Neolitico - ArcheoServer

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1. il CONCETTO di NEOLITICO
1.1 Il Neolitico come entità tassonomica
All’inizio del XIX secolo la periodizzazione della Preistoria si
basava sul cosiddetto “sistema
delle Tre Età”. Messo a punto
dallo studioso danese Christian
Thomsen1, esso prevedeva una
successione di tappe caratterizzate rispettivamente dall’uso
della pietra, del bronzo e del
ferro. Le scoperte dei decenni
seguenti indussero l’archeologo
britannico Sir John Lubbock a
creare un’ulteriore suddivisione
nell’ambito dell’età della Pietra.
Nel suo saggio Prehistoric Times,
del 1865, egli introdusse infatti
per la prima volta i concetti di
Paleolitico e di Neolitico2, caratterizzando le due epoche in
termini essenzialmente tecnoloci. Il Paleolitico (o “età della pieChristian Thomsen
tra antica”) risultò dunque essere
il periodo nel quale erano in uso strumenti in pietra scheggiata, in
opposizione al Neolitico (o “età della pietra recente”), durante il
quale fu introdotta quella levigata. Questa divisione veniva avvalorata anche dai dati paleontologici, poiché il Paleolitico aveva conosciuto la diffusione di faune pleistoceniche (cioè dell’era glaciale), poi estinte e dunque assenti nei complessi neolitici.
Successivamente, grazie all’opera dell’archeologo australiano V.
Gordon Childe, fu possibile precisare meglio i caratteri del Neolitico
e comprendere appieno la sua portata innovativa, non solo dal
punto di vista tecnologico (es. introduzione della pietra levigata e
della ceramica) ma, soprattutto, sul piano economico (transizione
da un’economia parassitaria di caccia e raccolta a modalità di
produzione del cibo) e sociale (processi di sedentarizzazione delle
comunità e di stratificazione interna della società).
Il sistema delle tre età fu utilizzato dal Thomsen a partire dal 1812 per la sistemazione e l’edizione delle collezioni archeologiche danesi del Museo Reale di
Copenhagen e fu pubblicato nel 1836.
2 Il termine “Mesolitico” è invece di origine poco più recente e il suo uso sistematico risale all’inizio del XX secolo. Questo periodo andava a colmare lo iato, la
cesura tra Paleolitico e Neolitico che si era precedentemente ipotizzata.
1
1
1.2 Elementi di
l’Olocene
geocronologia
e
paleoclimatologia:
Come si è detto in precedenza, il Neolitico ricade nell’era postglaciale, definita come “Olocene”.
Già nell’Ottocento alcuni studiosi osservarono che l’era del Quaternario (cioè il periodo nel quale tuttora viviamo, che si caratterizza
soprattutto per la comparsa e l’evoluzione del genere Homo) poteva essere divisa in due grandi periodi, con caratteri climatici e ambientali del tutto differenti: fu definito Pleistocene il periodo delle
grandi glaciazioni, mentre con il termine di Olocene venne indicato
il periodo post-glaciale.
Gli studi successivi condotti in Europa, basati essenzialmente sulle
alterazioni morfologiche determinate dall’espansione dei ghiacciai
alpini, permisero di riconoscere per il Pleistocene una serie di distinti
episodi di raffreddamento (o periodi glaciali), che Penck e Brückner denominarono convenzionalmente Günz, Mindel, Riss e
Würm3. Questi risultavano intervallati da fasi di relativo riscaldamento (o periodi interglaciali es. Mindel/Riss, Riss/Würm).
Con il progredire degli studi, e in particolare con le analisi palinologiche, è stato possibile dettagliare meglio il quadro climatico, riconoscendo nell’ambito di ciascuna glaciazione un andamento intermittente tra episodi “stadiali” (particolarmente freddi e aridi e
marcati da una preponderanza di polline non arboreo o NAP, “non
arboreal pollen”) e “interstadiali” o “oscillazioni” (con temperature
più miti, indicate anche dalla predominanza di polline arboreo o
AP, “arboreal pollen”).
Gli studi più recenti, basati sull’analisi degli isotopi dell’ossigeno in
alcuni campioni prelevati da fondali oceanici o dalle calotte glaciali, hanno sostanzialmente complicato il quadro climatico del
Quaternario, rilevando per gli ultimi 2 milioni di anni una successione
di più di venti oscillazioni di temperatura o “stadi isotopici” (OIS)4 .
Secondo la cronologia tradizionale l’Olocene inizia nell’era postglaciale, in concomitanza con il primo periodo di riscaldamento
successivo all’ultima glaciazione, che le datazioni radiocarboniche
collocano tra 10.200 e 8.700 bp (before present). Alcuni studiosi
hanno peraltro proposto di retrodatare l’inizio di tale periodo al pri3 PENCK & BRÜCKNER 1909. Successivamente furono riconosciute glaciazioni più
antiche, denominate Donau e Biber.
4 Questi studi si basano sulla misurazione dei rapporti percentuali tra gli isotopi
16O e 18O fissati nei gusci dei foraminiferi contenuti nelle colonne stratigrafiche
prelevate mediante carotaggi profondi. Questo rapporto (δ 16O/18O) è un ottimo
indicatore della temperatura: nei periodi interglaciali, infatti, quando per effetto
del disgelo gli oceani sono più vasti (trasgressione marina), le acque contengono
una grande quantità dell’isotopo “leggero” dell’ossigeno (16O); viceversa, nelle
fasi fredde si hanno fenomeni di regressione marina e, mentre l’isotopo leggero
resta intrappolato nei ghiacci, le acque si arricchiscono dell’isotopo “pesante”
18O. SHACKLETONE E OPDYKE 1973.
2
mo effettivo rialzo della temperatura durante la cd. oscillazione di
Allerød, comprendendo dunque nell’Olocene anche il successivo
periodo freddo e arido denominato “Dryas recente”. In questo modo l’inizio dell’Olocene dovrebbe essere collocato tra 11.800 e
10.800 bp. Per convenzione si è tuttavia soliti fissare l’inizio
dell’Olocene a 8.050±150 a.C., cioè a 10.000 bp.
Il rapporto δ 16O/18O in
alcune carote oceaniche
Variazioni di temperatura tra Pleistocene e
Olocene
3
La fine delle glaciazioni fu marcata dallo scioglimento dei ghiacci, con una riduzione della grande calotta polare (inlandsis) e dei
ghiacciai alpini, dal conseguente innalzamento del livello dei mari
con arretramento della linea di costa, dall’aumento delle precipitazioni. Naturalmente questi cambiamenti climatici ebbero un impatto notevole sull’ecosistema, determinando l’estinzione o la diversa
dislocazione di alcune specie faunistiche e l’introduzione di diversi
paesaggi vegetazionali.
La periodizzazione interna dell’Olocene fu elaborata per la prima
volta dal norvegese A. Blytt, che, basandosi sullo studio delle torbiere del Nord Europa, registrò l’alternarsi di fasi umide (cioè di accrescimento delle torbe) e aride (indicate dalla pedogenesi della torba). Furono così individuati quattro periodi :
BOREALE
ATLANTICO
SUB-BOREALE
SUB-ATLANTICO
Arido
Umido
Arido
Umido
Lo svedese R. Sernander, collaborando con il palinologo Van
Post, correlò le fasi di tale sequenza con i mutamenti del livello dei
mari e con quelli climatici riscontrabili mediante le analisi polliniche.
zona
pollinica
IV
Periodo
Clima
PREBOREALE
Freddo/arido
V-VI
BOREALE
Caldo/arido
VIIa
ATLANTICO
Caldo/umido
VIIb
SUB BOREALE
Caldo/arido
VIII
SUB
ATLANTICO
Freddo/umido
Epoca
Bp
100009500
Bc/ac
8300-6800
bc
9600-8500
a.C.
9500-7000 6800-5500
bc
8500-6400
a.C.
7000-5000 5500-2700
bc
6400-3350
a.C.
5000-2500 2700-700
bc
3350-800
a.C.
2500- …
IX-VIII sec
a.C.
Da 800 a
a.C.
Il periodo Preboreale (8300-5800 bc) si caratterizza per un clima
ancora freddo e secco e la vegetazione dell’Europa settentrionale
4
è caratterizzata da tundra, pino silvestre e betulla. Tra Preboreale e
Boreale (6800-5500 bc) la temperatura aumenta progressivamente,
le calotte glaciali diminuiscono la loro ampiezza e il livello del mare
si innalza5. In questo periodo si assiste alla grande espansione del
nocciolo, pianta termofila (cioè adatta a climi temperati), che migra verso nord a partire dalle aree mediterranee.
Nel successivo periodo Atlantico, all’interno del quale ricade il
Neolitico, si instaurano condizioni climatiche calde e umide. In una
prima fase (Atlantico antico, 5500-4000 bc) si registrano ancora oscillazioni fresche o fredde, mentre nell’Atlantico recente (4000-2700
bc) si affermano condizioni particolarmente propizie, che determinano il cosiddetto “optimum climatico”. Grazie all’aumento delle
precipitazioni si diffondono i boschi di latifoglie e si ha la massima
diffusione del “querceto misto” (cioè di quell’associazione formata
da olmo, quercia, tiglio e ontano), nonché un innalzamento in quota dei limiti di bosco.
Andamento delle temperature oloceniche
(da Schönwiese 1995)
Diagramma pollinico (da Van Post)
È probabilmente in questa fase che la zona a nord del delta del Po, ancora
emersa durante il Preboreale, viene invasa dalle acque.
5
5
1.3 La “Rivoluzione Neolitica”
La prima storica sintesi sulla portata delle innovazioni (tecnologiche, economiche, sociali…) che accompagnarono la comparsa
dei primi agricoltori si deve all’archeologo e teorico australiano V.
Gordon Childe.
Nato a Sidney nel 1892, professore di
Archeologia a Edimburgo (1927-1946) e
poi direttore dell’Institute of Archaeology
dell’Università di Londra (dal 1947 sino alla
morte, avvenuta per suicidio quando si
gettò da una scogliera nell’ottobre 1957),
Gordon Childe si occupò della preistoria
e protostoria europea, mettendo a fuoco
gli apporti delle civiltà del Vicino Oriente e del Mediterraneo che avrebbero
fornito il loro contributo all’“alba” della
civiltà europea6. Nelle sue opere individuò almeno due grandi svolte nella storia
Vere Gordon Childe
dell’umanità prima della Rivoluzione Industriale: la “rivoluzione
neolitica”,
basata sull’introduzione
dell’agricoltura, e quella “urbana”, che vide la nascita della città.
Il progresso più evidente nel passaggio da Paleolitico e Mesolitico
a Neolitico fu, secondo Gordon Childe, di natura economica: da
un’economia di caccia e raccolta, cioè di tipo parassitario/predatorio, si passò a un’economia imperniata sulla produzione
organizzata del cibo mediante coltivazione di alcune specie vegetali e domesticazione di alcuni animali. Le comunità del primo Neolitico avrebbero ricercato una maggiore garanzia di sicurezza economica sottraendo le basi del loro sostentamento alimentare al capriccio della Natura e affidandosi a una collaborazione con
quest’ultima, volta ad aumentare la produttività delle piante commestibili e a favorire la riproduzione degli animali.
Le nuove risorse alimentari e la loro relativa sicurezza avrebbero
indotto un rapido incremento demografico che, mutatis mutandis,
sarebbe paragonabile solo a quello verificatosi nell’Inghilterra della
Rivoluzione Industriale. La pratica dell’agricoltura avrebbe inoltre
contribuito a “radicare” le comunità al territorio favorendo la sedentarietà e la costruzione di grandi villaggi, destinati a ospitare
comunità piuttosto consistenti.
Il termine “rivoluzione” adottato da Gordon Childe,
nell’evidenziare la carica straordinariamente innovativa e gravida
di conseguenze del fenomeno, ne sottolineava la relativa rapidità
di affermazione. Gli studi successivi hanno tuttavia dimostrato che
queste innovazioni hanno avuto conseguenze la cui portata giustifica l’idea di una vera e propria “rivoluzione”, benché essa non si
6
V. GORDON CHILDE 1925 (2a ed. 1939), The Dawn of European Civilization.
6
sia configurata come fenomeno improvviso e inaspettato ma, piuttosto, risulti elaborata durante una lunga fase preparatoria. Appare
infatti sempre più evidente che le diverse innovazioni non comparvero simultaneamente ma, piuttosto, per stadi, in una evoluzione
lenta e graduale. Per questo motivo al concetto di una “rivoluzione
neolitica” è a poco a poco subentrato quello di un lento processo
di “Neolitizzazione”:
«Nelle regioni di invenzione i diversi elementi del complesso neolitico sono stati elaborati progressivamente, gli uni dopo gli altri, nel
corso di un’evoluzione senza contrasti, che vede il naturale prolungarsi dei complessi culturali preesistenti. Al contrario, il termine “rivoluzione” può essere applicato legittimamente nelle regioni che non
hanno partecipato a questo processo formativo, nelle quali il Neolitico è stato introdotto come un insieme globale, coerente e strutturato, rendendo talvolta quasi indistinguibili gli eventuali accenni
di un’evoluzione locale verso i nuovi modi di vita»7.
Una volta riconosciuti i tratti distintivi del periodo, la riflessione si è
spostata sulle modalità di diffusione di tali caratteri da uno o più
centri genetici. Questo dibattito si inseriva nel contesto delle speculazioni teoriche che hanno caratterizzato il pensiero antropologico
e archeologico del XX secolo e che si sono concentrate soprattutto
sull’interpretazione dello sviluppo e della trasmissione culturale.
J. LECLERC E L. TARRÊTE 1991 (1988), Neolitico, in “Dizionario di Preistoria”, diretto
da A. Leroi-Gourhan, Torino, Einaudi.
7
7
2. Il NEOLITICO del VICINO ORIENTE
2.1 Introduzione
Nella ricostruzione di Gordon Childe la “Rivoluzione Neolitica” avrebbe visto l’introduzione di una serie di innovazioni, tecnologiche
e culturali, indicata spesso con l’espressione di “pacchetto neolitico”:
• selezione di piante locali a ciclo annuale sino a renderle domestiche, ricavando vari tipi di orzo, frumento e lino;
• domesticazione di pecore, capre, bovini e suini;
• predisposizione di arnesi per mietere;
• allestimento di strutture per l’immagazzinamento del raccolto
e per la sua trasformazione;
• introduzione della ceramica;
• relativa stabilità dell’insediamento;
• forme incipienti di stratificazione sociale.
Secondo un modello interpretativo determinista, la maggiore
complessità sociale era letta come fenomeno conseguente la sedentarietà, acquisita, a sua volta, grazie alla pratica della agricoltura.
AGRICOLTURA
e PASTORIZIA
SEDENTARIETÀ
ATTREZZATURE
AGRICOLE
CERAMICA
COMPLESSITÀ
SOCIALE
Gordon
Childe
intuì
che
l’epicentro della Rivoluzione Neolitica doveva essere localizzato
nell’Asia sudoccidentale, in un’area
favorita da particolari condizioni
La Mezzaluna Fertile
ambientali, che si estende dall’Iran
alla Palestina, alla Turchia meridionale (la cosiddetta “Mezzaluna Fertile”); solo in un secondo momento le novità si sarebbero diffuse in Europa.
8
A riprova di questa interpretazione veniva indicata una serie di
fattori:
• la mancanza di specie spontanee di frumento selvatico che
potessero essere considerate antenate di quelle coltivate nel
Neolitico portava a escludere che la domesticazione dei vegetali fosse avvenuta in Europa8;
• la loro presenza nell’area della Mezzaluna Fertile faceva supporre che la domesticazione dei cereali si fosse sviluppata
per la prima volta nell’Asia sudoccidentale;
• considerazioni analoghe venivano proposte per la domesticazione della capra/pecora9;
• le più antiche attestazioni di pratiche agricole, risalenti al Preboreale e al Boreale (cioè a periodi in cui l’Europa era ancora caratterizzata dai complessi mesolitici) erano localizzate in
Asia sudoccidentale (es. Gerico I e II).
In assenza di pratiche di irrigazione, i terreni esaurivano presto il
loro potenziale, costringendo così le prime comunità di contadini a
forme di agricoltura mobile e alla continua ricerca di suoli vergini
da dissodare. Proprio questo fattore avrebbe contribuito alla diffusione del Neolitico in aree diverse. Lo spostamento delle comunità
non fu l’unico dei modelli invocati per spiegare l’origine
dell’agricoltura in Europa, per la quale l’Autore non escluse l’ipotesi
dell’adozione da parte di ex cacciatori/raccoglitori convertitisi a
una forma economica più vantaggiosa10.
Le ipotesi di Gordon Childe furono messe alla prova nel secondo
dopoguerra mediante una serie di spedizioni e di ricerche multidisciplinari, che coinvolsero diverse aree della “Mezzaluna fertile”,
dalle pendici dei Monti Zagros a quelle dei Monti Tauri, alla costa
mediterranea: R. J. Braidwood condusse le sue ricerche in Iraq, F.
Hole in Iran, K. Kenyon e J. Perrot in Palestina, J. Cauvin e H. de Contenson in Siria e J. Mellart in Turchia.
A queste conclusioni era giunto nel 1948 Robert J. Braidwood, dell’Oriental Institute di Chicago. Egli ipotizzò per la prima volta che le origini dell’agricoltura
andassero ricercate nelle aree in cui esistevano forme selvatiche antenate delle
specie coltivate (RENFREW & BAHN 1991, p. 242; BRAIDWOOD & HOWE, 1960). Solo nei
Balcani meridionali esisterebbe un tipo di frumento selvatico spontaneo, antenato del Triticum monococcum, cioè del meno redditizio dei cereali, coltivato nel
Neolitico solo in associazione con forme di qualità superiore (come il Triticum dicoccum e derivati, i cui antecedenti selvatici sono presenti solo nell’area della
Mezzaluna fertile, insieme a monococcum e a orzo selvatico).
9 La distinzione tra i due generi (Ovis e Capra) sulla base dei soli resti scheletrici
che si rinvengono nei livelli archeologici è molto difficile se non impossibile: capra
e pecora si differenziano infatti principalmente per il diverso numero di cromosomi, per le diverse ghiandole olfattive, per la presenza o assenza della “barbetta”.
Per questo motivo si preferisce parlare genericamente di “capra/pecora” o di
caprovini.
10 V. GORDON CHILDE 1957, op. cit.
8
9
L’interesse per gli aspetti paleoeconomici favorì lo sviluppo di metodi di indagine sempre più sofisticati, che, per esempio, prevedevano la raccolta di resti organici (botanici e microfaunistici)
mediante la flottazione11. Il sito pluristratificato di Qualat Jarmo, nel
Nord dell’Iraq, fu indagato da Braidwood e da una équipe di vari
specialisti (geomorfologi, palinologi, paleobotanici, archeozoologi
etc.) e presto divenne uno dei principali punti di riferimento per la
ricostruzione del clima, oltre che per lo studio della domesticazione
delle specie vegetali e animali. Su un’area di 140 x 80 m si scavò un
deposito dello spessore di 7 m, formato dai resti di sedici insediamenti successivi. Negli undici livelli più antichi si trovarono in media
venticinque abitazioni per ogni fase, caratterizzate da una pianta
rettangolare e da strutture infossate interpretabili come silos e focolari. L’assenza di suppellettili ceramiche permise di inquadrare tali livelli nel Neolitico cd. Preceramico12.
Nel frattempo nell’area levantina (Libano, Siria, Israele, Giordania) venivano scoperti villaggi pre-agricoli della cultura “natufiana”13 che dimostravano come la sedentarietà avesse preceduto la
coltivazione e l’allevamento, mentre gli scavi stratigrafici condotti
da Kathleen Kenyon durante gli anni Cinquanta a Jericho (l’odierna
Tell Sultan, nella valle del Giordano) confermavano l’esistenza di
almeno due stadi neolitici caratterizzati da un’economia produttiva
ma privi di ceramica (Neolitico Preceramico o PPN = Pre Pottery
Neolithic)14. Ancora una volta si tratta di un sito pluristratificato, identificato alla base di un tell15, circostanza particolarmente propizia per la ricostruzione di una sequenza cronologica delle tappe
che scandirono la comparsa del Neolitico.
Lo studio delle sequenze stratigrafiche e le datazioni radiometriche che si andavano ottenendo per i diversi livelli indagati in vari siti
del Vicino Oriente modificarono almeno in parte la ricostruzione di
Gordon Childe: da un lato emergeva in modo sempre più chiaro
come, in alcune aree, i diversi elementi del “pacchetto neolitico”
fossero apparsi scaglionati gradualmente e non contemporaneaIl procedimento della flottazione è finalizzato al recupero di resti organici di
dimensioni molto piccole, che sfuggirebbero all’occhio dello scavatore. Esso
consiste nel rimescolamento in acqua di campioni di sedimento: durante
l’operazione i resti organici, grazie al loro basso peso specifico, galleggeranno sulla superficie dell’acqua e potranno così essere schiumati mediante un setaccio a
trama più o meno fitta.
12 Cfr. infra.
13 Cfr. infra.
14 Cfr. infra.
15 Il termine “tell” in arabo indica una collina artificiale. Si tratta di rialzi di terreno di natura antropica (determinati cioè dall’uomo) caratteristici dell’Asia occidentale e dell’area balcanica, formatisi per la ripetuta sovrapposizione di livelli di
abitato e dall’accumulo del materiale di scarico e di disfacimento delle abitazioni.
11
10
mente; dall’altro si osservava come la sedentarietà avesse preceduto di qualche millennio l’introduzione dell’agricoltura.
Il quadro attuale mostra una situazione estremamente complessa, dalla quale emerge come per il Vicino Oriente sia opportuno
parlare di un lento processo di Neolitizzazione, che probabilmente
ha avuto più di un focolaio di origine16, mentre solo in aree in cui il
Neolitico risulta essere un fenomeno di importazione si può parlare
di una vera e propria “rivoluzione”, con adozione contemporanea
di tutte le principali novità previste dal “pacchetto”.
Tra i vari elementi innovativi se ne sono di volta in volta selezionati alcuni, a cui è stato attribuito un particolare rilievo. Per alcuni studiosi il carattere distintivo del Neolitico consisterebbe in una serie di
cambiamenti sociali e ideologici, evidenziati da nuovi rituali, oggetti
rituali e dall’architettura funeraria17. Altri hanno posto l’accento su
caratteri tecnologici (es. comparsa di una nuova tecnologia nella
lavorazione della pietra, introduzione della ceramica…). Per altri
ancora si tratterebbe semplicemente di uno stadio evolutivo delle
società umane.
Il carattere politetico della definizione di Gordon Childe (accentuata diffusione culturale, vita sedentaria, domesticazione di piante
e animali, introduzione della ceramica e della pietra levigata) la
rende poco operativa; per questo motivo alcuni hanno preferito utilizzare come principale parametro indicatore della Neolitizzazione il
passaggio a un’economia di tipo agro-pastorale.
Resta ancora irrisolta la questione in merito all’esistenza di uno o
più focolai di origine per questi fenomeni: il corso del Medio e Alto
Eufrate deve aver giocato un ruolo importante, dal momento che
in questa regione si può osservare una evoluzione graduale e senza
interruzioni dalla fase più antica del Neolitico Preceramico (PPN A)
sino alla comparsa della ceramica mentre, come si vedrà, la situazione nell’area palestinese presenta dei momenti di cesura che lasciano spazio alle ipotesi di una diffusione di taluni elementi a partire dalle terre del Nord18.
GUILAINE 2000.
CAUVIN 1994.
18 GUILAINE 2000.
16
17
11
2.2 Le tappe del processo di neolitizzazione
Secondo una recente sintesi il processo di neolitizzazione del Vicino Oriente può essere suddiviso in sei tappe19:
PERIODI
TAPPE della NEOLITIZZAZIONE
5
8500-7500 BP
Comparsa della ceramica nella “Mezzaluna fertile”
Culture aceramiche (PPN B finale) nelle zone desertiche
Nomadismo agro-pastorale
Diffusione verso il deserto e l’Europa (mediterranea e
centrale)
4
7500-7000*
8500-8000 BP
PPNB recente
3b
8200-7500*
9200-8500 BP
PPN B medio
3°
8700-8200*
9500-8500 BP
PPN B antico sull’Eufrate
Nuove specie vegetali domestiche: frumento, orzo
svestito, lino
Aumento demografico generalizzato
Diffusione del Neolitico verso il litorale e l’Anatolia occidentale
Architetture rettangolari standardizzate
Cereali e leguminose domestiche ovunque
Domesticazione di capra, montone, bue, porco
Diffusione del PPN B verso il Levante meridionale
Case rettangolari, nuovo armamento
Agricoltura predomestica
Persistenza del PPN A nel Levante meridionale
2b
PPN A: Sultaniano, Aswadiano, Mureybetiano
9500-8700*
Grandi villaggi con capanne rotonde
10000-9500 BP Prime strutture rettangolari sull’Eufrate
Agricoltura predomestica sull’Eufrate (Mureybetiano)
Diffusione del Mureybetiano verso l’Anatolia sudorientale
2°
10000-9500*
10200-10000
BP
1
12000-10000*
12200-10200
BP
* = a. C. calibrate
19
KHIAMIANO
Prime punte di freccia
Caccia-pesca-raccolta diversificate
NATUFIANO del LEVANTE
Primi villaggi sedentari in fosse rotonde
Strumentario microlitico
Caccia-pesca-raccolta diversificate
(da Aurenche et al. 1981)
AURENCHE ET AL., 1981 ; HOURS ET AL., 1994.
12
6000
7000
8000
9000
10000
11000
12000
BP
PLEISTOCENE
OLOCENE
Oscillazione Dryas
Optimum climatico
di Allerød
Recente
Miglioramento
climatico
Freddo
secco
secco
+
-
SEDENTARIETA’
MANIPOLAZIONE
LEGUMINOSE
CEREALI
e
PASTORALISMO
PPN B
PN B
Neolitico Preceramico
PN A
PPN A
Mesolitico
PPN C
NATUFIANO
CERAMICA
Neolitico ceramico
Dalle tabelle sopra proposte risulta chiaro che la prima conquista
fu quella della sedentarietà, da parte delle comunità mesolitiche
del Natufiano; questa fu seguita poi dalla transizione alla coltivazione delle specie vegetali e, successivamente, alla domesticazione di
quelle animali nel Neolitico Preceramico. Al termine di questo processo si colloca invece l’adozione della ceramica, nel Neolitico Ceramico.
13
2.2.1 Il “Corridoio levantino” tra tardo Pleistocene e primo Olocene
Si è soliti indicare come “Corridoio Levantino” un territorio (attraversato dal fiume Giordano) che si estende per una lunghezza di circa
1100 Km (in senso NS) e per
un’ampiezza da 250 a 350 km. La
topografia dell’area è contraddistinta da una stretta pianura costiera, due file continue e parallele di
montagne, che delimitano una rift
valley, e un altopiano che digrada
verso est, attraversato da corsi
d’acqua che presentano il medesimo orientamento.
Il clima della regione è caratterizzato da una marcata stagionalità, con inverni rigidi e piovosi ed estati calde e asciutte. La posizione geografica e i caratteri climatici determinano una certa variabilità nelle associazioni vegetali e faunistiche: dalla macchia mediterranea, estremamente ricca di piante commestibili ma con una
scarsa biomassa animale, a paesaggi di tipo steppico, più ricchi dal
punto di vista faunistico. Tra le specie animali più diffuse si possono
annoverare vari tipi di gazzella (Gazella gazella e gazella subgutturosa), il Bos primigenius, un tipo di daino (Dama mesopotamica), il
capriolo (Capreolus capreolus) e il cinghiale selvatico (Sus scrofa).
La capra selvatica (Capra aegagrus) è rara e occupa aree aperte,
mentre lo stambecco (capra ibex) è diffuso nei paesaggi rocciosi e
aridi.
Il record paleoclimatico disponibile per l’area permette di ricostruire una sequenza in cui si alternano fasi umide e secche: al clima
freddo e arido dell’ultimo massimo glaciale (20000 – 14500 BP ca.)
seguì un significativo aumento delle precipitazioni (tra 14000 e
13500 BP). In questo periodo le comunità di cacciatori/raccoglitori
del cosiddetto “Kebariano”, che nei periodi aridi erano stanziate solo lungo la fascia costiera e nelle oasi, poterono espandere il loro
territorio in aree precedentemente desertiche ora trasformate in
steppe. Vari indizi (come la presenza di mortai in pietra) sembrano
suggerire il trattamento di alimenti di natura vegetale e una maggiore stabilità nell’insediamento.
Il Dryas recente (11000-10000 BP ca.) riportò condizioni di aridità,
mentre all’inizio dell’Olocene (10300 BP ca.) si sarebbe riaffermata
una certa piovosità che, tra l’altro, avrebbe indotto un graduale in-
14
nalzamento del livello del mare e un arretramento delle linee di costa20.
2.2.2
La sedentarietà e il Natufiano (12.500-10.000 BC)
La civiltà Natufiana21, diffusa nel “Corridoio Levantino” tra 12.500 e 10.000 a.C.
(14C cal.), è una cultura mesolitica particolarmente evoluta che, per molti versi, preannuncia quella “Capsiana”
che si svilupperà circa 2000
anni dopo lungo le coste del
Nord Africa.
Rispetto ad altre culture
del Mesolitico, quella Natufiana dell’area del Carmelo
e della Galilea si caratterizza
per la presenza di grandi villaggi di capanne rotonde o
ovali con piccoli muretti di
sostegno e pavimento spesso lastricato (es. Aïn Mallaha
in Israele, Abu Hureyra e Tell
Mureybet in Siria, Rosh Zin,
Rosh Horesha).
L’area è geograficamente e climaticamente disomogenea e la
sedentarietà natufiana sembra dettata da una particolare forma di
adattamento all’ambiente. Non tutti i siti si prestavano a questa
forma di insediamento che, di fatto, risulta limitata solo al Levante
mediterraneo e forse alla sola Galilea e all’area del Carmelo. Queste aree risultano dominate da foreste di querce e pistacchi, con
un sottobosco formato da erbe con alte frequenze di cereali selvatici.
Questo nuovo modo di vita, sedentario, deve essere risultato in
qualche modo attraente perché popolazioni vicine si sforzassero di
imitarlo, adattandolo a condizioni ambientali molto meno favorevoli rispetto a quelle mediterranee che lo avevano inizialmente permesso22.
Distribuzione dei siti natufiani
(da Bar-Yosef 1998)
BAR-YOSEF 1998.
Il Natufiano, definito per la prima volta da Garrod e Neuville sulla base di ritrovamenti effettuati nelle grotte del Monte Carmelo e nei colli della Giudea,
prende nome dal sito eponimo di Wadi Natuf, in Palestina.
22 V ALLA 2000.
20
21
15
L’ampiezza degli insediamenti è varia: da piccoli agglomerati di
capanne estesi su aree inferiori ai 100 mq si arriva sino a grandi villaggi di più di 1000 mq.
Le abitazioni sono costituite da edifici seminterrati (pit-houses) di
forma circolare o a “C”, con diametro variabile da 3 a 6 m, fondazioni in pietra e alzato in legno e frasche.
Nel Natufiano antico di Aïn Mallaha le abitazioni sono a pianta circolare o semicircolare (diam. 5÷7 m),
seminterrate, molto ampie (circa 25
mq), allineate in modo regolare.
Tra le unità abitative meglio conservate si può ricordare la capanna
131: le sue dimensioni sono maggiori
rispetto a quelle delle altre abitazioni
(diam. 9 m ca.) ed è caratterizzata
da un perimetro in pietra, da una fila
di buche di palo concentrica rispetto al filare di pietre, da diversi focolari e da varie concentrazioni di manufatti.
Aïn Mallaha: i livelli superiori.
Planimetria e sezione
(da Bar-Yosef 1998)
Aïn Mallaha: la casa 131 in fase
di scavo
(da Valla)
Aïn Mallaha: la casa 131. Alzato e planimetria
(da Bar-Yosef 1998)
Esempio di strutturazione interna di
una capanna di
Aïn Mallaha. È possibile osservare la
presenza di un focolare, mortai e
pestelli, di una rifiutaia e di una sepoltura multipla in un
pozzetto adiacente
all’ ingresso dell’
abitazione.
16
Le capanne della Grotta e del Terrazzo di Hayonim risultano invece addossate le une alle altre in prossimità dell’apertura di una
grotta, secondo una planimetria “agglutinata”. Il loro diametro va
da 2,5 a 3,5 m e sono costruite con pietre disposte a secco. Ciascuna contiene uno o due focolari.
I siti del tardo Natufiano hanno restituito informazioni meno complete: si tratta comunque di abitazioni a pianta circolare o subcircolare. Nel Natufiano recente di Mallaha le case sono più numerose e di ampiezza minore: la maggior parte di esse copre infatti meno di 10 mq. Nelle case sono presenti fosse adibite a sepolture, focolari e mortai.
Nella fase finale si accentua la
tendenza a costruire capanne di
dimensioni minori (7÷10 mq), che
richiedevano un minor dispendio
di risorse.
Aïn Mallaha: le case 200-208 e 203
(da Valla)
In tutti gli abitati del nucleo centrale dell’area natufiana sono state rinvenute sepolture scavate in abitazioni abbandonate o al di
fuori di quelle occupate.
Si tratta di tombe singole o multiple in
cui gli inumati erano deposti in posizione
supina, flessa o semiflessa. Il corredo era
costituito da diademi, collane, bracciali,
cinture, orecchini e pendenti ricavati da
conchiglie marine, osso, denti di animali
e perle. Nella fase tarda del Natufiano si
osserva il fenomeno della deposizione
secondaria del cranio. Un altro fenomeno interessante è quello della deposizione di cani accanto agli inumati, documentato in una tomba di Aïn Mallaha e
in una di Hayonim.
Tomba natufiana con cane da Aïn Mallaha
L’industria litica è caratterizzata da microliti geometrici tipicamente mesolitici (segmenti e triangoli) ricavati da lame e lamelle
17
con la tecnica del microbulino e derivanti dal precedente Kebariano geometrico, localizzato tra Israele, Libano, Siria e Giordania.
Sono presenti anche nuove tipologie di strumenti, come i “picconi” bi- o trifacciali e le lame di falcetto con usura lucida (sickle
gloss)23, utilizzate per la raccolta di cereali. Occorre ricordare che lo
strumentario natufiano comprendeva anche oggetti in pietra di
grosse dimensioni, come mortai e recipienti di varia tipologia. Le
analisi microscopiche hanno dimostrato che il loro utilizzo poteva
essere legato al trattamento di materie vegetali o per la macinatura dell’ocra.
Molto ricca è anche l’industria in osso-corno, spesso riccamente
decorata.
Tra gli oggetti d’ornamento si possono citare una serie di conchiglie di molluschi del Mediterraneo o del Mar Rosso, ma talora anche di provenienza esotica (Oceano Atlantico e Nilo), pietre verdi e
malachite. L’esistenza di traffici a lungo raggio è confermata dalla
presenza di ossidiana anatolica nei contesti tardo natufiani di Aïn
Mallaha.
Con l’espressione sickle gloss (o “lustro”) si indica una particolare usura lucida (gloss) presente su alcune lame in selce che erano inserite nei falcetti (sickle)
o nei coltelli da mietitura. Lo sfregamento ripetuto del margine tagliente della
lama sugli steli dei cereali, ricchi di particelle silicee, determina infatti
un’abrasione caratteristica dall’aspetto estremamente lucido (cfr. infra).
23
18
Manufatti natufiani in pietra
scheggiata o levigata e in osso.
1.
2.
3.
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17.
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19.
20.
21.
22.
23.
24.
segmento tipo Helwan
segmento
triangolo
microbulino
microbulino
troncatura
perforatore
bulino
lama di falcetto tipo Helwan
lama di falcetto a ritocco erto
piccone
punta in osso
punta in osso
manico di falcetto decorato
pendente in osso
pendente in osso
pendente in osso
pendente in osso
pendente in osso
spatola in osso decorata
pestello
mortaio
mortaio profondo in basalto
punta di Harif
(da Bar-Yosef 1998)
Oggetti d’arte natufiani (provenienze varie)
(da Bar-Yosef e Noy)
Teschio del Natufiano antico di ElWad con diadema in tubicini di
Dentalium (da Bar-Yosef 1998).
J. Cauvin, che ha scavato il sito di Tell Mureybet, ha potuto osservare che i villaggi sono ubicati nei punti di cerniera tra più territori
19
con risorse alimentari complementari. Essi prediligono inoltre grotte
precedute da terrazzi e situate vicino a sorgenti (es. Aïn Mallaha,
grotta di Hayonim, El Ouad, Nahal Oren…)24.
Nella zona inospitale del Negev si preferiva l’insediamento su alture, per sfruttare terreni più umidi (es. Erq el-Ahmar, Rosh Zin). In
questi casi i siti sembrano tuttavia riflettere aggregazioni stagionali
di gruppi costretti a disperdesi periodicamente per insufficienza delle risorse25.
L’economia si basava prevalentemente sulla caccia, sulla
pesca, sulla raccolta di molluschi e crostacei e su quella di
cibi vegetali, tra cui semi di cereali selvatici e leguminose. Ci si
è chiesti se i Natufiani non avessero iniziato ad addomesti- care
le gazzelle, una delle prede
preferite nei grandi villaggi del
Carmelo e della Galilea, e se
non
siano stati i primi coltivatori
Frequenza dei resti di mammiferi nei
di cereali.
siti Natufiani e Neolitici
Oggi la prospettiva è mutata
(da Bar-Yosef 1998)
e pare che i Natufiani non abbiano praticato una domesticazione delle gazzelle ma, piuttosto,
una caccia intensiva e forse eccessiva.
Accanto a resti di gazzelle si trovano quelli di daino, cervo, bue,
capriolo, cinghiale, stambecco, onagro, volpe, coniglio e vari uccelli, forse cacciati mediante trappole. Migliaia di vertebre di pesce
rinvenute a Mallaha evidenziano il ruolo importante della pesca e
la dieta natufiana prevedeva anche il consumo di tartarughe, serpenti, lucertole e molluschi. I resti faunistici mostrano dunque
un’economia predatoria orientata verso uno spettro di risorse quanto più vasto e vario possibile. Anche la pratica della frantumazione
delle ossa per l’estrazione del midollo (che non è praticata presso le
comunità di allevatori) depone a favore della caccia piuttosto che
della domesticazione26.
Le risorse vegetali non si conservano altrettanto bene nei livelli
archeologici ma erano verosimilmente ricercate con la stessa cura
con cui si ricercavano quelle animali. Resti di vegetali carbonizzati
sono stati recuperati in molti siti natufiani (Mureybet, Abu Hureyra,
Hayonim etc. ): ad Abu Hureyra e a Mallaha sono documentati resti di mandorle e pistacchi, ad Hayonim alcuni legumi (lupini, lenticchie, piselli) e alcuni cereali (soprattutto grani d’orzo).
HENRY 1988.
VALLA 2000.
26 L’unica prova di domesticazione è quella del cane (cfr. infra).
24
25
20
Nel passato si è molto insistito sull’uso dei cereali da parte dei Natufiani. Prove indirette di un utilizzo intenso dei cereali erano ravvisate nella presenza di pezzi di selce con lustro (sickle gloss), dei cosiddetti “coltelli da mietitore” , di grandi mortai in basalto o in calcare
e di macine piatte (es. Nahal Oren, Hatula, Kebara, Beidha).
Un altro indizio erano le fosse di Mallaha, interpretate come silos
di stoccaggio, che avrebbero permesso di conservare i grani da un
raccolto all’altro, assicurando così un certo surplus alimentare. Di
fatto, ora si sa che la maggior parte di queste fosse erano tombe o
rifiutaie, ma una piccola fossa foderata di pezzi di calcare sulla terrazza di Hayonim poteva in effetti avere questa funzione.
I resti vegetali rinvenuti nei siti natufiani conservano comunque la
loro morfologia naturale e non si hanno prove né di domesticazione
né di uno stoccaggio sistematico su vasta scala.
I dati disponibili portano a concludere che i Natufiani si sono limitati a raccogliere ciò che la natura offriva loro spontaneamente,
secondo modalità ancora di tipo predatorio. La pratica del taglio
con il falcetto, della caccia intensiva alla gazzella e
dell’uccellagione, unite agli altri indizi presentati, indicano comunque che queste risorse spontanee erano sfruttate in modo più intenso e con una maggiore efficacia rispetto alle epoche precedenti.
Caccia e raccolta comportavano ancora una certa mobilità ma
la presenza di villaggi strutturati depone a favore di una sedentarietà molto precoce e precedente l’introduzione dell’agricoltura27.
Quello che in passato era stato interpretato anche da Gordon
Childe come epifenomeno delle pratiche di produzione del cibo
verrebbe dunque a costituire, piuttosto, uno dei presupposti che
determinarono l’adozione di tali pratiche28.
La sedentarietà non sarebbe dunque stata indotta dalla pratica
della agricoltura (che farà il suo ingresso più tardi) ma dalla ricchez-
27Tra
le diverse prove della sedentarietà delle comunità natufiane vengono
spesso citate le sepolture all’interno dei villaggi. Sono stati inoltre condotti studi
faunistici sulle specie cosiddette “commensali” dell’uomo: si è infatti osservato
come, delle due specie di topi che vivono ancora oggi nel Levante (Mus spicilegus e Mus musculus) quella selvatica (Mus spicilegus) evita le nicchie ecologiche
disturbate dalla presenza dell’uomo, nelle quali prospera invece il Mus musculus.
Basandosi sullo studio delle diverse dimensioni del molare inferiore delle due differenti specie, è stato possibile rilevare che dal Paleolitico antico sino al Natufiano
in Israele esistono solo topi selvatici, mentre proprio dal Natufiano in poi compare
il Mus musculus che vive in una sorta di simbiosi con le comunità umane sedentarie. (TCHERNOV, in BAR-YOSEF & VALLA 1991).
La nicchia ecologica creata dall’uomo intorno ai suoi villaggi stabili avrebbe
attirato anche piccole popolazioni di lupi che avrebbero assunto caratteri particolari. Vi sono prove della domesticazione del cane da parte dei Natufiani, e della loro introduzione non solo nei villaggi ma anche nelle tombe (per esempio a
Mallaha). Il cane era dunque simbolicamente assimilato all’uomo (TCHERNOV &
VALLA 1997).
28 G. CAMPS 1985, pp. 241 e ss.
21
za di risorse animali e vegetali fornite dall’ambiente, a sua volta favorita dal rialzo della temperatura e dell’umidità.
Una volta stabiliti, i villaggi hanno esercitato nelle loro vicinanze
una pressione alimentare sulla natura, ogni qualvolta i “prelievi”
hanno superato le capacità di rinnovamento dei territori.
Secondo un’ipotesi determinista le comunità preistoriche sarebbero state costrette a ricorrere sempre più spesso a cibi che si ricostituivano velocemente, per esempio i semi delle piante erbacee
annuali e i legumi. Un impatto decisivo sulla popolazione natufiana
sembra essere stato esercitato dalla crisi climatica del Dryas recente (11000-10300 BP ca.): il clima freddo e arido avrebbe determinato una diminuzione nella produzione spontanea di cereali, che si sarebbero concentrati soprattutto nella porzione occidentale della
Mezzaluna Fertile. Nelle aree del Negev e del Sinai settentrionale le
comunità tardo natufiane cercarono di affrontare la crisi dettata
dalla brusca diminuzione di risorse vegetali mettendo a punto nuove tecniche di caccia (basate, per esempio, sull’utlilizzo delle cosiddette punte di Harif, da cui il termine di “Harifiano”). Altrove
l’emergenza fu affrontata con un ritorno a schemi insediativi basati
su una rinnovata mobilità e, forse, con i primi esperimenti di coltivazione dei cereali.
Nell’arco di due millenni la parabola natufiana si esaurisce, i primi
villaggi vengono abbandonati, compresi quelli nella regione del
Carmelo e della Galilea.
I gruppi neolitici non si insedieranno più nella zona mediterranea
del Levante, ma al margine delle steppe, lungo il medio corso
dell’Eufrate, nel bacino di Damasco e nella basse valle del Giordano29.
Tra Natufiano e prime culture neolitiche si inserisce un periodo di
transizione, definito “Khiamiano” e compreso tra 10.000 e 9.000 BC
(cal.). I siti di questa fase si estendono su un’area che va dalla costa
israeliana alla valle del Giordano, al corso dell’Eufrate, al Sinai.
L’economia è ancora di tipo predatorio e lo strumentario litico si arricchisce di nuove punte di freccia di forma specializzata con tacche laterali, che, dal sito eponimo della Palestina, prendono nome
di “punte di El Khiam”. Tra le novità più significative si segnala la
comparsa di statuette antropomorfe in pietra calcarea o in terracotta, che raffigurano in modo estremamente stilizzato individui asessuati o di sesso femminile. La simultanea attestazione di un particolare interesse per i bovidi selvatici, le cui corna sono spesso inserite nelle abitazioni come elementi decorativi, sottolinea la comparsa di due importanti figure simboliche che, come si vedrà, domineranno anche il successivo immaginario neolitico: la donna e il toro30.
29
30
VALLA 2000.
CAUVIN 1994.
22
2.2.3
La domesticazione delle piante
Anche la domesticazione delle piante, così come quella del bestiame, si configura come un processo di lunga durata, scandito da
una serie di tappe.
Alla fine dell’Ottocento, A. de Candolle individuò alcuni parametri utili ai fini dell’individuazione delle aree di origine delle specie
domestiche. Secondo questo studioso perché un sito potesse essere
identificato come nucleo originario della domesticazione dovevano essere soddisfatte cinque condizioni:
• esistenza, allo stato selvatico, delle specie progenitrici di quelle domestiche;
• clima mite;
• temperature elevate almeno per una parte dell’anno;
• presenza di insediamenti umani;
• insufficienza delle altre risorse alimentari (caccia, raccolta
etc.).
Sulla base di questi elementi l’interesse dei ricercatori si concentrò soprattutto su alcune aree geografiche e, anche alla luce degli
studi più moderni, l’ipotesi di un’origine orientale dell’agricoltura è
confermata: i resti più antichi che attestano la raccolta di cereali
selvatici sono documentati nel Vicino Oriente, un’area caratterizzata da un clima particolarmente favorevole e da una grande abbondanza di risorse spontanee.
Il sito di Ohalo II, in Galilea, ha restituito resti di frumento, orzo e
lenticchie allo stato selvatico, risalenti alla fine del Paleolitico Superiore (ca. 20.000 a.C. in cronologia radiocarbonica calibrata)31.
Come si è visto, una
forte intensificazione nella raccolta dei resti
spontanei si registra intorno a 12.500 a.C.
(cal.), in concomitanza
con il Natufiano. Molti siti
di questa cultura hanno
dato resti vegetali carbonizzati, altri invece
hanno fornito indizi indiretti della loro raccolta,
come lame di falcetto,
macine etc.
Macina e macinello
Esempio di lama in selce
con usura lucida lungo il
margine sinistro
(da Calani)
31 KISLEV ET AL. 1992, Epipalaeolithic (19,000 BP) cereal and fruit diet at Ohalo II,
Sea of Galilea, Israel, in “Review of Palaeobotany and Palynology, 73, pp. 161166.
WILLCOX 2000.
23
Come si è detto, un indizio a volte interpretato a favore di una
raccolta intensiva di graminacee spontanee è la presenza di lame
di selce che presentano una particolare usura lucida (“lustro” o sickle gloss), attribuita al taglio degli steli dei cereali, ricchi di particelle silicee (fitoliti)32.
Al di là della fossa foderata in calcare di Hayonim, non si hanno
invece indizi sicuri in merito allo stoccaggio dei prodotti selvatici
all’interno di strutture sottoescavate (silos).
Esempi di falcetti. Le lame
litiche erano solitamente
montate in serie e l’analisi
della
dislocazione
e
dell’ampiezza dell’usura
lucida consente di ricostruire il tipo di immanicatura.
(da Calani).
32 I fitoliti sono corpi microscopici di silice che formano lo scheletro di alcuni
vegetali e che non si alterano durante la decomposizione della pianta. La formazione dei fitoliti è dovuta al fatto che la membrana delle cellule dei tessuti funzionali delle piante si impregna di composti silicei.
È bene ricordare che attualmente il lustro presente sulle lame in selce non è
più ritenuto un valido indicatore della pratica della raccolta dei cereali; prove
sperimentali (ANDERSON 2000, p. 100) hanno infatti dimostrato che usure lucide analoghe al cosiddetto sickle gloss si possono produrre anche mediante attività di
diverso tipo (lavorazione della pietra, dell’argilla, della pelle, etc.).
24
In seguito, in una fase
compresa
tra
il
9.500÷8000 a.C. (cal.), si
verifica il lento passaggio
dalla raccolta intensiva
di cereali selvatici alla loro coltivazione e, probabilmente solo in seguito,
alla loro domesticazione.
Dalla mappa di distribuzione dei siti tra 9000 e
8500 si può vedere coCarta di distribuzione dei siti tra
me essi siano situati lun9500 e 8000 a.C. (cal.) con la
go il cosiddetto “corridopercentuale di presenza dei diio levantino” e come, a
versi tipi di cereali (senza distinzione tra specie domestiche e
seconda della loro ubiselvatiche)
cazione e del clima,
prediligano specie di ce(da Willcox 2000, rielaborato)
reali diverse.
In alcune località è stato possibile recuperare
resti di malerbe caratteristiche (avena, centaurea, papaveri etc.), che solitamente si sviluppano accanto a specie coltivate e in terreni preparati; il fatto che siano associate a specie morfologicamente ancora selvatiche induce a ipotizzare che la coltivazione di queste abbia preceduto la loro domesticazione33.
Il paleobotanico danese H. Helbaek, che ha
studiato molti dei resti recuperati nel Vicino Oriente (es. Çatal Hüyük, Beidha, Tell - es Aswan,
Hacilar…), ha operato una distinzione tra i concetti di coltivazione e di domesticazione: con il termine “coltivazione” si intende infatti un’attività che (mediante preparazione del terreno, drenaggio, estirpazione delle malerbe etc.) altera l’ecologia
naturale cercando di favorire la crescita di una o più specie, non
necessariamente domestiche. Viceversa, la domesticazione consiste nella selezione di alcuni mutanti tra le specie selvatiche, che,
mediante la coltivazione, vengono protetti in modo speciale affinché non soccombano per selezione naturale. La domesticazione è
stata definita anche come “un processo che ricorre per coltivazione in popolazioni di piante selvatiche e seminate in origine con semi
WILLCOX 2000. Questo stadio intermedio, caratterizzato da un comportamento già agricolo da parte dell’uomo e da una morfologia ancora selvatica delle
specie vegetali è stato definito da Gordon Hillman come “agricoltura predomestica”. HILLMAN et al. 1989.
33
25
raccolti da piante selvatiche”34. Ne consegue dunque che mentre
una pianta coltivata non è necessariamente domestica, una pianta domesticata è necessariamente coltivata.
Questo processo arreca vantaggio a piante poco mutanti che
sono prive delle caratteristiche (soprattutto riproduttive) necessarie
per la sopravvivenza allo stato selvatico e continua sino a quando i
tipi mutanti non dominano nella popolazione e quelli selvatici non
sono eliminati. Le specie domestiche divengono così dipendenti
dall’intervento umano per la loro sopravvivenza.
Il processo della domesticazione provoca dei cambiamenti nel
genotipo di intere popolazioni di piante (o di animali) ed è stato al
centro di un forte interesse scientifico già dal secolo scorso: risale
infatti al 1868 il saggio del naturalista inglese Charles Darwin On The
variation of animals and plants under domestication.
G. C. HILLMAN & M. STUARD DAVIES 1992, Domestication rate in wild wheats and
barley under primitive cultivation: preliminary results and archaeological implications of field measurments of selection coefficient, in “Préhistoire de l’agricolture”
(a c. di P. Anderson), monographie du C.R.A. n. 6, Paris, 1992, pp.113 e ss.
34
26
Differenze tra specie selvatiche e specie domestiche
Come si è detto, la domesticazione induce alcune modifiche a
livello genotipico. I resti archeologici solitamente conservano tratti
morfologici diagnostici, sulla base dei quali è possibile distinguere gli
esemplari selvatici da quelli domestici. Esistono tuttavia specie in cui
la morfologia della pianta non cambia in modo significativo (o comunque le modifiche non risultano apprezzabili sulla base dei resti
che si conservano nei livelli archeologici).
Solitamente la determinazione viene effettuata osservando le variazioni anatomiche su resti macrobotanici e risulta più semplice per
i cereali, più complessa per i legumi. Anche lo studio dei fitoliti35
può fornire indicazioni utili: sembra infatti che quelli di alcune specie
domestiche risultino presentare dimensioni maggiori rispetto agli antenati selvatici.
Recentemente la ricerca dei caratteri domestici viene condotta
anche mediante un approccio biomolecolare, attraverso lo studio
del DNA.
Gli studi sulle origini dell’agricoltura nel Vicino Oriente hanno messo in evidenza la domesticazione (più o meno contemporanea) di
otto specie di piante, a partire da predecessori selvatici annuali autoimpollinanti:
SELVATICO
Triticum dicoccoides
DOMESTICO
Triticum turgidum
subsp. Dicoccum
Triticum boeoticum
Triticum monococcum
Hordeum spontaneum
Hordeum vulgare
Lens orientalis
Lens culinaria
Pisum umile
Pisum sativum
Cicer reticulatum
Cicer arietinum
Vicia ervilia
Vicia sativa
Linum bienne
Linum usitatissimum
Farro
Farricello
Orzo
Lenticchia
Pisello
Cece
Veccia
Lino
I fitoliti, derivanti dall’assorbimento di silice da parte della membrana cellulare, conservano l’impronta della cellula nella quale si sono formati e consentono
di identificare famiglia e genere vegetale di appartenenza.
35
27
Secondo D. Zohary36 durante la domesticazione le 8 specie,
comparate ai rispettivi progenitori, mostrano adattamenti paralleli
che si possono così sintetizzare:
• Mutamento nelle modalità di dispersione dei semi
Si tratta della novità più significativa e carica di conseguenze:
nelle specie selvatiche la dispersione dei semi avviene in
momenti diversi e in modo irregolare, in modo tale da garantire il successo riproduttivo. Gli steli dei cereali selvatici presentano dunque un rachide fragile, che si spezza facilmente rilasciando i semi, che vengono poi dispersi dagli agenti naturali;
le leguminose selvatiche hanno baccelli deiscenti, cioè che
tendono ad aprirsi spontaneamente, mentre il lino selvatico è
caratterizzato da capsule che si rompono in modo automatico. Viceversa, le specie domestiche sono caratterizzate da
rachide più robusto, baccelli non deiscenti e capsule che non
si dividono. In questo modo, per esempio, le spighe ritengono
i loro semi sino al momento della mietitura (fatto che si traduce, per il coltivatore, in un raccolto più abbondante).
•
Mutamento nella regolazione della germinazione
La germinazione ritardata e irregolare è una strategia di sopravvivenza essenziale per la maggior parte delle specie annuali. Nelle specie selvatiche si usano meccanismi di “seed
dormancy” (“letargo del seme” o “inibizione della germinazione”) per diffondere la germinazione in un certo lasso di
tempo. Nelle specie coltivate questi meccanismi si perdono e
si va verso una germinazione rapida e regolare.
•
Mutamento nelle dimensioni del seme
Nei legumi e nel lino coltivati si ha un netto aumento delle
dimensioni dei semi, mentre nei cereali essi appaiono più rigonfi.
•
Mutamento del potenziale produttivo
Nelle specie domestiche i fiori diventano molto fertili, aumentando le loro dimensioni o il numero di infiorescenze.
•
Sviluppo di forme relativamente rette o più robuste
adattate alla monocoltura, con distribuzione uniforme delle file di semi.
D. ZOHARY 1992, Domestication of the Neolithic Near Eastern crop assemblage, in “Préhistoire de l’Agricolture” (a cura di P. Anderson), monographie du CRA
n. 6, Paris, 1992, pp. 81 e ss.
36
28
Confrontando tra loro nel dettaglio forme domestiche e selvatiche di cereali è possibile osservare una serie di caratteri che presentano variazioni significative:
− nei cereali selvatici il rachide maturo (fragile) si disarticola
nelle varie spighette che si autoimpiantano nel terreno. La
disarticolazione avviene in modo graduale a partire
dall’alto. Nelle forme domestiche, al contrario, il rachide
(robusto) non riesce a segmentarsi da solo;
− Al contrario di quanto si osserva nelle forme domestiche, la
spighetta dei cereali selvatici è dotata di caratteri che ne
favoriscono l’impianto nel terreno:
Spine lunghe e flessibili dotate di barbe retroverse
Glume a forma di freccia con barbe retroverse
Peluria retroversa sul rachide
Cicatrice di disarticolazione liscia e smussata
− le spighette dei cereali domestici non sono sufficientemente protette dai predatori e stentano a riprodursi se impiantate in terreni non preparati.
È inoltre possibile evidenziare come i frumenti coltivati si possano
dividere in due gruppi: quelli vestiti e quelli nudi. Nei primi, più primitivi, anche dopo la raccolta le cariossidi restano imprigionate nei rivestimenti glumeali e possono essere liberate solo attraverso operazioni di sbramatura o decorticazione. I cereali nudi, sottoposti a
trebbiatura, forniscono invece una granella che può essere direttamente sottoposta a molitura. I dati archeologici mostrano come
le prime specie domesticate siano state quelle vestite (più resistenti
alle malattie e alle avversità ambientali), affiancate e progressivamente sostituite solo in un secondo tempo da quelle nude.
29
Spiga e spighetta di farro selvatico
(rielaborato da Hillman & Stuart Davies)
30
Spiga e spighetta di farro domestico
(rielaborato da Hillman & Stuart Davies)
31
Moderni studi di genetica dimostrano che questi sviluppi necessitano di poche mutazioni: perché si abbia uno sviluppo verso una
maggiore ritenzione del seme, per esempio, è sufficiente la mutazione di un solo gene. Trattandosi di specie autoimpollinanti la selezione ha effetto sia su mutazioni recessive che dominanti e bastano
pochi anni dalla comparsa della mutazione perché si abbia una evidente modifica a livello genotipico. È dunque molto probabile
che lo sviluppo di questi tratti sia da leggere come il risultato di una
forma di selezione inconsapevole o automatica. Del resto, i mutanti
dovevano essere piuttosto rari, non facilmente distinguibili dagli esemplari non mutanti e facile preda per gli uccelli. Solo quando la
percentuale dei mutanti aumentò sensibilmente essi dovettero apparire più evidenti e solo allora sarà stata loro applicata una selezione volontaria37.
Anche gli studi sperimentali di G. D. Hillman e di M. Stuart Davies38
hanno dimostrato come singoli fattori (come la modalità e l’epoca
di mietitura) siano sufficienti per operare selezioni inconsapevoli di
individui dotati di particolari caratteristiche (per esempio di rachide
robusto o di semi più gonfi).
Dobbiamo quindi immaginare che i raccoglitori, privilegiando la
raccolta di cereali a chicchi più rigonfi e a spiga ancora integra,
abbiano effettuato una selezione inconsapevole di individui in cui
già si erano manifestate queste mutazioni; in seguito, seminando
questi semi, avranno favorito la riproduzione di individui che presentavano questi caratteri vantaggiosi.
L’introduzione della domesticazione nel Vicino Oriente
Le più antiche evidenze di domesticazione dei vegetali provengono dal sito di Tell Abu Hureyra, lungo il medio corso dell’Eufrate, e
da Tell-Aswad, nel bacino di Damasco39: in queste due località sono stati recuperati semi di farro e di orzo, ma anche di malerbe che
solitamente accompagnano le specie coltivate, datati in anni calendarici a 8500 BC ca. (14 C 7800 bc)40.
G. C. HILLMAN & M. STUART DAVIES 1992. Anche Darwin era dell’avviso che la
domesticazione dei vegetali fosse il frutto di una selezione inconsapevole.
38 G. C. HILLMAN & M. STUART DAVIES 1992
39 Secondo certi Autori alcune circostanze sembrerebbero indicare la coltivazione dell’orzo nel sito di Netiv Hagdud (nella valle del Giordano) già a patire da
8700 a.C., tuttavia non si hanno prove sicure al riguardo (SMITH 1998).
Recentemente, al convegno di Groningen del 1998, G. Hilllman ha segnalato
la presenza di segale ad Abu Hureyra databile a 10.700 a.C. (cal.) che potrebbe
essere di forma già domestica; si tratterebbe di un unicum in quanto gli altri cereali risultano in quel periodo ancora selvatici e forme di segale selvatica sono
state identificate nei siti di Jerf el-Ahmar e di Mureybet (Siria) per un periodo successivo (9500 a.C. cal., cfr. WILLCOX 2000).
40 Queste date si riferiscono a esemplari già pienamente domestici. È comunque probabile che vi sia stato un periodo di pre-domesticazione. Non tutti i tipi di
selezione privilegiano le forme a rachide resistente e questo si traduce in un ritardo nella domesticazione (HILLMAN & STUART DAVIES 1992).
37
32
Il tell di Abu Hureyra (Siria), occupato intensamente già dal Mesolitico, è stato scavato a partire dai primi anni Settanta da Andrew
Moore. La tecnica della flottazione ha permesso di recuperare un
notevole assemblage di resti vegetali carbonizzati (studiati da Hillman), mentre con la setacciatura si sono raccolte decine di migliaia di frammenti di ossa identificabili.
La
lunga
durata
dell’occupazione del sito
ha consentito di notare interessanti variazioni in senso
diacronico. Si è così potuto
osservare che, mentre i livelli mesolitici erano caratterizzati da vegetali esclusivamente selvatici, già a
partire da quelli del Neolitico Preceramico erano presenti cereali pienamente
domesticati,
accompagnati da piante infestanti
caratteristiche.
Da Renfrew & Bahn 1991
L’introduzione delle pratiche agricole comportò una forte riduzione nello spettro delle risorse alimentari di origine vegetale, che da 150 passarono a 841.
Lo studio dei resti animali ha invece messo in evidenza come, sia
nei livelli epipaleolitici/mesolitici che in quelli del primo Neolitico, la
fauna fosse dominata dalla gazzella (80% delle ossa recuperate).
Dunque, nel periodo in cui fu introdotta la coltivazione di piante
morfologicamente domestiche la caccia giocava ancora un ruolo
cruciale nell’economia del sito; è infatti solo nel corso del VII millennio che si registra una brusca inversione, con un declino delle gazzelle (20%) e un forte aumento della capra/pecora (80%).
HILLMAN G. C., COLLEDGE S. M., HARRIS D. R. 1990, Plant-food economy during
Epi-Palaeolithic period at Tell Abu Hureyra, Syria: Dietary diversity, seasonality and
modes of exploitation, in “Foraging and Farming: The evolution of Plant Exploitation” (a cura di D. R. Harris & G. C. Hillman), Unwin Huyman, London.
41
33
Poco più recenti rispetto alle attestazioni di Abu Hureyra sono
quelle di Jericho, a cui fanno seguito, a qualche secolo di distanza,
quelle di Çayönü e di Ganj Dareh (cfr. tabella). È dunque possibile
osservare che le tracce più antiche di domesticazione dei cereali
sono concentrate nel cosiddetto “Corridoio Levantino”, che sembra costituire l’area della prima transizione all’agricoltura.
Sito
Netiv Hagdud
Abu Hureyra
Aswad
Jericho
Çayönü
Ganj Dareh
Regione
Valle del Giordano
Medio Eufrate
Bacino di Damasco
Valle del Giordano
Mezzaluna fertile
Monti Zagros
Data
8700 BC
8500 BC
8500 BC
8300 BC
8000 BC
8000 BC
Pianta
Orzo?
Farro, orzo
Farro, orzo
Farro, orzo
Farro
Orzo
(da Harlan 1995; Smith 1998)
Quest’area era caratterizzata da una grande abbondanza di
piante selvatiche che ben si prestavano alla domesticazione: tra
queste, le piante erbacee con grani relativamente pesanti e voluminosi, la cui struttura genetica muta con facilità. L’orzo (diploide) è
la pianta che presenta la struttura più favorevole per la domesticazione e anche il farro si modifica con facilità in forme a stelo robusto.
Specie domestiche nel Vicino Oriente
(da Zohary & Hopf 1988, rielaborata)
34
I primi agricoltori si sono dunque concentrati su piante che, come
dimostrano anche i moderni studi genetici, potevano essere facilmente domesticate: le tre specie più significative sono il Triticum dicoccum, l’ Hordeum vulgare e il Triticum monococcum, tuttavia la
loro domesticazione è stata accompagnata dall’introduzione di
almeno 5 piante addizionali (lenticchie, piselli, lino, veccia e ceci).
•
Triticum Dicoccum (farro)
Se ne sono trovati vari semi dai livelli di abitazione di
Tell Aswad a 25 km a SE di Damasco. È interessante
notare che negli stessi livelli non ci sono resti del progenitore selvatico (Triticum dicoccoides); il clima attuale è infatti troppo arido per questa specie e probabilmente lo era anche 10000 anni fa. È pertanto
probabile che, al momento della sua introduzione
nel bacino di Damasco (non più tardi di 7800 bc), il
farro fosse già stato pienamente domesticate altrove.
A partire dal 7500 bc (ca. 8800 BC cal.) si hanno resti
anche da Tell Abu Hureyra (Siria nordorientale) e da
un livello preceramico (PPNB) di Jericho.
•
Hordeum vulgare (orzo)
Sembra comparire nei livelli del Neolitico Preceramico (PPN A) di Netiv Hagdud nella valle del Giordano, a Nord di Jericho, intorno a 7775 e a Gilgal tra
8000÷7800. Si tratta di attestazioni piuttosto controverse (cfr. supra): si sono recuperati semi e resti di internodi carbonizzati che mostrano un frammento
basale di un internodo superiore ancora attaccato.
Si trattava dunque di orzo distico a rachide non fragile. Altri frammenti mostrano invece la tipica cicatrice di disarticolazione e coincidono morfologicamente con l’orzo spontaneo fragile (che ancora è
presente nella zona allo stato selvatico).
•
Triticum monococcum (farricello)
Compare solo alla fine dell’ VIII millennio ed è documentato soprattutto nel VII. A Tell Aswad non ve
ne sono tracce nei livelli della fase I, mentre è presente nella fase II, risalente al VII millennio.
È documentato anche nei livelli PPN B di Jericho
(7300-6500), lontano dall’area di diffusione del suo
antecedente spontaneo, circostanza che fa propendere per una sua introduzione come forma già
domestica.
35
•
Lens culinaris (lenticchia)
Introdotta a partire dal VII millennio bc, presenta dimensioni del seme (2,5÷3 mm) abbastanza simili a
quelle della varietà spontanea (Lens orientalis). A Yiftah’el in Israele si è scoperto un deposito di lenticchie (con 1.400.000 semi) in un livello del PPN B datato a 6800 bc.
•
Pisum sativum (pisello)
Le prove della sua domesticazione sono solo indirette, basate sulla texture del rivestimento del seme,
che risulta ruvida nelle specie selvatiche e liscia in
quelle coltivate.
Piselli a rivestimento liscio provengono da Çayönü
(6500 bc) e da Çatal Hüyük (5850÷5600 bc).
•
Linum usitatissimum (lino)
È riconoscibile dal tipo selvatico per le maggiori dimensioni del seme. È attestato a Tell Ramad, in Siria
tra 6250-5950 bc e, nella grotta di Nahal Hemar,
presso il mar Morto, sono stati trovati resti di lino intrecciato in livelli del PPN B datati alla seconda metà del VII millennio.
•
Cicer arietinum (cece)
Compare alquanto sporadicamente. A Jericho è
documentato intorno a 6500 bc, lontano dall’area
di diffusione della forma selvatica (che è endemica
della Turchia sudorientale).
•
Vicia ervilia (veccia)
Anche questa leguminosa compare raramente ma
si trova in vari siti del Neolitico aceramico della Turchia meridionale.
Come si è visto, in molte aree l’assenza di progenitori selvatici induce a ipotizzare una provenienza alloctona per le specie domestiche coltivate. Questa interpretazione è particolarmente sostenuta
da D. Zohary, che esclude che vi possano essere state successive
domesticazioni di ciascuna specie, mentre è più probabile che si sia
avuta una diffusione di forme domesticate già esistenti42.
ZOHARY D. 1996, The mode of domestication of the founder crops of Southwest Asia agriculture, in D. R. Harris, 1996, pp.142-158.
42
36
2.2.4 La domesticazione animale
La domesticazione degli animali prevede un controllo umano sui
loro meccanismi di accoppiamento e riproduzione, mediante la
pratica di incroci; esistono tuttavia forme di controllo del gregge
che non prevedono incroci selettivi.
A differenza di quanto accade per le specie vegetali, è piuttosto
difficile indicare i cambiamenti fisici diagnostici indotti dalla domesticazione: la natura del record archeologico (che conserva generalmente solo ossi e denti) riduce molto le possibilità di analisi. Tra i
vari parametri proposti vi sono le dimensioni dei denti e della mandibola, ma queste potrebbero riflettere la naturale variabilità tra individui e non risultare in alcun modo probanti.
Alcuni studiosi hanno iniziato a studiare la microstruttura ossea
esaminando sezioni sottili degli ossi: l’analisi di alcuni campioni provenienti da siti della Turchia ha mostrato come l’ampiezza delle lacune interne, cioè delle cavità che formano la struttura cellulare,
fosse completamente differente tra specie selvatiche e specie domestiche.
Una prova dell’interferenza da parte dell’uomo può essere vista
nell’introduzione di animali domestici in aree in cui non vi sono forme indigene dei loro antenati selvatici. A complicare ulteriormente
il quadro vi sono fenomeni di rinselvatichimento dopo una prima
domesticazione.
Un altro indizio spesso utilizzato in passato come indicatore di
domesticazione era l’alto tasso di individui giovani nel record faunistico. In realtà ora è noto che anche i predatori tendono a concentrarsi sugli individui più deboli (femmine e giovani).
La domesticazione degli animali prende sicuramente avvio da
una millenaria promiscuità tra uomo e prede e da forme di caccia
sempre più selettive nei confronti di determinate specie e di individui scelti in base al sesso e all’età (pratiche che alcuni Autori definiscono come “protoallevamento”). A poco a poco, a una riproduzione casuale, realizzata all’interno di gruppi vari mantenendo
l’unità della specie, si sostituiscono degli incroci che giocano sulla
circolazione di un pool genico ridotto per selezione dall’uomo, determinando così dei cambiamenti morfologici a lungo termine. Si
tratta dunque di un fenomeno etnologico prima ancora che economico. Alcuni studiosi sostengono che la domesticazione degli animali abbia avuto basi etno-antropologiche piuttosto che economiche e alimentari: essa risponderebbe infatti a un desiderio di dominazione sulla fauna e sulla natura43.
Dopo quella del cane da parte dei Natufiani, si afferma la domesticazione dei caprovini, dei bovini e dei suini.
43
DIGARD 1990.
37
Resti di montone domestico sono attestati intorno al 7500 in una
vasta area del Vicino Oriente, dalla costa (Ras Shamra) alle terre
del corso superiore dell’Eufrate, ai margini della Mesopotamia. I focolai di domesticazione potrebbero essere stati vari e si hanno prove in questo senso per il nord dell’Afghanistan all’inizio dell’VIII millennio (grotta Köprük).
La domesticazione dei caprini è attestata in Iran occidentale a
Ganj Dareh a partire da 7800 a.C. e si hanno esempi anche in Palestina: a Jericho e a Beidha, ad Abu Hureyra sull’Eufrate
Si è sempre ipotizzato che la domesticazione animale fosse apparsa più tardi rispetto a quella delle specie vegetali e che quella
dei caprovini avesse preceduto quella del bue e del porco.
Recenti scavi sull’isola di Cipro, condotti da J. Guilaine nel sito di
Shillourokambos, mostrano invece un quadro differente: prima del
Neolitico sull’isola non erano presenti forme che possano essere state progenitrici di quelle che saranno poi le principali specie domestiche. Nel sito neolitico di Shillourokambos si sono invece rinvenuti
resti di porci, buoi, montoni, capre e daini. Sono inoltre stati portati
alla luce resti di palizzate che, con ogni probabilità, devono essere
interpretati come recinti per il bestiame. A quest’epoca (8200 ca.)
solo i suini presentano già una morfologia domestica, i bovini hanno
una taglia leggermente inferiore rispetto ai loro antecedenti selvatici, mentre capre e montoni sono ancora indistinguibili dal muflone
e dalla capra selvatica.
Tali osservazioni permettono di concludere che queste specie
erano già allevate prima di aver raggiunto un carattere domestico
morfologicamente evidente e che, probabilmente, il loro allevamento, che sull’isola è documentato a partire da 8200, deve essere
stato ancor più precoce sulla terraferma e può essere collocato
nella medesima fase in cui si iniziavano le prime pressioni selettive su
cereali e leguminose. Il caso di Cipro sembra inoltre capovolgere la
tradizionale visione secondo la quale la domesticazione dei caprovini avrebbe preceduto quella di ovini e suini44.
2.2.5
Le diverse ipotesi sull’origine dell’agricoltura
Come si è potuto osservare, la transizione dall’economia di caccia/raccolta verso le pratiche agricole comporta una serie di nuovi
rapporti tra uomo, territorio, vegetazione e fauna.
Nel 1989 D. R. Harris ha presentato un modello di transizione basato su 4 stadi45:
GUILAINE 2000.
HARRIS D. R. 1989, An evolutionary continuum of people-plant interaction, in
“Foraging and farming: the Evolution of Plant Exploitation” (a cura di Hillman e
Harris), London.
44
45
38
1. semplice procacciamento di cibo selvatico attraverso
normali pratiche di caccia e raccolta;
2. mantenimento di popolazioni vegetali in territori incolti;
semi di piante selezionate, con caratteristiche desiderabili,
vengono introdotti in nuovi habitat; cattura e mantenimento di animali;
3. coltivazione con sistematica preparazione del terreno;
comparsa di nuovi genotipi che soddisfano in modo più efficace i bisogni umani;
4. agricoltura.
Quest’ultima, a sua volta, presuppone una serie di attività principali:
− propagazione
− allevamento
− raccolta
− stoccaggio
Una volta ricostruite le tappe occorre spiegare per quale motivo
sia stato intrapreso il cammino che ha condotto alla produzione del
cibo mediante le pratiche agricole: i confronti etnografici dimostrano infatti che esse non sono né meno faticose né molto più produttive rispetto alle attività di raccolta46.
Le proposte fatte sono molte e, di volta in volta, chiamano in
causa motivazioni di natura ambientale, economica, culturale etc.
Secondo alcuni Autori l’origine dell’agricoltura andrebbe ricercata negli squilibri indotti dal brusco raffreddamento del clima durante la fase del Dryas recente dell’ultima glaciazione. Secondo
l’ipotesi formulata dapprima da R. Pumpelly nel 190847 e accolta
anche da Gordon Childe nel 193548, l’estinzione dei grandi mammiferi e il generale degrado climatico (inaridimento) avrebbero costretto i cacciatori/raccoglitori, le piante e gli animali a ritirarsi in
poche “oasi” ricche di risorse e, soprattutto, di acqua (es. le valli del
Nilo, del Tigri e dell’Eufrate). La forzata prossimità avrebbe portato a
forme di adattamento entro l’ecosistema, che sfociarono poi nella
domesticazione vegetale e animale (“teoria dell’oasi”)49.
46 REDMAN C.1978, The rise of Civilization: from Early Farmers to Urban Society in
the Ancient Near East, San Francisco, W. H. Freeman and Company.
47 R. PUMPELLY, 1908.
48 GORDON CHILDE V. 1935, New Light on the Ancient Near East, London,
Routledge and Paul.
49 “… Le condizioni di incipiente inaridimento alle quali abbiamo accennato
avranno fornito uno stimolo verso l’adozione di un’ economia di produzione del
cibo. La concentrazione forzata presso le rive di corsi d’acqua e l’affioramento di
sorgenti avrà comportato una ricerca più intensiva di mezzi di nutrimento. Animali
e uomini si saranno radunati insieme in oasi che stavano diventando sempre più
isolate da tratti di deserto. Questa giustapposizione forzata avrà promosso quella
sorta di simbiosi tra uomo e animale implicata nel termine “domesticazione”. E in
39
Si deve invece a R. Braidwood l’ipotesi della “nuclear zone”: secondo questo Autore, che negli anni Cinquanta era impegnato
negli scavi a Jarmo50, l’agricoltura sarebbe infatti nata in un’area
precisa, quella della Mezzaluna fertile, tra l’Anatolia e l’Iran, dove
già dal tardo Pleistocene convivevano piante e animali selvatici
potenzialmente domesticabili. Abbandonando dunque l’idea di un
impulso di natura climatica, l’ipotesi di Braidwood riconosceva
meccanismi culturali e strategie innovative di procacciamento del
cibo già nel Paleolitico Superiore. Nei primi tempi post-glaciali la
ricchezza delle risorse avrebbe gradualmente favorito la sedentarietà e quest’ultima avrebbe facilitato l’osservazione del comportamento, dei meccanismi e dei cicli di riproduzione e crescita di
piante e animali. Dopo un periodo di sperimentazione (incipient agriculture), si sarebbe passati a un’economia di tipo pienamente
agricolo. Uno dei limiti del modello di Braidwood consiste tuttavia
nella mancata spiegazione del perché l’agricoltura fu introdotta in
quel preciso momento e non in un altro: l’Autore sosteneva che, in
precedenza, non fossero ancora maturate le necessarie premesse
culturali per raggiungerla. Nel dibattito tra Braidwood e Gordon
Childe entrò anche quello sulle datazioni dei siti di Jarmo e di Jericho: una maggiore antichità del primo (ubicato nel Kurdistan iraqueno) rispetto al secondo avrebbe infatti avvalorato l’ipotesi di
Braidwood, viceversa la maggiore antichità di Jericho, ubicato in
un’oasi della valle del Giordano, avrebbe confermato la teoria
dell’oasi51.
Un altro noto modello, proposto da Cohen nel 197752, pone
l’accento sulla pressione demografica: la nascita dell’agricoltura
sarebbe dovuta a una crisi alimentare, in risposta alla quale i cacciatori/raccoglitori avrebbero dovuto adottare strategie di gestione
del cibo più efficaci. Non ci sono però prove in tale senso e anche i
resti scheletrici umani non sembrano presentare tracce di una significativa degenerazione nella salute delle comunità di cacciatori/raccoglitori preneolitici.
Una teoria analoga è quella delle “zone marginali” di Binford &
Binford53. Un forte incremento demografico nelle comunità di cacciatori/raccoglitori natufiani avrebbe determinato uno squilibrio biologico che, a sua volta, avrebbe portato all’”espulsione” di alcuni
gruppi verso i margini della “nuclear zone” e all’adozione di nuove
pratiche di sussistenza.
Afrasia piante nobili e animali adatti per la domesticazione crescevano selvatici,
pronti per l’uomo” (GORDON CHILDE 1954, New Light on the Most Ancient East).
50 cfr. infra
51 cfr. Infra.
52 COHEN M. N. 1977, The food Crisis in Prehistory: overpopulation and the origins
of Agriculture, New Haven, Academic Press.
53 BINFORD S. & BINFORD L.R., New perspectives in Archaeology, Chicago, Aldine
Publishing Company, 1968.
40
A questi modelli interpretativi deterministi, di stampo ancora positivista, è riconducibile anche quello proposto dallo storico inglese A.
J. Toynbee54, secondo il quale i principali progressi dell’umanità sarebbero il risultato di meccanismi di sfida e risposta (challenge and
response). Secondo questo e altri Autori, è proprio nelle aree in cui
le specie selvatiche sono meno rappresentate che il “colpo
d’avvio” dell’agricoltura ha potuto essere determinante, allorché
l’uomo, per bisogno, ha dovuto cercare di supplire alle carenze della natura : vengono interpretate in questo senso le testimonianze
del sito di Beidha, nell’area inospitale del Negev, o di Ali Kosh, nel
Khuzistan. Al contrario, altri studiosi sottolineano come i primi esempi
di domesticazione provengano da aree caratterizzate da una
grande abbondanza di specie selvatiche (come nel caso delle
controverse attestazioni di Netiv Hagdud o di Tell Aswad).
In anni più recenti si sono affermati modelli interpretativi diversi,
che, riprendendo in parte le tesi di Braidwood e talora contrastando certe impostazioni di stampo marxista, tendono a ridimensionare
l’influsso di fattori esterni sulle nuove scelte economiche e a sottolineare invece l’origine culturale e sociale delle pratiche agricole.
Tra i vari cambiamenti introdotti col Primo Neolitico, il baricentro
dell’interesse si è spostato dalla comparsa di nuove strategie di sussistenza all’emergere di nuove forme di organizzazione sociale e di
nuove ideologie.
Già nel 1978 B. Bender ipotizzava che l’agricoltura rispondesse in
primo luogo all’esigenza di produzione di un surplus, dettata da motivazioni sociali (leadership, alleanza, scambio) e che le stesse relazioni sociali potessero aver agito da volano per la diffusione di queste pratiche di economia produttiva
Negli anni Novanta B. Hayden ha ulteriormente elaborato questo
concetto, ipotizzando che la produzione di cibo attraverso la domesticazione sia apparsa per la prima volta entro società di cacciatori/raccoglitori tecnologicamente avanzate, nel contesto di feste e di altri meccanismi competitivi tra individui ambiziosi55. Del resto, con il Neolitico si osserva un incremento nella specializzazione
artigianale e negli scambi, nonché un diffuso interesse per gli oggetti di prestigio, esotici o rari, fenomeni normalmente correlati
all’emergere di società complesse e al desiderio di conservazione
di forme di prestigio individuale o leadership.
Un’interpretazione culturale della transizione all’agricoltura è stata proposta da Ian Hodder, che ha enucleato la contrapposizione
strutturale e le mutue relazioni tra i concetti di “domestico” e “selvatico”, domus e agrios. Prima ancora di una domesticazione economica di specie vegetali e animali si sarebbe infatti affermata una
54
55
TOYNBEE A.J., A Study of History. 1947-1957
HAYDEN 1992; 1994.
41
“domesticazione sociale” delle comunità, il cui indizio più concreto
è l’acquisizione della sedentarietà56. L’approccio ideologico parte
dal presupposto secondo cui:
«…il Neolitico principalmente non fu un fenomeno economico, né
un nuovo set di relazioni sociali, né la manifestazione di un gruppo
di immigrati, ma la manifestazione materiale di un nuovo set di idee
che ristrutturano le società tardo mesolitiche e che cambiano le loro condizioni di esistenza economiche e sociali»57.
Jacques Cauvin osserva come l’impulso al cambiamento non
sembri dettato da fattori esterni (clima, pressione demografica etc.)
ma, piuttosto, da profonde trasformazioni nello psichismo collettivo
che si registrano nello stesso periodo. Si parla dunque di una rivoluzione dei simboli, le cui tracce possono essere lette soprattutto attraverso le testimonianze artistiche e religiose. Dall’iconografia
dell’arte paleolitica, che vede come protagonisti animali di varie
specie, a partire dal periodo Khiamiano si passa a un’arte che mostra una “personificazione del divino”, mediante una figura femminile e una figura maschile assimilata al toro. Si tratta di un’importante
novità sul piano spirituale, che per la prima volta sottolinea un rapporto gerarchico tra uomo e dio e che, secondo l’Autore, può aver
avuto un impatto dinamico sui cambiamenti nell’economia e nella
società. Il progresso avrebbe dunque un fondamento antropologico nel “desiderio” piuttosto che nel “bisogno” di cambiamento: il
nuovo rapporto uomo-dio avrebbe suscitato
«…iniziative inedite, sbloccando in qualche modo l’energia necessaria per condurle a buon fine, come si trattasse dell’effetto compensativo di un malessere esistenziale mai sentito. Spettatrici fino
ad allora dei cicli naturali di riproduzione del mondo vivente, le società neolitiche autorizzano se stesse a intervenire come produttrici
attive. La cosa sarebbe stata possibile ben prima, tecnicamente
parlando, ma, semplicemente, né l’idea né la voglia erano mai
venute loro…»58.
Come si vedrà in seguito, a proposito del Neolitico europeo, le
opinioni degli studiosi sono divise anche in merito alle motivazioni e
alle modalità di diffusione dell’agricoltura a partire dai centri genetici dell’Asia sudoccidentale.
HODDER 1990.
TILLEY 1996.
58 CAUVIN 1994.
56
57
42
2.2.6
Il Neolitico Preceramico
La domesticazione delle specie vegetali e animali è dunque avvenuta gradualmente, in una fase già Neolitica, successiva alla sedentarizzazione e precedente l’introduzione della ceramica.
Nel villaggio di Jericho ai livelli inferiori, natufiani, si sovrappongono due livelli neolitici privi di ceramica (Jericho I e Jerico II).
Come si è detto in precedenza, questa sequenza stratigrafica suggerì all’archeologa Kathleen Kenyon di inserire tra Natufiano e Neolitico propriamente detto un “Neolitico Preceramico” (Pre Pottery Neolithic),
suddiviso in due fasi (A e B), corrispondenti alle fasi Jericho I e
Jericho II.
L’archeologa inglese K. Kenyon
(1906-1978). Insieme al suo maestro,
Sir. M. Wheeler, fu tra i pionieri dello
scavo stratigrafico.
il PPNA
Nell’arco di 800 anni, tra 9500 e 8300 a.C., tre culture coeve (Mureybetiano nel Levante settentrionale, Aswadiano nel bacino di
Damasco e Sultaniano nella valle del Giordano e nel Levante meridionale), eredi del Natufiano, risultano aver praticato (forse in modo
del tutto indipendente) le prime esperienze agricole. Si tratterebbe
semplicemente della semina di grani prelevati da cereali selvatici e
di pratiche di diserbamento volte a favorire la germinazione dei
semi. I prodotti così ottenuti non presentano caratteri particolari e
distintivi rispetto alle specie selvatiche e solo 1000 anni più tardi si
potranno osservare caratteri pienamente domestici59.
Durante questa fase (PPN A) l’industria litica, laminare e ricavata
da nuclei regolari, è ancora simile a quella natufiana ma abbandona progressivamente il microlitismo. Sono attestate punte di freccia e lame di falcetto e compaiono per la prima volta asce in pietra levigata. Trovano grande diffusione, soprattutto nel Mureybetiano, manufatti artistici o strumenti di uso pratico a cui vengono conferiti particolari caratteri estetici. In generale si osserva una certa fioritura culturale e un’esplosione demografica. I villaggi, ben più estesi e distanti tra loro rispetto a quelli del Natufiano e del Khiamiano,
sono costituiti da case a pianta circolare e ospitano sepolture con
defunti rannicchiati, nelle quali sono attestate anche pratiche di
deposizione secondaria (per esempio dei crani).
59
G. WILLCOX 1999. D. STOURDEUR 2000, p. 36.
43
Jericho I
Ubicato nella valle del Giordano,
circa 16 km a NW del Mar Morto, in
un’oasi del deserto di Giudea alimentata da una fonte perenne
(Ein es-Sultan o fonte di Elisha), il sito di Jericho (l’attuale cittadina di
Tell Sultan) appare collocato in posizione strategica e favorevole
all’insediamento umano. La sua
potente stratigrafia, sedimentatasi
in un tell che è stato interamente
scavato mediante trincee, attesta
una occupazione pressoché continua per diversi millenni60.
Alla base della stratigrafia del
saggio E si trovano strati del Natufiano (per una potenza complessiva di circa 4 metri)61, a cui si sovrappone il Neolitico Preceramico
A (8350-7370 bc)62, evidenziato
La torre di Jericho
anche nei saggi I e II, immediataDal sito:
www.ancientnearest.tripod.com
mente al di sopra dello sterile. In
questa fase il villaggio, molto più
ampio di quelli precedenti (circa 4
ettari), venne circondato da un muro di pietra alto quasi 4 m (spes60 Grazie anche alla sua fama biblica, il sito è stato oggetto di ricerche scientifiche sistematiche a partire dall’inizio del XX secolo. Dopo le prime ricerche ottocentesche da parte dell’ingegnere inglese Charles Warren, gli scavi dei tedeschi
E. Sellin e C. Watzinger, condotti tra 1907 e 1911 misero in luce le mura della città
risalenti alla Media età del Bronzo (2000-1600 bc). La scoperta, negli anni Trenta,
di una doppia cinta muraria crollata, datata intorno al 1400 bc, a cui faceva seguito un livello di distruzione e di abbandono, portarono l’inglese J. Garstang a
ritenere di aver trovato i resti della città biblica distrutta da Giosuè.
Quest’ipotesi fu smentita da K. Kenyon, che, ripresi gli scavi negli anni Cinquanta, retrodatò la distruzione di Jericho al 1550 bc ca.
61 L’occupazione natufiana del sito (data intorno a 9250 bc) è stata individuata verso il margine settentrionale del tell e nei suoi livelli inferiori. Il primo insediamento consiste in una piattaforma con pavimentazione in argilla, racchiusa da
un muro in pietra, interpretata dalla Kenyon come santuario.
62 Le prime datazioni radiometriche furono ottenute quando la tecnica del 14C
era ancora agli albori e vengono oggi scartate come imprecise (6850 ± 160 bc;
6775 ± 210 bc). Ulteriori determinazioni sono state effettuate dai laboratori del British Museum (BM) e di Philadelphia (p), utilizzando campioni provenienti dalle
stesse fasi. Le date delle due serie risultano però differire di 500÷600 anni. La fase
immediatamente seguente la costruzione del muro e della torre è datata 8350 ±
500 bc (BM-250) e 8300 ± 200 bc (BM-105), mentre a Philadelphia si è ottenuta
una data 7825 ± 110 bc (p-378). Si dispone poi di una serie di date per la fase finale del PPN A: 8350 ± 200 bc (BM-106), 8230 ± 200 bc (BM-110), 7705 ± 84 bc (p379). Le differenze tra le determinazioni ottenute nei due laboratori sono verosimilmente legate a un diverso trattamento di preparazione dei campioni (MOORE).
44
sore medio 3 m), che si è potuto seguire per circa 8 metri e che risulta essere stato frequentemente rimaneggiato. A questa struttura
era collegata la grande torre di pietra, del diametro di 10 m per 8,5
m di altezza, munita di una scala interna. Secondo una recente ipotesi la funzione di questa potente struttura non sarebbe di natura difensiva/militare ma, piuttosto, protettiva nei confronti delle inondazioni causate da un vicino torrente63. Le capanne dislocate
all’interno avevano una pianta circolare, erano leggermente infossate nel terreno ed erano state edificate con mattoni di argilla a sezione piano-convessa, mentre la copertura era forse costituita da
tetti a cupola.
L’economia si basava sulla coltivazione di frumento, orzo e lenticchie, mentre la parte più consistente della componente proteica
della dieta era costituita da specie selvatiche, tra cui gazzella, cinghiale e capra selvatica.
Una serie di recinzioni costruite in prossimità della torre ha fatto
pensare alla presenza di granai per lo stoccaggio comune dei cereali; si dovrebbe in questo caso ammettere la produzione di un
surplus di alimenti utile a sfamare
una comunità numerosa,
nell’ambito della quale alcuni individui potevano essere impegnati
nella realizzazione di grandi infrastrutture (come il muro e la torre) e
quindi svincolati dalla produzione del cibo.
Durante il PPN A i morti erano sepolti in posizione rattratta
all’interno di fosse scavate circa 1 m al di sotto del livello pavimentale delle abitazioni, secondo una prassi che, come si visto, era già
in vigore dal Mesolitico.
Sono attestate pratiche rituali che rivelano una particolare attenzione per i crani dei defunti: in un caso 7 crani erano stati posti intorno a un ottavo, in un altro caso vari gruppi di tre crani ciascuno
erano stati sepolti vicini. Una terza attestazione consisteva di vari
crani infantili associati a uno scheletro infantile completo.
La cultura materiale del villaggio del PPN A era costituita da
strumenti in selce e in osso, oggetti di ornamento, macine e asce in
pietra.
Dopo questa fase vi fu uno iato di qualche secolo
nell’occupazione del sito.
A Mureybet (fase III) l’architettura è costituita da case a pianta
circolare di dimensioni più ampie e che spesso presentano una certa differenziazione degli spazi interni, suddivisi da tramezzi, e i primi
esempi di decorazioni parietali. L’industria litica è piuttosto appariscente e, benché si parli ancora di Neolitico Preceramico, si registra
L’ipotesi, suggerita dall’archeologo israeliano O. Bar-Yosef, tende a escludere che si possano riconoscere tracce di militarizzazione nella società neolitica. La
guerra non farebbe dunque parte del “pacchetto neolitico".
63
45
la comparsa della terracotta per la realizzazione di figurine femminili
o per recipienti di piccole dimensioni64.
La cultura materiale del Mureybetiano è ricca di manufatti artistici e di uno strumentario di uso pratico a cui, tuttavia, viene conferito un particolare prestigio estetico.
Il PPN B e il PPN C
Con il PPN B (8700-7000 BC), che ha un areale di diffusione più esteso rispetto al PPN A,
si registrano il consolidamento
dell’economia agricola e l’inizio della domesticazione animale, che
(almeno secondo l’ipotesi tradizionale) inizialmente coinvolge solo
capre e montoni, poi anche bue e porco65. A partire dalla sua fase
media (8200-7500 BC), il Neolitico Preceramico B conosce una rapida diffusione66 e con il PPN recente, intorno a 7500 a.C., si può dire
che le società dell’Asia sudoccidentale siano già pienamente neolitiche: l’economia agricola è ormai diffusa in tutto il Vicino Oriente,
dai Monti Zagros (Jarmo, Karim Shahir) all’Anatolia (Çayönü, Hacilar).
Le case sono ora prevalentemente di forma rettangolare e i rituali funerari risultano più complessi, prevedendo, tra l’altro, la rimodellazione del cranio(es. Jericho, Aïn Ghazal, Beisamoun). Questi crani
potevano essere inseriti sul suolo delle abitazioni (come a Jericho),
in depositi collettivi o sotterrati. È difficile ricostruire il significato di
una simile pratica ma si può pensare a una forma di culto degli antenati che, forse, prevedeva cerimonie particolari nelle quali questi
crani rimodellati venivano esposti pubblicamente.
La fase successiva, riconosciuta nel sito di Aïn Ghazal e denominata PPN C, vede una netta riduzione delle attività di caccia a favore dell’allevamento di nuove specie domestiche e, in concomitanza con la diffusione di un’economia pastorale, si ritorna a forme
di insediamento meno stabile e seminomade.
64 Non si può ancora parlare di veri e propri manufatti ceramici in quanto
l’argilla utilizzata per modellare statuette e recipienti, pur essendo sottoposta
all’azione del fuoco, non presenta l’aggiunta di sostanze smagranti di origine minerale o vegetale. CAUVIN 1994.
65 HELMER ET ALL. 1998. Sulla cronologia della domesticazione animale si veda infra a proposito di Cipro.
66 Dopo la fase antica del PPN B (8700-8200 BC), che coinvolge soprattutto
l’area della Siria settentrionale precedentemente occupata dal Mureybetiano
con modeste espansioni verso l’Anatolia sudorientale, nella fase media si registra
una seconda ondata di espansione che si estende verso il Levante meridionale.
Risale a questo periodo anche la colonizzazione dell’isola di Cipro da parte di
comunità che vi introdussero alcune specie animali in via di domesticazione (cfr.
infra).
46
Jericho II
Dopo l’abbandono il sito di Jericho non fu occupato per vari secoli, sino al PPN B (datato 7220-5850 bc)67. La Kenyon ipotizzò che la
nuova occupazione fosse legata all’arrivo di una nuova popolazione e tale fenomeno sembrerebbe confermato dai dati antropologici: sarebbe collocabile in questa fase la comparsa di individui del
tipo “mediterraneo gracile”, già presente in Siria dal Mureybetiano,
che si mescolano ai “mediterranei robusti” del Sultaniano68 e che
portano un nuovo strumentario e nuove tecniche edilizie.
Le abitazioni di questa fase
presentano una pianta rettangolare, con pavimenti in terra
battuta scottata e pareti intonacate. Erano costruite con
mattoni di argilla a facce parallele con spigoli smussati, talvolta su fondazioni in pietra. Le
stanze, piuttosto ampie, erano
disposte intorno a un cortile e
suddivise da tramezzi.
(dal sito: http://www.mcc.cc.fl.us/)
Una costruzione separata
dalle altre, con una nicchia aperta nella parete terminale, nei pressi
della quale è stato trovato un pilastro di roccia vulcanica, è stato
interpretato dalla Kenyon come tempio, anche se non si hanno indicazioni precise. Dal punto di vista economico si registra una
maggiore varietà e incidenza delle specie coltivate ed è probabile
che la pecora fosse già domesticata.
I defunti erano sepolti al di sotto delle abitazioni o nel riempimento di edifici abbandonati. Le tombe erano spesso collettive e in alcuni casi i cadaveri risultavano disarticolati e privi del cranio.
(dal sito : http://courses.unc.edu)
Sotto la pavimentazione di una
casa si è trovato un deposito di 7
crani da cui erano state rimosse le
mandibole e che erano stati ricoperti di gesso modellato in modo realistico, a riprodurre le sembianze del defunto. Due conchiglie (es. ciprea) erano collocate nelle orbite oculari. Questi crani e altri anaLe date radiocarboniche ottenute per il livelli di PPN B sono di difficile interpretazione. Anche in questo caso i laboratori coinvolti sono due (British Museum e
Philadelphia). I laboratori del British Museum hanno fornito sei date: 7220 ± 200 bc
(BM-115), 6760 ±150 bc (BM-253) = PPN B medio. Anche in questo caso le datazioni ottenute a Philadelphia risultano più giovani: 7006±103 bc (p-382). In generale si può pensare che il villaggio sia stato impiantato intorno a 7000 bc e occupato sino a 6500 bc o poco oltre.
68 ÖZBEK 1976; STROUHAL 1973.
67
47
loghi (in tutto una decina) sono stati recentemente attribuiti a individui adulti di sesso maschile. La pratica della modellazione del
cranio è attestata solo a Jericho, Tell Ramad, Aïn Ghazal e Beisamun.
L’industria litica è varia e, oltre agli strumenti in selce scheggiata,
presenta macine e pestelli, martelli, lisciatoi, recipienti scavati nel
calcare tenero locale, pesi da telaio.
Tra i reperti più significativi di questa fase si annovera una serie di figurine antropomorfe stilizzate in gesso e
in argilla. Come per i crani modellati,
anche in questo caso gli occhi erano
spesso costituiti da valve di conchiglie.
(dal sito: http://www.mcc.cc.fl.us/)
Dopo il PPN B c’è uno iato nell’occupazione del sito, che riprenderà nel tardo Neolitico e durante l’età del Rame.
Aïn Ghazal
Il sito giordano di Aïn
Ghazal, ubicato alla periferia nordorientale della capitale Amman, presenta
alcune tra le più ricche ed
interessanti testimonianze
del Neolitico Preceramico
del Vicino Oriente.
Il villaggio fu scoperto
nel corso degli anni Settanta, durante i lavori per la
realizzazione di una strada
e gli scavi furono intrapresi (dal sito: http:// www.asia.si.edu)
tra 1982 e 1989 da una équipe americano-giordana, diretta da G.
Roffelson e da Z. Kafafi e poi ripresi dal 1993 al 1996.
Le ricerche hanno messo in luce i resti di un grande villaggio pluristratificato che, grazie anche alla ricchezza d’acqua, fu continuativamente popolato per due millenni, dalla fase media del PPN B al
Neolitico Ceramico (Yarmoukiano). La stratigrafia ha inoltre permesso di riconoscere un livello pertinente a una fase tarda del Neolitico
Preceramico, definito PPN C.
48
I quattro periodi di occupazione principali possono essere così
schematizzati:
• Neolitico Preceramico B fase media (MPPNB): 7250-6500 bc
• Neolitico Preceramico B fase tarda (LPPNB): 6500-6000 bc
• Neolitico Preceramico C (PPNC):
6000-5500 bc
• Neolitico Ceramico Yarmoukiano:
5500-5000 bc
Le indagini paleobotaniche hanno ricostruito un ambiente dominato da boschi di querce e da pioppi e tamerischi che, probabilmente, costeggiavano il corso del fiume Zarqa.
I livelli di occupazione più antichi, individuati sulla sponda occidentale del fiume, sono direttamente sovrapposti al livello sterile di
argilla rossa basale. Il villaggio, impiantato nella fase media del PPN
B, copriva un’area di un paio d’ettari ma, verso la fine di tale periodo, si era già ampliato sino a 5 ettari (con una popolazione stimata
intorno alle 600-750 unità). Come si vedrà, un ulteriore significativo
ampliamento si registra all’inizio della fase tarda del PPN B, in concomitanza con un diffuso abbandono dei siti preceramici del Levante meridionale (Jericho, Beidha etc.). È verosimile che la popolazione dei primi villaggi agricoli di Israele e della valle del Giordano
si sia dislocata più a nord, in territori più elevati e anche nell’area di
Aïn Ghazal69. È in questa fase che l’abitato si estende anche sulla
sponda orientale del fiume, raggiungendo, nell’arco di alcune generazioni, i 15 ettari di ampiezza (con una popolazione stimata in
almeno 2500 residenti)70.
L’impatto sulle risorse ambientali determinato da questa pressione demografica porterà a un loro generale degrado e a un lento
ridimensionamento dell’abitato, che si concentrerà di nuovo solo
sulla sponda occidentale del fiume e che nel Neolitico Ceramico
sarà occupato solo stagionalmente occupato da gruppi di pastori
nomadi.
Il villaggio più antico (fase media del PPN B) presentava dunque
una struttura compatta, con piccoli agglomerati di abitazioni costruiti sulla sponda del fiume: gli edifici sono caratterizzati da muretti
perimetrali in pietra e da una pavimentazione in terra battuta. La loro ampiezza va da 35 a 50 mq e sono solitamente costituiti da
un’unica stanza con focolare circolare. Verso la fine del PPN B medio iniziano a essere presenti dei muretti interni con funzione portante più che divisoria71. La particolare struttura di questi agglomerati,
nei quali le abitazioni erano strettamente addossate le une alle altre
e nettamente separate da quelle di altri agglomerati, ha suggerito
ROLLEFSON 1987.
ROLLEFSON 1997a. Insediamenti così estesi sono per il momento attestati solo in
Giordania.
71 Si è infatti ipotizzato che rimpiazzino l’uso di pali portanti in legno, il cui prelievo nel territorio si sarebbe rivelato più faticoso (ROLLEFSON & KÖHLER-ROLLEFSON
1989; ROLLEFSON 1990).
69
70
49
che l’impianto urbanistico del sito tenesse conto dei gruppi familiari
esistenti.
Le analisi paleobotaniche hanno evidenziato la pratica della coltivazione di un’ampia gamma di specie domestiche (grano, orzo,
lenticchie, piselli, ceci), mentre l’assemblage faunistico è costituito
da più di 50 specie selvatiche, dominate dalla capra che, da sola,
costituisce il 50% del record72. La varietà della fauna indica da un
lato l’abbondanza di risorse alimentari, dall’altro l’esistenza di un
ecosistema variegato.
La cultura materiale di questa fase suggerisce la pratica di attività altamente specializzate, come la scheggiatura di selce di buona qualità, estratta da miniere collocate a un paio di km di distanza. Tra i manufatti più diffusi si annoverano punte di freccia e di lancia, punte di freccia, lame di falcetto e bulini. La vasta attestazione
di questi ultimi è stata interpretata come prova secondaria di
un’intensa lavorazione del legno.
Le sepolture del PPN B medio prevedono in alcuni casi
l’inumazione di uomini e donne, di età sia giovanile che adulta, al
di sotto del pavimento delle abitazioni, talora con rimozione e inumazione secondaria del cranio. Come già segnalato per Jericho,
anche ad Aïn Ghazal sono stati trovati 6 crani sottoposti a rimodellamento: in un solo pozzetto, collocato nel cortile di un’abitazione, si
sono rinvenuti 4 teschi, di cui 2 con tracce di gesso sul volto e nelle
orbite oculari, con una sottile linea di bitume tracciata per dividere
le palpebre. Un’altra categoria di sepolture (attestata nel 30% dei
casi) è quella che prevede l’inumazione del cadavere (completo di
cranio) all’interno di pozzetti-rifiutaia. Queste modalità di sepoltura
sono di norma applicate anche agli individui di età infantile, per
quanto si segnalino rari casi di sepolture infantili sotto i pavimenti o
le soglie delle abitazioni, riconducibili probabilmente a riti di fondazione. Non si sa dove fossero sepolti gli altri membri della comunità e
allo stato attuale delle ricerche nel Levante non è stato rinvenuto
alcun esempio di necropoli extraurbana per il PPN B. Il diverso trattamento riservato ai cadaveri induce comunque a supporre
l’esistenza di una strutturazione gerarchica della comunità.
Il sito di Aïn Ghazal ha restituito anche una serie di figurine antropomorfe, di solito costituite da testa e busto, con i genitali non evidenziati. Tra queste esistono comunque esemplari sicuramente
femminili, con addome e seni prominenti, interpretati come “dee
della fertilità”. Nei livelli del PPN B medio sono abbondanti anche le
figurine di animali, che riproducono soprattutto bovidi selvatici e
che possono essere genericamente ricondotte a un culto del toro,
particolarmente diffuso in tutto il Vicino Oriente. Una loro funzione
propiziatoria ai fini della caccia sembra essere confermata dal ritrovamento di alcuni esemplari nei quali sono state conficcate delle
Alcuni autori interpretano questo dato come indizio della domesticazione di
questa specie. KÖHLER-ROLLEFSON 1997; DRIESCH & WODTKE 1997.
72
50
lame in selce e dalla scarsità delle figurine rappresentanti capre,
cioè animali già sottoposti a una forma di incipiente domesticazione.
Nel 1983 e nel 1985 sono stati rinvenuti nel sito anche due depositi
contenenti statue in gesso di dimensioni monumentali: il primo (che fu
prelevato intatto e scavato in laboratorio nel 1983) conteneva 13 statue e 12 busti (tra cui una dea della
fertilità che trattiene il seno con le
mani) datati al 6750 BC ca.; il secondo deposito (quello scoperto nel
1985) conteneva invece 2 statue, 3
busti bicefali e 2 teste parziali, datate al 6570 BC ca. Si tratta di sculture
con un’altezza variabile da 35 a 100
e le loro proporzioni monumentali
depongono a favore di una funzione
pubblica piuttosto che domestica. In
base alle loro dimensioni queste sculStautuette antropomorfe
ture sono state suddivise in “busti” e
Dal sito:
http://www.ucl.ac.uk/archaeology
“figure”. I primi sono più larghi, formati da un blocco di base, solitamente non decorato, che sostiene la testa. Le seconde, invece,
hanno braccia e gambe evidenziate (talora con evidenti deformazioni genetiche, per esempio estremità a sei dita). In entrambi i casi
mancano i genitali e i volti appaiono sproporzionati ma delineati
con cura dopo una preliminare lucidatura mediante ocra, con occhi, naso e bocca ben evidenziati. Il contorno degli occhi e l’iride
sono dipinti con bitume nero e, talora, con il diottasio (un colorante
verde derivante da un composto del rame). Le sculture erano state
costruite intorno a un’armatura in canne e giunchi, rinforzata con
avvolgimenti di cordicelle, a cui era stato applicato un rivestimento
di calce, quarzo e calcare tritati. La testa e il collo erano rinforzati
con un avvolgimento continuo di spago e dalle estremità inferiori
spuntano tratti dell’armatura interna, finalizzati al posizionamento
verticale delle sculture. Si pensa che queste statue in gesso possano
rappresentare una sorta di pantheon di divinità, il cui interramento
all’interno di pozzetti potrebbe essere simbolicamente correlato ai
concetti di morte e rinnovamento, particolarmente indicativi nel
comportamento rituale delle prime società agricole.
Verso la fine del PPN B medio e l’inizio della fase tarda si registra
un incremento nella popolazione e l’area di abitato viene estesa alla sponda orientale del fiume. La difficile lettura delle strutture in
questa porzione del sito non permette, allo stato attuale, di chiarire
la reale natura di questo ampliamento. Come si è visto in prece51
denza, è stata formulata l’ipotesi che l’incremento nella popolazione fosse dovuto all’immigrazione da parte di gruppi provenienti dai
villaggi ormai abbandonati della valle del Giordano. Si può dunque pensare che tali gruppi abbiano scelto, spontaneamente o
meno, di insediarsi in quest’area periferica del villaggio73.
Anche le testimonianze riferibili al PPN B tardo sono spesso difficilmente leggibili e obliterate da quelle successive del PPN C e dello Yarmoukiano. Si evidenziano tuttavia abitazioni estremamente
grandi, di ampiezza doppia rispetto a quelle della fase precedente,
e caratterizzate da due piani. Questo fenomeno viene letto in chiave sociale, come indice del passaggio da una struttura incentrata
su famiglie nucleari a una compagine basata su nuclei familiari estesi che mettono in comune sforzi e risorse74.
Particolarmente interessante è la comparsa, nel PPN B tardo, di
edifici particolari, la cui funzione potrebbe essere rituale. Si tratta di
tre o quattro strutture a pianta absidata, di dimensioni inferiori rispetto a quelle delle unità abitative (7,5 mq ca.). In un caso al centro
dell’abside erano presenti un ortostato e altre due pietre75. Sono poi
presenti due edifici a pianta circolare (definiti dagli Autori come
shrines) di dimensioni estremamente ridotte (meno di 5 mq), imperniati su un’apertura centrale, dotati di cataletti sotterranei e di pavimentazioni più volte ripristinate. Un’ultima categoria di edifici rituali
è costituita dai cosiddetti “templi” (temples), localizzati nell’area orientale del villaggio. Il primo di questi edifici, di pianta rettangolare,
è ubicato in cima a un pendio e contiene un altare circondato da
pietre, un focolare, diverse pietre conficcate verticalmente nel terreno, un ortostato antropomorfo nella parete orientale. Il secondo
edificio, più ampio, è diviso in due ambienti: quello orientale contiene un altare e un focolare circondato di pietre. La pavimentazione era costituita da ciottoli di fiume ricoperti da una stesura di argilla e un tramezzo nascondeva alla vista dei profani le attività svolte
nel secondo ambiente76. Le ampie dimensioni di questi due templi e
la ricchezza dei loro apparati hanno suggerito che la loro funzione
fosse comunitaria, e non più riservata a singoli gruppi familiari77.
Significativi cambiamenti si osservano all’inizio del VI millennio,
con la fase denominata PPN C: il record faunistico di questo periodo vede una drastica riduzione nel numero delle specie animali disponibili (da 50 a 15), fatto che, verosimilmente, portò a rivolgersi in
modo più intenso alla domesticazione animale78. In questo periodo
ROLLEFSON & SIMMONS 1986.
ROLLEFSON, 1987b.
75 ROLLEFSON, KAFAFI & SIMMONS 1990.
76 L’analisi radiometrica di un campione di carbone da questo edificio ha fornito una data di 6130±65.
77 ROLLEFSON & KAFAFI 1996a E 1996b.
78 L’incidenza della caccia nel PPN C di Aïn Ghazal può essere stimata intorno
al 10%; viceversa si registra l’intensificazione dell’allevamento, con la domestica73
74
52
si introducono anche due nuove tipologie edilizie: da un lato si ritorna infatti ad abitazioni monofamiliari di piccole dimensioni (15 mq
ca.) che sono ora dotate di un cortile recintato adibito a varie funzioni quotidiane di sussistenza, dall’altro compaiono i cosiddetti
“corridor buildings”, vale a dire strutture di ricovero seminterrate, interpretate come pertinenti a gruppi familiari seminomadi, che si
fermano ad Aïn Ghazal solo per una parte dell’anno79. Le pratiche
funerarie del PPN C non prevedono più la rimozione e la deposizione secondaria del cranio e non sono documentati edifici adibiti a
particolari funzioni rituali.
Questo sdoppiamento della comunità, tra famiglie pienamente residenziali e gruppi pastorali seminomadi, non è più presente nella
fase successiva del Neolitico Ceramico Yarmoukiano, allorché sono
documentate solo piccole abitazioni monofamiliari ben distanziate
tra loro e indipendenti80. Per questa fase non si evidenziano più sepolture all’interno dell’abitato e, verosimilmente, i defunti venivano
inumati in una necropoli esterna. È invece presente in questa fase
un edificio rituale (o, comunque, a destinazione collettiva) che in
parte oblitera una delle strutture absidale del PPN B tardo, al cui interno sono state rinvenute suppellettili in ceramica fine (mentre è
del tutto assente quella di uso domestico).
Il sito anatolico di Çayönü Tepesi, ubicato nella piana di Diyarbakr, vicino al corso superiore del Tigri e dell’Eufrate, costituisce, insieme a quelli di Cafer Höyük, Boytepe e Nevali Çori, una delle più
importanti testimonianze della facies denominata “PPN B del Tauro”. Gli scavi, condotti a partire dagli anni Sessanta da un’équipe
internazionale diretta da Braidwood e Çambel, hanno messo in evidenza una stratigrafia millenaria, entro la quale è possibile leggere
una straordinaria complessità nell’architettura e nell’organizzazione
topografica e funzionale dei diversi settori del sito.
Nelle fasi più antiche, dopo una iniziale diffusione di edifici a
pianta circolare (round plan buildings), sono presenti basamenti rettangolari a muri paralleli, che costituivano la piattaforma sopraelevata per le abitazioni (grill plan buildings). Successivamente, si passa
ad abitazioni tripartite, con lunghe stanze allungate (channelled
buildings) e, quindi, ad unità abitative costituite da piccole celle a
pianta quadrata o rettangolare (cell plan buildings) e, infine, ad
ambienti più spaziosi (large room buildings).
Questa scansione si riflette anche nelle strategie di sussistenza,
che vedono dominare le leguminose nella prima fase, cereali selvazione di nuove specie come la pecora (alla fine del PPN B tardo), il porco (nel
PPN C) e la vacca (nella fase tarda del PPN C). KÖHLER-ROLLEFSON et al. 1993.
79 Si è ipotizzato che questi gruppi trascorressero la stagione delle piogge
(dall’autunno/inverno sino a maggio/giugno) nelle steppe e nelle aree desertiche con greggi di capre e pecore e tornassero al villaggio solo nella stagione arida. ROLLEFSON & KÖHLER-ROLLEFSON 1993.
80 KAFAFI & ROLLEFSON 1995.
53
tici nella fase intermedia e domestici nella fase del cell plan.
L’industria litica è dominata dalla presenza di ossidiana della Cappadocia o del Tauro (Bingöl), spesso lavorata a pressione. Si annoverano inoltre recipienti e monili realizzati in marmo levigato. Analisi
più dettagliate sulle industrie litiche sono in corso di elaborazione da
parte di Isabella Caneva che, correlando i dati ricavati da uno studio morfologico dei manufatti, dall’analisi delle tracce d’usura e
dall’identificazione delle materie prime, ha cercato di elaborare
una periodizzazione interna del sito e di collegarla a quella definita
in base alle fasi edilizie. In questo approccio integrato, i dati emersi
dallo studio delle industrie litiche sono stati affiancati da un’analisi
delle diverse modalità di strutturazione dello spazio e correlati alle
informazioni disponibili sull’economia. Il quadro che emerge delinea
una successione di quattro diversi stadi:
Il primo stadio, corrispondente alla fase delle abitazioni rotonde e
delle prime case a griglia, si caratterizza per un’agricoltura incipiente e per una tecnica locale di taglio dell’industria litica. Lo spazio di
lavoro è indifferenziato rispetto a quello domestico e si colloca
all’esterno o all’interno delle abitazioni. Non sono presenti in questo
stadio grandi edifici pubblici o differenziazioni gerarchiche
nell’ampiezza e nella ricchezza delle abitazioni o tra i diversi quartieri del sito.
Il secondo stadio, corrispondente alla fase recente delle abitazioni a griglia e a quella dei channelled buildings, è caratterizzato
da un’agricoltura più sviluppata e da nuove modalità di scheggiatura dell’industria litica, con introduzione della tecnica a pressione e
di materie prime di pregio (soprattutto ossidiana), fenomeni che
sembrano suggerire un’espansione a livello regionale delle relazioni
del sito. Lo spazio di lavoro si concentra ora in zone specializzate (ateliers) all’esterno delle abitazioni.
Nel terzo stadio, corrispondente alle cobblepaved houses e ai più
antichi cell plan buildings, si osserva l’introduzione della domesticazione dei caprovini, accompagnata da un incremento nell’uso di
materie prime speciali (ossidiana) e dall’adozione di varie tecniche
di taglio della pietra, tra cui quella bipolare a nuclei naviformi, di
chiara matrice levantina. Le relazioni del sito sono dunque particolarmente estese. Il villaggio si organizza in unità indipendenti e lo
spazio di lavoro, molto specializzato, si concentra ora in zone differenziate all’interno delle abitazioni, mentre all’esterno si delinea uno
spazio pubblico cerimoniale ben definito con una gerarchizzazione
tra abitazioni e diversi quartieri del sito. Nucleo importante di questa
fase è la grande piazza, attorno alla quale si distribuiscono abitazioni ricche, ben differenziate rispetto a quelle ordinarie.
L’ultimo stadio, corrispondente alle fasi recenti delle abitazioni a
cell plan e ai large room buildings, vede l’affermazione delle pratiche di allevamento e un’ulteriore specializzazione nelle industrie litiche.
54
La progressiva gerarchizzazione del sito sembra corrispondere alla strutturazione di rapporti di parentela e di forte coesione sociale
all’interno di un territorio sempre più vasto, su una base di alleanze
politiche.
Per quanto concerne gli aspetti spirituali, si possono citare alcune
figurine femminili in terracotta e, a Nevali Çori, una grande statuaria
antropomorfa in pietra. A Çayönü il culto dei crani è documentato
dal raggruppamento di più di settanta teschi e di resti di 400 inumati
all’interno di un unico edificio absidato, interpretato come “casa
dei morti”. Lo stesso edificio risulta caratterizzato da stele verticali e
da una pietra, interpretata come altare, su cui si sono riscontrate
tracce di sangue, sia animale che umano81.
Come si è visto in precedenza, il
sito pluristratificato di Qualat Jarmo,
nel Nord dell’Iraq (Kurdistan iraqueno), fu oggetto di scavi pluridisciplinari da parte di una équipe guidata da Braidwood: su un’area di 140
x 80 m si scavò un deposito dello
spessore di 7 m, costituito dai resti di
sedici insediamenti successivi. Negli
undici livelli più antichi (PPN) si trovarono in media venticinque abitazioni per ogni fase, caratterizzate
(da Hawks)
da una pianta rettangolare analoghe a quelle di Jericho II e da strutture infossate interpretabili come silos e focolari. L’economia del sito
era basata sulla coltivazione di orzo e di farro (Tr. dicoccum) sicuramente addomesticati e lungamente selezionati. I resti della cultura materiale consistono in macine, asce in pietra levigata, statuette
fittili crude, stampi e sigilli in terracotta, mentre non è attestato l’uso
della ceramica per la produzione del vasellame, che continua a essere fabbricato in pietra.
Nel sito di Hacilar sono
stati messi in luce sette livelli
di Neolitico Preceramico
(datati intorno al 7000
a.C.). Qui i villaggi erano
costituiti da case rettangolari con fondazioni in pietra,
formate da un solo ambiente e da cortili contenenti silos e focolari. Sono
presenti tracce di coltivazione di orzo e lenticchie
81
(da Mellaart)
ÖZBEK 1988.
55
ma non di allevamento.
Verso la fine del periodo le società risultano meglio organizzate e
strutturate in villaggi sempre più grandi, con capanne di forma
standardizzata e con costruzioni di prestigio.
2.2.7
La ceramica
Intorno al 7000 il processo di Neolitizzazione può dirsi ormai completato: con l’adozione della ceramica risultano infatti presenti tutti i
caratteri (economici, tecnologici, sociali) del Neolitico.
La scoperta della ceramica è legata alla conoscenza del fuoco
e delle sue proprietà, affinata nel corso dei millenni. La produzione
di vasellame è senza dubbio preceduta da una lunga fase preparatoria, durante la quale si era iniziato a sperimentare, forse in modo
accidentale, il risultato del surriscaldamento di superfici in terra battuta o di intonaci argillosi. La produzione della ceramica risulta del
resto successiva rispetto a quella di statuine fittili, già documentate
nel PPN (es. Jericho, Mureybet, Aswad etc.) ed eccezionalmente
presenti addirittura nei complessi gravettiani dell’Europa Orientale
(es. Dolní Vestonice, in Moravia)82.
A Mureybet la fase di sperimentazione è già precocemente documentata nel X millennio, con la produzione di figurine in argilla,
ma non sembra dare esiti immediati83. Nell’area siro-palestinese,
dove esisteva una lunga tradizione nella produzione di vasi in pietra,
la transizione alla ceramica avviene solo all’inizio del VII millennio.
All’inizio del periodo, tra 7000 e 6500, l’adozione della ceramica
non è ancora generalizzata e in alcuni villaggi si continuano a produrre recipienti in pietra, calce e gesso.
Le prime attestazioni di stoviglie plastiche sono quelle di una terraglia di colore biancastro (vaisselle blanche), modellata con una
sorta di calcina calcarea non sottoposta a cottura84. Questo tipo di
Le più antiche ceramiche sono note in Giappone intorno all’XI millennio, in
contesti caratterizzati da un’economia ancora di tipo predatorio, basata su caccia, pesca e raccolta, ma in fase di incipiente neolitizzazione Anche nell’Africa
sahariana la ceramica, che si colloca nell’VIII millennio, risulta precedere
l’introduzione dell’agricoltura. L’origine della ceramica nel Vicino Oriente non ha
legami con queste attestazioni più antiche e deve essere considerato come un
fenomeno di convergenza (GUILAINE 2000).
83 Cfr. supra.
84 Recipienti di questo tipo sono presenti, per esempio, a Byblos, in Libano.
CAMPS G., La Prehistoire, 1982 ; BALFET M., LAFUMA H., LUNGUET M., TERRIER P. 1969, Une
invention néolithique sans lendemain. Vaisselles précéramiques et sols enduits de
quelques sites du Proche-Orient, in « Bulletin de la Société préhistorique française », 66, pp. 188-192 ; DE CONTENSON H., COURTOIS L. C., A propos de vases en
chaux. Recherches sur leur fabrication et leur origine, in « Paléorient », 5, 1979, pp.
177-181.
82
56
produzione non può ancora considerarsi ceramica, sia perché non
è ricavata da argilla, sia perché non è cotta.
I primi esemplari di veri e propri vasi in terracotta provengono da Tell Mureybet (Siria;
sull’Eufrate): si tratta di piccoli vasetti cilindrici
con decorazione incisa.
Anche in questo caso l’invenzione rimase senza seguito e i livelli superiori risultano ancora aceramici. La definitiva affermazione di culture
provviste di ceramiche si ha intorno al 6000 a.C.
(Ramad III, 5930 ± 55; Bouqras III, 5990 ± 60).
La ceramica si sviluppa e si diffonde molto
rapidamente nel Vicino Oriente, propagandosi
(da Guilaine)
anche verso il Mediterraneo. La velocità della
diffusione fa pensare a una origine poligenica.
Sull’origine della ceramica e sulle sue motivazioni esistono ancora
molti dubbi. Di fatto essa appare successivamente alla sedentarizzazione, ma in una fase molto tardiva. È stata messa in relazione
con l’agricoltura e anche con la necessità di avere contenitori resistenti al fuoco per la cottura dei cibi (che peraltro poteva avvenire
anche in recipienti di cuoio o legno mediante pietre riscaldate, pratica attestata da alcuni confronti etnografici) .
Il Neolitico ceramico
L’evoluzione dalle fasi finali del Neolitico Preceramico a quelle
del Neolitico Ceramico sembra essere stata continua e lineare, senza significative cesure, e caratterizzata (a partire dal PPN B recente
- 7500 BC ca.) da una riconfigurazione del pattern insediativo e da
un’ulteriore espansione territoriale al di fuori del nucleo levantino originario. Il Levante meridionale e, in particolare, la bassa valle del
Giordano vedono gradualmente scomparire i villaggi sedentari o il
loro spostamento in quota, mentre si può osservare una decisa espansione verso il Levante settentrionale, nelle regioni del Medio Eufrate e della Jezireh Siriano-turca, verso il litorale mediterraneo e
l’isola di Cipro. Le abitazioni sono rettangolari o, più sporadicamente, circolari e tendono ad essere di tipo “monocellulare”. Vari indizi
inducono a ipotizzare l’esistenza, accanto a comunità sedentarie,
di gruppi di pastori nomadi, soprattutto nelle zone più aride delle
steppe desertiche. Si sono identificate diverse culture locali, che tuttavia non risultano ancora ben conosciute: in generale si osserva un
miglioramento nelle strategie economiche, nella tecnologia litica,
l’introduzione di recipienti modellati in terracotta, particolarmente
raffinati soprattutto nella regione di Aswad o lungo il litorale fenicio
ove, dal 7000 BC, si diffonde la Dark Faced Burnisher Ware (DFBW) a
superfici brune (ma talora chiare) lucidate.
Come si è detto, nel corso dell’VIII millennio, gruppi di agricoltori
preceramici dell’area siro-palestinese intrapresero la colonizzazione
57
dei territori sudorientali e centrali dell’Anatolia. Non si hanno documentazioni particolarmente significative delle precedenti fasi di occupazione di quest’area centrale, che, a causa forse del clima più
freddo rispetto a quello del nucleo levantino, era stata popolata in
modo più sparso. Dal 7500 BC vengono fondati villaggi complessi e
molto estesi, come Can Hasan III e Çatal Hüyük, caratterizzati da
un’economia agricola affiancata dalla pratica della caccia (soprattutto all’uro) e da attività artigianali piuttosto complesse e specializzate: dallo sfruttamento di ossidiana e selce di buona qualità
per la produzione di armi di prestigio ai primi esperimenti di lavorazione del rame nativo, a una produzione di ceramica monocroma
lucidata chiara. Del tutto singolare è la struttura urbanistica dei
grandi villaggi, che presentano una pianta “agglutinante”, con abitazioni addossate tra loro e accessibili solo dai tetti.
Çatal Hüyük
Questo tell, che domina la piana di Konya nella Turchia meridionale, fu esplorato da J. Mellaart negli anni Sessanta e durante gli
scavi venne alla luce un esteso villaggio (dell’ampiezza di circa
12÷13 ettari). Il tell aveva una potenza di circa 17 m e comprendeva 12 livelli abitativi. Quelli più antichi si collocano a cavallo tra VIII e
VII millennio e i più recenti risalgono alla fine del VII millennio. Attualmente non si conoscono livelli preceramici.
L’economia del villaggio era ampiamente basata sull’agricoltura
(orzo, cereali vari e leguminose), probabilmente irrigua, sull’ allevamento di caprini e sulla caccia ad alcune specie selvatiche: cervi,
cinghiali e stambecchi.
L’importanza del sito era anche legata allo sfruttamento e al
commercio dell’ossidiana anatolica. La cultura materiale è dunque
principalmente costituita da industria litica di prestigio ricavata da
selce e ossidiana, da strumenti in pietra levigata, vasi di legno e panieri, mentre nelle fasi più antiche l’uso della ceramica è ancora
sporadico.
I caratteri più singolari del villaggio sono
legati alla sua architettura e al suo singolare
impianto urbanistico:
le case erano addossate le une alle altre,
senza che vi fossero
strade intermedie. Si è
dunque ipotizzato che
l’accesso
avvenisse
dall’alto,
attraverso
(da Mellaart)
scale e terrazze.
58
Per la costruzione si erano utilizzati mattoni crudi. Pitture e rilievi
con figure femminili in atto di partorire e teste di toro collocate nelle
pareti settentrionali o occidentali delle abitazioni, statuette muliebri
in pietra, figurine fittili maschili o animali hanno suggerito l’ipotesi
che alcuni ambienti fossero adibiti a pratiche di culto. Resti di carnivori, zanne di cinghiali o becchi di avvoltoi sono inseriti in protuberanze di argilla che sporgono dalle pareti, mentre sulle pareti decorate ad affresco sono spesso presenti avvoltoi nell’atto di attaccare
uomini acefali.
La più celebre scultura rinvenuta nel villaggio raffigura una “Dea”
pingue, seduta su un trono, nell’atto di accarezzare due pantere
che la fiancheggiano. Prototipo dell’iconografia orientale della
Potnia Theròn, la dea di Çatal Hüyük incarna i concetti di madre
feconda e di regale dominatrice delle fiere.
Un ambiente con rilievi e affreschi
(da Mellaart)
Protomi taurine
e dea partoriente
(dal sito
http://inform.u
md.edu)
59