sentenza - CGIL Bergamo

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REPUBBLICA
Sent. N. 197/13
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
R. Gen. N. 481/12
La Corte d’Appello di Brescia, Sezione Lavoro, composta dai
Dott.
Antonella
NUOVO
Presidente rel.
Dott.
Antonio
MATANO
Consigliere
Dott.
Giuseppina
FINAZZI
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile promossa in grado d’appello con ricorso depositato
in Cancelleria il giorno 14/09/12 iscritta al n. 481/12 R.G. Sezione
Lavoro e posta in discussione all’udienza collegiale del 02/05/13
da
RISTORANTE DEL CENTRO SRL, in persona del legale
rappresentante
rappresentato
e
difeso
dall’Avv.to
Roberto
MAZZETTI di Bergamo e dall’Avv.to Claudia BRIONI di Brescia, OGGETTO:
quest’ultimo domiciliatario giusta delega a margine della memoria in Lavoro interinale
1° grado.
RICORRENTE APPELLANTE
contro
BERNAREGGI ROBERTA, rappresentata e difesa dall’Avv.to
Mirko GRASSI di Bergamo e dall’Avv.to Paolo BROGGI di Milano,
quest’ultimo domiciliatario giusta delega a margine della memoria.
RESISTENTE APPELLATA
In punto: appello a sentenza n. 234/12 del 14/03/12 del Tribunale di
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Sigg.:
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Bergamo.
Conclusioni:
Del ricorrente appellante:
Come da ricorso
Del resistente appellato:
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 26.8.2011 avanti al Tribunale di
Bergamo, Roberta Benareggi ha chiesto l’accertamento della
illegittimità di due contratti di somministrazione ex D. L.vo 276/03 e
relative proroghe in forza dei quali aveva prestato lavoro presso i Mac
Donald di proprietà della società Ristorante del Centro s.r.l. a partire
dal 5.2.2008 sino al 30.9.2010, prima nel centro commerciale di
Curno e poi in quello di Orio al Serio, e l’accertamento della
sussistenza ab origine di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato,
con condanna alla riammissione in servizio e al pagamento delle
retribuzioni maturate. Allegava la genericità assoluta della causale e
comunque la non pertinenza della stessa con le mansioni in concreto
svolte che non attenevano alla ristorazione, ma semplicemente alle
pulizie dei locali e del magazzino.
La società convenuta, eccepita la decadenza ex art. 6 l 604/66
come modificato dall’art. 32 L.183/10, contestava anche nel merito la
domanda.
Con la sentenza appellata il Tribunale ha respinto l’eccezione
e ha dichiarato la nullità del contratto di somministrazione per
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Come da memoria
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indeterminatezza, accertando la sussistenza di un rapporto di lavoro a
tempo pieno e a tempo indeterminato tra le parti fin dal primo
contratto e ha condannato la convenuta al risarcimento del danno pari
a tutte le mensilità maturate dalla messa in mora (21.1.2011).
Ha proposto appello la società Il Ristorante del Centro
domande proposte dalla lavoratrice e in subordine la riduzione del
risarcimento del danno, con l’applicazione del collegato lavoro.
La lavoratrice si è costituita chiedendo il rigetto dell’appello,
del quale ha eccepito l’inammissibilità.
All’odierna udienza la Corte, dopo la discussione delle parti,
decideva con sentenza del cui dispositivo veniva data immediata
lettura.
Motivi della decisione
L’appello
non
è
inammissibile
in
quanto
contesta
adeguatamente la sentenza di primo grado sia con riferimento alla
reiezione dell’eccezione di decadenza, sia nel merito, segnalando sa la
particolarità dell’organizzazione del lavoro nell’ambito dei Mac
Donald, sia il fatto che i contratti erano stati certificati dalla DPL
competente.
Sull’eccezione di decadenza la Corte osserva quanto segue.
L’art. 32, primo comma, della legge 183/2010 (pubblicata in
G.U. 9.11.2010 n. 262 suppl. ord. n. 243) prevede che “Il primo e il
secondo comma dell'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604,
sono sostituiti dai seguenti: "Il licenziamento deve essere impugnato a
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riproponendo l’eccezione di decadenza, chiedendo il rigetto delle
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pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua
comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione,
anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con
qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la
volontà
del
lavoratore
anche
attraverso
l'intervento
stesso…(omissis)”. I successivi commi 2,3 e 4 estendono la portata
applicativa della decadenza ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del
licenziamento, stabilendo che: “Le disposizioni di cui all'articolo 6
della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del
presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidità del
licenziamento. 3. Le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15
luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente
articolo, si applicano inoltre: a) ai licenziamenti che presuppongono
la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di
lavoro ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto; b) al
recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa, anche nella modalità a progetto, di cui all'articolo 409,
numero 3), del codice di procedura civile; c) al trasferimento ai sensi
dell'articolo 2103 del codice civile, con termine decorrente dalla data
di ricezione della comunicazione di trasferimento; d) all'azione di
nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli articoli
1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive
modificazioni, con termine decorrente dalla scadenza del medesimo.
4. Le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n.
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dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento
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604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano
anche: a) ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli articoli
1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, in corso di
esecuzione alla data di entrata in vigore della presente legge, con
decorrenza dalla scadenza del termine; b) ai contratti di lavoro a
previgenti al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e già
conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge, con
decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente
legge; c) alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi
dell'articolo 2112 del codice civile con termine decorrente dalla data
del trasferimento; d) in ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi
prevista dall'articolo 27 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n.
276, si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro
in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto.”
Successivamente, resosi conto della necessità di consentire la
sedimentazione, a beneficio di tutti gli operatori del settore, di una
riforma tanto invasiva nell’introdurre una fittissima serie di severi
termini decadenziali sino ad allora confinati al licenziamento
nell’ordinamento lavoristico, il legislatore, entrata in vigore sin dal
24.11.2010 la legge n. 183, con la successiva legge n. 10 del
26.2.2011, pubblicata sulla G.U. dello stesso giorno ed in vigore dal
successivo 27.2.2011, ha introdotto, in sede di conversione del c.d.
decreto milleproroghe 2010 (d.l. 225 del 29.12.2010), un comma 1bis al riportato art. 32, che dispone: “In sede di prima applicazione, le
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termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge
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disposizioni di cui all'articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio
1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo,
relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del
licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre
2011.”
In primo luogo, l’art. 32 introduce, nel regime della
decadenza, un’inequivocabile distinzione tra l’impugnazione dei
contratti a termine e quella delle altre tipologie di contratti flessibili o
di cui è contestata la qualificazione. Solo per i primi, infatti, viene
dettata una disposizione transitoria che impone espressamente
l’applicazione della disposizione in questione ai rapporti in corso ed a
quelli già esauriti, con termine da computarsi a decorrere dall’entrata
in vigore della stessa legge (e quindi con facoltà di contestazione
della validità del contratto sino al 23.1.2011). Ne consegue, per
quanto interessa nella specie, che i rapporti contrattuali di
somministrazione in corso o già esauriti al 24.11.2010 sono da
considerarsi
sottoposti
unicamente
agli
ordinari
termini
di
prescrizione dei diritti e ciò in quanto, diversamente opinando, si
dovrebbe considerare del tutto priva di senso la disposizione
transitoria dettata in tema di contratti a termine, mentre la stessa è
indispensabile – nei limiti di materia in cui opera – ad introdurre una
decadenza nuova e con un regime del tutto speciale che ne ancora la
decorrenza all’entrata in vigore della norma e non alla scadenza
contrattuale.
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L’eccezione è infondata per due autonomi ordini di ragioni.
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In secondo luogo, mero scrupolo motivazionale (essendo
l’osservazione che precede del tutto assorbente ai fini di disattendere
l’eccezione
di
decadenza),
merita
rilevare
che
la
proroga
dell’efficacia della decadenza è applicabile non solo ai licenziamenti,
ma a tutte le ipotesi disciplinate dalle modifiche apportate al novellato
dei termini per le impugnazioni.
La conclusione attinente l’ambito applicativo della norma è
sorretta, solidamente e concordemente, dai canoni ermeneutici
letterale e sistematico: il comma 1-bis differisce l’efficacia delle
disposizioni del novellato art. 6 e detta norma abbraccia, oltre al
licenziamento, tutte le nuove ipotesi di decadenza enumerate dai
commi 2,3 e 4 dell’art. 32 della legge 183/2010. L’ipotesi contraria,
che valorizza il riferimento espresso al termine “per l’impugnazione
del licenziamento”, per un verso, trascura di considerare che detta
espressione va letta nell’ottica della tecnica di redazione normativa
che ha usato la disciplina del licenziamento come paradigma di
riferimento per l’estensione della decadenza all’impugnazione di altri
atti negoziali e, per altro verso, confligge in maniera insanabile con
l’esigenza sistematica perseguita dalla disposizione che consiste nel
mitigare gli effetti prodotti dall’entrata in vigore di un nuovo, severo,
termine di decadenza ad amplissimo spettro proprio con riferimento
alle impugnative diverse dal licenziamento in relazione al quale la
decadenza stragiudiziale è stata prevista dal nostro ordinamento sin
dall’originario testo della legge n. 604/1966 e rispetto al quale il
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art. 6, primo comma, della legge 604/1966 e comporta la riapertura
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novum è quindi confinato al ben più comodo termine ulteriore per
l’accesso al Giudice di 270 giorni previsto dal secondo alinea del
nuovo primo comma dell’art. 6 della legge 604/1966.
La riapertura dei termini per l’impugnazione dei contratti
deve considerarsi avvenuta con effetto retroattivo e ciò comporta la
temporale corrente tra il 24.11.2010 (data di entrata in vigore della
legge 183/2010) e il 23.1.2011 (scadenza del termine di 60 giorni per
l’entrata in vigore della novella che introduce la decadenza);
diversamente opinando, infatti, si svuoterebbe per la maggior parte il
senso e lo scopo della disposizione che è quello di consentire la
decantazione degli effetti delle nuove decadenze non tanto per i nuovi
rapporti, quanto per la massa di quelli in corso e/o già esauriti,
assegnando agli interessati un tempo congruo per compiere le
valutazioni del caso.
Nel caso di specie, peraltro, il fatto che l’ultimo contratto di
somministrazione fosse scaduto il 30.9.2010 e quindi prima del
termine del 24.11.2010, fa ritenere che gli stessi fossero sottoposti
unicamente agli ordinari termini di prescrizione dei diritti e ciò in
quanto, come già precisato, in caso contrario perderebbe senso la
disposizione transitoria dettata in tema di contratti a termine, mentre
la stessa è indispensabile – nei limiti di materia in cui opera – ad
introdurre una decadenza nuova e con un regime del tutto speciale che
ne ancora la decorrenza all’entrata in vigore della norma e non alla
scadenza contrattuale.
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neutralizzazione degli effetti medio tempore prodottisi nell’arco
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Passando al merito, l’appello è infondato.
La Bernareggi ha impugnato i due contratti commerciali di
somministrazione, e le relative proroghe senza motivazione, intercorsi
tra la società Il Ristorante del Centro e la Ergon Line S.p.a., il primo,
che riguardava 15 lavoratori somministrati, e la During S.p.a. il
La causale del primo è di natura produttiva indicata in
“incrementi di lavoro non programmabili”, quella del secondo è
“intensificazioni temporanee dell’attività dovute a flussi non
programmabili di clientela cui non sia possibile far fronte con un
normale organico” e la Bernareggi, in forza dei contratti che ne sono
derivati e delle successive proroghe, è rimasta continuativamente alle
dipendenze della società per 2 anni e sette mesi.
Entrambe le causali sono state ritenute generiche dal primo
giudice e la Corte condivide tale valutazione.
L’art. 20, comma 4, d. legisl. n. 276/03 consente la
somministrazione di lavoro a tempo determinato a fronte di ragioni di
carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo “anche se
riferite all’ordinaria attività dell’utilizzatore” e l’art. 22 del medesimo
decreto, comma 2 dispone che a questi rapporti si applichi la
disciplina del d .legils. n. 368/01 per quanto compatibile, con
esclusione dell’art. 5 comma 3 e 4 sulla successione dei contratti ed
essendo inoltre consentita la proroga, con contratto scritto, nei casi e
per la durata prevista dal contratto collettivo applicato dal
somministratore.
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secondo, che riguardava 25 lavoratori somministrati.
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Posto che la direttiva 1999/70 CE espressamente esclude dal
proprio ambito di applicazione i lavoratori messi a disposizione di
una impresa utilizzatrice da parte di una agenzia di lavoro interinale,
ma non esclude che gli stati nazionali possano disciplinare i rapporti
di lavoro somministrato in modo da non consentire l’elusione della
stessa,
l’indicazione,
quale
presupposto
della
somministrazione di lavoro a tempo determinato, della necessità di
ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo e il
contemporaneo richiamo della disciplina generale del rapporto di
lavoro a tempo determinato comportano necessariamente una identità
di tipologia delle esigenze aziendali per le quali è riconosciuto lecito
il ricorso a rapporti di lavoro a termine, tipologia che non può che
essere individuata nella temporaneità delle esigenze aziendali per le
quali i contratti a tempo determinato vengono stipulati. Una conferma
di questa conclusione si trae dall’art. 27 comma 1 d. legisl. n. 276/03
che sanziona, con la trasformazione del rapporto a tempo determinato
in rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore, l’assenza delle
condizioni previste dall’art. 20 e quindi delle ragioni di carattere
tecnico ecc., con previsione analoga a quella dell’art. 1 del d. legisl. n.
368/01 che subordina la validità della clausola di apposizione del
termine a dette esigenze.
Non solo si deve trattare di esigenze temporanee, come
chiaramente si desume dalla correlazione fra la previsione della
natura oggettiva dei presupposti e la temporaneità del rapporto, ma
l’onere di provare l’esistenza delle ragioni oggettive e la temporaneità
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direttiva
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delle stesse è posto a carico, secondo i principi generali, del datore di
lavoro (ossia del soggetto che si avvantaggia della deroga alla
disciplina del rapporto a tempo indeterminato).
La genericità della causale, tra l’altro, rende difficile se non
addirittura impedisce (e quindi si riverbera a danno del datore di
l’esistenza un fatto specifico e temporaneo posto a giustificazione del
ricorso alla somministrazione.
Era quindi onere della società Ristorante del Centro provare
che il ricorso alla somministrazione era motivato da ragioni, non
necessariamente eccezionali, ma che, benchè attinenti all’ordinaria
attività, avessero carattere temporaneo. Allegare, invece, che il tipo di
lavoro che si svolge nei fast-food siti all’interno dei centri
commerciali è, di per sé, soggetto a fluttuazioni di clientela è già una
argomento che nulla ha a che vedere con il ricorso al personale
somministrato
ma
piuttosto
dovrebbe
ricadere
nel
rischio
imprenditoriale (e, quindi, nella sua capacità di provvedere con
contratti ad orario flessibile e magari part-time, senza gravare
l’azienda di costi eccessivi anche nei momenti di scarso afflusso) e
non sul lavoratore.
Questo onere non è stato soddisfatto.
Per essere compatibile con la normativa sopra richiamata, e
non difettare per genericità, la causale “incrementi di lavoro non
programmabili” deve essere intesa nel senso di un incremento di
produzione dovuto all’afflusso di clienti, pur inerendo alla normale
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lavoro, una volta convenuto in giudizio) di ricostruire a posteriori
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attività aziendale e pur costituendo evenienza prevedibile (e quindi
non straordinaria), comportavano un sensibile scostamento, ma solo
temporaneo, dagli standard quantitativi usuali sulla base dei quali era
parametrata la capacità produttiva dell’impresa.
Si tratta di nozioni piuttosto elastiche, che consentono ampia
lavoro, il cui contenuto però deve rimanere ancorato a circostanze
oggettive, verificabili, perché diversamente verrebbe introdotta una
nozione del tutto soggettiva del concetto di “temporaneo”, che
andrebbe a svuotare di significato l’intera disciplina, divenendo del
tutto evanescente il presupposto della ricorrenza di ragioni tecniche,
organizzative, produttive o sostitutive per la legittimità della clausola
di apposizione del termine al contratto di lavoro, ancorché
somministrato.
Sotto questo profilo l’allegazione dell’attuale appellante è del
tutto insufficiente e irrilevante.
Ma anche qualora si volesse ritenere sufficientemente
specifica la causale, il contratto con la Bergnareggi sarebbe
comunque invalido in quanto la stessa, e la circostanza non è
contestata, non è mai stata addetta al reparto ristorazione e
preparazione pasti ma solo alla pulizia dei bagni, degli spogliatoi del
personale, delle cucine, dell’ufficio direzione, delle celle frigorifere,
dei pozzetti delle fogne, della zona lavaggio e del locale immondizia,
mansioni svolte, nella quasi totalità, in orario di chiusura al pubblico,
il che rende del tutto irrilevante quanto detto in ordine agli
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libertà organizzativa e discrezionalità di valutazione al datore di
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imprevedibili afflussi di clientela.
Questa osservazione, a tacer del fatto che la valutazione
dell’organo amministrativo sulla validità dei contratti non vincola il
giudice, è sufficiente a respingere l’appello anche con riferimento alla
questione della “certificazione” dei contratti, che ovviamente non
lavoratore in mansioni del tutto estranee alla causale addotta nel
contratto di somministrazione.
La clausola di apposizione del termine va quindi ritenuta
nulla ex art. 27 d. legisl. n. 276/03, con conversione del rapporto in
rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore sin dalla
stipulazione del contratto, come già correttamente deciso dal primo
giudice.
Il secondo motivo di appello, relativo alla misura della
liquidazione del risarcimento del danno, merita invece accoglimento.
Premesso che il Tribunale ai fini della liquidazione del danno
ha utilizzato il criterio precedentemente adottato per i contratti con il
termine nullo (retribuzioni dalla messa in mora alla riammissione in
servizio), ritiene la Corte che debba, invece, farsi applicazione
dell’art. 32, co. 5, legge 183/2010, come invocato dall’appellante.
Secondo la lavoratrice l’art. 32, co. 5, legge 183/2010, che
prevede il meccanismo liquidatorio dell’indennità «nei casi di
conversione del contratto a tempo determinato», è una norma
speciale che non può essere applicata nel caso in esame dove si non
avrebbe una conversione ma l’accertamento della sussistenza di un
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copre mai la questione, meramente in fatto, dell’utilizzo del
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rapporto ab origine a tempo indeterminato.
Come già più volte deciso da questa Corte, si deve ritenere, in
base all’interpretazione non solo letterale ma anche sistematica delle
disposizioni in materia di somministrazione di lavoro a termine, che
le ipotesi di invalidità contemplate dall’art. 27 d. legisl. n. 276/03
rapporto di lavoro, dovendo poi il contratto a termine intercorrente
direttamente con quest’ultimo essere vagliato alla luce della disciplina
di cui al d. legisl. n. 368/01. Da ciò consegue l’applicabilità anche in
queste fattispecie dell’art. 32 cit. La diversa affermazione contenuta
in un passaggio della motivazione della sentenza n. 303/11 della
Corte Costituzionale, oltre a non essere vincolante trattandosi di mera
argomentazione in una pronuncia di rigetto, non appare, infatti,
convincente, venendo oltretutto ad introdurre una ingiustificata
disparità di trattamento fra datori di lavoro (prima ancora che fra
lavoratori) per il solo fatto di essersi o non essersi rivolti al servizio di
collocamento gestito dalla agenzie di somministrazione, attività
questa
che
non
è
affatto
considerata
con
disfavore
né
dall’ordinamento interno, né da quello comunitario (il servizio di
collocamento
privato
è
stato
anzi
introdotto
per
adeguare
l’ordinamento interno agli obblighi comunitari: Corte di Giustizia
11.12.97, n. C-55/96, 8.6.00 n. C-258/98). Tali considerazioni
risultano estensibili de plano alle ipotesi in cui la costituzione del
rapporto con l’impresa utilizzatrice debba essere dichiarata per effetto
della irregolare fornitura di lavoro temporaneo, figura questa con lo
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abbiano quale sanzione la riconduzione in capo all’utilizzatore del
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stesso schema contrattuale della somministrazione della quale, invero,
costituisce la versione primitiva.
In tal senso, del resto, si è pronunciata recentemente anche la
Corte di Cassazione, con sentenza 17.1.2013, n. 1148, che,
giudicando nel caso analogo del contratto di fornitura di lavoro
che «l’espressione “casi di conversione del contratto di lavoro a
tempo determinato”, senza ulteriori precisazioni, non esclude, in
conclusione, che il fenomeno di conversione possa avvenire nei
confronti dell’utilizzatore effettivo della prestazione, né che possa
essere l’effetto sanzionatorio di un vizio concernente il contratto di
fornitura». Significativamente
la Corte
ha aggiunto:
«Deve
aggiungersi che il legislatore è intervenuto sull‘art. 32, quinto
comma, della legge 183 del 2010 con una norma interpretativa, il
comma 13 dell’art. 1 della legge 28 giugno 2012 n. 92, che si esprime
così: “La disposizione di cui al comma 5 dell’articolo 32 della legge
4 novembre 2010, n. 183, si interpreta nel senso che l’indennità ivi
prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore,
comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo
compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del
provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione
del rapporto di lavoro”.
l profili della interpretazione autentica sono molteplici. Ai
fini del problema in esame, l’utilizzazione del termine ricostituzione
vuole probabilmente indicare che il concetto di conversione
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temporaneo, ha affermato con riferimento al comma 5 dell’art. 32,
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comprende non solo provvedimenti di natura dichiarativa, ma anche
di natura costitutiva, quale potrebbe essere considerato quello
previsto dall’art. 27 del decreto legislativo 276 del 2003, con
riferimento alla somministrazione irregolare (non anche quello
previsto dall’ art. 21, ult. comma, del medesimo decreto legislativo)».
Corte, avuto riguardo ai criteri di cui all’art. 8 legge 604/66 , ritiene
adeguato il pagamento di un'indennità onnicomprensiva in misura
pari a 7 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
Gli
interessi e la rivalutazione decorrono, ex art. 429 cpc, dal 30.9.2010,
data di cessazione di fatto del rapporto a termine. Infatti, poiché l’art.
32 della L n. 183/10 introduce un parametro predeterminato,
esaustivo di ogni possibile pregiudizio patrimoniale, vincolandone la
liquidazione, fra un massimo e un minimo, solo ai parametri di cui
all’art. 8 L n. 604/66, e poiché la nuova norma attribuisce il diritto
all’indennità esclusivamente in ragione conversione del rapporto,
senza alcuna altra condizione o presupposto, si deve ritenere che,
analogamente alla disciplina del licenziamento in regime di tutela
obbligatoria, il diritto all’indennità risarcitoria non implichi alcuna
preventiva messa in mora e non sia inciso dall’aliunde perceptum. La
soluzione è coerente con i principi generali in materia di ristoro del
danno attraverso l’attribuzione di una indennità, riduttiva rispetto al
pregiudizio patrimoniale effettivo, nella determinazione della quale
tutti i fatti che possono incidere sull’ammontare della diminuzione
patrimoniale o sul mancato guadagno vengono considerati in via
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Tenuto conto della durata dell’intero periodo lavorato, la
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preventiva nella liquidazione dell’indennità medesima, mentre la
decorrenza degli accessori è determinata dall’epoca di riferimento dei
valori assunti nella liquidazione.
La parziale fondatezza dell’appello è motivo per compensare
per metà le spese di lite tra la società appellante e la lavoratrice,
P.Q.M.
in parziale riforma della sentenza n. 234/12 del Tribunale di
Bergamo condanna s.r.l. Il Ristorante del Centro al risarcimento del
danno, liquidato in una somma pari a 7 mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione
monetaria dal 30.9.2010; dichiara compensate per metà le spese di lite
e condanna l’appellante alla rifusione della metà residua, liquidata per
l’intero come nella sentenza appellata e in € 2.500 per il secondo
grado, oltre accessori di legge;
Brescia, 2.5.2013
Il Presidente
dott. Antonella Nuovo
Firmato Da: NUOVO ANTONELLA Emesso Da: POSTECOM CA2 Serial#: f0a55 - Firmato Da: GRAVANTE PATRIZIA VITA Emesso Da: POSTECOM CA2 Serial#: 88f6e
condannando la prima alla rifusione della metà residua.