L`uso politico della lingua di fascismo e nazismo
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L`uso politico della lingua di fascismo e nazismo
Comune di Lodi Ilsreco Anpi Aned Giorno della Memoria 2016 L’INGANNO DELLA PAROLA l’uso politico della lingua di fascismo e nazismo a cura di Laura Coci e Ivano Mariconti (Ilsreco) Lodi, 27 gennaio 2016 Gli Egizi credevano che la lingua fosse la sede dell’anima; la lingua era un timone o un remo di governo con cui l’uomo seguiva la sua rotta nel mondo. BRUCE CHATWIN, Le vie dei canti, 1987 la lingua e la storia La lingua è la manifestazione autentica, non solo l’espressione artificiale di ciò che è colui che parla. Lo studio della lingua determina consapevolezza dell’età storica e dell’ambiente umano di riferimento. La lingua pensa con noi e per noi, pensa per tutti e fa pensare collettivamente. Abbiamo una responsabilità, finché viviamo: dobbiamo rispondere di quanto scriviamo, parola per parola, e far sì che ogni parola vada a segno. PRIMO LEVI, L’altrui mestiere, 1985 l’uso politico della lingua L’uso della parola comporta una grande responsabilità, spesso trascurata. Nelle dittature ideologiche la lingua è un formidabile strumento di propaganda, di manipolazione e ottundimento dell’intelligenza individuale, di trasformazione del reale. «Ripetete una cosa qualsiasi cento, mille, un milione di volte e diventerà verità» (JOSEPH GOEBBELS). […] la lingua non si limita a creare e pensare per me, dirige anche il mio sentire, indirizza tutto il mio essere spirituale quanto più naturalmente, più inconsciamente mi abbandono a lei. E se la lingua colta è formata di elementi tossici o è stata resa portatrice di tali elementi? Le parole possono essere come minime dosi di arsenico: ingerite senza saperlo sembrano non avere alcun effetto, ma dopo qualche tempo ecco rivelarsi l'effetto tossico. VICTOR KLEMPERER, LTI. La lingua del Terzo Reich, 1947 parole tossico, parole antidoto L’odio di Mathieu Kassovitz (Francia, 1995) Così lontano così vicino di Wim Wenders (Germania, 1993) bibliografia minima GUSTAVO ZAGREBELSKY, Sulla lingua del tempo presente, Einaudi, Torino 2010 EUGENIO BORGNA, Parlarsi. La comunicazione perduta, Einaudi, Torino 2015 GIANRICO CAROFIGLIO, Con parole precise. Breviario di scrittura civile, Laterza, Roma – Bari 2015 LTI LINGUA TERTII IMPERII “Tutta la Germania ascolta il Fűhrer” La lingua del nazismo 1. Il potere della lingua 2. Nella carne e nel sangue 3. Conversione e conquista 4. Spostamenti semantici e parole abusate 5. Parla LUI … alla tredicesima ora 6. Le nuove parole dell’anima nordica 7. Abbreviazioni 8. Tutti automi: il linguaggio tecnico 9. “Io”… il capo 10. Sipario sulla realtà: gli eufemismi 11. Quelle virgolette menzognere 12. Non ci mancherà il fiato al momento dello scatto finale 13. Contro la menzogna 1. Il potere della lingua “Morte e vita sono della lingua” (PROVERBI 18,21) in potere “Radice del pensiero è il cuore, da cui spuntano quattro rami: il bene ed il male, la vita e la morte; su di loro domina padrona la lingua” (SIRACIDE 37, 17–18) “La lingua è più del sangue” (FRANZ ROSENZWEIG, filosofo tedesco di famiglia ebraica) “La lingua è la madre, non la figlia del pensiero” (KARL KRAUS, scrittore austriaco) 2. Nella carne e nel sangue Qual era il mezzo più efficace del sistema hitleriano? Erano i monologhi di Hitler e di Goebbels, le loro esternazioni su questo o su quell’oggetto, le loro esternazioni contro l’ebraismo e il bolscevismo? Certamente no, perché molto non veniva compreso dalle masse annoiate d’altra parte dalle eterne ripetizioni.[…] Invece il nazismo si insinuava nella carne e nel sangue della folla attraverso le singole parole, le locuzioni, la forma delle frasi ripetute milioni di volte, imposte a forza alla massa e da questa accettate meccanicamente ed inconsciamente. VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua del terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina, Firenze 2011, p.31-32 3. Conversione e conquista Gradualmente, ma con un processo che sembra naturale ed inarrestabile, la lingua tedesca subisce una conversione all’ideologia tedesca. Anche questo è un processo minuzioso e non dichiarato: è una conquista lenta che si esercita mediante le parole e non le armi. Le espressioni vengono distorte dal loro significato originario, costrette ad assumere un valore ed una violenza diversa. VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua del terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina, Firenze 2011, p.9 Storia del popolo e storia della salvezza PAUL ALTHAUS, Deutsche stunde der Kirche, 1933, pag.15 Teologo protestante luterano (1861-1925) nel 1933 salutò la presa del potere da parte dei Nazionalsocialisti come un regalo e una meraviglia divina (Geschenk und Wunder Gottes) 4. Spostamenti semantici e parole abusate La LTI differiva dal tedesco di Goethe soprattutto per certi spostamenti semantici e per l’abuso di alcuni termini: ad esempio, gli aggettivi nazionale, popolare (völkisch), che era diventato onnipresente e carico di albagia nazionalistica, e fanatico (fanatisch), la cui connotazione da negativa si era fatta positiva. PRIMO LEVI, I sommersi e i salvati, Einaudi tascabili, Borgaro (Torino) 1994, pag.76 Volk è una delle parole più frequenti del linguaggio nazista che, allontanandosi dai significati precedenti, significa: unità razziale, politica e nazionale in opposizione a classe comunità di sangue elemento primigenio in opposizione alla decadenza borghese comunità affermatasi nella storia per volontà del fato, attraverso i legami magici del sangue e del suolo si attualizza in pieno nella persona del Führer La lingua tedesca non possiede un termine perfettamente equivalente a Fanatismus di origine straniera, neppure se lo privi del primitivo riferimento al culto. Il verbo eifern (perseguire con ardore) è più innocuo, un Eiferer ce lo immaginiamo più come un predicatore appassionato che come un vero e proprio violento. […] Quindi la parola tedesca fanatisch è intraducibile ed insostituibile; sempre quando viene usata per dare un giudizio di valore, si carica di una forte negatività, designa una qualità pericolosa, scostante. […] Mai, prima del Terzo Reich, a qualcuno sarebbe venuto in mente di usare il termine per dare una valutazione positiva. […] Ho parlato di ricaduta comica; infatti, poichè il nazismo è fondato sul fanatismo e pratica con tutti i mezzi l’educazione al fanatismo, durante il Terzo Reich l’aggettivo deve aver avuto un valore di straordinario riconoscimento; era un ulteriore rafforzamento dei concetti di coraggio, passione, tenacia, meglio ancora: una definizione complessiva in cui si fondevano superbamente tutte queste virtù. Nell’uso comune della LTI l’aggettivo ha finito col perdere anche la più lieve sfumatura peggiorativa. In occasione di alcune solennità, come il compleanno del Führer o la ricorrenza del giorno della presa del potere, non c’era articolo di giornale, indirizzo di augurio, allocuzione a qualche reparto o organizzazione in cui non comparisse una “fanatica promessa solenne” o un’altrettanto fanatica “professione di fede” o non si dichiarasse una “fede fanatica” nella durata eterna del Reich hitleriano.” VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua del terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina, Firenze 2011, pp.82-83 5. Parla LUI … alla tredicesima ora La propaganda viene appositamente strutturata utilizzando un linguaggio mistico e messianico. Goebbels enuncia il suo principio guida nel 1934, durante il “congresso della fedeltà” che doveva il suo nome all’azione di eliminazione e di repressione della rivolta di Röhm. “Dobbiamo parlare un linguaggio che il popolo capisca. Chi vuol parlare alle persone del popolo deve, come dice Lutero, guardare direttamente sulla bocca”. (cfr. “Lettera del dottor Martin Lutero sull’arte di tradurre e sull’intercessione dei santi” (1530) in Scritti religiosi, Utet, Torino 1967, p.708) Ich habe am 1. September 1939 in der damaligen Reichstagssitzung zwei Dinge ausgesprochen: [...] Die Juden haben einst auch in Deutschland über meine Prophezeiungen gelacht.[…] Und ich werde auch mit diesem Prophezeiungen recht behalten. ADOLF HITLER, discorso allo Sportpalast di Berlino, 30 settembre 1942 Due cose ho pronunciato in occasione della seduta del Reichstag del 1 settembre 1939. […] In passato, in Germania gli Ebrei hanno riso della mia profezia. […] E con questa profezia avrò io l’ultima parola. Aussprechen: pronunciare, verbo che si lega perfettamente a profezia. Hitler non sta parlando ma sta profetizzando come un veggente. Poi il suono della sirena, il canto e il graduale arrestarsi delle macchine. E da questo silenzio ecco provenire, detto con la voce grave di Goebbels, l’annuncio. Ora finalmente tocca a Hitler, per tre quarti d’ora LUI. Era la prima volta che ascoltavo un suo discorso per intero e la mia impressione è rimasta sostanzialmente la medesima. Una voce quasi sempre sovreccitata, sforzata, spesso roca. Solo che questa volta alcuni passaggi venivano pronunciati col tono lamentoso di un predicatore fazioso. LUI predica la pace, LUI reclamizza la pace, LUI vuole il sì della Germania non per ambizione personale, ma unicamente per tutelare la pace contro la minaccia di una cricca internazionale di affaristi senza radici che per il loro profitto e senza alcuno scrupolo aizzano popoli di milioni di persone gli uni contro gli altri […] “La cerimonia avrà luogo tra le 13 e le 14. Alla tredicesima ora il Führer verrà ai lavoratori della Siemensstadt”. Ma questo, lo capiscono tutti, è il linguaggio dei Vangeli. Il Signore, il redentore, viene ai poveri, ai derelitti. Persino il modo di indicare l’ora è non comune: non le tredici, ma la “tredicesima ora” – fa pensare ad un troppo tardi, ma LUI farà un miracolo, per LUI non esiste troppo tardi. VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua del terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina, Firenze 2011, pp.58-59 6. Le nuove parole dell’anima nordica La volontà di azione crea nuove parole che designano attività: • nordizzare (Aufnorden) ridare nuova purezza al sangue degli antenati; • liberarsi dagli ebrei (Entjuden) • arianizzare (Ariesieren) Verbi intransitivi, cui la tecnica ha assegnato nuovi ambiti, vengono resi transitivi attivi, come il verbo volare (fliegen) che assume anche il significato di pilotare, trasportare per mezzo di un aereo. Per esprimersi con maggior concisione e rapidità molte parole vengono trasformate: • Corrispondente (Berichterstatter–Berichter) • Camion (Lastwagen–Laster) • Bombardiere (Bombenflugzeug-Bomber) “Nordico” non ha niente a che vedere con il tedesco del nord. Anche nella Germania del sud il sangue nordico è prevalente. Esso è il garante della Germanicità (Deutschheit) (CLAUSS, Die nordische Seele,1933, p.33) 7. Abbreviazioni Non mi rendevo conto, e me ne resi conto molto più tardi, che il tedesco del lager era una lingua a sé stante: per dirla appunto in tedesco, era orts- und zeitgebunden, legata al luogo ed al tempo. Era una variante, particolarmente imbarbarita, di quella che un filologo ebreo tedesco, Kemplerer, aveva battezzata Lingua Tertii Imperii, la lingua del Terzo Reich, proponendone anzi l’acrostico LTI, in analogia ironica con i cento altri (NSDAP,SS,SA,SD,KZ,RKPA,WVHA,RSHA,BDM,…) cari alla Germania di allora”. (PRIMO LEVI, I sommersi e i salvati, Einaudi tascabili, Borgaro (Torino), 1994, pp. 75-76). Il nazismo ha fatto un uso larghissimo dell’abbreviazione: • per etichettare, apporre cartigli, specificare minuziosamente • è una forma strettamente correlata al linguaggio militare • la sigla burocratizza l’immagine e ne spegne la vitalità • la sigla rifiuta il pensiero, rifiuta la critica Gehl, Deutsche Geschichte Stichworten, 1940 in L’abbreviazione moderna compare ovunque si tenda a tecnicizzare e a organizzare, e il nazismo, nella sua aspirazione alla totalità tecnicizza ed organizza tutto, di qui l’enorme massa di abbreviazioni. Ma poiché sempre per quella aspirazione alla totalità cerca di dominare l’intera vita interiore, poiché vuol farsi religione e piantare dappertutto la croce uncinata, ognuna delle sue abbreviazioni è imparentata con l’antico pesce dei cristiani: motociclisti o mitraglieri, membri della HJ (Gioventù hitleriana) o della DAF (Deutsche Arbeitsfront), si è sempre parte di una “comunità di congiurati. VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua del terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina, Firenze 2011, pp. 119-120 8. Tutti automi: il linguaggio tecnico Ognuno deve essere un automa nelle mani del superiore e del capo supremo, ma contemporaneamente colui che pigia il bottone che mette in funzione l’automa a lui sottoposto. Questa struttura occulta fa apparire normale il processo di schiavizzazione e spersonalizzazione: di qui il grande numero di espressioni della LTI tratte dal settore della tecnica ed una massa di parole che rafforzano tale processo. VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua del terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina, Firenze 2011, p.186 Ancorare(Verankern) erano in quel tempo parole molto di moda a tal punto che ben presto vennero impiegate ironicamente e a scopi satirici, per delineare qualche caratteristica di contemporanei non amati. “nell’assemblea nazionale si era affermato con insistenza di ancorare alla Costituzione la legge sulle commissioni interne”. voler Avviare, mettere in moto (Ankurbeln) derivava da una scena in cui a quel tempo ci si imbatteva di frequente per la strada: poiché le macchine non avevano ancora il dispositivo di avviamento, dappertutto si vedevano automobilisti che con grande fatica mettevano in moto la loro macchina servendosi dell’apposita manovella […] si mettono in moto tutti i settori commerciali, mai però le persone che li gestiscono. “Con energia, sua eccellenza e il decano misero in moto tutte le loro relazioni” (Stefan Zweig in Kleine Kronik). Orientare (Einstellen) Originariamente, il verbo orientare (einstellen) ed il sostantivo corrispondente indicavano la regolazione di un binocolo su una determinata distanza o quella di un motore su un determinato numero di giri. Sincronizzare, livellare, uniformare (Gleichschalten) Non esiste nella LTI alcun altro esempio di abuso di parole tecniche che faccia apparire così scopertamente la tendenza all’automatizzazione e alla meccanizzazione come questo Gleichschalten. Lo si è usato per tutti i dodici anni, anche se all’inizio più frequentemente che in seguito, per la semplice ragione che molto presto tutte le uniformatizzazioni, tutte le automatizzazioni erano già state compiute, diventando qualcosa di ovvio. Il termine è stato tolto dal lessico dell’elettricità dove ha il significato di collegamento in parallelo […] Già nel 1933 entrò nell’ambito economico-politico col significato di “pianificazione”, di “equiparazione”. La parola ebbe negli anni 1933 e 1934 una diffusione straordinaria, tanto che ricorreva, per così dire, quasi in ogni riga dei quotidiani. Quando nel 1938 terminò il gigantesco processo di livellamento e non rimase più nulla da pianificare, la parola cadde in disuso […]. La Gleichschaltung costituisce il più importante fenomeno di politica di massa del nazismo. Possiamo definirla come la “pianificazione totalitaria, la nazificazione completa della Germania, la sottomissione del popolo e di tutti gli ordinamenti statali al partito onnipotente. 9. “Io”… il capo All’inizio fu relativamente semplice ricevere qualcosa da quei magazzini, poi diventò obbligatoria una domanda che, passando per il “consulente legale” del comune, appositamente incaricato, e per il settore della Gestapo che si interessava degli ebrei, arrivava fino alla direzione di polizia. Un giorno sul formulario trovai l’avviso: ”Io le ho destinato un paio di pantaloni da lavoro usati. Ritirarli presso … Il capo della polizia”. Il principio sotteso era: in ogni caso a decidere è non un’autorità impersonale ma un capo responsabile, un Führer. Così tutta la burocrazia adottò la forma personalizzata dell’ ”Io” e ricevette le disposizioni da un dio personale. VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua del terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina, Firenze 2011, p. 185 10. Sipario sulla realtà: gli eufemismi • • • • • • Arresto preventivo Servizio di sicurezza Liquidare Assegnare al lavoro Soluzione finale Esperimenti scientifici Il partito totalitario usava gli eufemismi al modo di velari, di sipari calati su realtà abominevoli, da membrana nittitante (ossia come la terza palpebra trasparente che si trova in alcune specie animali e che può essere calata sopra l’occhio per proteggerlo ed idratarlo mantenendo comunque la visibilità). L’eufemismo riveste il più spudorato arbitrio di un manto di legalità che occulta sotto la parvenza di una legge, è menzogna e dissimulazione e diventa al tempo stesso la culla del segreto. La segretezza è assunta non in funzione di sicurezza sociale o di difesa dell’intimità di valori individuali, ma in funzione di copertura protettiva di azioni che offendono la dignità e la libertà. “Non devi sapere più di quanto concerne il tuo servizio”. 11. Quelle virgolette menzognere Si penserebbe che la LTI, intimamente retorica e sempre pronta ad appellarsi al sentimento, dovesse avere come lo Sturm und Drang, grande simpatia per il punto esclamativo, ma non risulta; al contrario mi sembra che faccia discreta economia di questo segno. E’ come se la LTI trasformasse tutto in appello ed esclamazione, con tanta naturalezza da rendere inutile il ricorso ad un apposito segno di interpunzione […]. In compenso la LTI si serve, fino alla nausea, di quelle che definirei virgolette ironiche. Le virgolette semplici, quelle originarie, servono solo a riportare alla lettera quanto ha detto o scritto qualcun altro. Le virgolette ironiche non si limitano a tale citazione obiettiva, ma insinuano dubbi sulla sua veridicità, di per sé fanno apparire menzogna l’affermazione riportata. Poiché chi legge la frase virgolettata, anche col solo tono di voce sottolinea questa interpretazione, si può dire che le virgolette ironiche siano strettamente connesse con il carattere retorico della LTI. VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua del terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina, Firenze 2011, pp. 96-97 Carl Schmitt, giurista e filosofo tedesco organizza ne 1936 un convegno per insegnanti di diritto nelle scuole superiori tedesche intitolato “La scienza giuridica tedesca in lotta contro lo spirito ebraico”. In tale occasione pronuncia il discorso di chiusura intitolato “Il giudaismo (Judentum) nella scienza giuridica tedesca” che conclude con una citazione tratta da Mein Kampf: “Nel difendermi contro l’ebreo, lotto per compiere l’opera del Signore”. Tale discorso verrà pubblicato nella rivista “Deutsche Juristen Zeitung” Tutti gli scritti giuridici di autori ebrei, come ha giustamente osservato il dottor Hans Frank, devono essere confinati in una particolare sezione “judaica”… Un autore ebreo non ha per noi nessuna autorità in qualunque ambito e neppure nessuna autorità “puramente scientifica”. Questa posizione è il punto di partenza per la trattazione del problema delle citazioni. Un autore ebreo, per noi, quando viene citato, è un autore ebreo. L’aggiunta della parola e della caratterizzazione “ebreo” non è qualcosa di esteriore ma qualcosa di essenziale, poiché noi non possiamo impedire che l’autore ebreo si serva della lingua tedesca. Purtroppo una purificazione della nostra letteratura giuridica è impossibile […] 12. Non ci mancherà il fiato al momento dello scatto finale Le metafore più adatte allo spirito popolare vengono tratte proprio dallo sport, soprattutto dall’automobilismo e dal pugilato, ma anche di qualsiasi sport; l’eroismo guerresco è paragonato alle prestazioni sportive, guerrieri e sportivi si incontrano nel loro agire gladiatorio. Grazie alle “strade del Führer” e alle Olimpiadi del 1936 il linguaggio sportivo diventa uno dei leitmotiv più efficaci per fare presa sulla massa. Richard Vogt (1913 – 1988) Medaglia d’argento nel pugilato ai giochi della XI olimpiade (10– 15 agosto 1936) categoria pesi mediomassimi Berlino, 18 febbraio 1943, discorso della guerra totale di Joseph Paul Goebbels Il luogo in cui Goebbels parla più spesso ai berlinesi è il Palazzo dello sport e l’utilizzo di vocaboli sportivi è pratica usuale: • “Non ci mancherà il fiato al momento dello scatto finale” (settembre 1944) • “La forza si dimostra non solo colpendo, ma anche incassando i colpi” Dopo la catastrofe di Stalingrado così reagiva il ministro della propaganda: • “ Ci tergiamo gli occhi dal sangue per vedere chiaramente e quando arriverà il secondo round saremo ben saldi sulle gambe”. E ancora: • “Un popolo che finora ha boxato con la sola sinistra e ora si accinge a bendare la destra per servirsene senza pietà nel prossimo round, non ha motivo di mostrarsi arrendevole”. Quando in tutta la Germania le città finiscono sotto le macerie, così afferma: • “Di solito un pugile che ha vinto il campionato mondiale, anche se l’avversario gli ha rotto l’osso del naso, non si sente più debole di prima”. 13. Contro la menzogna Le parole possono essere come piccole dosi di arsenico: ingerite senza saperlo sembrano non avere alcun effetto, ma dopo qualche tempo ecco rivelarsi l’effetto tossico. […] Rendere evidente il veleno della LTI e mettere in guardia da esso credo sia qualcosa di più che pura e semplice pedanteria. VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua del terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina, Firenze 2011, p.32 Siamo stati testimoni silenziosi di azioni malvagie, ne sappiamo una più del diavolo, abbiamo imparato l’arte della simulazione e del discorso ambiguo, l’esperienza ci ha resi diffidenti nei confronti degli uomini e spesso siamo rimasti in debito con loro della verità e di una parola libera, conflitti insostenibili ci hanno resi arrendevoli o forse addirittura cinici: possiamo ancora essere utili? Non di geni, di cinici, di dispregiatori di uomini, di strateghi raffinati avremo bisogno, ma di uomini schietti, semplici, retti. DIETRICH BONHOEFFER, Resistenza e resa, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1988,p.73-74 Bibliografia minima • VICTOR KEMPLERER, LTI – La lingua del terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina, Firenze 2011 • ALDO ENZI, Il lessico della violenza nella Germania nazista. L’uso delle parole come strumento di propaganda, persuasione e sopraffazione nel Terzo Reich, Pgreco/Dossier, Milano 2012 • PRIMO LEVI, I sommersi e i salvati, Einaudi tascabili, Borgaro (Torino) 1994 • ANSELM GRÜN, Parlare attentamente tacere con forza. Per una nuova cultura della comunicazione, Edizioni Messaggero Padova, Noventa padovana 2014 • DONATELLA CHIAPPONI, La lingua nei lager nazisti, Carocci,Roma 2004 • DIETRICH BONHOEFFER, Resistenza e resa, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1988 Siti internet consultabili • http://www.figlidellashoah.org/public/La%20lingua%20nazista.pdf Comune di Lodi Ilsreco Anpi Aned Giorno della Memoria 2016 parola di duce, parola di führer la lingua totalitaria del fascismo e del nazismo conversazione con Raffaele Mantegazza docente di pedagogia interculturale dell’Università di Milano Bicocca e con gli studenti delle scuole superiori di Lodi Liceo ‘Gandini’ di Lodi, 28 gennaio 2016 la parola agli studenti … ZERO CALCARE, Dimentica il mio nome, 2013 la parola agli studenti ZERO CALCARE, Dimentica il mio nome, 2013 ‘Maffeo Vegio’ 5B Francesco UMILIAZIONE È quando la morte diviene umiliazione che un vento gelido ti invade, asciugandoti la carne e congelandoti le ossa. È quando il cadavere violato di una giovane donna, che in vita aveva il nome di uno splendido fiore e la tenacia di crescere in terra arida, viene denudato e pubblicamente esposto nella piazza di una piccola città che il veleno inizia a scorrere nel sangue. Un’immagine che divora, come un cane affamato, tutto ciò che di umano risiede nell’anima. È il marchio a fuoco sul braccio irrobustito dal lavoro, innocente di giovinezza o consumato dall’incessante scorrere del tempo che ti ricorda che tu non sei più chi sei. Che sei un numero su un registro poggiato sulla scrivania di un uomo in divisa a spegnere, con le dita inumidite di morte, il lume della giustizia. ‘Maffeo Vegio’ 5B Francesco PONTE È uno l’appellativo che invidio al vescovo di Roma: pontefice. Letteralmente costruttore di ponti. Una parola pregna di significato; nove lettere che racchiudono la missione di ogni essere umano che abbia mai mosso un passo nel mondo, respirato, amato. La consapevolezza che per non rimanere incagliati nel proprio fazzoletto di terra un ponte sia necessario, la speranza che costruirlo, unire fisicamente due entità, due luoghi separati sia un’azione propria dell’uomo e di nessun’altra creatura, di una potenza tale da disintegrare le barriere dell’anima che mattone dopo mattone, ingiustizia dopo ingiustizia si sono costruite dentro di noi. Ehi tu! Non dirmi che non c’è più speranza, insieme siamo in piedi, divisi cadiamo. ‘Maffeo Vegio’ 5B Eleonora EGOISMO È guardarsi attorno, attenti con gli occhi ma incuranti con il pensiero. Vedere, ma non osservare. Notare e non agire, anzi disprezzare con la parola e con lo sguardo. Volere di più, ottenerlo e in cambio bramare tutto, anche il tutto di chi all’effettivo non ha niente. Sfamarsi voracemente guardando dall’alto chi non può farlo, e lasciare le briciole sulle sue scarpe chiedendo di più, per poi sprecarlo ancora e ancora, senza mai una volta condividerlo. ‘Maffeo Vegio’ 5B Eleonora SOLIDARIETÀ È l’azione vista come un gesto eroico, una gemma tra i sassi, un avvenimento straordinario del quale parlare sui giornali, in tv, con amici e parenti. È una lanterna che illumina una caverna buia e tetra, una persona che cammina controcorrente in mezzo alla folla ammassata nelle strade. Quel valore considerato raro e speciale, che dovrebbe essere quotidiano, comune… un tornado violento nel bel mezzo di una giornata limpida, pronto a disintegrare il muro d’ignoranza, costruito dal genere umano, chiamato intolleranza. Perché essa non vede la diversità, no, quella è solo una patina cristallina che ognuno lascia inspessirsi sempre di più davanti agli occhi, nel buio cieco del nostro piccolo mondo limitato. ‘San Francesco’ 4 classico Michelangelo a nome della classe NAZIONALISMO vs PATRIOTTISMO I termini patria, derivante dal latino pater, e nazione, derivante dal latino nascor, appartengono alla medesima sfera semantica; diverse sono, tuttavia, le accezioni in cui vengono usati essi stessi e, soprattutto, i loro derivati patriottismo e nazionalismo. Se per patriottismo si intende l’attaccamento, anche viscerale ed emotivamente istintivo, alla propria patria, intesa come madre, nel termine nazionalismo è, invece, insito il sentimento della superiorità della propria nazione sulle altre; il primo esprime l’amore per la propria terra che contraddistingue l’eroe romantico-risorgimentale, il secondo, venato di imperialismo e bellicismo, non può che sfociare nel razzismo: il patriottismo risulta essere, a nostro avviso, l’antidoto per il nazionalismo. ‘San Francesco’ 5 classico Matteo a nome della classe AUTORITARISMO vs AUTORITÀ Il vocabolo italiano autorità, discendente diretto del latino auctoritas, affonda le sue radici nel tema del supino del verbo augeo, es, auxi, auctum, ere, ovvero “accrescere, produrre, ampliare ecc.”. Facendo, pertanto, riferimento alla semantica di augeo, l’auctor, cioè il detentore dell’auctoritas, è colui che possiede capacità di iniziativa, affidabilità e dignità in ambito giuridico, politico, militare e culturale; è colui che, in virtù di prerequisiti materiali e morali di rispettabilità, credito e capacità di discernimento, è in grado di esercitare una funzione tutelare in ambito giuridico, paideutica in ambito morale-culturale e direttiva in ambito politico-militare. L’auctoritas, come il suo corrispettivo italiano, si fonda, pertanto, sulla gravitas, dignitas e virtus di chi ne è possessore, cioè l’auctor, unanimemente riconosciuto dalla comunità nelle funzioni che esercita in nome dei valori positivi da lui incarnati. ./. ‘San Francesco’ 5 classico Matteo a nome della classe Ci è parso, invece, di scorgere nel termine autoritarismo la degenerazione in forme oppressive e tiranniche dell’autorità, non più derivante dall’esemplarità universalmente riconosciuta di chi la possiede, ma esercitata attraverso la coercizione. Per concludere, l’auctoritas, emblema di un carisma derivante dalla forza morale dell’auctor, risulta, a nostro avviso, l’antidoto ideale al veleno di un autoritarismo tutto incentrato sulla forza e sull’abuso di potere. ‘Maffeo Vegio’ 2G Erica PEZZENTE Il termine pezzente viene impiegato in modo dispregiativo e significa straccione: infatti le pezze erano quei ritagli di stoffa che venivano cuciti quando il tessuto, per esempio dei pantaloni o di altri indumenti, si era logorato e perciò questo termine veniva, e viene tutt’oggi utilizzato, per indicare una persona povera. Attualmente questo appellativo viene usato in maniera offensiva in quanto la società odierna predilige il consumismo e dunque la persona pezzente si ritrova ad essere esclusa dall'intero sistema ed è considerata spregevole e quindi inferiore. Questo termine viene impiegato in modo sfrontato per insultare una persona, per rifiutarla sminuendo la sua immagine. ‘Maffeo Vegio’ 2G Ilaria CIAO È una forma di saluto amichevole e informale. Solitamente è la prima parola che si dice quando si vuole iniziare a parlare e instaurare una relazione di parità con una persona che non si conosce. In tutte le lingue c’è una parola con lo stesso significato ed utilizzo; spesso è la prima parola che si impara di una lingua nuova, proprio perché con questa si inizia a relazionarsi amichevolmente. È una semplice parola di quattro lettere da cui incomincia tutto. ‘Maffeo Vegio’ 2G Giorgia CANCELLARE Cancellare è il rifiuto più assoluto. Nel dire ad una persona: «Ti cancello dalla mia vita» indico anche la negazione oltre che della sua esistenza fisica, della sua identità, del suo pensiero e del suo ruolo sociale. Cancellare è sinonimo di eliminare, sopprimere, dimenticare. Essere cancellati o dimenticati è una delle più grandi paure dell’uomo. La memoria va invece coltivata perché ogni uomo con la sua piccola storia personale ha contribuito al cammino dell’umanità e nulla dovrebbe essere cancellato, soprattutto per non ripetere errori precedentemente commessi. ‘Maffeo Vegio’ 2G Alice RESPIRARE Respirare è una parola che ha un profondo significato per me e che spesso mi è di aiuto. Nonostante tutto quanto possa accadere nel corso dell’esistenza si continua infatti a respirare, a vivere; nessuna situazione, per quanto grave possa essere, è infatti la fine del mondo. Perciò bisogna continuare a respirare e ad andare avanti a vivere, bisogna ricordarsi che prima o poi si starà bene, che qualsiasi situazione si debba affrontare, qualsiasi sentimento si possa provare, per quanto insopportabili e dolorosi, passeranno e in futuro, magari non prossimo, si riderà al pensiero di aver tanto dubitato della propria resistenza. ‘Maffeo Vegio’ 5G Michela ZITTO Con questa parola si esprime la mancanza di interesse e il rifiuto di confrontarsi con una situazione che avvertiamo estranea. Dire «Zitto» a qualcuno significa incapacità di mettersi nei suoi panni e di cambiare prospettiva, preferendo giudicarlo sulla base di pregiudizi e di luoghi comuni. «Zitto» è una condanna che prescinde dalle spiegazioni che possono giustificare o per lo meno rendere comprensibile qualcosa che, di primo impatto, consideriamo inaccettabile. Essere zittiti vuol dire non essere tenuti in conto ed essere considerati in una condizione di inferiorità che preclude la possibilità di dialogo e una condizione di uguaglianza con le persone con cui si ha a che fare. ‘Maffeo Vegio’ 5G Michela SPIEGAMI Esprime la capacità di rendersi conto che è impossibile giudicare una situazione al di fuori della nostra esperienza. Chiedere spiegazioni significa andare oltre le apparenze, oltre i pregiudizi, oltre i luoghi comuni. Significa desiderio di conoscenza e apertura nei confronti di qualcosa di diverso o di sconosciuto. Significa volontà di superare le barriere sociali e la paura dell'altro. Il dialogo e il confronto sono le armi per abbattere i muri che molte persone ergono di fronte a chi non ha lo stesso colore della loro pelle, la loro stessa religione, la loro stessa ideologia, il loro stesso orientamento sessuale. Sono questi i mezzi per la comprensione, la compassione, la fiducia e la convivenza pacifica. ‘Maffeo Vegio’ 5G Giulia MISERO Utilizziamo questo aggettivo per sottolineare la condizione di ‘povertà’ e di inferiorità che vediamo in qualcuno che non riteniamo al nostro livello o che addirittura consideriamo inutile e degno di essere compatito. Il soggetto in questione ci fa pena, lo disprezziamo, ma oltre a voler esprimere il rifiuto verso la persona a cui ci riferiamo, con questo termine vogliamo anche esaltare la nostra posizione e la nostra superiorità nei confronti dell’altro. Chi è misero, per chi con superbia lo definisce tale, è mediocre, senza autenticità o senza qualcosa che lo distingua e dia dignità e orgoglio alla sua persona. L’aggettivo in questione vuole mettere in luce i difetti che noi vogliamo trovare nell’altro individuo, lo squallore che (secondo noi) lo caratterizza e l’assenza di positività o di qualcosa di bello e interessante che lo riesca a rendere una persona che abbia la possibilità di mettersi a paragone con noi stessi, che possiamo invece essere orgogliosi di essere come siamo. ‘Maffeo Vegio’ 5G Giulia FRATELLO «Ti voglio bene come un fratello» è la classica frase che si dice a qualcuno quando l’affetto che si prova verso di lui è autentico e realmente sentito, proprio perché il legame di fratellanza può essere caratterizzato da un forte sentimento di amore, reciprocità, sostegno, presenza, onestà... Un fratello è qualcuno che ci conosce per come siamo realmente e ci accetta, ci sta vicino e noi facciamo la stessa cosa (naturalmente ciò vale anche per una sorella). Questo termine non sta ad indicare soltanto un legame di parentela, bensì viene utilizzato anche con qualcuno con cui condividiamo quasi la totalità di ciò che facciamo, pensiamo, viviamo. Fratello è spesso chi vediamo come un’ancora di salvezza, una persona che ci fa stare bene e che ci guida nelle nostre decisioni pur non pretendendo nulla in cambio. Sta a noi ricambiare ciò che ci viene donato, per fare in modo che il legame sia duraturo e sincero. ‘Maffeo Vegio’ 3L Virginia a nome della classe DAGO Negli Stati Uniti d’America è un termine utilizzato per indicare tutti i popoli latini, deriva dal nome proprio ‘Diego’ o dal sostantivo ‘coltello’. La celebre frase: «Dago, where is your monkey?» veniva rivolta agli Italiani emigrati, perché catalogati generalmente come mendicanti di elemosina con una scimmietta. Oggi non siamo più etichettati in questo modo, ma rimangono alcuni luoghi comuni come per esempio: ‘mafioso!’, oppure veniamo spesso associati ai nostri cibi tipici nazionali. ‘Maffeo Vegio’ 3L Chiara a nome della classe INTEGRATO Una persona che viene definitivamente accolta in una comunità o in un gruppo diverso dal suo d’origine, a lui estraneo. Al giorno d’oggi ognuno di noi dovrebbe essere abituato a convivere con persone provenienti da altri paesi, senza avere pregiudizi di alcun tipo. Noi lo viviamo sulla nostra pelle ogni giorno, in quanto in Italia arrivano profughi disperati in cerca di aiuto e di accoglienza. Possiamo portarvi il nostro esempio: nonostante in classe abbiamo persone di diverse nazionalità, queste sono perfettamente integrate, non badiamo ai piccoli particolari che ci rendono “diversi” come il colore della loro pelle. ‘Maffeo Vegio’ 3L Valentina a nome della classe DISPREZZO È l’assenza di stima nei riguardi di cose o persone. Nel corso della storia molte parole sono state utilizzate per evidenziare questo atteggiamento negativo nei confronti degli uomini, soprattutto perché ritenuti inferiori rispetto ad altri. Ai tempi di Hitler veniva disprezzato chi non era ariano e cioè di razza pura e hanno subito persecuzioni gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali, i comunisti. Anche in Italia si sono utilizzate parole indicanti disprezzo nei confronti di chi si trasferiva in un’altra zona della nostra penisola: terrone, per indicare chi aveva lavorato la terra e si trasferiva al nord per cercare un lavoro dignitoso; bauscia, termine proveniente dalla Brianza per indicare le persone che aiutavano i forestieri nella ricerca di botteghe e artigiani, in cambio di denaro, termine utilizzato al sud con disprezzo nei confronti dei settentrionali che si davano delle arie. ‘Maffeo Vegio’ 3L Lucrezia a nome della classe APPREZZAMENTO È il termine usato per esprimere al meglio le qualità di qualcuno o di qualcosa e per esprimere la propria stima: apprezzare una persona significa metterne in evidenza le caratteristiche più positive. Nella vita quotidiana un semplice complimento, un sorriso, possono migliorare la giornata di chiunque e far sentire una persona accolta e valorizzata per il suo modo di essere, a prescindere dalle sue differenze etniche e di pensiero. Potrebbe considerarsi un primo passo guardare verso lo straniero che arriva nel nostro Paese cercando di cogliere le sue qualità e valorizzare qualcosa che forse per noi è scontato, come il fatto di vivere nella parte agiata del mondo dove anche solo il recarsi a scuola non è per noi un pericolo o il tornare a casa ed essere catapultati in una realtà diversa, perché le basi solide su cui hai vissuto fino ad adesso sono state distrutte come una casa da una bomba. ‘Maffeo Vegio’ 5A Veronica MOSTRO La pioggia cadeva attorno a lui, su di lui, gocce fredde e incessanti che sembravano penetrargli la pelle fino alle ossa, all’unisono, come tante piccole lame di ghiaccio. Abbassò la testa. I capelli scuri formavano un velo attorno al suo viso pallido dalla sconfitta e dalla stanchezza. Li scostò in un gesto brusco, incurante del dolore e dell’asprezza dell'asfalto sotto le sue ginocchia nude, incurante dell’acqua che gli si rovesciava addosso con furia, quasi a volerlo scrollare. Incurante della sua stessa vita. «Mostro», l’aveva chiamato. La parola risuonava nelle sue orecchie in un vortice irregolare di rumori e colori, ergendosi alta nel labirinto confuso che abitava la sua mente. Rabbrividì. Non per il freddo, ma per il significato insito in quelle due sillabe. «Non voluto». «Diverso». Una non-persona, un essere. Le lacrime scendevano sulle sue guance confondendosi con le gocce di pioggia. Forse se lo meritava, si disse. Forse era questo ciò che era davvero. Forse era tutto ciò cui poteva aspirare a essere. Il nulla. ‘Maffeo Vegio’ 5A Veronica TI VOGLIO BENE «Ti voglio bene» sono tre parole fatte di calore. Hanno un colore brillante e sanno di sicurezza, di casa. Sono parole che la gente gli ha detto spesso, parole che lo fanno arrossire e che gli riempiono la mente per ore intere. Lui non le dice mai. Non è fatto così. I suoi «Ti voglio bene» non sono scanditi a voce alta, ma si nascondono nelle piccole azioni. Preparare la colazione al fratello minore significa: «Abbi una buona giornata». Aiutare i compagni in chimica vuol dire: «Non voglio che voi falliate». Salutare il conducente dell’autobus si traduce con: «Grazie per ciò che fai ogni giorno». «Ti voglio bene» significa accettare qualcuno per ciò che è. «Sì, mi piaci per ciò che sei». «Sì, voglio che tu rimanga nella mia vita». «Ti voglio bene» è una promessa. ‘Maffeo Vegio’ 5A Chiara SILENZIO Silenzio come non libertà di espressione, come costrizione a tacere per mantenere un segreto, silenzio come omertà, silenzio come sottomissione, silenzio come accondiscendenza. Credo che quasi tutti almeno una volta nella vita hanno pronunciato la frase: «Io mi faccio gli affari miei e faccio finta di non sapere nulla». Fa comodo venire a conoscenza di un fatto senza poi prendersi la responsabilità di parlare e denunciarlo. Perché non ci conviene parlare, o perché non ne abbiamo il coraggio o anche perché siamo sotto ricatto e ciò che perderemmo sarebbe più grande del bene che faremmo denunciando. A volte anche solo il troppo egoismo fa sì che il silenzio abbia il sopravvento. Ed ecco il veleno, ciò che fa ammalare la società. Si dice: «Chi tace acconsente» o «Davanti alla stupidità altrui a volte è meglio tacere», ma non credo sia giusto. È sempre meglio parlare, dire la nostra, perché finché non cessiamo di farci sentire e di comunicare i nostri pensieri non moriamo mai. La vera morte si ha quando non siamo più liberi di vivere come vorremmo. ‘Maffeo Vegio’ 5A Chiara PAROLA Parola è l’antidoto. Ciò che ci è stato donato, di cui disponiamo, non è mai ‘in più’, ma serve. Come scrisse Sigmund Freud, Le parole erano originariamente incantesimi, e la parola ha conservato ancora oggi molto del suo antico potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice un altro o spingerlo alla disperazione, con le parole l’insegnante trasmette il suo sapere agli studenti, con le parole l’oratore trascina l’uditorio con sé e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il mezzo generale con cui gli uomini si influenzano reciprocamente. Dobbiamo servirci della parola perché la parola è ciò che ci rende diversi da tutti gli altri esseri viventi animali e che ci rende gli uni diversi dagli altri tra noi. ./. ‘Maffeo Vegio’ 5A Chiara È fonte di gloria ma anche di pena, perché la lingua, se usata male, può impiccare un uomo più velocemente di una corda. È fonte di giustizia se rispecchia la verità, di lealtà se rispecchia i pensieri. Può essere fonte di dolore se la usiamo con cattiveria e può essere fonte di amore quando usata per esprimerlo. Essa ha dato consistenza ai pensieri dei più grandi poeti e scrittori. Essa ha portato guerre e paci, litigi e riconciliazioni. A volte le parole fanno più male di uno schiaffo, a volte vengono usate per mentire o per ferire di proposito. Sta di fatto che per qualsiasi motivo le usiamo, che siano dette con odio o con amore, per mentire o per svelare verità, dobbiamo usarle. Quale sia il modo in cui intendiamo usarle, se rispecchiano ciò che vogliamo, dobbiamo usarle, perché esse esprimono la nostra insistenza nel farci sentire, la nostra volontà. Siamo capaci di ricordare alcune parole solo perché sono state pronunciate da persone a noi care: Riuscirai sempre a trovarmi nelle tue parole, è là che vivrò. (dal film Storia di una ladra di libri). la vita può essere felice e magnifica... CHARLIE CHAPLIN Il grande dittatore (1940)