documento intervista al pittore
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INTERVISTA AL PITTORE CARLO PITERA' L’OMBRA DELLA BELLEZZA in DONNA, Vivere al Femminile inserto del periodico mensile NOTES N. 10/98 Dicembre 1998 di Egle Migliardi Colori brillanti come pietre preziose animano tele di grande formato, ricche di soggetti e di suggestioni: l’arte classica e la donna, Cristo e le immagini surreali ispirate al sogno. I quadri rivelano una ricerca dei valori che sublima il quotidiano, e l’impeto d’una forza vitale potente e oscura, lucente colore su tele d’ombra e di carne. L’arista, Carlo Piterà, ha al suo attivo moltissime mostre e pubblicazioni, fra cui il parere positivo di Annigoni, pittore anche dei reali d’Inghilterra, che apprezza “le sue fantasie conturbanti e il modo diretto di evidenziarle”. Questa è stata una delle mostre più belle ospitate ad Acqui, a Palazzo Robellini, con il patrocionio dell’assessore alla Cultura Danilo Rapetti. Ho rivolto alcune domande all’artista: La sua pittura è ricca di figure femminili bellissime, sensuali, quasi magiche, come ne “L’incantatore” bimbo biondo che suona il flauto ridestando al desiderio tre donne, o ne “LO’attesa di Eva” alla cui sontuosa nudità si avvicina una pantera, brividi di velluto e occhi fosforescenti. Qual è il concetto dell’Eros che anima questi quadri? “Sono d’accordo col pensiero di Proust: ‘c’è nell’amore una sofferenza permanente che la gioia neutralizza, rende virtuale, rinvia, ma che può in ogni momento diventare atroce’. Nei miei quadri cerco di raffigurare insieme la bellezza e il dolore della passione, simboleggiata dagli animali oscuri, il fascino prorompente che emana dalla donna e che non è mai pura fisicità bensì espressione, nelle sue linee sinuose, di quel mistero sfuggente che è l’amore. Nel quadro “Plenilunio” una ragazza spia la luna da un oblò, quella luna piena cui si attribuisce una visione sensibile e fantastica dell’universo, affine all’inconscio femminile. Ne “Le bagnanti” si avverte il piacere dell’immersione nell’acqua purificatrice, che lava il corpo e simbolicamente il peccato. La scena si svolge in un giardino con statue antiche: richiama alla mente il medioevale “hortus conclusus”, parco chiuso, emblema del Paradiso terrestre. La donna è così associata alla natura nel suo aspetto di bellezza e di procreazione: è questa l’idea che ha ispirato le due tele? “Si, alla donna è dato l’inestimabile dono di portare in sé la vita, di arrotondarsi come la luna piena per poi dischiudersi come il fiore nel frutto. Tutta l’arte che possiamo inventare noi uomini non è che il surrogato della potenzialità creativa femminile: dipingere donne è rappresentare l’atto d’amore da cui scaturisce la vita. E cosa vuol dire esporre un quadro, se non darlo alla luce come un figlio?” Nell’opera “La cornucopia” lei mostra una ragazza cui non manca niente: bella, ricca, generosa, spande i suoi frutti d’oro come dalla cornucopia della Fortuna; eppure questi doni si trasformano in spazzatura, negli occhi di lei c’è l’infelicità perché non ha l’amore, simboleggiato dall’uomo che sta al di là di tutto questo, nell’ombra. La poetessa Emily Dickinson scrisse: “Che l’amore esiste/è tutto quello che sappiamo dell’amore”. E per lei? “L’attrazione fra l’uomo e la donna è come il mare, che io amo moltissimo: profonda e contrastante, racchiude il blu cupo delle parole non dette, e l’azzurro splendente degli attimi di gioia. Come il mare, l’amore è ricco di perle difficili da raggiungere: può capitare che solo dopo anni una persona faccia vibrare in noi la corda segreta della tenerezza. Non a caso la ‘Cornucopia’ del mio quadro era in origine la grande conchiglia suonata da divinità oceaniche, musica potente che ha bisogno di spazio e anche di solitudine per potersi espandere”. La sua opera è animata da un’alta tensione etica e religiosa: frequente la figura di Cristo, soprattutto crocefisso dall’indifferenza generale, come in “Pilato”, uomo in abito moderno che contempla un antico quadro sulla deposizione dalla croce. L’osservatore è di schiena, in primo piano le sue mani intrecciate, aqllusione a Pilato che, richiesto su cosa si dovesse decidere riguardo alla sorte del Nazareno, si fece portare un bacile d’acqua e se ne lavò le mani. Che cosa ha voluto esprimere con questo quadro? “Il mio pensiero si può riassumere nella frase del filisofo Rosenzweig: ‘Fosse anche nato mille volte a Betlemme, se Cristo non è nato anche in te, sei perduto’. In ‘Pilato’ ho voluto dire che oggi la religione è considerata dai più un rituale da osservare esternamente come un pezzo da museo, in primo piano l’uomo senza fede, vestito con i colori oscuri dell’angoscia e della colpa d’indifferenza: Pilato non è che uno dei nomi dell’eterno egoismo umano”. Caravaggio ambientò nel suo presente le scene sacre, per dire che la fede e la salvezza non sono fatti del passato, ma possono capitare a chiunque, in qualsiasi momento, qui ed ora, anche mentre si sta giocando a dadi (vedi “la vocazione di San Matteo”). Allo stesso modo lei dipinge una “natività” in vesti moderne: il fanciullo è al centro, sulla paglia, come nelle tele antiche, ma compare un elemento totalmente nuovo: a destra, stesa su un letto, c’è un’autentica partoriente. Cosa pensa riguardo commistione di antico e di moderno nell’arte? “Nella mia ‘Natività’ la Madonna che partorisce sottolinea la sacralità di ogni nascita, e l’attualità del messaggio della Salvezza. Io non credo a una divisione netta fra l’antico e il moderno, ogni epoca porta in sé i semi della successiva, anche se a noi pare di vedere solo nel presente: di un albero vediamo il tronco, non le radici, che tuttavia esistono. Per questo ritengo non solo lecita, ma auspicabile l’unione dell’antico e del moderno nell’arte, l’accuratezza formale e l’armonia cromatica della pittura rinascimentale, e l’impeto visionario del surrealismo che crea accostamenti non possibili nel reale, ma reali nel sogno, ad esempio nel mio quadro intitolato ‘Naufragio’ un veliero fluttua nell’aria d’una stanza, la porta si apre lasciando entrare una marea di pietre: il vascello bianco dei sogni s’infrange contro i duri sassi del quotidiano. Come disse Magritte: ‘La pittura è un mezzo per evocare il mistero’”. Nella tela di grandissime dimensioni (cm 280 x 183) intitolata “Il collezionista” campeggia “La barca di Dante” di delacroix, che mostra il poeta all’inferno mentre i dannati, nudi e stravolti, tentano invano di aggrapparsi al suo legno. A destra un uomo dagli occhi folli, il collezionista appunto, moderno dannato spinto da una brama di possesso smodata, tiene in mano un quadro sfondato; alle sue spalle, immensa, l’ombra. Tanto presente nelle sue tele, cos’è per lei l’ombra? Cosa pensa del lato oscuro, incontrollato dell’uomo? “L’ombra è l’anima nera, negativa, quel cupo sottofondo di violenza e distruzione che scorre come un fiume fangoso nei labirinti segreti dell’uomo. L’ombra dello spirito ci segue come l’ombra del corpo, per questo è presente nelle mie tele o direttamente o personificata in figure oscure come la pantera e il pellegrino ammantato di nero che lascia inquietanti orme sulla neve ne ‘L’inverno’. L’ombra è la presenza malvagia che a volte trafigge con un vento di ghiaccio l’anima. L’arte diventa allora una lancia per combattere i demoni e procedere faticosamente verso la luce”. EGLE MIGLIARDI www.piteracarlo.it