INIZIATO IL 9 GENNAIO 2003 Modificato il 24/06/03 Cambiato

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INIZIATO IL 9 GENNAIO 2003 Modificato il 24/06/03 Cambiato
INIZIATO IL 9 GENNAIO 2003
Modificato il 24/06/03
Cambiato Russia in Romania il 08/08/03
MODIFICATO MARZO/APRILE 2004
FINITO IL 20 OTTOBRE 2004
ULTIMA CORREZIONE TERMINATA L’8 DICEMBRE 2004
A tutti i Figli del Cielo
Ai bambini di tutto il mondo
Ai miei “nipotini”
Fabio, Roberto, Silvia ed Elena
Ai miei “cuginetti di seconda generazione”
Stefania, Alessandro, Valentina, Ruggero, Ilaria, Cristina, Luca e Laura
Ai miei figliocci
Lorenzo e Giorgia
Ai nostri Figli del Cielo
perché trovino presto la strada di casa
Un pensiero speciale a mia zia Silvana ed al nostro
carissimo amico “il Mapo”
perché dal cielo veglino su tutti noi
CAPITOLO 1
Siamo nell’agosto del 2000. Per il mondo occidentale è iniziato, da ormai otto mesi, il
nuovo millennio; per me, a giorni, inizierà una nuova fase della mia storia.
Sono sul volo che mi porterà in Romania, la mia terra natia. Accanto a me c’è mia madre,
la donna che da nove anni ha riempito di gioia la mia vita, colmandola di sicurezza,
tenerezza ed amore.
La mia è la storia di un “figlio del cielo”: è così che mia madre chiama i bimbi
abbandonati. Secondo lei siamo doni scesi dal cielo e coloro che amano i bambini creano per
noi una casa, una vera famiglia, una vita degna di esser vissuta.
La storia della mia famiglia adottiva è diversa da quasi tutte le altre perché, quando sono
entrato nella loro vita, i miei genitori avevano già due figli grandi: mio fratello Simone e mia
sorella Susanna che, all’epoca avevano, rispettivamente, ventuno e venti anni.
Dopo aver visto un servizio sugli orfanotrofi romeni, mia madre decise che, nella loro
casa, c’era posto per un “figlio del cielo” e così, dopo una riunione di famiglia, i miei genitori
iniziarono l’iter adottivo. Fu così che si prepararono ad accogliermi nella loro vita.
In quel periodo, in Romania, le adozioni erano relativamente semplici perché non ancora
bloccate. Così sono arrivato io, impaurito, ma allo stesso tempo desideroso di conoscere una
vita migliore.
Prima di giungere in Italia, ho vissuto in un grande orfanotrofio, situato nei dintorni di
Slobozia, una cittadina non lontana da Bucarest, dove tutto era brutto: le stanze, le
persone, il cibo. Eravamo costretti ad ogni tipo di privazione e venivamo considerati peggio
delle bestie.
L’esperienza in orfanotrofio ha segnato in modo indelebile la mia esistenza e, se ora sono
un ragazzo equilibrato e sereno, lo devo soprattutto a mia madre ed alla mia famiglia perché
mi hanno seguito passo dopo passo, nel mio cammino di recupero di una vita dignitosa.
Per anni ho cercato di cancellare l’incubo vissuto e, spesso, mi sono rifiutato di parlare la
mia lingua poiché mi suonava crudele: mi ricordava troppe cose brutte! Mio padre, con
grande intelligenza ed infinita pazienza, mi ha insegnato ad amarla. Ora gli sono grato
perché potrò comunicare con mia sorella Sofia. E’ proprio lei l’unico motivo per cui ho preso
questo aereo: siamo stati separati e voglio ritrovarla. In tutti questi anni è stato un pensiero
costante! La voglio riabbracciare a tutti i costi, devo sapere dove sia finita, che cosa le sia
successo.
Quando raccontai a mia madre della sua esistenza, mi promise di accompagnarmi a
cercarla non appena la legge me lo avesse permesso. Ed eccola qui, accanto a me, a tener
fede a quella promessa fatta ad un bambino impaurito dalla vita.
Questo viaggio per me è importante, ma riaprirà ferite dolorose, ricordi che forse non
sono nemmeno conscio di avere. Nel tempo, ho voluto cancellare tutto, ma ora, questo
percorso a ritroso, mi costringe a tornare indietro, al periodo della mia infanzia.
Mia madre sta dormendo serenamente, ma per me è impossibile perché i fantasmi del
passato, che speravo distrutti per sempre, riaffiorano nella mia mente ed è impossibile
fermare il fiume di immagini che mi travolge e mi stordisce.
Pensando a mia sorella, mi viene in mente la nostra ultima notte nella “Casa dei figli di
nessuno”.
Odiavo quel posto, ma la paura di capitare in un luogo più brutto, con persone più
cattive, aveva la meglio su ogni altro desiderio.
La paura più grande, quasi che fosse un presentimento, era quella che mi separassero da
mia sorella. Fino a quel momento avevamo fatto di tutto per rimanere insieme!
Nella “Casa dei figli di nessuno” Sofia viveva con tutte le altre bambine. Ci vedevamo poco
perché le Signorine non volevano che ci affezionassimo l’una all’altro.
Ora che sono un adulto, capisco quanta cattiveria ci fosse in quelle donne, quanto
rancore covassero nei nostri confronti. Da loro non abbiamo mai ricevuto una parola di
affetto, mai un bacio o una carezza; ci trattavano come se fossimo dei mostri e non delle
creature innocenti. Per loro, evidentemente, eravamo frutto del peccato, errori da
nascondere, animali da maltrattare e da usare per il proprio piacere.
Amavo talmente tanto mia sorella che, incurante delle dure restrizioni vigenti, di notte
scappavo sempre, senza farmi vedere da nessuno, ed andavo a farle compagnia. Era così
piccola! Aveva paura dei rumori del cielo e del buio. Anch’io, per anni, ho avuto paura di
andare a letto, ma ero più grande e dovevo mostrarmi forte per tutti e due.
Nessuno ci tutelava, nessuno sapeva quanti bambini ci fossero lì dentro.
Quando mia madre mi ha raccontato tutta la trafila che hanno dovuto affrontare per
avermi, mi son sentito disperato: quanti bambini dovranno essere costretti a non conoscere
l’amore ed il calore di una famiglia e quanti aspiranti genitori dovranno rinunciare ad
abbracciarli? Chi non ha visto quello che sono stato costretto a vedere io, non può capire
che cosa ho provato quando ho saputo che, a causa di stupidi cavilli, tante persone per bene
non siano diventate genitori.
Odio ripensare alla mia vita nella “Casa dei figli di nessuno” e, se potessi, ritornerei in
Italia, ma forse è giunto il momento di affrontare i miei fantasmi.
Della “Casa dei figli di nessuno” conservo un brutto ricordo: il freddo, la fame e le
punizioni. Le Signorine giustificavano il loro operato, convincendoci che nessuno vuole i
bimbi cattivi e che le punizioni servono a diventare buoni. Ma i loro metodi non sono serviti
a migliorarci: ci hanno fatto solamente perdere la fiducia negli adulti e nella vita. Sono
contento, tuttavia, che la loro immensa cattiveria non mi abbia reso un mostro.
Mi hanno fatto sempre sentire cattivo mentre, ai miei occhi, mia sorella era sempre
buona: ricordo che obbediva ai loro ordini. Per timore di essere scoperta e punita, arrivava
addirittura a cacciarmi a calci dal suo letto. Ci rimanevo sempre male quando si comportava
così, ed ora penso che la sua paura fosse più grande dell’amore che nutriva per me.
A me piaceva stare con lei, mi faceva sempre ridere e la sua vicinanza mi dava il coraggio
di resistere in quella fogna.
Forse sono un illuso, forse lei non desidera rivedermi, così come non mi voleva vicino di
notte. Forse sbaglio a pensare così! Forse è la paura a farmi tentennare!
Credo che mi odi perché, per tenerla sempre con me, non l’ho incoraggiata a farsi
adottare.
Per noi, il concetto di famiglia era molto vago.
Adesso so che molte di quelle coppie, che ci facevano visita nei giorni di festa, sceglievano
la via dell’adozione non per amore, ma per farsi diminuire le tasse, visto che Ceausescu
penalizzava, con tasse elevatissime, le coppie senza figli.
Quell’ultima sera nella “Casa dei figli di nessuno” ero triste perché temevo di non vedere
più i miei amici.
Adesso so che, in quei momenti di rivolta, di sconvolgimenti e di cambiamenti, i mezzi di
comunicazione occidentale vennero a conoscenza delle condizioni di quegli squallidi
Orfanotrofi di Stato e, per arginare la forte reazione popolare, i più grandi furono chiusi ed i
bambini mandati in unità simili alle case-famiglia.
Noi, ovviamente, eravamo all’oscuro di tutto: non sapevamo chi fosse Ceausescu, né che
esistessero altre nazioni o altri luoghi al di fuori del nostro piccolo, squallido mondo.
L’unica mia certezza era che non sarei andato in una famiglia perché troppo grande e
troppo cattivo.
In quei momenti di confusione, per me, il non sapere dove saremmo finiti fu una tortura
peggiore di tutte quelle che avevo dovuto sopportare fino ad allora.
Sofia pianse tutto il giorno, non voleva andare via. Per farla smettere, le raccontai che
avremmo raggiunto un posto bellissimo, dove nessuno ci avrebbe più punito. Non potevo
vederla piangere e sapevo che questa storia le sarebbe piaciuta. Chissà se ci ha creduto
veramente!
Aver inventato quella storia fu un vero cruccio per me! Mi chiedevo “E adesso come
faccio? Che cosa le dirò quando ci porteranno in un posto peggiore?”
All’epoca, infatti, ero sicuro che non potessero esistere adulti che non picchiano i
bambini.
Mi avevano inculcato l’idea che la disciplina forma uomini e donne forti e, per loro,
disciplina equivaleva a pene corporali! Forse potevano aver ragione, ma per me contava
solamente la certezza che le botte fanno male. Non conoscevo il modo, ma, dentro di me,
coltivavo la speranza di diventare un uomo forte, ma non a quel prezzo! Se quella doveva
essere l’unica via, in cuor mio, preferivo diventare debole. Ora so che erano solamente scuse
per coprire e giustificare la loro cattiveria, che esistono adulti che amano i bambini e si
sacrificano per loro e che ogni bambino ha diritto ad una vita felice. Mi batterò, fino al mio
ultimo respiro, perché tali ingiustizie siano cancellate dalla faccia della Terra! Nessun
bambino dovrebbe pensare di meritare le botte che gli danno e vedere i soprusi come la
giusta punizione al proprio comportamento. E’ più dolorosa questa convinzione, di qualsiasi
pena corporale. La rassegnazione rende l’uomo spiritualmente misero. Togliere la speranza
ad un bambino: è questo il peggior crimine!
La mia ultima notte nella “Casa dei figli di nessuno” la passai a ricordare ogni momento
della mia vita in quell’inferno.
Fuori stava già arrivando la prima luce e già pensavo che, di lì a poco, ci avrebbero
buttati giù dal letto e ci avrebbero lavato con la neve sciolta. Odiavo questo metodo ed il mio
solo pensiero di conforto fu che quella sarebbe stata l’ultima volta, l’ultima davvero! Non
m’importava più dove ci avrebbero mandato perché ormai, ne ero certo, non sarebbe stato
peggio.
Dopo una notte passata in bianco mi sentivo distrutto, ma raccolsi tutte le mie forze e mi
alzai: non volevo finire in punizione proprio quel giorno!
Ricordo che quella mattina ci fu una gran confusione: non avemmo neanche il tempo di
lavarci e fare colazione!
Quel mattino faceva veramente molto freddo, l’acqua della fontana era completamente
gelata e non scorreva più. Quel pullman sgangherato, era così pieno di bambini che,
nonostante la temperatura, si riscaldò in fretta. Durante la corsa, però, coperti dai nostri
maglioncini bucati dalle tarme, gli spifferi ci fecero gelare. Nella mia inconsapevolezza, ero
felice perché avrei finalmente visto che cosa si celasse al di là del grande cancello di ferro
che, per tanti anni, mi aveva tenuto prigioniero. Gli altri non mi sembravano tanto felici, io
ero più grande di molti di loro e forse ero più stanco di vivere in quel posto. Eravamo in
tanti, alcuni piangevano e si stringevano ai più grandi. Ivan ed io eravamo consapevoli che,
purtroppo, ci avrebbero portati in un altro orfanotrofio. In cuor mio speravo solamente di
rimanere con Sofia, il resto non mi interessava.
All’inizio il buio non mi fece scorgere nulla del paesaggio. Intento a consolare i più
disperati, sentii solamente il dondolio dell’autobus che avanzava; ad un certo punto alzai gli
occhi e vidi monti giganteschi che ci sovrastavano, coperti di bianchi abeti! Attraversammo
per ore quell’immensa foresta ed il forte bagliore della neve rischiarò il nostro cammino.
Ogni tanto mi giravo a guardare Sofia: riuscivo ad intravederla attraverso il finestrino!
Ricordo, come fosse adesso, il suo naso schiacciato sul vetro ed i suoi grandi occhi blu
spalancati! Anche lei era stupita dal paesaggio: non avevamo mai visto nulla di simile! Nella
“Casa dei figli di nessuno” tutto sembrava talmente piccolo e ristretto. Provai quasi una
sorta di rimpianto per quel nostro piccolo mondo: Cosa ci avrebbe offerto il futuro?
Tra una gioiosa aspettativa e il timore dell’ignoto, iniziai quella nuova avventura.
Al mattino, dopo aver passato la notte in un freddo capannone, eravamo tutti scoraggiati
ed io ero in fibrillazione perché non avevo ancora trovato mia sorella! Alcuni dicevano che le
femmine erano già partite con un altro autobus. Quello del giorno prima non c’era più e la
paura, mescolata alla certezza di non rivederla mai più, si fece sempre più largo nella mia
mente.
Le mie proteste continuarono: venni punito. Mi sentii lacerare nel corpo e nell’anima. La
mia unica colpa fu quella cercare mia sorella e di essere un povero bambino indifeso.
Adesso, che sono un ragazzo alto 1 metro e 97, non si permetterebbero mai di trattarmi così.
Mi umiliarono talmente tanto e mi ferirono fino in fondo all’anima, tanto che ormai ero
convinto che la mia vita non avesse più scopo e che niente di bello mi sarebbe mai accaduto.
Speravo solo che Sofia fosse capitata nel bel posto che le avevo descritto, almeno avrebbe
avuto un buon ricordo di me.
Oggi come allora, mi chiedo:
“Si ricorderà di me ora che ha una nuova famiglia?”
Ora come allora, la mia unica speranza è che non le abbiano fatto del male. Lei era così
piccola, fragile, non avrebbe potuto sopportarlo! Da anni non ci sono più io a proteggerla,
spero che qualcuno l’abbia fatto al mio posto.
L’aereo sta per atterrare a Bucarest, mia madre si è svegliata, ignara dell’inferno che ho
rivissuto questa notte. Mi sorride ed il suo amore scalda ed appaga tutte le sofferenze che ho
subito lontano da lei.
CAPITOLO 2
Camminare per le strade di Bucarest mi dà una strana sensazione: sono nel mio Paese
d’origine, eppure non lo sento mio. Passando, sento parlare in romeno e mi stupisce
comprendere tutto. Ora capisco il motivo per cui mio padre abbia tanto insistito perché
continuassi a seguire la televisione romena. La guardavo malvolentieri perché i programmi
non mi piacevano tanto. Ultimamente ho comprato un libro di grammatica romena e mi
sono esercitato nella lettura: quando sono partito di qui non sapevo leggere tantissimo. Nella
“Casa dei figli di nessuno” non ci insegnavano niente; quel poco che so l’ho imparato con
Katiuscia al “Rifugio dei piccoli”. Saper leggere la mia lingua madre mi servirà a decifrare i
documenti. La nostra sarà una ricerca difficile, quasi disperata. L’Associazione, alla quale si
sono rivolti i miei genitori per adottarmi, ci ha detto che difficilmente riusciremo a scoprire
dov’è stata mandata Sofia, ma io ci devo provare lo stesso: mi arrenderò solamente quando
avrò percorso tutte le vie possibili ed immaginabili. Devo farlo per me stesso e per lei. Devo
ritrovare mia sorella e sapere che ne è stato di lei, se è felice come lo sono io con la mia
famiglia. So che ormai le nostre strade si sono separate, ma siamo sempre fratelli, ed io
provo un grande affetto. Ho passato questi ultimi undici anni a pensare a lei. Non sono mai
riuscito a gioire del tutto perché, in fondo al cuore, avevo sempre quell’angoscia di non
sapere che fine avesse fatto. Non so se lei mi cercherà, ma io devo provarci perché sono più
grande e mi sono sempre sentito responsabile per lei.
Cammino per le strade di questa magnifica città, ma tutto sembra scivolarmi via. Forse
un giorno riuscirò a godere di questi bei palazzi, ma la Romania, per me, non ha bei ricordi.
A volte vorrei solo dimenticare e credo che, se non fosse stato per cercare mia sorella, qui
non ci avrei messo più piede.
In questi anni ho conosciuto tanti ragazzi adottati da famiglie italiane e molti di loro
esprimono la volontà di cercare i loro genitori naturali per poter rispondere a tutte quelle
domande che si sono fatti per anni e che non hanno avuto risposta.
Mia madre mi ha insegnato a non nutrire rancore nei confronti dei miei genitori naturali,
ma per me sono morti nel momento in cui mi hanno lasciato in quel posto infame. Non
esistono, per me, genitori diversi da quelli che mi hanno accolto a braccia aperte nella loro
casa. Il resto non mi interessa. Sono qui solamente per Sofia: è lei l’unica famiglia romena
che riconosco.
Ricordo il giorno in cui, con stupore, scoprii di avere anch’io una madre ed un padre
naturali! Le Signorine continuavano a dirci che eravamo figli di animali, figli della strada,
rifiuti che nessuno avrebbe mai amato. E’ stato difficile per me, una volta adottato, credere
nell’amore dei miei genitori e dei miei fratelli: ero veramente convinto di non meritare nulla
dalla vita!
Sapevo benissimo di non essere sempre stato nella mia nuova famiglia, eppure non mi
ero mai posto il problema di sapere da dove venissi realmente e forse questo atteggiamento
mi è rimasto da allora.
Ricordo che il primo giorno di scuola fu per me scioccante: sentii che i miei compagni mi
percepivano come un’unità diversa non solamente perché venivo dalla Romania, ma
piuttosto perché vivevo con genitori che non mi avevano procreato.
Quella sera avevo appena finito di dire le mie preghiere, quando Susanna entrò nella mia
stanza e, con la sua dolcezza, mi fece tante domande sul mio primo giorno di scuola. Le
dissi solamente che facevo fatica a seguire tutto ma che i maestri mi avrebbero aiutato.
Esitavo a raccontare dei miei compagni e lei se ne accorse. Riuscì a farmi confessare di
essere fuggito dalla classe perché impaurito da tutte le domande che, durante l’intervallo, mi
avevano rivolto. Mi ero sentito come un animale in gabbia, come un’attrazione del circo.
Spaventato, mi rifugiai nel bagno. Ero angosciato e mi sentivo indifeso senza la protezione
della mia famiglia: era la prima volta che mi lasciavano solo e per questo, lo confesso, li
odiai profondamente. Non sapendo cosa fare, come rispondere e a chi chiedere aiuto, decisi
di chiudermi in bagno. La domanda che più mi fece paura fu quella sui miei genitori
adottivi: non sapevo neanche che cosa volesse dire! Susanna, capito il problema, mi spiegò
che mamma e papà erano i miei genitori adottivi perché mi avevano accolto nella loro casa
ed io ero diventato loro figlio, proprio come lei e Simone.
Mia sorella mi tranquillizzò dicendomi che i miei compagni volevano solamente
conoscermi e che non dovevo giudicarli male per questo.
Avevo bisogno di confidarmi, volevo avere certezze. Avevo paura che qualcosa sarebbe
cambiato e che mi avrebbero rimandato indietro. Ero così sconsolato che mi veniva da
piangere, ma mi sforzavo per non far vedere la mia debolezza. L’arrivo della mamma fu per
me provvidenziale perché lei avrebbe potuto farmi capire tante cose, come sempre. Al
principio temevo di aprirmi, ma lei ha sempre saputo come prendermi e come aiutarmi.
Susanna andò giù a fare compagnia ai nonni e ci lasciò da soli: sapeva che la mamma mi
avrebbe consolato e rassicurato. A lei confessai subito che i miei compagni non mi
piacevano perché troppo impiccioni.
Trovai il coraggio di chiederle che cosa volesse dire mamma naturale. Con infinita
dolcezza me lo spiegò. Alla fine del suo racconto, ero arrabbiato perché avrei voluto nascere
dalla sua pancia e non da quella di una donna che mi aveva abbandonato. Mia madre mi
spiegò che le cose erano andate così perché dovevo essere il loro figlio del cielo. Mi spiegò
che, a volte, le mamme non possono tenere i loro bambini e che non bisogna giudicarle.
Continuavo a non capire e, ancora adesso, non accetto che quella donna ci abbia
abbandonati in quel posto orrendo.
Le dissi che non era così bello come voleva farmi credere e che l’orfanotrofio non può
essere il luogo migliore per lasciare un neonato. Il mio odio per quella sconosciuta lievitava
man mano che mia madre tentava di dare una ragione logica ad un comportamento illogico.
La mamma si sforzava di farmi vedere le cose da un punto di vista differente ma, in tutti
questi anni, nonostante i suoi sforzi, non sono riuscito a perdonare né a capire. L’unica cosa
su cui concordo è che, grazie a quella donna, ora sono al mondo e posso godermi la mia
amatissima famiglia.
La paura di non essere amato fino in fondo e soprattutto di essere portato via da loro in
qualsiasi momento, mi tormentava di notte ed ancora, dopo tanto amore e tanti anni, non è
del tutto svanita.
Il ricordo più bello che ho di quella conversazione è il gesto che, alla fine, fece mia madre:
mi ospitò sotto il suo maglione e fece finta di “aspettarmi”. E’ un gioco che ho sempre amato
e che mi ha aiutato nei momenti difficili. Spesso ne ho nostalgia.
Ripensare a quel momento mi emoziona ancora tantissimo! Ogni parola è scolpita nel mio
cuore e nella mia mente. Sapere che non venivo dalla strada, ma dalla pancia di una donna,
per me è stato importante perché mi sono sentito simile agli altri, ma la cosa che più mi ha
dato gioia è stato il sentire quanto mia mamma mi ami al di là di ogni vincolo di sangue. Il
suo amore è puro e speciale e, per me, questo è un dono più prezioso della vita stessa.
Ricordo che, ogni volta che mi sentivo smarrito e sconsolato, la mamma mi proponeva il
gioco della nascita e mi diceva:
“Prendiamo questa coperta......coraggio vieni qui, vicino a me, rannicchiati sulla mia pancia,
così posso coprirti con la coperta.”
Lì sotto si stava benissimo! Era un’esperienza bellissima che ho ripetuto più volte nei
primi anni. Sentivo il cuore della mamma battere, il ritmo era costante e a me sembrava
dolce come una ninna nanna. La mamma accarezzava la coperta come le donne incinta
accarezzano la loro pancia e mi diceva tante belle cose, quelle parole che tutte le future
mamme dicono ai loro bambini. Io l’ascoltavo e mi sembrava di essere speciale: non mi ero
mai sentito così. Eravamo il bambino e la sua mamma e tutto quello che ci circondava
sembrava non esistere. Poi veniva il momento della nascita: la luce quasi mi accecava e
sentivo freddo, ma il dolce abbraccio della mamma mi faceva sentire in paradiso!
Quando facevamo questo gioco, dopo essere nato, passavo ore intere tra le sue braccia e
lei mi cullava come se fossi ancora un neonato.
L’amore per mia madre è sconfinato: non esiste una persona speciale come lei. Anche in
questo momento difficile della mia vita, mi è accanto e non mi lascia mai. Mi guarda con
tenerezza ma non mi domanda nulla. So che rispetta tutto ciò che sto passando. Anche se
non parliamo, conosce il mio tormento di questi giorni.
Il taxi ci porta al nostro albergo: è bellissimo! La Romania non è tutta come la “Casa dei
figli di nessuno”: esistono posti davvero meravigliosi e questo hotel è uno di quelli.
La nostra camera è molto grande ed offre una vista stupenda su tutta la città. E’ talmente
suggestiva che mi viene voglia di uscire per strada e percorrere ogni suo viottolo. Ma la
nostra non è una visita di piacere e subito si fa strada, nella mia mente, la voglia di cercare
Sofia e, allo stesso tempo, il bisogno di fuggire per tutelarmi da brutte sorprese. Non so
perché, ma ho il presentimento che qualcosa andrà storto e che rimpiangerò fortemente di
aver voluto intraprendere questo viaggio.
CAPITOLO 3
L’ora “x” è scoccata! Questa mattina inizieremo le nostre ricerche. Su suggerimento
dell’Associazione, ci rechiamo nell’ufficio di Andrei Maiorescu, l’uomo che ha aiutato i miei
genitori ai tempi della mia adozione. È ancora il referente dell’Associazione qui in Romania e
spero voglia aiutarci nella nostra ricerca. E’ mio diritto sapere dove sia mia sorella, eppure
sembra che nessuno voglia darmi concretamente una mano. Questo referente non ci è stato
di aiuto in questi ultimi due anni. Spero che ora che siamo qui, e potremo vederlo di
persona, si dia una svegliata!
L’ufficio di Andrei Maiorescu si trova in un edificio imponente: mi suscita un po’ di
soggezione! Non so perché, ma da quando sono arrivato qui mi sento come un bambino
smarrito! Sarà perché quando partii ero bambino ed ora mi sembra di essere tornato
indietro nel tempo, come se dovessi riprendere il bandolo della matassa della mia vita.
Andrei Maiorescu ci sta aspettando:
“Buongiorno. Sono Vasilij Signorini e questa è mia madre, Chantal La Croisette Signorini.
La ringrazio per averci ricevuti.”
“Bene arrivati! Piacere di rivederla, signora!”, la sua mano è forte ed il suo sguardo
sincero. Mi mette subito a mio agio e ritorno padrone di me stesso, “Sei diventato un bel
giovanotto! Mi fa piacere rivederti! Accomodatevi.”
L’ufficio di Andrei Maiorescu è molto luminoso: le pareti sono ornate da quadri
giganteschi con cornici dorate che conferiscono, allo stesso tempo, austerità e luce. In terra i
tappeti sono prevalentemente rossi. Una bellissima libreria antica occupa la parete di fondo
e sembra incorniciare la grande finestra. La scrivania è immensa, piena di fascicoli, con
cartellette di vari colori. Su una di queste, la prima della pila, spicca il mio nome ed il cuore
ha un sussulto. Mi siedo, come colpito improvvisamente, sulla comoda poltrona posta al di
qua della scrivania. Ormai non vedo più nulla, solamente quella cartelletta! Lì dentro, forse,
sono custodite le risposte alle mie domande.
“Il tuo caso mi ha colpito molto, Vasilij. Purtroppo non è inconsueto che dei fratelli
vengano separati in fase di adozione. Quando i tuoi genitori seppero dell’esistenza di tua
sorella, feci, dietro loro richiesta, delle ricerche e ricostruii un po’ la vostra storia, ma non
trovai praticamente nulla. Temo di non avere tutte le risposte che cerchi..........Tuttavia ti
esporrò il risultato del mio lavoro. In qualità di maggiorenne e parte in causa, hai il diritto di
avere tutte le informazioni sulle tue origini e sul destino di tua sorella. Alcune informazioni,
quindi le rilasceranno solamente a te. Per quello che ho potuto sapere, il vostro
trasferimento dalla “Casa dei figli di nessuno” è stato causato da una direttiva che imponeva
la chiusura immediata dell’orfanotrofio a causa di irregolarità che erano state riscontrate,
ma di cui non si sa nulla. I bambini sono stati smistati in case di accoglienza più piccole in
visione di una adozione a breve tempo. Non conosciamo l’esatta destinazione di ciascuno di
voi perché non esiste un censimento vero e proprio dei bambini ospiti nella “Casa dei figli di
nessuno”. Oserei dire che, a causa dell’immediatezza dell’azione, i bambini siano stati
affidati ad altri istituti senza un ordine prestabilito. Dalle carte, infatti, non risultava
neanche che tu fossi stato affidato al “Rifugio dei piccoli”. Quello che è certo è che i maschi e
le femmine sono stati divisi e sono riuscito a conoscere solo due destinazioni delle bambine,
ma non posso dirti se tua sorella sia stata affidata ad una di queste strutture. I nomi e gli
indirizzi li ho trascritti su questo foglio, spero ti possano essere utili. Purtroppo è tutto
quello che ho potuto fare per te. So che non è molto, mi dispiace!”
“Lei mi è stato di grande aiuto, signor Maiorescu! Questa è una pista che posso
percorrere! Credo sia meglio di niente.”
“Le siamo molto grati, signor Andrei! Mio figlio ha tanto aspettato questo momento!
Rivedere la sorella per lui è stato un pensiero continuo in tutti questi anni ed anche noi
vogliamo sapere la verità. Le faremo conoscere l’esito delle nostre ricerche. La ringraziamo
per il suo aiuto e per il suo interessamento.”
“Avrei voluto fare di più per voi, ma non è stato possibile. Vi consiglio di recarvi agli Archivi
Generali, sezione Minorenni. Lì potrai accedere agli incartamenti riguardanti la tua storia. E’
un archivio accessibile solamente ai diretti interessati, le regole sono molto ferree. A me non
hanno detto nulla, neanche in qualità di referente dell’Associazione che ha seguito la tua
adozione. Dovrai andare lì con il tuo passaporto e tutti i documenti relativi l’adozione, sia
quelli originali in romeno, che quelli tradotti in italiano. Con tutti questi incartamenti non
dovrebbero farti storie, se dovessi avere dei problemi, mostra questo documento ufficiale che
riporta gli estremi della legge che ti permette di visionare il tuo fascicolo personale. Dovrai
andare da solo, non credo che facciano entrare anche tua madre. Cerca di essere conciliante
e
non perdere le staffe. Proveranno in tutti i modi di metterti in difficoltà, ma mantieni il
sangue freddo e fai capire che sei intenzionato ad andare fino in fondo.”
“La ringrazio per i suoi preziosi consigli. Le farò sapere. Arrivederci.”
Usciti dall’ambasciata, mi sembra di respirare aria nuova:
“Allora, che ne pensi? Sei soddisfatto o deluso?”
“Le cose sono andate diversamente da come mi aspettassi, ma devo dire che non sono
deluso perché ora ho due piste da seguire.”
“Poverino! Lo abbiamo tanto criticato e invece.......forse ha fatto tutto quello che era in
suo potere!”
“Già!”
“Speriamo di poter trovare molto di più! Da dove intendi iniziare? Credo che il primo
passo sia meglio farlo in direzione degli Archivi Generali, che ne dici?”
“Penso sia la cosa migliore! Andrei Maiorescu mi ha dato una cartina in cui mi ha
cerchiato il luogo che ci interessa. E’ stato molto gentile, non credi?”
“Si! Quando sarà finita questa storia, propongo di fargli un omaggio.”
“Sono pienamente d’accordo con te! E adesso...........iniziamo la nostra ricerca! Abbiamo
tutti i documenti necessari?”
“Si, è tutto in questa borsa!”
“Brava mamma!”
Gli Archivi Generali sono solamente a quaranta minuti di cammino. La mia testa vaga in
continuazione, non riesco a concentrarmi su un pensiero preciso, ma una domanda
rimbomba nella mia mente: “Sei sicuro di voler sapere tutto sul tuo passato?”. Non ho
risposta o forse non voglio pensarci. L’unica cosa che m’importa è trovare Sofia.”
Siamo giunti a destinazione fin troppo presto! Qui i palazzi sono tutti maestosi e mettono
soggezione. Memore del consiglio di Andrei Maiorescu, lascio mia madre in un bar vicino e
mi avvio verso la verità.
L’usciere appare svogliato, mi guarda infastidito, come se avessi disturbato il suo tran
tran quotidiano. Scruta tutti gli incartamenti, mi dice di recarmi al terzo piano e chiedere
alla guardia che troverò lì.
Le scale sembrano non finire mai, qui un piano ne vale due dei palazzi moderni!
Finalmente giungo a destinazione, attraverso una porta piccina e subito sento urlare:
“Dove credi di andare, ragazzo?”
Spiego che l’usciere mi ha mandato lì e mostro nuovamente tutti gli incartamenti. L’uomo
m’invita a seguirlo attraverso lunghissimi corridoi, poi, finalmente, giungiamo in un piccolo
ufficio. C’è odore di muffa e carta ammassata da anni. Una signora dagli occhiali spessi,
magra come un chiodo, spulcia tra le mie carte. Guarda con interesse anche quelle in
italiano: possibile che conosca la lingua?
“Perché sei venuto qui?”
“Perché voglio ritrovare mia sorella. Ci hanno separato undici anni fa e voglio ritrovarla,
sapere come sta.”
“Noi non siamo un ufficio oggetti smarriti!”
Questa battuta mi svia e m’innervosisce, ma cerco di fare tesoro prezioso dei consigli di
Andrei e cerco di non perdere la mia lucidità.
“Lo so, ma forse, nel mio fascicolo potrò scovare degli indizi che mi serviranno per
ritrovarla.”
“Sei sicuro di voler sapere da che fogna vieni? Fossi in te, me ne tornerei in Italia, nella
tua bella casa. E’ meglio non sapere, credimi.”
“Non mi interessa conoscere le mie origini, voglio solo delle tracce per trovare mia
sorella.”
“Potresti scoprire cose che non avresti mai voluto sapere.”
“Conoscere i miei incartamenti è un mio diritto. Questo documento lo attesta!”
Tiro fuori la carta che mi ha consegnato Andrei Maiorescu e la metto con energia sul
bancone che mi separa da questa signora impertinente ed antipatica.
“Conosco meglio di te la nostra legge, pivello! Quello che ti dico è per il tuo bene! Ho visto
troppi ragazzi uscire da questo archivio in lacrime. Credimi, a volte è meglio non sapere!”
“La ringrazio per la sua premura, ma sono disposto a tutto pur di ritrovare Sofia.”
“Anche a farti crollare il mondo addosso? I tuoi vestiti sono belli e sei una persona colta,
si vede dal tuo portamento. Sei stato fortunato a trovare una famiglia che ti ha voluto bene.
Segui il mio consiglio, lascia stare il passato e guarda solamente al futuro.”
“Un uomo senza passato non ha futuro! La prego di farmi strada, mia madre sta
attendendo qui sotto.”
“Forse sarai abbastanza forte per sopportare........ Ti auguro buona fortuna, straniero.”
Sentirmi chiamare straniero mi ha fatto effetto, ma, dopotutto, è la realtà: questo non è
più il mio Paese, così come la mia madre naturale non è più mia madre. Mi sento come se
mi fosse morto qualcuno, forse solamente adesso mi rendo conto di cosa vuol dire essere
rifiutato ed abbandonato dalla donna che mi ha dato la vita. E’ una sensazione strana,
terribile. Quella donna ha ragione: questa ricerca sconvolgerà la mia vita, il mio mondo
interiore, tutto quello che, con fatica, la mia famiglia ha cercato di costruire in questi nove
anni. Sarà la prova decisiva che dovrò affrontare per diventare uomo. Adesso capisco perché
è consentito solo agli adulti intraprendere queste ricerche: per un bambino sarebbe
devastante e fuorviante.
Una parte di me vorrebbe correre via a gambe levate, ma l’attrazione verso la verità è più
forte! Devo farmi coraggio ed affrontare la realtà! Dopotutto so già di essere stato
abbandonato.
Il fascicolo che la signora mi porge è grandissimo e pieno di polvere! Lei è talmente
minuta che non so neanche come abbia fatto a tirarlo giù dallo scaffale!
“Cerca qui, dovresti essere qui dentro! Quando hai trovato quello che cerchi, dimmelo, se
hai bisogno ti faccio delle copie. Sono a pagamento. Il libro non può essere spostato se non
da me. Quindi resta qui e se non ci vedi, aiutati con questa torcia. Sai leggere il romeno?”
“Si, ho lasciato la Romania a nove anni.”
“Bene. Non spostare niente! Capito? Chiamami.”
“Va bene, grazie.”
Cercare è più difficile di quanto credessi: ho difficoltà a decifrare queste scritture
manuali. Non le chiederò aiuto, voglio fare da solo. Mi dispiace che mia madre debba
aspettare tanto: è già un’ora che sono qui dentro e devo ancora iniziare la ricerca. Forse
sarebbe stato meglio riportarla in albergo!
Cerco febbrilmente tra le carte ed ogni volta che giro un foglio ho paura che mi sia
sfuggito qualcosa e lo riguardo.
E’ passata mezz’ora e non ho ancora trovato niente: mi viene il dubbio che quella signora
mi abbia voluto fare un dispetto! Forse non è convinta che io sappia decifrare questi
documenti! Sto diventando nervoso ed impaziente: qui dentro manca l’aria, questo odore di
muffa mi sta penetrando ovunque e la luce è talmente fioca che mi bruciano terribilmente
gli occhi. Ogni volta che giro una pagina ingoio polvere; le mie dita sono tutte nere.
Quando ormai stavo perdendo ogni speranza ecco che trovo la mia scheda:
Vasilij, nato a Bucarest il 10/03/1980
nome della madre: Sofia Andrenova nata il 22/08/1960
professione: cameriera
Padre: IGNOTO
Abbandonato nell’Orfanotrofio “Casa dei figli di nessuno” il 12/03/1980
Questo è tutto quello che riesco a sapere dopo quasi due ore di ricerche!
Sono talmente arrabbiato che mangerei questo foglio di carta! Non mi farò fare nemmeno
una copia: a che servirebbe? Mia madre mi ha abbandonato a soli 2 giorni. Il suo nome lo
ricorderò anche senza riscriverlo!
Chiamo la signora e le dico che ho terminato:
“Non vuoi una copia?”
“No, grazie.”
“Senza questa copia non sarai autorizzato a richiedere notizie di tua madre.”
“Non mi interessa avere notizie su quella donna, sto cercando mia sorella!”
“Come vuoi. Fossi in te farei la copia.”
“E va bene, me ne faccia una copia!”
Pago una cifra assurda per un pezzo di carta che non mi servirà a nulla, ma ho la
sensazione che se dovessi tornare per qualche informazione, mi farebbe ostruzionismo.
Mentre mi consegna la copia appare immensamente soddisfatta: forse percepisce una
percentuale!
Uscire da quell’ufficio opprimente è per me una liberazione. Sono al punto di partenza e
mi sento più svuotato che mai! Vedere mia madre e poterla riabbracciare mi dà tanta forza e
sicurezza:
“Allora? Hai scoperto qualcosa?”
“Si, che qui le copie dei documenti costano una follia!”
“Cosa?”
Spiego brevemente a mia madre l’accaduto e non le nascondo la mia delusione, ma lei,
come sempre, riesce ad aprire uno spiraglio di luce nella mia mente oscurata dagli eventi:
“Credo che quella signora avesse ragione: con questo in mano puoi cercare informazioni
sulla tua madre naturale e forse riuscirai a scoprire qualcosa sul destino di tua sorella.
Credo che l’orfanotrofio non esista più ma, forse, da qualche parte, potrebbe esistere un
archivio, qualcosa che possa metterci sulla buona pista. Conosciamo anche i due orfanotrofi
che ci ha segnalato Andrei Maiorescu, forse anche da lì potremmo attingere notizie
importanti. Non ti scoraggiare! Sapevamo che la ricerca non sarebbe stata facile! La prima
volta che mi hai parlato della tua volontà di ritrovare tua sorella, io e tuo padre ci siamo
attivati per ritrovarla: era nostra intenzione adottarla e riunirvi ma, purtroppo, tutte le
ricerche sono state vane. Adesso sono passati nove anni da allora e tutto è ancora più
difficile, ma vedrai che troveremo Sofia.”
“Davvero l’avreste adottata?”
“Certo!”
“L’avreste fatto per me? Oh mamma, siete due angeli!”
Sapevo di avere dei genitori dal cuore d’oro, ma non credevo che sarebbero stati disposti
a fare anche questo ennesimo sacrificio per me. Non riesco proprio a capire come possano
esistere persone che abbandonano i propri figli ed altre che amano quelli degli altri in modo
così sconfinato! Se mai avrò dei figli li terrò con me, qualunque cosa capiti, non li
abbandonerò mai e poi mai!
La confessione della mamma mi ha fatto venire in mente il giorno in cui le dissi che avevo
una sorella in Romania. Le chiesi se fosse disposta ad aiutarmi a cercarla; diventò
improvvisamente seria e quasi si scusò con me per quella sua mancanza d’informazione. Dai
miei documenti risultava solamente che ero nato a Bucarest il 10 marzo 1980 e che ero
stato trasferito al “Rifugio dei piccoli” nel 1989.
Mia madre mi promise che l’avremmo cercata insieme. Ripensandoci adesso, mi accorgo
di non aver mai creduto alle sue parole.
Per me era un mistero tutto l’amore che quella famiglia di estranei riversava su di me.
Non riuscivo a capire come mai mi amassero tanto.
Non mi sentivo ancora parte integrante della loro famiglia come invece sento di essere
ora, ma capivo che il mio futuro doveva essere lì, in quella casa, con quelle persone che, con
tutto il mio cuore, avrei voluto come famiglia.
Quando pensavo a come li stessi ingannando, sentivo il bisogno di correre via, via da
quello che rischiavo di amare troppo e che sentivo di dover perdere, via da me stesso, dal
mio destino avverso, dalla mia capacità di mettermi sempre nei guai.
Mia madre ha mantenuto la sua parola ed oggi, come allora, è accanto a me per farmi
coraggio.
Non so dove mi porterà questa mia ricerca, ma son sicuro che il rapporto con lei ne
uscirà sempre più rafforzato, anche se non credevo fosse possibile volerle un bene maggiore.
Tornare in Romania, per me, è stato come rimandare indietro il filmino della mia vita e mi
stupisco di come certe sensazioni, anche se importanti, siano rimaste intatte nella mia
mente. E’ come se stessi rivivendo nuovamente il mio passaggio dalla condizione di bimbo
abbandonato ed odiato da tutti, a bimbo accolto ed amato in modo sconfinato.