“partecipazione politica”? Spunti di carattere comparato e

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“partecipazione politica”? Spunti di carattere comparato e
D AVIDE F IUMICELLI *
L’ INTEGRAZIONE DEGLI STRANIERI EXTRACOMUNITARI PUÒ ANCORA PASSARE DALLA
“ PARTECIPAZIONE POLITICA ”? S PUNTI DI CARATTERE COMPARATO E BREVI CONSIDERAZIONI SULLE
PROPOSTE PIÙ RECENTI E SULLE PRASSI LOCALI
(*Assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato – Università di Pisa)
Sommario: 1. L’integrazione degli stranieri extracomunitari e la necessità di una riforma della normativa italiana in
tema di partecipazione politica – 2. I diritti politici degli stranieri extracomunitari: il quadro europeo ed internazionale –
3. I diritti politici degli stranieri extracomunitari: il quadro offerto dalla comparazione – 3.1 Paesi che riconoscono (più
o meno estensivamente) il diritto di elettorato dei “non cittadini” – 3.1.1 Discipline “inclusive” – 3.1.2 Discipline
“intermedie” – 3.1.3 Discipline “selettive” – 3.2 Le peculiari esperienze di Francia e Germania – 3.3 Alcuni spunti di
sintesi – 4. L’integrazione politica a livello nazionale: le proposte di legge in tema di diritto di voto degli stranieri
extracomunitari – 4.1 Il dibattito in tema di diritto di voto: la questione della fonte competente a disciplinare la materia
– 4.2 Le più recenti proposte di riforma – 4.2.1 Disegni di legge costituzionale – 4.2.2 Disegni di legge ordinaria – 5.
Best practices in tema di diritti di partecipazione degli stranieri: i più recenti casi a livello regionale e locale – 5.1
L’incentivazione della partecipazione “diretta” – 5.2 L’incentivazione della partecipazione “indiretta” – 5.3 Una
partecipazione che favorisce l’integrazione? – 6. Alcune considerazioni conclusive
1. L’integrazione degli stranieri extracomunitari e la necessità di una riforma della normativa
italiana in tema di partecipazione politica
La ricerca di una maggiore integrazione degli stranieri extracomunitari è, per le odierne società europee, un’esigenza
sempre più presente e sentita, visto il tentativo di dar vita a comunità sì plurali, ma comunque coese. Occorre prendere
atto, infatti, di come le società non possano più essere considerate culturalmente omogenee, dovendo invece costruire un
modus vivendi che tenga conto della grande diversità culturale e mantenga al tempo stesso unità e coesione sociale1.
In particolare, una delle questioni che hanno acceso il dibattito politico e giuridico degli ultimi anni è certamente
quella dell’integrazione politica degli stranieri extracomunitari sul territorio dello Stato. E ciò vale a maggior ragione se
1
Cfr. C. Sartoretti, Multiculturalismo e immigrazione in Europa: spunti di riflessione, in Federalismi.it, n. 21, 2012, p. 26.
1
si pensa allo stretto rapporto che sussiste tra cittadinanza e democrazia (sia rappresentativa che partecipativa)2, visto che
il coinvolgimento di chi comunque non è cittadino all’interno dei processi decisionali non può che rafforzare la
consapevolezza dei valori, dei diritti e dei doveri legati all’acquisto formale della cittadinanza.
Rispetto a questi profili, la normativa italiana si mostra largamente inadeguata, in quanto tuttora fondata su principi
ispiratori quantomeno obsoleti3: oltre ad una disciplina della cittadinanza che si basa su un approccio fin troppo rigido
ed escludente4, infatti, nel nostro Paese continua a non essere riconosciuto agli stranieri extracomunitari regolarmente
soggiornanti sul territorio il diritto di voto tanto per le elezioni politiche, quanto per quelle amministrative sia a livello
regionale che locale5. E ciò nonostante i lavoratori immigrati siano oltre 2 milioni (costituendo oltre un decimo della
forza lavoro e risultando determinanti in molti comparti produttivi) e versino ingenti tasse e contributi previdenziali
nelle carenti casse italiane6.
Si tratta di una situazione che risulta critica tanto nella prospettiva della “cittadinanza come appartenenza”, quanto in
quella della “cittadinanza come partecipazione”7, ma che, tuttavia, non si presenta in una fase di assoluto stallo: in
primo luogo perché, a livello nazionale, le proposte di legge volte ad estendere i diritti politici (ed in particolare di voto)
degli stranieri extracomunitari hanno continuato a susseguirsi nel corso del tempo, anche grazie ad una situazione
politica complessa8, ma proprio per questo forse più aperta ad accogliere innovazioni; in secondo luogo perché, a livello
locale, sono state implementate politiche territoriali in tema di elezioni primarie e di partecipazione popolare e
istituzionale (si pensi, ad esempio, al referendum) volte a riconoscere maggiori diritti agli stranieri, che possono essere
riprodotte in altri enti sub-statali o a livello nazionale.
Può risultare dunque utile, anche al fine di cercare di stabilire una connessione con le disposizioni vigenti in tema di
cittadinanza, concentrare l’attenzione sul grado di riconoscimento e di condivisione di diritti di natura politica
attualmente presente nel nostro Paese. La loro missione inclusiva, infatti, risulta ancora oggi fondamentale per cercare
2 Cfr. V. Antonelli, Cittadini si diventa: la formazione alla democrazia partecipativa, in G.C. De Martini, D. Bolognino (a cura di), Democrazia
partecipativa e nuove prospettive della cittadinanza, CEDAM, Padova, 2010, pp. 91-121.
3 Il rigido binomio cittadinanza-partecipazione democratica, che risale alla tradizione storica ottocentesca e alla concezione dello status activae
civitatis coniato dalla teorica dei diritti pubblici soggettivi, resta ancora oggi il principio ispiratore essenziale della normativa italiana, circoscrivendo di
conseguenza lo spazio di azione politica di coloro che non sono cittadini. Cfr. E. Grosso, La titolarità del diritto di voto. Partecipazione e
appartenenza alla comunità politica nel diritto costituzionale europeo, Giappichelli, Torino, 2001, p. 4 ss..
4 Visto che la disciplina italiana sulla cittadinanza resta tuttora improntata ad una pratica rigorosa dello ius sanguinis. Per questo profilo si permetta di
rinviare a D. Fiumicelli, Spunti di riflessione in tema di cittadinanza: l’azione di integrazione degli stranieri extracomunitari tra profili comparatistici,
progetti in discussione e best practices, in Costituzionalismo.it, fasc. 3, 2013, 20 gennaio 2014.
5 Anche a causa della mancata ratifica del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, siglata a
Strasburgo il 5 febbraio 1992, il quale impegnava le parti a concedere agli stranieri residenti il diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni locali.
6 Uno studio pubblicato di recente, ad esempio, ha rilevato come il rapporto tra la spesa pubblica per l’immigrazione e i contributi previdenziali e le
tasse pagate dagli immigrati mostri una realtà diversa da quella spesso tratteggiata da una parte delle forze politiche, ossia quella di un’integrazione
che “costa” troppo: anche nell’ipotesi meno favorevole di calcolo (quella della spesa pro-capite), infatti, nel 2011 gli introiti dello Stato riconducibili
agli immigrati sono stati pari a 13,3 miliardi di euro, mentre le uscite sostenute per loro sono state di 11,9 miliardi, con una differenza in positivo per il
sistema Paese di 1,4 miliardi. Cfr. IDOS e UNAR, Immigrazione – Dossier Statistico 2013 – Dalle discriminazioni ai diritti, Roma, novembre 2013.
7 In ciò seguendo le due accezioni della cittadinanza richiamate da Gaetano Azzariti. Cfr. G. Azzariti, La cittadinanza. Appartenenza, partecipazione,
diritti delle persone, Relazione al Convegno dell’Unione dei Privatisti I valori della convivenza civile e i codici dell’Italia Unita - IV sezione: Le forme
giuridiche della convivenza, Roma, 16 novembre 2011, in Diritto Pubblico, n. 2, 2011, p. 427 ss..
8 Visti i sorprendenti risultati delle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013, che hanno portato alla formazione di un governo di “larghe intese” tra
i maggiori partiti di centro-sinistra e centro-destra.
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di creare una stabile e attiva appartenenza ad una comunità territoriale; un’appartenenza che appare sempre più
riferibile non solo al contesto nazionale, ma anche e soprattutto a quello regionale e locale.
Proveremo pertanto ad osservare questi aspetti utilizzando una “prospettiva multilivello”: in primo luogo, cercheremo
di analizzare la situazione presente a livello europeo e internazionale, concentrandoci poi sugli spunti offerti dal quadro
comparato; in secondo luogo, passeremo ad esaminare le più recenti proposte di riforma presentate a livello nazionale,
così come le best practices sviluppate a livello locale, in modo da valutare la solidità e vitalità del rapporto che lega le
istituzioni ad una parte importante (anche se spesso ignorata) del proprio corpo sociale.
2. I diritti politici degli stranieri extracomunitari: il quadro europeo ed internazionale
Analizzando il quadro normativo europeo ed internazionale è facile osservare come non si siano sviluppati indirizzi e
discipline in grado di influenzare realmente le politiche nazionali in materie come quella della cittadinanza e dei diritti
politici e di partecipazione dei migranti, le quali restano tuttora in gran parte lasciate alla scelta libera e discrezionale dei
singoli Paesi, in quanto considerate materie strettamente collegate col concetto di sovranità.
Ciononostante, sono molti i principi espressi a livello sovranazionale che si muovono nel segno di una progressiva
estensione agli stranieri extracomunitari dei diritti di partecipazione politica.
Si pensi, in primo luogo, all’art. 21 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (adottata dall’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948), nel quale si afferma che “ogni individuo ha diritto di partecipare al
Governo del proprio Paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti”9.
Per quanto riguarda la titolarità dei diritti elettorali a livello locale, poi, la disposizione più importante resta
sicuramente ancora oggi la Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale del
Consiglio d’Europa, siglata a Strasburgo il 5 febbraio 1992 ed entrata in vigore nel maggio del 1997. La Convenzione si
compone di tre capitoli differenti, dei quali solo il primo (capitolo A) deve essere obbligatoriamente accettato, mentre
per gli altri due è possibile apporre delle riserve, consentendo così agli Stati di poter “modulare” la propria adesione10.
In particolare, si prevede: nel capitolo A, il riconoscimento agli stranieri, alle stesse condizioni previste per i cittadini,
delle libertà di espressione, di riunione e di associazione, ivi compresa quella di costituire sindacati e affiliarsi ad essi,
ferme restando le eventuali limitazioni per ragioni attinenti alla sicurezza dello Stato, alla tutela dell’ordine e della
sicurezza pubblica; nel capitolo B, la possibilità, per le collettività locali che hanno nei loro rispettivi territori un numero
9 È tuttavia opportuno rilevare come l’interpretazione del termine “individuo” sia risultata nei fatti di tipo prevalentemente restrittivo, ritenendosi
implicito il riferimento al “cittadino”.
10 Vedi T. Caponio, Partecipazione politica, in G. Zincone (a cura di), Primo rapporto sulle politiche di integrazione degli immigrati in Italia, Il
Mulino, Bologna, 2000, p. 360 ss..
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significativo di residenti stranieri, di creare organi consultivi volti a rappresentarli11; nel capitolo C, l’impegno formale
per le parti di concedere agli stranieri residenti il diritto di elettorato attivo e passivo in relazione alle elezioni locali.
La Convenzione, tuttavia, è stata al momento firmata solo da 13 Stati e ratificata da 8 (Albania, Danimarca,
Finlandia, Islanda, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Svezia)12; la possibilità di “modulare” l’adesione alla Convenzione,
inoltre, è stata sfruttata in concreto da molti degli Stati che l’hanno ratificata, i quali hanno così evitato di vedersi
applicate le parti più impegnative e spesso più rilevanti: Danimarca, Norvegia e Paesi Bassi, ad esempio, hanno scelto di
escludere alcune porzioni del territorio nazionale dall’ambito di applicazione della Convenzione; Albania e Italia
l’hanno invece adottata operando un opting out sull’intera Parte C.
Si tratta di un documento, pertanto, che non pare aver favorito l’estensione effettiva dei diritti elettorali e di
partecipazione degli stranieri residenti13: il numero di firme e ratifiche, passati oltre venti anni dalla sua approvazione,
resta tuttora estremamente esiguo; molti degli Stati che hanno ratificato la parte più controversa della Convenzione,
ossia il capitolo C, riconoscevano già precedentemente simili diritti (come vedremo nel paragrafo successivo).
Più di recente, allora, il Consiglio d’Europa ha provato a rilanciare la questione della partecipazione degli stranieri
alla vita pubblica locale, aprendo alla firma nel novembre del 2009 il Protocollo addizionale alla Carta europea
dell’autonomia locale sul diritto di partecipare agli affari delle collettività locali. Si tratta, più precisamente, di una
convenzione (entrata in vigore nel giugno del 2012) all’interno della quale si prevede il diritto di ogni persona che si
trovi in uno degli Stati contraenti di partecipare alla vita politica locale, anche come elettore o candidato alle elezioni
locali.
Sebbene risulti certamente apprezzabile il tentativo di riportare d’attualità un tema ancora oggi fonte di accesi
dibattiti, restano molte le criticità presenti, legate soprattutto all’efficacia del nuovo documento: in primo luogo, perché
anche in questo caso il numero di firme e ratifiche resta basso (rispettivamente 17 e 11)14; in secondo luogo, perché si
stabilisce che le norme del Protocollo, essenzialmente programmatiche, debbano applicarsi non solo in conformità delle
disposizioni costituzionali dello Stato, ma anche degli altri obblighi internazionali precedentemente stipulati.
Passando ad esaminare il contesto dell’Unione europea, giova preliminarmente osservare come il quadro di
riferimento sconti ancora l’iniziale rilievo marginale attribuito alla migrazione delle persone: è stata così principalmente
concentrata attenzione sui profili legati all’azione di coordinamento sul controllo dei flussi migratori e sulla libera
11 Si garantisce agli stranieri, per tale via, la possibilità di discutere sui problemi di loro interesse per il tramite di rappresentanti eletti o nominati da
gruppi associati.
12 Hanno firmato ma non ratificato la Convenzione Cipro, Lituania, Regno Unito, Repubblica ceca, Slovenia.
13 Cfr. S. Ardovino, G. Zincone, I diritti elettorali dei migranti nello spazio politico e giuridico europeo, in Le Istituzioni del Federalismo, n. 5, 2004,
p. 741 ss..
14 Armenia, Cipro, Estonia, Finlandia, Lituania, Montenegro, Norvegia, Paesi Bassi, Slovenia, Svezia, Ungheria hanno firmato e ratificato il
Protocollo, mentre invece Belgio, Bulgaria, Francia, Islanda, Regno Unito e Ucraina l’hanno solo firmato senza provvedere ancora alla ratifica.
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circolazione dei lavoratori, con atti e normative imperniate sulla dicotomia tra “cittadino europeo” e “migrante non
europeo”15.
L’azione delle istituzioni europee in tema di integrazione, in particolare politica, si è diretta in tal modo, in un primo
momento, a definire i diritti politici dei cittadini comunitari e, solo successivamente, ad affrontare la questione dello
status dei cittadini di Paesi terzi residenti in uno Stato dell’Unione e dei loro diritti politici16. In quest’ultimo ambito, le
istituzioni europee non sono state del tutto assenti, ma si sono limitate di fatto alla sollecitazione delle iniziative da
adottare, senza creare un coordinamento delle politiche nazionali che continuano a procedere in ordine sparso. Questo
ha fatto sì che solo alcuni Paesi abbiano concretamente seguito la direzione tracciata da tempo dal Comitato Economico
e Sociale, dal Parlamento europeo e dalla Commissione, ossia quella dell’estensione del suffragio per gli stranieri lungoresidenti di Paesi terzi. Un fatto che non ha però dissuaso tali organismi dall’approvare una nutrita serie di atti che,
seppure non giuridicamente vincolanti, hanno assunto nel corso del tempo una rilevanza ad ogni modo non
trascurabile. Si pensi, ad esempio, alla risoluzione n. 136 del 15 gennaio 2003 del Parlamento europeo (approvata
nell’ambito della Relazione annuale sui diritti umani nell’Unione), con la quale si raccomanda agli Stati membri “di
estendere il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali e del Parlamento europeo a tutti i cittadini di Paesi terzi
che soggiornino legalmente nell’Unione europea da almeno tre anni”. Si pensi, ancora, a quanto previsto all’interno dei
“Principi fondamentali comuni dell’Unione europea in tema di integrazione”, adottati dal Consiglio Giustizia e Affari
Interni nel 200417: il Principio n. 6, infatti, stabilisce che “l’accesso degli immigrati alle istituzioni nonché a beni e servizi
pubblici e privati, su un piede di parità con i cittadini nazionali e in modo non discriminatorio, costituisce la base
essenziale di una migliore integrazione”, a ciò aggiungendosi quanto previsto dal Principio n. 9, il quale ribadisce come
“la partecipazione degli immigrati al processo democratico e alla formulazione delle politiche e delle misure di
integrazione, specialmente a livello locale, favorisce l’integrazione dei medesimi”. Raccomandazioni più volte
riaffermate a livello europeo, come con la comunicazione “Agenda europea per l’integrazione” (COM(2011)455)
presentata il 20 settembre 2011 e nella quale si caldeggia la rimozione degli ostacoli alla partecipazione politica degli
immigrati ed un maggiore coinvolgimento dei rappresentanti degli stessi nell’elaborazione e nell’attuazione delle
politiche e dei programmi di integrazione.
Benché lo spazio di azione per politiche europee e di livello internazionale resti quindi tuttora alquanto limitato, non
va sottovalutata la funzione “culturale” che simili documenti comunque esprimono, al fine di incentivare cambiamenti,
se non nell’immediato, quantomeno in prospettiva futura. A tal scopo, appare necessario sottolineare la presenza a
livello internazionale di vari dispositivi di democrazia diretta e (più spesso) partecipativa che sembrano ispirarsi e
15 Vedi A. Ianniello-Saliceti, Le politiche dell’Unione europea per gli immigrati nella dimensione regionale e locale. Un bilancio dopo Lisbona, in E.
Rossi, F. Biondi dal Monte, M. Vrenna (a cura di), La governance dell’immigrazione. Diritti, politiche e competenze, Il Mulino, Bologna, 2013, p. 169
ss..
16 Cfr. G. Tintori, Panorama internazionale, in ASGI e FIERI, La partecipazione politica degli stranieri a livello locale, Working Paper
commissionato dall’assessorato alla Solidarietà sociale, Politiche giovanili e Programmazione sanitaria della Provincia di Torino, 2005, p. 18 ss..
17 Si tratta di una guida per gli Stati membri nell’implementazione e nella valutazione degli interventi di integrazione dei migranti, volta a garantire
una certa uniformità delle politiche in materia di immigrazione.
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reggersi al principio di inclusione. Esso comporta che “tutti”, “chiunque” o “il pubblico”18, possano intervenire nelle
procedure previste, aprendo in tal modo il sistema alla partecipazione di soggetti che presentano posizioni sociali o
giuridiche meno tutelate (come gli stranieri). Ed è anche grazie al coinvolgimento in processi partecipativi come questi,
allora, che il “non cittadino”19 può rafforzare la consapevolezza dei valori, dei diritti e dei doveri connessi con
l’appartenenza ad una comunità.
3. I diritti politici degli stranieri extracomunitari: il quadro offerto dalla comparazione
Il riconoscimento più o meno esteso dei diritti politici dei “non cittadini” e, in particolare, del diritto di voto, può
essere esaminato come un dato sintomatico per valutare il rapporto che sussiste tra la nozione giuridico-formale di
cittadinanza e la nozione politico-sostanziale di comunità politica20. Si tratta di questioni che, come sostenuto da
autorevole dottrina, possono infatti “mettere in evidenza la contrapposizione tra una definizione della cittadinanza
come mera Staatsangehörigkeit (o nationalité) basata sulla legge che ne definisce i modi d’acquisto, e una definizione
della cittadinanza come Staatsburgerschaft (o citoyenneté) fondata sulla concreta partecipazione alla vita politica e
sociale della comunità di appartenenza e sul reciproco rapporto tra concittadini”21.
Analizzando in una prospettiva comparata la disciplina italiana sui diritti politici garantiti agli stranieri
extracomunitari, allora, il quadro non può che risultare particolarmente critico22, come cercheremo di mettere in
evidenza nei successivi paragrafi.
3.1 Paesi che riconoscono (più o meno estensivamente) il diritto di elettorato dei “non cittadini”
Sono molti, infatti, gli Stati europei23 nei quali l’accesso al diritto di elettorato di chi non è cittadino (quantomeno con
riferimento alle elezioni locali) è una realtà, a differenza che in Italia. A tal riguardo sembra possibile rintracciare nel
18 Si tratta di espressioni variamente utilizzate all’interno dei testi normativi, come accade ad esempio per il termine “pubblico”, espressamente
previsto dalla Convenzione internazionale di Aarhus per incentivare la partecipazione in materia ambientale.
19 Con tale espressione si intende qui fare principalmente riferimento agli stranieri extracomunitari, dato che, la forza propulsiva della cittadinanza
europea da una parte, e il riconoscimento allo straniero comunitario del diritto di voto per le elezioni europee e amministrative dall’altra, hanno reso
meno problematica la questione della partecipazione politica di tale categoria. Vedi V. Antonelli, Cittadinanza e inclusione sociale, in C. Pinelli (a
cura di), Esclusione sociale. Politiche pubbliche e garanzie dei diritti, Libri di ASTRID, Passigli Editori, Firenze, 2012, p. 55 ss..
20 Il concetto di appartenenza politica di un soggetto ad una comunità, strutturato diversamente a seconda della storia e della tradizione di ciascun
Paese, risulta difatti essenziale per valutare il grado di integrazione degli stranieri nei differenti ordinamenti. Cfr. S. Benhabib, The Rights of Others.
Aliens, Residents and Citizens, Press Syndacate, Cambridge, 2004.
21 Cfr. E. Grosso, Cittadini per amore, cittadini per forza: la titolarità soggettiva del diritto di voto nelle Costituzioni europee, in Diritto pubblico
comparato ed europeo, II, 2000, p. 534.
22 Cfr. H. Waldrauch, Electoral rights for foreign nationals: a comparative overview of regulations in 36 countries, National Europe Centre, Paper n.
173, 2003; D.C. Earnest, Old Nations, New Voters: Nationalism, Transnationalism, and Democracy in the Era of Global Migration, State University
of New York Press, Albany, 2009; M. Aleksynska, Civic participation of immigrants in Europe: Assimilation, origin, and destination country effects, in
European Journal of Political Economy, n. 27, 2011, pp. 566-585.
23 Anche per quanto riguarda gli Stati Uniti, inoltre, la questione non si presenta in modo dissimile: sebbene gli stranieri residenti non siano in grado
di partecipare alle elezioni federali, maggiori aperture sono consentite per le consultazioni locali. Fino agli anni venti del secolo passato, infatti, gli
immigrati godevano del diritto di voto nella maggior parte del Paese (circa 22 Stati e territori federali), ma nel XX secolo tutti gli Stati abolirono
gradualmente tale diritto. A partire dal 1970, tuttavia, in diverse municipalità sono stati ripristinati i diritti elettorali a favore degli immigrati
quantomeno per il livello locale. Una decisione che spetta comunque ai singoli Stati, mancando una precisa politica a livello centrale. Cfr. R. Hayduk,
Democracy for All. Restoring Immigrant Voting Rights in the United States, Routledge-New edition, New York, 2006; S. Song, Democracy and
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panorama europeo tre principali modelli di riferimento, i quali si basano sull’adozione di: a) discipline “inclusive”,
caratterizzate da un’apertura tendenzialmente generale al diritto di elettorato nelle consultazioni locali per gli stranieri
extracomunitari residenti; b) discipline “intermedie”, che riconoscono in generale diritti elettorali agli stranieri
extracomunitari residenti, ma prevedendo condizioni stringenti o particolari limitazioni; c) discipline “selettive”, che
tendono a selezionare gli stranieri extracomunitari che possono accedere a simili diritti in base al Paese di provenienza o
al gruppo etnico di appartenenza, escludendone un riconoscimento più generale.
3.1.1 Discipline “inclusive”
Per quanto riguarda le discipline “inclusive” risulta necessario sottolineare in primo luogo il caso dell’Irlanda, che
rappresenta una delle esperienze più aperte all’integrazione politica degli extracomunitari, ma, allo stesso tempo,
un’ipotesi del tutto peculiare: gli stranieri residenti nel Paese, infatti, possono votare senza eccessive restrizioni per le
elezioni locali, mentre ai cittadini britannici residenti in Irlanda è garantito il diritto di voto anche per le elezioni
politiche24. I diritti elettorali per le elezioni locali sono dunque garantiti agli “ordinary residence” di una delle
municipalities della Repubblica senza che venga specificato un termine minimo di residenza: ciononostante, per essere
considerati “ordinary residence” si deve aver di fatto risieduto nel Paese per almeno tre “tax years” (anni di imposizione
fiscale) prima della registrazione, rendendo quindi comunque necessaria una residenza “abituale” in un comune.
Salvo questa ipotesi particolare, le altre discipline “inclusive” si basano espressamente sull’attestazione di un legame
tra lo straniero e il territorio di riferimento, rintracciabile in un periodo minimo di residenza nel Paese che varia (da 2 a
5 anni) a seconda delle esperienze prese in considerazione.
Assumono in tal modo un’importanza decisiva e una posizione peculiare le normative presenti nei Paesi dell’Europa
settentrionale e, in modo particolare, negli Stati scandinavi, vista l’attenzione riservata ai diritti di partecipazione
politica dei “non cittadini”, riconosciuti già da molti anni. Si tratta infatti di normative che richiedono in generale un
periodo minimo di residenza agli stranieri extracomunitari per l’accesso al diritto di elettorato, non necessario tuttavia
per gli stranieri che provengono da un Paese comunque afferente a quest’area geografica.
In Danimarca, la questione dell’estensione del campo dei diritti elettorali è al centro del dibattito pubblico e politico
da molti anni. Il diritto di voto per le elezioni locali e regionali, di conseguenza, è stato garantito sin dal 1977 ai cittadini
dei Paesi della Nordic Passport Union25 che abbiano risieduto nel Paese per almeno 3 anni (limite poi eliminato nel
1995, quando ai cittadini comunitari sono stati concessi gli stessi diritti elettorali dei danesi). Tale diritto è stato esteso
nel 1981 agli stranieri extracomunitari residenti in Danimarca, anche se condizionato da requisiti di residenza
(attualmente stabilita in 3 anni)26.
noncitizen voting rights, in Citizenship Studies, vol. 13, n. 6, dicembre 2009, pp. 607-620; C.M. Rodriguez, Noncitizen voting and the
extraconstitutional construction of the polity, in International Journal of Constitutional Law, vol. 8, n. 1, 2010, pp. 30-49.
24 Informazioni dettagliate sono reperibili agli indirizzi: www.integration.ie; www.citizensinformation.ie.
25 La Nordic Passport Union comprende, oltre alla stessa Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia e Islanda).
26 Il termine minimo di residenza richiesto è stato modificato più volte negli ultimi anni, seguendo in ciò l’alternanza al governo del Paese dei diversi
schieramenti politici: il termine, inizialmente di 3 anni, è stato così portato a 4 nel 2010, per poi essere nuovamente ricondotto a 3 nel 2012. Vedi E.
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Analogamente, in Finlandia i cittadini dei Paesi nordici possono votare ed essere eletti nelle elezioni locali dal 1976, se
dimostravano di aver risieduto nel Paese per almeno 2 anni; diritti che sono stati estesi, nel 1991, a tutti gli stranieri
residenti nel Paese da almeno 4 anni. Nel 1995, poi, il periodo di residenza minimo per i cittadini dei Paesi della Nordic
Passport Union è stato eliminato, mentre per gli altri stranieri è stato ridotto a soli 2 anni. In linea con questi interventi,
l’articolo 14 comma 2 della Costituzione finlandese del 2000 ha stabilito che “Ogni cittadino finlandese ed ogni
straniero permanentemente residente in Finlandia che abbia raggiunto i diciotto anni d’età ha il diritto di votare alle
elezioni comunali e in occasione dei referendum comunali, secondo disposizioni di legge. La legge detta ulteriori
disposizioni sul diritto di partecipazione al governo comunale”. Visto l’ormai stabile riconoscimento del diritto di voto
dei non cittadini per le elezioni locali, il dibattito pubblico e politico più recente si è così concentrato in modo prevalente
sulle azioni da porre in essere per incentivare la loro partecipazione: l’affluenza alle elezioni municipali del 2008 e del
2012, infatti, è stata ritenuta insoddisfacente dal Governo, il quale, con il Government Program for Social Integration
for the years 2012-2015 ha previsto l’adozione di alcune misure (di tipo essenzialmente informativo) per cercare di
innalzarla27.
In Norvegia, invece, i cittadini dei Paesi della Nordic Passport Union possono votare ed essere eletti nelle elezioni
locali dal 1978 (anche se dovevano essere residenti nel Paese da almeno 3 anni); diritti che sono poi stati estesi a tutti gli
stranieri residenti nel 1983, mentre per i cittadini dei Paesi nordici è stata eliminata la condizione di residenza minima.
In Svezia, infine, il diritto di voto e di essere eletti nelle elezioni municipali e di contea (così come per i referendum
locali e regionali) è stato concesso a tutti gli stranieri residenti da almeno 3 anni già nel 1975. La condizione di residenza
è stata poi soppressa nel 1997 per i cittadini comunitari e per quelli islandesi e norvegesi28.
Si presentano poi più articolate, ma sempre inquadrabili in generale all’interno dei sistemi “inclusivi”, le discipline
approvate in alcuni Paesi dell’Europa occidentale.
Nei Paesi Bassi, ad esempio, gli stranieri extracomunitari residenti nel Paese da almeno 5 anni possono partecipare
alle elezioni locali e dei consigli municipali (ma non di quelle provinciali, che influenzano direttamente la composizione
della Camera Alta, il Senaat) sin dagli anni ottanta, ossia da quando la Costituzione e la legge elettorale sono state
modificate a tale scopo. Il sistema si è andato così strutturando sulla base di una distinzione essenziale: le elezioni
nazionali si basano sul concetto di “appartenenza”, mentre quelle locali su quello di “residenza”. Risulta in particolare il
requisito della residenza minima richiesta per il voto amministrativo degli stranieri il perno della disciplina: da una
parte, infatti, tende a favorire l’integrazione politica di quegli stranieri che vengono ritenuti strettamente legati al tessuto
Ersbøll, Access to Electoral Rights – Denmark, European University Institute – Robert Schuman Centre for Advanced Studies – EUDO Citizenship
Observatory, Firenze, giugno 2013, pp. 1, 2 e 8.
27 Vedi S. Salo, Access to Electoral Rights – Finland, European University Institute – Robert Schuman Centre for Advanced Studies – EUDO
Citizenship Observatory, Firenze, giugno 2013, p. 1 ss..
28 Vedi P. Bevelander, R. Pendakur, Voting and Social Inclusion in Sweden, in International Migration, n. 49, 2010, pp. 67-92; H. Bernitz, Access to
Electoral Rights – Sweden, European University Institute – Robert Schuman Centre for Advanced Studies – EUDO Citizenship Observatory,
Firenze, giugno 2013, pp. 1 e 5.
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sociale; dall’altra, consente ai nuovi elettori di conoscere in modo sufficientemente approfondito il sistema politico e
giuridico del Paese, così da poter votare con maggiore consapevolezza29.
Il Lussemburgo è storicamente un Paese di forte immigrazione30: è soprattutto negli ultimi anni, però, che si è assistito
alla crescita esponenziale di popolazione e forza lavoro straniera31; ciò ha pertanto reso necessaria una modifica della
normativa sulla partecipazione politica che tenesse conto di una simile evoluzione. In tal modo, sebbene la questione del
diritto al voto per gli immigrati sia stata oggetto di discussioni sin dagli anni settanta, ha trovato un riconoscimento
formale solo di recente32. È grazie alla legge del febbraio del 2003, infatti, che gli stranieri extracomunitari residenti da
almeno 5 anni nel Paese possono partecipare alle elezioni locali: un riconoscimento che sembra iniziare a produrre i
primi incoraggianti risultati, se si pensa che nelle elezioni del 2005 il 6% dei candidati e il 15% degli elettori erano
stranieri, mentre in quelle del 2011 tali dati sono rispettivamente aumentati al 7% e al 17%33. Si tratta di risultati che,
sommati alla bassa percentuale di residenti che hanno concretamente il diritto di voto per le elezioni nazionali (solo il
44%), ha aperto il dibattito sulla possibile partecipazione degli stranieri residenti anche a tali consultazioni34.
3.1.2 Discipline “intermedie”
Con riguardo ai sistemi “intermedi”, invece, meritano anzitutto di essere descritte le discipline vigenti in Belgio e
Svizzera, vista la loro complessa struttura.
In Belgio, l’estensione dei diritti elettorali degli stranieri residenti è stato un importante argomento di dibattito nella
storia recente del Paese35. Ciononostante, la preoccupazione dei partiti francofoni e fiamminghi per le possibili ricadute
sulle loro performance elettorali e sugli equilibri etnico-linguistici all’interno dello Stato hanno bloccato di fatto per
molti anni l’approvazione di leggi di riforma. È solo nel 2004, quindi, che l’elettorato attivo e passivo per le elezioni
comunali è stato esteso anche agli stranieri extracomunitari che vivono nel Paese36, previa però soddisfazione di ben
precise condizioni essenziali: aver risieduto in Belgio per almeno 5 anni; sottoscrivere un giuramento di fedeltà alla
Costituzione belga, nonché la Convenzione europea dei diritti dell’uomo; accettare formalmente di rispettare le leggi del
Paese; iscriversi volontariamente ai registri elettorali37.
29 Vedi A. Schrauwen, Access to Electoral Rights – The Netherlands, European University Institute – Robert Schuman Centre for Advanced Studies
– EUDO Citizenship Observatory, Firenze, giugno 2013, p. 1 ss..
30 Si pensi che i residenti stranieri risultavano già il 12% nel 1900, il 18% nel 1910, il 22% nel 1930, il 26% nel 1981.
31 Gli immigrati residenti, infatti, sono passati dal 26% degli anni ottanta al 44% della popolazione del 2012.
32 Vedi N. Dubajic, Le vote des étrangers au Luxembourg. Evolution de 1999 à 2005, in Migrations Société, n. 114, 2007, pp. 129-140.
33 Vedi D. Scuto, Access to Electoral Rights – Luxembourg, European University Institute – Robert Schuman Centre for Advanced Studies – EUDO
Citizenship Observatory, Firenze, giugno 2013, p. 1 ss..
34 Vedi Chambre de Commerce, Le rayonnement transfrontalier de l’économie luxembourgeoise: la diversité règne, l’intégration piétine, in Actualité
& tendances – Bulletin économique de la Chambre de Commerce, n. 12, 2012, p. 97 ss.
35 Cfr. D. Jacobs, The debate over enfranchisement of foreign residents in Belgium, in Journal of Ethnic and Migration Studies, vol. 25, issue 4, 1999,
pp. 649-663.
36 Sulla scorta della riforma costituzionale del 1998 che, modificando l’articolo 8 della Costituzione, ha previsto la facoltà per il legislatore di estendere
il diritto di voto ai cittadini non comunitari.
37 Cfr. J.-M. Lafleur, Access to Electoral Rights – Belgium, European University Institute – Robert Schuman Centre for Advanced Studies – EUDO
Citizenship Observatory, Firenze, giugno 2013, pp. 2 e 5.
9
Del tutto peculiare, poi, appare il caso della Svizzera. A livello federale, l’esercizio dei diritti politici in senso stretto
(diritto di voto e di eleggibilità, iniziative di partecipazione e referendum popolari) è limitato ai cittadini svizzeri di età
superiore ai 18 anni. Nella Costituzione federale (articolo 39 comma 1), tuttavia, l’attribuzione dei diritti politici
cantonali e comunali oltre la soglia minima federale è riservata alla competenza dei Cantoni, che a loro volta possono
delegarla ai comuni38. In tal modo, è quindi possibile che in alcuni Cantoni svizzeri agli stranieri extracomunitari che
risiedono da almeno un certo periodo di tempo (mediamente 5-10 anni) spettino diritti di voto per elezioni non federali.
Si veda, ad esempio, quanto previsto a Fribourg, Genève, Jura, Vaud o Neuchâtel, dove simili diritti elettorali sono stati
previsti direttamente dalla Costituzioni cantonali; si pensi, ancora, alle normative approvate ad Appenzell RhodesExtérieures, Bâle-Ville o Grisons, Cantoni nei quali si è lasciato liberi i comuni di decidere se estendere o meno agli
stranieri il diritto di voto39.
Si tratta perciò di una normativa complessa, che inquadriamo tra quelle “intermedie” per due motivi principali: la
diffusione “a geometria variabile” dei diritti elettorali dei “non cittadini” sul territorio; il periodo di residenza richiesto
per accedere a tali diritti, mediamente non breve.
Tra le discipline “intermedie” di non secondaria importanza appare la situazione delle Repubbliche baltiche, nelle
quali, ad eccezione della Lettonia40, l’attenzione per i diritti politici dei “non cittadini” è stata da subito presente, anche
se soggetta ad alcune (rilevanti) limitazioni, in particolare in tema di elettorato passivo41.
In Estonia, successivamente all’indipendenza del 1991, l’attenzione politica e mediatica si è concentrata
principalmente attorno alla questione della cittadinanza e del rapporto con la ben radicata minoranza russa. Ben presto,
però, la discussione si è spostata sui diritti politici di coloro che non avevano scelto di conseguire la cittadinanza estone:
nel 1996, così, è stato approvato il Local Government Council Election Act (LGCEA), garantendo a tutti gli stranieri
residenti nel Paese da almeno 5 anni (e quindi in possesso di un permesso di residenza di lungo termine) il diritto di voto
per le elezioni locali, ma non anche la possibilità di essere eletti42.
Similmente, anche in Lituania, grazie alla revisione dell’articolo 119 della Costituzione, approvata nel 2002, è stato
concesso il diritto di voto per le elezioni locali ai cittadini comunitari ed agli extracomunitari in possesso di un permesso
di residenza di lungo periodo (ottenibile se si è risieduto nel Paese per almeno 5 anni). Una misura che è apparsa
abbastanza condivisa nel dibattito pubblico e politico: da una parte, infatti, è risultata quale naturale prosecuzione del
È possibile stabilire, ad esempio, l’abbassamento dell’età di voto, così come l’estensione dei diritti politici e di partecipazione dei “non cittadini”.
Vedi M.J. Alder (a cura di), Les droits politiques des étrangers – Rapport préliminaire n. 1, République et Canton de Genève, Assemblée
constituante – Commission thématique 2 “Les droits politiques (y compris révision de la Constitution)”, 25 novembre 2009; CFM, “Citoyenneté” –
Redéfinir la participation, Recommandations de la Commission fédérale pour les questions de migration CFM, 2010.
40 Paese nel quale ai cittadini comunitari è consentito di partecipare alle elezioni locali e del Parlamento europeo, a differenza degli extracomunitari,
che non godono del diritto di voto, indipendentemente dalla durata della residenza in Lettonia. Vedi K. Kruma, Access to Electoral Rights – Latvia,
European University Institute – Robert Schuman Centre for Advanced Studies – EUDO Citizenship Observatory, Firenze, giugno 2013, p. 1 ss..
41 Vedi M. Golubeva, Political Participation of Third Country Nationals in Estonia, Latvia and Poland, Centre for Public Policy, PROVIDUS,
maggio 2011.
42 Vedi M.-L. Laatsit, Access to Electoral Rights – Estonia, European University Institute – Robert Schuman Centre for Advanced Studies – EUDO
Citizenship Observatory, Firenze, settembre 2013, p. 1 ss..
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processo di integrazione europea; dall’altra, è stata considerata un valido strumento di inclusione sociale degli stranieri
extracomunitari senza tuttavia snaturare il sistema tradizionale, visto il numero comunque limitato di residenti lungosoggiornanti. I cittadini extracomunitari hanno anche, in linea teorica, il diritto di candidarsi alle elezioni locali; la
normativa elettorale, tuttavia, prevede che solo i cittadini lituani possano essere membri di partiti politici. Una
condizione che impedisce di fatto agli stranieri extracomunitari di partecipare alle elezioni in condizioni di effettiva
parità con i cittadini lituani43.
Complessa e volta alla tutela delle forti minoranze presenti nel Paese, inoltre, è anche la normativa slovena. Allo
scopo di integrare gli immigrati nella vita politica della comunità, infatti, a partire dal 2002 vengono riconosciuti agli
stranieri residenti di lungo periodo (almeno 5 anni) il diritto di voto per le elezioni ed i referendum locali, ma non è
prevista la possibilità di candidarsi; più ampi margini di partecipazione politica (tanto nelle elezioni nazionali, quanto in
quelle amministrative), inoltre, sono riservati ad alcune minoranze etniche, come ad esempio quella italiana e quella
ungherese44.
Risultano marginali, poi, le esperienze dei Paesi dell’Europa orientale, dato che praticamente solo Slovacchia e
Ungheria hanno previsto un’estensione dei diritti elettorali degli stranieri.
In Slovacchia, il diritto di voto per le elezioni locali e regionali è assicurato agli stranieri extracomunitari che abbiano
risieduto nel Paese da almeno 3 anni, ossia siano in possesso di un permesso di soggiorno permanente, le cui modalità di
acquisizione lasciano però tutt’oggi un notevole potere discrezionale alle autorità amministrative competenti.
In Ungheria, le riforme approvate tra il 2010 e il 2013 dopo la netta affermazione del partito di destra Fidesz e la
costituzione del governo Orbán si sono ispirate essenzialmente alla realizzazione di una simbolica “riunificazione
nazionale oltre confine”: si sono così aboliti i requisiti di residenza richiesti per accedere alla cittadinanza per gli
ungheresi che vivono fuori dal Paese, permettendo loro anche di accedere ai diritti politici. Il diritto di voto per le
elezioni locali e regionali per gli stranieri con residenza di lunga durata, introdotto grazie ad una riforma costituzionale
del 1990, è stato mantenuto, sebbene entro limiti ben determinati: l’articolo 23 comma 3 della Parte sulle libertà e
responsabilità all’interno della nuova Costituzione ungherese del 2011, infatti, prevede che “Every adult person who is
recognised as a refugee, immigrant or resident of Hungary shall have the right to be a voter in the elections of local
representatives and mayors”. In tal modo, solo agli stranieri residenti che rientrano in queste categorie sono
formalmente riconosciuti diritti elettorali45.
43 Vedi D. Žalimas, Access to Electoral Rights – Lithuania, European University Institute – Robert Schuman Centre for Advanced Studies – EUDO
Citizenship Observatory, Firenze, giugno 2013, p. 9.
44 Vedi M. Accetto, Access to Electoral Rights – Slovenia, European University Institute – Robert Schuman Centre for Advanced Studies – EUDO
Citizenship Observatory, Firenze, giugno 2013, p. 1 ss..
45 Vedi A. Bozoki, Access to Electoral Rights – Hungary, European University Institute – Robert Schuman Centre for Advanced Studies – EUDO
Citizenship Observatory, Firenze, giugno 2013, p. 1 ss..
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Risultava inquadrabile tra le discipline “intermedie”, infine, anche la normativa approvata di recente in Grecia46, che
è stata tuttavia dichiarata incostituzionale dal Consiglio di Stato nel corso del 2013: si trattava infatti di disposizioni
volte a riconoscere il diritto di partecipare alle elezioni locali per gli stranieri residenti da un certo periodo previa
soddisfazione di ben precisi e stringenti requisiti, prevedendo però condizioni di accesso privilegiate per alcune categorie
speciali di soggetti47.
Una modifica che era considerata essenziale per rendere effettiva l’inclusione politica degli immigrati, anche se, nella
prima applicazione della nuova normativa (ossia le elezioni locali del novembre del 2010), il suo impatto è risultato
meno rilevante del previsto, visto che sono stati solo 12.762 i residenti stranieri che si sono registrati al voto rispetto ad
un elettorato potenziale di 266.250 persone. Nel febbraio del 2013, come detto, la riforma fortemente voluta dal
Movimento Socialista Panellenico (PASOK) è stata dichiarata incostituzionale dalla Sessione plenaria del Consiglio di
Stato della Grecia48, per violazione del “principio costituzionale di sovranità del popolo Greco” (decisione n.
460/2013)49. Una decisione che ha provocato forti reazioni politiche e sociali, dato che ha reso inoperanti le più
importanti riforme approvate negli ultimi anni in tema di cittadinanza e diritti politici dei migranti50.
3.1.3 Discipline “selettive”
Tra le discipline “selettive” merita un’attenzione particolare, in primo luogo, l’articolata normativa vigente nel Regno
Unito.
Gli stranieri residenti che non siano cittadini comunitari, infatti, non godono di alcun diritto di voto; esistono tuttavia
una lunga serie di eccezioni per i cittadini di quei Paesi che, anche a causa della lunga storia coloniale del Regno Unito,
hanno mantenuto con quest’ultimo particolari legami linguistici o culturali51. Si tratta, in primo luogo, dei cittadini dei
Precisamente nel 2010, assieme alle aperture al principio dello ius soli inserite all’interno della disciplina sulla cittadinanza.
Per la popolazione di etnia greca ma di nazionalità non greca (come ad esempio albanesi e russi), chiamata homogeneis, era necessario possedere la
“Carta di identità Homogenis”, a cui i soggetti hanno diritto dopo 5 anni di residenza nel Paese. Per gli stranieri non di etnia greca (come i parenti di
cittadini greci o di cittadini comunitari, rifugiati politici, apolidi residenti nel Paese da almeno 5 anni), non in possesso di una “Carta di identità
Homogenis” (definiti allogeneis), era necessario essere in possesso di una carta di soggiorno a tempo indeterminato. Con riferimento alla capacità di
essere candidati, poi, la legge prevedeva ulteriori requisiti restrittivi: 21 anni di età (anziché i 18 necessari per votare); una conoscenza “sufficiente”
della lingua greca; la possibilità di concorrere solo per la carica di consigliere comunale o dipartimentale (e non anche per quella di sindaco).
48 Il quale ha confermato la precedente decisione della Quarta Camera del febbraio del 2011. Vedi D. Christopoulos, Greek State Council strikes
down ius soli and local voting rights for third country nationals: an alarming post scriptum to the Greek citizenship reform, reperibile all’indirizzo
http://eudocitizenship.eu/news/citizenship-news/444-greek-state-council-strikes-down-ius-soli-and-localvoting-rights-for-third-country-nationals-analarming-postscript-to-the-greek-citizenshipreform, 9 marzo 2011.
49 Nelle motivazioni della sentenza, infatti, si afferma che: a) il legislatore costituzionale utilizza costantemente il termine “popolo” come componente
dello Stato, composto dall’insieme dei cittadini greci, soggetti dotati di sovranità, ossia il fattore di legittimazione dello Stato e dei suoi enti territoriali
(compresi gli enti locali); b) spettano solo al popolo quei diritti reputati connessi con l’esercizio della sovranità, come i diritti di voto e di essere eletti
tanto alle elezioni politiche, quanto a quelle locali; c) di conseguenza, simili diritti spettano solo ai cittadini greci, non essendo possibile per il legislatore
ordinario estendere i soggetti titolari aggiungendo persone che non hanno la cittadinanza greca; d) ciò vale, in particolare, per gli stranieri
extracomunitari, visto che i cittadini comunitari possono partecipare legittimamente alle elezioni locali, essendo possibili limitazioni della sovranità
nazionale in forza della partecipazione della Grecia come membro dell’Unione europea.
50 Vedi D. Christopoulos, Access to Electoral Rights – Greece, European University Institute – Robert Schuman Centre for Advanced Studies –
EUDO Citizenship Observatory, Firenze, giugno 2013, pp. 1 e 6.
51 Vedi J. Shaw, Citizenship and Electoral Rights in the Multi-Level ‘Euro-Polity’: the case of the United Kingdom, in H. Lindahl (a cura di), A right
to Inclusion and exclusion? Normative Fault Lines of the EU’s Area of Freedom, Security and Justice, Hart, London, 2009, pp. 241-259.
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Paesi del Commonwealth52 che hanno il permesso di entrare e restare nel Regno Unito, ai quali è attribuito il diritto di
voto per le elezioni tenute ad ogni livello; in secondo luogo, simili diritti sono concessi anche ai cittadini irlandesi,
ciprioti e maltesi.
Una situazione che, tuttavia, presenta ulteriori elementi di complessità. Nel Regno Unito, infatti, a partire
dall’Immigration Act del 1971, vengono previste condizioni restrittive per l’ingresso e la residenza in Gran Bretagna dei
cittadini del Commonwealth (c.d. Right of Abode): in tal modo, viene nei fatti bloccata l’estensione della cittadinanza
politica a persone che, pur possedendo la “cittadinanza come appartenenza”, non sono più titolari del diritto di
soggiorno, non potendo di conseguenza risiedere in Gran Bretagna e partecipare alle elezioni (distinzione che è stata poi
confermata con il British Nationality Act del 198153). Le discussioni più recenti, inoltre, hanno messo in dubbio
l’effettiva utilità del tradizionale sistema di riconoscimento dei diritti elettorali per i cittadini di tali territori, al fine di
circoscriverne l’ampiezza: un’idea che è stata ventilata da tutti i principali schieramenti politici54, senza tuttavia essere
concretizzata in precisi progetti di riforma55.
Possono essere inserite tra le discipline “selettive”, poi, anche le normative presenti nei Paesi dell’Europa meridionale,
nei quali la situazione resta in costante movimento, vista anche la natura flessibile e “dinamica” delle disposizioni in
vigore. Risultano estremamente articolate, in particolare, le discipline di Spagna e Portogallo, soprattutto per la
rilevanza che rivestono gli “accordi di reciprocità” per il concreto accesso ai diritti politici56.
Per quanto riguarda la normativa spagnola, infatti, è da subito opportuno rilevare come agli stranieri extracomunitari
residenti non siano garantiti, in generale, diritti elettorali. La Costituzione, tuttavia, lascia aperta (all’articolo 13) una
duplice possibilità per la loro estensione con riferimento alle elezioni locali: a) l’approvazione di una legge che regoli in
generale la materia per tutte le categorie di stranieri; b) l’“opzione politica”, ossia la firma di accordi bilaterali con alcuni
Paesi per la concessione di diritti politici ai propri cittadini. Il legislatore spagnolo ha così privilegiato la seconda
alternativa, non approvando una legge generale e firmando, a partire dal 2007, una serie di accordi bilaterali, in
52 Per “cittadini dei Paesi del Commonwealth”, si intende i cittadini: a) dei Paesi del Commonwealth (che, oltre al Regno Unito, comprendono:
Antigua e Barbuda, Australia, Bahamas, Bangladesh, Barbados, Belize, Botswana, Brunei, Camerun, Canada, Cipro, Dominica, Isole Fiji, Gambia,
Ghana, Grenada, Guyana, India, Giamaica, Kenya, Kiribati, Lesotho, Malawi, Malesia, Maldive, Malta, Mauritius, Mozambico, Namibia, Nauru,
Nuova Zelanda, Nigeria, Pakistan, Papua Nuova Guinea, Ruanda, Saint Kitts e Nevis, St Lucia, St Vincent e Grenadines, Samoa, Seychelles, Sierra
Leone, Singapore, Isole Salomone, Sud Africa, Sri Lanka, Swaziland, Tonga, Trinidad e Tobago, Tuvalu, Uganda, Repubblica Unita della
Tanzania, Vanuatu, Zambia, Zimbabwe); b) dei Territori britannici d’oltremare (Anguilla, Bermuda, Territori dell’Antartico britannico, Territorio
britannico dell’Oceano Indiano, Isole Vergini Britanniche, Isole Cayman, Isole Falkland, Gibilterra, Montserrat, Pitcairn, Sant’Elena e dipendenze,
Georgia del Sud e isole Sandwich Meridionali, Zone di sovranità su Cipro, Isole Turks e Caicos); c) delle Dipendenze della Corona Britannica (Isola
di Man, Isole del Canale).
53 Con tale intervento, infatti, sono stati previsti tre tipi diversi di cittadinanza (British citizenship, British Dependent Territories citizenship, British
Overseas Citizenship), che attribuiscono il diritto di voto con la sola condizione della residenza; si riconosce tuttavia ai soli cittadini britannici stricto
sensu il diritto di ingresso e residenza senza restrizioni sul territorio del Regno Unito. Vedi E. Grosso, Le vie della cittadinanza. Le grandi radici. I
modelli storici di riferimento, CEDAM, Padova, 1997, p. 41.
54 Si tratta di idee che si presentano in linea con la visione del diritto di voto quale segno distintivo della cittadinanza britannica.
55 Cfr. L. Khadar, Access to Electoral Rights – United Kingdom, European University Institute – Robert Schuman Centre for Advanced Studies –
EUDO Citizenship Observatory, Firenze, giugno 2013, pp. 9 e 10.
56 Anche Repubblica ceca e Malta prevedono, nei propri testi costituzionali, la possibilità di estendere il voto a livello locale sulla base della
“condizione di reciprocità”: al momento, però, tali Paesi non hanno siglato alcun accordo in tal senso.
13
particolare con Paesi dell’America Latina, culturalmente e linguisticamente affini alla Spagna57. In tal modo, è stato
assicurato il diritto di voto per le elezioni locali (ma non la possibilità di candidarsi, esclusa da tutti gli accordi firmati) ad
alcune categorie “selezionate” di stranieri extracomunitari, che siano residenti nel Paese da almeno 3 o 5 anni (a
seconda della nazionalità del cittadino straniero) e che rispettino la “condizione di reciprocità”: possono partecipare alle
elezioni amministrative solo i cittadini di quei Paesi che a loro volta accordano tale diritto ai cittadini spagnoli58.
Va evidenziato, ad ogni modo, il ruolo cruciale rivestito dalla residenza quale criterio allocativo delle prestazioni, di
modo che vari strumenti sono utilizzati per favorire la promozione di forme innovative e differenziate di cittadinanza
sociale di natura soprattutto locale59.
Quanto al Portogallo, è opportuno rilevare come, analogamente all’esperienza spagnola, non sia presente in generale
per alcun tipo di elezione un diritto di voto per cittadini di Paesi non-EU che non abbiano “accordi di reciprocità” o
legami culturali con il Paese. Ciononostante, per alcune tipologie di stranieri60 è garantito il diritto di voto per le elezioni
nazionali (solo cittadini brasiliani61) o locali (cittadini dei Paesi membri della Comunidade de Países de Língua
Portuguesa – CPLP), previa residenza di almeno 2, 3 o 4 anni e a “condizione di reciprocità”. Sempre a “condizione di
reciprocità”, inoltre, il diritto al voto per le elezioni locali è garantito anche a cittadini di altri Paesi che abbiano
risieduto in Portogallo per almeno 5 anni: si tratta dei cittadini di Argentina, Cile, Islanda, Norvegia, Perù, Uruguay e
Venezuela62.
3.2 Le peculiari esperienze di Francia e Germania
In altri importanti Paesi europei, come la Francia e la Germania, un riconoscimento diretto del diritto di elettorato
per gli stranieri extracomunitari non è invece attualmente presente: un elemento che deriva, in particolare, dalla
rilevanza del legame che sussiste tra cittadinanza e voto.
In Francia, questa situazione è essenzialmente conseguenza della stretta connessione tra l’idea di cittadinanza e la
concezione di sovranità nazionale: la relazione tra nationalité e citoyenneté, concetti che non coincidono ma che non
possono essere del tutto disgiunti, ha fatto sì che la prima sia ancora l’unica via per rendere realmente completi i diritti
del cittadino63. E ciò nonostante i tentativi volti ad estendere i diritti di voto per gli stranieri extracomunitari residenti si
57 Questi accordi sono stati conclusi con: Norvegia, Ecuador, Argentina, Colombia, Cile, Perù, Paraguay, Bolivia, Capo Verde, Islanda, Nuova
Zelanda.
58 Vedi Á. Rodríguez, Access to Electoral Rights – Spain, European University Institute – Robert Schuman Centre for Advanced Studies – EUDO
Citizenship Observatory, Firenze, giugno 2013, pp. 4 e 5.
59 Si pensi, ad esempio, all’istituto del padrón municipal, il registro anagrafico custodito presso ogni comune.
60 Si tratta essenzialmente di stranieri provenienti da ex colonie, come Brasile, Capo Verde, Angola.
61 In forza di un accordo bilaterale del 2000 che garantisce ai cittadini brasiliani residenti in Portogallo lo stesso status e gli stessi diritti politici di quelli
portoghesi, così da costituire una sorta di “quasi-cittadinanza”.
62 Cfr. C. Healy, Access to Electoral Rights – Portugal, European University Institute – Robert Schuman Centre for Advanced Studies – EUDO
Citizenship Observatory, Firenze, giugno 2013, p. 6.
63 Come osserva Grosso “…la Costituzione ha dimostrato, legando il concetto di peuple a quello di nation, di esigere che il popolo sovrano sia inteso
come l’insieme dei nationaux. Da qui la coincidenza tra nationaux e citoyens, e l’esclusione, per chi non sia in possesso della nationalité française,
della possibilità di ‘parteciper a l’autoritè souveraine’”. Cfr. E. Grosso, Cittadini per amore, cittadini per forza, op. cit., pp. 526-527.
14
siano moltiplicati nel corso del tempo (in particolare negli anni ottanta e in una fase più recente, grazie all’azione di
François Mitterrand e di François Hollande), senza tuttavia riuscire ad essere concretizzati in testi normativi.
Per quanto riguarda l’ordinamento tedesco, invece, ha giocato in questo caso un ruolo essenziale l’azione della
giurisprudenza costituzionale. Il tentativo di due Länder volto ad estendere il diritto di voto per le elezioni locali, infatti,
è stato immediatamente bloccato dall’intervento del Tribunale costituzionale federale. Le discipline approvate dal Land
Schleswig-Holstein e dalla Città-Stato di Amburgo64, infatti, sono state dichiarate incostituzionali dal
Bundesverfassungsgericht nell’ottobre del 1990 (BVerfGE 83, 37 e BVerfGE 83, 60) in base ad un’interpretazione
sostanzialistica dell’espressione “Volk”: con la nozione di “popolo” prevista dall’articolo 20 della Grundgesetz va difatti
inteso il “popolo tedesco” e, di conseguenza, solo i cittadini risultano compresi all’interno del corpo elettorale65. Una
decisione66 che, sommata alla tradizionale contrarietà dei principali partiti di centro-destra (CDU-CSU), ha bloccato
riforme simili proposte a livello federale o decentrato (come, ad esempio, nella città-Stato di Berlino). Da più parti (in
particolare dai partiti Die Grünen e Die Linke), tuttavia, si è osservato come la concessione del diritto di voto per i
cittadini comunitari per le elezioni europee e locali abbia già di fatto intaccato il dogma della nazionalità tedesca,
rendendo di conseguenza la distinzione tra cittadini comunitari ed extracomunitari illegittima per contrasto con i
principi di una moderna democrazia liberale67. Negli ultimi anni, allora, basandosi su simili considerazioni, sono stati
riproposti a livello decentrato svariati progetti di riforma volti ad estendere il diritto di voto per le elezioni locali agli
stranieri residenti, sperando in una sorte migliore rispetto al passato: la più recente di queste iniziative è stata intrapresa
a Brema, dove SPD e Verdi hanno approvato in prima lettura nel gennaio del 2013 una proposta di legge che si
muoveva in tale direzione (fissando quale criterio una residenza minima di 5 anni), chiedendo tuttavia alla Corte
costituzionale del Land (Bremer Staatsgerichtshof) un “controllo preventivo” di legittimità sul testo (che dovrebbe essere
esaminato nei prossimi mesi) prima di procedere alla sua seconda votazione, così da cercare di dotare il progetto di un
autorevole supporto giuridico68.
È necessario rilevare, ad ogni modo, come in queste esperienze, se è vero che manca attualmente un riconoscimento
diretto dei diritti elettorali degli stranieri extracomunitari, è un fatto che i criteri di acquisto della cittadinanza, cui è
collegato il diritto di voto, siano più flessibili di quelli italiani. Si pensi, in particolare, al tipico “double droit du sol”
vigente in Francia69, così come allo ius soli temperato da requisiti di residenza previsto nell’ordinamento tedesco a
64 In particolare, la disciplina approvata dal Land Schleswig-Holstein estendeva il diritto di voto per le elezioni locali agli stranieri residenti in
condizione di reciprocità col Paese di provenienza, mentre quella adottata dalla Città-Stato di Amburgo attribuiva tale diritto agli stranieri che fossero
rimasti nel territorio federale per almeno 8 anni.
65 Vedi D. Porena, Il Problema della cittadinanza. Diritti, sovranità e democrazia, Giappichelli, Torino, 2011, p. 18 ss..
66 Con la quale il Bundesverfassungsgericht ha chiarito che l’unico modo per ampliare i diritti politici degli stranieri era quello di facilitare la loro
naturalizzazione, attraverso una riforma della legge sulla cittadinanza (che, in effetti, è stata approvata nel 1999).
67 Cfr. L. Pedroza, Access to Electoral Rights – Germany, European University Institute – Robert Schuman Centre for Advanced Studies – EUDO
Citizenship Observatory, Firenze, giugno 2013, p. 7 ss..
68 Maggiori informazioni sulla proposta di legge sono reperibili all’indirizzo http://www.spd-fraktion-bremen.de/top-themen/wahlrecht.html.
69 La semplice nascita nel territorio nazionale non rileva infatti ai fini dell’attribuzione della cittadinanza, se non per i minori figli di apolidi o di
genitori sconosciuti o che non trasmettono la loro nazionalità; risulta però francese il figlio (legittimo o naturale) nato in Francia quando almeno uno
dei due genitori vi sia nato, qualunque sia la sua cittadinanza.
15
seguito della riforma del 199970. Il che mette ancora una volta in evidenza le pesanti lacune della normativa italiana in
tema di integrazione e rappresentanza politica.
3.3 Alcuni spunti di sintesi
Dalla breve analisi che abbiamo provato a tracciare emerge l’estrema varietà delle soluzioni normative adottate. È
evidente, tuttavia, come nei vari testi costituzionali europei il legame tra cittadinanza e diritti politici resti molto forte, a
tratti insuperabile71: sebbene ciò abbia nei fatti lasciato le elezioni politiche nazionali praticamente ad esclusivo
appannaggio dei cittadini, non ha vincolato in modo altrettanto stretto i legislatori europei rispetto alle elezioni
amministrative.
La maggior parte degli Stati europei concede infatti alcuni diritti elettorali ai cittadini extracomunitari, sulla base di
tre principali motivazioni: a) legami storici o culturali (come ad esempio avviene per il Regno Unito); b) la reciprocità
(come nell’esperienza spagnola e portoghese); c) la valorizzazione del criterio della residenza (come nella maggior parte
dei casi analizzati). Le prime due condizioni utilizzano di fatto la cittadinanza di origine dei migranti come criterio
selettivo per l’estensione dei diritti politici, anche con riferimento alle elezioni politiche nazionali; la terza, invece,
valorizza l’appartenenza di tipo territoriale, favorendo un’estensione dei diritti che è generalmente limitata a livello
locale e, in casi più rari, a livello regionale. Ciò suggerisce come, da un lato, resti ferma la convinzione dell’impossibilità
di sostituire in toto il processo di naturalizzazione per la completa adesione ad una comunità politica, ma, dall’altro, si
reputi ormai necessario aprire a forme inclusive di voto a livello locale come trampolino verso una piena uguaglianza
politica72.
Il diritto di voto amministrativo per gli stranieri residenti, in particolare, viene riconosciuto in modo assai differenziato
con riferimento: a) ai soggetti (tutti i cittadini stranieri, solo alcuni gruppi nazionali, solo alcune nazionalità a
“condizione di reciprocità”, solo cittadini europei); b) ai requisiti richiesti (possesso di un titolo di soggiorno permanente
o di una durata di residenza variabile); c) al livello cui si consente di votare (municipale, provinciale, regionale,
cantonale)73. Si passa così da esperienze in cui il diritto di voto è concesso senza particolari restrizioni (come in Irlanda),
a Paesi che non lo prevedono affatto (come Italia, Francia e Germania) o lo sottopongono a requisiti di residenza più o
meno ampi o a condizioni ulteriori e maggiormente restrittive (come ad esempio le “condizioni di reciprocità” previste
70 È stata in tal modo introdotta, accanto al tradizionale criterio dello ius sanguinis, l’acquisizione automatica della cittadinanza per i figli di stranieri
che nascono in Germania, purché almeno uno dei genitori risieda abitualmente e legalmente nel Paese da almeno otto anni e goda del diritto di
soggiorno a tempo indeterminato.
71 Cfr. U.H. Quercia, I diritti politici dello straniero, Aracne, Roma, 2012, p. 33 ss..
72 Cfr. J.-T. Arrighi, R. Bauböck, M. Collyer, D. Hutcheson, M. Moraru, L. Khadar, J. Shaw (a cura di), Franchise and electoral participation of third
country citizens residing in the European Union and of EU citizens residing in third countries, European Parliament – European Union, maggio
2013, p. 50 ss..
73 Cfr. G. Tintori, Panorama internazionale, op. cit., p. 11 ss..
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in Spagna o Portogallo)74: in tal modo, gli Stati si comportano in modo composito sia con riferimento alla “rilevanza”
del voto, che in relazione alla sua natura più o meno “egualitaria” rispetto ai cittadini75.
Sebbene la situazione possa dunque differire in modo evidente a seconda del Paese di riferimento, si tratta tuttavia di
istituti e diritti che appaiono molto diffusi, sintomo di una realtà ormai in gran parte accettata e che fa presumere come
“a livello europeo si stia formando un nuovo principio e che nel prossimo futuro l’estensione del diritto all’elettorato agli
stranieri regolarmente residenti da un certo numero di anni sarà la regola in Europa”76. Laddove il diritto di voto è stato
previsto, però, le consultazioni hanno registrato un’affluenza alle urne tendenzialmente bassa (con alcune significative
eccezioni, come dimostrano l’esperienza danese, estone o del Lussemburgo): un dato che è dovuto principalmente alla
scarsa informazione e pubblicizzazione dei diritti dei migranti, così come alle fin troppe rigide regole previste per la
registrazione al voto77, aspetti sui quali non è difficile poter intervenire al fine di incentivare la partecipazione degli
stranieri.
4. L’integrazione politica a livello nazionale: le proposte di legge in tema di diritto di voto degli
stranieri extracomunitari
La situazione italiana relativa al riconoscimento ed alla garanzia di diritti di partecipazione politica agli stranieri
extracomunitari, come detto, risulta ancora oggi quantomeno poco soddisfacente, sia con riferimento ai diritti di
elettorato attivo e passivo, che, più in generale, riguardo alla partecipazione politica in senso lato (intesa come
coinvolgimento di tipo decisionale o come incorporazione in un dato organismo, gruppo o comunità)78.
L’esclusione degli stranieri extracomunitari regolarmente soggiornanti sul territorio dal diritto di voto tanto per le
elezioni politiche, quanto per quelle amministrative degli enti locali79, rappresenta certamente uno dei maggiori
elementi di criticità80. E ciò se si pensa a maggior ragione al contributo rilevante che gli stranieri quotidianamente
apportano al tessuto sociale ed economico del nostro Paese: la tendenza degli interventi in atto non può allora attestarsi
74 Vedi K. Groenendijk, Local Voting Rights for Non-Nationals in Europe: What We Know and What We Need to Learn, Migrant Policy Institute,
Nijmegen, 2008.
75 Vedi S. Ardovino, G. Zincone, I diritti elettorali dei migranti nello spazio politico e giuridico europeo, op. cit., p. 741 ss..
76 Cfr. M. Giovannetti, G. Perin, I cittadini comunitari e la partecipazione al voto, Paper CITTALIA, settembre 2012, p. 4.
77 In molti Paesi (come ad esempio Belgio, Ungheria, Spagna, Portogallo, Grecia, Lussemburgo), infatti, l’introduzione di una procedura di
registrazione distinta per i cittadini extracomunitari si è mostrata uno dei principali ostacoli all’esercizio del diritto di voto.
78 La partecipazione politica, infatti, può essere identificata con quell’insieme di azioni e di comportamenti che mirano a influenzare in maniera più o
meno diretta e più o meno legale le decisioni, nonché la stessa selezione dei detentori del potere nel sistema politico o in singole organizzazioni
politiche, nella prospettiva di conservare o modificare la struttura (e quindi i valori) del sistema di interessi dominante. Cfr. G. Pasquino, Corso di
scienza politica, Il Mulino, Bologna, 1997.
79 Si tratta di una scelta che accomuna l’Italia ad altri Paesi europei, come Austria, Cipro, Germania, Francia, Lettonia, Polonia, Romania,
Repubblica ceca, Croazia, Malta, Bulgaria.
80 Risulta chiaro, infatti, come in mancanza dei diritti politici gli immigrati rimangano per lo più oggetto passivo della policy dello Stato, piuttosto che
reali partecipanti attivi. Su questi temi si veda K. Faulks, Citizenship, Routledge, London-New York, 2000.
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su posizioni meramente statiche, ma deve indirizzarsi verso “una progressiva ricongiunzione tra ‘Paese reale’ e ‘Paese
legale’”81.
È necessario osservare, dunque, come a livello nazionale la ricerca di una maggiore partecipazione politica degli
stranieri extracomunitari non si sia mai spenta ed anzi sembri progressivamente aumentata negli ultimi tempi, come
dimostrano, ad esempio, le recenti iniziative di legge presentate in Parlamento, rafforzate dal sostegno fornito dal nuovo
Ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge Kashetu82.
Prima di esaminare le proposte di legge che riteniamo più rilevanti, tuttavia, è opportuno dare conto preliminarmente
del dibattito, da sempre acceso in Italia a livello politico e dottrinale, circa la fonte necessaria per disciplinare il diritto di
voto degli stranieri extracomunitari.
4.1 Il dibattito in tema di diritto di voto: la questione della fonte competente a disciplinare la
materia
In generale, è opportuno sottolineare come la dottrina prevalente ritenga che le disposizioni della Costituzione
riguardanti i diritti fondamentali che non si riferiscono esplicitamente ai soli cittadini italiani, ma garantiscono un diritto
in via generale “a tutti” o in modo impersonale ed astratto, debbano ritenersi implicitamente applicabili anche agli
stranieri. Così come a questi ultimi andrebbe comunque riconosciuta una serie di diritti e di libertà che, rientrando
nell’ambito delle libertà fondamentali, la dizione letterale del testo costituzionale garantirebbe solo nei confronti dei
“cittadini”83.
Una prima tesi, risalente, considera tuttavia i diritti politici esclusiva prerogativa dei cittadini, con la conseguenza che
non sarebbe possibile estenderli agli stranieri neanche attraverso una legge di revisione costituzionale; solo i diritti
fondamentali universali, in tale ottica, sarebbero riconosciuti a tutti a prescindere dalla cittadinanza, non potendosi
comprendere tra gli stessi i diritti politici84.
Sono molte, invece, le interpretazioni che ammettono una possibile estensione di simili diritti, anche se con modalità e
forme del tutto differenti: rispetto alla fonte competente ad estendere legittimamente il diritto di voto dei “non
cittadini”, infatti, il quadro si presenta piuttosto articolato.
Risulta da subito opportuno sottolineare come sia ormai pacifica la tesi che nega spazi di azione a livello decentrato85.
A seguito delle maggiori competenze assegnate ai comuni dal decreto legislativo n. 267 del 2000 (“Testo unico delle
leggi sull’ordinamento degli enti locali”, c.d. “TUEL”), infatti, si erano susseguite varie iniziative volte ad allargare
Vedi D. Porena, Il Problema della cittadinanza, op. cit., p. 152.
Deputata eletta nelle fila del PD, di origine congolese ma di cittadinanza italiana, primo ministro di origine africana in un Governo della
Repubblica.
83 Cfr. P. Bonetti, Diritti fondamentali degli stranieri, reperibile sul sito www.altrodiritto.unifi.it, 26 aprile 2013.
84 Per tutti si vedano: C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, II, Cedam, Padova, 1976, pp. 1153-1154; M. Mazziotti di Celso, Sulla soggettività e
tutela dello straniero nell’ordinamento italiano, in AA.VV., Studi in memoria di Gaetano Serino, Giuffrè, Milano, 1966, pp. 316-317.
85 Vedi, da ultimo, L. Tria, Stranieri extracomunitari e apolidi. La tutela dei diritti civili e politici , Giuffré, Milano, 2013.
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concretamente le maglie del diritto di elettorato attivo e passivo86. Simili azioni, tuttavia, sono state ostacolate
dall’intervento del Governo nazionale, il quale, agendo in sede di controllo di legittimità e con l’avallo sostanziale del
Consiglio di Stato87, ha di fatto impedito autonome deliberazioni sul punto da parte degli enti decentrati.
La situazione, però, non si presenta altrettanto chiara se si ha riguardo alla fonte di disciplina che dovrebbe essere
utilizzata. La possibilità di estendere agli stranieri i diritti politici costituzionalmente riconosciuti ai cittadini italiani (e, in
modo particolare, il diritto di elettorato attivo e passivo), nonché i limiti che tale possibilità incontra e la necessità o
meno di ricorrere a norme di revisione costituzionale qualora tale estensione concerna il solo voto amministrativo negli
enti locali o il voto nelle elezioni regionali, costituiscono temi da tempo dibattuti in dottrina e già in passato oggetto di
confronto parlamentare88.
La riflessione costituzionalistica, sul punto, ha fatto emergere diversi orientamenti.
L’interpretazione che ad oggi risulta maggioritaria reputa le attuali previsioni costituzionali non in grado di
consentire, senza apposita revisione della Costituzione, l’estensione agli stranieri del riconoscimento dei diritti
propriamente politici, il cui esercizio dovrebbe pertanto al momento intendersi riservato ai soli cittadini italiani. E ciò
con particolare riferimento al diritto di elettorato attivo e passivo (articolo 48 della Costituzione)89, della facoltà di
richiedere i referendum previsti dagli articoli 75 e 138 della Costituzione, del diritto di rivolgere petizioni alle Camere
(articolo 50), del diritto all’accesso alle cariche elettive ed agli uffici pubblici (articolo 51). Il diritto di voto locale (e
regionale), perciò, potrebbe essere legittimamente riconosciuto agli stranieri, ma solo attraverso l’approvazione di
un’apposita legge costituzionale90.
Appare diversamente orientata, invece, la tesi che, basandosi sulla distinzione tra “voto politico” e “voto
amministrativo”, considera possibile estendere quest’ultimo anche agli stranieri extracomunitari senza che sia necessaria
l’approvazione di una riforma costituzionale. L’impossibilità di intervenire per il tramite di una legge ordinaria, infatti,
86 Gli enti locali, infatti, grazie in particolare alle previsioni degli articoli 6 e 8 comma 5 del TUEL, hanno acquisito maggiori spazi di azione
relativamente alla promozione delle forme di partecipazione alla vita pubblica locale. Vedi F. Scagliotti, Articolo 8, in M. Bertolissi (a cura di),
L’ordinamento degli enti locali, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 91 ss.; T.F. Giupponi, Stranieri extracomunitari e diritti politici. Problemi costituzionali
dell’estensione del diritto di voto in ambito locale, in Forumcostituzionale.it, 2006, p. 11 ss.
87 Alcuni comuni (come Genova, Ancona e Torino), avevano ad esempio modificato i propri statuti comunali per riconoscere anche ai cittadini
extracomunitari il diritto di elettorato (attivo e passivo) per le elezioni del consiglio comunale, del sindaco, dei consigli circoscrizionali. Tentativi che
sono stati però travolti dall’esercizio del potere di annullamento straordinario da parte del Governo, che, a seguito dei pareri del Consiglio di Stato (si
tratta dei pareri n. 8007 del 28 luglio 2004 reso dalla Sezione II, n. 9771/04 del 16 marzo 2005 reso dalla Sezione I, n. 11074/04 del 6 luglio 2005
reso dall’Adunanza delle Sezioni I e II), ha cassato le disposizioni normative locali (d. P. R. 17 agosto 2005, d. P. R. 20 marzo 2006, d. P. R. 3 aprile
2006).
88 Per una ricostruzione puntuale del vasto dibattito dottrinale sul tema si veda: A. Algostino, I diritti politici dello straniero, Jovene, Napoli, 2006; D.
Sardo, Il dibattito sul riconoscimento del diritto di voto agli stranieri residenti, in Rivista telematica giuridica dell’Associazione Italiana dei
Costituzionalisti, n. 00, 2 luglio 2010.
89 Per tutti si vedano: C. Esposito, I partiti nella Costituzione italiana, in AA.VV., Studi di diritto costituzionale in memoria di Luigi Rossi, Giuffrè,
Milano, 1952, p. 140 ss.; F. Lanchester, Voto (diritto di) – Diritto pubblico, in Enciclopedia del Diritto, XLVI, Milano, 1993, p. 1107 ss.; E.
Castorina, Introduzione allo studio della cittadinanza. Profili ricostruttivi di un diritto, Giuffré, Milano, 1997, p. 201; P. Barile, Istituzioni di diritto
pubblico, CEDAM, Padova, 1998, p. 175.
90 Si pensi, ad esempio, a quanto di recente affermato da Massimiliano Mezzanotte: “sicuramente, l’attuale conformazione delle società multietniche
permette di ritenere superato, sotto il profilo culturale, il disposto dell’art. 48 Cost.; sotto il profilo formale, invece, la disposizione porta
inevitabilmente a sbarrare la strada volta ad estendere tale diritto per il tramite di fonti subcostituzionali, in mancanza di una copertura di rango
costituzionale”. Cfr. M. Mezzanotte, Il diritto di voto degli immigrati a livello locale, ovvero la necessità di introdurre una expansive citizenship, in
Forumcostituzionale.it, 1 novembre 2012, p. 7.
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risulterebbe condivisibile con riferimento a diritti direttamente afferenti all’esercizio della sovranità ex articolo 1 della
Costituzione (tra i quali l’elettorato attivo e passivo alle elezioni politiche), ma darebbe luogo a conseguenze
eccessivamente rigide se generalizzata91. In particolare, il concetto di sovranità dovrebbe essere a tal scopo
essenzialmente ricondotto a quello di “legislazione” (dato che, come già evidenziato da Bodin, l’essenza della sovranità
starebbe soprattutto nel potere di “dare le leggi” a tutti), da ciò facendo discendere l’impossibile estensione tramite legge
ordinaria del diritto di voto per gli stranieri extracomunitari non solo per le elezioni nazionali, ma anche per quelle
regionali (restando invece ammissibile l’estensione per le elezioni amministrative locali)92.
In base ad una terza opzione interpretativa, poi, la scelta sull’estensione del diritto di voto (tanto “politico” quanto
“amministrativo”) agli stranieri sarebbe essenzialmente rimessa alla discrezionalità politico-parlamentare93: sembra
infatti “tutto da verificare se, in una Costituzione imperniata sull’affermazione della sovranità popolare e sul
riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, il diritto di voto non debba ritenersi un diritto fondamentale ed
inviolabile al pari di altri, che come gli altri, per quanto costituzionalmente garantito ai (soli) cittadini, non esclude una
possibile estensione, per via di legislazione (anche ordinaria) a (particolari categorie di) non cittadini”94.
Infine, secondo un’interpretazione ancora più “aperta” delle previsioni costituzionali vigenti, lo straniero stabilmente
residente sarebbe già titolare del diritto di voto: quest’ultimo, infatti, dovrebbe essere riconosciuto quale necessaria
implicazione della proclamazione, nell’articolo 1 della Costituzione, del principio democratico, imponendo così “di
considerare irrilevante (o di superare) la lettera dell’articolo 48 Costituzione, pena la perdita di democraticità dello
Stato”95. Più precisamente, si è sostenuto che: “l’intitolazione ai ‘cittadini’ del diritto di voto possa, o meglio debba,
essere superata, se si ragiona coerentemente rispetto alle norme costituzionali che sanciscono il principio democratico, o
riconoscono i diritti inviolabili dell’uomo, o attribuiscono in capo a ‘tutti’ i doveri (politici), intervenendo altresì ad
adiuvandum altre disposizioni (si pensi all’asilo, al riferimento al diritto e alla giustizia internazionale, o alle libertà di
riunione o di associazione). Se si ri-legge la Costituzione con gli occhi volti ai diritti umani universali e ad una
91 In tal senso vedi M. Luciani, Il diritto di voto agli immigrati: profili costituzionali, in Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati,
Partecipazione e rappresentanza politica degli immigrati, Atti del 21 giugno 1999, Dipartimento Affari sociali, Roma, p. 30 ss.. Contra vedi D.
Porena, Il Problema della cittadinanza, op. cit., p. 159 ss., il quale sottolinea la difficile sostenibilità di una differenziazione tra voto “politico” e voto
“amministrativo” nell’estensione dei diritti degli stranieri, sia per la struttura stessa dell’articolo 48 della Costituzione, che per la nuova stesura
dell’articolo 114 (che chiama tutti gli enti territoriali a concorrere assieme allo Stato alla costituzione della Repubblica e, dunque, della comunità
politica che con essa si identifica).
92 Vedi M. Luciani, La partecipazione politica e i migranti, intervento al Seminario di studi La Repubblica e le migrazioni, organizzato dall’ISSiRFA
– CNR in collaborazione con la Camera dei Deputati, Roma, 12 luglio 2013 (in corso di pubblicazione).
93 Enrico Grosso, ad esempio, afferma a riguardo come “decidere se tale estensione debba essere radicalmente esclusa, ovvero limitata al voto
amministrativo, o ancora interessare le stesse elezioni parlamentari è compito della politica, e non conseguenza necessitata del principio costituzionale
della sovranità popolare o di quello per cui ‘sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età’”. Cfr. E. Grosso, La
titolarità del diritto di voto. Partecipazione e appartenenza alla comunità politica nel diritto costituzionale europeo, op. cit., p. 124.
94 Vedi M. Cuniberti, Alcune osservazioni su stranieri, voto e cittadinanza, in Forumcostituzionale.it, 2004.
95 Cfr. A. Algostino, Il ritorno dei meteci: migranti e diritto di voto, in Costituzionalismo.it, 13 aprile 2010.
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democrazia quanto più rispondente alla sua essenza, in un orizzonte magis ut valeat, si può concludere nel senso che già
rebus sic stantibus gli stranieri devono essere riconosciuti titolari dei diritti politici”96.
Partendo da queste diverse posizioni, è nostra opinione che risulti consentito per il tramite della legge ordinaria
estendere il voto nelle elezioni locali e regionali agli stranieri residenti in Italia, almeno per cinque ragioni fondamentali.
In primo luogo, per la debolezza della mera interpretazione letterale: come già detto, il termine “cittadini” utilizzato
in varie disposizioni costituzionali non sembra poter sancire in modo assoluto l’esclusione degli stranieri, dovendo farsi
riferimento anche ad un’interpretazione logica o sistematica97. Al riguardo, infatti, non può essere sottaciuto come “la
distinzione operata dal legislatore costituzionale tra ‘cittadini’ e ‘tutti’ (tra questi ricomprendendo anche gli stranieri)
debba essere interpretata in chiave storico-evolutiva”98; diverso, quindi, appare il significato che può acquistare oggi
rispetto a quello originariamente desumibile da essa: contestualizzando la questione, non possiamo ignorare come nella
situazione italiana del 1946/’47 il fenomeno dell’immigrazione fosse ancora del tutto estraneo alla nostra società.
In secondo luogo, perché secondo una consolidata interpretazione giurisprudenziale, i diritti fondamentali dovrebbero
essere garantiti a tutti, senza che si possano fare distinzioni tra cittadini e non cittadini (ex articolo 2 e 3 della
Costituzione)99. Rispetto ai diritti politici, tuttavia, viene messa tradizionalmente in dubbio proprio tale qualità: essi
sarebbero di per sé diritti del “cittadino” e non tanto diritti della “persona umana”, di modo che lo straniero non
potrebbe godere di tutti quei diritti che sono intimamente connessi allo status activae civitatis (come anche confermato
dalla giurisprudenza della Corte costituzionale)100. La cittadinanza, criterio volto ad identificare le persone umane che
96 Cfr. A. Algostino, Il ritorno dei meteci: migranti e diritto di voto, in S. Gambino, G. D’Ignazio (a cura di), Immigrazione e diritti fondamentali. Fra
Costituzioni nazionali, Unione europea e diritto internazionale, Giuffrè, Milano, 2010, pp. 455 e 456.
97 Analogamente a quanto costantemente sostenuto dalla Corte costituzionale in relazione all’articolo 3 della Costituzione, il quale, sebbene faccia
espressamente riferimento ai cittadini, ha senza dubbio una valenza generale, operando anche nei confronti dello straniero. Vedi Corte costituzionale,
I diritti fondamentali nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Relazione predisposta in occasione dell’incontro della delegazione della Corte
costituzionale con il Tribunale costituzionale della Repubblica di Polonia. Varsavia, 30-31 marzo 2006, reperibile sul sito www.cortecostituzionale.it,
2006, p. 14 ss..
98 Come altri hanno già evidenziato, i concetti giuridici, analogamente a qualsiasi costruzione umana, non sono fissi ed immutabili; piuttosto vivono
nella storia e non sono comprensibili fuori della storia, giacché è la realtà sociale ad operare direttamente sul modo in cui esse vengono costruite; v. G.
De Francesco, Riconoscimento della capacità elettorale e della cittadinanza agli stranieri immigrati: due possibili vie per l’integrazione e la coesione
sociale in Italia e in Europa, in Amministrazione e contabilità dello Stato e degli enti pubblici: rassegna bimestrale di dottrina, giurisprudenza e
documentazione, fasc. 5/6, 2006, p. 441 ss..
99 La Corte costituzionale, come detto, non ha infatti attribuito particolare valore discriminante, ai fini della definizione della situazione giuridica degli
stranieri, al tenore letterale delle singole disposizioni costituzionali, ritenendo che il principio di eguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione
sia pienamente applicabile anche agli stranieri quando si tratti di stabilire la titolarità in capo a tali soggetti dei diritti fondamentali. La Corte, tuttavia,
ha ammesso che la posizione dello straniero possa essere legittimamente differenziata per quanto riguarda le modalità di godimento dei diritti
fondamentali. È quindi ragionevole che la legge disponga, valutata la particolarità della situazione, un trattamento diverso per lo straniero, che non
costituisce una illegittima discriminazione ai suoi danni, poiché la riconosciuta eguaglianza di situazioni soggettive nel campo della titolarità dei diritti
di libertà non esclude che nelle situazioni concrete possano presentarsi, fra soggetti eguali, differenze di fatto che il legislatore può regolare con una
discrezionalità che è limitata unicamente dalla razionalità del suo apprezzamento (si pensi alle sentenze n. 120 del 1967, n. 104 del 1969, n. 503 del
1987). Più recentemente, tuttavia, la Corte è tornata a ribadire che la Costituzione italiana persegue in primo luogo una cittadinanza intesa come pari
riconoscimento a tutte le persone (a prescindere dalla nazionalità e a maggior ragione dal titolo di soggiorno) degli stessi diritti inviolabili. Cfr. L.
Ronchetti, I diritti di cittadinanza degli immigrati e il ruolo delle regioni, in Italian Papers on Federalism, n. 1, 2013.
100 Il rigido binomio cittadinanza-partecipazione democratica si è a lungo caratterizzato, e si caratterizza in buona parte ancora oggi, per la sua
dimensione esclusiva, che porta a marginalizzare dal circuito delle decisioni politiche chi non è cittadino dello Stato. Cfr. E. Grosso, La titolarità del
diritto di voto. Partecipazione e appartenenza alla comunità politica nel diritto costituzionale europeo, op. cit., p. 4 ss.. La Costituzione italiana, nel
Titolo relativo ai rapporti politici, sembra pertanto rendere imprescindibile il riferimento allo status civitatis, quantomeno ad avviso di buona parte
della dottrina italiana: il ché rappresenterebbe non un mero dato di tipo formale, ma “una precisa scelta di contenuto, relativa al particolare campo
21
vivono in una determinata comunità quale scriminante per il riconoscimento dei diritti politici, però, non sembra oggi in
grado di includere realmente tutti coloro che ne fanno parte, estromettendo alcuni (come gli stranieri regolarmente
residenti) dal rapporto di immedesimazione tra governati e governanti101. Da più parti, inoltre, si rileva come il
collegamento tra cittadinanza e diritti (in primo luogo politici) non abbia nulla di ontologico o necessitato, visto che
alcuni diritti considerati di cittadinanza in certi ordinamenti, in altri sono riconosciuti come diritti della persona, e
viceversa102. Non si capisce allora la ragione per la quale taluni diritti (e doveri) “non politici” e tradizionalmente
qualificati come civili e sociali, ma strettamente connessi alla partecipazione dell’individuo alla vita della comunità, sono
riconosciuti dall’ordinamento allo straniero, mentre quelli politici no103. E ciò visto anche come i relatori all’Assemblea
costituente del vigente Titolo IV (Parte I) della nostra Costituzione non mancarono di sottolineare come i diritti politici
fossero “corollario e presupposto insieme delle libertà civili e delle libertà sociali” nell’ambito del principio
democratico104. L’imposizione di un accesso differenziato degli stranieri al godimento di tali diritti, pertanto, non
sembra trovare un riscontro certo e convincente all’interno del testo costituzionale105, consentendo a nostro avviso scelte
di tipo “estensivo” da parte del legislatore ordinario, non solo in uno, ma in entrambi gli ambiti considerati106 (dovendo
della partecipazione attiva ad una comunità politica in cui ci si identifica”. Cfr. T.F. Giupponi, Stranieri extracomunitari e diritti politici. Problemi
costituzionali dell’estensione del diritto di voto in ambito locale, op. cit., p. 6.
101 Per alcune considerazioni generali sulla contraddizione cittadinanza-universalità dei diritti, vedi A. Algostino, L’ambigua universalità dei diritti.
Diritti occidentali o diritti della persona umana?, Jovene, Napoli, 2005, p. 409 ss.. Più di recente inoltre, si è sottolineato come l’esercizio dei diritti
politici resti ancora strettamente legato al possesso della cittadinanza legale e quindi sostanzialmente a concetti, quali la appartenenza e l’identità, che
appaiono oggi fortemente in crisi. Cfr. A. Lollo, Prime osservazioni su eguaglianza e inclusione, Testo riveduto ed ampliato della relazione tenuta al
Seminario del “Gruppo di Pisa” con i dottorandi delle discipline giuspubblicistiche sul tema Sovranità statale, costituzionalismo multilivello e dialogo
tra le Corti, Scilla (Reggio Calabria), 21 settembre 2012, reperibile su Consultaonline.it, 26 ottobre 2012, p. 14.
102 Cfr. F. Ippolito, Cittadinanza e cittadinanze. Tra inclusione ed esclusione, in M. Campedelli, P. Carrozza, L. Pepino (a cura di), Diritto di welfare.
Manuale di cittadinanza e istituzioni sociali, Il Mulino, Bologna, 2010, p. 120. La variabilità da ordinamento a ordinamento di tali attribuzioni
renderebbe in tal modo ormai palese “l’arbitrarietà della mancata universalizzazione dei diritti del cittadino”, che costituirebbe “un limite e un’aporia
dell’odierna democrazia”. Cfr. L. Ferrajoli, Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia – vol. I – Teoria del diritto, Editori Laterza, RomaBari, 2007, pp. 740, 749 e 828.
103 Ciò mette in evidenza un processo che, come già sottolineato da parte della dottrina, procede ad un’estensione dei diritti che non avviene secondo
un ordine cronologico sempre preciso – in “fila indiana”, secondo la nota prospettiva di Marshall – che vede prima profilarsi i diritti politici e quelli
civili ed in ultimo quelli sociali. Cfr. A. Ruggeri, C. Salazar, “Ombre e nebbia” nel riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di
emigrazione/immigrazione dopo la riforma del Titolo V, in M. Revenga Sanchez (a cura di), I problemi costituzionali dell’immigrazione in Italia e
Spagna, Valencia, 2005, p. 57.
104 Cfr. B. Caravita di Toritto, I diritti politici dei “non cittadini”. Ripensare la cittadinanza: comunità e diritti politici, in AA.VV., Lo statuto
costituzionale del non cittadino. Atti del XXIV Convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti. Cagliari, 16-17 ottobre 2009,
Jovene, Napoli, 2010, p. 133 ss.. Vari autori, da questo punto di vista, sottolineano come i diritti sociali, se non vengono supportati da una base di
diritti politici, rischiano di restare fragili e revocabili, quasi si trattasse di una concessione dei cittadini nei confronti di outsider a cui non si intende
attribuire il beneficio pieno dell’appartenenza (rendendo chiara, in definitiva, la loro qualificazione come “cittadini di serie B”). Cfr. M. Ambrosini,
Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 217.
105 Dai lavori dell’Assemblea costituente, infatti, sembrano emergere due concezioni dei diritti politici, che si affiancano tra loro: strumento della
democrazia (impostazione coerente con l’orizzonte dei diritti universali) o attributo della nazionalità (concezione tradotta nella riserva ai cittadini). Se
dagli interventi sul tema del voto degli italiani all’estero e da quelli sui diritti degli italiani non appartenenti alla Repubblica si può dedurre un forte
riferimento alla nazionalità (e una conseguente chiusura nei confronti degli stranieri non “nazionali”), emergono anche spunti in senso contrario, che
focalizzano l’attenzione sul legame tra democrazia e diritti politici. Cfr. A. Algostino, Il ritorno dei meteci: migranti e diritto di voto, op. cit., p. 451.
106 Una prospettiva valida nell’ottica di un possibile superamento del costante orientamento della giurisprudenza costituzionale che esclude dai diritti
politici i “non cittadini” (sentenze n. 11 del 1968, n. 438 del 1993, n. 261 del 1995, n. 172 del 1999), ammettendo però il loro coinvolgimento nei
doveri di difesa della Patria (sentenza n. 172 del 1999) e di sottoposizione all’imposizione fiscale.
22
farsi riferimento tanto al principio di “indivisibilità” dei diritti fondamentali, quanto a quello di corrispondenza tra
diritti e doveri)107.
In terzo luogo, per la formulazione degli articoli 48 e 51 della Costituzione, i quali, garantendo ai cittadini il diritto di
voto e di accesso agli uffici pubblici, sembrano proibire al legislatore ordinario di impedirne l’esercizio al cittadino, ma
non vieterebbero che entro i confini della ragionevolezza si possa intervenire con legge ordinaria per estendere tali diritti
anche allo straniero108. E ciò anche e soprattutto grazie al possibile riferimento all’articolo 10 comma 2 della
Costituzione, il quale dispone che “la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle
norme e dei trattati internazionali”109.
In quarto luogo, perché la Corte costituzionale ha più volte riconosciuto che solo il Parlamento nazionale esercita la
sovranità (e non i consigli regionali e comunali) di cui è titolare solo il popolo italiano nella sua interezza, non potendo le
molteplici comunità territoriali esistenti assurgere a questa qualifica110. Se ciò è vero, soltanto il diritto di voto per le
elezioni politiche nazionali risulta direttamente connesso al concetto di sovranità, lasciando quindi aperti più ampi
margini di discrezionalità in relazione alle elezioni regionali e locali.
In quinto luogo, per la forte connessione che sembra esistere tra residenza e diritto di voto: di recente, ad esempio, la
Corte europea dei diritti dell’uomo (con la sentenza Shindler v. the United Kingdom del 7 maggio 2013) ha valutato
una normativa britannica che limitava il diritto di voto (dichiarandolo decaduto in caso di mancata presenza nel Paese
per più di 15 anni) proporzionata e legittima111, visto il collegamento che sussiste tra voto e territorio112; ma se è
107 Si veda, di recente, il lavoro di Andrea Lollo, il quale sottolinea come “innanzitutto, se i diritti fondamentali sono legati tra di loro da un rapporto
di indivisibilità, appare irragionevole uniformare il cittadino allo straniero regolarmente residente per quanto concerne i soli diritti sociali, e, in
secondo luogo, l’apertura al circuito dei doveri di solidarietà politica, realizzata dalla Corte costituzionale, dovrebbe fare pendant con quella ai diritti
di partecipazione politica”. Cfr. A. Lollo, Note minime sulla partecipazione alla vita democratica del non cittadino (La giurisprudenza costituzionale
sui
diritti
politici
degli
stranieri),
in
Osservatorio
costituzionale
dell’AIC,
novembre
2013,
reperibile
all’indirizzo
http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/osservatorio/articolo/note-minime-sulla-partecipazione-alla-vita-democratica-del-non-cittadino-la, p.
9.
108 Dato che non si potrebbe desumere da una norma la quale conferisce a taluni un determinato diritto, che quel diritto non possa sussistere anche
per altri: e ciò perché la norma giuridica va interpretata per quello che dice (ubi lex voluit dixit …), e là dove tace non può prescrivere alcunché (così
va inteso il seguito del brocardo latino: … ubi noluit tacuit). La Costituzione, pertanto, non sembra né vietare né garantire l’estensione del diritto di
voto agli stranieri: se con legge ordinaria si volesse riconoscerli, lo si potrebbe fare, senza però poterne garantire una tutela costituzionale; trattandosi
in pratica di diritti legislativi e non costituzionali. Cfr. M. Luciani, Cittadini e stranieri come titolari di diritti fondamentali. L’esperienza italiana, in
Rivista critica di diritto privato, 1992, p. 203 ss.; E. Grosso, Straniero (status dello), in S. Cassese, Dizionario di diritto pubblico, Giuffrè, Milano,
2006, p. 5787 ss..
109 Cfr. M. Cuniberti, La cittadinanza. Libertà dell’uomo e libertà del cittadino nella Costituzione italiana, CEDAM, Padova, 1997, p. 421 ss.. Contra
vedi G. D’Orazio, Lo straniero nella Costituzione italiana. Asilo - Condizione giuridica - Estradizione, CEDAM, Padova, 1992, p. 269; E. Castorina,
Introduzione allo studio della cittadinanza, op. cit., p. 201 ss..
110 Si pensi, ad esempio, alle sentenze n. 106 e n. 306 del 2002 della Corte costituzionale, con le quali è stata stabilita l’esclusività del nomen iuris
“Parlamento”, “denominazione costituzionalmente non consentita per l’organo consiliare”. Vedi N. Lupo, Dalla Corte costituzionale uno “stop”
(definitivo’) ai Parlamenti regionali. Nota a Corte cost. n. 106/2002, in Amministrazione in cammino, 10 luglio 2002; B. di Giacomo Russo,
L’esclusività del nomen iuris Parlamento alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 106 e 306 del 2002, in Forumcostituzionale.it, 20 maggio
2003. Si pensi, ancora, alla sentenza n. 365 del 2007, con la quale la Corte ha dichiarato illegittimo il riferimento ad una sovranità regionale (nel caso
di specie si trattava di una legge della Regione Sardegna che parlava di “popolo sardo”). Vedi P. Passaglia, La Corte, la sovranità e le insidie del
nominalismo, in Giurisprudenza costituzionale, n. 6, 2007, p. 4052 ss.; O. Chessa, La resurrezione della sovranità statale nella sentenza n. 365 del
2007, in Le Regioni, n. 1, 2008, pp. 227-238.
111 Non a sorpresa, visto che la Corte EDU non ha avuto modo di affrontare spesso la questione del diritto all’elettorato attivo e passivo degli stranieri
e, quando lo ha fatto, ne ha ammesso ragionevoli limitazioni: si pensi, ad esempio, alla decisione della Commissione X c. Regno Unito dell’11
dicembre 1979, nella quale si è riconosciuto in materia un ampio margine di apprezzamento agli Stati membri, i quali possono stabilire limitazioni
non manifestamente irragionevoli. Cfr. B. Randazzo (a cura di), Lo straniero nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Quaderno
23
ragionevole (alla luce delle previsioni della CEDU) limitare il diritto di voto in caso di assenza di una stretta connessione
col territorio, ragionando a contrario appare ancor più ragionevole estendere tale diritto ai soggetti che una simile
connessione possono vantarla, come gli stranieri extracomunitari residenti da un periodo minimo di tempo.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, pertanto, non sembrano sussistere chiari impedimenti di carattere
costituzionale ad un intervento del legislatore ordinario che attribuisca il diritto di voto agli stranieri extracomunitari per
le elezioni regionali e locali113.
4.2 Le più recenti proposte di riforma
4.2.1 Disegni di legge costituzionale
Come rilevato in precedenza, sebbene la teoria che nega il possibile intervento per il tramite della legge ordinaria non
sia del tutto convincente, resta tuttora questa l’interpretazione maggioritaria. Ciò ha comportato, di conseguenza:
l’abbandono (o la riformulazione “restrittiva”) nel corso del tempo di alcuni progetti di legge ordinaria114 e la
presentazione in Parlamento di vari disegni di legge di revisione costituzionale115.
Concentrandoci sui progetti presentati più di recente, giova subito sottolineare come sebbene il loro scopo di fondo
risulti sostanzialmente il medesimo, ossia quello di estendere i diritti politici degli stranieri extracomunitari, le proposte
abbiano contenuti in parte differenti. In un caso, ci si limita alla modifica del solo articolo 48 della Costituzione,
introducendo direttamente nel testo costituzionale l’estensione del suffragio116; in altri casi, invece, le proposte hanno un
contenuto più articolato, proponendosi la modifica sia dell’articolo 48 che dell’articolo 51 della Costituzione, salvo poi
predisposto in occasione dell’incontro trilaterale delle Corti costituzionali italiana, spagnola e portoghese, Madrid, 25 - 26 settembre 2008, reperibile
su www.cortecostituzionale.it, pp. 66 e 67.
112 Harry Shindler è un cittadino inglese che vive in Italia, ad Ascoli Piceno, con la moglie italiana da oltre 15 anni, sforando così il limite che la
legislazione inglese impone ai fini del voto: tutti gli inglesi d’oltremanica che non fanno ritorno nel Regno Unito da almeno tre lustri, infatti, perdono
il diritto di voto. Una normativa che limita certamente tale diritto, ma che, ad avviso della Corte, non viola l’articolo 3 del Protocollo n. 1 CEDU
(diritto a libere elezioni e voto), considerato anche il margine di apprezzamento di cui godono le assemblee legislative nazionali nella
regolamentazione delle elezioni parlamentari. In tal modo, si arriva a statuire che: “la limitazione imposta dallo Stato convenuto al diritto di voto del
ricorrente può essere considerato proporzionata allo scopo legittimo perseguito. La Corte si ritiene pertanto soddisfatta del fatto che la legislazione
contestata raggiunga un giusto punto di equilibrio tra gli interessi in gioco, vale a dire, tra l’autentico interesse del ricorrente, in quanto cittadino
britannico, di partecipare alle elezioni parlamentari del suo paese di origine e la politica legislativa scelta dallo Stato convenuto di limitare il diritto di
voto parlamentare a quei cittadini con uno stretto legame con il Regno Unito e le cui leggi, pertanto li riguardano personalmente”.
113 E ciò sembra confermato dal fatto che nella XIII legislatura le Camere, nell’esaminare il disegno di legge del Governo AC 3240 (recante Disciplina
dell’immigrazione e condizione dello straniero, poi divenuto legge n. 40 del 6 marzo 1998), avessero previsto all’articolo 38 anche l’introduzione del
diritto elettorale attivo e passivo nelle elezioni comunali e circoscrizionali per gli stranieri titolari di carta di soggiorno; un principio che era inoltre
enunciato in via generale anche dall’articolo 2 comma 3 del disegno di legge, dove si disponeva che lo straniero regolarmente soggiornante partecipa
alla vita pubblica locale ed “esercita l’elettorato nei limiti e con le modalità previsti dalla legge”. Sebbene quest’ultima espressione, così come l’intero
articolo 38, siano poi stati soppressi nel corso dell’iter parlamentare alla Camera, si capisce bene come la possibilità di intervenire sul tema con lo
strumento della legge ordinaria non possa essere del tutto escluso: e ciò dato che, nel caso specifico, l’interpretazione formalistica della Costituzione
era stata nei fatti un modo per superare l’ostruzionismo dell’opposizione. Per una descrizione degli avvenimenti che hanno portato a tali cambiamenti
si veda L. Turco, I nuovi italiani, Mondadori, Milano, 2005, p. 58 ss..
114 Si pensi, ad esempio, al disegno di legge del Governo AC 3240 del 1997 recante “Disciplina dell’immigrazione e condizione dello straniero”, dal
quale è stato espunto il riferimento al diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni comunali e circoscrizionali per gli stranieri titolari di carta di
soggiorno.
115 Si tratta, in particolare, di progetti presentati lungo il corso di differenti legislature, i più rilevanti dei quali risultano essere: il progetto AC 1464
dell’on. Turco e altri del 2001; il progetto AC 2374 dell’on. Pisapia ed altri del 2003; i più recenti progetti AC 176 dell’on. Pisicchio, AC 889 dell’on.
Decaro e altri, AC 908 dell’on. Migliore e altri, AS 640 della sen. De Petris e altri, tutti del 2013. Per un’analisi di alcuni di questi progetti vedi:
Camera dei Deputati, Riconoscimento del diritto di voto ai cittadini stranieri - A.C. n. 1464 e abb., Servizio studi, Dossier n. 534, 19 gennaio 2004.
116 Si tratta della proposta AC 889 dell’on. Decaro e altri, nella quale si propone di introdurre l’estensione del suffragio regionale, provinciale,
comunale e circoscrizionale non solo agli stranieri extracomunitari residenti da almeno cinque anni nel territorio nazionale, ma anche ai sedicenni.
24
rimettere al legislatore ordinario la scelta su aspetti fondamentali della disciplina117; in un ultimo caso, infine, si
interviene oltre che sull’articolo 48 della Costituzione, estendendo l’elettorato attivo e passivo degli stranieri in linea con
il concetto di “cittadinanza civile”, anche sull’articolo 75 in tema di referendum abrogativo118.
Si tratta chiaramente di proposte che condividono l’intento di estendere l’elettorato attivo e passivo degli stranieri
extracomunitari, ma che se approvate produrrebbero effetti differenti: alcune delle proposte esaminate (in particolare
l’AC 908 e l’AS 640), vista la loro evidente genericità, demanderebbero alle scelte future del legislatore ordinario la loro
reale portata ed efficacia; potrebbero consentire l’approvazione di discipline dal contenuto ampio e “inclusivo”
(similmente a quanto prospettato con il progetto AC 889), ma anche, al contrario, venire del tutto depotenziate se la
legge di attuazione non fosse approvata o prevedesse una normativa restrittiva.
La terza proposta esaminata (l’AC 176 dell’on. Pisicchio), risulta, da questo punto di vista, quella più estensiva: questa,
infatti, mira ad inserire nella Costituzione italiana il concetto di “cittadinanza civile”119, la quale, secondo il nuovo
articolo 48, sarebbe riconosciuta agli stranieri residenti in Italia da almeno cinque anni anche se non in possesso della
cittadinanza italiana, concedendo così loro il diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni amministrative, nelle altre
elezioni locali e nelle elezioni per il Parlamento europeo; per gli stranieri residenti da oltre cinque anni, inoltre, sarebbe
possibile partecipare ai referendum per le leggi in materia di autonomie locali, anche se con modalità da definire
attraverso normazione specifica.
Ciò che risulta assente, nelle proposte esaminate, è però l’ambizione di riformare l’intera materia dei diritti politici
presenti in Costituzione illuminandola in una prospettiva più “inclusiva”, limitandosi al contrario ad intervenire su
singole disposizioni costituzionali (peraltro diverse nei vari progetti); manca, in altre parole, un’ottica riformatrice più
ampia e generale che, a nostro avviso, appare la modalità più razionale ed efficace per intervenire sul testo
costituzionale.
4.2.2 Disegni di legge ordinaria
In Parlamento sono stati poi presentati, in linea con quelle ricostruzioni teoriche che non valutano necessaria una
revisione costituzionale, vari disegni di legge ordinaria volti ad estendere i diritti elettorali degli stranieri
extracomunitari; si tratta di proposte che, pur condividendo lo scopo di fondo, si differenziano per il fatto di prevedere
una disciplina che potremmo definire “organica” o, al contrario, interventi mirati sul sistema previgente.
117 Si tratta delle proposte AC 908 dell’on. Migliore e altri e AS 640 della sen. De Petris e altri, nelle quali si propone di inserire, quale nuovo ultimo
comma dell’articolo 48 della Costituzione, la clausola secondo cui “la legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto degli
stranieri e ne assicura l’effettività”; si propone poi di sostituire il primo comma dell’articolo 51, stabilendo che “tutti i cittadini e gli stranieri dell’uno e
dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. Si cerca,
in altre parole, di inserire in Costituzione il principio del diritto di voto per gli stranieri extracomunitari, lasciando tuttavia alla legge ordinaria il
compito di stabilirne modalità e requisiti di esercizio e di assicurarne l’effettività.
118 Si tratta della proposta AC 176 dell’on. Pisicchio.
119 Concetto “condiviso dalla Commissione europea al punto da dettarne le linee generali di identificazione: ‘un nucleo comune di diritti e doveri
fondamentali che il migrante acquisisce gradualmente nel corso di un certo numero di anni, in modo da garantire che questi goda dello stesso
trattamento concesso ai cittadini del Paese ospitante, anche quando non sia naturalizzato’”, come può leggersi nella presentazione del progetto di
legge. Una cittadinanza diversa da quella “piena” che ai sensi della legge n. 91 del 1992 può essere ottenuta dallo straniero dopo dieci anni di
residenza legale.
25
Al riguardo, è opportuno difatti precisare come già attualmente, sul piano della legislazione ordinaria vigente, il
fondamento del principio dell’estensione della partecipazione e del diritto di elettorato senza discriminazioni di
nazionalità e cittadinanza possa essere rintracciato in alcune disposizioni presenti nel decreto legislativo n. 286 del 1998
(“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”) e
nel decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL). La prima di queste fonti prevede, all’articolo 2 comma 4, che “lo
straniero regolarmente soggiornante partecipa alla vita pubblica locale”, e, all’articolo 9 comma 4, che “lo straniero
regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato” può, tra l’altro, “partecipare alla vita pubblica locale, esercitando
anche l’elettorato quando previsto dall’ordinamento e in armonia con le previsioni del capitolo C della Convenzione
sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992”. In secondo
luogo, il dettato dell’articolo 8 comma 5 del TUEL offre un altro importante riconoscimento positivo del rilievo
giuridico della partecipazione alla vita pubblica del “non cittadino”, dato che stabilisce che “lo statuto, ispirandosi ai
principi di cui alla legge 8 marzo 1994, n. 203 e al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, promuove forme di
partecipazione alla vita pubblica locale dei cittadini dell’Unione europea e degli stranieri regolarmente soggiornanti”120.
Tali disposizioni, sebbene idonee in linea teorica a creare una valida base d’appoggio per l’estensione dei diritti
politici del “non cittadino”121, scontano nella pratica la loro formulazione generica oltre ad un’eccessiva sinteticità,
mostrandosi di fatto quali prospettive poco percorribili.
La normativa vigente, infatti, ha da un lato dato luogo, sia a livello di Statuti regionali, che in Statuti comunali e
provinciali122, a sviluppi normativi che si sono mostrati diseguali, episodici e frammentari, poco efficaci e spesso
ostacolati dall’Esecutivo nazionale (in particolare, come già precedentemente accennato, con riferimento alla possibile
estensione dei diritti elettorali del “non cittadino” a livello locale). Dall’altro lato, la necessità di un più organico
intervento sul punto da parte del legislatore nazionale era stato anche sottolineato dal Consiglio di Stato: nel parere n.
11074/04 del 6 luglio 2005, infatti, pur confermando come gli articoli 48 e 51 della Costituzione non costituissero un
ostacolo insormontabile al conferimento del diritto di elettorato attivo e passivo a chi non avesse cittadinanza italiana, si
affermò come gli stessi rendessero comunque necessaria, per l’estensione agli stranieri del diritto di votare ed essere
eletti, un’espressa presa di posizione del legislatore statale, solo incompiutamente rinvenibile nell’articolo 9 comma 4 del
decreto legislativo n. 286 del 1998 (e, aggiungiamo noi, nella disciplina vigente più in generale).
120 Si tratta di una norma ispirata al principio secondo cui la partecipazione deve possibilmente coinvolgere tutti coloro che soggiornano nel territorio
comunale, anche se stranieri, in quanto pure essi godono delle prerogative che derivano dalla condizione di fruitori dei servizi offerti dall’ente. Vedi
Servizio Centrale Consiglio Comunale di Torino, Gli strumenti di partecipazione popolare nell’ordinamento istituzionale del Comune, Torino, 20
novembre 2009, p. 5.
121 Parte della dottrina, tuttavia, ne ha sottolineato il carattere essenzialmente simbolico-promozionale, costituendo solo una sorta di “rivoluzione
promessa”: si tratterebbe infatti di disposizioni che hanno mantenuto alcuni accenni in materia di partecipazione politica degli stranieri
extracomunitari, senza però mai poter incidere direttamente sul diritto di voto. Cfr. T.F. Giupponi, Stranieri extracomunitari e diritti politici.
Problemi costituzionali dell’estensione del diritto di voto in ambito locale, op. cit., pp. 9 e 10.
122 Visto che, tra l’altro, la disciplina della “partecipazione popolare”, ex articolo 6 del decreto legislativo n. 267 del 2000, fa parte del contenuto
minimo ed essenziale degli statuti.
26
Anche per questi motivi, allora, appare necessario procedere ad una più chiara definizione della materia, al fine di
sorreggere una disciplina compiuta ed uniforme del diritto di elettorato di chi non sia cittadino.
La proposta di legge di iniziativa popolare legata alla campagna “L’Italia sono anch’io”123 si pone proprio tale
obiettivo, collocandosi certamente tra i progetti che intendono intervenire in modo “organico” e, anche per questo,
pensiamo meriti particolare attenzione: la proposta124, presentata nel corso del 2012 e sostenuta da oltre duecentomila
firme, infatti, cerca di alleggerire il principio tradizionale della legislazione italiana che lega strettamente voto e
cittadinanza, riconoscendo il diritto all’elettorato attivo e passivo degli stranieri nelle elezioni amministrative e regionali,
in modo da integrare nella vita politica del Paese coloro che vivono e lavorano stabilmente in Italia125. Un’esigenza
motivata dall’urgenza di applicare un principio che (come si legge nella relazione introduttiva della proposta) sarebbe
“alla base della democrazia in Europa, e cioè la possibilità di partecipare alle decisioni pubbliche da parte di chi
continuativamente contribuisce al loro finanziamento mediante il prelievo fiscale”126.
Quanto ai contenuti della proposta, questa prevede, in generale, il divieto di discriminazione per motivi di nazionalità
e cittadinanza per la partecipazione alla vita politica e amministrativa, in modo da vincolare non solo le
amministrazioni statali e locali, ma anche le regioni (ordinarie e speciali) e le province autonome.
123 Campagna promossa, nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, da 19 organizzazioni della società civile (Acli, Arci, Asgi, Caritas Italiana, Centro
Astalli, Cgil, Cnca, Comitato 1° Marzo, Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace e i diritti umani, Emmaus Italia, Fcei, Fondazione
Migrantes, Libera, Lunaria, Il Razzismo Brutta Storia, Rete G2, Sei Ugl, Tavola della Pace, Terra del Fuoco) col sostegno dell’editore Carlo
Feltrinelli. Presidente del comitato promotore era il Sindaco di Reggio Emilia ed ex Presidente dell’Anci Graziano Delrio. Informazioni sulla
campagna sono reperibili sul sito www.litaliasonoanchio.it.
124 La campagna “L’Italia sono anch’io” aveva in realtà raccolto firme per la proposizione di due progetti di legge di iniziativa popolare: uno, per
l’appunto, per riconoscere il diritto di voto per gli stranieri extracomunitari regolarmente residenti da un certo periodo di tempo per le elezioni
regionali e locali; l’altro, teso a rendere il concetto di cittadinanza presente nel nostro Paese maggiormente inclusivo. Si tratta delle proposte AC 5030
e AC 5031 (presentate il 6 marzo 2012), la prima assegnata il 26 marzo 2012 in sede referente alla I Commissione Affari Costituzionali della Camera
dei Deputati, la seconda assegnata il 2 aprile 2012 in sede referente alle Commissioni I Affari Costituzionali e III Affari esteri; proposte mantenute
all’ordine del giorno ai sensi dell’articolo 107, comma 4, del Regolamento della Camera dei deputati.
125 Sulla base di un’idea di “cittadinanza relazionale” che, intesa come legame tra individui che si fondi sulla comune appartenenza ad una comunità
locale, si esprime in primo luogo in termini di partecipazione attiva alle politiche pubbliche. Cfr. S. Rossi, La porta stretta: prospettive della
cittadinanza post-nazionale, in Forumcostituzionale.it, 23 aprile 2008, p. 13. L’acquisto della cittadinanza, inoltre, potrebbe essere una prospettiva
alla quale molti extracomunitari potrebbero anche non essere interessati (per non perdere la cittadinanza originaria, o i diritti ereditari, o la possibilità
di possedere terreni ed immobili nel Paese di provenienza), ma ciò non dovrebbe togliere loro il “diritto” di partecipare alla vita pubblica locale
italiana.
126 Una proposta che, sulla base dell’antico principio “no taxation without representation”, porrebbe fine all’irrazionale differenziazione che si è creata
a seguito dei recenti interventi legislativi che hanno riconosciuto il voto degli italiani all’estero per qualsiasi competizione elettorale (leggi costituzionali
n. 1 del 2000 e n. 1 del 2001, legge n. 459 del 27 dicembre 2001, nonché il relativo Regolamento attuativo, il D. P. R. n. 104 del 2 aprile 2003),
nonché limitatamente all’ambito comunale e al Parlamento europeo per i cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea (legge n. 9 del 18
gennaio 1989, nonché decreto legislativo n. 197 del 12 aprile 1996, attuativo della direttiva comunitaria 94/80/CEE). Entrambi gli interventi, infatti,
hanno esteso la platea dei beneficiari del diritto di voto, ma, soprattutto con riguardo al primo intervento, valorizzando l’appartenenza iure sanguinis
e un concetto formale di cittadinanza, visto che riguarda soggetti esterni alla comunità ed esentati dall’adempimento dei doveri di solidarietà politica.
Cfr. G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali: l’esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettive europee, Jovene, Napoli, 2007.
Escludere il diritto di voto (quantomeno locale e circoscrizionale) agli immigrati extracomunitari residenti in Italia pare allora ormai un “diniego
assolutamente irrazionale e ingiusto, che determina per di più un’ingiustificabile disparità di trattamento, senza neppure una copertura ideologica
nazionalistica”. Cfr. F. Ippolito, Cittadinanza e cittadinanze, op. cit., p. 87. Un paradosso ormai messo in evidenza da più parti: cfr. D. Porena, C’è
spazio anche in Italia per una concezione “culturalista” della cittadinanza? Brevi profili comparatistici e spunti di riflessione in vista di una revisione
della legislazione nazionale, in Federalismi.it, n. 2, 2012; A. Lollo, Prime osservazioni su eguaglianza e inclusione, op. cit., p. 13 ss..
27
Più nello specifico, il nucleo essenziale della proposta risiede nell’estensione del diritto di elettorato attivo e passivo a
chi non sia cittadino italiano nelle elezioni concernenti il Comune, la Provincia, la Città metropolitana e la Regione,
sempre che venga rispettato il requisito del soggiorno regolare in Italia da almeno 5 anni127.
Si richiede la soddisfazione di tale requisito essenzialmente per assicurarsi che l’esercizio del diritto di elettorato venga
riconosciuto a persone ormai coinvolte stabilmente nel tessuto sociale: si è voluto tuttavia escludere il riferimento al
permesso di lungo soggiorno CE, in quanto tale titolo, comportando l’accertamento di una determinata capacità
economica, avrebbe rischiato di limitare illegittimamente il diritto elettorato per motivi di censo (in violazione del
principio costituzionale del suffragio universale).
Quanto alla scelta di prevedere il diritto di voto anche per le elezioni regionali, invece, va osservato come ciò non si
muova certo nell’ottica di elidere i poteri riconosciuti alle regioni128 ed alle amministrazioni locali129, bensì in quella di
confermarli ed irrobustirli, così da sostenere, grazie a un quadro nazionale più chiaro, le esperienze avviate in sede
statutaria regionale e locale per la partecipazione politico-amministrativa ed il diritto di elettorato del “non cittadino”130.
A completamento di tali principi generali, viene fatta infine salva la disciplina più favorevole che per il diritto di
elettorato fosse (o potesse essere) stabilita a vantaggio dei cittadini dell’Unione europea, sancendo anche come
l’iscrizione nelle liste elettorali di chi non sia cittadino italiano (necessaria all’esercizio del diritto di elettorato) avvenisse
a domanda, in armonia con la disciplina dettata per i cittadini comunitari.
Si tratta di una proposta che, pertanto, sembra in grado di allineare il nostro Paese alle normative più inclusive
presenti nel contesto europeo131, potendo realmente incentivare un processo di integrazione degli stranieri
extracomunitari nel nostro sistema politico e sociale.
Sembrano muoversi nella stessa ottica riformatrice dell’ormai anacronistica normativa italiana, poi, anche due recenti
disegni di legge, dal contenuto pressoché analogo, presentati alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica. Si
tratta dell’AC 909 (on. Migliore e altri) e dell’AS 639 (sen. De Petris e altri), presentati rispettivamente alla Camera e al
Senato il 9 e 13 maggio del 2013, con i quali si cerca di riconoscere, sebbene in maniera meno strutturata rispetto al
progetto legato alla campagna “L’Italia sono anch’io”, l’elettorato attivo e passivo agli stranieri extracomunitari.
127 Un criterio che si presenta in linea con il capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, sancita
a Strasburgo il 5 febbraio 1992, di cui si prevede all’articolo 6 della proposta l’esecuzione e la ratifica che in Italia manca tutt’oggi.
128 Le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano hanno infatti poteri legislativi in materia elettorale: dopo le recenti riforme, l’articolo 122
della Costituzione vincola le Regioni ordinarie ai soli “principi fondamentali” della legge dello Stato, mentre gli Statuti speciali vincolano il legislatore
regionale e provinciale ai “principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica”.
129 Secondo la Corte costituzionale, infatti, “non può accogliersi [...] una prospettazione secondo cui la legislazione elettorale sarebbe di per sé
estranea alla materia dell’ordinamento degli enti locali. La configurazione degli organi di governo degli enti locali, i rapporti fra gli stessi, le modalità
di formazione degli organi, e quindi anche le modalità di elezione degli organi rappresentativi, la loro durata in carica, i casi di scioglimento
anticipato, sono aspetti di questa materia” (come statuito nella sentenza n. 48 del 2003).
130 Dato che la disciplina nazionale si porrebbe come legislazione-quadro, alla quale le singole regioni potrebbero dare attuazione, con una soluzione
che appare coerente anche con le decisioni prese dalla Corte costituzionale sugli Statuti regionali della Toscana e dell’Emilia-Romagna (visto che
elimina il pericolo di una difformità di trattamento nelle diverse parti del territorio nazionale di quello che viene riconosciuto come un diritto politico
fondamentale).
131 Il requisito della residenza quinquennale, infatti, è uno dei più utilizzati a livello europeo; il diritto al voto per le consultazioni regionali, poi, è
molto più raro nel quadro comparato rispetto a quello per le elezioni locali: la sua previsione nella normativa italiana consentirebbe pertanto di
rendere il nostro Paese all’avanguardia, avvicinandolo ad esperienze importanti come Danimarca, Svezia e Slovacchia.
28
Entrambe le proposte, infatti, piuttosto che prospettare una disciplina completa ed organica, si limitano ad intervenire
solo sull’articolo 2 del testo unico di cui al decreto legislativo 286/1998, in modo sintetico, ma comunque efficace. Si
prevede, quindi, l’introduzione di un comma 4-bis, col quale viene riconosciuto allo straniero che risiede regolarmente e
stabilmente in Italia da almeno 5 anni l’elettorato attivo e passivo in alcuni casi, che differiscono lievemente nelle due
proposte: l’AC 909 fa riferimento alle elezioni amministrative ed alle altre elezioni locali, nonché al diritto di partecipare
alle consultazioni referendarie indette dagli enti locali; l’AS 639, oltre a queste ipotesi, estende tale riconoscimento
anche alle elezioni degli organi delle regioni.
Tali proposte, come già detto, risultano complementari ai disegni di legge costituzionale di modifica degli articoli 48 e
51 della Costituzione; e ciò nell’ottica di adeguarsi alla linea di tendenza europea rispetto al diritto di voto, cercando
anche di accompagnare le innovazioni introdotte a livello decentrato, così da incentivare la partecipazione di un
numero consistente di stranieri residenti allo sviluppo democratico del nostro Paese.
5. Best practices in tema di diritti di partecipazione degli stranieri: i più recenti casi a livello
regionale e locale
La situazione presente a livello nazionale mostra dunque una rinnovata attenzione per il tema dei diritti politici (in
primo luogo elettorali) degli stranieri extracomunitari, nonostante l’iter per una concreta approvazione di una legge sul
tema sembri ancora purtroppo lontano dal giungere a conclusione.
È ad ogni modo opportuno rilevare come a livello decentrato il quadro appaia maggiormente dinamico: sebbene i
tentativi volti ad allargare le maglie del diritto di elettorato attivo e passivo siano stati travolti dall’intervento governativo
(sorretto dall’orientamento del Consiglio di Stato), infatti, questo non ha impedito alle regioni132 e agli enti locali133 di
tentare di estendere nel corso del tempo la titolarità di alcuni diritti politici ai cittadini stranieri non appartenenti ad uno
Stato membro dell’Unione europea.
Risultano pertanto rilevanti le aperture a livello territoriale sull’ampliamento delle modalità di partecipazione degli
stranieri extracomunitari alla vita politica, così da cercare di creare una connessione più stretta tra quest’ultimi e il
territorio di riferimento. E ciò anche in linea con quanto statuito sul punto dalla Corte costituzionale, la quale, avendo
salvato le prime discipline approvate in tema di “diritti di partecipazione”, ha prodotto due risultati essenziali: l’avallo
sostanziale all’adozione di una moltitudine di iniziative sul tema, così come l’apertura di un varco (seppur stretto134)
nell’effettivo e reale discrimine tra tali diritti e quelli politici.
Le quali, dopo la riforma costituzionale del 2001, hanno acquisito maggiore libertà di azione.
I quali, grazie alle previsioni del TUEL e, in particolare, degli articoli 6 e 8 comma 5, hanno acquisito maggiori spazi di azione relativamente alla
promozione delle forme di partecipazione alla vita pubblica locale.
134 L’apertura della Corte, infatti, sembra restare circoscritta esclusivamente a quelle funzioni di natura meramente consultiva e non al rinnovo degli
organi elettivi ovvero ad altri strumenti comunque incidenti sull’indirizzo politico locale. Cfr. T.F. Giupponi, Gli stranieri extracomunitari e la vita
pubblica locale: c’è partecipazione e partecipazione..., in Le Regioni, n. 1, 2006, p. 187 ss..
132
133
29
Analogamente al caso tedesco (e, più marginalmente, all’esperienza francese)135, l’assenza del diritto di elettorato
formalmente riconosciuto a livello nazionale è stata compensata, in una certa misura, dall’azione degli enti territoriali, la
quale si è diretta sempre più ad estendere forme di partecipazione degli stranieri alla vita politica ed amministrativa,
consentendone una maggiore integrazione136.
5.1 L’incentivazione della partecipazione “diretta”
Appare necessario, in primo luogo, sottolineare le innovazioni introdotte a livello territoriale in tema di partecipazione
“diretta”, ossia grazie alla predisposizione di strumenti che permettono allo straniero di incidere direttamente, senza la
mediazione di organismi intermedi, sulle scelte di regioni e comuni.
Risulta al riguardo essenziale il riferimento, ormai noto ma per questo non meno importante, alle prime rilevanti
disposizioni approvate nei nuovi Statuti regionali: si pensi, ad esempio, allo Statuto regionale emiliano, il quale prevede
il diritto di voto nei referendum regionali per tutti i residenti, immigrati compresi, così come che la Regione assicuri,
“nell'ambito delle facoltà che le sono costituzionalmente riconosciute, il diritto di voto degli immigrati residenti”; si
pensi, ancora, allo Statuto regionale toscano, secondo il quale “la regione promuove, nel rispetto dei principi
costituzionali, l’estensione del diritto di voto agli immigrati”. Disposizioni valutate legittime dalla Corte costituzionale
con le sentenze n. 372 e n. 379 del 2004, anche se per certi aspetti di fatto “depotenziate” nel loro contenuto137. Se la
Corte, infatti, è arrivata a riconoscere un certo spazio di autonomia regionale per ciò che concerne il referendum e gli
istituti di partecipazione popolare138, molte delle formule utilizzate negli Statuti (come quelle sul diritto di voto) sono
state dichiarate prive di efficacia giuridica “alcuna”, esplicando “una funzione, per così dire, di natura culturale o anche
politica, ma certo non normativa”139. Una considerazione che, tuttavia, non ha impedito che simili disposizioni siano
state prese come utili punti di riferimento e riproposte anche in altre regioni140.
135 Istituti e organismi di rappresentanza degli stranieri sono nati negli anni sessanta con una funzione preparatoria all’esercizio dei diritti elettorali,
per poi diffondersi rapidamente negli anni settanta, quando in Germania ne esistevano già più di 600. Più prudente, invece, è stata l’evoluzione
nell’esperienza francese, dove comunque i primi consigli consultivi a livello comunale sono stati istituiti già a partire dal 1977. Vedi Council of
Europe, Participation of immigrants and foreign residents in political life in the Council of Europe member states, Doc. 8916, CDMG, Parliamentary
Assembly, Council of Europe, 22 dicembre 2000.
136 Cercando, in ciò, di seguire (per quanto possibile) anche quegli esempi di multilevel citizenship presenti a livello comparato. Si pensi, ad esempio,
alla Svizzera, in cui la Confederazione regola l’esercizio dei diritti politici a livello federale, mentre i Cantoni ne dettano la disciplina a livello
cantonale e municipale. Vedi J. Shaw, Political Rights and Multilevel Citizenship in Europe, in E. Guild, C.A. Groenendijk, S. Carrera (a cura di),
Illiberal Liberal States. Immigrations, Citizenship and Integration in the UE, Ashgate Publishing, Farnham-Surrey, 2009, p. 32. Si pensi, ancora,
all’esperienza del Belgio, dove è possibile per gli enti di governo locale istituire organismi consultivi e di rappresentanza degli immigrati a livello locale.
137 Vedi, tra gli altri: A. Ruggeri, Gli statuti regionali alla Consulta e la vittoria di Pirro (nota a Corte cost. nn. 372, 378 e 379 del 2004), in
Forumcostituzionale.it, 9 dicembre 2004; R. Nobile, Diritto di voto agli immigrati residenti: Statuti regionali, norme statutarie e sensibilità culturali, in
Lexitalia.it, n. 1, 2005; R. Bin, Perché le regioni dovrebbero essere contente di questa decisione, in Le Regioni, n. 1-2, 2005, pp. 15-20; M. Cammelli,
Norme programmatiche e statuti regionali: questione chiusa e problema aperto, in Le Regioni, n. 1-2, 2005, pp. 21-26; F. Pizzetti, Il gioco non valeva
la candela: il prezzo pagato è troppo alto, in Le Regioni, n. 1-2, 2005, pp. 37-40.
138 Dato che resta nell’area delle possibili determinazioni delle regioni la scelta di coinvolgere in altre forme di consultazione o di partecipazione
soggetti che comunque prendano parte consapevolmente e con almeno relativa stabilità alla vita associata, anche a prescindere dalla titolarità del
diritto di voto o anche dalla cittadinanza italiana.
139 Una interpretazione che è stata al centro di un acceso dibattito in dottrina, nell’ambito del quale le voci critiche hanno assunto una netta
prevalenza. Per una sintesi delle diversi opinioni e per altri riferimenti, si veda R. Tarchi, D. Bessi, Articolo 123, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti
(a cura di), Commentario alla Costituzione, Utet, Torino, 2006, p. 2465 ss..
140 Si pensi, ad esempio, all’articolo 8, comma 1, lettera o) dello Statuto campano del 2009, il quale prevede che la Regione promuove ogni utile
iniziativa per favorire “la realizzazione di un elevato livello delle prestazioni concernenti i diritti sociali nonché il godimento dei diritti politici e sociali
30
Minori innovazioni, invece, sono state introdotte nel disciplinare le elezioni primarie, uno strumento di partecipazione
politica democratica che, specie negli ultimi anni, è stato spesso evocato, ma raramente praticato e sperimentato. Ne è
una dimostrazione evidente la legge regionale toscana n. 70/2004141, la quale limita l’elettorato attivo e passivo “ai
cittadini iscritti nelle liste elettorali dei comuni della regione”142. E ciò nonostante le aperture che sono state al riguardo
previste nello Statuto del Partito Democratico, il quale stabilisce che gli immigrati possano scegliere i candidati, anche se
non possono candidarsi, consentendo in tal modo a persone prive dell’elettorato tanto attivo quanto passivo di
partecipare alle primarie. Una scelta che, seppur legittima in quanto forma di autoregolazione di un’associazione
privata, non è stata esente da polemiche, anche di recente143.
Più numerose (e più recenti), sono state le iniziative intraprese poi a livello locale volte ad estendere i diritti di
partecipazione politica degli stranieri.
Il Comune di Napoli, ad esempio, nel gennaio del 2012 ha approvato un regolamento che estende ai “cittadini che
abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, residenti comunitari ed extracomunitari, il diritto di voto nei referendum
comunali”. Sulla stessa linea si è mosso il Comune di Torino, che a marzo del 2012 ha cambiato il proprio Statuto
inserendo quale requisito per il riconoscimento e la garanzia dei “diritti di partecipazione individuale e collettiva”
(istanze e petizioni, proposte di deliberazione di iniziativa popolare, referendum consultivi e abrogativi) quello
dell’iscrizione da almeno sei mesi nel registro della popolazione residente del Comune144.
Si tratta di esperienze che sono state prese a modello, anche se con differenti versioni, da altre realtà, in centri più
piccoli (come Livorno, Pescara, Gorizia e qualche comune del Bresciano) così come in grandi città. La Giunta del
Comune di Milano guidata da Giuliano Pisapia, ad esempio, ha in programma di estendere agli immigrati residenti da
almeno un anno a Milano la possibilità di recarsi alle urne per i referendum cittadini145. Ad inizio 2013, poi, anche il
nuovo Statuto di Roma Capitale146 ha previsto, anche se con minori spinte innovative rispetto ai casi precedenti,
l’estensione dei diritti civici e di partecipazione popolare: all’articolo 6 (titolari dei diritti di partecipazione) si prevede
degli immigrati, degli stranieri profughi rifugiati e degli apolidi, ivi compreso il diritto di voto, per quanto compatibile con la Costituzione”. Si pensi,
ancora, alla legge regionale toscana n. 62/2007, con la quale è stato esteso ai cittadini extracomunitari e/o apolidi legalmente residenti in un Comune
della Regione Toscana da almeno 5 anni il diritto di voto nei referendum consultivi (articolo 45).
141 Si tratta della prima legge in Italia che si propone di promuovere e regolamentare lo strumento delle primarie.
142 Identico riferimento è previsto pure nella legge regionale calabrese n. 25/2009, tesa a disciplinare lo svolgimento di elezioni primarie per la
selezione di candidati alla elezione di Presidente della Giunta regionale.
143 Nelle primarie tenutesi a Roma ad aprile 2013 per scegliere il candidato della coalizione di centro-sinistra che ha corso per la carica di Sindaco
della città, infatti, è stata criticata da più parti la rilevante affluenza ai seggi di cittadini extracomunitari (essenzialmente di etnia Rom); un’affluenza,
però, difesa e salutata con favore dal Comitato organizzatore “Roma Bene Comune”, il quale ha sottolineato come si sia deciso di far votare gli
immigrati regolarmente residenti in quanto considerati a tutti gli effetti “cittadini di Roma”.
144 Come prescrive l’articolo 8 dello Statuto del Comune di Torino.
145 Un passo che necessita la modifica dell’articolo 6 comma 4 dello Statuto comunale, il quale prevede attualmente che “il diritto di voto nei
referendum spetta ai soli cittadini iscritti nelle liste elettorali del Comune”. Un’idea che non pensa solo agli stranieri (che comunque in città sono oltre
240.000, circa il 18% dei residenti, appartenenti a 167 comunità), ma cerca di far partecipare ai referendum anche chi è solo domiciliato in città
(come gli studenti universitari o i giovani professionisti). Tale iniziativa, tuttavia, non ha per il momento avuto un seguito concreto, anche se il tema
continua ad essere oggetto di vivace dibattito consiliare.
146 Approvato il 7 marzo 2013 e pubblicato nella G. U. n. 75 del 29 marzo 2013 (serie generale, parte I), composto da 43 articoli distribuiti in 8 capi.
Uno Statuto che, se il processo riformatore proseguirà proficuamente, doterà Roma di una disciplina differenziata, al pari delle altre grandi capitali
europee. Vedi M. Zuppetta, L’ordinamento speciale di Roma Capitale: un percorso ad ostacoli, in Federalismi.it, n. 17, 2013.
31
infatti che “i diritti connessi agli strumenti di partecipazione dei cittadini si applicano, salvo quanto previsto in materia
di referendum e di azione popolare, oltre che ai cittadini iscritti nelle liste elettorali di Roma Capitale: a) ai cittadini non
residenti a Roma, che godono dei diritti di elettorato attivo ed esercitano in essa la propria attività prevalente di lavoro;
b) agli studenti non residenti a Roma, che godono dei diritti di elettorato attivo ed esercitano in essa la propria
comprovata attività di studio, presso scuole o università; c) agli stranieri che abbiano compiuto il diciottesimo anno di
età, legittimamente presenti nel territorio nazionale e residenti a Roma o ivi aventi il domicilio per ragioni di studio o di
lavoro”. Un deciso allargamento della platea di titolari dei diritti, ma che limita di fatto la loro partecipazione a
questioni tutto sommato marginali: restano esclusi, infatti, sia il referendum che l’azione popolare, circoscrivendo
l’intervento delle suddette categorie alla consultazione degli atti dell’amministrazione, in linea con il diritto
all’informazione, all’iniziativa popolare e alle altre forme di consultazione.
Si è provato inoltre da più parti anche ad estendere il voto agli immigrati per i consigli di Zona: una possibilità, però,
che si è dovuta scontrare con impugnazioni governative e bocciature (non sempre condivisibili) da parte del Consiglio di
Stato147.
5.2 L’incentivazione della partecipazione “indiretta”
Risultano più articolate, tuttavia, le innovazioni introdotte a livello territoriale volte a favorire la partecipazione
“indiretta” dei migranti, ossia grazie al loro coinvolgimento nella vita politica per il tramite di organismi intermedi di
carattere consultivo, attualmente presenti in molte regioni ed enti locali per avvicinare le istituzioni agli stranieri
sprovvisti di cittadinanza148; organismi che possono essere privi del carattere elettivo, così come basarsi sulle
consultazioni della popolazione immigrata.
Le Consulte, ad esempio, sono presenti sin dagli anni ottanta e risultano ormai così diffuse a livello territoriale da
poter quasi essere considerate uno strumento ordinario di amministrazione a livello locale149: la partecipazione degli
stranieri avviene essenzialmente attraverso la mediazione del tessuto associativo150, ma appare esigua la sua capacità di
influenzare il processo decisionale sulle politiche migratorie.
147 Dato che il Consiglio di Stato (salvo quanto affermato nel parere adottato nell’adunanza del 28 luglio 2004 e relativo allo Statuto del Comune di
Forlì) aveva escluso la praticabilità anche del diritto di voto per le elezioni circoscrizionali: una scelta non del tutto condivisibile, visto che le
circoscrizioni non sono, di per sé, organi elettivi espressione di un indirizzo politico-amministrativo autonomo ed effettivo, ma per lo più
rappresentano organismi di decentramento e partecipazione “consultiva” in relazione alle politiche elaborate e gestite dal Consiglio e dal Sindaco.
Cfr. R. Finocchi Ghersi, Immigrati e diritto di voto nell’attività consultiva del Consiglio di Stato, in Giornale di Diritto Amministrativo, n. 5, 2006, p.
539; T.F. Giupponi, La partecipazione degli stranieri extracomunitari alle elezioni comunali e circoscrizionali: le (contraddittorie) risposte di Palazzo
Spada al “caso Genova”, in Forumcostituzionale.it, 2005.
148 Trovando il proprio fondamento e legittimità, in particolare per quanto riguarda gli enti locali, nel già citato articolo 8 comma 5 del decreto
legislativo n. 267 del 2000.
149 Cfr. D. Sardo, Il dibattito sul riconoscimento del diritto di voto agli stranieri residenti, op. cit., pp. 10-11.
150 A cui la legislazione sembra assegnare un ruolo essenziale: il testo unico sull’immigrazione ha previsto l’istituzione del Registro Nazionale delle
Associazioni e degli Enti che svolgono attività a favore degli immigrati, attivo dal novembre del 1999 presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali; in molte regioni, inoltre, sono stati istituiti registri regionali (variamente denominati) specifici per le associazioni di cittadini stranieri. Vedi G.
Candia, F. Carchedi, Risorse di cittadinanza. Le associazioni di immigrati tra vincoli e opportunità, Sviluppolocale edizioni, Roma, 2012.
32
Sicuramente più incisiva, perciò, sembra la scelta di permettere agli stranieri residenti di scegliere i propri
rappresentanti mediante un procedimento elettorale151. Si pensi, ad esempio, all’istituto del “consigliere straniero
aggiunto”, sperimentato per la prima volta a Nonantola (in Provincia di Modena) nel 1994152, o a quello delle Consulte
elettive153 (strumento previsto per la prima volta nel Comune di Torino nel 1995), organismi introdotti in vari comuni
capoluogo (Torino, Forlì, Ancona, Padova, Lecce, Roma e, di recente, Napoli) e province (Ancona e Rimini)154.
Sebbene con il primo istituto il consigliere così eletto non abbia diritto di voto in Consiglio e nelle commissioni, la sua
facoltà consultiva appare molto rilevante per gli immigrati per poter far sentire la propria voce nell’ambito
dell’amministrazione cittadina. Una prassi che, come mostra di recente il caso del Comune di Lecce, ha assunto sempre
maggiore rilevanza, stimolando una partecipazione significativa alle consultazioni: gli aventi diritto al voto
(extracomunitari regolarmente residenti nel Comune), infatti, sono passati dai circa 2.000 della tornata elettorale del
2007 ai 4.459 del dicembre 2012, con un’affluenza che si è attestata attorno al 27%, portando alle urne più di 1.200
persone155. Le Consulte elettive, poi, seppure siano titolari delle sole funzioni consultive che vengono conferite dai
Consigli comunali e provinciali, sono riuscite ad assegnare agli stranieri residenti uno spazio di azione sì ancora relativo
e limitato156, ma di importanza comunque crescente.
Da questo punto di vista, è opportuno osservare come non si sia sfruttata l’occasione dell’approvazione delle leggi
regionali in materia di integrazione degli stranieri per operare un effettivo “cambio di passo”.
La previsione delle Consulte a livello regionale157, infatti, si basa in gran parte sulla nomina dei membri da parte del
Consiglio o della Giunta, invece di puntare in modo deciso sull’elezione dei componenti stranieri. La legge regionale
dell’Emilia-Romagna n. 4 del 2004, ad esempio, ha previsto la Consulta regionale per l’integrazione sociale degli
stranieri immigrati come forma di “partecipazione dei cittadini stranieri soggiornanti regolarmente nel Paese alla vita
151 Iniziando il passaggio da una rappresentanza “acting for” ad una di tipo “standing for”. Cfr. G. Zincone (a cura di), Primo rapporto sulle politiche
di integrazione degli immigrati in Italia, Il Mulino, Bologna, 2000; C. Mantovan, Immigrazione e cittadinanza. Auto-organizzazione e partecipazione
dei migranti in Italia, Franco Angeli, Milano, 2007.
152 Vedi A. Minissale, Considerazioni sul “consigliere comunale straniero aggiunto”, in L’Amministrazione italiana, fasc. 12, 1995, pp. 1802-1804.
153 Anche sull’esempio dei Consigli di stranieri presenti nel contesto spagnolo, i quali hanno potere di intervento, di indicazione e di suggerimento sulle
problematiche sociali legate all’immigrazione (come nel caso della città di Barcellona). Cfr. AA.VV., Nuovi Cittadini in Europa. Nuovi diritti delle
città – Immigrazione, partecipazione politica e diritto al voto, Edizioni Melting Pot Europa, Venezia, dicembre 2004, p. 25 ss.. Da rilevare, però,
come anche nel caso spagnolo, nei piani integrali per l’immigrazione si faccia riferimento essenzialmente ad un’integrazione di tipo sociale e non
politico, data l’impossibilità di esercitare il diritto al suffragio nelle elezioni municipali. Cfr. I. Blázquez Rodríguez, L’organizzazione delle competenze
in materia d’integrazione: uno sguardo al ruolo delle comunità autonome spagnole, in E. Rossi, F. Biondi dal Monte, M. Vrenna (a cura di), La
governance dell’immigrazione, op. cit., pp. 338 e 339.
154 Cfr. CARITAS e ANCI, Immigrati e partecipazione. Dalle consulte e dai consiglieri aggiunti al diritto di voto, Edizioni IDOS, Roma, 2005.
155 Anche se restano comunque presenti i problemi sul rapporto tra l’origine dei candidati e il composito elettorato extracomunitario, dato che le
comunità albanese e cinese hanno praticamente disertato le urne visto che non avevano presentato candidati.
156 Viste le funzioni ancora poco rilevanti attribuite e che non paiono aver subito un ampliamento progressivo, così come la scarsa capacità di incidere
sull’azione di governo locale e sulle politiche di integrazione (anche a causa di problemi legati alla insufficiente rappresentatività degli organismi e al
debole coordinamento tra le associazioni di immigrati). Cfr. G. Candia, F. Carchedi, Risorse di cittadinanza, op. cit., pp. 4-5.
157 Le consulte istituite negli anni settanta (come quella prevista nella legge toscana del 1977) trattavano insieme sia il fenomeno dell’emigrazione che
quello della immigrazione, preoccupandosi però essenzialmente del primo aspetto (dato che con riferimento al secondo si pensava soprattutto al
fenomeno dei rientri in patria dei lavoratori italiani, causati dalla crisi economica internazionale ed al fenomeno dell’immigrazione interna). Le
consulte dell’immigrazione regionale extracomunitaria previste dalle riforme degli anni novanta (come quella istituita dalla legge regionale toscana n.
22 del 1990) iniziavano invece a costituire un valido precedente, vista la loro ampia composizione e i compiti (di studio, consultivi e di proposta)
attribuiti. Cfr. C. Corsi, I servizi sociali in favore degli immigrati, in A. Albanese, C. Marzuoli (a cura di), Servizi di assistenza e sussidiarietà, Il
Mulino, Bologna, 2003, p. 205 ss..
33
pubblica locale”158, ma non ha scelto in modo chiaro la via elettiva; in tal modo, la normativa emiliana sembra aver
cercato di dotare la Regione di uno strumento utile per un buon governo del fenomeno migratorio, piuttosto che tentare
di dar vita ad uno strumento di reale partecipazione politica degli stranieri159. Si tratta di uno schema preciso, che è
stato preso come punto di riferimento dagli interventi successivi. Questi, infatti, sembrano ancora basarsi su una
designazione politica o sul riferimento al mondo dell’associazionismo presente nel settore160, senza consentire la
decisione diretta ed effettiva degli stranieri (con alcune possibili aperture, poco utilizzate in concreto, nella legge della
Provincia di Bolzano e nella legge regionale ligure)161, limitando la loro portata innovativa ed efficacia inclusiva162.
Da apprezzare, tuttavia, è il tentativo delle normative regionali di regolare e stabilizzare gli interventi nati a livello
locale163, così da poter cercare di coordinare l’azione di “stimolo dal basso” nei confronti del legislatore nazionale164. La
legge regionale ligure n. 7 del 2007, ad esempio, prevede che le province e i comuni non solo debbano promuovere ed
attuare interventi diretti a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno riconoscimento dei diritti dei cittadini
stranieri immigrati, con particolare riguardo “alla partecipazione alla vita pubblica locale”, ma anche quelli atti a
favorire la consultazione e la partecipazione alla vita sociale ed istituzionale dei cittadini stranieri immigrati
Come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 300 del 2005.
Con una composizione che ricorda fortemente quella di un tavolo di concertazione, in cui però viene dato particolare rilievo ai rappresentanti degli
stranieri. Cfr. V. Ferraris, Casi studio: esperienze locali di partecipazione politica – La Regione Emilia-Romagna, in ASGI e FIERI, La
partecipazione politica degli stranieri a livello locale, op. cit., p. 81 ss..
160 Con possibili problemi di funzionamento dello strumento stesso, visto che l’associazionismo immigrato si presenta spesso estremamente
frammentato e con dinamiche di funzionamento molto diverse a seconda delle differenti nazionalità.
161 Sebbene la previsione di un’elezione a livello regionale avrebbe potuto con difficoltà garantire un’equa rappresentatività degli stranieri con
riferimento alla loro collocazione territoriale, si poteva comunque operare una scelta in favore del metodo elettivo, da parametrare anche in relazione
alle necessità di rappresentanza territoriale (prevedendo una scelta sulla base di circoscrizioni provinciali).
162 La legge n. 12 del 2011 della Provincia di Bolzano fa riferimento alla nomina da parte della Giunta provinciale, e, con riguardo ai rappresentanti
degli stranieri, si rimanda alle modalità definite con regolamento di esecuzione, con la precisazione che “tali rappresentanti sono individuati sentite le
comunità di stranieri”. La legge regionale n. 6 del 2010 della Regione Campania stabilisce che la Consulta sia nominata con decreto del Presidente
della Regione, previa deliberazione della Giunta regionale, su proposta dell’assessore regionale competente in materia di immigrazione: i
rappresentanti degli stranieri sono quindici rappresentanti delle associazioni che operano in favore delle persone straniere iscritte nel registro regionale
previsto dall’articolo 14 maggiormente rappresentative dei migrati in Campania. La legge regionale n. 32 del 2009 della Regione Puglia stabilisce che
la “Consulta è costituita con decreto del Presidente della Regione, previa deliberazione della Giunta regionale, su proposta dell’assessore regionale
competente in materia di immigrazione”; i diciotto rappresentanti degli immigrati, che siano rappresentativi di tutti i territori provinciali e delle
principali comunità sulla base della popolazione immigrata residente, sono designati congiuntamente dalle associazioni degli immigrati iscritte nel
registro regionale delle associazioni degli immigrati di cui all’articolo 22 della legge. La legge regionale n. 29 del 2009 della Regione Toscana stabilisce
che il Comitato per le politiche dell’immigrazione è nominato con decreto del Presidente della Giunta regionale e comprende “tre rappresentanti dei
consigli e delle consulte degli stranieri designati dai presidenti e vicepresidenti degli stessi consigli e consulte istituiti presso gli enti locali”. La legge
regionale n. 16 del 2009 della Regione Marche prevede che la Consulta sia nominata con decreto del Presidente della Giunta e che siano presenti “un
rappresentante per ciascuna delle associazioni etniche iscritte al registro di cui all’articolo 9”; “un rappresentante per ciascuna delle associazioni
multietniche iscritte al registro di cui all’articolo 9, fino a un massimo di cinque”; “un rappresentante delle associazioni di volontariato impegnate nel
settore dell’immigrazione”. La legge regionale n. 10 del 2008 della Regione Lazio prevede che i dodici cittadini stranieri immigrati che la
compongono devono essere designati dall’Assemblea provinciale di Roma (4) e due da ciascuna delle restanti Assemblee provinciali dei cittadini
stranieri immigrati. La legge regionale n. 7 del 2007 della Liguria afferma che la Consulta è costituita con decreto del presidente della Giunta, nella
quale dei dodici rappresentanti dei cittadini stranieri immigrati almeno un terzo per ciascun genere dovrebbero essere scelti direttamente dalle
Comunità di immigrati (secondo modalità stabilite con provvedimento della Giunta regionale, la quale ha previsto una votazione comunque interna al
mondo associazionistico), mentre altri cinque rappresentanti verrebbero designati congiuntamente dagli enti o associazioni iscritti nei Registri
regionali dei soggetti privati che si occupano di volontariato e promozione sociale e che operano nel campo dell’assistenza agli immigrati.
163 I quali si presentano tra loro differenziati (sia come attuazione, che per i risultati prodotti) a seconda del contesto territoriale nel quale risultano
inseriti (spesso anche quando sono stati istituiti per legge con identiche caratteristiche). Cfr. S. Ardovino, V. Ferraris, Altri strumenti di partecipazione
politica, in ASGI e FIERI, La partecipazione politica degli stranieri a livello locale, op. cit., p. 72 ss..
164 Come già auspicato in passato da parte della dottrina. Cfr. M. Pastore, Conclusioni, in ASGI e FIERI, La partecipazione politica degli stranieri a
livello locale, op. cit., p. 115 ss..
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regolarmente soggiornanti e residenti nella regione. La legge regionale del Lazio n. 10 del 2008 si impegna a
promuovere e sostenere percorsi di integrazione da sviluppare a livello locale, come con l’istituzione di assemblee
provinciali dei cittadini stranieri immigrati presenti sul territorio provinciale165. La legge regionale toscana n. 29 del
2009, poi, si assume l’impegno di promuovere e sostenere non solo l’estensione del diritto di voto agli extracomunitari
residenti della regione (articolo 6 comma 23)166, ma anche la partecipazione più in generale, favorendo “la diffusione
della presenza dei consigli e delle consulte degli stranieri presso gli enti locali e […] la loro qualificazione anche
attraverso lo sviluppo di modalità omogenee di funzionamento, nella prospettiva della crescita di nuove forme di
rappresentanza e di partecipazione dei cittadini stranieri” (articolo 6 comma 25).
Benché si tratti ancora di organi consultivi che traggono la propria legittimazione dalla volontà dell’amministrazione
di avvalersene, le sempre più numerose e dettagliate discipline regionali sul tema tendono quindi a valorizzarne il ruolo
e la funzione.
5.3 Una partecipazione che favorisce l’integrazione?
Si può parlare, in definitiva, di un insieme di interventi che non sembrano assumere un valore solo simbolico, essendo
diretti a coinvolgere attivamente gli stranieri extracomunitari nelle decisioni politiche territoriali e non167, per quanto ciò
non elimini la necessità di riconoscere loro strumenti più efficaci e duraturi, come il diritto di voto.
Gli interventi posti in essere, infatti, possono rischiare di produrre anche effetti controproducenti, favorendo forme di
“incapsulamento comunitario” poco in sintonia con strategie di integrazione, così come scoraggiare la partecipazione,
qualora il coinvolgimento dei soggetti stranieri non venga accompagnato da un ascolto reale e continuo da parte dei
decisori pubblici. Allo stesso tempo, però, gli strumenti partecipativi possono essere visti come “propedeutici” al
riconoscimento del diritto di voto stesso: possono favorire, da una parte, il rafforzamento nei cittadini italiani di una
cultura volta all’accettazione di un’influenza degli immigrati sui processi decisionali, e, dall’altra, il consolidamento nei
“non cittadini” di una cultura della partecipazione effettiva che implichi diritti e doveri sulla base di regole comuni.
Si tratta di interventi che, tra l’altro, potrebbero essere implementati in futuro, anche grazie all’affiancamento con
politiche parallele che hanno ottenuto buoni risultati in altre parti d’Europa. Si pensi, ad esempio, al “Migrant Voter
Project” lanciato a Dublino nel 2009: un progetto che mira alla formazione di “ambasciatori della comunità”
(“community ambassadors”), referenti di una data comunità che riescono a farsi promotori verso i propri appartenenti
165 Organismi finalizzati a favorire forme istituzionali organizzate di rappresentanza e di piena ed attiva partecipazione. Cfr. M. Croce, Gli strumenti
per l’integrazione degli immigrati in Campania e nel Lazio. Commento alla legge regionale Campania n. 6/2010 e alla legge regionale Lazio n.
10/2008, in E. Rossi, F. Biondi dal Monte, M. Vrenna (a cura di), La governance dell’immigrazione, op. cit., pp. 551-554.
166 Formalizzando un orientamento politico già espresso in sede statutaria, ma la cui portata resta circoscritta ad un piano puramente teorico-ottativo
(anche a causa degli interventi della Corte costituzionale e del Consiglio di Stato). Cfr. P. Passaglia, La legge regionale toscana sull’immigrazione:
verso la costruzione di una società plurale. Commento alla legge regionale n. 29/2009, in E. Rossi, F. Biondi dal Monte, M. Vrenna (a cura di), La
governance dell’immigrazione, op. cit., pp. 454-459.
167 Dato che la loro attività all’interno delle consulte e dei consigli non si limita alla politica locale e alla vita cittadina, proponendo anche mozioni su
temi come i permessi di soggiorno o l’acquisizione della cittadinanza, il che serve a non far dimenticare una richiesta di piena “cittadinanza sociale”.
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dei diritti loro spettanti (come, ad esempio, i diritti sociali o di partecipazione politica)168. Si pensi, ancora, alla
campagna avviata in Germania nel 2011, “Jede Stimme 2011”, volta a sostenere l’introduzione del diritto di voto per gli
stranieri residenti nel Paese: un’iniziativa progettata dalle organizzazioni non governative “Jede Stimme” e “Citizens for
Europe”, nell’ambito della quale sono state predisposte elezioni simboliche a cui hanno partecipato circa tremila
potenziali elettori extracomunitari169. Iniziative riproposte anche in contesti profondamente differenti, come ad esempio
in Lettonia: l’organizzazione “Non-Citizen Congress” (costituita in larga parte da cittadini di lingua russa) ha infatti
organizzato di recente elezioni parallele a quelle ufficiali, in modo da attirare l’attenzione sul limbo politico e giuridico
nel quale sono costretti migliaia di stranieri che vivono e lavorano nel Paese.
Azioni che rendono evidente come, a livello europeo, il rafforzamento dei diritti di partecipazione politica sia
considerato il nodo centrale per un effettivo consolidamento dell’integrazione degli stranieri extracomunitari170.
6. Alcune considerazioni conclusive
L’importanza costante ormai assunta dai flussi migratori171 impone di riconsiderare il tema dei diritti politici degli
extracomunitari in una prospettiva maggiormente inclusiva, se si vuole che le società odierne riescano ad affrontare con
successo le sfide del XXI secolo172; diritti definiti dalla Corte costituzionale come fondamentali ed inviolabili (sentenze n.
235 del 1988, n. 571 del 1989, n. 141 del 1996), ma che continuano a subire in concreto nel nostro Paese una
differenziazione rilevante tra cittadini e non cittadini.
Sebbene la situazione italiana risulti in gran parte ancora bloccata, alcuni fattori sembrano assicurare in ogni caso un
certo grado di dinamismo.
In primo luogo, perché il contesto europeo mostra con evidenza come l’attenzione verso l’estensione dei diritti
elettorali degli stranieri extracomunitari sia tutt’altro che sopita, vista la spinta che può dare per favorire la
partecipazione politica e l’integrazione. Un’attenzione che è cresciuta insieme al processo di integrazione comunitaria:
168 Maggiori informazioni sono reperibili all’indirizzo
http://www.dublincity.ie/PRESS/PRESSRELEASES/PRESSRELEASES2008/OCTOBER2008/Pages/MigrantVotersCampaign.aspx.
169 Informazioni più dettagliate sono reperibili sui seguenti siti: www.citizensforeurope.org; www.jedestimme2011.de.
170 Un recente studio co-finanziato dalla Commissione europea, ad esempio, ha messo in evidenza come, nell’area della partecipazione civica e
politica, il maggior interesse degli stranieri sia diretto verso il diritto di voto, in particolare per il livello locale, quale forma migliore di integrazione
sociale. Vedi King Baudouin Foundation, The Migration Policy Group, The Immigrant Citizens Survey, 2012.
171 Un’importanza che non potrà che crescere in futuro: secondo le recenti stime demografiche fornite dall’ONU, infatti, nel 2100 gli africani saranno
4 volte di più (superando Cina e India), mentre gli europei quasi scompariranno, con un rapporto di 1 su 10 rispetto alla popolazione mondiale (che
potrebbe superare gli 11 miliardi); dati che, in particolare se incrociati con quelli sull’aumento del riscaldamento globale, fanno ipotizzare una crescita
esponenziale dei flussi migratori nel prossimo futuro. L’Onu, al riguardo, prevede che, da qui al 2050, ogni anno trecentomila persone potrebbero
lasciare il Bangladesh, e altrettante la Cina e l’India; dal Messico ne potrebbero partire oltre duecentomila e dal Pakistan centosettantamila l’anno. Gli
Stati Uniti dovrebbero prepararsi così ad assorbire un milione di nuovi immigrati l’anno, circa duecentomila ognuno il Canada e Gran Bretagna,
mentre il nostro Paese dovrebbe essere pronto ad accogliere oltre centotrentamila immigrati l’anno fino al 2050. Vedi United Nations - Department of
Economic and Social Affairs - Population Division, World Population Prospects: The 2012 Revision, Press Release, New York, giugno 2013.
172 Sono proprio i flussi migratori a rappresentare, secondo parte della dottrina, “un fattore di accelerazione della crisi degli Stati-nazione, sollecitando
specifiche risposte in termini di diritti ed integrazione socio-culturale e mettendo in evidenza come sia sempre meno legittima l’ambizione statale di
poter in una qualche misura ‘scegliere’ i propri appartenenti, escludendo gli stranieri”. Cfr. C. Sartoretti, Multiculturalismo e immigrazione in
Europa, op. cit., p. 26.
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l’aumento dei Paesi membri dell’Unione europea, infatti, ha comportato una lenta ma costante estensione dei diritti
politici dei cittadini comunitari, rendendo sempre più evidente la disparità di trattamento nei confronti degli altri
stranieri173.
In secondo luogo, per la rilevanza del dibattito cui stiamo assistendo a livello nazionale, in particolare in questi ultimi
mesi, sulla riforma dei diritti elettorali dei migranti. Un dibattito lungo e complesso che non è ancora giunto a
conclusione, ma che non deve essere per questo frenato o, tantomeno, accantonato: la prospettiva comparata, infatti,
mostra come la perseveranza su questi temi risulti decisiva, dato che molti dei Paesi che hanno introdotto il diritto di
voto degli stranieri extracomunitari per le elezioni amministrative hanno affrontato in precedenza un percorso non
molto differente da quello che si sta sviluppando in Italia. La peculiarità della situazione italiana, semmai, sta nella
“doppia dimensione restrittiva” con la quale sono tradizionalmente affrontate le questioni relative alla cittadinanza e ai
diritti politici dei migranti; un elemento distintivo174 che potrebbe (finalmente) venire meno (o essere attenuato) nel
prossimo futuro.
In terzo luogo, per l’importanza dell’intervento regionale e locale che, sebbene stretto tra molti limiti e vincoli, è
riuscito nel corso del tempo a creare (o tentare di creare) un più stretto collegamento tra gli stranieri extracomunitari e
le istituzioni. E ciò nonostante gran parte delle proposte e delle azioni messe in campo a questo livello poggino sul
criterio della residenza, con una possibile “esplosione” di ben differenti modelli territoriali. Tale requisito175, infatti, è
stato salvato più volte non solo dalla Corte costituzionale176, ma anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea177; il
requisito della residenza qualificata (ossia la residenza prolungata per un certo periodo su un dato territorio), inoltre, è
stato sì valutato dalla più recente giurisprudenza costituzionale come contrario al principio di eguaglianza e
173 Cfr. J.-T. Arrighi, R. Bauböck, M. Collyer, D. Hutcheson, M. Moraru, L. Khadar, J. Shaw (a cura di), Franchise and electoral participation of third
country citizens residing in the European Union and of EU citizens residing in third countries, op. cit., p. 90 ss..
174 Elemento che accomuna l’Italia a quei Paesi che, secondo il Parlamento europeo, si sono dotati di una normativa in tema di cittadinanza e diritti
politici valutata complessivamente “exclusive”: si tratta di Austria, Cipro, Bulgaria, Lettonia, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Romania. Cfr. J.-T.
Arrighi, R. Bauböck, M. Collyer, D. Hutcheson, M. Moraru, L. Khadar, J. Shaw (a cura di), Franchise and electoral participation of third country
citizens residing in the European Union and of EU citizens residing in third countries, op. cit., pp. 66-68.
175 Il quale starebbe alla base del concetto di “cittadinanza amministrativa” (così definita in quanto connessa specificamente al rapporto con
l’amministrazione), in modo da legittimare posizioni soggettive che non dipendono dallo status di cittadino-sovrano (come la titolarità dei diritti di
elettorato degli organi di governo locale). Cfr. S. Rossi, La porta stretta, op. cit., p. 13.
176 Si pensi, ad esempio, alla sentenza n. 432 del 2005, la quale se per un verso chiudeva sulla cittadinanza quale discrimine nell’accesso a prestazioni
sociali previste in discipline regionali e locali, ammetteva invece che la residenza potesse costituire a tal fine criterio di selezione della platea dei
destinatari. Si pensi, ancora, a quanto affermato dalla Corte nella sentenza n. 329 del 2011 (ribadendo quanto già deciso con le sentenze n. 306 del
2008 e n. 187 del 2010), ossia al riferimento alla “permanenza legale dello straniero” che “non sia episodica né di breve durata” per l’ottenimento di
provvidenze economiche a carattere socio-assistenziale. Cfr. G. Bascherini, A. Ciervo, I diritti sociali degli immigrati, in C. Pinelli (a cura di),
Esclusione sociale. Politiche pubbliche e garanzie dei diritti, op. cit., p. 17 ss.. Concetti sui quali la Corte è tornata di recente con la sentenza n. 40 del
2013, con la quale si è certamente rafforzata la tutela dei diritti fondamentali degli stranieri, da salvaguardare rispetto a restrizioni di censo e
temporali ingiustificate, ma che fa pur sempre riferimento a “cittadini extracomunitari, legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato da tempo
apprezzabile ed in modo non episodico”.
177 Come confermato anche di recente nella sentenza del 14 giugno 2012 (Causa C-542/09, Commissione europea c. Regno dei Paesi Bassi), nella
quale è stato ribadito come fosse necessario guardare caso per caso al tipo di normativa prevista a livello statale, non potendosi affermare che il
requisito della residenza risulti sempre e comunque indirettamente discriminatorio. Un criterio, però, che viene sottoposto ad uno stretto scrutinio da
parte della giurisprudenza comunitaria, giustificandolo solo in base a considerazioni oggettive indipendenti dalla nazionalità della persona in
questione e proporzionate agli obiettivi legittimamente perseguiti. Cfr. B. Pezzini, Una questione che interroga l’uguaglianza: i diritti sociali del noncittadino, in AA.VV., Lo statuto costituzionale del non cittadino, op. cit., p. 184 ss..
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ragionevolezza178, ma per la sua inidoneità a graduare i benefici, essenzialmente sociali, da distribuire179: un’esigenza
che, però, non può dirsi valere allo stesso modo per i diritti politici, data la connessione che li lega con il territorio180.
Sembra trattarsi, quindi, di criteri che possono costituire un ragionevole indice della stabilità del singolo progetto
migratorio, nonché di conseguenza elementi sulla base dei quali graduare legittimamente l’accesso degli immigrati a
prestazioni e diritti di partecipazione politica: la valorizzazione dell’incolato181, della residenza, del domicilio, possono
infatti consentire alla “realtà sociale” legata concretamente al territorio di agire come comunità politica. È perciò
doveroso sottolineare la forza innovativa che possono rivestire le iniziative prese in esame in tema di integrazione
politica degli extracomunitari, anche se basate sul criterio della residenza182; una considerazione che, ad ogni modo, non
deve far dimenticare come il diverso grado di tutela previsto nelle varie discipline regionali e locali costituisca tutt’oggi
un elemento di criticità sul quale riflettere.
In conclusione, sembra pertanto ravvisabile una convergenza di proposte e interventi che può condurre il nostro
ordinamento a rileggere l’insieme delle situazioni giuridiche soggettive relative ad alcuni diritti di libertà come
componenti di una sorta di “statuto di appartenenza ad una comunità”183, superando la distinzione (operata anche dalla
giurisprudenza costituzionale) tra la categoria dei diritti politici in senso stretto e quella dei diritti civili e sociali. E ciò
178 Da ultimo con la sentenze n. 2, n. 133, n. 172 e n. 222 del 2013 della Corte costituzionale. Per un commento di queste decisioni si permetta di
rinviare a D. Fiumicelli, L’integrazione degli stranieri extracomunitari alla luce delle più recenti decisioni della Corte costituzionale, in Federalismi.it,
n. 18, 2013.
179 Muovendosi in molti casi come criterio di cittadinanza escludente posto “sotto mentite spoglie”. Cfr. L. Ronchetti, La cittadinanza sostanziale tra
Costituzione e residenza: immigrati nelle regioni, in Costituzionalismo.it, n. 2, 7 novembre 2012.
180 Per i diritti politici, infatti, la richiesta di un determinato periodo di soggiorno regolare sembra giustificata alla luce della necessità di assicurare che
il loro esercizio sia garantito a persone ormai coinvolte stabilmente nel tessuto sociale del territorio di riferimento. A tal riguardo giova sottolineare
come nella “Carta europea dei diritti dell’uomo nelle città” (approvata a Saint-Denis nel 2000 e sottoscritta da oltre 350 amministrazioni locali) i
diritti di cittadinanza siano decisamente vincolati allo status di residenza, fissandosi in 2 anni il requisito minimo di residenza per l’accesso degli
immigrati ai diritti elettorali a livello locale; un dato da tenere in considerazione, dato che vari comuni italiani si richiamano a questo documento
programmatico per ancorare a un livello di convergenza con altre esperienze europee le proprie proposte in tema di voto locale.
181 L’incolato, nel diritto romano, era la condizione giuridica dell’incola, ossia di coloro che “hanno stabilito nel territorio della comunità il loro
domicilio senza esserne originari”, trasferendo cioè il domicilio in un luogo diverso da quello nel quale si aveva la propria origo. Cfr. U. Zilletti,
Incolato (Diritto romano), in Novissimo Digesto Italiano, VIII, 1968, p. 541; su tale concetto vedi anche E. De Ruggiero, La patria nel diritto romano,
Roma, 1921, p. 169 ss.. L’incolato (il termine viene da in e colere, abitare secondo la ricostruzione etimologica del Dizionario della lingua italiana
Treccani) può essere pertanto un valido criterio per rivalutare un concetto di cittadinanza eccessivamente incentrato sulla “comunità di sangue” o, più
in generale, per favorire la partecipazione di singoli soggetti alla comunità politica, incentivandone l’integrazione in un dato territorio. Vedi G.
Azzariti, La cittadinanza, op. cit., p. 449; L. Ronchetti, La cittadinanza sostanziale tra Costituzione e residenza, op. cit., p. 11.
182 Dato che tale sistema può diventare inclusivo, così come decisamente escludente, a seconda di come viene strutturato e gestito dai politici locali.
Cfr. E. Gargiulo, Le politiche di residenza in Italia: inclusione ed esclusione nelle nuove cittadinanze locali, in E. Rossi, F. Biondi dal Monte, M.
Vrenna (a cura di), La governance dell’immigrazione, op. cit., pp. 165 e 166.
183 Dato che “non sono più i soggetti, col loro status, ad attrarre a sé certi diritti e doveri ma sono questi ultimi ad attrarre a sé i soggetti sui quali si
appuntano”. Cfr. A. Ruggeri, Note introduttive ad uno studio sui diritti e i doveri costituzionali degli stranieri, in Rivista telematica giuridica
dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 2, 2011, p. 16. E ciò visto anche come l’influenza del pensiero pluralista e multiculturalista sulla
formazione delle coscienze della società contemporanea ha portato ad una sua crescente secolarizzazione, aprendo così la strada a possibili soluzioni
legislative eticamente nuove. Trasformazioni prodotte quale conseguenza dell’apertura delle società occidentali alla globalizzazione e ai sempre più
massicci flussi migratori di popolazioni provenienti dai c.d. Paesi poveri, con un processo che potrebbe essere definito di “colonizzazione a contrario”
(per effetto del quale le popolazioni di quelle nazioni si sono riversate gioco forza all’interno delle società dei Paesi ricchi, con un conseguente
annacquamento delle tradizioni sociali, politiche e culturali di questi ultimi). Cfr. F. Petricone, Stato e valori: riflessioni su multiculturalismo,
pluralismo e società relazionale, in Amministrazione In Cammino, 15 novembre 2012.
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grazie alle spinte incessanti per un riconoscimento effettivo di diritti di partecipazione politica e di “cittadinanza
amministrativa”184, le quali sembrano aver ormai assunto il sopravvento, quantomeno nel sentire comune185.
Si delinea così un percorso che tende a far emergere come l’integrazione degli stranieri extracomunitari possa (e forse
debba) ancora passare dalla “partecipazione politica”, ribadendo come non sia più sostenibile (non solo culturalmente,
ma anche socialmente ed economicamente)186 l’esclusione dal riconoscimento di diritti politici e di partecipazione dei
“non cittadini”.
184 E ciò per varie motivazioni: a) perché un sistema politico dovrebbe riflettere la società e le sue trasformazioni; b) perché un sistema politico che al
contrario escludesse una parte cospicua dei residenti e dei lavoratori si trasformerebbe in un regime solo parzialmente “democratico”; c) perché se una
quota cospicua della popolazione restasse sottoposta a provvedimenti che non contribuisce a prendere, quella popolazione finirebbe ridotta in una
condizione non troppo dissimile rispetto a quella in cui si trovavano gli antichi sudditi. Cfr. G. Zincone, Introduzione – Un’offerta di integrazione, in
ASGI e FIERI, La partecipazione politica degli stranieri a livello locale, op. cit., p. 7 ss..
185 E ciò risulta chiaro non solo se si pensa al vasto movimento d’opinione che ha sostenuto le proposte di legge di iniziativa popolare della campagna
“L’Italia sono anch’io”, ma anche se si osserva i sondaggi operati da più parti al riguardo. Nel lavoro di Giovannetti e Nicotra, ad esempio, si afferma
che “dalla comparazione con altre indagini condotte negli ultimi anni, emerge che per quanto riguarda il diritto a partecipare alla vita politica, sia in
Italia che in altri paesi esteri, è presente una maggioranza favorevole alla concessione del diritto di voto agli stranieri. Ad esempio, nel 2006, la quota
di intervistati che si sono espressi a favore della concessione del diritto di voto alle elezioni comunali è il 56,9%, e nel 2011 in tutti i Paesi esteri la
maggioranza degli intervistati è ugualmente favorevole. I consensi maggiori si registrano in Canada (70%) e Spagna (69%), mentre la percentuale più
bassa riguarda la Germania, dove il 50% si dice a favore e il 49% contrario”. Cfr. M. Giovannetti, V. Nicotra (a cura di), Da residenti a cittadini. Il
diritto di cittadinanza alla prova delle seconde generazioni, Cittalia e Anci, giugno 2012, p. 143. Nel dossier curato dall’Osservatorio Nord Est,
inoltre, si mette in evidenza come il diritto di voto alle elezioni amministrative, per gli immigrati regolari e che pagano le tasse, è considerato giusto dal
67% dei cittadini del Nord-Est Italia intervistati; una percentuale cresciuta di circa 5 punti rispetto al 2004, ma che non basta a colmare il distacco con
l’intero contesto nazionale, che vede una quota di favorevoli ancora superiore, pari al 76%. Cfr. Osservatorio Nord Est, I diritti degli immigrati
secondo il Nord Est - Il Gazzettino, 19.01.2010, Demos & Pi, 2010.
186 Il recente dossier statistico sull’immigrazione pubblicato da IDOS e UNAR, infatti, ha messo in evidenza, da una parte, l’incremento della
presenza straniera nel nostro Paese (seppure con un calo dei flussi per colpa della crisi) e il consolidamento della tendenza all’insediamento stabile dei
migranti, e, dall’altra, la spesa eccessiva per il controllo e le espulsioni (controllo dei flussi, Centri di Identificazione ed Espulsione, Centri di Primo
Soccorso, Centri di Accoglienza) a fronte di investimenti non paragonabili in tema di integrazione. Cfr. IDOS e UNAR, Immigrazione – Dossier
Statistico 2013 – Dalle discriminazioni ai diritti, Roma, novembre 2013.
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