Il mio corpo cambiava, e con esso la mia esistenza

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Il mio corpo cambiava, e con esso la mia esistenza
ADOLESCENZA
E ADOLESCENZE
Simone de Beauvoir
Il mio corpo cambiava,
e con esso la mia esistenza
In questa pagina autobiografica la scrittrice francese Simone de Beauvoir rievoca alcuni momenti della sua adolescenza, di quell’«età ingrata» in cui il suo corpo cominciò a trasformarsi e con esso tutta la sua
esistenza.
La sicurezza dell’infanzia svaniva per sempre; in cambio non aveva guadagnato niente: solo dubbi, incertezze, angosce.
1. costernata: avvilita,
TEMI
afflitta profondamente.
2. Zazà: è il nome dell’amica del cuore di
Simone.
3. Poupette: è la sorella minore di Simone.
4. a che pro?: per quale vantaggio? per quale
utilità?
5. paleontologia: scienza che si occupa dello
studio dei resti organici
dei fossili, della loro origine, evoluzione e classificazione.
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Il mio corpo cambiava, e con esso la mia esistenza; il passato mi abbandonava. Ne fui costernata1. Papà e mamma dicevano sempre – e
il loro esempio sembrava confermarlo – che la vita finisce per prevalere sulle amicizie d’infanzia: avrei dunque dimenticata Zazà2?
Con Poupette3 ci domandavamo inquiete se il nostro affetto avrebbe resistito all’età. I grandi non condividevano i nostri giochi né i
nostri piaceri. Non ne conoscevo nemmeno uno che sembrasse divertirsi gran che: la vita non è una cosa allegra, la vita non è un romanzo, dicevano in coro.
La monotonia dell’esistenza degli adulti mi aveva sempre afflitta;
quando mi resi conto che tra non molto l’avrei condivisa anch’io, fui
presa dall’angoscia. Un pomeriggio – stavo aiutando la mamma a rigovernare i piatti, lei lavava e io asciugavo – dalla finestra vedevo il
muro della caserma dei pompieri, e altre cucine, con donne che strofinavano casseruole o pulivano la verdura. Ogni giorno, la colazione, il pranzo; ogni giorno fare i piatti; ore che ritornano indefinitamente e che non conducono a nulla: sarebbe stata questa la mia vita? nella mia mente si formò un’immagine, così nitida, così desolante, che me la ricordo ancor oggi: una fila di quadratini grigi che si
estendevano a perdita di vista, rimpicciolendo secondo le leggi della prospettiva, ma tutti identici e piatti; erano i giorni, le settimane,
gli anni. Da quando ero nata, ogni sera mi ero addormentata un po’
più ricca della sera prima; mi elevavo a grado a grado; ma se in cima
non avrei trovato nient’altro che un triste pianoro, senz’alcuna meta
verso cui puntare, a che pro4?
No, mi dissi ordinando sul ripiano una pila di piatti, la mia vita condurrà in qualche posto. Io preferivo infinitamente la prospettiva di
un mestiere a quella del matrimonio; autorizzava delle speranze.
C’era stata gente che aveva fatto cose: ne avrei fatte anch’io. Non sapevo bene quali. L’astronomia, l’archeologia, la paleontologia5, mi
avevano di volta in volta attirato, e continuavo ad accarezzare vagamente il progetto di scrivere. Ma erano progetti che mancavano di
consistenza, e non vi credevo abbastanza per affrontare con fiducia
l’avvenire.
Rosetta Zordan, Il Narratore, Fabbri Editori © 2008 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education
ADOLESCENZA
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lavoriinin6. corveés:
TEMI
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Messa.
della Messa.
fulvo: giallo
giallorossicrossic8. fulvo:
cio.
9. abuso: uso eccessivo, esagerato.
10. sordamente: nel
profondo di me.
11. la dissuasi dal farlo: la convinsi a non far-
lo, la indussi ad astenersi dal farlo.
12. reticenze: resistenze nel parlare, nel
confidarsi.
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Avevo perduto la sicurezza dell’infanzia; in cambio non avevo guadagnato niente. L’autorità dei miei genitori non s’era attenuata, e a
mano a mano che il mio spirito critico si risvegliava la sopportavo
con sempre maggiore impazienza. Non vedevo l’utilità delle visite,
dei pranzi di famiglia, di tutte quelle corvées 6 che i miei genitori ritenevano obbligatorie. Le risposte: «Bisogna», «Non sta bene», non
mi soddisfacevano più affatto. La sollecitudine di mia madre mi pesava. Ella aveva «le sue idee», che non si curava di giustificare, e così le sue decisioni mi apparivano spesso arbitrarie. Avemmo una discussione violenta a proposito di un messale7 che donai a mia sorella per la sua comunione solenne; io lo volevo rilegato in cuoio fulvo8, come quello che avevano la maggior parte delle mie compagne;
la mamma riteneva che una copertina di tela azzurra sarebbe stata
bella abbastanza; io protestai che i soldi del mio salvadanaio erano
miei; ella rispose che non si dovevano spendere venti franchi per un
oggetto che ne può costare solo quattordici. Mentre stavamo dal fornaio per comprare il pane, e poi salendo le scale per tornare a casa,
le tenni testa. Infine dovetti cedere, con la rabbia in cuore, ripromettendomi di non perdonarle mai più ciò che consideravo un abuso9 di potere. Se mi avesse contrariata spesso credo che mi avrebbe
precipitata nella rivolta. Ma nelle cose importanti – gli studi, la scelta delle mie amiche – ella interveniva poco; rispettava il mio lavoro,
e anche i miei divertimenti, chiedendomi soltanto piccoli servizi:
macinare il caffè, portare di sotto la pattumiera. Ero abituata alla docilità, e credevo che, in complesso, Dio l’esigesse da me; il conflitto
che mi opponeva a mia madre non scoppiò; ma sordamente10 ne
avevo coscienza; il suo ambiente l’aveva convinta che il ruolo più
bello per una donna era la maternità, e lei poteva svolgerlo solo se io
svolgevo il mio, ma io mi rifiutavo, con la stessa ostinazione di quando avevo cinque anni, a prestarmi alle commedie degli adulti. All’Istituto Désir, alla vigilia della nostra comunione solenne, ci esortavano a gettarci ai piedi delle nostre madri e chieder loro perdono
delle nostre colpe; non soltanto io non l’avevo fatto, ma quando venne la volta di mia sorella, la dissuasi dal farlo11. Mia madre ne fu offesa. Indovinava in me delle reticenze12 che la indisponevano, e mi
rimproverava spesso. Mi risentivo del fatto che mi mantenesse in
uno stato di dipendenza e affermasse dei diritti su di me. Inoltre, ero
gelosa del posto ch’ella occupava nel cuore di mio padre, poiché la
mia passione per lui era andata aumentando.
Quando egli mi approvava, ero sicura di me. Per anni, non mi aveva dispensato che elogi. Quando entrai nell’età ingrata, lo delusi; l’eleganza, la bellezza, erano queste le cose che apprezzava nelle donne. Non soltanto non mi nascose la sua delusione, ma cominciò a dimostrare più interesse che in passato per mia sorella, che restava una
graziosa bambina.
Così, i rapporti con la mia famiglia erano divenuti assai meno facili
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13. idolatrava: amava
e venerava.
14. sbrecciata: rotta,
spaccata.
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di un tempo. Mia sorella non mi idolatrava13 più senza riserve, mio
padre mi trovava brutta, e me ne faceva una colpa, mia madre diffidava degli oscuri cambiamenti che indovinava in me. Se avessero letto dentro di me, i miei genitori mi avrebbero condannata; invece di
proteggermi come un tempo, il loro sguardo mi metteva in pericolo.
Non abitavo più in un luogo privilegiato, e la mia perfezione s’era
sbrecciata14, ero insicura di me stessa e vulnerabile. Era inevitabile
che i miei rapporti con gli altri ne venissero modificati.
TEMI
(da Memorie di una ragazza perbene, Einaudi, Torino, rid.)
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