WS_171016_Freddi-Sviluppo Tecnologico e

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WS_171016_Freddi-Sviluppo Tecnologico e
Bologna 21 maggio 2016
Sviluppo Tecnologico e Occupazione
La maggior parte dei commentatori economici si mostra preoccupato sulle conseguenze
delle trasformazioni tecnologiche che stiamo vivendo in questi anni. Le dimensioni dei
cambiamenti generati dalle nuove tecnologie (spesso indicate come 4.0) mostrano essere di una
portata superiore alle altre rivoluzioni del passato. La domanda ricorrente è: anche questa volta i
cambiamenti provocheranno perdite di posti di lavoro recuperabili a breve termine dalle nuove
attività' che le recenti tecnologie certamente creeranno? Oppure si potranno formare vuoti
permanenti, con tempi di recupero troppo lunghi? Il sospetto che agita gli studiosi di oggi è che
questa nuova rivoluzione tecnologica presenti tempi di rieducazione alle nuove attività
incompatibili con la durata della vita lavorativa di coloro che perderanno il lavoro. Nel momento in
cui si affronta il problema si scopre che non si tratta più di impartire nuove istruzioni per eseguire
operazioni manuali o intellettuali ripetitive, ma di far ricorso ad una cultura di base completamente
diversa da quella del passato e ad esperienze che non appartengono al vissuto dei nuovi disoccupati
tecnologici.
La domanda inquietante, alla quale oggi non si sa rispondere, è se si presentera' ancora
vincente la vecchia logica di sviluppo del capitalismo, riassumibile nella ricetta di Joseph
Schumpeter nei termini di "Distruzione Creatrice", secondo la quale ogni cambiamento tecnologico
va affrontato senza esitazione, con la certezza che per ogni lavoro che si distrugge se ne
produrranno altri nuovi in grado di sostituirli, oppure se i tempi di recupero si riveleranno troppo
lunghi, superiori alla vita lavorativa di una persona.
Il dubbio è lecito. Non è detto che quanto può essersi verificato in passato corrisponda ad
una legge universale e che i tempi di trasformazione siano compatibili con i problemi sociali che
queste cambiamenti creano. Come sempre, quando si trattano problemi umani, siamo in presenza di
fenomeni complessi la cui soluzione dipende da molte variabili tra loro interdipendenti, tali da
rendere impossibile tentare una previsione.
Lo studio della storia dell'umanità ci porta a considerare che anche questa volta sarà
impossibile arrestare la fantasia dell’uomo di fronte alla tentazione di utilizzare nuove tecnologie.
Con opportune normative di legge si potrà al massimo rallentare il processo delle loro applicazione
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Tomaso Freddi – Maggio 2016 - Sviluppo Tecnologico e occupazione
allo scopo di mantenere sotto controllo l'equilibrio della trasformazione impedendo che una troppo
frettolosa implementazione di una nuova tecnologia provochi eccessive sperequazioni nel tessuto
sociale fino a metterne in pericolo la stabilità.
Una considerazione di fondo è comunque d’obbligo: la maggior parte delle nuove tecnologie
elimina lavoro umano proprio perché' sostituisce l'uomo con un automatismo. La loro introduzione
deve per sua natura essere vantaggiosa e provocare profitto, deve aumentare la capacità produttiva a
parità di risorse umane impiegate. In sostanza, l’effetto macroscopico sul breve periodo è costituito
da un aumento della produttività, cioè del rapporto tra PIL e numero di occupati. In un secondo
tempo, per effetto del calo dei costi e di una maggior competitività, quasi sempre seguito da un calo
dei prezzi, i consumi tenderanno ad aumentare. Sul piano economico, il maggiore margine che si
verrà a creare nell’attività, oltre a compensare l'ammortamento dell'investimento, darà luogo ad un
maggior profitto imprenditoriale. Sul piano sociale, invece, la comunità dovrà sostenere il costo
degli ammortizzatori sociali destinati ai lavoratori che hanno perso il lavoro, in attesa che
gradualmente la disoccupazione venga assorbita dalle nuove attività. Questo processo dovrà
necessariamente far ricorso al sistema fiscale e a misure di welfare. In questi termini si riproduce il
meccanismo con il quale il capitalismo ha prodotto e distribuito ricchezza negli ultimi secoli: il
ciclo di sviluppo richiede continuamente l'applicazione di nuove tecnologie, la distruzione creatrice
produce disoccupazione che a sua volta favorisce l'applicazione di nuove tecnologie in una
trasformazione continua durante la quale, per mantenere gli equilibri sociali, non devono mai
mancare le risorse necessarie per alimentare la continuità del processo. Sarà ancora valido in futuro
questo meccanismo? Per tentare di dare una risposta può essere utile definire una misura del
transitorio che si verifica nel cambiamento.
Il transitorio sul valore dell’occupazione prodotto dall’introduzione di una nuova tecnologia
produttiva, o, più in generale, dalla sostituzione sul mercato di un prodotto nuovo al posto del
prodotto precedente, può essere misurato mediante l’introduzione del concetto di “tempo di
dimezzamento della perdita di occupazione prodotta”. Per definizione, il tempo di dimezzamento
sulla perdita di occupazione (TDPO) di una organizzazione causato da una improvvisa
modificazione del mercato (causata dall’inserimento di una nuova tecnologia, dall’apertura di un
nuovo mercato, dall’avvento di un nuovo prodotto alternativo, ecc…) è l’intervallo di tempo che
intercorre tra il verificarsi dell’evento e il momento in cui il 50% della forza lavoro rimasta
disoccupata ha ritrovato lavoro. Questo tempo dipende da molti fattori, ma le macrovariabili più
influenti possono essere indicate nella complessità dei cambiamenti in relazione alle difficoltà di
rieducare il personale alle nuove attività. Nel nostro caso, è facilmente rilevabile che l’adozione
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delle nuove tecnologie, raggruppabili sotto la sigla 4.0, porterà a tempi di dimezzamento molto
lunghi, non confrontabili con quelli del passato. Due considerazioni fanno pensare alla effettiva
impossibilità di riconvertire i lavoratori disoccupati alle attività delle nuove tecnologie. In primo
luogo la rapidità con la quale esse si verificano, di un altro ordine di grandezza rispetto al passato.
Secondariamente la loro natura. Non si tratta più, infatti, di insegnare nuove attività di tipo manuale
o comunque ripetitive, ma di far ricorso a culture di base che solo le nuove generazioni possiedono.
Tenuto conto di queste brevi considerazioni, se lo sviluppo dell’umanità proseguirà
continuando ad applicare il principio schumpeteriano della “distruzione creatrice”, che pare
comunque essere un processo indipendente dalla volontà umana, capace al massimo di rallentarne
lo svolgimento, pare ineluttabile prevedere una società futura nella quale la disoccupazione di una
parte della popolazione avrà carattere endemico, sarà un fatto normale. I primi sintomi li vediamo
già oggi in una disoccupazione spontanea costituita dai NEET (not in education, employment or
training), di giovani tra i 15 e 30 anni che non studiano e non lavorano (circa 2,2 milioni in Italia nel
2015), dei quali circa un terzo dichiarano di non essere disponibili al lavoro.
Le nuove tecnologie andranno fatalmente ad aggravare una situazione che già oggi appare
critica. Un rilevante numero di persone che non lavorano non potrà essere abbandonato a se stesso
dalla società. Coloro che lavorano, gli occupati, dovranno necessariamente farsi carico di una massa
notevole di disoccupati e procurare le risorse anche per loro. Forse si renderà necessario istituire un
reddito di cittadinanza. Ma c’è qualcosa di ancora più preoccupante: sarà sufficiente sopperire solo
dal lato economico alle esigenze sociali? In presenza di un numero così rilevante di persone
disoccupate potrà la comunità mantenere un suo equilibrio? Si dovranno inventare lavori
“socialmente utili” pagati dallo stato, lavori che nella realtà saranno non strettamente produttivi. Si
può pensare che persone in possesso anche solo di un minimo di istruzione possano essere ingannati
(come gli schiavi del passato) facendo loro credere che questi lavori sono utili? Francamente una
tale soluzione non soddisfa.
Molto più rassicurante è fare un’altra ipotesi. Pensare ad una evoluzione in chiave
ottimistica della nostra società, verso un “capitalismo leggero”, molto liquido direbbe Zygmund
Bauman, nel quale prevalgono, accanto a molto tempo libero, iniziative individuali a tutto campo.
Non più posti fissi in megaorganizzazioni. A parte i lavori di basso livello, in larga misura non
automatizzabili, che saranno ancora organizzati in strutture pubbliche o semipubbliche (del tipo
Hera, tanto per intenderci), il lavoro ripetitivo sarà sempre più delegato alle macchine lasciando
prevalentemente spazio al lavoro autonomo. L’effetto delle applicazioni moderne provocherà
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notevoli uscite dal lavoro ripetitivo tipico delle grandi aziende e dei processi produttivi di grande
serie. Specie in Italia, dove la mancanza di grandi investimenti si farà più sentire, aumenterà il
lavoro dei piccoli gruppi. (vedi articolo Max Bergami del 3 aprile 2016). Tutto ciò porta a pensare
che una maggior diffusione della conoscenza, una disoccupazione sempre più diffusa, e un
significativo aumento del tempo libero, si traducano in una eccezionale spinta verso iniziative
imprenditoriali individuali, in grado di colmare i vuoti lasciati dalle perdite di lavoro dipendente a
favore di varie forme di lavoro autonomo. Meglio pensare che la straordinaria fantasia dell’uomo
che ci ha portato fin qui non si inaridisca e sia ancora capace di inventare occupazioni nuove, in
modo che, accanto a chi avrà il privilegio di creare ricchezza, anche tutta la società possa
beneficiare della straordinaria creatività propria dell’essere umano.
PS = considerazioni successive
Bologna 23.05.16
1- Relazioni sulle variabili principali connesse alla tecnologia e all’occupazione:
NUOVA TECNOLOGIA → DISOCCUPAZIONE
INVESTIMENTI → RECUPERO OCCUPAZIONE → riduzione costi
→ recupero competitività
2- Effetti delle nuove tecnologie sulle attività:
SUI LIVELLI DI LAVORO BASSI → EFFETTI NEGATIVI LIMITATI
SUI LIVELLI MEDI E SUI LAVORI RIPETITIVI → EFFETTI NEGATIVI ELEVATI
SUI LIVELLI ALTI A FORTE CONTENUTO DI CONOSCENZA → EFFETTI POSITIVI
3- Effetti delle nuove tecnologie sulla dimensione delle imprese:
SUI LIVELLI DI LAVORO BASSI → EFFETTI INVARIATI
SUI LIVELLI DI LAVORO ALTI → DIMENSIONI PICCOLE
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