epidemiologia dell` evento cerebrovascolare

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epidemiologia dell` evento cerebrovascolare
EPIDEMIOLOGIA DELL’ EVENTO CEREBROVASCOLARE
A cura di: dr Luciano Bissolotti
L’ictus, ovvero l’improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit focale e/o globale
(coma) delle funzioni cerebrali, di durata superiore alle 24 ore o ad esito infausto, non attribuibile ad
altra causa apparente se non a vasculopatia cerebrale (Warlow et al 2003) è la terza principale causa di
morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, nonché la principale causa di disabilità
neurologica in Europa e negli Stati Uniti (Sacco et al., 1992).
Le conseguenze dell’ictus cerebri possono essere molteplici, ma in primo luogo si ricorda che i
pazienti colpiti presentano un grado variabile di compromissione del movimento della parte opposta
al lato del cervello che è stato colpito (emisindrome, emiparesi, emiplegia). Nei casi più lievi si
verificherà una perdita solo parziale del movimento e/o della sensibilità (emisindrome, emiparesi),
mentre nei casi più gravi si assisterà ad una perdita pressoché completa del movimento e della
sensibilità (emiplegia).
Nei Paesi Occidentali l’incidenza di ictus, ovvero il numero di soggetti colpiti da ictus in un
determinato periodo di tempo, è omogenea e viene stimata attorno a 2 nuovi casi l’ anno ogni 100 000
abitanti. In Italia si verificano circa 130 000 nuovi episodi l’ anno. Tre episodi su quattro si verificano
in soggetti di età superiore ai 65 anni,uno su due oltre i 75. Nei paesi industrializzati la prevalenza,
ovvero il numero di pazienti affetti da malattie cerebrovascolari, è stimata intorno a 600 ogni 100000
abitanti. In una nazione come l’ Italia vivono quindi circa 300000 soggetti che hanno subito un danno
cerebrovascolare. La mortalità per questo tipo di malattie varia dal 15 al 40% a seconda delle
casistiche. Secondo studi britannici, nell’ immediato post-stroke solo il 12% dei soggetti sarebbe
autosufficiente ed il 38% gravemente dipendente; a sei mesi queste percentuali diventerebbero pari al
4 e al 47% rispettivamente (Gresham, 1995). Sempre a sei mesi, da un terzo a metà dei sopravvissuti,
a seconda degli studi, presenterebbe una dipendenza parziale o totale nello svolgimento delle Activity
of Daily Living (Warlow et al., 1998).Il peso umano ed economico che l’ ictus produce è dunque
enorme ed i costi indiretti, derivanti dalle compromesse funzioni fisiche e dall’ impegno dell’
assistenza, risultano superiori ai costi medici diretti. Diventa importante per i servizi di assistenza ed i
ricercatori tenere presenti questi dati, così da indirizzare gli sforzi verso la riduzione della disabilità
nei soggetti colpiti da ictus. Migliorare l’ indipendenza e l’ autonomia dei sopravvissuti ed ottimizzare
il percorso di reinserimento sociofamigliare è l’obiettivo primario del progetto riabilitativo individuale
post-ictus. Tale progetto riabilitativo individuale prevede in genere lo svolgersi del trattamento
riabilitativo in funzione di obiettivi a breve, medio e lungo termine.
Le strategie di trattamento riabilitativo incluse nel Progetto riabilitativo individuale post-ictus possono
essere finalizzate a stimolare:
1. il recupero dell’autonomia nella mobilità e nel cammino
2. il recupero della funzione dell’arto superiore
3. il recupero delle funzioni nelle attività di vita quotidiana (ADL)
4. il recupero delle funzioni cognitive e del linguaggio
5. la prevenzione secondaria delle malattie cardio-cerebrovascolari con attività fisica adattata
Il recupero dell’autonomia nella mobilità e nel cammino
La rieducazione del controllo posturale e della deambulazione beneficia dell’intervento riabilitativo
precoce. Non è documentata la superiorità di alcuni approcci su altri nel raggiungere questo
obiettivo. Limitate evidenze sembrano suggerire un vantaggio di tecniche orientate
all’apprendimento di sequenze motorie nel contesto abituale del paziente. l’utilizzo di tecniche
miste comporta risultati significativamente migliori in termini di recupero dell’indipendenza
funzionale, confrontato con l’assenza di trattamento o verso placebo. Non esiste evidenza in merito
alla superiorità di un singolo specifico approccio rispetto ad un altro.
La possibilità di realizzare in fase acuta un addestramento della deambulazione è apparsa finora
subordinata all’acquisizione di un adeguato controllo del tronco e posturale, e di una sufficiente
capacità aerobica, soprattutto in pazienti con elevato deficit stenico dell’arto inferiore, incapaci di
supportare il peso del corpo durante la realizzazione del passo. Al fine di ovviare a tali vincoli che
possono allontanare una tappa cruciale del percorso riabilitativo, incrementando così il senso di
frustrazione emergente e la possibile depressione reattiva, alcuni autori hanno sollecitato l’utilizzo
di una rieducazione su nastro trasportatore (treadmill) unitamente ad un dispositivo di sospensione
parziale e scarico del peso corporeo.
Singoli studi supportano l’uso del training su treadmill con il supporto del peso in soggetti incapaci
di deambulazione autonoma(Visintin 1998) altri documentano la superiorità del training su
treadmill associato ad esercizi task-oriented (overground walking o programma di allenamento
aerobico) rispetto ad un allenamento aspecifico di bassa intensità. Eventi avversi, non seri (vertigini
ad esempio) ricorrono più frequentemente nei soggetti sottoposti al training su treadmill.
Anche se l’utilizzo del cammino in sospensione non ha ancora raggiunto una provata superiorità
rispetto alle altre tecniche finalizzate al recupero dell’autonomia nel cammino, il training aerobico
indotto favorisce il recupero funzionale ostacolando il circolo vizioso generato dall’interazione tra
ipomobilità e decondizionamento cardio-respiratorio.
In aggiunta a tutte le altre tecniche riabilitative utilizzabili (Bobath, task oriented, ecc), l’utilizzo di
tecniche di Stimolazione Elettrica Funzionale (functional electric stimulation -FES), al fine di
potenziare l’atto motorio, induce un debole beneficio in termini clinici ma non funzionali.
Viceversa, In merito alla stimolazione elettrica transcutanea (transcutaneous electric stimulation –
TENS) in aggiunta ad altri trattamenti non vi sono evidenze di efficacia.
Il recupero della funzione dell’arto superiore
La perdita di destrezza nell’uso dell’arto superiore rappresenta uno dei principali fattori di disabilità
persistente post-ictus. Si stima che circa il 20% dei soggetti non recuperi nessun uso funzionale
dell’arto e che l’85% vada incontro ad un recupero parziale. La riabilitazione dei danni motori e della
disabilità funzionale negli esiti di stroke rimane un terreno di sfida sia per chi sopravvive all’ictus, che
per i “caregivers” e gli addetti alla riabilitazione. La letteratura riporta diversi approcci riabilitativi
utilizzati per il miglioramento delle funzioni dell’arto superiore paretico in pazienti con esiti di stroke,
come la riabilitazione funzionale, le tecniche di facilitazione neuromotoria e il riallenamento della
forza. I dati riportati sono misti e a volte discordanti: da un lato può non sussistere alcun cambiamento
nelle funzioni della mano, dall’altro esistono evidenze di miglioramento motorio e funzionale
nell’arto paretico.
La CIMT (constraint induced movement therapy) è uno tra questi interventi riabilitativi; nato nei
primi anni ‘80 negli USA, applica in pazienti con esiti di stroke tecniche riabilitative intensive mirate
all’utilizzo dell’arto paretico, escludendo la possibilità di utilizzare quello sano tramite occlusione.
Tale metodica si è dimostrata utile, migliorando le abilità motorie e funzionali dell’arto superiore
paretico in pazienti con esiti cronici di stroke e in pazienti in fase sub-acuta o acuta. Studi condotti su
un limitato numero di soggetti documentano, in effetti, alcuni cambiamenti indotti a livello corticale
dalla CIMT: mediante l’utilizzo della risonanza magnetica funzionale si è visto che questi pazienti
presentano una maggior specificità d’attivazione delle aree corticali dell’emisfero lesionato.
Precedenti studi sulla plasticità del cervello avevano già dimostrato che le aree di rappresentazione
corticali potevano essere modificate egualmente da input sensoriali, dall’esperienza e
dall’apprendimento, sottolineando la rilevante potenzialità di questi meccanismi per la riabilitazione
ed il recupero di funzionalità perse.
Inoltre tale trattamento può essere integrato all’utilizzo di blocchi focali con tossina botulinica al fine
di ridurre la spasticità dei muscoli dell’arto superiore (per lo più i flessori delle dita, del polso e del
gomito), determinando in questo modo un effetto facilitatorio rispetto al potenziale recupero della
motricità.
Il recupero delle funzioni nelle attività di vita quotidiana (ADL)
La terapia occupazionale ha lo scopo di facilitare le azioni finalizzate, migliorando le abilità
esecutive di rilievo o sviluppando ed insegnando strategie di compenso per sopperire le abilità
esecutive perse stimolando e generando quindi adattamenti utili allo svolgimento delle ADL. In
questo ambito l’addestramento alle attività di cura personale o alle attività domestiche in generale, ed
infine i consigli e le istruzioni riguardo gli ausili, sono i tre interventi più frequentemente realizzati
per i pazienti con ictus. Coloro che si occupano di terapia occupazionale (Terapisti Occupazionali)
educano e condividono informazioni con la famiglia e con chi fornisce assistenza primaria circa le
abilità funzionali residue del soggetto e prendono in esame il modo attraverso il quale fornire un
adeguato sostegno. L’efficacia della terapia occupazionale è stata oggetto di svariate revisioni di
studi in ambito riabilitativo. Queste ricerche mostrano piccoli ma significativi effetti sulle ADL
primarie, sulle ADL complesse e sulla partecipazione alla vita sociale. Questi risultati positivi
sottolineano l’ importanza della terapia occupazionale come parte integrante della riabilitazione
multidisciplinare per i pazienti colpiti da ictus.
Il recupero delle funzioni cognitive e del linguaggio
Le alterazioni delle funzioni cognitive e del linguaggio possono comprendere:
• L’afasia, cioè l'alterazione o la perdita della facoltà del linguaggio, in genere in seguito a una
lesione alle aree del cervello deputate all'elaborazione del linguaggio, è rilevabile in circa il
30% dei pazienti colpiti da ictus. La prognosi dipende in modo marcato dalla gravità
iniziale: nelle forme lievi si osserva un recupero spontaneo nelle prime due settimane dopo
l’ictus, mentre il deficit di linguaggio è persistente negli altri casi (15%-20% dei pazienti
sono ancora afasici a sei mesi).
• L’emi-inattenzione spaziale (o neglect), cioè una sindrome che consiste in un deficit di
attenzione e consapevolezza dello spazio opposto alla lesione cerebrale, è frequente, in
particolare nel caso di una cerebrolesione destra (nel 43% di tali cerebrolesioni secondo una
recente revisione sistematica); di questi, circa il 30% presenta un deficit persistente a tre
mesi.
• L’aprassia degli arti e/o del distretto bucco-facciale, cioè l'incapacità di compiere gesti
coordinati e diretti a un determinato fine, è presente in meno del 10% dei pazienti in fase
acuta.
• Nell’ambito delle abilità compromesse vengono lamentati, in circa il 25% dei casi, disturbi
della memoria e dell’attenzione, che possono portare alla diagnosi di demenza vascolare.
• La disartria viene definita come “termine globale per un gruppo di disordini verbali
correlati dovuti a disturbo nel controllo muscolare del meccanismo dell’espressione verbale,
risultanti dall’interessamento di qualcuno dei processi motori di base implicati
nell’esecuzione verbale.
• La disfagia, consistente nella difficoltà a deglutire, post-ictus incide in misura variabile
compresa tra il 13% e il 71%. Dati così variabili sono da mettere in relazione alla sede
dell’ictus (lesioni unilaterali vs lesioni bilaterali), agli strumenti di diagnosi, nonché al
tempo intercorso fra l’evento acuto e la valutazione del paziente.
• La persistenza di alterazioni del controllo sfinterico dopo ictus si associa ad una ridotta
prospettiva di recupero funzionale, una maggiore latenza prima del trasferimento dalla
degenza per acuti alla riabilitazione intensiva, una minore efficienza dell’intervento
riabilitativo.
La prevenzione secondaria delle malattie cardio-cerebrovascolari con attività fisica adattata
Come già segnalato il livello di limitazione nella mobilità ed ADL è generalmente, ma non
completamente, correlato al livello di menomazione fisica residua nel periodo post-ictus. Infatti una
persona con una storia di ictus è in grado di raggiungere mediamente solo il 50% del picco di
consumo di ossigeno ed il 70% del picco di potenza di un soggetto sedentario di pari età e sesso. Allo
stesso modo il costo energetico del cammino è sensibilmente più elevato nei pazienti affetti da esiti di
ictus se comparati con soggetti di pari peso, sesso ed età.
In relazione a queste considerazioni il paziente, la famiglia ed il riabilitatore dovrebbero porsi degli
obiettivi a lungo termine finalizzati a:
• Prevenire le complicanze dell’inattività fisica prolungata
• Ridurre il rischio di una recidiva di ictus e di eventi cardiovascolari
• Migliorare lo stato di forma aerobico
Diventa quindi importante elaborare delle strategie finalizzate al raggiungimento di tali obiettivi. Ad
esempio durante il periodo post-acuto di degenza riabilitativa, la semplice esposizione ad esercizi di
verticalizzazione e di esecuzione del passaggio seduto/eretto e viceversa può bastare a mantenere un
mino stato di forma fisica. Viceversa nella fase post-acuta avanzata ed ancor più una volta tornati al
domicilio sarà importante introdurre esercizi di maggiore impegno e durata consistenti in sessioni di
cammino assistito su suolo (con o senza ausili), eventuale cammino con parziale sospensione corporea
e cyclette.
Il regolare svolgimento di un’attività fisica aerobica migliorerà infatti i meccanismi regolatori del
glucosio, promuoverà la riduzione del peso corporeo, dei depositi di grasso, della pressione arteriosa e
del colesterolo. Inoltre sarà possibile ottenere un incremento dei valori di colesterolo HDL (il
colesterolo “buono”), un miglioramento della fluidità del sangue ed una maggiore elasticità delle
pareti arteriose.
Nel complesso vi è infatti una crescente evidenza scientifica (vedi bibliografia) che il rischio relativo
di incorrere in un nuovo evento cerebrovascolare possa essere ridotto con lo svolgimento di un
regolare programma di attività fisica.
Link utili da cui sono state tratte le informazioni sopra-riportate:
In lingua italiana:
www.spread.it
www.dica33.it
www.ictus.net
www.strokeforum.org
In lingua inglese:
www.strokecenter.org
www.wemove.org
www.strokeassociation.org
www.stroke.org.uk
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