siti sembrano tuttavia riflettere aggregazioni st agionali
di gruppi costretti a disperdesi periodicamente per insufficienza delle risorse26.
L’economia si basava prevalentemente sulla pesca, sulla raccolta di molluschi e crostacei, sulla caccia e sulla raccolta di cibi vegetali, tra cui semi di cereali selvatici e leguminose.
Ci si è chiesto se i Natufiani non avessero iniziato ad addomest icare le gazzelle, una delle prede preferite nei grandi villaggi del
Carmelo e della Galilea, e se non siano stati i primi coltivatori di cereali.
Oggi la prospettiva è mutata e pare che i Natufiani non abbiano
praticato una domesticazione delle gazzelle, ma, piuttosto, una
caccia intensiva e forse eccessiva, che avrebbe poi provocato una
degenerazione nelle popolazioni di questa specie.
Accanto a resti di gazzelle si trovano quelli di daino, cervo, bue,
capriolo, cinghiale, stambecco, onagro, volpe, coniglio e vari uccelli, forse cacciati mediante trappole. Migliaia di vertebre di pesce
rinvenute a Mallaha ev idenziano il ruolo importante della pesca e
la dieta natufiana prevedeva anche il consumo di tartarughe, serpenti, lucertole e molluschi. I resti faunistici mostrano dunque una
economia predatoria orientata verso uno spettro di risorse quanto
più vasto e vario possibile. Anche la pratica della frantumazione
delle ossa per l’estrazione del midollo (che non è praticata presso le
comunitàdi allevatori) depone a favore della caccia piuttosto che
della domesticazione27.
25
26
27
HENRY 1988.
VALLA 2000.
L’unico caso provato di domesticazione è quello del cane (cfr. infra).
15
Le risorse vegetali non si conservano altrettanto bene nei livelli
archeologici, ma erano verosimilmente ricercate con la stessa cura
con cui si ricercavano quelle animali. Resti di vegetali carbonizzati
sono stati recuperati in molti siti natufiani (Mureybet, Abu Hureyra,
Hayonim etc. ): ad Abu Hureyra e a Mallaha sono documentati resti
di mandorle e pistacchi, ad Hayonim alcuni legumi (lupini, lenticchie, piselli) e alcuni cereali (soprattutto grani d’orzo).
Nel passato si è molto insistito sull’uso dei cereali da parte dei Natufiani. Prove indirette di un utilizzo intenso dei cereali erano ravvisate nella presenza di pezzi di selce con lustro (sickle gloss)28, dei cosiddetti “coltelli da mietitore”, di grandi mortai in basalto o in calcare e di macine piatte (es. a Nahal Oren, Hatula, Kebara, Beidha).
Un altro indizio erano le fosse di Mallaha, interpretate come silos
di stoccaggio, che avrebbero permesso di conservare i grani da un
raccolto all’altro, assicurando così un certosurplus alimentare. Di
fatto ora si sa che la maggior parte di queste fosse erano tombe o
rifiutaie, ma una piccola fossa sulla terrazza di Hayonim, foderata di
pezzi di calcare, poteva in effetti avere questa funzione.
I resti vegetali rinvenuti nei siti natufiani conservano comunque la
loro morfologia naturale e non si hanno prove né di domesticazione
né di uno stoccaggio sistematico su vasta scala.
I dati disponibili portano a concludere che i Natufiani si sono limitati a raccogliere ciò che la natura offriva loro spontaneamente,
secondo modalità ancora di tipo predatorio. La pratica del t aglio
con il falcetto, della caccia intensiva alla gazzella e
dell’uccellagione, unite agli altri indizi presentati, indicano comunque che queste risorse spontanee erano sfruttate in modo più intenso e con una maggiore efficacia rispetto alle epoche precedenti.
Caccia e raccolta comportavano ancora una certa mobilità,
ma la presenza di villaggi strutturati depone a favore di una sedentarietà
molto
precoce
e
precede nte
l’introduzione
29
dell’agricoltura .
Con l’espressione sickle gloss (o “lustro”) si indica una particolare usura lucida (gloss) presente su alcune lame in selce che erano inserite nei falcetti (sickle)
o nei coltelli da mietitura. Lo sfregamento ripetuto del margine tagliente della
lama sugli steli dei cereali, ricchi di particelle silicee, determina infatti
un’abrasione caratteristica dall’aspetto estremamente lucido (cfr. infra).
29 Tra le diverse prove della sedentarietà delle comunità natufiane vengono
spesso citate le sepolture all’interno dei villaggi. Si è inoltre osservato come, delle
due specie di topi che vivono ancora oggi nel Levante (Mus spicilegus e Mus musculus) quella selvatica (Mus spicilegus) evita le nicchie ecologiche disturbate
dalla presenza dell’uomo, nelle quali prospera invece il Mus musculus. Basandosi
sullo studio delle diverse dimensioni del molare inferiore delle due differenti specie, è stato possibile rilevare che dal Paleolitico antico sino al Natufiano in Israele
esistono solo topi selvatici, mentre proprio dal Natufiano in poi compare il Mus
musculus, che vive in una sorta di simbiosi con le comunità umane sedentarie.
(Tchernov, in BAR YOSEF &VALLA 1991).
La nicchia ecologica creata dall’uomo intorno ai suoi villaggi stabili avrebbe
attirato anche piccole popolazioni di lupi, che avrebbero assunto caratteri parti28
16
Quello che in passato era stato interpretato anche da Gordon
Childe come epifenomeno delle pratiche di produzione del cibo
verrebbe dunque a costituire piuttosto uno dei presupposti che determinarono l’adozione di tali pratiche30.
La sedentarietànon sarebbe dunque stata indotta dalla pratica
della agricoltura (che farà il suo ingresso p iù tardi), ma dalla ricchezza di risorse animali e vegetali fornite dall’ambiente, a sua volta favorita dal rialzo della temperatura e dell’umidità.
Una volta stabiliti, i villaggi hanno esercitato nelle loro vicinanze
una pressione alimentare sulla natura, ogniqualvolta i “prelievi”
hanno superato le capacitàdi rinnovamento dei territori.
Secondo una ipotesi determinista le comunitàpreistoriche sare bbero state costrette a ricorrere sempre più spesso a cibi che si ricostituivano velocemente, per esempio i semi delle piante erbacee
annuali e i legumi.
Nell’arco di due millenni la parabola natufiana si esaurisce e i
primi villaggi vengono abbandonati, compresi quelli nella regione
del Carmelo e della Galilea.
I gruppi neolitici non si insedieranno più nella zona mediterranea
del Levante, ma al margine delle steppe, lungo il medio corso
dell’Eufrate, nel bacino di Damasco e nella basse valle del Giordano31.
colari. Vi sono prove della domesticazione del cane da parte dei Natufiani, e della sua introduzione non solo nei villaggi ma anche nelle tombe (per esempio a
Mallaha). Il cane era dunque simbolicamente assimilato all’uomo (TCHERNOV &
VALLA 1997).
30 C AMPS 1985, pp. 241 e ss.
31 VALLA 2000.
17
LA DOMESTICAZIONE delle PIANTE
Anche la domesticazione delle piante, così come quella del bestiame, si configura come un processo di lunga durata, scandito da
una serie di tappe.
Alla fine dell’Ottocento, A. de Candolle individuò alcuni parametri utili ai fini dell’individuazione delle aree di origine delle specie
domestiche. Secondo questo studioso, perché un sito potesse essere identificato come nucleo originario della domesticazione dov evano essere soddisfatte cinque condizioni:
1. esistenza, allo stato selvatico, delle specie progenitrici di quelle domestiche;
2. clima mite;
3. temperature elevate almeno per una parte dell’anno;
4. presenza di insediamenti umani;
5. insufficienza delle altre risorse alimentari (caccia, raccolta
etc.).
Sulla base di questi elementi l’interesse dei ricercatori si concentrò soprattutto su alcune aree geografiche e, anche alla luce degli
studi più moderni, l’ipotesi di un’origine orientale dell’agricoltura è
confermata: i resti più antichi che attestano la raccolta di cereali
selvatici sono documentati nel Vicino Oriente, un’area caratterizzata da un clima particolarmente favorevole e da una grande abbondanza di risorse spontanee.
Il sito di Ohalo II, in Galilea, ha restituito semi di frumento, orzo e
lenticchie allo stato selvatico, risalenti alla fine del Paleolitico Superiore (ca. 20.000 a.C. in cronologia radiocarbonica calibrata)32.
Come si è visto, una forte intensificazione nella raccolta dei resti
spontanei si registra intorno a 12.500 a.C.
(cal.), in concomitanza
con il Natufiano. Molti siti
di questa cultura hanno
dato resti vegetali carbonizzati, altri invece
hanno fornito indizi indiretti della loro raccolta,
come lame di falcetto,
macine etc.
Macina e macinello
KISLEV ET AL. 1992, Epipalaeolithic (19,000 BP) cereal and fruit diet at Ohalo II,
Sea of Galilea, Israel, in “Review of Palaeobotany and Palynology, 73, pp. 161166.
W ILLCOX 2000.
32
18
Come si è detto, un indizio a volte interpretato a
favore di una raccolta intensiva di graminacee
spontanee è la presenza di lame di selce che
presentano una particolare usura lucida (“lustro”
o sickle gloss), attribuita al taglio degli steli dei cereali, ricchi di particelle silicee (fit oliti)33.
Al di làdella fossa foderata in calcare di Hay onim, non si hanno invece indizi sicuri in merito allo
stoccaggio dei prodotti selvat ici all’interno di
strutture sottoescavate (silos).
Esempio di lama in selce con usura lucida lungo il margine sinistro
(da Calani)
Esempi di falcetti. Le lame
litiche erano solitamente
montate in serie e l’analisi
della
dislocazione
e
dell’ampiezza dell’usura
lucida consente di ricostruire il tipo di immanicatura.
(da Calani)
I fitoliti sono corpi microscopici di silice, che formano lo scheletro di alcuni
vegetali e che non si alterano durante la decomposizione della pianta. La formazione dei fitoliti è dovuta al fatto che la membrana delle cellule dei tessuti funzionali delle piante si impregna di composti silicei.
È bene ricordare che attualmente il lustro presente sulle lame in selce non è
più ritenuto un valido indicatore della pratica della raccolta dei cereali; prove
sperimentali (ANDERSON 2000, p. 100) hanno infatti dimostrato che usure lucide,
analoghe al cosiddetto sickle gloss, si possono produrre anche mediante attività
di diverso tipo (lavorazione della pietra, dell’argilla, della pelle, etc.).
33
19
In seguito, in una fase compresa tra il 9500÷8000 a.C.
(cal.), si verifica il lento passaggio dalla raccolta intensiva di cereali selvatici alla loro
coltivazione e, probabilmente solo in seguito, alla loro
domest icazione.
Dalla mappa di distribuzione
dei siti tra 9000 e 8500 si può
vedere come essi siano situati lungo il cosiddetto “corridoio levantino” e come, a
seconda della loro ubicazione e del clima, prediligano
specie di cereali diverse.
In alcune località è stato
possibile recuperare resti di
malerbe caratteristiche (avena, centaurea, papaveri
etc.), che solitamente si sviCarta di distribuzione dei siti tra 9500 e
luppano accanto a specie
8000 a.C. (cal.) con la percentuale di
coltivate e in terreni preparapresenza dei diversi tipi di cereali (senza
distinzione tra specie domestiche e selti; il fatto che siano associate
vatiche)
a specie morfologicamente
(da Willcox, rielaborato)
ancora selvatiche induce a
ipotizzare che la coltivazione
di queste abbia preceduto la loro domesticazione34.
Il paleobotanico danese H. Helbaek, che ha studiato molti dei resti recuperati nel Vicino Oriente (es. Çatal Hüyük, Beidha, Tell - es
Aswan, Hacilar…), ha operato una distinzione tra i concetti di colt ivazione e di domesticazione: con il termine “coltivazione” si intende
infatti un’attivitàche (mediante preparazione del terreno, drena ggio, estirpazione delle malerbe etc.) altera l’ecologia nat urale, cercando di favorire la crescita di una o più specie, non necessariamente domestiche. Viceversa, la domesticazione consiste nella selezione di alcuni mutanti tra le specie selvatiche, che, mediante la
coltivazione, vengono protetti in modo speciale affinché non soccombano per selezione naturale. La domesticazione è stata definita anche come “un processo che ricorre per coltivazione in popolazioni di piante selvatiche e seminate in origine con semi raccolti
da piante selvatiche” 35. Ne consegue, dunque, che mentre una
W ILLCOX 2000.
G. C. HILLMAN & M. STUARD DAVIES 1992, Domestication rate in wild wheats and
barley under primitive cultivation: preliminary results and archaeological implications of field measurments of selecion coefficient, in “Préhistoire de l’agricolture”
(a c. di P. Anderson), monographie du C.R.A. n. 6, Paris, 1992, pp.113 e ss.
34
35
20
pianta coltivata non è necessariamente domestica, una pianta
domesticata è necessariamente colt ivata.
Questo processo arreca vantaggio a piante poco mutanti, che
sono prive delle caratteristiche (soprattutto riproduttive) necessarie
per la sopravvivenza allo stato selvatico e continua sino a quando i
tipi mutanti non dominano nella popolazione e quelli selvatici non
sono eliminati. Le specie domestiche divengono così dipendenti
dall’intervento umano per la loro sopravvivenza.
Il processo della domesticazione provoca dei cambiamenti nel
genotipo di intere popolazioni di piante (o di animali) ed è stato al
centro di un forte interesse scientifico già dal secolo scorso: risale
infatti al 1868 il saggio del naturalista inglese Charles Darwin On The
variation of animals and plants under domestication.
21
Differenze tra specie selvatiche e specie domestiche
Come si è detto, la domesticazione induce alcune modifiche a
livello di genotipo. I resti archeologici solitamente conservano tratti
morfologici diagnostici, sulla base dei quali è possibile distinguere gli
esemplari selvatici da quelli domestici. Esistono tuttavia specie in cui
la morfologia della pianta non cambia in modo significativo (o comunque le modifiche non risultano apprezzabili sulla base dei resti
che si conservano nei livelli archeologici).
Solitamente la determinazione viene effettuata osservando le v ariazioni anatomiche su resti macrobotanici e risulta più semplice per
i cereali, più complessa per i legumi. Anche lo studio dei fitolit i36
può fornire indicazioni utili: sembra infatti che quelli di alcune specie
domestiche risultino presentare dimensioni maggiori rispetto agli antenati selvatici.
Recentemente la ricerca dei caratteri domestici viene condotta
anche mediante un approccio biomolecolare, attraverso lo studio
del DNA.
Gli studi sulle origini dell’agricoltura nel Vicino Oriente hanno messo in evidenza la domesticazione (più o meno contemporanea) di
otto specie di piante, a partire da predecessori selvatici annuali autoimpollinanti:
SELVATICO
Triticum dicoccoides
DOMESTICO
Triticum turgidum
subsp. Dicoccum
Triticum boeoticum
Triticum monococcum
Hordeum spont aneum
Hordeum vulgare
Lens orientalis
Lens culinaria
Pisum humile
Pisum sativum
Cicer reticulatum
Cicer arietinum
Vicia ervilia
Vicia sativa
Linum bienne
Linum usitatissimum
Farro
Farricello
Orzo
Lenticchia
Pisello
Cece
Veccia
Lino
I fitoliti, derivanti dall’assorbimento di silice da parte della membrana cellulare, conservano l’impronta della cellula nella quale si sono formati e consentono
di identificare famiglia e genere vegetale di appartenenza.
36
22
Secondo D. Zohary37 durante la domesticazione le 8 specie,
comparate ai rispettivi progenitori, mostrano adattamenti paralleli
che si possono così sintetizzare:
• Mutamento nelle modalitàdi dispersione dei semi
Si tratta della novitàpiù significativa e carica di co nseguenze: nelle specie selvatiche la dispersione dei
semi avviene in momenti diversi e in modo irregolare,
in modo tale da garantire il successo riproduttivo. Gli
steli dei cereali selvatici presentano dunque un rachide fragile, che si spezza facilmente rilasciando i
semi che vengono poi dispersi dagli agenti naturali;
le leguminose selvatiche hanno baccelli deiscenti,
cioè che tendono ad aprirsi spontaneamente, mentre il lino selvatico è caratterizzato da capsule che si
rompono in modo automatico. Viceversa, le specie
domestiche sono caratterizzate da rachide più robusto, baccelli non deiscenti e capsule che non si dividono. In questo modo, per esempio, le spighe ritengono i loro semi sino al momento della mietitura (fat to che si traduce, per il coltivatore, in un raccolto più
abbondante).
•
Mutamento nella regolazione della germinazione
La germinazione ritardata e irregolare è una strat egia di sopravvivenza essenziale per la maggior parte
delle specie annuali. Nelle specie selvatiche si usano
meccanismi di “seed dormancy” (“letargo del seme” o “inibizione della germinazione”) per diffondere la germinazione in un certo lasso di tempo. Nelle
specie coltivate questi meccanismi si perdono e si
va verso una germinazione rapida e regolare.
•
Mutamento nelle dimensioni del seme
Nei legumi e nel lino coltivati si ha un netto aumento
delle dimensioni dei semi, mentre nei cereali essi
appaiono più rigonfi.
•
Mutamento del potenziale produttivo
Nelle specie domestiche i fiori diventano molto fertili,
aumentando le loro dimensioni o il numero di infiorescenze.
•
Sviluppo di forme relativamente rette o più robuste
adattate alla monocoltura, con distribuzione uniforme delle file di semi.
D. ZOHARY 1992, Domestication of the Neolithic Near Eastern crop assemblage, in “Préhistoire de l’Agricolture” (a cura di P. Anderson), monographie du CRA
n. 6, Paris, 1992, pp. 81 e ss.
37
23
Confrontando tra loro nel dettaglio forme domestiche e selvat iche di cereali è possibile osservare una serie di caratteri che presentano variazioni significative:
-
nei cereali selvatici il rachide maturo (fragile) si
disarticola nelle varie spighette che si autoimpiantano nel terreno. La disarticolazione avviene in modo graduale a partire dall’alto.
Nelle forme domestiche, al contrario, il rachide
(robusto) non riesce a segmentarsi da solo;
-
al contrario di quanto si osserva nelle forme
domestiche, la spighetta dei cereali selvatici è
dotata di caratteri che ne favoriscono
l’impianto nel terreno:
§ spine lunghe e flessibili dotate di barbe
retroverse;
§ glume a forma di freccia con barbe retroverse;
§ peluria retroversa sul rachide
§ cicatrice di disarticolazione liscia e smussata;
-
le spighette dei cereali domestici non sono sufficientemente protette dai predatori e stentano a riprodursi se impiantate in terreni non
preparati.
24
(da Hillman & Stuart Davies)
25
(da Hillman & Stuart Davies)
26
Moderni studi di genetica dimostrano che questi sviluppi necessitano di poche mutazioni: perché si abbia uno sviluppo verso una
maggiore ritenzione del seme, per esempio, è sufficiente la mutazione di un solo gene. Trattandosi di specie autoimpollinanti, la selezione ha effetto su mutazioni sia recessive che dominanti e bastano
pochi anni dalla comparsa della mutazione perché si abbia una
evidente modifica a livello di genotipo. È dunque molto probabile
che lo sviluppo di quest i tratti sia da leggere come il risultato di una
forma di selezione inconsapevole o automatica. Del resto, i mutanti
dovevano essere piuttosto rari, non facilmente distinguibili dagli
esemplari non mutanti e facile preda per gli uccelli. Solo quando la
percentuale dei mutanti aumentò sensibilmente essi dovettero apparire più evidenti e solo allora sarà stata loro applicata una sel ezione volontaria38.
Anche gli studi sperimentali di G. D. Hillman e di M. Stuart Davies39
hanno dimostrato come singoli fattori (come la modalitàe l’epoca
di mietitura) siano sufficienti per operare selezioni inconsapevoli di
individui dotati di particolari caratteristiche (per esempio di rachide
robusto o di semi più gonfi).
Dobbiamo quindi immaginare che i raccoglitori, privilegiando la
raccolta di cereali a chicchi più rigonfi e a spiga ancora integra,
abbiano effettuato una selezione inconsapevole di individui in cui
già si erano manifestate queste mutazioni; in segu ito, seminando
questi semi, avranno favorito la riproduzione di individui che presentavano questi caratteri vantaggiosi.
L’introduzione della domesticazione nel Vicino Oriente
Le più antiche evidenze di domesticazione dei vegetali provengono dal sito di Tell Abu Hureyra, lungo il medio corso dell’Eufrate, e
da Tell-Aswad, nel bacino di Damasco40: in queste due localitàs ono stati recuperati semi di farro e di orzo, ma anche di malerbe che
solitamente accompagnano le specie coltivate, datati in anni calendarici a 8500 BC ca. ( 14 C 7800 bc)41.
HILLMAN & STUART DAVIES 1992. Anche Darwin era dell’avviso che la domesticazione dei vegetali fosse il frutto di una selezione inconsapevole.
39 HILLMAN & STUART D AVIES 1992.
40 Secondo certi Autori alcune circostanze sembrerebbero indicare la
coltivazione dell’orzo nel sito di Netiv Hagdud (nella valle del Giordano) già a
patire da 8700 a.C., tuttavia non si hanno prove sicure al riguardo (SMITH 1998).
Recentemente, al convegno di Groningen del 1998, G. Hilllman ha segnalato
la presenza di segale ad Abu Hureyra databile a 10.700 a.C. (cal.) che potrebbe
essere di forma già domestica; si tratterebbe di un unicum in quanto gli altri cereali risultano in quel periodo ancora selvatici e forme di segale selvatica sono
state identificate nei siti di Jerf el Ahmar e di Mureybet (Siria) per un periodo successivo (9500 a.C. cal., cfr. W ILLCOX 2000).
41 Queste date si riferiscono a esemplari già pienamente domestici. È comunque probabile che vi sia stato un periodo di pre-domesticazione. Non tutti i tipi di
selezione privilegiano le forme a rachide resistente e questo si traduce in un ritardo nella domesticazione (HILLMAN & STUART DAVIES 1992).
38
27
Il tell di Abu Hureyra (Siria), occupato intensamente giàdal Mes olitico, è stato scavato a partire dai primi anni Settanta da Andrew
Moore. La tecnica della flottazione ha permesso di recuperare un
notevole assemblage di resti vegetali carbonizzati (studiati da Hillman), mentre con la setacciatura si sono raccolte decine di migliaia di frammenti di ossa identificabili.
La
lunga
durata
dell’occupazione del sito
ha consentito di notare interessanti variazioni in senso
diacronico. Si è così potuto
osservare che, mentre i livelli mesolitici erano carat terizzati da vegetali esclusivamente selvatici, già a
partire da quelli del Neolit ico Preceramico erano presenti cereali pienamente
domesticati,
accompagnati da piante infestanti
caratteristiche.
da Renfrew & Bahn 1991
L’introduzione delle prat iche agricole comportò una forte riduzione nello spettro delle risorse
alimentari di origine vegetale, che da 150 passarono a 8 42.
Lo studio dei resti animali ha invece messo in evidenza come, sia
nei livelli epipaleolitici/mesolitici che in quelli del primo Neolitico, la
fauna fosse dominata dalla gazzella (80% delle ossa recuperate).
Dunque, nel periodo in cui fu introdotta la coltivazione di piante
morfologicamente domestiche, la caccia giocava ancora un ruolo
cruciale nell’economia del sito; è infatti solo nel corso del VII millennio che si registra una brusca inversione, con un declino delle gazzelle (20%) e un forte aumento della capra/pecora (80%).
HILLMAN G. C., COLLEDGE S. M., HARRIS D. R. 1990, Plant-food economy during
Epi-Palaeolithic period at Tell Abu Hureyra, Syria: Dietary diversity, seasonality and
modes of exploitation, in “Foraging and Farming: The evolution of Plant Exploitation” (a cura di D. R. Harris & G. C. Hillman), Unwin Huyman, London.
42
28
Poco più recenti rispetto alle attestazioni di Abu Hureyra sono
quelle di Jericho, a cui fanno seguito, a qualche secolo di distanza,
quelle di Çayönü e di Ganj Dareh (cfr. tabella). È dunque possibile
osservare che le tracce più antiche di domesticazione dei cereali
sono concentrate nel cosiddetto “Corridoio Levantino”, che sembra costituire l’area della prima transizione all’agricoltura.
Sito
Regione
Netiv Hagdud
Valle del Giordano
Abu Hureyra
Medio Eufrate
Aswad
Bacino di Damasco
Jericho
Valle del Giordano
Çayönü
Mezzaluna fertile
Ganj Dareh
Monti Zagros
(da Harlan 1995; Smith 1998)
Data
8700 BC
8500 BC
8500 BC
8300 BC
8000 BC
8000 BC
Pianta
Orzo?
Farro, orzo
Farro, orzo
Farro, orzo
Farro
Orzo
Quest’area era caratterizzata da una grande abbondanza di
piante selvat iche, che ben si prestavano alla domesticazione: tra
queste, le piante erbacee con grani relativamente pesanti e voluminosi, la cui struttura genetica muta con facilità. L’orzo (diploide) è
la pianta che presenta la struttura più favorevole per la domesticazione e anche il farro si modifica con facilitàin forme a stelo rob usto.
(da Zohary & Hopf, rielaborata)
29
I primi agricoltori si sono dunque concentrati su piante che, come
dimostrano anche i moderni studi genetici, potevano essere facilmente domesticate: le tre specie più significative sono il Triticum dicoccum, l’ Hordeum vulgare e il Trit icum monococcum , tuttavia la
loro domesticazione è stata accompagnata dall’introduzione di
almeno 5 piante addizionali (lenticchie, piselli, lino, veccia e ceci).
•
Triticum Dicoccum (farro)
Se ne sono trovati vari semi nei livelli di abitazione di
Tell Aswad, a 25 km a SE di Damasco. È interessante
notare che negli stessi livelli non ci sono resti del progenitore selvatico (Triticum dicoccoides); il clima at tuale è infatti troppo arido per questa specie e probabilmente lo era anche 10.000 anni fa. È pertanto
probabile che al momento della sua introduzione
nel bacino di Damasco (non più tardi di 7800 bc), il
farro fosse già stato pienamente domesticato altr ove.
A partire dal 7500 bc (ca. 8800 BC cal.) si hanno resti
anche da Tell Abu Hureyra (Siria nordorientale) e da
un livello preceramico (PPN B) di Jericho.
•
Hordeum vulgare (orzo)
Sembra comparire nei livelli del Neolitico Preceramico (PPN A) di Netiv Hagdud nella valle del Giordano
(a Nord di Jericho) intorno a 7775 e a Gilgal tra
8000÷7800. Si tratta di attestazioni piuttosto controverse (cfr. supra): si sono recuperati semi e resti di internodi carbonizzati, che mostrano un frammento
basale di un internodo superiore ancora attaccato.
Si trattava dunque di orzo distico a rachide non fragile. Altri frammenti mostrano invece la tipica cicatrice
di disarticolazione e coincidono morfologicamente
con l’orzo spontaneo fragile (che ancora è presente
nella zona allo stato selvatico).
•
Triticum monococcum
Compare solo alla fine dell’ VIII millennio ed è documentato soprattutto nel VII. A Tell Aswad non ve
ne sono tracce nei livelli della fase I, mentre è presente nella fase II, risalente al VII millennio.
È documentato anche nei livelli PPN B di Jericho
(7300-6500), lontano dall’area di diffusione del suo
antecedente spontaneo, circostanza che fa propendere per una sua introduzione come forma già
domestica.
30
•
Lens culinaris (lenticchia)
Introdotta a partire dal VII millennio bc, presenta dimensioni del seme (2,5÷3 mm) abbastanza simili a
quelle della varietàspo ntanea ( Lens orient alis).
A Yiftah’el in Israele si è scoperto un deposito di
lenticchie (con 1.400.000 semi) in un livello del PPN B
datato a 6800 bc.
•
Pisum sativum (pisello)
Le prove della sua domesticazione sono solo indiret te, basate sulla texture del rivestimento del seme,
che risulta ruvida nelle specie selvatiche e liscia in
quelle coltivate.
Piselli a rivestimento liscio provengono da Çayönü
(6500 bc) e da Çatal Hüyük (5850÷5600 bc).
•
Linum usitatissimum (lino)
È riconoscibile dal tipo selvatico per le maggiori dimensioni del seme. È attestato a Tell Ramad, in Siria
tra 6250÷5950 bc e nella grotta di Nahal Hemar, presso il mar Morto, sono stati trovati resti di lino intrecciato in livelli del PPN B, datati alla seconda metàdel VII
millennio.
•
Cicer arietinum (cece)
Compare alquanto sporadicamente. A Jericho è
documentato intorno a 6500 bc, lontano dall’area
di diffusione della forma selvatica (che è endemica
della Turchia sudorientale).
•
Vicia ervilia (veccia)
Anche questa leguminosa compare raramente, ma
si trova in vari siti del Neolitico aceramico della Turchia meridionale.
Come si è visto, in molte aree l’assenza di progenitori selvatici induce a ipotizzare una provenienza alloctona per le specie domestiche coltivate. Questa interpretazione è particolarmente sostenuta
da D. Zohary, che esclude che vi possano essere state successive
domesticazioni di ciascuna specie, mentre è più probabile che si sia
avuta una diffusione di forme domesticate giàes istenti43.
ZOHARY D. 1996, The mode of domestication of the founder crops of Southwest Asia agriculture, in D. R. Harris, 00. 142-158.
43
31
LA DOMESTICAZIONE ANIMALE
La domesticazione degli animali prevede un controllo umano sui
loro meccanismi di accoppiamento e riproduzione, mediante la
pratica di incroci; esistono tuttavia forme di controllo del gregge
che non prevedono incroci selet tivi.
A differenza di quanto accade per le specie vegetali, è piuttosto
difficile indicare i cambiamenti fisici diagnostici indotti dalla domesticazione: la natura del record archeologico (che conserva generalmente solo ossi e denti) riduce molto le possibilità di analisi. Tra i
vari parametri proposti vi sono le dimensioni dei denti e della mandibola, ma queste potrebbero riflettere la naturale variabilitàtra i ndividui e non risultare in alcun modo probanti.
Alcuni studiosi hanno iniziato a studiare la microstruttura ossea
esaminando sezioni sottili degli ossi: l’analisi di alcuni campioni, provenienti da siti della Turchia, ha mostrato come l’ampiezza delle lacune interne, cioè delle cavità che formano la struttura cellulare,
fosse completamente differente tra specie selvatiche e specie domest iche.
Una prova dell’interferenza da parte dell’uomo può essere vista
nell’introduzione di animali domestici in aree in cui non vi sono forme indigene dei loro antenati selvatici. A complicare ulteriormente
il quadro vi sono però fenomeni di rinselvatichimento dopo una
prima domesticazione.
Un altro indizio, spesso utilizzato in passato come indicatore di
domesticazione, sarebbe costituito dall’alto tasso di individui giov ani nel record faunist ico. In realtàora è n oto che anche i predatori
tendono a concentrarsi sugli individui più deboli, dunque non si può
escludere che accumuli di resti faunistici di individui giovani o di sesso femminile sia dovuto all’opera di altri carnivori.
La domesticazione degli animali prende sicuramente avvio da
una millenaria promiscuitàtra u omo e prede e da forme di caccia
sempre più selettive nei confronti di determinate specie e di individui scelti in base al sesso e all’età. A poco a poco, a una riprod uzione casuale, realizzata all’interno di gruppi vari mantenendo
l’unità della specie, si sostituiscono degli incroci che gioc ano sulla
circolazione di un pool genico ridotto per selezione dall’uomo, determinando così dei cambiamenti morfologici a lungo termine. Si
tratta dunque di un fenomeno etologico prima ancora che economico.
Dopo quella del cane da parte dei Natufiani, si afferma la domesticazione dei caprovini , dei bovini e dei suini.
Resti di montone domestico sono attestati intorno al 7500 in una
vasta area del Vicino Oriente, dalla costa (Ras Shamra) alle terre
del corso superiore dell’Eufrate, ai margini della Mesopotamia. I focolai di domesticazione potrebbero essere stati vari e si hanno pro32
ve in questo senso per il nord dell’Afghanistan all’inizio dell’VIII millennio (grotta Köprük).
La domesticazione dei caprini è attestata in Iran occidentale a
Ganj Dareh a partire da 7800 a.C. e si hanno esempi anche in Palestina: a Jericho e a Beidha, ad Abu Hureyra sull’Eufrate
Si è sempre ipotizzato che la domesticazione animale fosse apparsa più tardi rispetto a quella delle specie vegetali e che quella
dei caprovini avesse preceduto quella del bue e del porco.
Recenti scavi sull’isola di Cipro, condotti da J. Guilaine nel sito di
Shillourokambos, mostrano invece un quadro differente: prima del
Neolitico sull’isola non erano presenti forme che possano essere st ate progenitrici di quelle che saranno poi le principali specie domestiche. Nel sito neolitico di Shillourokambos si sono invece rinvenuti
resti di porci, buoi, montoni, capre e daini. Sono stati inoltre portati
alla luce resti di palizzate che, con ogni probabilità, devono essere
interpretati come recinti per il bestiame. A quest’epoca (8200 ca.)
solo i suini presentano giàuna morfologia domestica, i bovini hanno
una taglia leggermente inferiore rispetto ai loro antecedenti selvatici, mentre capre e montoni sono ancora indistinguibili dal muflone
e dalla capra selvatica.
Tali osservazioni permettono di concludere che queste specie
erano giàa llevate prima di aver raggiunto un carattere domestico
morfologicamente evidente e che, probabilmente, il loro allev amento, che sull’isola è documentato a partire da 8200, deve essere
stato ancor più precoce sulla terraferma e, presumibilmente, va
collocato nella medesima fase in cui si iniziavano le prime pressioni
selettive su cereali e leguminose. Il caso di Cipro sembra inoltre capovolgere la tradizionale visione secondo la quale la domesticazione dei caprovini avrebbe preceduto quella di ovini e suini44.
44
GUILAINE 2000.
33
Le diverse ipotesi sull’origine dell’agricoltura
Come si è potuto osservare, la transizione dall’economia di caccia/raccolta verso le pratiche agricole comporta una serie di nuovi
rapporti tra uomo, territorio, vegetazione e fauna.
Nel 1989 D. R. Harris ha presentato un modello di transizione basato su 4 st adi45:
1. semplice procacciamento di cibo selvatico attraverso normali pratiche di caccia e raccolta;
2. mantenimento di popolazioni vegetali in territori incolti; semi
di piante selezionate, con caratteristiche desiderabili, vengono introdotti in nuovi habitat ; cattura e mantenimento di animali;
3. coltivazione con sistematica preparazione del terreno; comparsa di nuovi genotipi, che soddisfano in modo più efficace i
bisogni umani;
4. agricoltura.
Quest’ultima, a sua volta, presuppone una serie di attivitàprincipali:
- propagazione
- allevamento
- raccolta
- stoccaggio.
Una volta ricostruite le tappe, occorre spiegare per quale motivo
sia stato intrapreso il cammino che ha condotto alla produzione del
cibo mediante le pratiche agricole: i confronti etnografici dimostrano infatti che esse non sono né meno faticose né molto più produt tive rispetto alle attivitàdi raccolta 46.
Le proposte fatte sono molte e, di volta in volta, chiamano in
causa motivazioni di natura ambientale, economica, culturale etc.
Secondo alcuni Autori l’origine dell’agricoltura andrebbe ricercata negli squilibri indotti dal brusco raffreddamento del clima durante la fase del Dryas recente dell’ultima glaciazione. Secondo
l’ipotesi formulata dapprima da R. Pumpelly nel 190847 e accolta
anche da Gordon Childe nel 193548, l’estinzione dei grandi mammiferi (mammut, rinoceronte lanoso etc.) e il generale degrado climatico (inaridimento) avrebbero costretto i cacciatori/raccoglitori, le
piante e gli animali a ritirarsi in poche “oasi” ricche di risorse e, so45 HARRIS D. R. 1989, An evolutionaruy continuum of people-plant interaction, in
“Foraging and farming: the Evolution of Plant Exploitation” (a cura di Hillman e
Harris), London.
46 REDMAN C.1978, The rise of Civilization: from Early Farmers to Urban Society in
the Ancient Near East, San Francisco, W. H. Freeman and Company
47 P UMPELLY , 1908.
48 GORDON C HILDE V. 1935, New Light on the Ancient Near East, London, Routledge and Paul.
34
prattutto, di acqua (es. le valli del Nilo, del Tigri e dell’Eufrate). La
forzata prossimitàavrebbe portato a forme di ada ttamento entro
l’ecosistema, che sfociarono poi nella domesticazione vegetale e
animale (“teoria dell’oasi”)49.
Si deve invece a R. J. Braidwood l’ipotesi della “nuclear zone”:
secondo questo Autore, che negli anni Cinquanta era impegnato
negli scavi a Jarmo50, l’agricoltura sarebbe infatti nata in un’area
precisa, quella della Mezzaluna fertile, tra l’Anatolia e l’Iran, dove
già dal tardo Pleistocene conv ivevano piante e animali selvatici
potenzialmente domesticabili. Abbandonando dunque l’idea di un
impulso di natura climatica, l’ipotesi di Braidwood riconosceva
meccanismi culturali e strategie innovative di procacciamento del
cibo già nel Paleolitico Superiore. Nei primi tempi post -glaciali la
ricchezza delle risorse avrebbe gradualmente favorito la sedentarietà e quest’ultima avrebbe facilitato l’osservazione del comportamento, dei meccanismi e dei cicli di riproduzione e crescita di
piante e animali. Dopo un periodo di sperimentazione (incipient
agriculture) si sarebbe passati a un’economia di tipo pienamente
agricolo. Uno dei limiti del modello di Braidwood consiste tuttavia
nella mancata spiegazione del perché l’agricoltura fu introdotta in
quel preciso momento e non in un altro: l’Autore sosteneva che, in
precedenza, non fossero ancora maturate le necessarie premesse
culturali per raggiungerla. Nel dibattit o tra Braidwood e Gordon
Childe entrò anche quello sulle datazioni dei siti di Jarmo e di Jer icho: una maggiore antichità del primo (ubicato nel Kurdistan ir aqueno) rispetto al secondo avrebbe infatti avvalorato l’ipotesi di
Braidwood, viceversa la maggiore antichità di Jericho, ubicato in
un’oasi della valle del Giordano, avrebbe confermato la teoria
dell’oasi51.
Un altro noto modello, proposto da Cohen nel 197752, pone
l’accento sulla pressione demografica: la nascita dell’agricoltura
sarebbe dovuta a una crisi alimentare, in risposta alla quale i cacciatori-raccoglitori avrebbero dovuto adottare strategie di gestione
del cibo più efficaci. Non ci sono però prove in tale senso e anche i
49 “… Le condizioni di incipiente inaridimento alle quali abbiamo accennato
avranno fornito uno stimolo verso l’adozione di un’ economia di produzione del
cibo. La concentrazione forzata presso le rive di corsi d’acqua e l’affioramento di
sorgenti avrà comportato una ricerca più intensiva di mezzi di nutrimento. Animali
e uomini si saranno radunati insieme in oasi che stavano diventando sempre più
isolate da tratti di deserto. Questa giustapposizione forzata avrà promosso quella
sorta di simbiosi tra uomo e animale implicata nel termine “domesticazione”. E in
Afrasia piante nobili e animali adatti per la domesticazione crescevano selvatici,
pronti per l’uomo” (GORDON C HILDE 1954, New Light on the Most Ancient East).
50 cfr. infra
51 cfr. Infra.
52 C OHEN M. N. 1977, The food Crisis in Prehistory: overpopulation and the origins
of Agriculture, New Haven, Academic Press.
35
resti scheletrici umani non sembrano presentare tracce di una significativa degenerazione nella salute delle comunità di cacciatori raccoglitori preneolitici.
A questi modelli interpretativi deterministi, di stampo ancora positivista, è riconducibile anche quello proposto dallo st orico inglese A.
J. Toynbee53, secondo il quale i principali progressi dell’umanitàs arebbero il risultato di meccanismi di sfida e risposta (challenge and
response). Secondo questo e altri Autori è proprio nelle aree in cui le
specie selvatiche sono meno rappresentate che il “colpo d’avvio”
dell’agricoltura ha potuto essere determinante, allorché l’uomo,
per bisogno, ha dovuto cercare di supplire alle carenze della nat ura: vengono interpretate in questo senso le testimonianze del sito di
Beidha, nell’area inospitale del Negev, o di Ali Kosh, nel Khuzistan. Al
contrario, altri studiosi sottolineano come i primi esempi di domest icazione provengano da aree caratterizzate da una grande abbondanza di specie selvatiche (come nel caso delle controverse
attestazioni di Netiv Hagdud o di Tell Aswad).
Lo sviluppo delle pratiche agricole potrebbe essere stato favorito
dall’incremento nell’umidità (fattore climatico), mentre alcuni st udiosi hanno proposto interpretazioni in chiave religiosa e culturale
(per esempio la prat ica di banchetti competitivi tra gruppi rivali).
Come si vedrà in seguito, a proposito del Neolitico europeo, le
opinioni degli studiosi sono divise anche in merito alle motivazioni e
alle modalitàdi diffusione dell’agricoltura a partire dai centri gen etici dell’Asia sudoccidentale.
53
TOYNBEE A.J., A Study of History, 1947-1957.
36
Il Neolitico Preceramico (9500-7000 BC)
La domesticazione delle specie vegetali e animali è dunque avvenuta gradualmente, in una fase giàNeolitica, successiva alla s edentarizzazione e precedente l’introduzione della ceramica.
Nel villaggio di Jericho, ai livelli inferiori, natufiani, si sovrappongono due livelli neolitici privi di ceramica (Jericho I e Jerico II).
Come si è detto in precedenza,
questa sequenza stratigrafica suggerì all’archeologa Kathleen Kenyon di inserire tra Natufiano e
Neolitico propriamente detto un
“Neolitico Preceramico” ( Pre Pottery Neolithic), suddiviso in due fasi (A
e B), corrispondenti alle fasi Jericho
I e Jericho II.
L’archeologa inglese K. Kenyon (19061978). Insieme al suo maestro, Sir. M.
Wheeler, fu tra i pionieri dello scavo
stratigrafico.
Il PPN A (9500-8700 BC)
Nell’arco di 800 anni, tra 9500 e 8700 a.C., tre culture coeve (Mureybetiano, Aswadiano e Sultaniano), eredi del Natufiano, risultano
aver praticato (forse in modo del tutto indipendente) le prime esperienze agricole. Si tratterebbe semplicemente della semina di grani
prelevati da cereali selvatici e di pratiche di diserbamento, volte a
favorire la germinazione dei semi. I prodotti così ottenuti non presentano caratteri particolari e distintivi rispetto alle specie selvatiche
e solo 1000 anni più tardi si potranno osservare caratteri pienamente domest ici54.
Durante questa fase (PPN A) l’indust ria litica è ancora simile a
quella natufiana, ma abbandona progressivamente il microlitismo. I
villaggi sono costituiti da case a pianta circolare e ospitano sepolt ure con defunti rannicchiati, nelle quali sono attestate anche prat iche di deposizione secondaria (per esempio dei crani). In campo
artistico si diffondono le figurine femminili.
Jericho I
Ubicato in un’oasi nella valle del Giordano, circa 16 km a NW del
Mar Morto, il sito di Jericho (l’attuale cittadina di Tell Sultan) presenta una potente stratigrafia che attesta una occupazione pressoché
continua per diversi millenni. Alla base della stratigrafia del saggio E
si trovano strati del Natufiano (per una potenza complessiva di circa
4 metri), a cui si sovrappone il Neolitico Preceramico A (8350-7370
54
W ILLCOX 1999. STOURDEUR 2000, p. 36.
37
bc)55, evidenziato anche nei saggi I e II, immediatamente al di sopra dello sterile. In questa fase il villaggio, molto più ampio di quelli
precedenti (circa 4 ettari), venne circondato da un muro di pietra
alto quasi 4 m (spessore medio 3 m), che si è potuto seguire per circa 8 metri e che risulta essere stato
frequentemente rimaneggiato.
A questa struttura era collegata la
grande torre di pietra, del diametro
di 10 m per 8,5 m di altezza, munita
di una scala interna. Secondo una
recente ipotesi (Bar-Yosef) la funzione di questa potente struttura non
sarebbe di natura difensiva/militare
ma, piuttosto, protettiva nei confronti
delle inondazioni causate da un vicino torrente56. Le capanne dislocate
all’interno avevano una pianta circolare, erano leggermente infossate
nel terreno ed erano state edificate
con mattoni di argilla a sezione piano-convessa. L’economia si basava
sulla coltivazione di frumento, orzo e
lenticchie, mentre
la parte più consistente della comLa torre di Jericho
(dal sito:
ponente proteica della dieta era
www.ancientnearast.tripod.com )
costituita da specie selvatiche, tra
cui gazzella, cinghiale e capra.
Una serie di recinzioni costruite in
prossimitàdella torre ha fatto pens are alla presenza di granai per lo
stoccaggio comune dei cereali; si dovrebbe in questo caso ammettere la produzione di un surplus di alimenti utile a sfamare una
comunità n umerosa, nell’ambito della quale alcuni individui pot evano essere impegnati nella realizzazione di grandi infrastrutture
(come il muro e la torre) e quindi svincolati dalla produzione del cibo.
55 Le prime datazioni radiometriche furono ottenute quando la tecnica del 14C
era ancora agli albori e vengono oggi scartate come imprecise (6850 ± 160 bc;
6775 ± 210 bc). Ulteriori determinazioni sono state effettuate dai laboratori del British Museum (BM) e di Philadelphia (p), utilizzando campioni provenienti dalle
stesse fasi. Le date delle due serie risultano però differire di 500÷600 anni. La fase
immediatamente seguente la costruzione del muro e della torre è datata 8350 ±
500 bc (BM-250) e 8300 ± 200 bc (BM-105), mentre a Philadelphia si è ottenuta
una data 7825 ± 110 bc (p-378). Si dispone poi di una serie di date per la fase
finale del PPN A: 8350 ± 200 bc (BM-106), 8230 ± 200 bc (BM-110), 7705 ± 84 bc (p379). Le differenze tra le determinazioni ottenute nei due laboratori sono verosimilmente legate a un diverso trattamento di preparazione dei campioni (MOORE).
56 L’ipotesi, suggerita dall’archeologo israeliano O. Bar-Yosef, tende a escludere che si possano riconoscere tracce di militarizzazione nella società neolitica. La
guerra non farebbe dunque parte del “pacchetto neolitico".
38
Durante il PPN A i morti erano sepolti in posizione rattratta
all’interno di fosse scavate circa 1 m al di sotto del livello pavimentale delle abitazioni, secondo una prassi che, come si visto, era già
in vigore dal Mesolitico.
Sono attestate pratiche rituali che r ivelano una particolare attenzione per i crani dei defunti: in un caso sette crani erano stati posti
intorno a un ottavo, in un altro caso vari gruppi di tre crani ciascuno
erano stati sepolti vicini. Una terza attestazione consisteva in vari
crani infantili, associati a uno scheletro infantile completo.
La cultura materiale del villaggio del PPN A era costituita da
strumenti in selce e in osso, oggetti di ornamento, macine e asce in
pietra.
Il PPN B (8700-7000 BC)
Con il PPN B si registrano il consolidamento dell’economia agricola e l’inizio della domesticazione animale, che (almeno secondo
l’ipotesi tradizionale) inizialmente coinvolge solo capre e montoni,
poi anche bue e porco57.
Le case sono ora prevalentemente di forma rettangolare e i rituali funerari risultano più complessi, prevedendo, tra l’altro, la modellazione del cranio (es. Jericho, Aï n Ghazal).
Jericho II
Dopo l’abbandono il sito di Jericho non fu occupato per vari secoli, sino al PPN B (datato 7220-5850 bc)58.
Le abitazioni di questa fase presentano una pianta rettangolare, con pavimenti in terra battuta scottata e pareti intonacate.
Erano costruite con mattoni di
argilla a facce parallele con
spigoli smussati, talvolta su fondazioni in pietra. Le stanze, piut tosto ampie, erano disposte intorno a un cortile e suddivise da
tramezzi.
(dal sito: http://www.mcc.cc.fl.us/)
Una costruzione separata dalle altre, con una nicchia aperta nella parete terminale, nei pressi della quale è stato trovato un pilastro
di roccia vulcanica, è stata interpretata dalla Kenyon come tem57 HELMER ET AL. 1998. Sulla cronologia della domesticazione animale si veda infra a proposito di Cipro.
58 Le date radiocarboniche ottenute per il livelli di PPN B sono di difficile interpretazione. Anche in questo caso i laboratori coinvolti sono due (British Museum e
Philadelphia). I laboratori del British Museum hanno fornito sei date: 7220 ± 200 bc
(BM-115), 6760 ±150 bc (BM-253) = PPN B medio. Anche in questo caso le datazioni ottenute a Philadelphia risultano più giovani: 7006±103 bc (p-382). In generale si può pensare che il villaggio sia stato impiantato intorno a 7000 bc e occupato sino a 6500 bc o poco oltre.
39
pio, anche se non si hanno indicazioni precise. Dal punto di vista
economico si registra una maggiore varietà e incidenza delle sp ecie coltivate ed è probabile che la pecora fosse giàdomesticata.
I defunti erano sepolti al di sotto delle abitazioni o nel riempimento di edifici abbandonati. Le tombe erano spesso collettive e in alcuni casi i cadaveri risultavano disarticolati e privi del cranio.
Sotto la pavimentazione di una casa si
è trovato un deposito di sette crani da
cui erano state rimosse le mandibole e
che erano stati ricoperti di gesso modellato in modo realistico, a riprodurre
le sembianze del defunto.
Due conchiglie (es. Ciprea) erano
collocate
nelle orbite oculari. Questi
(dal sito :
http://courses.unc.edu/clar0
crani e altri analoghi (in tutto una de47/sg1Neol.html
cina) sono stati recentemente attribuiti
a individui adulti di sesso maschile.
La pratica della modellazione del cranio è attestata solo a Jericho, Tell Ramad, Aï n Ghazal e Beisamun.
L’industria litica è varia e, oltre agli strumenti in selce scheggiata,
presenta macine e pestelli, martelli, lisciatoi, recipienti scavati nel
calcare tenero locale, pesi da telaio.
Tra i reperti più significativi di questa fase si annovera una serie di figurine antropomorfe stilizzate in gesso e in argilla. Come per i crani modellati, anche
in questo caso gli occhi erano spesso
costituiti da valve di conchiglie.
(dal sito: http://www.mcc.cc.fl.us/)
Dopo il PPN B c’è uno iato nell’occupazione del sito, che riprenderà a essere occupato nel tardo Neolitico e durante l’etàdel R ame.
A partire dalla sua fase media, il Neolitico Preceramico B conosce una rapida diffusione59 e con il PPN recente, intorno a 7500
a.C., si può dire che le società dell’Asia sudoccidentale siano già
pienamente neolitiche: l’economia agricola è ormai diffusa in tutto
Risale a questo periodo, per esempio, la colonizzazione dell’isola di Cipro da
parte di comunità che vi introdussero alcune specie animali in via di domestic azione (cfr. infra)
59
40
il Vicino Oriente, dai Monti Zagros (Jarmo, Karim Shahir) all’Anatolia
(Hacilar).
Come si è visto in precedenza, il sito
pluristratificato di Qualat Jarmo, nel
Nord dell’Iraq (Kurdistan iraqueno),
fu oggetto di scavi pluridisciplinari
da parte di una équipe guidata da
Braidwood: su un’area di 140 x 80 m
si scavò un deposito dello spessore
di 7 m, costituito dai resti di sedici
insediamenti successivi. Negli undici
livelli più antichi (PPN) si trovarono
in media venticinque abit azioni per
ogni
fase, caratterizzate da una
(da Hawks)
pianta rettangolare (analoga a
quelle di Jericho II) e da strutture infossate, interpretabili come silos
e focolari. L’economia del sito era basata sulla coltivazione di orzo
e di farro (Tr. dicoccum ) sicuramente addomesticati e lungamente
selezionati. I resti della cultura materiale consistono in macine, asce
in pietra levigata, statuette fittili crude, stampi e sigilli in terracotta,
mentre non è attestato l’uso della ceramica per la produzione del
vasellame, che continua a essere fabbricato in pietra.
Nel sito di Hacilar sono stat i messi in luce set te livelli di Neolitico Preceramico (datati intorno
al 7000 a.C.). Qui i villaggi erano cost ituiti da
case rettangolari con
fondazioni in pietra, formate da un solo ambiente e da cortili contenenti silos e focolari.
Sono presenti tracce di
coltivazione di orzo e
lenticchie ma non di allevamento.
(da Mellaart)
Verso la fine del periodo le societàrisultano m eglio organizzate e
strutturate in villaggi sempre più grandi, con capanne di forma
standardizzata e con costruzioni di prest igio.
41
LA CERAMICA
Intorno al 7000 il processo di Neolitizzazione può dirsi ormai completato: con l’adozione della ceramica risultano infatti presenti tutti i
caratteri (economici, tecnologici, sociali) del Neolitico.
La scoperta della ceramica è legata alla conoscenza del fuoco
e delle sue proprietà, affinatasi nel corso dei millenni. La produzione
di vasellame è senza dubbio preceduta da una lunga fase preparat oria, durante la quale si era iniziato a sperimentare, forse in modo
accidentale, il risultato del surriscaldamento di superfici in terra bat tuta o di intonaci argillosi. La produzione della ceramica risulta del
resto successiva rispetto a quella di statuine fittili, giàdocumentate
nel PPN (es. Jericho, Mureybet, Aswad etc.) ed eccezionalmente
presenti addirittura nei complessi gravettiani dell’Europa Orientale
(es. Dolní Vestonice, in Moravia)60.
A Mureybet la fase di sperimentazione è giàprecocemente d ocumentata nel X millennio, con la produzione di figurine in argilla,
ma non sembra dare esiti immediati. Nell’area siro-palestinese, dove esisteva una lunga tradizione nella produzione di vasi in pietra, la
transizione alla ceramica avviene solo all’inizio del VII millennio.
All’inizio del periodo, tra 7000 e 6500, l’adozione della ceramica
non è ancora generalizzata e in alcuni villaggi si continuano a produrre recipienti in pietra, calce e gesso.
Le prime attestazioni di stoviglie plastiche sono quelle di una terraglia di colore biancastro (vaisselle blanche), modellata con una sorta di calcina calcarea non sottoposta a cottura61. Questo tipo di produzione non può ancora
considerarsi ceramica, sia perché non è ricavata da argilla, sia perché non è cotta.
I primi esemplari di veri e propri vasi in terracotta provengono da Tell Mureybet (Siria;
sull’Eufrate): si tratta di piccoli vasetti cilindrici
con decorazione incisa.
(da Guilaine)
60 Le più antiche ceramiche sono note in Giappone intorno all’XI millennio, in
contesti caratterizzati da un’economia ancora di tipo predatorio, basata su caccia, pesca e raccolta, ma in fase di incipiente neolitizzazione Anche nell’Africa
sahariana la ceramica, che si colloca nell’VIII millennio, risulta precedere
l’introduzione dell’agricoltura. L’origine della ceramica nel Vicino Oriente non ha
legami con queste attestazioni più antiche e deve essere considerato come un
fenomeno di convergenza.
61 Recipienti di questo tipo sono presenti, per esempio, a Byblos, in Libano.
C AMPS G., La Prehistoire, 1982 ; BALFET M., LAFUMA H., LUNGUET M., TERRIER P. 1969, Une
invention néolithique sans lendemain. Vaisselles précéramiques et sols enduits de
quelques sites du Proche-Orient, in « Bulletin de la Société préhistorique
française », 66, pp. 188-192 ; DE C ONTENSON H., COURTOIS L. C., A propos de vases
en chaux. Recherches sur leur fabrication et leur origine, in « Paléorient », 5, 1979,
pp. 177-181.
42
Anche in questo caso l’invenzione rimase senza seguito e i livelli
superiori risultano ancora aceramici. La definitiva affermazione di
culture provviste di ceramiche si ha intorno al 6000 a.C. ( Ramad III,
5930 ± 55; Bouqras III, 5990 ± 60).
La ceramica si sviluppa e si diffonde molto rapidamente nel Vicino Oriente, propagandosi anche verso il Mediterraneo. La velocità
della diffusione fa pensare a una origine poligenica.
Sull’origine della ceramica e sulle motivazioni della sua adozione
esistono ancora molti dubbi. Di fatto essa appare successivamente
alla sedentarizzazione, ma in una fase molto tardiva. È stata messa
in relazione con l’agricoltura e anche con la necessità di avere
contenitori resistenti al fuoco per la cottura dei cibi (che peraltro
poteva avvenire anche in recipienti di cuoio o di legno mediante
pietre riscaldate, pratica confermata da alcuni confronti etnografici).
Il Neolitico ceramico
Accanto a comunità sedentarie sono att estati gruppi di pastori
nomadi, soprattutto nelle zone più aride delle steppe desertiche. Si
sono identificate diverse culture locali, che tuttavia non risultano
ancora ben conosciute.
Come si è detto, nel corso dell’VIII millennio, gruppi di agricoltori
preceramici dell’area siro-palestinese intrapresero la colonizzazione
dei territori sudorientali dell’Anatolia.
Proprio in quest’area è ubicato il sito di Çatal Hüyük.
Çatal Hüyük
Questo tell, che domina la piana di Konya nella Turchia
meridionale, fu esplorato da J. Mellaart negli anni Sessanta e
durante gli scavi venne alla luce un esteso villaggio (dell’ampiezza
di circa 12÷13 ettari). Il tell aveva una potenza di circa 17 m e
comprendeva 12 livelli abitativi. Quelli più antichi si collocano a
cavallo tra VIII e VII millennio e i più recenti risalgono alla fine del VII
millennio. A ttualmente non si conoscono livelli preceramici.
L’economia del villaggio
era ampiamente basata
sull’agricoltura
(orzo,
cereali vari e leguminose),
probabilmente irrigua, sull’
allevamento di caprini e
sulla caccia ad alcune
specie selvatiche: cervi,
cinghiali e stambecchi.
L’importanza del sito era
anche legata allo sfruttamento e al commercio
(da Mellaart)
della ossidiana anatolica.
43
La cultura materiale è dunque principalmente costituita da industria litica su selce e ossidiana, da strumenti in pietra levigata, vasi di
legno e panieri, mentre nelle fasi più antiche l’uso della ceramica è
ancora sporadico.
I caratteri più singolari del villaggio sono legati alla sua architettura e al suo singolare impianto urbanistico: le case erano addossate
le une alle altre, senza che vi fossero strade intermedie. Si è dunque
ipotizzato che l’accesso avvenisse dall’alto, attraverso scale e terrazze.
Per la costruzione si erano utilizzati mattoni crudi. Pitture e rilievi
con figure femminili in atto di partorire e teste di toro, statuette muliebri in pietra, figurine fittili maschili o animali hanno suggerito
l’ipotesi che alcuni ambienti fossero adibiti a pratiche di culto.
(da Mellaart)
(dal sito: http://inform.umd.edu
(da Mellaart)
44